Giustizia: “regimi aperti” per la detenzione…. favorire la permanenza al di fuori delle celle di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 7 giugno 2012 Nella consapevolezza che il sovraffollamento, ben lungi dall’essere superato (21mila persone in più rispetto ai posti letto regolamentari), ha deteriorato le condizioni di vita dei detenuti, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria cerca di porvi riparo istituendo i regimi aperti di detenzione. È dei giorni scorsi la Circolare G-DAP 0206745-2012 a firma del capo del Dap Giovanni Tamburino che cerca di spingere verso una regionalizzazione della esecuzione della pena e verso la moltiplicazione di esperienze positive come quella di Bollate a Milano dove i detenuti sono liberi di circolare nella proprie sezioni e non costretti a stare, come accade in buona parte delle prigioni italiane, per venti ore e passa chiusi in cella a non far nulla. Un tentativo che fa seguito a quello ardito e rimasto sulla carta di qualche mese fa - circolare n. 3594-6044 del 25 novembre 2011 - con il quale ogni detenuto veniva associato a un colore e da quello sarebbe successivamente dipeso il suo destino penitenziario. Quella circolare di novembre era subito risultata di difficile, incerta e rischiosa applicazione. Ora quei detenuti associati in modo bizzarro a dei colori, diventano un ricordo del passato. I codici e i colori sono stati esplicitamente soppressi. Eppure quella circolare era stata presentata in pompa magna neanche sei mesi fa. Nella nuova circolare Dap si specifica che questione primaria e centrale è la tutela dei diritti della persona detenuta. Oggi gli spazi di vita si sono ridotti a pochissimi metri quadri a persona. Il lavoro per i detenuti è poco e mal pagato. Le attività ricreative e scolastiche sono anch’esse in calo a causa della mancanza di risorse. Di fronte a un quadro di questo tipo, per evitare tensioni e violenza verso se stessi (i suicidi sono stati ben 24 dal’inizio dell’anno), viene scritto che bisogna favorire la permanenza dei detenuti fuori dalle loro celle anguste. Viene richiamato l’art. 115 d.p.r. 30 giugno 2000 n.230 (Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario) il quale al primo comma prevede che “in ciascuna regione è realizzato un sistema integrato di istituti differenziato per le varie tipologie detentive la cui ricettività complessiva soddisfi il principio di territorialità dell’esecuzione penale, tenuto conto anche di eventuali esigenze di carattere generale”. Ciò significa che un detenuto deve soggiornare vicino ai propri familiari. La lontananza deprime, aiuta i propositi suicidari. In ogni regione deve esservi una offerta penitenziaria variegata: dalla detenzione dei reclusi più pericolosi agli istituti a regime aperto. Quella che un tempo era definita detenzione a media sicurezza oggi dovrà caratterizzarsi per una maggiore apertura di spazi e di occasioni di reintegrazione sociale. Il provveditore deve organizzare la vita penitenziaria di quel territorio regionale assicurando la territorialità della pena e tenendo conto della specificità del luogo dove opera. Deve creare occasioni e non solo occuparsi dell’amministrazione ordinaria. Nelle case di reclusione - dove ci sono le persone già condannate - è scritto che devono essere ampliati “gli spazi utilizzabili dai detenuti per frequentare corsi scolastici, di formazione professionale, attività lavorative, culturali, ricreative, sportive e, ove possibile, destinando un istituto o una sezione di questo totalmente a “regime aperto”. Il reparto sarà destinato a “detenuti prossimi alla dimissione il cui fine pena sia inferiore ai diciotto mesi, in considerazione del corrispondente innalzamento del limite di pena per ottenere la detenzione domiciliare speciale”. Ogni detenuto all’atto di entrare in un carcere aperto deve sottoscrivere un “patto” con l’amministrazione con cui accetta le prescrizioni ivi contenute. La detenzione deve essere responsabilizzante e non infantilizzante. In questo modo anche il lavoro degli agenti di sezione sarà meno gravoso e più gratificante. Il poliziotto penitenziario deve assicurare una sicurezza “dinamica”. Non deve limitarsi ad aprire e chiudere celle. Deve essere attore del progetto di rinnovamento istituzionale e di recupero individuale. I posti di servizio degli agenti non devono essere quelli preconfezionati sulla carta ma quelli legati agli uomini effettivamente a disposizione. Questa è una importante novità che sarà sicuramente apprezzata dai sindacati meno oltranzisti. Giustizia: inferno carcere, rendersi utili aiuta a rinascere di Antonio Mattone Il Mattino, 7 giugno 2012 I detenuti italiani possono essere utilizzati per contribuire alla ricostruzione del dopo-terremoto in Emilia. Questa la proposta del ministro della Giustizia Severino, che ha suscitato una serie di appassionate reazioni. Secondo il Guardasigilli, il carcere, che dovrebbe ricostruire umanamente e spiritualmente vite distrutte da errori e delitti, potrebbe così dare un significativo apporto alla rinascita di una parte del Paese. Ora, di carcere e della condizione di chi è detenuto negli ultimi tempi se ne parla sempre di più. L’intervento del ministro Severino - che tra l’altro ha annunciato entro giugno una ispezione a Poggioreale - segue le dichiarazione del presidente Napolitano, che il mese scorso ha parlato della situazione delle carceri come di “un punto critico insostenibile” che deve essere superata “anche attraverso nuove e coraggiose soluzioni strutturali e gestionali”. Del resto, la situazione di chi è recluso in carcere resta difficile, come emerge dalla relazione annuale del Garante dei diritti dei detenuti della Campania. Innanzitutto il numero dei carcerati presenti nei 17 istituti di pena della Regione è costante. Nel giro di un anno si è passati dai 7.881 detenuti ai 7.943 (rilevazione del 31 maggio 2012). Dalla fotografia che appare vediamo che le carceri campane sono popolate soprattutto da italiani; gli stranieri sono poco più del 13%, mentre un quota consistente, oltre il 20%, è rappresentata da tossicodipendenti. Poiché i detenuti residenti in Campania sono circa dodicimila, una cospicua parte di questi sconta la pena in altre carceri della penisola, con la conseguenza di vedere diminuito il nume- ro di visite da parte dei familiari che sono sottoposti a costosi e faticosi viaggi per raggiungere i parenti in carcere. Un detenuto trasferito da Poggio-reale in un carcere siciliano mi ha scritto che da due anni non riceve le visite della madre che nel frattempo si è ammalata di tumore. A questi dati aggiungerei quello dei giovani tra i 18 e i 25 anni, che sono quasi il 9% della popolazione detenuta. Nel padiglione Firenze del carcere di Poggioreale, che ospita le persone che sono alla prima detenzione, colpisce incontrare volti e fattezze dai tratti adolescenziali. La crisi economica di questi anni ha ridotto progressivamente le risorse che l’Amministrazione penitenziaria destina alle carceri. Mancano i fondi per la benzina degli automezzi, per le scorte, per acquistare i beni di prima necessità come il detersivo per lavare gli ambienti, solo per fare qualche esempio. Ma anche il lavoro dei detenuti ha subito una drastica diminuzione. La crisi ha però colpito anche il “Welfare camorristico”, soprattutto per i numerosi arresti compiuti dalle forze dell’ordine che hanno smantellato clan e piazze di spaccio. Non è vero che a Poggioreale la camorra sostiene in modo capillare i detenuti poveri. Questi sono aiutati prevalentemente dal volontariato e dalla generosità dei compagni di cella. Di frequente capita che alcuni detenuti segnalino ai volontari che vanno in carcere la situazione di indigenza di qualcuno. La domanda di aiuto che sale dal carcere può rappresentare una grande chance per sostenere ed accompagnare chi vuole cambiare strada e reinserirsi nella società. Una delle più grandi criticità è quella della salute. In Campania non tutte le Asl hanno recepito in modo uniforme gli indirizzi organizzativi della Regione, per cui accanto a degli esempi di buone pratiche ci sono situazioni problematiche soprattutto nel settore della gestione organizzativa e del personale. Le lunghe attese per i ricoveri, per gli interventi e gli esami specialistici segnalati dalla Garante sono problemi concreti. Talvolta manca il coordinamento tra Aziende ospedaliere e Centri di medicina penitenziaria per cui succede che nella programmazione delle visite mediche non coincidano gli orari di disponibilità della scorta con quelli degli ambulatori, facendo rinviare le visite e allungando così le liste di attesa. Che fine hanno fatto le ipotesi di impiantare negli istituti di Poggioreale e Secondigliano un centro clinico e uno per i piccoli interventi chirurgici? Perché non collocare strumentazioni diagnostiche come la Tac in uno di questi carceri? Non si risparmierebbero soldi per le scorte e attese e sofferenze peri detenuti? Pernonparla-re poi di una rivoluzione culturale che dovrebbe coinvolgere il personale medico e paramedico che opera negli istituti di pena. La medicina di attesa, per cui si interviene solo su richiesta del detenuto dovrebbe essere sostituita da una medicina di “presa in carico” che cerchi i pazienti problematici e ne segua il decorso clinico. Il bisogno di sicurezza non deve far identificare un detenuto con il reato che ha commesso, la pena deve essere rieducativa e non afflittiva. Per questo misure alternative, cura e lavoro per tutti, umanizzazione delle carceri sono la via per recuperare chi ha commesso crimini e allo stesso tempo per rendere più sicura la nostra società. Giustizia: i Radicali insistono; per carceri e tribunali è necessaria un’amnistia Ansa, 7 giugno 2012 I Radicali Italiani chiedono un’amnistia per risolvere l’emergenza carceri: è quanto ha ribadito oggi a Firenze Annalisa Chirico, membro del comitato nazionale del partito, che insieme al deputato Pdl Alfonso Papa e al garante dei detenuti di Firenze, Franco Corleone, ha visitato il carcere di Sollicciano. “Non è un colpo di spugna - ha detto - non è la resa dello Stato, ma la prima riforma di struttura per liberare le scrivanie dei magistrati, alleggerire il peso sulle galere italiane, e dare l’avvio a una fase di riforma della giustizia”. Chirico, che ha criticato l’atteggiamento del governo riguardo alla riforma del Csm e alla responsabilità civile dei magistrati, ha ricordato che ‘abbiamo oltre 20.000 detenuti in eccesso rispetto alla capienza regolamentare delle nostre galere; abbiamo il 42% di popolazione carceraria in attesa di giudizio, quindi presunti non colpevoli per la Costituzione che scontano un anticipo di pena o, peggio ancora, un mezzo di estorsione delle confessioni; abbiamo un terzo della popolazione carceraria che è lì per una legge criminogena, quella sulle droghe”. Giustizia: Dap; un sacchetto di plastica in testa, così Provenzano ha finto il suicidio di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 7 giugno 2012 A un mese dal tentato suicidio di Bernardo Provenzano nel super-carcere di Parma, la conclusione dell’amministrazione penitenziaria è che non fu un tentato suicidio. Tutti i rapporti sullo strano episodio avvenuto nella cella del boss mafioso la notte del 10 maggio scorso convergono in un’unica direzione: Provenzano non voleva uccidersi. La sua fu una “messa in scena”, come ha messo nero su bianco l’ispettore capo che a mezzanotte e 35 minuti controllò dallo spioncino il capomafia e notò qualcosa di anomalo. Ecco alcuni passaggi della sua relazione: “La mia attenzione veniva attirata immediatamente dal fatto che il Provenzano indossava sul capo un sacchetto di plastica trasparente fornito dall’amministrazione per la consegna di generi alimentari, quali ad esempio la frutta. Il detenuto si trovava in piedi innanzi al tavolino a muro. Non era sofferente, in quanto il sacchetto non era legato al collo ma sostenuto con le sue stesse mani, e non era appannato. Si presume pertanto che lo aveva indossato da pochi istanti, e che comunque gli permetteva di respirare in maniera ottimale “. L’ispettore intimò al boss di togliere quel sacchetto, ma “questi non ottemperava immediatamente “. All’ispettore si affiancò un agente, e solo dopo un nuovo invito Provenzano “toglieva il sacchetto che mi è stato consegnato dopo che ho disposto l’apertura del solo blindato (cioè la porta esterna che raddoppia la sicurezza rispetto al cancello con le sbarre, ndr) in maniera tale che si potesse instaurare un dialogo più diretto piuttosto che dallo spioncino. Anche se si può dire che si è trattato più di un monologo, in quanto il detenuto non interagiva con lo scrivente “, annota l’ispettore. Il quale aggiunge di aver disposto una “altissima vigilanza per tutelare l’incolumità personale” del detenuto, “fermo restando che la situazione nel complesso, così come è stata notata, non ha suscitato nello scrivente alcun allarmismo”. Alle 3 del mattino arrivò il dottore, il quale certificò che Provenzano “si presentava tranquillo e in condizioni cliniche stabili. Sottolineo che la posizione in cui si trovava all’arrivo il Provenzano, in piedi, non gli avrebbe permesso di raggiungere l’eventuale scopo auto soppressivo”. Di qui la conclusione: “Amodesto parere del sottoscritto si tratta di una messa in scena”. In un altro rapporto, l’agente che accompagnava l’ispettore e assisté alla visita del medico, precisa di aver provato a dialogare con il boss per capire le ragioni del suo gesto: “Il detenuto rispondeva in maniera sconnessa, ma con modi e sorriso malizioso”. Dopo gli accertamenti sanitari Provenzano, tenuto sempre sotto “strettissima sorveglianza”, rimase sveglio girando per la cella “fino a quando si è sdraiato a letto verso le 5.30, continuando a leggere lettere o documenti che ha con sé”. Alla visita psicologica del giorno dopo “il paziente appare disponibile al colloquio ma non si dimostra in grado di sostenerlo; l’eloquio è faticoso e incomprensibile. L’unica affermazione comprensibile espressa è di sentirsi “come depresso”. Il filmato registrato dalle telecamere del circuito interno del reparto dov’è rinchiuso Provenzano, sembrano confermare le relazioni dei poliziotti penitenziari. Soprattutto il particolare che fu il detenuto a consegnare il sacchetto di plastica, attraverso le sbarre che non vennero aperte. Scrive il comandante che dalle immagini non si evincono “momenti di concitazione, e l’ispettore non ha dovuto disporre l’immediata apertura della cella per dover entrare e interrompere qualcosa di particolarmente grave”. La notizia del (presunto) tentato suicidio divenne di pubblico dominio dopo quasi ventiquattr’ore, l’indomani ne riferivano tutti i giornali, e il 12 maggio Francesco Paolo Provenzano inviò a suo padre questo telegramma: “Hanno detto che hai provato ad ammazzarti, poi hanno detto che non era vero, non sappiamo nulla, devi rispondere subito con un telegramma. Voglio sapere come stai e cosa è successo, per favore rispondi subito”. Due giorni più tardi il comandante del Reparto del carcere di Parma comunicava: “Fino a questa mattina il detenuto non ha inteso predisporre alcuna risposta, sebbene il personale abbia fornito lui il modulo per la predisposizione dei telegrammi”. Nel frattempo, la mattina del 13 maggio, altro episodio anomalo. All’infermiera che come ogni mattina gli aveva portato le pillole prescritte, il capomafia ristretto al “carcere duro” previsto dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario “ha risposto chiaramente con il movimento della testa, a significare l’indisponibilità ad assumere la terapia”. Commento del responsabile degli agenti penitenziari: “Si evidenzia che il detenuto ha reagito con immediata lucidità, mostrando con ogni probabilità, a parere dello scrivente e alla luce dei recenti e noti avvenimenti, l’intento di voler intraprendere con questi espedienti il consolidamento di una strategia tesa ad ottenere un affievolimento del regime detentivo cui è attualmente sottoposto”. Insomma, se sono vere le valutazioni dei responsabili della sicurezza del carcere, alla base di tutto ci sarebbe solo il tentativo di un anziano detenuto (a gennaio compirà ottant’anni), di allentare i rigori del carcere. Ai parlamentari e ai magistrati che sono andati a incontralo nelle ultime settimane, il boss non ha fornito spiegazioni plausibili. Lettere: ero in carcere! di Don Michele Fontana Gazzetta del Sud, 7 giugno 2012 Nel racconto del “Giudizio Finale” fatto da Gesù e riportato da Matteo nel suo Vangelo, il Signore ha affermato con estrema semplicità: “Ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,36). Queste parole, nella loro immediatezza, fanno emergere una prima sorprendente verità: Gesù stesso s’identifica con i detenuti. Sì, è proprio vero: dove c’è un carcerato lì c’è Cristo che attende la nostra misericordia. Immedesimazione più rivoluzionaria non poteva esserci. Certo, è sempre difficile cogliere la presenza Cristo nella nostra vita. Gli occhi della fede tutt’al più aiutano a contemplarlo nella presenza eucaristica e a riconoscerlo negli ammalati, nei poveri, negli affamati, nei bisognosi in generale, ma in quelli che hanno commesso crimini, che hanno rovinato la propria vita e la vita degli altri, beh, questo va oltre ogni umano ragionevole sforzo. Ma a proclamare l’identificazione è stato Gesù stesso. A noi, dunque, non tocca sindacare la sua volontà o giudicare la sua parola, ma accogliere l’insegnamento, prenderne atto e “pro-muovere” la nostra vita nella direzione indicata. Dinanzi a chi è detenuto, allora, non siamo chiamati a giudicare, ma ad amare! Sempre. Tutti. Giustizia e misericordia sono due realtà differenti soltanto apparentemente. Giusto, secondo la logica umana, è “ciò che è all’altro dovuto”, mentre misericordioso è ciò che è donato per bontà. E una cosa sembra escludere l’altra. Ma per Dio non è così: in Lui giustizia e carità coincidono; non c’è un’azione giusta che non sia anche atto di misericordia e non c’è un’azione misericordiosa che non sia perfettamente giusta. Giustizia e misericordia, dunque, devono animare ogni relazione, anche quelle con i detenuti. In quest’ultimo caso la giustizia ricerca due finalità: da un lato reintegrare chi ha sbagliato, senza la dignità e senza escluderlo dalla vita sociale (misericordia nei confronti del detenuto); dall’altro tutelare la società da eventuali minacce (misericordia nei confronti di tutti i cittadini). I carcerati non devono essere costretti a scontare una “doppia pena”: oltre a quella comminata dalla giustizia, quella derivante da un sistema carcerario fortemente degradato, sovraffollato e senza possibilità di recupero personale, familiare, sociale, psicologico e spirituale L’affermazione di Gesù nel Giudizio Finale richiama non soltanto alla visita formale alle carceri, ma all’impegno concreto perché la reclusione diventi vera occasione di riscatto e non ulteriore e condanna al degrado sociale. I detenuti sono persone umane che meritano, nonostante il loro crimine, di essere aiutati a recuperare rispetto e dignità. Campania: l’allarme del Garante regionale Tocco; così la riabilitazione è impossibile di Livio Coppola Il Mattino, 7 giugno 2012 Servono pene alternative, altrimenti non recupereremo alcun detenuto”, Adriana Tocco da quattro anni è Garante delle Persone sottoposte a misure restrittive presso il Consiglio regionale campano. Quattro anni in cui le sono arrivate migliaia di segnalazioni dai 17 Istituti penitenziari della regione, vere e proprie “richieste di aiuto” da detenuti che vivono il carcere in condizioni di estremo disagio, spesso lontani dalla famiglia e con problemi di salute non affrontati adeguatamente. Professoressa Tocco, le carceri della Campania patiscono un sovraffollamento storico. Come va affrontata questa emergenza ormai cronica? “Sicuramente non con misure tampone. Gli unici interventi utili a ridurre il sovraffollamento consistono nella modifica delle normative vigenti in materia di detenzione. Faccio l’esempio più significativo; l’attuale legge sulle tossicodipendenze prevede il carcere per le persone che detengono un determinato quantitativo di sostanze stupefacenti, anche in relazione ad un uso personale. A mio avviso le persone a cui si addebita un reato del genere non possono e non devono finire in carcere, perché si tratta di migliaia e migliaia di detenuti in più, chiamati a scontare una pena che, per il tipo di reato, può essere sostituita con misure alternative”. In questi anni di lavoro lei ha puntato molto sul recupero in società dei detenuti. A che punto è questo processo? “A nessun punto. Bisogna essere chiari, finché abbiamo questo sovraffollamento non sarà possibile attivare alcun percorso di recupero per chi sconta una condanna in carcere. I detenuti ad oggi vengono chiamati a lavorare a rotazione, e dunque per poco tempo, il che rende impossibile ottenere risultati soddisfacenti. Ripeto, bisogna prevedere pene alternative per tutti i reati dì minore entità e affidare al mondo del lavoro tutte le persone che possono beneficiarne. Solo con una occupazione continuativa si arriva ad un reale recupero delle persone, e ad una loro minore tendenza alla recidiva”. La Campania conta oltre 12mila residenti in regime di detenzione. Il che vuol dire che la metà alloggia in Istituti di altre regioni. Quali sono le conseguenze? “Quello della territorialità della pena, che è prevista per legge, è un altro problema significativo. Parliamo di 6mila persone che, non trovando posto negli Istituti della Campania, hanno problemi a incontrare i figli e i parenti in generale, il che contribuisce molto spesso a distruggere le loro famiglie. E in tema di famiglia, non possiamo dimenticare i casi specifici delle detenute-madri. In questo momento abbiamo, a Bellizzi Irpino, 11 bambini che, almeno fino a 6 anni, devono vivere a stretto contatto con la madre. Di fronte a questa realtà stiamo cercando di trovare, grazie anche alla collaborazione con la Chiesa, una casa che possa diventare luogo protetto dove far alloggiare le detenute con i loro figli. È importante per farli crescere senza patire disagi inaccettabili”. Altro problema è quello della salute in carcere. Qual è il livello di assistenza sanitaria? “È molto critico, e di questo ho già parlato con il ministro della Giustizia Paola Severino, che molto presto verrà in visita a Poggioreale. Attualmente ci sono tempi lunghissimi per assicurare ai detenuti le visite specialistiche. Pochi giorni fa mi ha scritto un detenuto che, accusando gravi problemi di vista, è riuscito ad ottenere una visita oculistica solo 40 giorni dopo la richiesta, E una volta visitato, ora aspetta di avere un esame specialistico che ancora non gli è stato effettuato. Non si può andare avanti in questo modo, il governo deve prendere provvedimenti”. Marche: 17° giorno di sciopero fame per Di Giacomo (Sappe), a rischio la sua salute Ristretti Orizzonti, 7 giugno 2012 Una lotta intrapresa contro i problemi del carcere già da tempo, quella Aldo Di Giacomo segretario Sappe Marche. Ma é proprio in questo sciopero della fame iniziato ben 17 giorni fa che i problemi, per la salute dell'uomo, cominciano a sorgere. Colui che vuole attirare l'attenzione denunciando con uno sciopero della fame, stà rischiando di mettere in pericolo la sua stessa vita. Per lui il Carcere di montacuto versa in una grave situazione di sovraffollamento e non solo che va risolta subito. Aldo Di Giacomo avrebbe proseguito, nonostante lo sciopero della fame, nelle sue attività quotidiane, ma ad oggi sarebbe provato nel fisico, senza considerare che già soffre di problemi ai reni e di azotemia. Ora é seguito dai sanitari che gli stanno somministrando integratori, ma la sua vita é al momento in pericolo, perché contiuna a perdere peso. Tanta le richieste che si vorrebbero vedere realizzate come la depenalizzazione di alcuni reati, misure alternative al carcere come i domiciliari e il bracciale elettronico per pene fino a due anni, e trattamenti obbligatori per i tossicodipendenti. Queste alcune dritte che potrebbero portare 'sollievo' alla pesante situazione delle carceri. In questi giorni la protesta verrà poi propagata fino alla Capitale portando questa proposta in Parlamento. Aversa (Ce): internato ricoverato in gravi condizioni, compagni hanno cercato di dargli fuoco www.teleclubitalia.it, 7 giugno 2012 L’Opg di Aversa ancora una volta sotto i riflettori nazionali per un fatto di cronaca accaduto la notte scorsa. Un episodio gravissimo che dimostra ancora una volta come la convivenza coatta tra i detenuti della struttura normanna rappresenti un pericolo sempre costante. A farne le spese Pietro Terlizzi che ora lotta tra la vita e la morte nel reparto di rianimazione dell’Ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta. Ancora non è chiaro come si siano svolti i fatti, gli accertamenti sono ancora in corso, ma pare che nella cella del reparto otto bis dell’Opg di Aversa dove Terlizzi era detenuto sia scoppiata una lite tra compagni di cella, degenerata con l’aggressione ed il maltrattamento dell’uomo cui successivamente è stato dato fuoco. Le condizioni di Pietro Terlizzi sono apparse immediatamente gravi. Il detenuto è stato, infatti, prima trasportato al Pronto Soccorso di Aversa che ne ha disposto il trasferimento all’Ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta dove ancora ora l’uomo è ricoverato nel reparto di rianimazione con ustioni sul settanta per cento del corpo e, dunque, in condizioni gravissime. Secondo prime indiscrezioni, a Pietro Terlizzi potrebbe essere stato appiccato il fuoco con una bomboletta di gas anche se non si abbandona l’ipotesi che a prendere fuoco sia stato il materasso del letto dell’uomo. A determinare con certezza cosa è accaduto nella cella del reparto otto bis dell’Opg di Aversa saranno le indagini in corso che dovranno, tra l’altro, accertare, qualora all’uomo fosse stato dato fuoco con una bomboletta di gas, come l’oggetto fosse in possesso dei detenuti. Modena: terremoto; Casa lavoro Saliceta San Giuliano evacuata, internati trasferiti a Parma Parma Today, 7 giugno 2012 L’evacuazione a Saliceta San Giuliano si è resa necessaria dopo che un sopralluogo compiuto dai vigili del fuoco aveva certificato l’inagibilità dell’istituto penitenziario. Si sono concluse le operazioni di evacuazione della Casa di lavoro di Saliceta San Giuliano, nel Modenese. L’evacuazione si è resa necessaria dopo che un sopralluogo compiuto dai vigili del fuoco aveva certificato l’inagibilità dell’istituto penitenziario. I 65 internati reclusi nella struttura sono stati tradotti dalla polizia penitenziaria a Parma (30) e a Padova (35). Ne ha dato notizia il segretario generale della Uil Penitenziari, Eugenio Sarno. “La struttura - commenta Sarno - presentava già di per sé diverse criticità perché molto prossima al degrado, trattandosi di una costruzione risalente all’800. Le scosse di questi giorni ne hanno determinato l’inagibilità, per cui si è resa necessaria l’immediata evacuazione. Le operazioni di trasferimento e traduzione degli internati, che sono state curate dalla polizia penitenziaria di Modena e di altri reparti del Veneto, si sono svolte nella massima serenità. Ora attendiamo che l’Amministrazione Penitenziaria apra il confronto sulla eventuale ricollocazione delle circa 40 unità di polizia penitenziaria in servizio a Saliceta. Così come resta da comprendere se i fondi già stanziati per la ristrutturazione della Casa di lavoro di Saliceta siano ora sufficienti a ripristinarne la totale agibilità”. Marsala (Tp): chiusura carcere, il Sindaco ha incontrato il Sottosegretario alla Giustizia www.marsalace.it, 7 giugno 2012 Il sindaco Giulia Adamo, insieme al Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Marsala, Gianfranco Zarzana e del Presidente della Camera Penale Diego Tranchida, si è incontrata al palazzo di Giustizia di Roma con il sottosegretario alla Giustizia, Salvatore Mazzamuto, alla presenza dell’ex prefetto Achille Serra, per discutere della delicata vicenda relativa alla chiusura della Casa Circondariale di Marsala, a seguito di un provvedimento del Ministro di Giustizia. “Al rappresentante del Governo Monti ... abbiamo chiesto prioritariamente di non chiudere questa struttura e, ove possibile, di programmare la costruzione di un nuovo edificio di pena più capiente. Nell’incontro è emersa la volontà - prosegue il sindaco Adamo - da parte del sottosegretario Mazzamuto di prendere in seria considerazione la nostra richiesta di lasciare in attività il carcere di piazza Castello, nel quale lui stesso effettuerà un sopralluogo nei prossimi giorni”. La missione romana del sindaco e dei legali marsalesi mira a scongiurare la chiusura dell’Istituto di piazza Castello, che avrebbe notevoli ripercussioni sull’attività forense. Il carcere, infatti, ospita una quarantina di reclusi, per lo più in attesa di giudizio. Nel decreto ministeriale si faceva riferimento, ai fini della chiusura, le carenti condizioni igienico-sanitarie che, a detta dei presidenti degli Avvocati del Foro e della Camera Penale, siano insussistenti. In una conferenza stampa tenutasi una ventina di giorni fa, Tranchida aveva chiaramente detto che “...le visite effettuate dal Dipartimento di Prevenzione Area Igiene e Salute Pubblica di Trapani, non ha mai segnalato alcuna carenza o irregolarità. Per quanto riguarda i motivi economici, sono solo pretestuosi, in quanto la chiusura comporterà più costi, maggiori spostamenti sia degli impiegati che dei carcerati che andranno a sovraffollare le carceri di Castelvetrano e Trapani”. Zarzana invece, aveva sottolineato l’importanza del carcere per tutto il Circondario, con una capienza di 30 unità, tollerabile per 40 e che può raggiungerne 60 unità. “Ricordiamo che nel nostro territorio c’è un’alta densità mafiosa”, aveva detto Zarzana. Cagliari: Sdr; nuovamente a Buoncammino nonnina di 79 anni, per revoca differimento pena Ristretti Orizzonti, 7 giugno 2012 Una donna di 79 anni, affetta da numerosi gravi disturbi tra cui cardiopatia ipertensiva, aneurisma dell’aorta addominale, ipercolesterolemia, steatosi epatica e infezione delle vie urinarie, dichiarata incompatibile fin dal 2009, che aveva ottenuto per le condizioni di salute il differimento pena, si trova nuovamente reclusa nel carcere di Buoncammino. Lo denuncia Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, avendo appreso che Stefania Malu, cagliaritana, classe 1933, è tornata dietro le sbarre perché le sue condizioni di salute sono risultate discrete a una visita di controllo. La donna, che deve scontare di pena residua di circa 4 anni e 2 mesi con sentenza definitiva della Cassazione del giugno 2008, aveva fatto registrare anche un inizio di demenza senile nel corso di un accertamento diagnostico nel Reparto di Geriatria nell’ospedale Santissima Trinità. “Parlando con i volontari dell’associazione, Stefania Malu, sconcertata, ha manifestato disagio e incredulità per la nuova detenzione e una forte preoccupazione per le condizioni di un figlio di 52 anni non autosufficiente di cui si prendeva cura nella sua casa. È assurdo che una persona di quasi 80 anni - sottolinea Caligaris - possa restare in una struttura detentiva come Buoncammino. Nonostante la disponibilità delle Agenti che prestano servizio e la professionalità dei medici, Stefania Malu, vive la permanenza nell’Istituto con insofferenza”. Il suo difensore, avv. Stefano Piras, ha immediatamente presentato istanza al Tribunale di Sorveglianza di Cagliari per un differimento pena e ha inoltrato domanda di Grazia al Capo dello Stato convinto che le condizioni fisiche della donna, l’età avanzata, la situazione in cui si trova il figlio e la distanza nel tempo del reato commesso possano permettere al Presidente della Repubblica di emanare un atto umanitario. “Il caso della nonnina di Cagliari riporta all’attenzione il grave problema dei detenuti anziani all’interno delle strutture carcerarie. Si tratta per lo più di individui con gravissime patologie dovute principalmente all’età che possono scontare la pena in strutture alternative, come le residenze sanitarie assistite, o ai domiciliari. Ciò ridurrebbe - conclude la presidente di Sdr - il numero dei detenuti nelle carceri e renderebbe meno difficili le condizioni di lavoro degli Agenti di Polizia Penitenziaria e dei Medici. Avellino: recupero dei detenuti, in Irpinia intesa per i lavori di pubblica utilità Il Denaro, 7 giugno 2012 Lavori di pubblica utilità, sottoscritta la convenzione tra il presidente del Tribunale di Avellino Massimo Amodio e il sindaco del capoluogo irpino Giuseppe Galasso. L’importante obiettivo è stato raggiunto nel corso del confronto svoltosi presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia in Piazza d’Armi. Attraverso questo accordo il Comune ogni anno potrà utilizzare cinque persone, condannate a pene di lieve entità per attività di pubblica utilità come la cura e il mantenimento del verde urbano. “Noi ad Avellino - spiega il presidente Amodio - cominciamo con un po’ di ritardo perché è innegabile che il territorio abbia difficoltà ad accettare le novità. Un immobilismo tipico dell’Irpinia che si riflette anche nella gestione di questo strumento”. “Oggi dobbiamo acquisire una nuova consapevolezza - aggiunge Amodio -. Se non si mettono insieme giustizia ed enti locali molte questioni non possono essere risolte”. Nel corso dell’incontro si è discusso del lavoro di pubblica utilità e delle nuove frontiere del sistema sanzionatorio penale, tra superamento del monopolio custodialistico ed affermazione dell’idea rieducativa. “L’applicazione di questo strumento - spiega l’assessore comunale Sergio Barbaro - permette non solo di avviare un percorso di recupero della persona, ma anche un risparmio di spesa e un migliore utilizzo delle persone”. Anche il Gip Giuseppe Riccardi sottolinea che l’intesa diventa un’occasione per una sanzione rieducativa in quanto consente al condannato di fare qualcosa di attivo rispetto ad una pena pecuniaria che è soltanto una sanzione passiva e non può avere alcuno sviluppo risocializzante. “Si tratta - aggiunge Riccardi - di un istituto molto importante e per questo da valorizzare ulteriormente a livello normativo: Il Comune di Avellino è stato sempre disponibile, sin dal momento in cui è stato chiamato in causa. E noi auspichiamo anche la disponibilità degli altri enti”. Bari: imputato con handicap rifiuta di indossare manette, salta udienza processo a clan Adnkronos, 7 giugno 2012 A causa di un detenuto che, per via di una malformazione congenita, si è rifiutato di farsi ammanettare, è saltata stamane a Bari l’udienza del processo di mafia “Libertà”. I giudici della Corte di Assise, presieduta da Clelia Galantino, avrebbero dovuto ascoltare alcuni pentiti. Ma uno degli imputati, L.S., detenuto nel carcere campano di Ariano Irpino, che doveva essere trasferito nel capoluogo pugliese per assistere al processo, non è arrivato in Puglia perché non ha voluto indossare le manette durante il viaggio. Per questo l’udienza è stata annullata. Il suo avvocato, Nicola Quaranta, ha spiegato il motivo del rifiuto: anche in altre occasioni l’imputato non è stato ammanettato a causa di questa malformazione. Stamattina gli agenti della polizia penitenziaria hanno cercato di obbligarlo ma il detenuto si è rifiutato ed è rimasto in carcere. I giudici della Corte di Assise hanno accertato l’effettiva condizione sanitaria di Spano e hanno accolto la richiesta del detenuto, comunicando al dirigente del penitenziario di Ariano Irpino di eseguire il trasferimento senza manette. Ma a quel punto non erano più disponibili mezzi per portare a Bari l’imputato, così i giudici sono stati costretti ad annullare l’udienza. Il processo Libertà nasce dall’inchiesta della pm antimafia della Procura di Bari, Desirè Digeronimo, che il 28 luglio 2010 portò all’arresto di 46 persone, dando il colpo di grazia al clan Strisciuglio. Trentatré imputati sono già stati processati con rito abbreviato e 30 di loro condannati nel marzo scorso a pena comprese tra 3 e 15 anni di carcere per i reati di associazione mafiosa e traffico di droga. Firenze: il Garante; detenuto tenta il suicidio a Sollicciano, è solo uno dei tanti casi Ansa, 7 giugno 2012 La scorsa notte un detenuto nel carcere fiorentino di Sollicciano ha tentato di togliersi la vita. Lo ha rivelato Franco Corleone, garante dei detenuti di Firenze, che oggi ha visitato l’istituto penitenziario insieme al deputato del Pdl, Alfonso Papa, e all’esponente dei Radicali Italiani, Annalisa Chirico. “Oltre alle morti naturali e ai suicidi - ha ricordato Corleone - è grande il numero dei tentati suicidi e dell’autolesionismo che viene praticato giorno dopo giorno”. A Sollicciano nel 2012 ci sono stati due suicidi, il secondo un paio di settimane fa. “Una ‘non’ notizia, non essendo riscontrabile in quei giorni in alcun organo di informazione nazionale”, ha lamentato Papa, che da allora aveva iniziato uno sciopero della fame in segno di protesta, che è stato interrotto oggi. “A Sollicciano - ha detto il parlamentare - c’é una popolazione carceraria superiore del doppio rispetto a quella prevista, e la metà di questa popolazione è composta da persone in attesa di giudizio”. Firenze: Papa (Pdl); stop sciopero fame “ho delega Berlusconi per progetto custodia cautelare” Asca, 7 giugno 2012 Oggi al termine della visita presso il carcere di Sollicciano a Firenze il deputato del PdL Alfonso Papa ha annunciato la fine dello sciopero della fame avviato il 26 maggio scorso. “Ho condotto questa lotta nonviolenta in seguito all’ennesimo suicidio di Stato passato sotto silenzio. Oggi riprenderò a mangiare perché ieri ho ricevuto una delega importante dal Presidente Silvio Berlusconi. La mia proposta di legge sulla custodia cautelare in carcere - continua l’onorevole Papa - ha già raccolto trecento firme di deputati e, cosa più importante, il sostegno decisivo del presidente Berlusconi. Con questi numeri possiamo approvarla entro la fine della legislatura. Se così non sarà, questa campagna contro l’abuso del carcere preventivo diventerà un cavallo di battaglia della prossima campagna elettorale con la partecipazione diretta e attiva del presidente Berlusconi”. Alla domanda dei giornalisti circa il contenuto della pdl l’onorevole Papa ha specificato che, tra le novità più importanti, c’è la limitazione del carcere preventivo ai reati di sangue e a quelli di grave allarme sociale; la fissazione in sei mesi la durata massima della custodia cautelare in carcere; la previsione della separazione degli spazi destinati a detenuti definitivi e non; la presenza obbligatoria del giudice nel corso degli interrogatori in carcere. Quanto al ruolo del presidente Berlusconi in occasione delle prossime elezioni il parlamentare del PdL ha dichiarato: “Se uno ritorna in campo vuol dire che lo ha in precedenza lasciato. Non è il caso di Silvio Berlusconi”. Mantova: internato all’Opg di Castiglione evade… perché vuole tornare in carcere www.varesenews.it, 7 giugno 2012 Jacopo Merani, l’assassino di Dean Catic, è da ieri mattina irreperibile. Il giovane di 22 anni è evaso dall’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere dove era stato destinato nel marzo del 2011, dopo la sentenza del tribunale di Varese che ne aveva deciso la condanna a 20 anni e 6 mesi con il rito abbreviato per l’omicidio di Dean Catic. L’evasione è avvenuta in nottata, il giovane è tuttora irreperibile. Gli ultimi ad averlo sentito, oltre al personale della struttura detentiva ospedaliera, erano stati qualche giorno fa i suoi avvocati, Alberto Zanzi e Fabio Ambrosetti, ai quali aveva comunicato da tempo una certa insofferenza verso l’ospedale psichiatrico per motivi da chiarire. Merani in alcuni colloqui aveva persino detto che piuttosto che restare in quella struttura avrebbe preferito tornare in carcere e non è escluso che la sua fuga sia stata messa in atto anche per questo motivo. “Abbiamo chiesto ovviamente a chiunque possa essere contattato dal ragazzo di dirgli subito di costituirsi”, conferma l’avvocato Ambrosetti. Polizia e carabinieri sono mobilitati per la ricerca. L’omicidio risale al 24 aprile del 2009. Per il delitto del giovane ragazzo di Bobbiate sono stati condannati sia Merani che il suo complice, Andrea Bacchetta. Catturato Jacopo Merani, l’assassino evaso Jacopo Merani, il giovane varesino evaso dall’ospedale psichiatrico giudiziario, è stato arrestato dalla squadra mobile della questura di Varese alla stazione di Bollate intorno alle 19 e 50. L’omicida stava scontando 20 anni e 6 mesi, con una misura detentiva alternativa, per l’omicidio del giovane Dean Catic nel 2009, perché era stato dichiarato socialmente pericoloso per restare in carcere. L’evasione è avvenuta nella notte tra lunedì e martedì dall’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere. Il detenuto ha posizionato dei cuscini sotto le coperte poi è fuggito da una porta di servizio. La squadra mobile aveva messo sotto controllo tutti i telefoni delle persone che avrebbe potuto contattare. Merani ha chiamato alcuni familiari e lasciato tracce del suo peregrinare, che, a quanto pare, è stato articolato. Il ragazzo infatti è andato fino in Liguria, probabilmente per fare un bagno al mare. Dopo la prima meta ha deciso di tornare indietro e si è diretto verso Bollate, dove non è escluso che avesse intenzione di costituirsi. La cittadina lombarda era una meta precisa. Merani aveva comunato ai suoi avvocati, da tempo, che non voleva più restare nell’ospedale di Castiglione delle Stiviere. Aveva chiesto di fare un’istanza proprio per ottenere il ritorno in carcere, ma alla fine ha scelto una scorciatoia che però gli costerà un aggravio di pena. Nel frattempo, il questore di Varese Marcello Cardona aveva disposto una serie di servizi di protezione, in particolare per i familiari di Dean Catic, e per due testimoni del processo. La squadra mobile ha mandato a prelevarlo gli stessi uomini che lo aveVano arrestato nel 2009. Catic era vestito con jeans e maglietta e scarpette bianche. Aveva un cerotto sulla nuca, e la questura aveva diffuso questo particolare insieme all’identikit a tutte le questure italiane. Catanzaro: il tema “Carcere, diritti, rieducazione”, domani al centro di un convegno www.strill.it, 7 giugno 2012 “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. È Dante Alighieri tatuato sul muro ad accogliere i detenuti della Casa Circondariale di Bollate (Milano): il fiore all’occhiello delle patrie galere, oggetto di interesse e imitazione da parte delle amministrazioni carcerarie europee e mondiali, dove i detenuti studiano, lavorano e fanno teatro. Un luogo dove la pena rieduca per davvero. Ma quanto le condizioni di questo carcere possono essere assimilabili a quelle di tutte le altre sparse per l’intero Paese? Forse, anzi, sicuramente poco. A relazionare su “Carcere, diritti, rieducazione” la Camera Penale “A. Cantàfora” di Catanzaro, presieduta dall’Avv. Aldo Casalinuovo, ha chiamato l’avv. Riccardo Polidoro, penalista del Foro di Napoli e Presidente dell’Associazione “Il Carcere possibile Onlus”, e l’avv. Gregorio Viscomi, penalista del Foro di Catanzaro e Vice-Presidente della Camera Penale, nonché delegato CP Catanzaro c/o Osservatorio Carcere Ucpi, venerdì 8 giugno a Catanzaro (h. 15.30 c/o la Casa delle Culture). Il tema dell’incontro diventa sempre più scottante e attuale, pur non trovando l’attesa, quanto promessa, priorità nell’Agenda politica del Governo Monti. L’evento, valido ai fini dell’attribuzione dei crediti formativi, rientra nel fitto programma di appuntamenti previsti dalla mobilitazione nazionale intitolata “Fate presto!”, lanciata dall’Associazione presieduta da Polidoro e ospitata già a Napoli, S. Maria Capua Vetere, Nola, Palermo, Bari. Perché aspettare può significare per un detenuto non fare in tempo a salutare la propria moglie prima della morte; per una madre detenuta non riuscire per mesi a vedere i propri bambini; per un detenuto malato di leucemia bisognoso di chemioterapia non avere più scampo di fronte alla malattia; per un detenuto tossicodipendente depresso morire prima che arrivi l’autorizzazione a scontare la pena in comunità. “Fate presto!” vuol dire che le nostre carceri rischiano, aspettando, di trasformarsi per ignavia in tante silenziose e piccole Guantanamo di casa nostra. Un appello accorato, quello della Camera Penale di Catanzaro e dell’Associazione “Il Carcere possibile” onlus che anche nella Città dei Tre Colli vedrà appeso lo striscione identificativo della mobilitazione, recante la scritta “Fate Presto!” con il numero delle morti in carcere. Un modo per scuotere le coscienze, avendo come obiettivo finale non quello di punire, ma quello di rieducare, per restituire alla società, dopo la pena, un cittadino migliore. Larino (Cb): sceneggiatori, attori, registi… così ripartono le vite dei detenuti www.primonumero.it, 7 giugno 2012 Un corso di formazione in scrittura cinematografica e regia è quanto proposto dal Ctp, Ticonzero editing e Occhio Magico, agli allievi della casa circondariale di Larino. Ieri la presentazione del cortometraggio On/Off di cui i detenuti sono sceneggiatori, attori e registi. Ripartire dal sud si può. Ricominciare a vivere dopo il carcere è una possibilità concreta. Soprattutto se il carcere è la casa circondariale di Larino e le attività promosse al suo interno sono quelle del Ctp, scuola secondaria I^ grado O. Bernacchia. La lungimiranza della direttrice dell’istituto Rosa La Ginestra e le proposte fatte dai docenti, dalla responsabile del Ctp, Fernanda Pugliese e la prof.ssa Rosella Schiavone, hanno fatto sì che quest’anno per gli alunni detenuti venissero avviati un corso di canto, un corso di pittura su stoffa e un corso di scrittura cinematografica e tecniche di regia per cortometraggio. Il progetto dal titolo “On/off” ha coinvolto una trentina di studenti e si è articolato nell’arco di un mese. “Siamo entrati subito in sintonia con i ragazzi - spiegano Simone D’Angelo e Valentina Fauzia docenti del corso di cortometraggio e cinematografia - e abbiamo studiato un percorso da costruire insieme a loro”. In primo luogo i detenuti sono stati invitati a riflettere e scrivere i loro pensieri riguardo a cinque parole chiave individuate dai docenti: lavoro, famiglia, violenza, paura e sorrisi. Queste parole e pensieri scritti o espressi dai detenuti e scritti dai docenti, nel caso di persone non in grado di leggere e scrivere, sono diventati i capitoli di una sceneggiatura che è stata elaborata e adattata da un gruppo di detenuti guidati dalla giornalista Valentina Fauzia responsabile dell’agenzia Ticonzero Editing. Un secondo gruppo di detenuti ha invece concentrato maggiormente le proprie energie nell’apprendimento delle tecniche di regia e di cortometraggio al seguito del video operatore Simone D’Angelo dello studio Occhio Magico. Lo stesso ha poi curato il montaggio del cortometraggio. Il percorso, oltre ad essere stato formativo a livello professionale, ha permesso ai detenuti di esprimersi attraverso i mezzi della scrittura, della recitazione e della videoripresa. Ieri, 6 giugno 2012, nel corso di un incontro durante il quale sono stati presentati i lavori di fine anno scolastico e i detenuti si sono esibiti anche in un concerto di musica napoletana guidati dalla soprano Antonella Pelilli e il maestro Ottavio D’Eugenio, è stato proiettato in prima visione il cortometraggio “On/Off”. Le immagini sono state accolte con emozione ed applausi dal pubblico presente in sala tra cui il dirigente scolastico della scuola Bernacchia Giuseppe Colombo, la direttrice del carcere Rosa La Ginestra, il presidente Lions Club Tifernus di Termoli Enzo Fauzia, il presidente Lions Club di Larino Pasquale Gioia e tutto il corpo docenti del Ctp. “Sono proprio momenti come questo - ha detto la direttrice La Ginestra - che ci fanno comprendere l’importanza e la bellezza di lavorare in luoghi come questo e con persone come queste”. La direttrice ha poi voluto sottolineare come iniziative simili facciano onore al sud, una parte dell’Italia spesso denigrata e come invece siano proposte concrete e fattive per il reinserimento dei detenuti nella società. “Spesso sentiamo dire che il comparto della cinematografia è in via di sviluppo - ha detto La Ginestra - e possiamo formare i nostri ospiti per prepararli al mondo del lavoro in questo settore”. Rosa La Ginestra ha poi accolto la proposta dei detenuti di offrire la loro manodopera per la ricostruzione delle zone terremotate in Emilia così come suggerito del Ministro della Giustizia Paola Severino. “Tutti i lavori presentati oggi - ha detto il dirigente scolastico Colombo - dalla pittura al canto e per finire il corto realizzato dai detenuti - sono accomunati dalla grande volontà di comunicare. Un plauso va fatto a chi ha realizzato il cortometraggio perché il rischio di cadere nella retorica era molto alto e invece è stato fatto un lavoro di cesellatura con il risultato che da questo lavoro traggono benefici il Ctp, la casa circondariale e i detenuti stessi, è un lavoro svolto con molto garbo”. Gli stessi ospiti della casa circondariale hanno voluto ringraziare la direttrice La Ginestra, tutti i docenti e ai curatori del progetto ‘On/Off’ hanno detto “Grazie per averci reso attori e protagonisti di noi stessi”. Presto il cortometraggio On/Off sarà on line. Libri: “Siamo noi, siamo in tanti”; i racconti dal carcere del Premio Goliarda Sapienza Adnkronos, 7 giugno 2012 Arriva nelle librerie “Siamo noi, siamo in tanti” (Rai Eri, 336 pagine, 10 euro), antologia curata da Antonella Bolelli Ferrera, che raccoglie gli esiti del Premio letterario Goliarda Sapienza, “Racconti dal carcere”, promosso da Siae, Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Associazione InVerso e Rai: 20 racconti verità scritti da altrettanti detenuti finalisti del premio, ciascuno introdotto da uno scritto di un tutor famoso. Le prefazioni ai racconti sono infatti firmate da Giancarlo De Cataldo, Erri De Luca, Federico Moccia, Barbara Alberti, Francesco Pannofino, Massimo Lugli, Roberto Cotroneo, Marco Franzelli, Valerio Evangelisti, Tiberio Timperi, Margherita Hack, Carlo Conti, Luca Crovi, Giorgio Gosetti, Franco Di Mare, Franco Matteucci, Giordano Bruno Guerri, Roberto Giacobbo, Michele Mirabella e Corrado Augias, in una sorta di antologia nell’antologia. “Sono vicende di sgomento e di rabbia, di sofferenza e di rassegnazione, anche di ritrovata chiarezza. Uomini e donne di diversa età, di diversa provenienza, che scontano condanne , alcune per l’intera vita, raccontano le ragioni e i casi che li hanno portati al crimine e alla condanna, denunciano la condizione carceraria spesso disumana”, scrive in quarta di copertina Elio Pecora, scrittore, poeta e saggista. I proventi del libro andranno ad esclusivo beneficio di iniziative di iniziative per la divulgazione della lettura e della scrittura nelle carceri italiane. Immigrazione: Desi Bruno; riapre lo sportello informativo al Cie di Bologna La Garante regionale delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, e il Difensore civico della Emilia-Romagna, Daniele Lugli, riaprono lo sportello informativo al Cie di Bologna. In seguito all’accordo raggiunto tra Prefettura di Bologna, Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Difensore civico per la Regione Emilia-Romagna, e Daniele Giovanardi, presidente della Confraternita di Misericordia di Modena, riprende l’attività di informazione alle donne e agli uomini trattenuti all’interno del Centro di identificazione ed espulsione di via Mattei. Attualmente il centro è diretto da Anna Lombardo, che dirige anche il Cie di Modena. Nel primo quadrimestre del 2012 si sono registrati al Cie di Bologna 280 ingressi (200 uomini e 80 donne); usciti 276 (197 uomini e 79 donne) di cui 175 per espulsione. Le principali nazionalità rappresentate sono la Tunisia con 117 ingressi, la Nigeria con 35, il Marocco con 31, l’Algeria (20) e l’Albania (17). Viene così ripresa un’esperienza che era stata promossa dall’Ufficio del Garante del Comune di Bologna negli anni tra il 2008 e il 2010, interrotta dal Comune quando intervenne il commissariamento del governo locale. Lo sportello, che aveva già dato ottimi risultati sul piano dell’informazione e dell’attenuazione delle situazioni di conflitto all’interno del Centro, riprende a svolgere attività in collaborazione con il progetto sociale della Misericordia, coordinato dal dottor Franco Pilati. La riapertura dello sportello informativo va nel senso indicato anche dagli organismi internazionali, che definiscono necessaria la presenza di adeguati strumenti informativi per le persone trattenute nei Centri, al fine di consentire l’esercizio dei diritti connessi alla posizione di persone destinatarie di provvedimenti di espulsione. La nuova iniziativa si colloca in un momento ancora più difficile per le condizioni di vita dei migranti trattenuti, in quanto, come è noto, è prossimo l’avvicendarsi nella gestione del Cie del consorzio Oasi, che ha vinto l’appalto abbassando la previsione di spesa per ogni persona trattenuta a 28 euro; ciò pone seri dubbi sulla possibilità di garantire standard minimi di cura e di assistenza con metà delle risorse sino ad oggi utilizzate. La questione è già stata posta all’attenzione del ministro Cancellieri (Interni) dalla Garante Desi Bruno e dall’assessore regionale alle Politiche sociali, Teresa Marzocchi. Lo sportello si inserisce così in un quadro di difficoltà che, se non superate, potrebbero portare a peggiorare la condizione complessiva delle trattenute e dei trattenuti ma anche degli operatori tutti che all’interno del Cie spendono il proprio lavoro. È prevista l’apertura di analogo sportello presso il Cie di Modena. Cina: ritrovato impiccato uno dei leader di piazza Tiananmen, la famiglia accusa la polizia www.asianews.it, 7 giugno 2012 La famiglia e gli amici di Li Wangyang, sindacalista di primo corso e leader delle proteste democratiche del 1989, puntano il dito contro la polizia che parla di “suicidio”. L’uomo ha passato 21 anni in carcere, e lo scorso mese aveva dichiarato: “Non metterò mai da parte il mio desiderio di democrazia e di uno stato di diritto in Cina”. In galera aveva subito in maniera sistematica le torture della polizia. Un attivista democratico dell’Hunan, che ha passato 21 anni in galera per il suo coinvolgimento nei moti di piazza Tiananmen e per il suo impegno a favore dei diritti dei lavoratori cinesi, è stato trovato morto ieri mattina in circostanze misteriose in un ospedale di Shaoyang. La famiglia, gli amici e i dissidenti colleghi di Li Wangyang (62 anni) rifiutano di credere alle dichiarazioni della polizia secondo cui l’uomo si sarebbe impiccato. Secondo le testimonianze dei suoi cari, Li - che è stato torturato in galera e per questo era divenuto cieco e quasi immobile - “era animato da spirito combattivo e voleva che le autorità rivedessero il giudizio ufficiale sul movimento del 1989”. Pechino ha sempre definito quelle manifestazioni “un’insurrezione controrivoluzionaria”. A causa dell’anniversario del massacro, che cade il 4 giugno, il governo aveva imposto a Li una scorta 24 ore al giorno. Zhu Chengzi, attivista e amico di Li sin dai tempi delle scuole, lo ha incontrato l’ultima volta proprio il 4 giugno: “Abbiamo parlato un poco, anche se non stava bene di salute. Doveva essere ricoverato ma era ottimista. Non penso che sia un suicidio perché lui era quel tipo d’uomo che non si ucciderebbe mai, nemmeno con un coltello puntato al collo”. In un’intervista rilasciata lo scorso mese alla Cable Tv di Hong Kong, l’attivista aveva dichiarato di non voler abbandonare la sua lotta per la democrazia e lo stato di diritto in Cina. Ora la famiglia si prepara a lottare contro le autorità per avere verità e giustizia dopo la sua morte. Una fonte anonima dichiara: “Chiediamo un’autopsia fatta bene: non sappiamo neanche quando è morto, e non sappiamo se sia stato un suicidio o un omicidio”. Gli agenti hanno impedito ai congiunti di fotografare il corpo di Li e li hanno portati via dall’ospedale con la forza. Li, sindacalista sin dai primi anni ‘80 del secolo scorso, ha passato 13 anni in carcere con l’accusa di essere un “controrivoluzionario” per aver guidato una federazione indipendente di lavoratori a Shaoyang durante le manifestazioni del 1989. Dopo il suo rilascio, avvenuto nel 2000 per motivi medici, è stato condannato ad altri 10 anni per “sovversione”: prima di morire, era considerato uno dei prigionieri politici collegati a Tiananmen più colpiti dalla repressione del governo. In questo periodo di prigionia, come confermano diversi testimoni, è stato torturato in maniera sistematica. Nonostante le varie dichiarazioni contro questo fenomeno, il governo comunista non ha mai pensato in maniera seria di eliminare gli abusi contro i prigionieri: le torture si scatenano in modo particolare contro i detenuti politici e quelli legati al mondo delle religioni. Nel marzo del 2006 Manfred Nowak, investigatore capo dell’Agenzia Onu sulle torture, ha compiuto una rara visita all’interno di alcune carceri cinesi. Pur avendo evitato le province più a rischio, come il Xinjiang, il funzionario scrisse un rapporto per denunciare “l’uso della tortura diffuso in tutte le carceri della Cina”