Giustizia: viaggio nelle celle dell’ergastolo “ostativo”, dove si distrugge la speranza di Giulia Cerino La Repubblica, 20 settembre 2010 Per 1.200 detenuti in Italia sono di fatto cancellati tutti i diritti e i benefici durante la detenzione previsti dalla legge per buona condotta. I volontari denunciano: “Così svanisce ogni ipotesi di reinserimento e sincero pentimento”. Sono circa 1.200 uomini e donne, soprattutto meridionali, colpevoli di reati di stampo mafioso e condannati al cosiddetto “ergastolo ostativo”, che preclude - di fatto - ogni beneficio durante il periodo di detenzione. I permessi premio, di necessità o la liberazione condizionale sono concessi molto di rado e solo a chi collabora con la giustizia. Giusta o sbagliata che sia, questa disposizione rende vano ogni possibile reale pentimento interiore e distrugge nei detenuti ogni speranza di reinserimento nella società. A sostenerlo non sono soltanto le numerose associazioni di volontariato che operano nelle carceri, ma soprattutto la maggior parte degli operatori penitenziari: direttori e agenti di custodia. “Nella pena che scontano - spiegano i volontari che operano nel carcere di Spoleto - non c’è nulla di costruttivo e anzi ciò a cui sono sottoposti è inumano. Le loro sono strade senza uscita, ostacolate dalla contraddizione - di cui il sistema penitenziario italiano si fa portatore - tra la forma detentiva perenne ed i fini rieducativi esposti nell’art. 27 della Costituzione, dove si dice che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”. Percorsi sbarrati. Con questa consapevolezza è stato girato il video “Percorsi sbarrati”, un filmato-manifesto prodotto dagli ergastolani e inaugurato con la campagna Mai dire mai per l’abolizione della “pena senza fine”. L’idea è sorta all’associazione Pantagruel, nata nel 1986 come cooperativa culturale. A raccontarla, nel video, l’accento sardo di Mario Trudu in carcere dal 1979 e le immagini dei carcerati di Spoleto. La pena a cui sono sottoposti i detenuti ostativi - a prescindere dalla colpa di cui si sono macchiati - è contraria alle leggi dello Stato. Questo è il messaggio contenuto nel video su Youtube. E questo è quello che anche gli operatori sociali e i volontari che prestano assistenza nelle carceri d’Italia vogliono che arrivi a chi il carcere non lo conosce. Solidarietà e amicizie virtuali. Per rendere la detenzione meno amara e anzi, darle un senso, i volontari di Pantagruel hanno dato vita a una serie di progetti volti al reinserimento nella società degli ergastolani e alle ergastolane d’Italia. Perché anche se forse non vedranno mai la luce, è giusto continuare a sperare e a fare come se, un giorno, avverrà. “La Poesia delle bambole”, “Educare con gli asini” e il progetto “Bruno Borghi” sono solo alcune iniziative dell’associazione. Ma ce ne sono altre, più specifiche, sorte apposta per sostenere la causa. “Informacarcere”, per esempio, è il portale dove i detenuti - soprattutto toscani - scrivono cercando contatti con l’esterno. Il “cerca lavoro”. Per uno scambio reciproco e per allacciare rapporti - seppur virtuali - di amicizia. Nella sezione “realtà del carcere” c’è uno spazio dedicato alle richieste e alle offerte: i detenuti - a cui è concesso - cercano lavoro, consigli, consulenze legali, corrispondenza per amicizia o per unione di coppia. Vendono i loro prodotti artigianali e richiedono libri, giornali, francobolli e nastri di musica. La sezione Posta Diretta permette invece agli utenti di rivolgere direttamente delle domande ai carcerati, che rispondono. Carmelo Musumeci, in prigione da venti anni, è uno di questi. Nato in Sicilia, è un ex capo della mafia versiliana e ha ucciso un uomo. Ora è un poeta e non è mai uscito di prigione. “Tempo fa - racconta su Informacarcere - avevo chiesto al Tribunale di Sorveglianza qualche ora d’aria ma le motivazioni affettive sottese alla richiesta avanzata dal Musumeci, encomiabili e rispettabili sul piano umano non sono applicabili”. Permesso respinto. Il reinserimento che non c’è. “Si continua a parlare di pentiti ma in realtà si dovrebbero chiamare collaboratori di giustizia, perché è evidente che la collaborazione è una scelta processuale mentre il pentimento è uno stato interiore. In realtà sono gli anni di carcere e la sofferenza che portano ad una revisione interiore sugli errori del passato. Tutto questo nonostante un sistema carcerario che abbandona i detenuti a se stessi, non agevola la rieducazione e, nel caso degli ostativi, esclude completamente ogni speranza di reinserimento sociale”. Nadia Bizzotto, volontaria della comunità “Papa Giovanni XXIII”, fondata nel 1973 da don Oreste Benzi, il carcere lo conosce bene. Non si tratta di tirar fuori i delinquenti. “Piuttosto, per ottenere benefici, agli ergastolani comuni bastano diritto e merito. Per gli ostativi non si arriva al merito. Allora qui il principio rieducativo non c’è proprio e il famoso articolo 27 non serve a niente”. Si domanda che senso ha tenere in galera uno tutta la vita con la prospettiva di non uscire mai, Nadia. Lei, come altri, lavora da intermediaria e combatte per rendere utile la detenzione a vita. “Siamo stati nel carcere di Spoleto la prima volta nel 2007 accedendo come esterni che entrano per fare colloqui. La nostra battaglia - spiega - si chiama Urla Dal Silenzio”. Con lo stesso nome, è nato anche un blog, che con il tempo è diventato la voce degli ergastolani che con lettere, poesie, testimonianze raccontano l’assenza di ogni speranza. “Il tentativo è quello di far conoscere a tutti la realtà dell’ergastolo ostativo. È un modo per dare una possibilità a chi ne avrebbe diritto”, spiega Bizzotto. La legge Martelli-Scotti. “La sospensione delle normali regole di trattamento penitenziario” nei confronti dei carcerati - anche non ergastolani - accusati di associazione mafiosa, fu stabilita nel maggio del 1992. Il decreto Martelli-Scotti, pochi giorni dopo che Giovanni Falcone veniva fatto saltare in aria con la moglie e la scorta, inaspriva le pene già contenute nell’articolo 4 bis della legge antimafia del 1975. Con uno scopo: distruggere la rete malavitosa attraverso le confessioni dei detenuti. Da allora, per varie ragioni, da parte dei carcerati ostativi c’è stato soprattutto silenzio. In merito alla legge del 92, invece, non è mancata la polemica. “Mentre in alcuni paesi - Norvegia, Portogallo, Spagna, Slovenia, Croazia e Polonia per esempio - la detenzione a vita è stata abolita - spiegano i volontari della comunità “Papa Giovanni XXIII” - in Italia, unico Paese nel mondo, l’ergastolo puro si sconta per minimo 25 anni. Un provvedimento, questo, in contrasto con l’articolo 5 della Carta europea dei dritti dell’uomo che - in ogni caso - prevede che nessuno venga sottoposto a tortura o trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti”. Giustizia: Alfano; abbiamo reso durissimo il “carcere duro”, i boss moriranno in cella e poveri Ansa, 20 settembre 2010 “I boss moriranno in carcere in povertà”. Il messaggio secco arriva dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, a pochi giorni dalla vicenda di Giovanni Brusca, ergastolano pentito indagato per riciclaggio, fittizia intestazione di beni e tentata estorsione. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, da parte sua, ricorda che il valore dei beni sequestrati e confiscati alle mafie ha raggiunto quota 16 miliardi di euro. Alfano ha parlato a Cortina d’Ampezzo, alla kermesse del Pdl. “Noi - ha rivendicato - abbiamo reso durissimo il carcere duro. E nel carcere duro ci stanno tutti i boss che le fiction e i Tg hanno reso famosi, tutti stanno al carcere duro e quegli ergastoli noi non li intiepidiremo mai e moriranno là, poveri perché gli abbiamo anche sequestrato i beni”. Ad oggi sono 681 i detenuti sottoposti al regime speciale del 41 bis. Alle parole del Guardasigilli, hanno fatto eco quelle di Maroni, che ha inaugurato un asilo nido in una villa confiscata alla criminalità organizzata a Lonate Ceppino (Varese). Questo asilo, ha spiegato, “è uno degli oltre 15mila beni che sono stati sequestrati e confiscati in questi due anni per un controvalore di oltre 16 miliardi di euro. Il nostro obiettivo - ha aggiunto - è quello di mettere a disposizione degli enti locali il bene confiscato e per questo abbiamo creato l’Agenzia nazionale. Vogliamo valorizzare il bene sottratto alla mafia, metterlo a disposizione dei cittadini e far vedere che lo Stato c’è e che va sempre fino in fondo”. L’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, ha sottolineato il titolare del Viminale, “sta entrando in piena attività e già la prossima settimana a Isola Capo Rizzuto (Kr) ci sarà un primo punto sulla questione”. Al convegno in Calabria parteciperanno, tra gli altri, Maroni e Alfano, il capo della polizia, Antonio Manganelli, il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, il direttore dell’Agenzia, Mario Morcone. La sede principale dell’Agenzia è Reggio Calabria; ne è stata quindi aperta una a Roma e ne seguiranno altre - ha annunciato il ministro dell’Interno - a Palermo, a Napoli ed anche a Milano, “perché la Lombardia è la quarta regione in Italia come numero complessivo di beni sequestrati alla criminalità organizzata”. Giustizia: Cassazione; con il “carcere duro” scatta lo stop ai quotidiani locali Italia Oggi, 20 settembre 2010 Il detenuto in carcere duro non può leggere quotidiani locali del territorio di provenienza, se c’è pericolo che - sulla base di quanto appreso da determinate notizie di cronaca - possa decidere di impartire ordini agli altri associati. Uniche letture consentite, in tali casi, quelle di stampa nazionale. Ad affermarlo, la Cassazione, sezione I penale, con la sentenza n. 32976/10. Protagonista della vicenda processuale, un recluso sottoposto - per fatti associativi - al regime carcerario di massima sicurezza ai sensi dell’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario. Nei confronti dell’uomo, esponente di un sodalizio criminale, era stato prorogato per ulteriori tre mesi il divieto di acquisto e ricezione di giornali non riconducibili a testate nazionali. Contro la proroga, il detenuto ed il suo legale propongono reclamo in Cassazione chiedendo l’annullamento della relativa ordinanza. A motivare la richiesta, il fatto che il tribunale, secondo la tesi difensiva, avrebbe agito al di fuori di ogni schema di legge, eccedendo nei poteri attribuitigli. In altre parole, emettendo l’ordinanza reclamata, i giudici avrebbero violato, tra gli altri, gli articoli 18-ter e 41-bis della legge n. 354 del 26 luglio 1975 (meglio nota come ordinamento penitenziario). In particolare, il citato articolo 18 ter non farebbe espresso riferimento al divieto di ricezione dei giornali che il direttore della casa circondariale, conclude l’avvocato “non può operare automaticamente e richiederlo, né il giudice adottarlo”. Nettamente difforme è l’opinione della Cassazione, che rigetta il ricorso ritenendolo infondato. Difatti, precisa, il richiamato articolo 18 ter prevede a chiare lettere che, per esigenze investigative, preventive, o per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto, possano essere disposte una serie di restrizioni nei confronti dei reclusi. Tra queste: limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica, sottoposizione delle lettere a visto di controllo, ispezione del contenuto delle buste che racchiudono le missive o, - come è accaduto nel caso specifico - limitazioni nella ricezione della stampa. Inoltre, quanto al potere della dirigenza carceraria di impedire la lettura dei giornali da parte del detenuto appartenente a cosche criminali, la prima sezione penale della Cassazione si era già espressa in senso favorevole con pronuncia n. 23044 del 14 maggio 2009 soffermandosi a precisare che “solo il direttore del carcere, a stretto contatto con la gestione dello stabilimento, può conoscere delle esigenze di sicurezza che consiglino di sottoporre a controllo la corrispondenza non consentendo l’acquisto della stampa”. Ma, ritornando alla vicenda al centro della sentenza 32976/10, il provvedimento impugnato - sottolineano i giudici di legittimità - ha ritenuto “con motivazione priva di evidenti vizi logici” sussistenti le condizioni per imporre al reclamante l’inibizione della lettura dei quotidiani locali riportanti notizie strettamente aderenti al territorio di provenienza. La limitazione - precisano ancora - deriva proprio dall’esigenza di evitare che il ricorrente potesse utilizzare le notizie di attualità per informarsi sulle vicende connesse al gruppo di appartenenza ed impartire, all’occorrenza, gli opportuni ordini ai compagni malavitosi. Giustizia: il presidente del porto di Genova; ho subito un arresto ingiusto, che ha ucciso mia moglie di Erika Dellacasa Corriere della Sera, 20 settembre 2010 Il primo scontro era stato fra il procuratore capo, Francesco Lalla, e i suoi sostituti Walter Cotugno ed Enrico Zucca che volevano arrestare il presidente dell’Autorità Portuale di Genova, Giovanni Novi, accusandolo di irregolarità nelle gare per le banchine. Lalla era contrario: “Non c’erano le ipotesi di reato per una custodia cautelare, lo scrissi allora e resto dell’idea” ha ripetuto tre giorni fa. Novi fu arrestato il 4 febbraio 2008. Venerdì è stato assolto con formula piena (il fatto non sussiste) per dodici imputazioni, dalla truffa alla concussione, e condannato a due mesi e 200 euro di multa per un’unica accusa, la più leggera, turbativa d’asta. Condannati alla stessa pena e per lo stesso reato tre coimputati, assolti gli altri quattro. Dopo la sentenza che ha ammutolito l’accusa (aveva chiesto 13 anni di carcere, 6 per Novi) il gelo è sceso fra il pm e la Procura generale, n procuratore generale Luciano Di Noto ha chiesto a Cotugno una relazione scritta sul suo comportamento durante il processo per verificare se non ci sono stati eccessi. Cotugno aveva depositato una memoria in cui definiva “umoristiche”, praticamente ridicole, le tesi dei difensori. “Una memoria -dice l’avvocato Cesare Manzitti - sprezzante, anomala e non solo nei toni”. L’ombra più pesante su questa inchiesta che si è abbattuta come un tornando sul porto di Genova l’ha gettata la morte della moglie di Novi, Nucci Ceppellini, mentre il marito era agli arresti domiciliari. “L’hanno fatta morire - ha detto a caldo Novi - ed è morta disperata per quello che mi stava succedendo. Nessuno mi risarcirà mai della sua sofferenza”. Ora sfogliando un album di fotografie dedicato a Nucci ricorda: “Quando vennero ad arrestarmi stavamo facendo colazione, lei ebbe una crisi di pianto, la notte si sentì male, non si è più ripresa. Lei, così forte, non ha retto. Il medico mi ha spiegato che nelle sue condizioni uno choc ha conseguenze fatali”. I figli di Novi scrissero una lettera aperta su come quel dolore avesse spezzato la madre: “Sta morendo”. Novi fu “scarcerato” il giorno stesso (doveva restare agli arresti due mesi, erano passati undici giorni) e poche ore dopo Nucci Ceppellini morì. Storie familiari che si intrecciano. Nell’inchiesta fu coinvolto anche il console dei portuali Paride Batini, accusato di aver ricevuto indebiti finanziamenti da Novi. Batini è morto ma la Compagnia Unica e il viceconsole sono stati assolti. Novi ha telefonato alla moglie di Batini: “Signora, le voglio dire che sono stato assolto, è come se lo fosse anche suo marito: non siamo degli imbroglioni e dei truffatori. La abbraccio”. Il procuratore generale non ha chiesto conto solo a Cotugno del suo comportamento. Ha voluto delucidazioni sulle indagini condotte dalla polizia giudiziaria dopo un esposto firmato dagli avvocati difensori di Novi, dal presidente dell’Ordine degli avvocati e dal presidente della Camera penale. Il punto: in tutto il materiale prodotto dall’accusa mancavano svariati documenti “il cui contenuto - spiega Manzitti - andava sempre a vantaggio della difesa”. La domanda inespressa sottesa alle richieste della Procura Generale è una: c’è stata scorrettezza da parte dell’accusa? C’è stato accanimento? Tre anni di indagini con il sequestro di migliaia di documenti (riempirono un’intera stanza del Palazzo), la semi-paralisi del porto per mesi, il sequestro dei fondi della Compagnia Unica (venerdì dissequestrati) hanno accertato - per il Tribunale giudicante - “solo” una turbativa d’asta. E il terminalista Aldo Spinelli, assolto, si è subito messo a fare i conti: “Il porto ha perso 300 mila container all’anno, il traffico di Msc e quello di Tirrenia che ha portato le merci a Livorno. La Compagnia ha perso lavoro e io, calcolando 100 euro a container, milioni di euro”. La Procura con l’inchiesta sul porto ha messo sotto accusa il sistema di potere sulle banchine consentendo una “ricostruzione” del porto da parte del nuovo presidente dell’Autorithy Luigi Merlo, sostenuto decisamente dal presidente della Regione Burlando che avverte: “Indietro non si torna”. Curiosamente, il processo penale ha messo insieme sul banco degli imputati l’alta borghesia e i camalli, aprendo così le porte alla politica. Se è stata anche fatta giustizia è quello che la Procura Generale vuole accertare. Giustizia: Uil Pa Penitenziari; convocata la Direzione nazionale, dal 22 al 24 settembre Il Velino, 20 settembre 2010 È stata convocata per i prossimi 22-23 e 24 settembre la Direzione Nazionale della Uil Pa Penitenziari. L’assise si terrà nello splendido scenario della Scuola di Formazione dell’Amministrazione Penitenziaria di Verbania. “Dopo la recente firma dell’accordo per il rinnovo del biennio economico 2008-2009 per gli operatori del comparto Sicurezza e Difesa, occorre ridefinire impegno e strategie direttamente mirate alla soluzione delle criticità interne al sistema penitenziario”. Così Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari, anticipa il corso dei lavori che vedranno impegnati i 65 componenti dell’organismo nazionale. “ Pur avendo svolto il Congresso nello scorso febbraio è utile confrontarci per ulteriori analisi e proposte. Il quadro generale è assai complesso ed occorre agire con quel senso di responsabilità che non sempre scorgiamo nell’agire dell’Amministrazione Penitenziaria. Mi pare ovvio - continua Sarno - che si deve perseguire l’obiettivo di far convocare dal Dap un tavolo di revisione degli organici e nelle more di tali rideterminazioni agire su un impiego più razionale delle risorse umane. E non ci riferiamo solo al personale di polizia penitenziaria. Così come non possono protrarsi oltre i tempi per l’avvio delle definizione di un nuovo modello organizzativo del servizio delle traduzioni e l’avvio del confronto sul nuovo Accordo Nazionale Quadro. Su nostra iniziativa l’Amministrazione Penitenziaria è stata già condannata per attività antisindacale. Non vorremmo doverci vedere costretti ad ulteriori iniziative giudiziarie per garantire i diritti del personale”. Ma l’attività di informazione sulle criticità dell’universo penitenziario resta un punto fermo nella strategia della Uil Penitenziari. “Fino a quando l’Amministrazione Penitenziaria insisterà nei suoi atteggiamenti oscurantisti noi non ci sottrarremo all’obbligo morale di informare, senza foglie di fico, di quanto accade nei nostri penitenziari. Della disumanità, dell’illegalità e dell’inciviltà delle condizioni detentive nonché delle penalizzanti ed infamanti realtà lavorative in cui sono costretti ad operare i nostri colleghi. Delle violenze e delle vite evase. Lo sentiamo come un impegno civico, oltreché politico. Nell’auspicio che contribuire a determinare una coscienza sociale sulla questione penitenziaria possa ridestare un impegno dei nostri politici oggi, in verità, assai sopito. In questo però sarà determinante l’impegno della stampa, nella misura in cui vorrà decidere di informare davvero il Paese su quanto realmente accade oltre le mura di cinta”. Nella mattinata del 23 settembre dopo l’intervento introduttivo del Segretario Regionale Salvatore Cabone, seguirà la relazione di Eugenio Sarno. Sono previsti interventi del Dr. Aldo Fabozzi (Provveditore Regionale Dap per il Piemonte) , del Sindaco di Verbania, Zacchera, e del Presidente della Provincia, Nobili. In rappresentanza della Regione Piemonte interverranno i consiglieri regionali Marinello e De Magistris. Il Sen. Enrico Montani (Lega Nord) porterà un saluto all’assemblea e svolgerà alcune considerazioni. Lettera: agli operatori del trattamento mancano soldi e personale, ma l’Anrel riceve 4,8 milioni € Ristretti Orizzonti, 20 settembre 2010 Nelle settimane della pausa estiva abbiamo saputo della nascita della Anrel, una Agenzia che ha ricevuto un notevole finanziamento dal Ministero. Come hanno già fatto le associazioni di volontariato e anche altri soggetti riteniamo di dover portare il nostro contributo critico a questa scelta, venuto fra l’altro in un momento così difficile per il mondo penitenziario che attende risposte incisive e risolutorie. La notizia della attivazione della Anrel (Agenzia Nazionale per il Reinserimento e il Lavoro) con il finanziamento di Cassa Ammende per un importo di 4,8 milioni di euro non deve far insorgere solo il volontariato ma anche noi operatori che da anni lavoriamo quotidianamente per il reinserimento del detenuto e conosciamo troppo bene il gravissimo momento che il sistema carcerario attraversa e che non necessita di notizie trionfalistiche e generiche, ma piuttosto di interventi concreti e mirati. Gli operatori del trattamento ogni giorno devono trovare soluzioni per i disagi dei 68.000 detenuti presenti negli istituti, senza avere a disposizione né risorse economiche, né umane, né strumentali. Un finanziamento di tale portata potrebbe essere giustificato se concesso per i risultati ottenuti o per l’affidabilità dell’Ente che lo promuove. In questo caso, per ammissione della stessa Fondazione, le precedenti sperimentazioni che sono relative al progetto “Fondo Don Sturzo” dal 2003 hanno reso possibile un percorso di reinserimento per solo 12 detenuti. La Convenzione stipulata con il Ministero, appunto nel 2003, dalla quale prende avvio l’Agenzia, e che trattava appunto l’avvio al lavoro di detenuti in ambito regionale siciliano, non pensiamo dovesse avere certo aspettative così risicate e quindi non si capisce come si possa aver dato credito ad un organismo che ha esperienza limitata in ambito carcerario e non ha ottenuto comunque gli esiti prospettati. Nei documenti che è dato consultare si fa riferimento costante all’esperienza in corso nel Fondo “Don Sturzo”, ma non è possibile capire quale sia lo stato del progetto visto che l’aggiornamento del sito è fermo al 2004. In giro per l’Italia vi sono numerosi altri progetti con gli stessi obiettivi assegnati all’Agenzia, quali la preparazione di una banca dati sul curriculum dei detenuti, uno anche promosso dalla stessa Direzione Generale Detenuti e Trattamento, uno in Toscana tramite finanziamenti degli enti locali. Nessuno però ha modificato la situazione lavorativa dei detenuti che restano disoccupati o inoccupati durante e soprattutto dopo la carcerazione. E comunque nessuno ci sembra è costato così tanto. Le esperienze portate avanti dal volontariato e dal terzo settore a livello nazionale, come quelle della Conferenza Nazionale del Volontariato Penitenziario, che tanto utili sono per mantenere una esistenza minimamente dignitosa in carcere, avrebbero fatto ritenere utile un diverso approccio ed un coinvolgimento più ampio di queste realtà. Fra l’altro in questo momento di ristrettezze economiche e di tagli spesso indiscriminati, sembrerebbe veramente poco opportuno impegnare cifre così elevate per tre anni (tanto dura il progetto) con obiettivi che sembrano assai fumosi. Infine, ma non perché meno importante, si riterrebbe poco conveniente il continuo rimando sia nella convenzione che nel progetto a motivazioni di tipo spirituale e religioso in considerazione della natura laica del nostro Stato e della facile strumentalizzazione degli utenti a cui l’iniziativa è rivolta. Un gruppo di educatori penitenziari della Toscana Lecce: detenuto di 48 anni stroncato da infarto in cella, il sindacato Osapp solleva una polemica La Repubblica, 20 settembre 2010 Un’altra morte in carcere. Questa volta non si tratta di suicidio, ma forse non una fatalità il fatto che il decesso sia avvenuto a Lecce. Nel penitenziario del capoluogo salentino, già alla ribalta della cronaca per alcuni suicidi di detenuti, ieri è morto per infarto un 48enne. “Si sarebbe potuto salvare se all’interno dell’istituto vi fosse stata un’adeguata assistenza sanitaria”, denuncia Domenico Mastrulli, vicesegretario nazionale dell’Osapp, sindacato di polizia penitenziaria. Mastrulli racconta che l’uomo, che sarebbe dovuto uscire nel novembre 2011 (stava scontando pene relative a reati comuni), si è sentito male nella sua cella e ha chiesto aiuto. “Fino a quando è stato attivato il codice rosso ed è stata predisposta e organizzata la scorta - attacca il vicesegretario dell’Osapp - sicuramente è stato perso tempo prezioso per la vita del detenuto”. La tragedia di ieri fornisce al sindacato lo spunto per polemizzare sulla mancanza di assistenza 24 ore su 24 nelle carceri e sul sovraffollamento delle strutture. A Lecce, che vanta il triste primato di suicidi in Puglia dall’inizio dell’anno (5 su 7), sono attualmente detenute mille e 500 persone, 900 in più della capienza regolamentare. “Il passaggio della sanità nelle carceri dal ministero alla Regione ha provocato un evidente peggioramento del servizio - accusa Mastrulli. Fino a qualche tempo fa le cose andavano meglio perché all’interno degli istituti venivano garantiti sia i servizi sanitari sia il pronto intervento. In alcune strutture c’era anche il centro clinico, che permetteva di evitare il cosiddetto “turismo sanitario”, cioè di portare fuori i detenuti con la scorta. Adesso, invece, alle 22 cessano tutti i servizi. Perfino la terapia, non soltanto in Puglia, viene spesso consegnata ai detenuti, con un accumulo di farmaci in cella che può diventare un aiuto per chi cerca di togliersi la vita”. L’Osapp chiede per questo un tavolo di concertazione al ministro. “In Puglia - attacca Mastrulli - le carceri sono diventate contenitori di carne umana”. Altro problema, il numero limitato di agenti. “In tanti vengono adibiti a funzioni improprie, come la vigilanza dei tribunali o la scorta di politici e magistrati: una situazione non più tollerabile”, avverte l’Osapp. Lecce: la direttrice; qui puntiamo sulla rieducazione, anche senza risorse umane ed economiche di Andrea Morrone Corriere del Mezzogiorno, 20 settembre 2010 Arrivando da lontano il carcere appare come una città fortificata, immensa sotto il sole accecante del Salento. Una lunga cinta muraria e un pesante cancello separano il mondo di fuori da quello di “dentro”, i sogni dalla realtà. Costruita nella prima metà degli anni 90 e aperto ufficialmente il 14 luglio 1997, la casa circondariale di Lecce è diretta da Anna Rosaria Piccinni. Dice la direttrice: “Ho trascorso in carcere gli ultimi 27 anni - commenta con una battuta, una pena lunghissima. Ho iniziato a Brindisi nel 1983, negli anni più caldi della Scu e del contrabbando. Da 16 anni dirigo la struttura di Lecce, un incarico che presto lascerò, ma solo perché è giunto il momento di passare a qualcosa professionalmente di diverso”. Anna Rosaria Piccinni racconta il grande lavoro svolto quotidianamente, nonostante le mancanze di risorse umane ed economiche, per rendere la detenzione quanto più possibile umana e rieducativa: “Il nostro è un istituto in cui c’è una buona qualità della vita, anche se condizionata dal sovraffollamento, il vero grande problema delle carceri italiane”. La struttura, infatti, è stata progettata per una capienza di 650 detenuti (con cella singola), con una presenza tollerabile fino a 1.100. Al momento della “conta” giornaliera, i detenuti presenti sono, però, 1.461. Circa un terzo dei detenuti è rappresentato da stranieri (soprattutto nordafricani, albanesi e rumeni). “All’interno dell’istituto - prosegue la direttrice - è possibile trovare un’offerta importante di attività trattamentali, anche se non del tutto sufficiente alle richieste dei detenuti. Grande attenzione viene data non solo alle attività lavorative, ma anche quelle scolastiche. Sono in programma, infatti , 4 corsi di alfabetizzazione, sei di media d’obbligo e 12 classi di ragioneria. Nell’ultimo anno scolastico abbiamo avuto 7 diplomati e 4 iscritti all’università”. All’interno del carcere opera l’associazione di volontariato “Comunità Speranza”. L’obiettivo dell’associazione è svolgere attività tese a favorire il reinserimento sociale dell’individuo. Progetti come “Made in carcere” (dove si producono borse), il giornale “Piano di fuga”, e i laboratori dove si producono oggetti in ferro battuto e prodotti da forno, rappresentano il fiore all’occhiello della struttura. Il carcere è un luogo creato a compartimenti stagni, ogni porta si pare solo dopo che si è chiusa quella alle tue spalle. Passando da una sezione all’altra, tra porte e inferriate dipinte di giallo, la casa circondariale di Lecce non è l’inferno che ti aspetti. I detenuti sorridono e salutano cortesemente la direttrice. Le celle sono tutte uguali: tre letti a castello (l’ultimo arriva a circa 50 centimetri dal soffitto), un tavolino, un paio di mobiletti e un piccolo bagno con i sanitari. Rosario, forte accento campano e gagliardetto del Napoli bene in vista, occupa la cella numero 20. Interrompe le pulizie per qualche minuto: “Oggi tocca a me pulire, approfitto del fatto che i miei due compagni sono nel cortile a prendere aria. È difficile muoversi in tre qua dentro, in due già la situazione sarebbe più semplice. Il sovraffollamento è la cosa peggiore di questo posto, a volte ti manca perfino l’aria. Io sono stato al Nord in altre carceri meno affollate ed era tutto più semplice”. Ci mostra comunque con orgoglio la sua cella e i suoi pochi averi: qualche provvista (del cosiddetto sopravvitto come pomodori, frutta e olio), un po’ di biancheria e qualche prodotto per l’igiene personale. Difficile comunque immaginare come possano essere lunghe le giornate in un posto così piccolo, fatto spesso di convivenza forzata e spazi ristretti. Catania: nuova interrogazione di Fleres (Pdl) su morte di Carmelo Castro; bisogna riaprire il caso La Sicilia, 20 settembre 2010 Dopo l’archiviazione, richiesta dal gip Aldredo Gari, delle indagini sulla misteriosa morte in carcere del 19enne di Biancavilla Carmelo Castro, il senatore Salvo Fleres, Pdl, a distanza di circa cinque mesi, ripropone al ministro della Giustizia una seconda interrogazione parlamentare. La prima, presentata nel maggio del 2010 non ebbe risposta, così come non ebbe risposta neppure un’altra analoga interrogazione presentata dal senatore del Pd Felice Casson. Castro, incensurato, arrestato pochi giorni prima, accusato di aver fatto da palo in una rapina, il 28 marzo 2009 fu trovato impiccato, agonizzante, nella sua cella di isolamento nel carcere di piazza Lanza. Eppure il giovane era detenuto in regime di “grandissima sorveglianza” e pertanto non avrebbe dovuto trovare né il tempo, né il modo per uccidersi. Ma sia i familiari, sia l’avvocato di fiducia, sia il senatore Fleres (che ricordiamo è anche Garante dei diritti dei detenuti) ha questo punto non fanno più mistero dei dubbi sorti sin dal primo momento, anche perché a quanto pare Carmelo non aveva mai dato segni di volontà suicida: che vi siano responsabilità di terzi? “Dalle dichiarazioni del personale penitenziario - scrive Fleres - risulta che quella mattina il detenuto si presentava “tranquillo”, e che accompagnato in cella alle 9 è stato rinvenuto privo di vita alle 12,20; i consulenti medico-legali hanno accertato “abbondante quantità di cibo non digerito”; ma in nessuna delle dichiarazioni del personale sarebbe stato riferito della distribuzione del vitto, per questo l’interrogante chiede di sapere: se il Ministro ritenga di disporre immediate indagini in Piazza Lanza al fine di accertare a che ora fu distribuito il vitto al detenuto; acquisire i nomi dei detenuti-lavoranti che gli hanno portato il cibo e dell’agente che li sorvegliava; accertare a che ora furono ritirate le vettovaglie e i nomi degli addetti; acquisire le videoregistrazioni del 28 marzo 2009 del “reparto Nocito”, dei corridoi e dell’uscita delle automobili dell’istituto, con l’indicazione dell’orario; trattandosi di detenuto sottoposto grandissima sorveglianza, accertare chi abbia svolto la vigilanza dalle ore 9 alle 12,20 del 28 marzo 2009”. Fleres chiede anche di accertare come mai un soggetto in arresto cardiorespiratorio sia stato trasportato al pronto soccorso dell’ospedale con una normale auto, senza alcuna assistenza medica e/o ausilio respiratorio, e perché non fu richiesto l’immediato intervento del 118. Belluno: l’Usl ha deciso di aumentare le ore di assistenza medica e infermieristica in carcere Il Corriere delle Alpi, 20 settembre 2010 L’Usl 1 ha deciso di incrementare di trenta ore mensili l’orario per l’assistenza medica e infermieristica al carcere di Baldenich. L’attività medica passa, quindi, da tre a quattro ore giornaliere nei giorni feriali, mentre quella infermieristica da sette a otto, sette giorni su sette. In questo modo viene assicurata la continuità assistenziale per tutte le attività. Era il 208 quando, grazie a un’apposita legge, le funzioni sanitarie in materia penitenziaria passavano dall’amministrazione carceraria alle Usl. Fino a qualche tempo fa, l’attività medica di base in carcere era affidata al medico sanitario incaricato provvisorio, che faceva tre ore al giorno solo nei feriali; l’assistenza ai pazienti con dipendenze, invece, era (e rimane) in carico al Sert. Lo standard relativo all’assistenza infermieristica transitata dal carcere all’Usl era insufficiente per le molteplici esigenze assistenziali. Tutto era in capo a un’unica infermiera, che svolgeva il lavoro sei ore al giorno, dal lunedì al sabato; per lei anche un’ora in più di supporto al Sert. Il servizio, poi, non prevedeva alcuna assistenza nei festivi e durante le ferie dell’infermiera. L’Usl 1 alla fine dello scorso anno ha esternalizzato il servizio, affidandolo alla Cooperativa Croce Blu di Belluno, che lo ha espletato fino al giugno di quest’anno per sette ore al giorno, di cui una di supporto al Sert. Ed è venuta proprio dal direttore del Servizio delle dipendenze la richiesta di incrementare di 30 ore mensili l’orario di ciascuna figura professionale, così da garantire un’adeguata assistenza di base ai detenuti. Attualmente, quindi, nel carcere agisce il servizio infermieristico (aggiudicato ancora alla Cooperativa Croce Blu) e un medico di base, mentre altri tre si alternano per le guardie notturne dalle 14 alle 5 di ogni giorno. A questi si affiancano anche i medici specialisti, come l’infettivologo e lo psichiatra, che garantiscono due accessi al mese. Per poter garantire gli standard di assistenza penitenziaria, la Regione sta lavorando per elaborare un modello omogeneo per tutto il territorio veneto. Lucca: “Lavorare vale la pena”, si è concluso il corso del Gruppo Volontari Carcere www.loschermo.it, 20 settembre 2010 È terminato con l’estate il corso per volontari del carcere organizzato dall’associazione “Gruppo Volontari Carcere Lucca”. Un percorso di formazione per chi desiderava fare volontariato in questa particolare parte della nostra società troppo poco illuminata dall’attenzione pubblica, se non negli ormai troppo frequenti casi di denuncia di stati di degrado, di fatiscenza delle strutture, di invivibilità, di situazioni sovraffollate ed incapaci di offrire condizioni dignitose all’esistenza delle persone recluse. Il corso, che si è tenuto nei locali della Cooperativa Sociale Giovani e Comunità a Pieve San Paolo (Capannori), è iniziato il 17 aprile e si è concluso a luglio, con un evento clou di particolare importanza: una gita nell’isola-carcere di Gorgona. Chi sono stati i partecipanti al corso? “Abbiamo avuto 12 iscritti - spiega Massimiliano Andreoni, responsabile per il settore formazione del Gruppo Volontari Carcere - tra cui studenti, giovani in servizio civile, psicologi, educatori, insegnanti, assistenti sociali e dirigenti o funzionari di enti. Durante il corso hanno potuto confrontarsi con cooperatori sociali, esperti sul tema del carcere, docenti universitari, ed anche con il direttore ed il medico veterinario della struttura carceraria di Gorgona”. Quali sono stati i punti centrali del corso? “Il focus del corso era centrato sul tentativo di comprendere come si può coniugare oggi, nel 2010, lavoro e svantaggio sociale, in particolare in un settore quale quello agricolo-zootecnico, o comunque a stretto contatto con la natura. L’esperienza fatta dal gruppo nell’isola-carcere di Gorgona, in questo senso, rappresenta una delle esperienze più alte del corso. Abbiamo cercato di raccontarci e di guardare a possibili e fattibili sinergie rispetto alle utenze del carcere del nostro territorio”. C’è un messaggio in particolare che è emerso da questa esperienza? “Abbiamo capito che è difficile, ma che un altro modo di pensare la persona svantaggiata, ed in particolare il detenuto o l’ex-detenuto, è possibile”. Lo dimostra la Gorgona, nei cui spazi, campi, recinti e strutture, vede gli “ospiti”, i detenuti, muoversi con un margine di libertà ed autonomia impensabile in qualsiasi altra struttura detentiva oggi in Italia. Una realtà dove i detenuti possono ancora considerarsi persone in grado di fare, o imparare, un lavoro, elemento primario per ridare un senso alla propria esperienza di vita ed un posto nella società. Che senso ha avuto, per chi ha seguito il corso, questa visita all’isola-carcere di Gorgona? “Per noi è stato un po’ come vedere realizzate alcune idee, alcune teorie studiate durante il corso; abbiamo potuto vedere come un uomo, anche se sofferente, e la natura, intesa come verde ed animali, possano ben coniugarsi e collaborare reciprocamente”. Gorgona: viaggio nell’isola dove il carcere è “sostenibile” di Anna Benedetto www.loschermo.it, 20 settembre 2010 L’isola carcere di Gorgona è un mondo “altro”. Altro perché una persona comune non se lo può immaginare. Altro perché è un carcere, e come tale ha regole rigide, ha sbarre e limitazioni: serve a contenere. Però, aggirarsi per i sentieri, i boschi, i campi della Gorgona comunica tutt’altro. Comunica senso di appartenenza e non di segregazione, ed anche se il mare segna molto bene il confine tra il carcere ed il resto del mondo, l’aria che ciascuno può respirare è sufficiente. Ed è decisamente buona. In più, ci sono gli animali. Ci sono queste anime che vivono a contatto con i detenuti, aiutandoli a dare un senso al passare dei giorni, riempiendoli con i ritmi della nascita, della crescita, della riproduzione, ed anche della morte. Anche se, purtroppo, dentro ad un macello. Il viaggio per i sentieri di Gorgona, i corsisti del gruppo volontari del carcere lo hanno fatto con due guide d’eccezione: il veterinario Marco Verdone,consulente della Casa di Reclusione dell’Isola di Gorgona dal 1989, che nell’isola cura gli animali con l’omeopatia, e che promuove la conoscenza di Gorgona e le opportunità che nascono dalla relazione con la terra e con gli animali, ed autore del libro “Il respiro di Gorgona, Storie di uomini, animali e omeopatia nell’ultima isola-carcere italiana”, e la volontaria Simona Ghinassi, livornese, che ha scelto questo carcere per dare il suo contributo al mondo in cui viviamo. “Gorgona è l’isola più piccola e settentrionale dell’Arcipelago Toscano - spiega Verdone - Realtà complessa, multifunzionale, ricca di storia e di esperienze da conoscere. È carcere, parco, fattoria, comunità di uomini e natura. È luogo di qualità e di sperimentazione. Il lavoro con la terra e gli animali è parte fondante del percorso di riabilitazione. Lavoro, formazione e dignità della carcerazione ne fanno un laboratorio a cielo aperto da preservare e replicare”. Nella colonia agricola-carcere vivono attualmente 75 detenuti che hanno chiesto di terminare qui il loro percorso penale: di giorno lavorano nei campi e nelle strutture, dove si prendono cura degli animali e la sera fanno rientro nelle celle. Detenuti che per la loro opera sono remunerati 150 euro al giorno: un costo che certo altre carceri non hanno, ma che restituisce a queste persone una dignità ed offre loro un’opportunità occupazionale una volta usciti. “Certo - spiega Verdone - lavorare nel mondo esterno non è come lavorare qui. Qui siamo in un ambiente protetto, dove anche il modo di gestire gli animali in allevamento è molto diverso dalle realtà produttive che rispondono alle esigenze del mercato. Ci sono detenuti che, una volta fuori, lamentano questa differenza… in peggio. Nel senso che a volte la qualità di vita che garantiamo agli animali allevati in Gorgona non si riscontra nel mondo esterno”. L’idea della detenzione agricola discende da una concezione filosofica dell’epoca del Granducato di Toscana, in contrapposizione all’idea di reclusione forte. In Italia abbiamo avuto anche le esperienze di Pianosa e dell’Asinara, poi chiuse, anche inseguendo il miraggio del turismo. Un miraggio, appunto, dato che non c’è mai stato un vero decollo. Gorgona è rimasta l’unica realtà penale insulare, che rimane aperta nonostante gli alti costi di gestione, con tre motovedette giornaliere (52 persone occupate), circa 70 agenti e una ventina di amministrativi e personale dell’indotto. Gorgona resiste. Lo fa producendo ricchezza sottoforma di prodotti agricoli e caseari, e lo fa anche aprendosi a chi ne vuole conoscere il magico equilibrio tra uomo, disagio, natura ed animali, grazie alla volontà di un direttore, Carlo Mazzerbo (attualmente direttore a Porto Azzurro e sostituito da poche settimane da Paolo Basco) che si prende la responsabilità di far visitare il carcere a gruppi come questo, mantenendo aperto un contatto tra chi è fuori e chi è dentro, senza che vi sia obbligato da nessuna legge o regolamento. Un senso di responsabilità e un’apertura mentale preziosi per tutti: basti vedere come vanno le cose qui per capire che un’altra detenzione è possibile. Ed avrebbe ripercussioni positive su tutta la società. Alla Gorgona c’è anche un paese: 30 case di proprietà di abitanti stagionali, estivi, tranne la signora Luisa, classe 1924, che vive qui tutto l’anno e si rifornisce al piccolo spaccio dove, con il favore del mare, arrivano approvvigionamenti da terra. Alla Gorgona c’era anche un ufficio postale. Ma le leggi del mercato sono impietose, ed anche se questo era uno dei pochi modi con cui l’isola poteva mantenere un contatto con il resto del mondo, l’ufficio è stato chiuso. I detenuti hanno chiesto a gran voce la sua riapertura, ma dall’inizio dell’anno sembra che Poste Italiane abbia deciso di chiudere la succursale che operava sull’isola tre giorni alla settimana, dal martedì al venerdì. Lo ha fatto a causa dei costi del dipendente. La decisione ha inevitabilmente generato disagi per i detenuti e il personale di polizia penitenziaria, ma anche per i residenti e le persone che hanno a che fare con l’istituto (educatori, assistenti sociali e medici). Non solo lettere: nella richiesta che i detenuti hanno inviato ad enti e media si spiega che “la chiusura dell’ufficio ha creato un enorme scompiglio per quanto riguarda l’invio e la ricezione della posta ordinaria, l’invio dei vaglia per inviare aiuti economici alle nostre famiglie, l’invio e la ricezione di pacchi postali contenenti vestiario e altri generi alimentari. Senza contare i correntisti che vorrebbero depositare i propri stipendi”. “Non abbiamo la certezza che tutte queste operazioni avvengano correttamente - scrivono i reclusi - anche perché dobbiamo considerare la variabile meteo, visto che alla Gorgona la nave non può entrare in porto ma bisogna fare lo sbarco in mare aperto”. “Chiediamo quindi che siano fatti valere i diritti sanciti dalla Costituzione”. Pare però che, proprio in questi giorni, sia stata ottenuta una piccola apertura settimanale. Detenuti che vogliono rimanere uomini. E che anche per questo chiedono di essere trasferiti alla Gorgona. Dall’altra parte rispetto a loro si trovano gli agenti di polizia penitenziaria. Un altro lato solo immaginario, dato che condividono il piccolo spazio dell’isola per molte ore al giorno. Una realtà difficile per chi ha la famiglia lontano, confinato sull’isola per molti giorni di seguito senza poter tornare a casa. Ma anche una realtà serena, per quanto possa esserlo un istituto penitenziario. Uno degli agenti, Carmine, scambia qualche parola con il gruppo per spiegare il senso della sua permanenza alla Gorgona, della sua scelta di lavorare lì. Non sfuggono la passione e la dedizione con cui Carmine parla del suo lavoro, non facile né scontato, che tutti i giorni lo costringe sulla soglia di rapporti umani che devono essere di collaborazione ma mai sfociare in alleanza, che devono mantenere le distanze ma allo stesso tempo trovare un’intesa, una fiducia reciproca, dal momento che non ci sono muri o sbarre a frenare, limitare, rinchiudere, proteggere, né dall’una né dall’altra parte. Ci vogliono equilibrio e motivazione. Come in tutti gli uomini, per vivere. Padova: la vicenda di Stefano Cucchi diventa un recital, sabato scorso la “prima” al Due Palazzi Il Mattino di Padova, 20 settembre 2010 Il teatro civile di Ugo De Vita supera i fatti e attraverso la narrazione entra nell’animo umano, per scardinarne i confini, per indagarne le più profonde emozioni. E queste emozioni si sono sentite sabato mattina nell’auditorium del carcere Due Palazzi. Le hanno provate i detenuti che hanno assistito al nuovo spettacolo teatrale di Ugo De Vita, “In morte segreta”, dedicato alla vicenda drammatica di Stefano Cucchi. La storia di Stefano Cucchi ha occupato le pagine di cronaca per diversi giorni: morì lo scorso ottobre nel reparto detentivo dell’ospedale Pertini di Roma, otto giorni dopo il suo arresto per spaccio di droga (era in possesso di venti grammi di hashish). La famiglia lo ha perso così, senza una spiegazione plausibile ma con un sospetto che con il tempo è diventato una certezza: picchiato a morte in carcere. Il processo riprenderà a ottobre. Alla performance di ieri mattina ha assistito anche la famiglia Cucchi, i genitori e la sorella di Stefano, Ilaria, che a fine spettacolo ha parlato alla sala in modo semplice, chiedendo solamente che sia fatta giustizia e sia detta finalmente la verità su questa assurda morte di un ragazzo di trent’anni. “È stato ucciso da persone cattive”, ha detto Ilaria Cucchi, e quella parola “cattive”, dopo l’emozionante recital di De Vita, ha risuonato a lungo tra le mura del Due Palazzi. Diceva Piero Ruzzante, consigliere regionale del Pd venuto a vedere la rappresentazione, che “qui al Due Palazzi sembra tutto perfetto, ma cento metri più in là, al Circondariale, la situazione è spaventosa”. Spaventoso può essere un luogo, certo, ma spaventoso è l’animo umano quando compie soprusi e violenze gratuite, calpestando il diritto alla vita, alla giustizia, alla dignità, così come è successo a Stefano Cucchi, nel racconto appassionato di Ugo De Vita. Lo spettacolo è composto da un filmato-intervista a Ilaria Cucchi, girato in casa e focalizzato su quella notte in cui Stefano viene arrestato, e portato in carcere da cui uscirà morto; e dal recital del regista-attore che indaga i sentimenti del ragazzo, i suoi sogni, i suoi tormenti, le sue angoscie. “Ho lavorato quattro mesi a questo testo”, ha poi spiegato l’attore, “perché nel mio teatro civile c’è una ricerca attenta ai particolari della vicenda che racconto e del protagonista che l’ha vissuta”. Questo spettacolo-testimonianza (a Padova promosso da Ristretti Orizzonti) sarà nei prossimi giorni a Milano e Roma. Altre date, in teatro, saranno fissate per l’inverno. Il progetto di De Vita, però, non si limita allo spettacolo ma vuole avviare dei laboratori culturali nelle carceri italiane, in accordo con le associazioni “Nessuno Tocchi Caino” e “Nazionale Cantanti italiani”, cercando la formula del coinvolgimenti dei detenuti nelle attività. Roma: domani pomeriggio un incontro sul tema delle detenute madri e dei bambini in carcere Comunicato stampa, 20 settembre 2010 A Roma è in corso la mostra fotografica “Che ci faccio io qui? I bambini nelle carceri italiane” (9-29 settembre, Sala Santa Rita, Piazza Campitelli). Nell’ambito del periodo di esposizione della mostra abbiamo deciso di organizzare un momento di approfondimento e d’incontro-confronto sul tema. Il tema si sta affrontando in Commissione Giustizia della Camera dei Deputati sul testo unificato “Disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori” che dovrebbe risolvere, una volta per tutte, e non più solo a parole, ma con procedure chiare e percorribili il problema che “nessun bambino varchi più la soglia di un carcere”. L’incontro è fissato per martedì 21 settembre p.v. alle ore 17.00, presso la Sala della Pace della Provincia di Roma, via IV Novembre. L’occasione ci sembra particolarmente importante da cogliere tutti insieme, per un confronto diretto di merito con i rappresentanti istituzionali che si apprestano e legiferare per sostenerli con le nostre conoscenze e proposte, affinché siano varate le indispensabili norme necessarie a raggiungere l’obiettivo. Hanno finora confermato la loro partecipazione l’Assessore alla Cultura del Comune di Roma, l’Assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Roma, Parlamentari della Commissione Giustizia della Camera e rappresentati delle associazioni di volontariato e del terzo settore. Vi preghiamo vivamente di partecipare e di portare il vostro contributo. Vi aspettiamo, cordiali saluti. On. Leda Colombini Presidente Associazione “A Roma, Insieme” Roma: domani alla Biblioteca vallicelliana un recital in memoria di Stefano Cucchi Dire, 20 settembre 2010 Un recital per raccontare la vita di Stefano Cucchi, i suoi “pensieri, ricordi, i sogni, le contraddizioni e le emozioni”. Dopo la prima nell’Auditorium della casa di reclusione di Padova, è prevista per domani nella Biblioteca vallicelliana di Roma la rappresentazione di “In morte segreta”, scritta e interpretata da Ugo De Vita, autore di teatro civile che ha dedicato l’opera “non alla cronaca giudiziaria, che ha portato a tredici rinvii a giudizio, ma alla vita di Stefano”. Nel corso della conferenza stampa di presentazione, De Vita ha spiegato di aver scelto di chiamare così lo spettacolo dopo avere parlato con la madre di Stefano: “Rita Cucchi diceva sempre che le avevano nascosto il figlio. La mamma di Stefano non voleva che fosse una morte segreta, per questo ho deciso di chiamare così il mio lavoro”. “Da subito - ha detto Ilaria Cucchi, sorella del ragazzo morto lo scorso ottobre nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini a otto giorni dal suo arresto - ho capito che lo scopo dello spettacolo non era quello di raccontare la realtà nuda e cruda, ma entrarci dentro e sentire le emozioni che abbiamo vissuto noi”. “Mi sento fortunata ad avere incontrato così tanta solidarietà - ha aggiunto Ilaria Cucchi - per questo c’è l’idea di dare vita a una associazione: quando ricevi hai anche voglia di restituire”. La sorella di Stefano ha poi ricordato la sentenza di condanna verso alcuni agenti per la morte di Federico Aldrovandi: “Questo - ha aggiunto - dà la forza di credere che c’è un senso. Stefano per me è ancora vivo, e finché non comprenderò la verità, prima ancora della giustizia, finché non saprò perché mio fratello non c’è più, non riuscirò ad andare avanti”. ‘In morte segretà rappresenta 65 minuti per “conoscere Stefano”, a partire da un video in cui la sorella Ilaria e la mamma Rita raccontano la sua vita, dalla nascita ai problemi di tossicodipendenza, fino alla sera del 15 ottobre scorso, quando Stefano “è stato fermato nei pressi dell’Acquedotto e l’ho rivisto solo dopo, quando ci hanno riconsegnato il corpo”. Dopo Padova e Roma, il recital, promosso dalle associazioni Nessuno tocchi Caino, Ristretti orizzonti e A buon diritto, e patrocinato dal garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, e dalla Nazionale italiana cantanti, è atteso il 14 ottobre a Milano presso la Biblioteca Braidense. Napoli: dalla cella al palcoscenico, i detenuti protagonisti di una rassegna al Teatro Marcadante Adnkronos, 20 settembre 2010 Dalle sbarre al palcoscenico. Nata nel 2003 nell’ambito di un articolato programma di solidarietà sociale, civile e culturale verso i cittadini detenuti promosso dalla Camera Penale di Napoli, da dopodomani a venerdì 24 settembre alla sala Ridotto del Teatro Mercadante di Napoli al via la sesta rassegna di teatro Il carcere possibile, che si concluderà lunedì 27 settembre alla Casa Circondariale di Benevento. Promossa dall’omonima associazione onlus e Teatro Stabile di Napoli, in collaborazione con il Provveditorato della Campania Amministrazione Penitenziaria, l’edizione 2010 de Il carcere possibile propone 11 spettacoli realizzati e diretti da registi e operatori teatrali con detenuti/attori degli Istituti penitenziari campani di Airola, Ariano Irpino, Arienzo, Benevento, Eboli, Lauro, Nisida, O.P.G. di Aversa, O.P.G. di Napoli, Poggioreale, Santa Maria Capua Vetere e Secondigliano. Il calendario prevede due spettacoli al giorno, alle 18.00 il primo e alle 20.00 il secondo, tutti a ingresso gratuito; lo spettacolo di lunedì 27 alla Casa Circondariale di Benevento è alle 15.00, con ingresso autorizzato dalla Direzione dell’Istituto previa richiesta scritta all’indirizzo mail: cc.benevento@giustizia.it. Lunedì settembre alle 18, l’apertura è affidata allo spettacolo Progetto Nessuno, liberamente ispirato all’Odissea di Omero, ideazione e regia di Pino Carbone di Teatri & Etèrnit, con il gruppo di internati/attori dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Napoli. A seguire, alle 20, la compagnia Maniphesta Teatro presenta Avanti tutta!, con i detenuti/attori del Centro Penitenziario di Secondigliano e di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), regia di Giorgia Palombi. Martedì 21, alle 18, il Teatro dell’Icatt di Eboli sarà in scena con Lu cunto de li ddoje vecchie, da Gian Battista Basile, con la regia di Pino Turco; alle 20, la Compagnia Teatrale dell’Istituto di Arienzo e l’Associazione Insiemexcaso propongono lo spettacolo Cu ‘e solde se campa felice!, liberamente tratto da Miseria e Nobiltà di Eduardo Scarpetta. Mercoledì 22, alle 18, i detenuti/attori della Casa Circondariale di Poggioreale presentano lo spettacolo Contenuti, ispirato all’opera di Samuel Beckett, su ideazione e regia di Patrizia Giordano; alle 20, il gruppo TeatrInGestAzione e gli internati/attori dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa propongono Fratello mio, Caino, con la regia di Gesualdi Trono. Giovedì 23 alle 18 il gruppo di detenuti/attori della Casa Circondariale di Ariano Irpino presenta Spazi di attesa, lettura scenica in movimento diretta da Eleonora Santoro; alle 20.00, i giovani detenuti della Casa Circondariale di Lauro e la compagnia Le Vocidentro propongono Nu quart ‘e luna, con la regia di Sandro Dionisio e gli interventi video di Francesca Amitrano. Venerdì 24, alle 18.,va in scena lo spettacolo Il disordine dei mestieri, con giovani detenuti dell’Istituto Penale Minorile di Airola e la compagnia I Refrattari, regia di Antimo Nicolò; alle 20.00 chiude la cinque giorni al Mercadante lo spettacolo Marialuna, una vita tutta in salita?, testo e musica di Pino De Maio, con i giovani detenuti dell’Istituto Penale per Minori di Nisida. Lunedì 27, appuntamento alle 15. alla Casa Circondariale di Benevento con il testo di Giuseppe de Vincentis, Il Tallone di Achille, diretto da Giuseppe Fonzo. Palermo: film su Padre Puglisi proiettato per i detenuti del carcere Pagliarelli Asca, 20 settembre 2010 Si è sciolta con un applauso spontaneo della platea la tensione emotiva seguita alla proiezione del film “Brancaccio” sull’omicidio di don Pino Puglisi, che aveva per spettatori i detenuti del carcere Pagliarelli, i quali hanno seguito il film nella casa circondariale insieme al regista Gianfranco Albano e all’attore Ugo Dighero, interprete del sacerdote ucciso 17 anni fa dalla mafia. L’appuntamento conclusivo della rassegna “Nuovissimo cinemissimo paradisissimo” che ad agosto si è svolta nei cortili passeggio dove i reclusi trascorrono la loro ora d’aria, è stato dedicato al primo film girato sul prete di Brancaccio e trasmesso da Rai Uno in due puntate nel 2001. “Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto”, ripeteva padre Pino Puglisi. E in questo senso si iscrive l’iniziativa che ha riguardato 200 dei 1300 reclusi al Pagliarelli, secondo carcere di Palermo, afflitto dal problema del sovraffollamento. “È necessario un confronto tra più parti per affrontare la questione - ha detto Orazio Faramo, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria - a mio avviso una delle strade percorribili sarebbe procedere alla depenalizzazione di alcuni reati che non destano allarme sociale. Riuscire a rasserenare un ambiente come quello carcerario dove sono numerosi i tentati suicidi e gli episodi di aggressione e violenza è il punto di forza di attività come queste - spiega Francesca Vazzana, direttrice del carcere - e il cineforum avviato ad agosto dai volontari del centro Padre Nostro è stata una boccata d’ossigeno per i detenuti”. Visibilmente commosso Ugo Dighero, l’attore che ha impersonato il sacerdote: “La cosa più difficile è stata dare voce al coraggio di chi ha fatto delle scelte chiare ed è andato avanti per la propria strada, mettendoci carne e sangue. La cosa peggiore che si possa fare oggi nel nostro Paese è provare a dividere il mondo in bianco e nero, come sta accadendo con il cosiddetto partito dell’amore”. Libano: rivolta in carcere, sei agenti presi in ostaggio dai detenuti Ansa, 20 settembre 2010 Sei guardie di una prigione di Tripoli, nel Nord del Libano, sono state prese in ostaggio questa mattina da una trentina di detenuti che hanno scatenato una rivolta, riferisce l’agenzia ufficiale libanese Nna. Il capo della polizia locale ha già avviato trattative per ottenere la liberazione degli ostaggi, aggiunge la stessa fonte. La rivolta avviene nella prigione di Qubba - che ha una capacità di circa 600 detenuti - dove nel 2009 già si erano registrati avvenimenti dello stesso tipo, sulla scia di proteste inscenate per chiedere migliori condizioni di detenzione e per denunciare il prolungamento della detenzione inflitta ad alcuni carcerati oltre i limiti previsti dalla legge.