Giustizia: Camera; slitta ancora l’esame del progetto di legge sulle detenute madri Asca, 12 febbraio 2011 Sul filo di lana, dopo la conclusione dell’iter referente in Commissione Giustizia e il nulla osta della Affari Costituzionali è stato chiesto un rinvio della già programmata discussione in aula del nuovo testo unificato 2011 contenente disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori. In Commissione Bilancio il relatore Giuseppe Marinello (Pdl) ha infatti sottolineato che non è stata ancora acquisita la relazione tecnica chiesta dalla Commissione al Governo nel dicembre scorso. Nella conseguente impossibilità di approfondimento dei costi e dei criteri di copertura delle nuove norme (a cominciare dalla prevista istituzione delle case-famiglia protette per evitare la detenzione del minore in carcere insieme alla madre) il relatore ha annunciato che doveva proporre la soppressione degli articoli 1, 3 e 4 del nuovo testo. Il Sottosegretario Luigi Casero ha confermato in Commissione Bilancio che al momento il Ministero della Giustizia non ha predisposto la relazione tecnica. Marilena Samperi del Pd ha ricordato l’ampio esame svolto in Commissione Giustizia con significative convergenze tra i gruppi e la promessa di rapida messa a punto della relazione data in quella sede dal Sottosegretario Caliendo. Ha, quindi, chiesto di prendere tempo per attendere la relazione tecnica. La richiesta di slittamento della discussione in aula, già prevista a partire dal 21 febbraio, è stata condivisa dal relatore Marinello. Giustizia: Favi (Pd); piano carceri; denuncia della Cgil dev’essere momento di riflessione Ansa, 12 febbraio 2011 La denuncia della Cgil non va schernita ma anzi deve essere un momento di riflessione. Il fallimento delle politiche penitenziarie del governo Berlusconi e del ministro Alfano sono sotto gli occhi di tutti, dice Sandro Favi, responsabile Carceri del Pd. Le critiche spesso aspre, che giungono da tutte le rappresentanze dei lavoratori sulla mancanza di interventi normativi e di sistema, per affrontare e risolvere realmente la drammatica situazione penitenziaria italiana, nonché le denunce delle associazioni di volontariato, laiche e cattoliche, sono la testimonianza della assoluta incapacità dimostrata fino ad oggi dai vertici governativi. Ancora non abbiamo chiari i contenuti e i tempi di realizzazione del cosiddetto Piano Carceri, che non potrà mai decollare senza un forte investimento a favore delle misure alternative alla detenzione e all’assunzione di tutto quel personale necessario a garantire la funzionalità degli istituti penitenziari italiani. Vitali (Pdl): testo Alfano massimo della sintesi possibile Il provvedimento cosiddetto svuota-carceri, che il ministro Alfano aveva pensato in maniera più ampia di quello poi alla fine approvato, è il massimo sforzo di sintesi fatto dal Parlamento. Lo ha detto Luigi Vitali, responsabile dell’ordinamento penitenziario del Pdl. Replicando alla presa di posizione di Cgil-Fp, a parte la considerazione che piuttosto che niente è stato meglio quel provvedimento, se una critica va fatta, è da rivolgersi al Parlamento all’interno del quale peraltro ognuno si è assunto le proprie responsabilità, e giammai al Ministro Alfano che ben conosce le problematiche carcerarie e che da ben altri intenti era animato. Per amore della verità devo aggiungere - ha detto ancora Vitali, che personalmente anch’io avrei preferito un provvedimento più ampio, ma mi sono dovuto arrendere perché, con i colleghi che la pensavano come me, rischiavamo di non adottare nemmeno il provvedimento minimale che poi è stato votato. Germanà (Pdl): ottimo piano del ministro Alfano “Il ministro Alfano si è sempre impegnato nella battaglia per restituire dignità ai detenuti, coerentemente alla posizione del premier che ha sempre definito obiettivo prioritario quello di trovare una soluzione all’emergenza carceri, una vera piaga sociale. La Cgil, prima di scagliarsi contro il ministro Alfano, accusandolo di disinteresse e inattività, deve innanzitutto considerare che, in passato, il problema del sovraffollamento veniva risolto con amnistie e condoni, mentre adesso, il Guardasigilli con il suo ‘pianò si sta impegnando a dare una soluzione duratura nel tempo, evitando soluzioni-tampone frutto di programmazioni improvvisate”. Così, in una nota, il deputato del Pdl Nino Germanà. Marinello (Pdl): Cgil sempre più braccio armato del Pd “Non poteva mancare l’attacco da parte della Cgil, sempre più braccio armato del Pd, al ministro Alfano”. Lo ha detto Giuseppe Marinello, deputato del Pdl e vice presidente della commissione Bilancio della Camera. “Le loro affermazioni non ci meravigliano in quanto la loro visione in materia di giustizia e di carceri è all’opposto dalla nostra: noi non intendiamo svuotare le carceri con indulti, amnistie o altri magheggi perché pensiamo che la pena debba avere una funzione rieducativa che permetta al condannato, per noi uomo e non numero, il completo reinserimento nella società. Siamo stufi, veramente stufi di questi attacchi della Cgil contro le politiche del Governo e contro il ministro Alfano”, dice ancora Marinello. “Il Ministro Alfano si è sempre impegnato nella battaglia per restituire dignità ai detenuti, coerentemente alla posizione del premier che ha sempre definito obiettivo “prioritario” quello di trovare una soluzione all’emergenza carceri, una vera piaga sociale. La Cgil, prima di scagliarsi contro il Ministro Alfano, accusandolo di disinteresse e inattività, deve innanzitutto considerare che, in passato, il problema del sovraffollamento veniva risolto con amnistie e condoni, mentre adesso, il Guardasigilli con il suo “Piano” si sta impegnando a dare una soluzione duratura nel tempo, evitando soluzioni-tampone frutto di programmazioni improvvisate”. Sicilia: i guasti delle carceri nella relazione del Garante regionale dei detenuti La Sicilia, 12 febbraio 2011 Si terrà a Catania, il prossimo venerdì 18, l’annuale conferenza stampa regionale del Garante per la tutela dei diritti fondamentale dei detenuti e per il loro reinserimento sociale, carica rivestita, com’è noto, dal senatore Salvo Fleres. Durante l’incontro, il Garante illustrerà una sintesi dell’attività svolta nel corso del 2010, un lavoro spesso di denuncia, concentrato in larga parte sulle disfunzioni e i guasti del “sistema carcere” e che non risparmia ovviamente la casa circondariale di piazza Lanza, dove i detenuti continuano ad essere ammassati (anche con materassi di fortuna riposti sul pavimento) in celle anguste e malsane, a contatto con topi e insetti, languendo al freddo di inverno e al caldo soffocante d’estate. Tra temi che il senatore Fleres tratterà sono inclusi: i suicidi (a Catania se ne sono registrati due, a Siracusa 4, un altro a Giarre e uno a Caltanissetta); gli atti di autolesionismo; la situazione sanitaria (che rimane in emergenza e addirittura fuori legge, essendo la Sicilia l’unica regione italiana a non avere rispettato il decreto che assoggetta i detenuti alle cure della sanità regionale); le malattie infettive, le aggressioni agli agenti di polizia penitenziaria e le problematiche dei reparti femminili. Pavia: detenuto di 38 anni si uccide asfissiandosi con il gas, salgono a 7 i suicidi da inizio anno Ristretti Orizzonti, 12 febbraio 2011 L’uomo non era tossicodipendente, sembra esclusa l’ipotesi che sia morto per un “incidente” occorso nel tentativo di “sballarsi” con il gas butano. Da inizio anno salgono a 7 i suicidi in carcere e a 13 il totale dei detenuti morti. Jon R. aveva 38 anni, era di origini romene. Ha aspettato che i compagni di cella uscissero per l’ora di socializzazione. Una volta rimasto solo con le sue angosce ha messo in pratica il suo proposito disperato, che forse covava da tempo. Ha inalato il gas della bomboletta che viene data ai detenuti per cucinare e si è infilato un sacchetto di plastica in testa, per aumentarne gli effetti. Il giovane detenuto, un romeno di 38 anni, è morto in pochi minuti. I compagni di cella, al ritorno, lo hanno trovato steso per terra, vicino alla branda. Ormai senza vita. I medici del 118, subito allertati, hanno fatto il possibile per salvarlo, ma per il ragazzo non c’è stato niente da fare. Inutile il trasporto in ospedale. Era arrivato nel carcere di “Torre del Gallo” un mese fa, proveniente da un altro istituto penitenziario. Era recluso nel reparto “protetti”, riservato a chi deve scontare pene per reati ritenuti “infamanti” dagli altri carcerati. Infatti l’uomo era in carcere per violenza sessuale. Non si conoscono i motivi del gesto, ma pare che da giorni fosse in uno stato di prostrazione dovuto proprio alle accuse per cui era detenuto, ma i compagni e gli agenti di polizia penitenziaria non immaginavano che sarebbe arrivato a un gesto così estremo. Sulla vicenda è stata aperta un’inchiesta. I vertici del carcere hanno avvisato il magistrato di turno in Procura, che si è recato sul posto per valutare il caso. “Non siamo ancora in grado di dire niente, gli accertamenti sono in corso”, si limita a dire il direttore del carcere, Jolanda Vitale. Mentre il provveditore regionale agli istituti penitenziari, Luigi Pagano, spiega: “Il detenuto è rimasto solo per un breve momento, mentre gli altri compagni stavano tornando dall’ora di socializzazione. Il fatto è che basta inalare il gas per pochi minuti perché questo abbia effetti letali. La crisi respiratoria che ne deriva diventa irreversibile”. Il provveditore alle carceri della Lombardia, Luigi Pagano, in attesa che l’inchiesta della procura faccia luce sull’ennesimo caso di suicidio in cella, interviene sulla disponibilità delle bombolette da parte dei detenuti: “Sarà necessario in futuro fissare altre regole, bisogna ripensare all’utilizzo di queste apparecchiature. In realtà il sistema è già regolamentato dalla legge, ma nell’uso concreto delle bombolette molte cose sfuggono al controllo. I detenuti possono usarle per cucinare, e non sempre è possibile prevedere ogni loro gesto. Comunque seguirò personalmente la vicenda”. L’inchiesta aperta dalla procura è un atto dovuto. Al momento non si ipotizzano ipotesi diverse da quelle del suicidio. Nel carcere di Pavia sono avvenute altre 5 morti negli ultimi 9 anni Il 5 settembre 2009 Sami Ben Gargi, tunisino di 41 anni, si lascia morire, privandosi volontariamente di cibo e di acqua, perché non accetta la condanna che gli era stata inflitta. E che vive come una vergogna. L’1 agosto 2007 il 27enne Tomas Libiati viene trovato morto in cella. La visita del medico legale stabilisce che il decesso è avvenuto per “cause naturali”, escludendo l’ipotesi del suicidio, ma la giovane età del detenuto lascia dei dubbi sulla dinamica dell’accaduto. Il 3 gennaio 2006 Ennio Bertoglio, 57 anni, viene ucciso dal compagno di cella, perché sospettato di pedofilia. "L’ho colpito con la caffettiera perché non sopportavo di dividere la cella con un uomo responsabile di abusi sui minori. Tra detenuti esiste un codice d’onore che va rispettato", ha dichiarato l’omicida ai magistrati incaricati delle indagini. Il 19 luglio 2002, G.S., 36 anni, originario di Como, muore inalando il gas. Il corpo senza vita viene trovato verso le 20. L’ipotesi nettamente prevalente è quella del suicidio, anche se non si può escludere che l’uomo abbia voluto inalare il gas solo per stordirsi, in un momento particolarmente negativo, e sia stato stroncato dall’eccessiva quantità respirata. Il 27 giugno 2002 Miguel Bosco, detenuto per il furto di uno scooter, si chiude nel bagno della cella e si toglie la vita inalando il gas sprigionato da una bomboletta. Aveva 30 anni. Per il caso del giovane rom il ministero della Giustizia è stato chiamato in causa dalla famiglia e, sette anni più tardi, è stato condannato a risarcirla per mancata sorveglianza: 140mila euro, destinati alla madre per la perdita di un figlio. Velletri (Rm): detenuto vede agenti che rubano, loro lo pestano per farlo tacere Il Messaggero, 12 febbraio 2011 Lesioni, peculato e violenza privata nei confronti di un detenuto pakistano. L’indagine, iniziata nel 2009, ha portato all’arresto di cinque agenti di polizia penitenziaria in servizio alla Casa circondariale di Velletri. Secondo la ricostruzione dell’accusa, il detenuto aveva notato che i cinque agenti sottraevano regolarmente materiale di vario genere dal carcere e addirittura rubavano generi alimentari destinati ai detenuti. Così aveva deciso di annotare su un diario tutti gli ammanchi per poi segnalare il caso al giudice di sorveglianza. Ma probabilmente è stato “scoperto” dai cinque i quali, per tutta risposta, lo hanno picchiato per ritorsione. Una vicenda al limite dell’incredibile che ha visto il coinvolgimento del garante dei detenuti del Lazio. L’inchiesta della Procura di Velletri è stata coordinata dal procuratore capo Silverio Piro che ha chiesto e ottenuto l’ordinanza di custodia cautelare dal gip Ilari. Per tre agenti sono scattati gli arresti domiciliari, mentre per altri due è stato invece disposto l’obbligo di dimora. Tre agenti sono originari della zona dei Castelli Romani, mentre gli altri due sono pontini: uno di Cisterna e l’altro di Scauri. Entrambi sono difesi dall’avvocato Pasquale Cardillo Cupo. Nei prossimi giorni si terranno gli interrogatori di garanzia. Brindisi: il Tribunale dispone la chiusura di sette celle di sicurezza, sono inadeguate Gazzetta del Sud, 12 febbraio 2011 Il Tribunale del Riesame di Brindisi ha disposto la chiusura senza facoltà d’uso, perché inadeguate, delle sette celle di sicurezza ad alta sorveglianza presenti nel carcere di Brindisi. Ne dà notizia in una nota il vice segretario generale nazionale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria, Domenico Mastrulli. I giudici hanno accolto un ricorso presentato dal sostituto procuratore del Tribunale di Brindisi Raffaele Casto, dopo che il gip dello stesso tribunale aveva rigettato la richiesta di sequestro. I detenuti che erano reclusi in quelle celle, destinate a coloro che si ritiene possano compiere atti di autolesionismo, sono stati già trasferiti in altre carceri. La Procura della Repubblica di Brindisi aveva chiesto la chiusura delle sette camere di sicurezza sulla scorta dei risultati delle indagini sul suicidio di un detenuto extracomunitario, avvenuto il 6 agosto scorso proprio in una di quelle celle. Le camere di sicurezza sarebbero inadeguate perché non consentono dall’esterno, attraverso lo spioncino, di vigilare sull’intera cella, così come prevedono le norme carcerarie. Da diverso tempo, secondo quanto accertato dalla Procura, la direzione del carcere di Brindisi aveva segnalato agli organi competenti del ministero della Giustizia l’inadeguatezza di quelle celle, ma non c’era stato nessun intervento. Il 6 agosto dello scorso anno un detenuto extracomunitario, recluso in una camera di sicurezza e che già aveva tentato il suicidio, accese una sigaretta fingendo di fumarla ma in realtà entrò nel bagno della cella, non visibile dall’esterno, e si impiccò. Quando l’agente di custodia si insospettì e decise di entrare nella cella con un collega per un controllo, era ormai troppo tardi. Nell’inchiesta aperta sull’episodio dalla Procura di Brindisi si ipotizza il reato di istigazione al suicidio a carico di ignoti. Nella nota l’Osapp sottolinea di aver segnalato da tempo “l’inopportunità del sovraffollamento dei reparti detentivi e una situazione di criticità per quanto concerne igiene e salubrità dei locali”. Il sindacato ricorda che nelle sette carceri pugliesi ci sono 4.500 detenuti a fronte di 2.800 posti, che ci sarebbe bisogno di 1.000 unità in più nell’organico di polizia penitenziaria oltre che di stanziamenti per ammodernare le strutture carcerarie. Gela (Ct): un carcere progettato nel 1959, finanziato nel 1978… e ancora in costruzione di Stefano Anastasia www.linkontro.info, 12 febbraio 2011 È una perversione tipica del penitenziario scambiare le cose con le persone. Del resto l’infantilizzazione del detenuto non è altro che una tappa della sua trasformazione in cosa: gli si leva la voce (questo vuol dire essere un infante), se ne disconoscono i sentimenti e la sensibilità, et voilà, il gioco è fatto: il detenuto è diventato un pacco, pronto a essere stipato, spedito e custodito come possibile, bene mobile in un bene immobile, il carcere. Ecco perché parlare come capita, anche ossessivamente, degli istituti di pena, piuttosto che dei detenuti, è come parlare delle persone che vi sono recluse, nella stessa relazione che lega le sardine alla loro scatola. È della scorsa settimana la clamorosa notizia della prossima apertura del “nuovo” carcere di Gela, in provincia di Caltanisetta, che “potrebbe attenuare il sovraffollamento esistente negli altri istituti penitenziari della provincia”, scrive La Sicilia (2 febbraio 2011), “poiché è in grado di accogliere almeno dai trenta ai cinquanta detenuti”. Perbacco! Purtroppo, però, le cronache ci informano che la struttura “ancor prima di essere attivata ha bisogno di nuovi interventi di manutenzione”: “l’apertura del nuovo istituto penitenziario è annunziata quanto prima (era stato pure indicato il mese, che è quello di febbraio, che è già in corso), ma l’attuale stato dei lavori sembra rendere impossibile il mantenimento di questa data, per cui i dirigenti del ministero sembrano costretti a rinviare ulteriormente l’attivazione della struttura”, che pure ha un altro problema, e non da poco: la mancanza di personale. Peccato! “Ma qualche piccola disfunzione non intralcerà il fulgido corso della via edilizia alla politica penitenziaria” ci potrebbero dire dal Ministero della giustizia, se non fosse che il carcere di Gela è il più clamoroso esempio dell’inanità dei piani carcere di ogni tempo e ogni stagione. Prima dell’ultimo disguido, l’ultima “consegna” è del giugno 2008 (già Ministro l’on. Alfano), ma ce ne era stata un’altra nel novembre 2007 (allora Ministro l’on. Mastella). Del resto l’Istituto era stato finanziato nel 1978: trent’anni prima! E progettato nel 1959: venti anni prima del suo finanziamento. In totale, ad oggi, fanno 52 anni e il carcere non è pronto e manca ancora il personale. Al carcere di Gela la Salerno-Reggio Calabria gli fa un baffo! Pavia: detenuto tunisino morì per sciopero della fame, il giudice archivia il caso La Provincia Pavese, 12 febbraio 2011 Era morto in carcere, a Torre del Gallo, dopo 45 giorni di sciopero della fame. In tre, per quella vicenda, finirono sotto inchiesta. Ora il caso è chiuso. Il giudice ha archiviato il procedimento: non sarebbero emerse responsabilità da parte dei medici che visitarono il detenuto né dei vertici della casa circondariale di Pavia. “Il carcere dovrebbe prendersi cura dei detenuti”, secondo l’avvocato che si è opposto fino alla fine all’ipotesi dell’archiviazione. “Ma anche un detenuto è libero di fare la sua scelta”, secondo il legale Alessandra Stefano, avvocato di uno degli indagati. Su questo nodo etico, oltre che giuridico, si è svolta la battaglia legale sul caso di Sami Mbarka, il detenuto tunisino morto a settembre del 2009 dopo uno sciopero della fame di 45 giorni, ingaggiato per protestare contro una condanna ritenuta ingiusta. Alla fine il giudice Erminio Rizzi, chiamato a pronunciarsi sull’opposizione alla richiesta di archiviazione, ha deciso per l’assenza di responsabilità in quella vicenda. L’avvocato che rappresentava gli interessi dei parenti del tunisino aveva insistito per una perizia psichiatrica, da fare sulla base dell’esame del periodo in cui lo sciopero della fame era stato attuato. Per il giudice, tuttavia, le indagini sarebbero state “più che esaustive”. Da queste non sarebbero emerse colpe a carico del direttore del carcere, del medico responsabile della struttura e dello psichiatra che visitò il tunisino pochi giorni prima della morte. Lo sciopero della fame del detenuto era cominciato a luglio del 2009. Alla fine di agosto il direttore sanitario del carcere aveva avvisato il magistrato di sorveglianza, perché le condizioni del tunisino erano molto peggiorate. Il 2 settembre il detenuto era così stato portato in ospedale d’urgenza. Qui aveva però rifiutato le cure e per questo era stato visitato dallo psichiatra, che lo aveva ritenuto capace di intendere e di volere. Il 5 settembre era morto. Televisione: domani “Presadiretta” (Rai 3) compie un viaggio nelle carceri italiane Adnkronos, 12 febbraio 2011 Nella puntata di “Presadiretta”, il programma condotto da Riccardo Iacona, in onda domani, alle 21.30 su Rai3, sarà proposto il reportage dal titolo “Le mie prigioni”, un’inchiesta che vuole entrare cuore e nel nodo dei problemi del nostro sistema penitenziario. Perché le carceri italiane sono così sovraffollate? Come mai il problema non è mai stato risolto? Cosa si potrebbe fare per evitare i troppi suicidi tra i carcerati? È veramente necessario costruire decine di nuove carceri? Riccardo Iacona è andato a Poggioreale, il carcere di Napoli, che è simbolo dei molti mali che affliggono gli istituti penitenziari e dà la misura di quanto grave sia la situazione. I detenuti sono ammassati in celle anguste, condannati all’inattività per la totale mancanza di progetti di riabilitazione e rieducazione. Tra gli altri, Presadiretta incontrerà Gaetano Di Vaio, un ex detenuto che ha realizzato un documentario che racconta l’inferno dietro le sbarre. Nella puntata anche la ricostruzione delle storie di chi non ce l’ha fatta a sopportare e si è tolto la vita. E ancora, si mostrerà, invece, come i dettami della Costituzione siano stati presi alla lettera da chi lavora nel carcere di Bollate dove la pena è un tutt’uno con la rieducazione. Anche Angelino Alfano, il ministro della giustizia, ha affermato che: “Le carceri italiane sono fuori dalla costituzione”. L’articolo 27 della carta costituzionale infatti recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Un racconto di Riccardo Iacona, Francesca Barzini, Vincenzo Guerrizio, Raffaella Pusceddu, con la collaborazione di Antonella Bottini. Immigrazione: Maroni; rischio di una emergenza umanitaria nel Maghreb Ansa, 12 febbraio 2011 La fuga di cittadini dalla Tunisia ha alzato l'allarme terrorismo per il rischio di infiltrazioni tra i migranti, ha detto il ministro dell'Interno Roberto Maroni. ''Ci sono cittadini in cerca di protezione - ha detto riferendosi a quanti abbandonano la Tunisia, ci sono criminali evasi dalle carceri e personaggi infiltrati da organizzazioni terroristiche come Al Queda nel Maghreb Islam''. Secondo Maroni si tratta di ''una organizzazione che cerca di infiltrare agenti in Europa; l'attenzione e' massima e l'abbiamo allertata''. "C'è il rischio di una vera e propria emergenza umanitaria", ha aggiunto ancora il ministro riferendosi alla fuga di persone dall'area di crisi maghrebina. "La grave crisi del Maghreb - ha detto Maroni - in particolare dalla Tunisia e dall'Egitto sta portando ad una fuga di massa verso l'Italia". "Stanno arrivando - ha aggiunto - centinaia di persone sulle coste italiane e stiamo mettendo in campo tutte le forze per fronteggiare una vera e propria crisi umanitaria". Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha inviato una lettera alla Presidenza di turno del Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea per far "inserire tra gli argomenti all'ordine del giorno del prossimo Consiglio Giustizia affari interni il tema della crisi nei paesi del Nord Africa e i riflessi sull'immigrazione e sulla sicurezza interna in Europa". Condorelli (Ugl): a Lampedusa e' allarme sociale Il leader dell'Ugl in Sicilia Giovanni Condorelli, denuncia la gravità della situazione oramai degenerata, con degli sbarchi incontrollati dei migranti in fuga dalla Tunisia. "A Lampedusa la situazione è insostenibile, occorre un piano straordinario d'intervento, siamo seriamente preoccupati, continuano ad arrivare clandestini, fra i quali potrebbero anche esserci criminali in fuga dalle carceri tunisine e terroristi, oltre che comuni cittadini in cerca di protezione, ci aspettiamo dal Consiglio straordinario dei ministri di oggi fatti concreti, in Sicilia oramai è allarme sociale, in Tunisia i porti sono senza alcun controllo, l'immigrazione clandestina va drasticamente bloccata". Anche ex detenuti su un barcone da porto tunisino di Sfax Sarebbero circa 500 i migranti tunisini che le motovedette tunisine hanno bloccato e riportato in patria mentre tentavano di lasciare il Paese a bordo di barconi. Lo riferisce una fonte ben informata a Tunisi, precisando che dallo scorsa notte il servizio di pattugliamento in mare si è intensificato. Da parte sua l’agenzia di stampa tunisina Tap informa che, fra le circa 200 persone sono state fermate ieri sera al largo di Sfax, vi erano anche alcuni detenuti che erano fuggiti dalle carceri tunisine nei giorni più caotici della rivolta. Egitto: rivolta in un carcere del Cairo, evadono in 600 Agi, 12 febbraio 2011 Evasione di massa dal carcere del Cairo: 600 detenuti sono riusciti a fuggire dalla prigione di Marg, nel corso di una rivolta in cui ci sono stati diversi morti. Gli evasi sono stati aiutati nella fuga da un commando armato che ha attaccato il carcere dall’esterno, uccidendo alcune guardie. Si tratta della seconda evasione dalla prigione dall’inizio delle proteste anti-Mubarak. L’esercito che ha preso il controllo del Paese dopo le dimissioni del presidente egiziano è riuscito a riportare in cella oltre mille detenuti. Tra gli evasi vi sono anche miliziani palestinesi fuggiti dalla prigione di Abu Zaabal, a nord del Cairo, dove sono morte almeno 14 persone, tra cui due poliziotti. Brasile: caso Battisti; la presidente Dilma Rousseff gela l’Italia “ho la stessa idea di Lula” La Stampa, 12 febbraio 2011 “Il governo di Dilma Rousseff ha già preso una decisione. Ed è la stessa di Lula”. Con queste parole la ministra brasiliana per i Diritti Umani, Maria do Rosario, è intervenuta l’altra sera sul caso Battisti. Occasione per ribadire la linea del governo brasiliano la festa per i 31 anni della fondazione del Partido dos Trabalhadores, il Pt di Dilma e del suo predecessore alla guida del Paese, Lula. Le parole di Do Rosario sono state una vera e propria doccia fredda per le aspettative dell’Italia. Soprattutto perché Dilma Rousseff aveva dichiarato pubblicamente, prima di essere eletta, che, in caso di vittoria, si sarebbe “attenuta alla decisione del Supremo Tribunale Federale (Stf)”, il massimo organo giuridico verde-oro. Si era anche spinta più in là sostenendo che se fosse dipeso da lei avrebbe concesso l’estradizione in Italia dell’ex terrorista dei Pac, in prigione da quasi quattro anni nel penitenziario della Papuda a Brasilia. Alla festa del Partito dei Lavoratori erano presenti anche l’attuale ministro della Giustizia, José Eduardo Cardozo e l’ex Guardasigilli Tarso Genro, colui che ha concesso il rifugio politico a Battisti. Nei giorni scorsi entrambi si sono espressi per l’immediata liberazione di Battisti che però, stante il “no” di Lula, continua ad essere rinchiuso a Papuda. Un tentativo quello dei suoi esponenti di governo di fare pressione sul Supremo Tribunale Federale, accusato ancora una volta dallo stesso Genro di “avere violato molte leggi” fra cui “la Costituzione per non avere ancora rilasciato Battisti”. Se è dunque chiaro che nel Pt le posizioni pro-Battisti sono oramai definite, è altrettanto chiaro che, nonostante le dichiarazioni a mezzo stampa di ministri ed ex membri del governo, la questione oramai è “nelle mani del Stf” come ha scritto la stessa Dilma nella sua lettera a Napolitano alla fine di gennaio. Parole confermate ieri in un’intervista a Carta Capital anche dal capo della diplomazia di Brasilia Antonio Patriota. “Tocca al Stf stabilire se estradare o meno Cesare Battisti, dopo aver analizzato se la decisione dell’ex presidente Lula ha rispettato o meno il trattato bilaterale Italia-Brasile in materia” ha spiegato un alto funzionario del Supremo dietro anonimato. Quando accadrà? Sicuramente dopo il Carnevale, dal momento che solo il 3 marzo si insedierà al Supremo Tribunale Federale Luiz Fux, il giudice nominato da Dilma che mancava affinché la corte (di 11 membri) fosse al completo ma, soprattutto, perché ci fosse un numero dispari di giudici. L’obiettivo? Evitare un pareggio che allungherebbe ulteriormente i tempi di questa interminabile telenovela politico-giudiziaria. Turchia: protesta curdi a Strasburgo per liberazione Ocalan, in carcere dal 1999 Ansa, 12 febbraio 2011 Alcune migliaia di curdi hanno manifestato oggi a Strasburgo, nell’est della Francia, per chiedere il riconoscimento dell’indipendenza del Kurdistan e la liberazione di Abdullah Ocalan, ex leader del partito separatista Pkk detenuto in Turchia dal 1999. I manifestanti, 6.500 secondo la questura, almeno 30.000 secondo gli organizzatori, sono arrivati in città dalla vicina Germania, dal Belgio e dall’Olanda, su invito dell’associazione kurda di Francia. Hanno sfilato pacificamente, dalla stazione al quartiere della Meinau, dove è stato organizzato un picnic gigante, portando bandiere con l’effigie di Ocalan e numerosi striscioni. tra questi, spiccava quello dei Giovani kurdi, che recitava “Ieri la Tunisia, oggi l’Egitto, domani il Kurdistan”. Ocalan è stato arrestato in Kenya nel 1999, grazie all’aiuto dei servizi segreti americani, e poi imprigionato in Turchia. È stato condannato a morte per separatismo nel 1999, pena commutata in ergastolo nel 2002, dopo l’abolizione della pena capitale. Nel maggio 2005, la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha invitato la Turchia a celebrare un nuovo processo per l’ex leader del Pkk, giudicando quello del 1999 non equo. Cina: si batte per i diritti dei malati di Aids, condannato a un anno di carcere Ansa, 12 febbraio 2011 L’attivista cinese Tian Xi, un sieropositivo che si è battuto per i diritti dei malati di Aids, è stato condannato ad un anno di prigione da un tribunale di Xincai, nella provincia centrale dell’Henan. Lo ha affermato oggi uno dei suoi avvocati, Liang Xiaojun, che si è dichiarato sorpreso dalla sentenza. Tian Xi, 23 anni, era stato arrestato nell’agosto del 2010 dopo una colluttazione in un ospedale ed era stato accusato di danneggiamento della proprietà pubblica. L’avvocato ha aggiunto che Tian ha dichiarato di ritenere la condanna ingiusta ed ha annunciato che ricorrerà in appello. Tian è uno dei più noti tra gli attivisti cinesi che si battono per i diritti dei sieropositivi, che in Cina si ritiene siano almeno 700 mila. Il virus che provoca l’Aids, l’Hiv, si è diffuso in Cina soprattutto a causa delle trasfusioni di sangue condotte senza le necessarie misure di sicurezza. A metà degli anni Novanta, migliaia di persone hanno contratto l’Hiv nella provincia Henan in una campagna per la vendita di sangue agli ospedali promossa dal governo locale. Secondo la dottoressa Gao Yaojie, che ha denunciato i fatti dell’Henan, le trasfusioni condotte in condizioni igieniche precarie continuano in alcune delle province più povere del paese. Cuba: liberato prigioniero politico, presto altri quattro saranno scarcerati Ansa, 12 febbraio 2011 Uno dei dieci prigionieri politici cubani che rifiutano l’esilio in Spagna è stato oggi liberato e resterà sull’isola mentre un altro, Hector Maseda, marito della leader delle “Donne in bianco”, ha rifiutato la scarcerazione che gli è stata concessa fino a che non saranno liberati tre detenuti malati. “Dopo un’attesa molto lunga e tante richieste sono stato finalmente liberato”, ha detto Fleitas, contadino di 59 anni condannato nel 2003 a 21 anni di carcere, al telefono all’Ansa dalla sua abitazione di Consolacion del Sur (ovest dell’isola). Fleitas, scarcerato per motivi di salute, ha detto che resterà a Cuba, dove continuerà a “lottare per l’arrivo della democrazia. Magari quello che è successo in Egitto succedesse qui. Ma a Cuba il popolo ha molta paura perché c’è molta repressione”. Le autorità cubane hanno anche deciso, ha annunciato la Chiesa, di liberare un altro prigioniero politico di questo gruppo, Maseda, giornalista di 68 anni, condannato a 20 anni di carcere, che rifiuta anche lui l’esilio in Spagna. Maseda ha rifiutato la scarcerazione fino a che non saranno liberati i detenuti malati Diosdado Gonzalez, Pedro Arguelles e Librado Linares, ha detto all’Ansa Elizardo Sanchez, della Commissione cubana dei diritti umani (Ccd Hrn, illegale ma tollerata). La settimana scorsa un altro prigioniero, Angel Juan Moya, ha rifiutato la scarcerazione, come ha riferito sua moglie Berta Soler, dirigente delle “Donne in bianco”, ponendo come condizione la liberazione di Gonzalez, Arguelles e di Fleitas, quest’ultimo ormai libero. L’annuncio della decisione di liberare Fleitas e Maseda è arrivato dopo che la “Donna in Bianco” Alejandrina Garcia e i prigionieri Gonzalez e Arguelles hanno sospeso questa settimana uno sciopero della fame portato avanti per una decina di giorni. Dopo la liberazione di Fleitas rimangono incarcerati nove prigionieri politici “adottati” da Amnesty International che rifiutano l’esilio in Spagna, appartenenti a un gruppo di 52 che il governo si è impegnato nel luglio scorso a liberare. Come risultato del dialogo intrapreso tra il governo cubano e la Chiesa cattolica un totale di 43 dei 52 prigionieri politici arrestati nel 2003 sono stati liberati da luglio, di cui 40 sono andati in Spagna, due sono rimasti a Cuba e un altro, liberato la scorsa settimana, ha detto che andrà negli Stati Uniti. Altri 19 condannati hanno accettato l’esilio in Spagna. La prossima liberazione di altri quattro condannati che accettano di andare in Spagna è stata annunciata oggi dalla Chiesa. Le autorità cubane negano l’esistenza di prigionieri politici e li considerano invece “mercenari” pagati dagli Stati Uniti. Secondo l’opposizione, nelle carceri cubane ci sono oltre un centinaio di prigionieri politici.