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Giustizia: ecco perché il "Piano Carceri" è destinato a fallire di Angiolo Marroni (Garante diritti detenuti Regione Lazio)
L’Unità, 30 marzo 2010
Mario il barbone ha passato 3 mesi in carcere per aver rubato un pezzo di pane in un supermarket. Il 76enne Romeo invece, aveva occupato abusivamente d’inverno una spiaggia con gli ombrelloni. Carlo, 65 anni, ha passato Natale in cella per aver rubato corrente dall’illuminazione pubblica. Sono questi i casi che, quotidianamente, affronta chi si occupa di carcere. Situazioni ormai sempre più frequenti con una popolazione carceraria arrivata in tutta Italia ad oltre 66mila unità e che, ad esempio, nel Lazio ha sfondato da pochi giorni la fatidica quota seimila. Un’emergenza figlia di una politica che punisce col carcere ogni condotta illecita e confermata dai numeri: se i reati gravi diminuiscono ma i detenuti crescono in maniera esponenziale, qualcosa non torna. Poi se a tutto ciò si aggiunge che, come nel Lazio, il 50% dei reclusi è in attesa di sentenza definitiva, l’impressione che se ne ricava è che il giocattolo si sia irrimediabilmente rotto. La soluzione del governo contro l’emergenza è il "Piano carceri" che, nelle intenzioni del Ministro Alfano, dovrebbe risolvere il sovraffollamento con quattro mosse: 1) Stato di emergenza per il 2010; 2) Aumento della capienza degli istituti di 21mila unità; 3) Assunzione di 2.000 agenti penitenziari; 4) Detenzione domiciliare per chi ha una pena inferiore a un anno e affidamento in prova per chi è in attesa di giudizio con reati fino a 3 anni. Il Piano è fatalmente destinato a fallire. La costruzione di nuovi istituti potrebbe essere utile se servisse a sostituire carceri ultracentenarie e fatiscenti, come Regina Coeli, che non garantiscono condizioni minime di vivibilità e violano il dettato Costituzionale in materia di pena. Il ministro ha detto che in 20 mesi i posti sono aumentati di 1.600 unità, 80 al mese, mentre i detenuti crescono di circa 700 unità mensili. Con la stessa velocità, per realizzare i posti previsti occorreranno 20 anni: nello stesso periodo i detenuti saranno arrivati ad oltre 160.000. Le assunzioni copriranno solo i pensionamenti dimenticando che, per far funzionare le carceri, occorrono migliaia di nuovi agenti, educatori, assistenti sociali e psicologi. Le pene alternative non influiranno sulla popolazione detenuta, perché già oggi i condannati non recidivi con pene fino a 3 anni possono avere dei benefici. La vera soluzione passa dall’abolizione delle leggi che producono carcere e dal rilancio delle misure alternative, oggi in crisi per carenza di mezzi e normative adeguate. Accanto a ciò, occorre la radicale riforma del codice penale, con il ricorso al carcere per i reati più gravi e un sistema di pene alternative per le categorie disagiate (tossicodipendenti, malati psichici, stranieri senza permesso di soggiorno); un meccanismo che ridurrebbe i detenuti senza danno per la sicurezza dei cittadini. Giustizia: ddl Alfano inadeguato, ma sempre meglio di niente di Adriano Sofri
Il Foglio, 30 marzo 2010
Che le proposte governative sul carcere siano inadeguate alla scandalosa situazione con cui si misurano, è evidente a chiunque, ministero compreso. Tuttavia sarebbe un errore impedire, in nome di misure più efficaci e oggi fuori portata, che si approvi e si realizzi almeno quello che di buono è contenuto nel decreto proposto. Di buono c’è la concessione della detenzione domiciliare per pene fino ad un anno, anche per i recidivi (con l’esclusione dei reati più gravi) e l’introduzione della sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputati adulti. Mi auguro perciò che il Pd non voglia negare la sede legislativa in commissione Giustizia alla Camera, senza di che tutto andrebbe alle calende greche. Mi pare ragionevole e motivato l’accorato appello di Rita Bernardini (che per questo aveva condotto uno sciopero della fame di 19 giorni). "Non rilevare che, per la prima volta da quando è iniziata la legislatura a maggioranza di centrodestra, si registra un’inversione di tendenza rispetto alla politica pervicacemente fin qui adottata all’insegna di "più galera per tutti", disconosce un merito che i nostri Gruppi possono rivendicare dopo l’approvazione delle mozioni sulle carceri nei due rami del Parlamento. Certo, dobbiamo perseguire il miglioramento del ddl, ma non concedere la corsia preferenziale della sede legislativa non mi sembra politicamente giusto ed efficace. Vogliamo trascinare la discussione per mesi e mesi in sede referente e poi avere chissà quando il passaggio in aula e poi l’esame da parte dell’altro ramo del Parlamento? Arriveremo all’estate con più di 70.000 detenuti senza che nulla in concreto sia stato fatto". Ci sono alcune migliaia di detenuti con una pena residua inferiore all’anno, e la loro progressiva - non dunque una tantum - assegnazione ai domiciliari varrebbe almeno a rattoppare l’aumento senza fine del numero dei detenuti e dell’invivibilità delle celle. Giustizia: Sappe; contro sovraffollamento lo Stato sia presente
Il Velino, 30 marzo 2010
"La situazione di sovraffollamento carcerario rischia di diventare uno strumento di stabilizzazione anche da parte della criminalità organizzata che, in modo nascosto, è in grado di approfittare delle tensioni e di stimolarle per collassare il sistema penitenziario, che è fragile, perché senza mezzi, poliziotti, educatori, risorse finanziarie. Tanto più sarà in crisi il presidio di legalità e sicurezza che il carcere rappresenta, tanto più la criminalità organizzata potrà strumentalizzare tale disagio e rafforzarsi". È l’analisi compiuta dal segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria, Donato Capece, contenuta nella relazione presentata ad Abano Terme durante i lavori del ventunesimo Consiglio nazionale. "Condizione essenziale è - sostiene - una maggiore presenza dello Stato sul territorio, attraverso le Forze dell’ordine, tutte le forze di polizia, anche penitenziaria, perché la criminalità organizzata non vive solo nella società libera ma esiste ed agisce anche nelle carceri, dove recluta, istruisce, progetta e ordina". Il segretario generale ha voluto, poi, ricordare l’allarme lanciato dall’ultima relazione dei servizi segreti sulla possibilità che i boss mafiosi continuino a comandare da dietro le sbarre. Nell’ambito del Piano carceri, il Sappe ribadisce, ancora, la necessità di un arruolamento immediato di almeno 2.000 unità, a fronte delle circa 6.000 che mancano. E suggerisce una soluzione alternativa per l’edilizia penitenziaria: "parliamo di un progetto modulare, vale a dire un edificio in acciaio, con grandi capacità di resistenza agli agenti atmosferici, agli attacchi chimici o ad altri processi deteriorativi, che può essere sopraelevato senza particolari misure strutturali e con costi competitivi e tempi di esecuzione estremamente rapidi. Si tratta di edifici con 600 posti letto costruibili in quattro mesi - conclude Capece -, con un costo inferiore ai 20 milioni di euro. Anche questa potrebbe essere una prima rapida soluzione per deflazionare le affollate carceri italiane".
Serve una nuova politica della pena
Ad Abano Terme in queste ore si discute in particolare della grave situazione carceraria, che vede il pesante sovraffollamento delle strutture (più di 67mila i detenuti presenti, a fronte di una capienza regolamentare di 43mila posti) e le altrettanto significative carenze di organico del Corpo - circa 5mila unità -, condizioni che rendono particolarmente gravose e stressanti le condizioni di lavoro delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria. Testimonianza delle gravi criticità penitenziarie, le pressoché quotidiane aggressioni a poliziotti penitenziari e l’alto numero di detenuti suicidi. "L’attuale sovraffollamento va a discapito delle condizioni detentive in linea con il dettato costituzionale previsto dal terzo comma dell’articolo 27 e delle condizioni lavorative delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria che lavorano nella prima linea delle sezioni detentive. Se il carcere è in larga misura destinato a raccogliere il disagio sociale, è evidente come la società dei reclusi non possa che essere lo specchio della società degli uomini liberi. In altri termini, sembra che lo Stato badi solo ad assicurare il contenimento all’interno delle strutture penitenziarie. È giunta l’ora di ripensare la repressione penale mettendo da un lato i fatti ritenuti di un disvalore sociale di tale gravità da imporre una reazione dello Stato con la misura estrema che è il carcere, e dall’altro, anche mantenendo la rilevanza penale, indicare le condotte per le quali non è necessario il carcere (ipotizzando sanzioni diverse). È chiaro che una opzione di questo tipo dovrebbe ridisegnare il sistema a partire dalle norme in materia di immigrazione e dalla individuazione delle risorse per affrontare il tema delle dipendenze e dei disturbi mentali fuori dal carcere. Rispetto ad una situazione così dirompente per l’organizzazione penitenziaria è necessario interrogarsi su che cosa fare e quali iniziative intraprendere" ha tra l’altro detto il Segretario Generale Sappe Donato Capece. In proposito, Capece ha sottolineato come "il Sappe da sempre propone una nuova politica della pena, prevedendo un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici, come il braccialetto elettronico; efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure". Giustizia: Osapp; commesse a Fincantieri novità piano carceri?
Adnkronos, 30 marzo 2010
"Le motivazioni dell’incontro convocato per domani al ministero della Giustizia destano non poche perplessità, visto che ben difficilmente i sindacati di Polizia penitenziaria potranno offrire utili suggerimenti al Guardasigilli sul cosiddetto piano-carceri, di cui è dato di conoscere poco o nulla". È quanto afferma il segretario dell’Osapp, organizzazione sindacale autonoma Polizia penitenziaria, Leo Beneduci, in vista dell’incontro di domani dei sindacati di categoria con il ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Per Beneduci, "le perplessità sono motivate se si considera anche che lo stesso capo dell’amministrazione penitenziaria e commissario straordinario Ionta ha invitato seccamente e per iscritto Provveditori Regionali e Direttori penitenziari a non intralciare l’accesso delle imprese di costruzioni nelle attuali carceri e l’esecuzione accelerata, anche a turni di lavoro raddoppiati, dei nuovi padiglioni, mentre da più parti comincia ad intravvedersi l’inutilità di un piano che oltre ad essere assai oneroso, nella migliore delle ipotesi, amplierebbe la capienza delle carceri nel triennio a 65.000 posti quando di detenuti ce ne saranno almeno 85.000". Intanto, lamenta il segretario dell’Osapp, "dei 2.000 poliziotti penitenziari in più entro il 2010 e degli altri 1.850 da assumere nel triennio, e che sarebbero pochi anche oggi, non si sa più nulla mentre la Polizia Penitenziaria dal 2008 ad oggi ha già perso 1.500 unità ne perderà altrettante entro il 2012". "Forse, le uniche novità del piano-carceri - aggiunge - come attualmente concepito potrebbero essere le commesse alla Fincantieri per la costruzioni di carceri galleggianti, utili sicuramente a superare la crisi e la cassa integrazione nel gruppo ma ben poco attinenti con le accresciute esigenze di sicurezza della collettività ed assolutamente controindicate rispetto agli attuali e gravi disagi lavorativi dei poliziotti penitenziari". Giustizia: periti di Procura; Cucchi vittima di errori in ospedale di Marino Bisso
La Repubblica, 30 marzo 2010
Stefano Cucchi sarebbe deceduto per la negligenza dei medici dell’ospedale Pertini che non lo avrebbero curato adeguatamente e non per le percosse subite dopo il suo arresto. È questa la conclusione della consulenza medico legale disposta dai pm Francesca Loi e Vicenzo Barba che indagano sull’agonia del geometra trentaduenne che dopo essere finito in manette, per pochi grammi di droga lo scorso 15 settembre, era stato ricoverato nel reparto penitenziario dell’ospedale romano dove poi è deceduto, dopo sette giorni, per disidratazione e denutrizione. Per i periti, dunque, le lesioni riscontrate sul corpo del giovane non avrebbero determinato la sua morte. E alla luce dei risultati della consulenza, la procura potrebbe rivedere la posizione dei tre agenti penitenziari indagati di omicidio preterintenzionale perché sospettati di aver pestato Cucchi nelle celle dei sotterranei di palazzo di Giustizia prima di essere processato. I pm potrebbero dunque contestare loro il reato, meno grave, di lesioni. Le conclusioni della consulenza della procura sono destinate comunque a creare nuove polemiche. Già nelle scorse settimane, Ilaria Cucchi, la sorella della vittima, aveva denunciato i ritardi dei consulenti della procura: "Ora sicuramente qualcuno comincerà ad adombrare una caduta accidentale pur di proteggere gli uomini in divisa che hanno procurato a Stefano quelle lesioni". Bologna: Garante; no chiusura del carcere alla società esterna
Comunicato stampa, 30 marzo 2010
L’Ufficio del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna esprime preoccupazione per le recenti dichiarazioni del segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante, che auspica la riduzione del numero di persone che accedono al carcere della Dozza per le varie attività, con conseguente riduzione delle attività interne a favore dei detenuti e dei contatti con la società esterna, come strumento per far fronte alle carenze di organico della Polizia penitenziaria in un carcere che vede ormai come costante la presenza di 1.200 persone detenute, contro una capienza regolamentare di 480. Ma il rimedio è peggiore del male. È dato incontrovertibile, anche per la riduzione costante delle risorse destinate al carcere, che l’Amministrazione penitenziaria si trova ormai a non poter garantire il minimo indispensabile (persino la carta igienica ed i prodotti per la pulizia degli ambienti sono razionati), e che la presa in carico da parte della comunità esterna e degli enti locali, i quali hanno ormai competenze ampie sull’esecuzione della pena e contribuiscono con la formazione e il lavoro all’accesso alle misure alternative e al reinserimento delle persone che escono dal carcere, sia un dato da cui non si può più tornare indietro. Non solo, ma l’apporto dell’associazionismo al carcere bolognese è tanto straordinario quanto imprescindibile, ponendo in essere interventi puntuali a favore della popolazione detenuta che vanno dalla distribuzione di vestiario ai colloqui di sostegno; dall’assistenza morale e materiale ai contatti con i legali, con la Magistratura di Sorveglianza, con l’Amministrazione penitenziaria, con l’ufficio del Garante; dall’organizzazione delle attività ricreative all’interno della struttura alla preparazione scolastica. Il contributo del volontariato, che profonde particolare impegno anche in attività tese a favorire i rapporti tra i detenuti e le loro famiglie, risulta essere decisivo ai fini dell’opera di risocializzazione costituzionalmente garantita. Non deve e non può sfuggire a coloro che si occupano di carcere quanto l’intervento puntuale del tessuto sociale bolognese in questi mesi di drammatico e insostenibile sovraffollamento abbia contribuito, insieme allo spirito di servizio della Polizia penitenziaria ed al senso di responsabilità della popolazione detenuta, a far sì che la situazione, già compromessa in ordine alla degenerazione delle condizioni di vivibilità ed alla violazione dei diritti umani, non esplodesse. Il contesto attuale del carcere della Dozza, nel quale i numeri insostenibili del sovraffollamento minano nel quotidiano la dignità umana delle persone private della libertà personale e la dignità professionale degli operatori penitenziari, si caratterizza per le note criticità: la cronica carenza di personale di Polizia penitenziaria e di personale adibito a mansioni educative; la mancanza di risorse sia per la messa a norma dell’istituto sia per il lavoro interno delle persone ristrette; la presenza di un numero elevato di persone tossicodipendenti, circa il 30%, e di persone con forte disagio psichico, a cui andrebbero rivolti interventi mirati, anche e soprattutto sul fronte esterno; la presenza di cittadini stranieri in misura superiore al 60%. La scelta da farsi è quella di ridurre i numeri delle presenze in carcere, attraverso il mirato utilizzo di misure alternative, un piano straordinario per la tossicodipendenza e una rivisitazione delle fattispecie penali che consentono una carcerizzazione massiccia, a cominciare dalla legge sull’immigrazione, ed un uso oculato della custodia cautelare in carcere che vede anche alla Dozza due terzi della popolazione ancora in attesa di definire la propria posizione giuridica . La chiusura verso l’esterno non gioverebbe affatto alla Polizia penitenziaria, che vedrebbe svilito il proprio ruolo di partecipe del trattamento penitenziario, ma anche un peggioramento del clima di tensione e sofferenza già molto elevati a causa del sovraffollamento e quindi anche delle condizioni di lavoro. Bisognerebbe altresì chiedersi fino a quando sia ammissibile che vengano portate in un carcere strapieno persone arrestate e condannate, quando già adesso ci sono persone che dormono con il materasso per terra.
Avv. Desi Bruno Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Bologna Cagliari: apertura di reparto detenuti all'Ospedale Is Mirrionis
Adnkronos, 30 marzo 2010
"Diventerà operativo nelle prossime settimane il reparto protetto dell’ospedale di Is Mirrionis dove troveranno ospitalità i detenuti che versano in gravi condizioni di salute o hanno necessità di un ricovero ospedaliero pre o post operatorio". Ne da notizia Maria Grazia Caligaris, presidente di Socialismo Diritti Riforme, avendo appreso che il Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria ha ottenuto il rafforzamento del numero degli Agenti di Polizia Penitenziaria di Cagliari per ottemperare alle necessità del reparto detenuti. "In attesa che venga attuato il definitivo trasferimento della Sanità penitenziaria al Servizio Sanitario, l’apertura del reparto di Is Mirrionis - sottolinea Caligaris - risponde a un bisogno ormai improcrastinabile per la presenza nelle carceri sarde. Si tratta di un risultato particolarmente atteso dai pazienti, dai medici e dagli Agenti di Polizia Penitenziaria necessitati spesso a singoli piantonamenti per detenuti ricoverati negli Ospedali". "Un traguardo che rende merito a quanti, soprattutto il Provveditore Francesco Massidda e l’assessore regionale della Sanità Antonello Liori, si sono impegnati a completare un percorso che - dice la presidente di Sdr - ha visto consistenti finanziamenti per realizzarlo ma che ancora dopo 17 anni dalla legge istitutiva e nonostante numerosi solleciti non è stato ancora reso disponibile. Con l’attuazione della norma potranno essere risolti tanti problemi anche perché il Centro Clinico di Buoncammino, che dispone di 30 posti letto, è costantemente in condizioni di soprannumero essendo ormai diventato un presidio sanitario territoriale". "Occorre inoltre ricordare - ha concluso la Caligaris - che esiste un protocollo d’intesa tra Stato e Regione con una serie di impegni tesi a rendere anche le carceri sarde luoghi in cui la detenzione ha una finalità rieducativa. La maggior parte però sono ancora disattesi a partire dalla territorializzazione della pena che garantirebbe ai detenuti il rispetto del diritto all’affettività e vicinanza ai familiari". Quello di Cagliari è il secondo reparto protetto realizzato in Sardegna dopo quello di Nuoro. Enna: detenuto aggredisce tre agenti della polizia penitenziaria
La Sicilia, 30 marzo 2010
L’ennesima aggressione all’interno del carcere di Enna, a tre agenti penitenziari da parte di un detenuto. I tre, sono stati soccorsi dall’ambulanza del 118 e trasportati all’ospedale di Enna, dove sono stati sottoposti a delle medicazione per le ferite riportate. Uno degli agenti, invece, è stato sottoposto ad esame radiografico, dato che, lamentava una forte contusione al bacino e al braccio destro. Tutte e tre le vittime hanno avuto, dopo i vari esami, una prognosi di sette giorni. Una lettera di protesta è stata inviata agli organi ministeriali ed alla direttrice del carcere, Letizia Bellelli, da parte del segretario regionale dell’organizzazione sindacale Osapp, Lorenzo Valenti. Il detenuto, già in passato avrebbe aggredito la Polizia Penitenziaria, anche se probabilmente in modo meno eclatante, ma è sicuramente un motivo di preoccupazione per chi si trova ad operare all’interno del carcere ennese. È sicuramente difficile la situazione all’interno del carcere anche perché il numero di detenuti presenti è decisamente maggiore rispetto al personale presente. Il responsabile dell’organizzazione sindacale ha chiesto, nella lettera di protesta alle autorità competenti, di voler valutare la possibilità di adottare urgenti provvedimenti, che assicurino l’allontanamento del detenuto in questione dalla Casa Circondariale di Enna. Opera (Mi): ritorna la biblioterapia in carcere con Lella Costa
Redattore Sociale, 30 marzo 2010
Seconda edizione del progetto "Leggere Libera-mente". Si parte il 31 marzo con "Lettura e amore". Con Lella Costa si parlerà di amore per gli ideali, la religione, il mare, il deserto, la terra, i figli. Con Lella Costa, Aldo Giovanni e Giacomo torna "Leggere Libera-mente", progetto di biblioterapia che si svolge nel carcere di Milano - Opera. Giunto alla seconda edizione, il progetto "Leggere Libera-mente" si svolgerà all’interno del teatro della casa di reclusione. Incontri pensati per sottolineare le potenzialità della lettura, come occasione di crescita personale e di confronto interattivo. A tutti gli invitati sarà chiesto di testimoniare l’importanza e il potere della scrittura e della lettura, per diventare ambasciatori di punti di vista peculiari e innovativi, al fine di aprire nuove prospettive in un ambiente ristretto come il carcere. Primo appuntamento, mercoledì 31 marzo, con "Lettura e amore" (ore 14), con Lella Costa: si parlerà di lettura e amore per gli ideali, per la religione, per il mare, il deserto, la terra, i figli. Si passerà poi a "Leggere l’avventura", il 21 aprile, con la partecipazione del recordman di immersione in apnea Umberto Pellizzari e della sub Cristina Ferghieri per discutere dell’analogia tra l’immersione subacquea e il mondo del carcere. Terzo appuntamento con "Leggere la strada - Quando la strada è lunga i duri fanno strada?" (il 19 maggio) per poi passare a "Leggere per fare musica" con la band i Mercanti di Liquore (nella prima metà di giugno) e "Lettura e umorismo", con la partecipazione di Aldo, Giovanni e Giacomo. Ultimo incontro sarà dedicato ai più piccoli: "Leggere ai bambini" con la partecipazione della Compagnia della ruspa con lo spettacolo "L’occhio del lupo", tratto dall’omonimo romanzo di Pennac (in programma a ottobre). Bari: "Vivicittà 2010", domenica si è corso nel carcere minorile
Redattore Sociale, 30 marzo 2010
Aspettando domenica 11 aprile la XXVII edizione di Vivicittà, la Uisp lancia due prologhi in carcere, "coerenti con le finalità sociali della manifestazione". Sabato 27 marzo si è corso nel penitenziario di Brescia, con il coinvolgimento dei detenuti di Canton Mombello, la sezione femminile e maschile di Verziano, gli agenti di polizia penitenziaria, atleti esterni e scuole superiori cittadine e della provincia. Ieri, domenica, invece, nel minorile di Bari, sempre alle 10.30, si è corso all’interno del carcere minorile dell’Istituto Fornelli. All’appuntamento con la gara riservata a 35 giovani detenuti dell’istituto e ad alcuni rappresentati di diverse parrocchie locali sono stati circa 60 gli atleti al via. Vivicittà in carcere coinvolge quest’anno 15 città italiane: Bari, Biella, Brescia, Caltanissetta, Civitavecchia, Cremona, Eboli (Sa), Ferrara, Livorno, Milano, Pavia, Reggio Emilia, Roma, Siena e Vigevano. "Collocazione significativa" anche per la conferenza stampa nazionale: l’Uisp ha scelto la Scuola omnicomprensiva Di Donato in piazza Vittorio, al centro del quartiere più multietnico di Roma, visto che l’edizione di quest’anno è dedicata alla multiculturalità e all’antirazzismo. Immigrazione: Roma; notte di violenze nel Cie di Ponte Galeria
Ansa, 30 marzo 2010
Dopo tentativo di evasione, gli ospiti del centro bruciano suppellettili e causano danni per diverse migliaia di euro. Il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni: "Nonostante gli sforzi di chi gestisce il centro, la situazione a Ponte Galeria è sempre più ingestibile". Notte di violenza al Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie) di Ponte Galeria, a Roma. A quanto appreso dai collaboratori del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, dopo un tentativo di evasione, fallito sul nascere, gli ospiti del Centro hanno dato vita a manifestazioni di protesta culminate con il rogo di materassi e suppellettili I danni causati ammonterebbero a diverse migliaia di euro. La protesta si è poi sedata senza che fosse necessario l’intervento delle forze dell’ordine. "Nonostante gli sforzi dei nuovi gestori del Centro per tentare di garantire condizioni di vita normali nel centro, la situazione a Ponte Galeria è sempre più pesante - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - i lunghi tempi di permanenza stanno trasformando I Cie in luoghi di tortura psicologica dove le esplosioni di protesta e gli atti di disperazione sono quasi all’ordine del giorno. Quanto accaduto questa notte è la drammatica conferma che non basta far sparire l’immigrazione dai giornali per considerarla un problema ormai risolto". Immigrazione: a Ponte Galeria; rivolta partita dopo pestaggio
Redattore Sociale, 30 marzo 2010
Parlano i reclusi: "La rabbia è esplosa quando la polizia ha picchiato uno dei ragazzi che aveva tentato la fuga. Hanno sparato cinque colpi in aria, perché ci calmassimo". In isolamento circa 20 persone, che ora rischiano l’arresto. Sono in isolamento i detenuti che hanno capeggiato la rivolta di stanotte nel centro di identificazione e espulsione di Roma, a Ponte Galeria. Una ventina in tutto, identificati dalle telecamere a circuito chiuso, potrebbero essere nelle prossime ore arrestati per i danneggiamenti causati nella notte. La notizia è stata fornita a Redattore Sociale direttamente dai detenuti del Cie romano, che ci hanno confermato telefonicamente quanto riportato dalle associazioni "A buon diritto" e dal Garante dei detenuti del Lazio. "È iniziato tutto verso le 22,30 - racconta R. - quando la polizia ha picchiato uno dei ragazzi che aveva tentato la fuga insieme a altri quattro o cinque che sono riusciti a scappare. Allora è esplosa la rabbia. Alcuni dei detenuti hanno iniziato a lanciare agli agenti delle bottigliette dell’acqua, poi hanno divelto le porte e i bagni, e hanno dato fuoco ai materassi e alle coperte e sono saliti sui tetti. Saranno stati una ventina di persone". B. invece ci ha confermato gli spari, registrati da una telefonata in notturna da radio Onda Rossa: "Hanno sparato cinque colpi in aria, perché ci calmassimo". R. non ha dubbi: è la rabbia che è esplosa stanotte a Ponte Galeria. "Sono dieci giorni che sto dentro, e ogni giorno ne ho vista una. Chi si taglia con le lamette, chi minaccia il suicidio". Lui è in Italia dal 1984, ed è appena uscito dal carcere per una condanna di un anno per spaccio. La sua paura più grande, paradossalmente, è di non essere rimpatriato. "Ma come? Dopo 26 anni in Italia non mi hanno identificato? E dopo un anno di carcere devo fare ancora sei mesi di detenzione, poi se non riescono a rimpatriarmi mi rimettono in libertà col foglio di via, che vale cinque giorni, e dal sesto giorno se mi fermano mi condannano per un altro anno, e poi dopo il carcere ritorno al Cie, non è possibile!". Intanto le celle della sezione maschile del Cie di Roma sono isolate una dall’altra. La tensione è ancora alta e le forze dell’ordine presidiano la struttura. Difficile avvio della nuova gestione del centro, che dal 2010 è passato dalla Croce rossa italiana alla cooperativa Auxilium (che già gestisce il centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Bari). Al Cie di Ponte Galeria, un anno fa, il 20 marzo del 2009, era morto un cittadino algerino di 42 anni per arresto cardiaco senza ricevere la dovuta assistenza medica. Ma le tensioni non sono solo a Roma. Dall’entrata in vigore del pacchetto sicurezza, l’8 agosto 2009, il prolungamento del periodo di trattenimento nei Cie, passato da 2 a 6 mesi, ha generato proteste, rivolte e scioperi della fame nei centri di tutta Italia. L’ultimo a Milano, dove a marzo uno sciopero della fame dei detenuti si era protratto per cinque giorni. Immigrazione: due storie dal Cie; hanno i figli in Italia, espulsi!
Redattore Sociale, 30 marzo 2010
K. viene dal Ghana e in Italia ha una figlia di sei anni con una donna italiana. A. invece è senegalese, a Brescia ha una bimba di 9 mesi e la moglie è di nuovo incinta, ma nemmeno lei ha il permesso di soggiorno. Redattore Sociale ha raccolto la storia di due emigrati detenuti nel centro di identificazione e espulsione di via Corelli, a Milano. K. è in Italia dal 2000, A. dal 2001. Entrambi in Italia hanno una bambina. Ed entrambi saranno espulsi, perché - come ribadito dalla sentenza dell’11 marzo scorso della Corte di Cassazione, la tutela delle frontiere prevale sulle esigenze di tutela dei minori. La figlia di K. ha sei anni, e oggi vive a Napoli con i nonni. La mamma invece si trova a Mantova, dove ha trovato lavoro. K. non la vede da due anni, da quando nel 2008 finì in carcere. Lui che in Europa era arrivato nel 2000, con un visto turistico per la Francia, si era messo a posto con i documenti di soggiorno con la sanatoria Bossi-Fini del 2002. Nel frattempo si era fidanzato con un’italiana e avevano avuto la bambina. Poi però il permesso di soggiorno gli è stato ritirato. Era il 2007. Lavorava come tornitore in una ditta del bresciano, il contratto scadeva a ottobre, e non venne rinnovato. Così a novembre, si ritrovò nella clandestinità. Quattro mesi dopo, il 20 marzo 2008, veniva arrestato con una carta di credito falsa e condannato a due anni per truffa e ricettazione. Sarà presto rimpatriato in Ghana, e l’ingresso in Italia gli sarà vietato per i prossimi dieci anni. La figlia la rivedrà quando di anni lei ne avrà 16. A. invece di figli ne ha cinque e uno in arrivo. I primi quattro rimasero in Senegal quando, nel 2001, lui partì per l’Italia. Viveva a Fermo, nelle Marche, dove lavorava come muratore. La moglie, anche lei senegalese, l’ha raggiunto tre anni fa in Italia. E il 24 giugno 2009 è nata la quinta bambina, che oggi ha nove mesi. E la prossima nascerà in autunno. La moglie di A. infatti è di nuovo incinta. Glielo ha comunicato al telefono la settimana scorsa. Ha lasciato la casa a Fermo, per trasferirsi dal fratello a Brescia, dove si sente più sicura. Sì perché nemmeno lei ha il permesso di soggiorno. A. non riesce a stare tranquillo. Lei è incinta e può avere bisogno del medico, ma ha paura di uscire di casa e di andare in ospedale, ci racconta. Anche lui probabilmente sarà espulso. La sentenza della Cassazione non lascia dubbi sull’interpretazione della legge. E in Italia non lascerà solo la moglie, la figlia neonata e il nascituro, ma anche un credito di 27.000 euro per lavori di muratura che deve ancora riscuotere da una ditta marchigiana. Usa: 12enne rischia ergastolo uccise la fidanzata incinta padre
Apcom, 30 marzo 2010
Un ragazzino di 12 anni rischia il carcere a vita per aver ucciso la fidanzata incinta del padre. Il ragazzino aveva 11 anni quando, con un colpo di pistola alla nuca, uccise nel sonno Kenzie Marie Houk, 26enne, causando la morte anche del feto. Dominick Motto, giudice della Contea di Lawrence, in Pennsylvania, ha deciso che il dodicenne potrà essere processato alla stregua di un adulto: a suo parere si è trattato di un omicidio "in stile esecuzione" di una madre, incinta e indifesa. Il ragazzino rischia l’ergastolo; nel caso contrario, potrebbe uscire dal carcere a 21 anni. Con tutta probabilità il difensore del ragazzino presenterà appello. Sconcerto è stato manifestato da Cynthia Orr, presidente dell’Associazione nazionale degli avvocati penalisti: "È semplicemente inappropriato inserire un dodicenne in un sistema giudiziario per adulti. Non potrà funzionare. Non gioverà né alla società né al bambino". Lo scorso mese uno psicologo della difesa aveva affermato che il cervello di un adolescente non riesce a controllare i propri impulsi in "modo maturo". Il suo gesto sarebbe stato motivato dalla gelosia, nei confronti della donna, del nascituro e dell’altra figlia della donna di 7 anni. Opposto il giudizio dello psicologo dell’accusa: John OBrien sostiene che il ragazzino abbia "minimizzato" le accuse nei suoi confronti, negando di aver ucciso la donna quando interrogato dagli psicologi.
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