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Giustizia: le misure per l’edilizia penitenziaria diventano legge
www.lavoripubblici.it, 1 marzo 2010
Sul Supplemento Ordinario n. 39 alla Gazzetta ufficiale n. 48 del 27 febbraio 2009 è stata pubblicata la legge 26 febbraio 2010, n. 26 recante "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, recante disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania, per l’avvio della fase post emergenziale nel territorio della regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla protezione civile". Confermata la disposizione approvata dalla Camera dei Deputati che ha soppresso le norme sulla costituzione della Protezione Civile S.p.A., nonché, per quanto concerne l’edilizia penitenziaria, la seguente: la norma recante interventi urgenti per la realizzazione degli istituti penitenziari, con la quale viene previsto la nomina di un Commissario straordinario che, d’intesa con il Presidente della Regione territorialmente competente e sentiti i Sindaci dei Comuni interessati, provvede alla localizzazione delle aree destinate alla realizzazione di nuove infrastrutture carcerarie anche in deroga alle vigenti previsioni urbanistiche. Il provvedimento di localizzazione non solo comporta dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere e costituisce decreto di occupazione d’urgenza delle aree individuate, ma se adottato in deroga ai vigenti strumenti urbanistici, costituisce variante degli stessi e produce l’effetto dell’imposizione del vincolo preordinato all’espropriazione. Apposite disposizioni riguardano: la comunicazione dell’avvenuta localizzazione, l’efficacia del provvedimento, i procedimenti di occupazione d’urgenza e le espropriazioni delle aree e la determinazione delle relative indennità. Viene, anche, stabilito che avverso il provvedimento di localizzazione ed il verbale di immissione in possesso non è ammesso ricorso al giudice amministrativo, ma soltanto ricorso giurisdizionale o ricorso straordinario al Capo dello Stato. Il Commissario straordinario può avvalersi del Dipartimento della protezione civile per le attività di progettazione, scelta del contraente, direzione dei lavori e vigilanza degli interventi strutturali ed infrastrutturali attuati in esecuzione degli interventi di cui all’art. 44-bis del Dl. 207/2008 convertito dalla L. 14/2009 (c.d. "mille proroghe" che all’art. 44-bis reca "disposizioni in materia di infrastrutture carcerarie" e la nomina del Commissario Straordinario Ionta). Viene, altresì, prevista una deroga al limite dei subappalti delle lavorazioni prevalenti (articolo 188 del D.lgs. 163/2006) che potranno salire fino al 50%. Giustizia: corsia preferenziale, per realizzazione piano carceri di Rossella Calabrese
www.edilportale.com, 1 marzo 2010
La procedura di localizzazione dei penitenziari deroga alle norme urbanistiche e a quelle su esproprio e procedimento amministrativo. Il Commissario straordinario per l’emergenza carceri, d’intesa con le Regioni e sentiti i sindaci dei Comuni interessati, provvederà alla localizzazione delle aree destinate alla realizzazione di nuove carceri, anche in deroga alle vigenti previsioni urbanistiche. Lo prevede un emendamento al ddl di conversione del decreto-legge 195/2009, approvato ieri in Senato. La procedura di localizzazione prevede una serie di semplificazioni: la pubblica amministrazione non avrà l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento ai soggetti interessati (articoli 7 e 8 della legge 241/1990); il provvedimento di localizzazione comporterà dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere e costituirà decreto di occupazione d’urgenza delle aree individuate; l’approvazione delle localizzazioni costituirà variante degli strumenti urbanistici e produrrà l’effetto dell’imposizione del vincolo preordinato all’espropriazione. Per le occupazioni d’urgenza e per le eventuali espropriazioni delle aree individuate, il commissario straordinario, prescindendo da ogni altro adempimento, dovrà redigere lo stato di consistenza e il verbale di immissione in possesso dei suoli. Sarà lo stesso commissario straordinario a determinare, entro sei mesi dalla data di immissione in possesso, l’indennità di provvisoria occupazione o di espropriazione, tenuto conto delle destinazioni urbanistiche antecedenti la data del provvedimento. Contro il provvedimento di localizzazione ed il verbale di immissione in possesso sarà ammesso esclusivamente ricorso giurisdizionale o ricorso straordinario al Capo dello Stato. Sono escluse le opposizioni amministrative previste dalla normativa vigente. Anche senza provvedimento di localizzazione o verbale di immissione in possesso, il commissario straordinario potrà utilizzare un immobile, in via di somma urgenza, con proprio provvedimento che ne motivi la contingibilità ed urgenza. Infine, in deroga all’articolo 18 del Codice degli Appalti (Dlgs 163/2006), è consentito il subappalto delle lavorazioni della categoria prevalente fino al 50%. Un altro emendamento approvato, introduce norme per prevenire le infiltrazioni della criminalità organizzata nella realizzazione delle carceri. Il coordinamento di tutte le attività è affidato ai prefetti, supportati dal "Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere" (previsto dall’art. 180, comma 2 del Codice Appalti). I controlli antimafia sui contratti, sui subappalti e sui subcontratti sono effettuati secondo le linee guida indicate dal suddetto Comitato di coordinamento, anche in deroga al regolamento sul rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia (Dpr 252/1998). Per l’efficacia dei controlli antimafia, è prevista la tracciabilità dei flussi finanziari relativi a contratti pubblici, subappalti e subcontratti e nelle erogazioni e concessioni di risorse pubbliche. Presso i prefetti saranno istituiti elenchi di fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, cui possono rivolgersi gli esecutori dei lavori. Giustizia: così il business cementifero-carcerario è già segnato di Alberto Stadera
Repubblica Affari & Finanza, 1 marzo 2010
"Ideazione penitenziaria" è stato il tema non proprio lieto di un convegno che si è svolto venerdì scorso a Trieste, indetto dal Sidipe, il sindacato dei direttori delle carceri italiane. Tema del consesso le "carceri galleggianti" per le quali la Fincantieri ha presentato un progetto nella speranza di ottenere nuove commesse pubbliche. Il gioiellino carcerario, che evidentemente sta molto a cuore all’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, è una piattaforma di 126 metri di lunghezza, 33 di larghezza, 25 di altezza, per 25 mila tonnellate di stazza lorda. Collocato in un porto o in un arsenale e collegato con la terra, potrebbe ospitare 640 detenuti in 320 celle. Costo un centinaio di milioni e tempo di realizzazione 24 mesi. Un’idea che sembra brillante per risolvere in tempi brevi e in mancanza di più seri interventi legislativi il problema del sovraffollamento dei penitenziari dove si accalcano 67mila detenuti in 43mila posti. Pare che ai direttori dei penitenziari il progetto di Bono sia piaciuto. Ma subito si sono alzati alti lai di alcune città, a cominciare da Genova, che non gradiscono "Alcatraz" nei loro porti. E soprattutto sul business penitenziario di terra ha già messo le mani la cricca delle emergenze, che notoriamente propende per il cemento. Il piano per far fronte all’emergenza carceraria, annunciato nel dicembre scorso dal ministro Angelino Alfano, ha trovato subitanea accoglienza nell’articolo 17 ter del decreto sulla Protezione Civile Spa, pur modificato dopo l’esplosione dello scandalo, che conferisce poteri totali al commissario Franco Ionta, che può individuare le aree per la realizzazione dei nuovi penitenziari e derogare alle norme urbanistiche, a quelle sugli espropri, al limite nei subappalti, con la Protezione Civile che sceglie progettisti, assegnatari degli appalti, direttori dei lavori e quant’altro. Così è facile prevedere che le 47 "palazzine" per accogliere 21mila detenuti saranno di cemento e in terraferma, con una torta di 600 milioni da spartire tra la cricca. La quale al business carcerario si applica già da anni. Tre carceri in costruzione in Sardegna, ad esempio, sono stati dati in appalto secretato da Angelo Balducci, deus ex machina del sistema e oggi detenuto, indovinate a chi? A tre delle imprese coinvolte nello scandalo della Protezione Civile: l’Anemone, la Giafi di Valerio Carducci e la Opere Pubbliche, la società di uno di quelli che ridevano nel letto la notte del terremoto dell’Aquila. Gran parte dei lavori per i penitenziari di Sassari, Tempio e Cagliari sono stati dati in subappalto. Il risultato è che, nonostante l’urgenza che dovrebbe giustificare la deroga a tutte le leggi, sono in costruzione da sei anni, come hanno documentato Guido Melis e Donatella Ferranti, deputati Pd della Commissione Giustizia della Camera. In compenso, Anemone ha già incassato 26 milioni, Carducci 31 e Piscicelli 39, su un totale complessivo previsto in oltre 200 milioni. Per cui si mettano l’anima in pace Bono, la Fincantieri e i sindacati che vogliono salvare l’occupazione cantieristica. Il business cementifero-carcerario è già segnato. Giustizia: Fincantieri ha progettato nave-carcere con 640 posti
Adnkronos, 1 marzo 2010
Trecentoventi cabine di 16 metri quadrati per due persone, con aria condizionata, angolo cottura e bagno: sono le celle per i detenuti nelle carceri galleggianti proposte da Fincantieri al ministero della Giustizia. Un progetto che provoca pareri favorevoli, critiche e polemiche e trova l’accoglienza più fredda proprio a Genova, città generalmente considerata tra quelle deputate a costruire le navi-carcere e a ospitarle. Le strutture galleggianti erano una delle ipotesi inserite nel piano per le carceri presentato nel maggio scorso al Guardasigilli Angelino Alfano da Franco Ionta, direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). Il documento ipotizza un piano di edilizia penitenziaria che permetta un incremento complessivo dei posti tale da rispondere alle esigenze dei 66.000 detenuti oggi costretti a vivere in strutture in grado di ospitare in tutto 42.000 persone. Una parte di questi nuovi posti potrebbero garantire in tempi brevi appunto le navi prigione. "All’ipotesi è dedicata una riga in tutto il piano", sottolinea l’ufficio stampa del Dipartimento, che non intende parlare del progetto. Comunque, anche se espressa in maniera così sintetica, l’idea deve essere piaciuta al ministro perché, su precisa richiesta del governo, Fincantieri si è subito messa al lavoro per presentare delle soluzioni. La nave-tipo ipotizzata dal gruppo cantieristico è in pratica una chiatta, lunga 126 metri, larga 33 e alta 34,8, dimensioni che possono essere espanse grazie alla modularità del progetto. Nelle 320 celle sono ospitate 640 persone. Le aree accessorie per detenuti (aule didattiche, laboratori, officine) si dispongono su una superficie di 5.000 metri quadri, ai quali si aggiungono i 3.900 metri di uffici, aree colloqui, infermeria, sala polifunzionale e direzione. Duemilasettecento metri sono di aree esterne. La cubatura è di 83.000 metri cubi. La piattaforma è progettata per restare permanentemente ormeggiata a una banchina in un’area protetta dai flutti, in aree portuali, industriali, arsenali militari o tratti di costa non sfruttabili commercialmente o turisticamente. Il posizionamento a ridosso di una banchina rende l’accessibilità alla struttura galleggiante del tutto equivalente a quella di un carcere a terra. Un "cordone ombelicale" che collega la piattaforma alla banchina consente il funzionamento della struttura senza la necessità di installare a bordo impianti particolarmente costosi e delicati. La manutenzione e la gestione tecnica della piattaforma verrebbero quindi ad avere gli stessi costi di un carcere a terra. Anzi, le tecnologie collegate all’acciaio potrebbero addirittura facilitare l’operatività della struttura. Il modello a corpo triplo con una rotonda centrale garantisce la sicurezza dei detenuti e degli agenti. La presenza di locali comuni per detenuti (medicheria, barbiere, soggiorno, colloqui con direttore), situati sullo stesso piano di ogni sezione detentiva, consente una gestione più economica degli spostamenti dei detenuti all’interno dell’istituto. Secondo l’azienda, la soluzione studiata permette di ottenere tempi ridotti di costruzione (da 12 a 24 mesi) e certi: Fincantieri da sempre consegna le sue navi nel giorno e nell’ora concordati con l’armatore, altrimenti pagherebbe una penale. Le chiatte costruite sono rimovibili, trasportabili in altre aree e possono essere destinate anche ad altri usi: per esempio, alla protezione civile. "Abbiamo una competenza a 360° - spiegano a Fincantieri - sappiamo costruire navi militari, da crociera e traghetti e per questo progetto abbiamo messo a frutto tutta la nostra esperienza, trovando soluzioni che andassero incontro alle nuove esigenze del regime carcerario". Fincantieri non accenna ai costi ma nell’ambiente si parla di una cifra sui 90 milioni di euro. Il progetto porterebbe avrebbe anche il vantaggio di portare lavoro al gruppo, in un momento difficile a causa della recessione globale, che frena gli ordini di nuove navi. "Non c’è dubbio - commenta Mario Ghini, segretario nazionale Uilm e responsabile del settore siderurgico - costruire, come si pensa, cinque o sei di queste piattaforme saturerebbe gli impianti per due anni. Ci auguriamo che si prenda una decisione nel breve periodo e le navi carcere si facciano. Non capisco chi è contrario, mi sembra che si tratti di pregiudizi ideologici". Tra i contrari c’è il sindaco di Genova, Marta Vincenzi, che trova la soluzione inadatta sia per chi lavora nel carcere sia per chi è detenuto. "Mi sembra - spiega - che una soluzione del genere aumenti l’isolamento per chi lavora nel carcere, complichi le visite dei parenti e offra poco spazio ai detenuti. Questo come ipotesi, non ho ancora visto i progetti specifici. Ma non vorrei che le mie dichiarazioni fossero prese a pretesto per penalizzare Fincantieri. Del resto questo problema non è di competenza del sindaco ma dell’Autorità Portuale". Vincenzi è sostenuta da una maggioranza di centrosinistra, ma è d’accordo con lei il deputato genovese del Pdl Roberto Cassinelli, membro della Commissione giustizia di Montecitorio: "il porto - dichiara - è una risorsa fondamentale per la città e la costruzione di un istituto di pena al largo finirebbe per creare inevitabili problemi di ogni genere. Si pensi alla difficile gestione anche delle visite ai detenuti o ai disagi che si arrecherebbero al personale penitenziario". Diverse le obiezioni mosse dal presidente dell’Autorità Portuale genovese, Luigi Merlo: "non abbiamo gli spazi, neanche un metro di banchina da sacrificare. Non ho nulla contro il progetto, ma penso sia adatto a porti commerciali dismessi o sottoutilizzati. Ce ne sono diversi in Italia". Alcuni hanno bocciato l’idea sulla base di esperienze negative fatte all’estero. Fallimentare era stato l’esperimento britannico, a Dorset. "Ma - precisano a Fincantieri - il carcere galleggiante inglese era stato costruito 30 anni fa per altri scopi e poi adattato come soluzione di emergenza. Nel caso della nostra soluzione si tratta di un progetto nuovo, che nasce dall’esperienza di una azienda leader nel campo del turismo di lusso e del trattamento dei passeggeri e fa tesoro di tutte le esperienze passate". La precisazione convince Donato Capece, segretario generale del Sappe, sindacato delle guardie penitenziarie. "In effetti - dice Capece - all’inizio ero scettico - ora ne so qualcosa di più e penso che l’ipotesi vada verificata. Si tratterebbe di navi pensate e costruite appositamente per questa mansione, mi sembra che rispondano allo scopo di privare il cittadino detenuto della libertà ma non della dignità. Proviamo. Ho sentito anche altre proposte, moduli prefabbricati da assemblare a terra. Anche questa potrebbe essere una buona soluzione. A me vanno bene entrambe, purché si decida. Dal primo gennaio di quest’anno abbiamo avuto 13 suicidi tra i carcerati. Basta con le chiacchiere, passiamo ai fatti". Giustizia: già individuati gli otto porti per le prigioni galleggianti
Avvenire, 1 marzo 2010
Civitavecchia, Napoli, Gioia Tauro, Palermo, Bari, Ravenna, Genova e Cagliari. Sono queste le prime otto città individuate dal ministero della Giustizia a ospitare le nuove carceri galleggianti che saranno realizzate da Fincantieri. Costruire ex novo un carcere tradizionale sulla terraferma costa circa 150milioni di euro, ma i tempi di realizzazione sono mediamente superiori ai tre anni. Fincantieri promette invece di essere in grado di consegnare le chiavi dei cancelli delle piattaforme penitenziarie entro 12 mesi dalla firma del contratto e per un costo di 90 milioni di euro. L’emergenza sovraffollamento e la necessità di trovare soluzioni in fretta (a meno di voler ricorre a un nuovo indulto) fanno soffiare il vento dalla parte di Fincantieri. Molte restano però le perplessità. E arrivano da uno dei luoghi simbolo della grande cantieristica navale italiana. A esprimere dubbi è infatti stato il sindaco di Sestri Levante, Andrea Lavarello, il quale teme che varare carceri anziché grandi navi da crociera o per le marine militari alla fine penalizzi Fincantieri e chi ci lavora. Da quanto trapela, le chiatte ordinate dal ministero della Giustizia verrebbero costruite anche a Monfalcone, dove al contrario si paventa che in mancanza di copiose commesse internazionali i posti di lavoro potrebbero essere a rischio. Il Piano sull’edilizia penitenziaria prevede la realizzazione in tre anni di oltre 21mila nuovi posti distribuiti in 47 padiglioni e in 18 nuovi istituti, di cui 10 "flessibili" (di prima accoglienza o destinati a detenuti con pene lievi), per un totale di 1,5miliardi di euro, di cui 600milioni già stanziati in Finanziaria. Sulle carceri galleggianti filtrano intanto nuovi dettagli. Al ministero di Angelino Alfano è stato scelto il modello a corpo triplo con una rotonda centrale, che garantisce la sicurezza dei reclusi e degli agenti. La presenza di locali comuni per detenuti, situati sullo stesso piano di ogni sezione detentiva, consente una gestione più economica degli spostamenti dei reclusi all’interno dell’istituto e verrebbe incontro a un’altra (inconfessata) esigenza: quella di governare le "carceri marine" senza dover ricorrere a un gran numero di agenti. Giustizia: Berselli (Pdl); le navi-prigione? sono idea innovativa
Dire, 1 marzo 2010
Il senatore del Pdl Filippo Berselli, presidente della Commissione Giustizia del Senato ha definito "una soluzione interessante e innovativa" il progetto delle "carceri galleggianti", piattaforme sull’acqua ciascuna delle quali potrebbe ospitare oltre 600 detenuti presentato venerdì scorso dalla Fincantieri a margine di un convegno a Trieste sulla situazione carceraria a cui ha partecipato anche Berselli. "Si tratta di una soluzione molto interessante ed innovativa - spiega Berselli - che potrebbe andare a regime in pochissimo tempo ed a costi accettabili. Le carceri galleggianti rappresenterebbero altresì una adeguata soluzione-ponte, in attesa dell’ampliamento delle carceri esistenti o della realizzazione di nuove". Giustizia: Sappe; allarme dalle carceri, alto il rischio di rivolte di Nello Scavo
Avvenire, 1 marzo 2010
Le carceri più a rischio rivolta: Poggioreale (Napoli), Perugia, Biella, Arezzo, Rebibbia (Roma), San Vittore (Milano), Livorno. Nel 2009 si sono verificate oltre 600 aggressioni agli uomini di polizia penitenziaria, quasi sempre azioni studiate. All’origine del malessere c’è il cronico sovraffollamento degli istituti di pena, cui si accompagna la scarsità degli agenti di custodia E la penuria di risorse priva le strutture degli specialisti necessari. Prima una raffica di suppellettili, poi il lancio di olio bollente ed escrementi, mentre altri incendiano i materassi e si barricano davanti alle celle. "Quando accade, riprendere in mano la situazione è sempre difficile". Di questo passo nel giro di poche settimane "rischiamo di perdere il controllo di qualche carcere". Donato Capece, segretario del sindacato degli agenti penitenziari Sappe, quasi non ne può più di commentare quelle che nel linguaggio dell’ufficialità vengono archiviate come "tensioni", "proteste" o "agitazioni" dei detenuti. In atto ci sono rivolte vere "e il rischio che questi episodi si moltiplichino - confermano anche i dirigenti penitenziari del Sidipe, riuniti a Trieste per il loro congresso - è alto ogni giorno". Nel 2009 si sono verificate "oltre 600 aggressioni agli uomini della Polizia penitenziaria - ricorda Capece - e quest’anno non andrà meglio". Gli attacchi quasi mai avvengono d’impeto: " L’utilizzo di "armi" adoperando ciò che i detenuti possono tenere in cella non è mai occasionale". Azioni premeditate, studiate, messe a segno al solo scopo di rendere insicure le prigioni. "Quando in una struttura per 200 persone se ne trovano ogni giorno quasi 600 - osserva Rosario Tortorella, direttore della casa circondariale di Piazza Lanza a Catania - è facile immaginare quali siano le condizioni di vita dei reclusi e di chi come noi dovrebbe gestire l’istituto". Tortorella è anche segretario nazionale vicario del Sidipe, e in questa veste invita a una riflessione: "Se si pensa di usare il carcere per ogni genere di reato, allora non c’è speranza di avere condizioni di vivibilità funzionali alla sicurezza e alla riabilitazione". Nelle settimane scorse sia a Firenze che a Perugia, sono finiti in ospedale cinque agenti penitenziari che avevano fronteggiato una rivolta di extracomunitari partita incendiando il materasso di uno spacciatore immigrato. Proteste si ripetono anche a Biella, Arezzo e Como. A Taranto un agente è stato aggredito e ferito: due settimane su un letto d’ospedale. Alla fine dell’anno scorso nella struttura pugliese c’erano 518 reclusi (a fronte dei 315 posti letto regolamentari) e un vuoto in organico di 50 poliziotti penitenziari. Stesso allarme alle Sughere, lo storico istituto di Livorno, dove i sindacati parlano di "situazione al limite della gestibilità". Sezioni costruite per ospitare 25 detenuti sono state trasformate in scatole di sardine per 75 esseri umani. Lavoro triplicato e agenti esausti. Qualche giorno fa anche una parte degli arrestati per l’inchiesta sul maxi riciclaggio che ha coinvolto Fastweb ha dovuto fare i conti con i problemi del sovraffollamento: per cinque delle 14 persone portate a Rebibbia non c’erano le brande su cui passare la notte. Intanto le risorse continuano a calare. Da 15 anni non viene indetto un concorso per la posizione di direttore di istituto di pena, con il risultato che in Sardegna ci sono 11 case di detenzione e solo quattro dirigenti. Non bastano poi gli educatori, i medici e gli psicologi. "Una recente circolare ministeriale - rivela Tortorella -, chiede alla polizia penitenziaria di svolgere anche un ruolo di "ascolto" dei detenuti quando manca lo psicologo". Quelli che una volta erano evocati come "secondini", oggi dovrebbero fare anche gli psichiatri. Non farebbe ridere neanche se fosse uno scherzo. Tutto questo mentre milioni di euro vengono buttati per niente. "Ma vi pare normale - s’arrabbia Capece - che dobbiamo versare ogni anno 11 milioni di euro alla Telecom per i braccialetti elettronici che non vengono utilizzati?". Avrebbero potuto essere un’alternativa nei casi di reati meno gravi e per i condannati socialmente non pericolosi. Ma è come se il sistema detentivo fosse esso stesso prigioniero di un moto primitivo. La concezione ottocentesca rivive non solo nella ruggine di certi penitenziari, ma soprattutto nelle norme. Come quella che concede al recluso di usare solo lo sgabello e non la sedia, ancora considerata una comodità di troppo. Francesco Dellaira la sua competenza di laureato in Economia e commercio da 13 anni la mette a disposizione dei ristretti a Terni: 300 persone su 150 posti. Dietro le sbarre c’è un rinomato panificio con pasticceria, un laboratorio artistico che sta contribuendo alla riqualificazione urbanistica della Terni post-siderurgica, e perfino un centro per le energie pulite. I detenuti si sono specializzati nel montaggio dei pannelli solari e fotovoltaici e grazie a questo l’acqua calda del carcere è prodotta risparmiando un sacco di soldi sulle bollette. Che l’indulto non avrebbe portato buone notizie lo avevano intuito presto. "Così ci siamo preparati a quello che già immaginavamo - illustra Dellaira, anch’egli del direttivo Sidipe -. I detenuti rimasti nella struttura hanno lavorato per riorganizzazione gli spazi". Bisognava fare in fretta, e avevano ragione. Qualche mese dopo non ci sarebbe stato posto per tutti. Giustizia: Sbriglia; la strada vincente passa attraverso il lavoro
Avvenire, 1 marzo 2010
Logiche emergenziali piuttosto che soluzioni di ampio respiro. "Le carceri invece di diventare cantieri sociali, ricostruttori di opportunità e palestra di cittadinanza, sono diventate moltiplicatori di tensione e disperazione", spiega Enrico Sbriglia, rieletto ieri segretario nazionale del Sidipe, il sindacato che rappresenta l’80% dei direttori della carceri italiane.
Lei, da direttore di un penitenziario come quello di Trieste, che tipo di rischi osserva? Senza una politica che ambisca a far diventare le carceri luogo di cambiamento si corre il pericolo di ricorrere inconsapevolmente a eccessi di semplificazione delegando tutto a poche persone, siano essi i direttori o gli agenti penitenziari. Al contrario il presupposto è che il carcere appartiene a tutti e dovrebbe raccogliere una sensibilità multidisciplinare, dal docente universitario, al magistrato, all’agente penitenziario, agli architetti, agli operatori del volontariato fino ai sindaci.
Non le pare di pretendere troppo per un luogo nel quale, in fin dei conti, chi c’è dentro se lo è meritato? Premesso che ogni cittadino fino a condanna definitiva è innocente, e questo vale soprattutto per i detenuti, io dico che non bisogna cadere nella trappola dei luoghi comuni. Non ci si può lavare le mani semplicemente liquidando il carcere come luogo del "male". Perché se così fosse allora ci si sentirebbe autorizzati a travalicare i princìpi e la legge.
Intanto avvengono proteste e rivolte. Come placarle? Non dico che non si debba essere addestrati e preparati anche ad utilizzare la forza in senso tradizionale, ma la forza dei nostri agenti, dei nostri poliziotti penitenziari, non è riposta nella fondina, ma nella loro testa, nella loro capacità di sapere dominare le situazioni con la parola e lo sguardo. La forza in senso tradizionale, semmai va solo fatta intravedere, perché altrimenti al momento in cui davvero servirà risulterà irrimediabilmente indebolita.
Cosa proponete per uscire dall’emergenza? Bisogna che ogni intervento, dalle norme alla realizzazione di nuovi istituti, abbia a mente di offrire al detenuto un’altra possibilità. Egli deve concentrarsi proprio su questo, deve essere preso dall’ansia di recuperare il possibile, ma solo se le mura del carcere non sono opprimenti, se il personale lo tratta con rispetto, con dignità, se gli viene offerta la possibilità di lavorare, di mostrare le proprie capacità, e di non essere giudicato ogni giorno. In caso contrario, come avviene, restituirà ciò che ha ricevuto in odio e sofferenze".
Quali caratteristiche dovrebbe avere il suo carcere ideale? Un luogo civile, che responsabilizza, che da e pretende rispetto, che conosce solo le regole del diritto, e che addirittura non è neanche umiliante e mortificante negli spazi, nei servizi. Il recluso si sentirebbe schiacciato dalle proprie responsabilità, e comprenderebbe davvero cosa vuol dire aver mandato in pezzi la propria libertà. Sicurezza e diritti umani, ne sono convinto, è un’equazione possibile. Giustizia: 70enne muore dopo arresto omicidio senza colpevoli di Sarah Martinenghi
La Repubblica, 1 marzo 2010
A Torino c’è un omicidio di cui non si è mai avuta notizia, e che sembra destinato a non trovare un colpevole: un uomo, un ex tranviere in pensione, Giuseppe Azzolina, 70 anni, secondo l’esito dell’autopsia è morto a causa di un violento colpo alla testa provocato da un oggetto contundente. E c’è una circostanza che rende la vicenda ancora più inquietante: quell’uomo si è sentito male ed è morto il 6 luglio 2008, il giorno dopo esser stato arrestato, mentre gli agenti della polizia penitenziaria lo stavano portando in tribunale per l’udienza di convalida. Le manette erano scattate perché Azzolina aveva avuto un litigio con un vicino di casa, che aveva aggredito con un bastone chiodato. All’arrivo dei carabinieri aveva reagito anche contro di loro. È stata un’inchiesta delicatissima quella affidata al pm Giuseppe Smeriglio, che dopo due anni di indagini ha chiesto e ottenuto dal gip Cristiano Trevisan l’archiviazione, scagionando completamente l’unica persona indagata con l’accusa di "omicidio volontario aggravato da futili motivi". Si tratta proprio del vicino di casa aggredito, Salvatore Zucchetto, 56 anni, difeso dall’avvocato Lorenzo Zacchero, che per mesi ha dovuto convivere con il sospetto di essere un assassino. Ma le indagini e le intercettazioni hanno ampiamente dimostrato che aveva solo preso botte, e non ne aveva affatto date all’uomo che di lì a poco sarebbe morto. L’inchiesta è diventata ancor più delicata per via di alcune contraddizioni nel racconto dei due carabinieri che avevano arrestato la vittima: nel tragitto verso il carcere si erano fermati al pronto soccorso di Venaria per farsi medicare e per far visitare Azzolina. Nel verbale avevano scritto che al momento del loro intervento sia Zuccotto che Azzolina erano sporchi di sangue. In un secondo interrogatorio uno dei due aveva detto: "Azzolina era tutto sporco di sangue che perdeva dal naso e aveva una ferita alla testa nella parte del cranio sopra l’orecchio destro". L’altro aveva invece sostenuto: "Era molto agitato e aveva dei segni sul volto, un segno sul naso e un arrossamento sul sopracciglio. Tagli in prima battuta non ne avevo trovati, ma aveva vistose tracce di sangue sulle manie sulla canottiera, oltre che in faccia dove si tamponava con un fazzoletto di sangue". Al medico che l’aveva visitato la vittima aveva detto che "l’avevano picchiato tutti". Era poi stato visitato in carcere, e il medico aveva confermato la diagnosi del pronto soccorso: "un’escoriazione al gomito, una piccola ferita lacero contusa alla piramide nasale e al cuoio capelluto". Era stato ascoltato anche il suo compagno di cella: una voce era girata tra i detenuti ma senza riscontri, che Azzolina fosse caduto dalle scale in carcere. Le intercettazioni sul vicino di casa avevano raccolto elementi tali da escludere ogni coinvolgimento da parte dell’unico indagato, che anzi aveva mostrato tutto l’interesse a che fosse fatta luce (dalle sue intercettazioni "non solo non sono emerse frasi dalle quali si potesse risalire a un suo coinvolgimento" scrive il gip). Tutti i condomini presenti all’aggressione avevano sostenuto che l’ex tranviere "stava bene e non aveva segni di percosse alla testa al momento in cui era stato condotto via sull’auto dei militari". Il gip Trevisan ha archiviato il caso: "le osservazioni del pm puntuali e diffuse risultano condivisibili. L’investigazione non ha tralasciato alcuna ipotesi, ma non ha consentito di raccogliere elementi tali da poter risalire all’autore o agli autori delle lesioni mortali. Le strade erano due, una conduceva all’attuale indagato Zucchetto, l’altra ai carabinieri. Tuttavia non sono emersi elementi tali a fondare l’accusa". Giustizia: la madre di Cucchi "almeno restituiteci il suo corpo..."
Ansa, 1 marzo 2010
Il 22 ottobre scorso, nel reparto carcerario dell’ospedale Pertini, è morto, a causa di un pestaggio, Stefano Cucchi un giovane arrestato pochi giorni prima per possesso di droga. A quattro mesi di distanza ancora non è stata fatta chiarezza sulla vicenda. Ai microfoni di Reality - il programma di approfondimento del TgLA7 che andrà in onda questa sera alle 23.40 su LA7 - parla la mamma di Stefano, Rita Cucchi. "Mio figlio - dice la donna che rompe il suo riserbo - non è morto in un parco dove nessuno poteva vedere, ma fra le quattro mura dello Stato. C’è qualcuno che sa. Dal momento in cui lo Stato se l’è preso, mio figlio non è stato più mio figlio. Aspetto ancora che mi restituiscano il suo corpo". Per la morte di Stefano restano indagate nove persone: sei agenti della polizia penitenziaria e tre medici dell’ospedale Sandro Pertini. Nel reportage di Silvia Resta parla anche la sorella del giovane, Ilaria Cucchi: "Siamo stanchi, ci trattano quasi come se fossimo noi gli indagati, ma andremo avanti". Giustizia: nel 2009 reati diminuiti del 6%, arresti aumentati 5%
Il Sole 24 Ore, 1 marzo 2010
Meno reati e più arresti nelle città italiane. Ma il ritmo della criminalità appare sempre sostenuto, con una media giornaliera di oltre 7mila delitti e 440 persone che varcano la soglia del carcere. Nel primo semestre dello scorso anno - secondo le prime elaborazioni fornite dal ministero dell’Interno - si sono registrati in totale un milione e 297mila reati, con una riduzione di oltre il 6% rispetto all’anno precedente. Dall’altro lato gli arresti sono saliti di quasi il 5 per cento. Un processo di contrazione peraltro iniziato già nel 2008 - all’epoca del precedente esecutivo - quando il complesso dei delitti era calato dell’8% dopo aver superato il milione e mezzo nel 2007. Se i resoconti della cronaca nera sembrano raccontarci di un’Italia assediata dai fatti criminosi, il bilancio ufficiale del dicastero delinea un trend che può far tirare un sospiro di sollievo a istituzioni e collettività. Certo, non si può trascurare il fatto che la popolazione dietro le sbarre è nel frattempo cresciuta, andando ad aggravare la già allarmante situazione delle carceri italiane. E ha ancora ampi margini di miglioramento un quadro in cui ogni ora hanno luogo quasi 300 reati, con un’incidenza di 200 casi nel semestre ogni 10mila abitanti, tenuto conto, tra l’altro, che queste statistiche riguardano esclusivamente i crimini denunciati. Tra le tipologie di crimini, a manifestarsi con maggiore frequenza sono i reati contro la proprietà: in particolare i furti negli appartamenti (secondi solo a quelli d’auto), scesi comunque a 68mila denunce (-7% rispetto ai primi sei mesi 2008), i furti con destrezza (circa 57mila), le truffe e le frodi informatiche (poco meno di 50mila), le rapine (20mila) e i furti con strappo (7.500). Tutti reati che però segnalano una contrazione: si registrano percentuali comprese tra il 10 e il 20% nella criminalità per strada (furti auto, scippi e borseggi) o che si aggirano intorno al 17% per le rapine. Meno consistente il calo dei furti nelle case (-7%). Più preoccupante, invece, il dato sull’usura: 252 casi (ma si tratta di un illecito nella gran parte non denunciato), in aumento di quasi il 13% rispetto al primo semestre 2008. Anche gli omicidi volontari - per passare ai reati contro la persona - segnalano un incremento (+6%), mantenendosi però sempre intorno allo stesso livello da anni ( da 600 a 620 nei dodici mesi), mentre di poco (1,7%) calano le violenze sessuali: 2.468, ovvero quattordici al giorno, i casi denunciati da gennaio a giugno 2009 contro gli oltre 2.500 del 2008. Sul fronte degli autori dei reati, incremento significativo degli arresti (+ 5%) mentre i soggetti denunciati sono scesi da 368mila a 354mila (-4%). La fotografia sul territorio non manca di restituirci un quadro di maggiore sofferenza per le grandi aree: se si considerano i volumi totali, Milano (con 145mila), Roma (112mila), Torino, Napoli, Bari, Bologna, Brescia da sole totalizzano quasi 500mila reati, il 40% del totale. E la classifica cambia poco se si considerano gli eventi in rapporto alla popolazione: i più colpiti sono i milanesi con 368 casi ogni 10mila abitanti (seguiti da torinesi, genovesi e bolognesi), mentre per la minore incidenza (91) si distingue Oristano. Quanto alle tipologie, nei furti in casa particolarmente penalizzati appaiono i capoluoghi medio piccoli del centro-nord (come Lucca, Asti, Pavia, Varese, Como), per i borseggi ancora le grandi (Milano un’altra volta in testa), mentre i centri del Sud si distinguono nelle rapine, negli scippi e nelle estorsioni (con i primati negativi rispettivamente di Napoli, Catania e Foggia).
Delinquenza di strada a corto di "manovali"
C’è da essere soddisfatti (con prudenza) per i dati con il segno meno delle statistiche penali. Prosegue la flessione delle quantità di delitti constatati dagli uffici di polizia. E simmetricamente diminuiscono i numeri delle persone denunciate per furti, rapine, aggressioni eccetera Resta aperta la valutazione circa la "spendibilità" di queste cifre, e ovviamente riguardo alla composizione interna della popolazione deviante. Come ci ricordano le cronache della scorsa settimana, c’è una categoria di criminali che acquista visibilità sporadicamente: con i suoi colletti bianchi, che conferiscono rispettabilità alle truffe, alle corruzioni, alle falsificazioni dei bilanci. I dati su queste coorti di offenders sottostimano l’ampiezza del fenomeno. Sono reati poco rappresentati, nelle statistiche (truffe, usura, frodi fiscali, le false comunicazioni sociali, delitti societari in genere). E simmetricamente sono scarsamente commentati i danni da distruzione di valore azionario, di ricchezza e di impiego per chi ha visto i propri risparmi investiti in bond andare in fumo. E poi le lesioni all’ordinamento economico, che sono imponenti, giacché i delitti contro la fede pubblica colpiscono il "bene fiducia", cioè l’ingrediente essenziale di una società aperta che investe e reagisce così alla crisi. Vittime multiple, diremmo inflazione delle parti offese senza volto, in assenza di un lavoro per "pesare" il danno - materiale e umano - della criminalità degli affari: non solo ai "portafogli titoli", ma alle persone concrete. L’ombra di Baldwin Sutherland non può essere scacciata con le compensazioni alla Win for Life, con un giochetto d’azzardo che illude di ricostituire una qualche forma j di sicurezza sociale. Anche sulla delinquenza di strada, qualcosa spinge a un po’ di cautela. Ed è la notizia della "frode statistica" consumata a New York (New York Times del 6 febbraio). Una ricerca della locale università, fondata su 1.200 questionari ad altrettanti agenti del Nypd, ha rivelato che negli scorsi anni sono stati manipolati i dati circa il calo dei reati. Diminuzione che vi è stata, ma non nei termini da far parlare di "svolta epocale". Da noi, per fortuna, il sistema di polizia ha una organizzazione unitaria, ed è praticamente impossibile che le strutture della sicurezza pubblica (che non rispondono alle sorti elettorali del locale sindaco) alterino i dati. La differenza la fa, come si ripete ogni giorno, la "percezione", cioè l’impatto degli episodi di cronaca nera con il senso comune. Ma quando manca quel framing che connota le informazioni con il registro mediatico della paura, i dati istituzionali parlano con note essenziali. Ed è indubbio che si denuncino meno reati, e che nelle città il peso della criminalità constatata continui a scendere. Costruita localmente, la sicurezza sembra risparmiarci parecchie decine di migliaia di delitti da marciapiede. È l’effetto di un aumento degli ingressi nelle carceri - con il conseguente problema del sovraffollamento - visto che il maggior numero di arresti ha sottratto al lavoro delinquenziale trenta-quaranta mila small-time crook, ladruncoli da quattro soldi, per lo più tossici o immigrati. Disarmata questa "manovalanza", la gente sopporta meglio la galassia dei borseggi, delle sparizioni di autovetture e di effrazioni della porta di casa. E si comprende, invece, come l’insicurezza lieviti nell’impotenza a contenere la valanga di abusi, inciviltà, atti vandalici, danneggiamenti di beni pubblici e privati, carrozze ferroviarie, panchine nei parchi, che il cittadino osserva ogni giorno. Campania: a Regione primato dei morti e dei suicidi in carcere
La Città di Salerno, 1 marzo 2010
Centosettantacinque le morti avvenute nelle carceri italiane nel 2009. Settantadue i suicidi. E la Campania sembra avere un macabro primato, arrivando a registrare nello scorso anno, più del 10 per cento di morti e l’11 per cento di suicidi, rispetto al totale nazionale. Sono stati questi i dati allarmanti che hanno spinto il Csa Asilo Politico ad organizzare il dibattito pubblico "Contro le morti strane e preannunciate nelle istituzioni totali (carceri e manicomi)", svoltosi lunedì pomeriggio al Centro sociale di via Vestuti. Presenti all’incontro molti dei membri del comitato "Verità e giustizia per Franco Mastrogiovanni", l’insegnante morto, per cause ancora da accertare, il 4 agosto 2009 nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Vallo della Lucania, e Lorena Curcio, esponente del comitato "Fausto & Iaio" nato in seguito all’uccisione, da parte di un commando neofascista, dei due giovani frequentatori del Leoncavallo di Milano nel marzo del 1978. Durante il dibattito è stata anche letta una lettera che la madre di uno dei due, Danila Tirelli, ha scritto come ennesimo appello alle istituzioni affinché la verità venga fuori: "Vivo sperando in una giustizia che non arriva", queste le parole lette alla platea, della quale facevano parte molti familiari dei detenuti di Fuorni dove - sostengono gli organizzatori del dibattito - continuano a sussistere condizioni di vita che non favoriscono la riabilitazione. "L’intento - spiega Davide D’Acunto della Rete Studenti - è mettere al centro del dibattito politico pre-elezioni temi come i diritti inviolabili del cittadino". Brescia: la Procura; non portate in carcere chi esce in 3 giorni di Thomas Bendinelli
Brescia Oggi, 1 marzo 2010
"È ora di smetterla di portare in carcere persone che dopo 24 ore o poco più vengono rimesse in libertà": i toni, a onor del vero, sono molto più cordiali, ma è questo il contenuto della lettera che il procuratore della Repubblica Nicola Maria Pace ha inviato nei giorni scorsi al questore e ai comandanti provinciali dei carabinieri, della Guardia di finanza, del Corpo forestale, della polizia provinciale, al presidente dell’associazione Polizia locale di Brescia, ai colleghi sostituti procuratori. E, per conoscenza, anche ai direttori dei penitenziari di Canton Mombello e Verziano. La lettera prende spunto da un problema a Brescia piuttosto diffuso, le cosiddette "detenzioni brevissime" inferiori ai tre giorni, che rappresentano ben il 66 per cento del totale. Un’autentica anomalia, un record negativo a livello nazionale. Che peraltro si trascina da tempo, come mostrava un’apposita ricerca pubblicata già un paio di anni fa dalla rivista dell’amministrazione penitenziaria "Le Due Città", nella quale si esprimeva preoccupazione per questa peculiarità negativa bresciana e si chiedevano approfondimenti. La gran parte delle detenzioni brevi si riferiscono a violazione della legge sugli stranieri (mancanza di permesso di soggiorno), detenzione o spaccio di droga, furto o resistenza a pubblico ufficiale. Ebbene, nella lettera il procuratore Nicola Maria Pace ricorda che la conduzione in carcere di persone in stato di arresto può avvenire nel solo caso in cui ciò venga espressamente stabilito dal pubblico ministero. Negli altri casi questo non è possibile, il che significa che gli arrestati devono essere tenuti in apposite celle di sicurezza da parte di chi ha fatto scattare le manette ai loro polsi. Il procuratore si dice consapevole dei problemi logistici e organizzativi che questo comporta alle varie polizie, ma sottolinea che questo non giustifica il trasferire il problema al carcere e che "tali pur plausibili ragioni logistiche e organizzative non debbano prevaricare quelle, di ben più cospicuo interesse etico, umano e sociale, poste a base della disciplina citata". La lettera si conclude invitando tutti i soggetti interessati ad attenersi alla direttiva con massimo scrupolo. Carlo Alberto Romano, docente all’università statale e presidente dell’Associazione Carcere & Territorio, e il garante dei detenuti Mario Fappani, che più volte hanno sollevato il problema, sono particolarmente soddisfatti per questa presa di posizione. "Condividiamo e facciamo un plauso al procuratore - afferma Carlo Alberto Romano -. Il nostro auspicio è che questa volontà possa ora essere applicata in tempi rapidi". Peraltro, aggiunge Romano, il responsabile del Prap (Provveditorato regionale amministrazione penitenziaria) della Lombardia Luigi Pagano, in passato direttore del carcere proprio a Brescia, "è a conoscenza della relazione e ritiene che questa possa rappresentare un importante precedente anche per altre realtà". L’applicazione della lettera del procuratore potrebbe avere effetti importanti su Canton Mombello, struttura che nelle scorse settimane ha toccato il record assoluto di 535 presenze a fronte di una capienza consentita di 206 posti. Di questi detenuti, solo un centinaio hanno una sentenza definitiva, tutti gli altri sono in attesa di giudizio. A volte entrano 15 persone in un solo giorno, con pressioni notevoli sulla struttura carceraria. Per ognuna di queste persone sono previste pratiche burocratiche di registrazione e identificazione, una visita medica, un colloquio con lo psicologo e via dicendo. Il tutto per persone che, nella maggior parte dei casi, escono nel giro di un paio di giorni. "Ci vuole poco a capire che la qualità del lavoro cambia se lo psicologo deve sentire tre persone invece che venti - osserva Romano -. Il messaggio che arriva dalla procura mi sembra chiaro: basta considerare il carcere la discarica di tutti i problemi sociali, bisogna pensare a forme alternative di detenzione. Il carcere deve tornare a fare ciò che prevede l’articolo 27 della Costituzione". Sassari: segreto di Stato sui tempi consegna del nuovo carcere
Ansa, 1 marzo 2010
Impossibile venire a sapere quando il nuovo carcere in costruzione a Bancali potrà essere pronto per il trasferimento dei detenuti: tutto l’iter è coperto dal segreto di Stato. I lavori, iniziati nell’autunno 2007 e affidati a un’associazione di imprese con la Anemone capofila, si sarebbero dovuti concludere il 19 marzo, fra un mese. Ma l’andamento decisamente a rilento delle opere dovrebbe far slittare la consegna al 2011, nella più rosea delle previsioni. La struttura, secondo il progetto, risulterà composta in due blocchi. Il primo agglomerato accoglierà le strutture di detenzione vere e proprie: la sezione circondariale (duecentocinquanta posti in tutto), la divisione di alta sicurezza (cento posti), il blocco detenzione femminile (quindici posti), il reparto infermeria, la chiesa, la sala polivalente, la palestra, la cucina, l’insieme dei laboratori e dei magazzini, la sezione dei prigionieri sotto protezione (cinquanta posti). Il secondo blocco del carcere, accoglierà invece tutte le attività di supporto alla detenzione, dal controllo di accesso, alla caserma per gli agenti (ottanta posti), l’autorimessa, le centrali tecnologiche, la portineria, gli uffici della direzione, l’edificio che ospita i detenuti in semilibertà (quindici posti), sei alloggi di servizio. Il primo lotto dei lavori era stato finanziato con quaranta milioni di euro, ma per il completamento sono necessari altri trentun milioni di cui non si conosce la disponibilità. Pescara: agenti candidati a elezioni in carceri manca personale
Il Centro, 1 marzo 2010
Una lista a Rocca Pia, un’altra a Roccacasale, un’altra ancora a Guilmi. C’è una geografia segreta e sorprendente delle elezioni comunali del 28 e del 29 marzo in Abruzzo. È quella a cui rimanda la mappa delle liste di candidati formate da agenti penitenziari, quelli che una volta si chiamavano secondini. Sono oltre 50 gli agenti in lista nei comuni della Valle Peligna. Fra di loro anche un candidato sindaco. Solo pochi di loro hanno la possibilità di essere eletti. In alcuni casi si tratta di candidature fittizie che servono soprattutto per ottenere il congedo previsto dal Corpo in queste circostanze. Il fenomeno rischia di provocare pesanti ripercussioni nel carcere di Sulmona, già in forte difficoltà a causa del sovraffollamento dei detenuti e della mancanza di personale. Tanto che, mesi fa, i sindacati di categoria i quali avevano invano chiesto all’amministrazione penitenziaria, rinforzi in vista delle elezioni. L’assenza di una cinquantina di agenti per l’intera campagna elettorale rischia di creare disfunzioni nel carcere costringendo il personale che resterà al lavoro a turni duri e a situazioni di rischio. Il fenomeno non è nuovo e non riguarda solo l’Abruzzo. Mille candidati nel 2008. Talmente tanti che il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria diramò una circolare che disponeva un censimento degli agenti aspiranti politici. Soltanto nel carcere di Augusta in Sicilia c’erano 17 candidati su 250 agenti. Sempre nel 2008, a San Pietro in Amantea, un piccolo comune della provincia di Cosenza, si presentò una lista con tredici candidati, tutti agenti di polizia penitenziaria e nessuno era del paese. Il nome della lista? Paradossale, in un certo senso: San Pietro per la Libertà. "Da anni un gruppo di agenti di Campobasso formano una lista che si presenta nei comuni vicini", ha raccontato Donato Capece, segretario nazionale del Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria. Ma perché questa corsa alle urne da parte delle guardie carcerarie? Il fenomeno si spiega, forse, proprio con l’esigenza di prendere una pausa da un lavoro duro dal punto di vista fisico e psicologico. Una circolare dell’ufficio centrale personale del ministero della Giustizia del 2000 spiegava così ciò che succede quando un agente decide di candidarsi: "Il direttore dell’istituto o servizio, in ossequio al principio secondo il quale chi è candidato non può svolgere servizio, dispenserà il dipendente dall’esercizio di qualsivoglia attività, con proprio provvedimento provvisorio, in attesa della concessione formale dell’aspettativa; tale aspettativa concessa d’ufficio avrà la durata della campagna elettorale, cioè avrà termine il secondo giorno precedente la data stabilita per le elezioni". Insomma trenta giorni di distacco pagato dal lavoro. La stessa circolare disponeva, pio, che "gli appartenenti alle forze di polizia non possono prestare servizio nell’ambito della circoscrizione nella quale si sono presentati come candidati alle elezioni per un periodo di tre anni dalla data delle elezioni stesse; in caso di elezione, tale divieto opera per l’intera durata del mandato, e comunque per un periodo non inferiore a tre anni". Questo significa che gli appartenenti al corpo che si siano candidati alle elezioni saranno trasferiti ad altra sede penitenziaria appartenente a circoscrizione o collegio diversi da quelli nei quali si sono presentati come candidati. Insomma, oltre alla necessità di prendersi un break dalla durezza del lavoro, dietro alla "moda" delle candidature ci potrebbe essere anche il desiderio di essere trasferiti in un’altra sede. Ma il problema vero resta quello della natura usurante del lavoro svolto fra le mura di un carcere. Sebastiano Bongiovanni, un agente di polizia penitenziaria ad Augusta e consigliere comunale, nel 2007 segnalò alla procura di Siracusa che 70 suoi colleghi erano candidati alle elezioni, "Non perché si trattasse di lavativi, anzi. Dovremmo candidarci tutti e 250, perché la nostra vita è un inferno. I detenuti sono più di 600, in un carcere che cade letteralmente a pezzi, dove l’acqua c’è soltanto tre ore al giorno. E noi rischiamo la vita per 1.500 euro al mese, senza possibilità di trasferimenti". Dostoevskij dice che "il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni". È tutto da dimostrare che il grande romanziere russo pensasse solo a chi sta dalla parte sbagliata delle sbarre. Pesaro: un detenuto aggredisce un agente e gli frattura il naso
Il Messaggero, 1 marzo 2010
Tornano a farsi agitate le acque all’interno della Casa Circondariale di Villa Fastiggi. Ieri mattina, infatti, un detenuto temporaneamente fuori dalla sua cella ha colpito con un pugno in faccia un agente di polizia penitenziaria, all’interno del carcere. Immediatamente soccorso dai colleghi, che hanno poi provveduto a bloccare l’aggressore, l’agente ha riportato la frattura del setto nasale ed una prognosi di venti giorni. La reazione del Sappe non si è fatta certo attendere. "Purtroppo episodi del genere non sono nuovi nel carcere pesarese - commenta il segretario regionale, Aldo Di Giacomo - una struttura di medie dimensioni ma con un alto indice di rischio per gli agenti che ci lavorano". Il sindacalista si dice pronto ad andare avanti e a scomodare gli organismi preposti. "Mi risulta persino che il detenuto non sia nuovo ad episodi del genere ma che già in altre due occasioni abbia aggredito i colleghi - continua Di Giacomo - Se così fosse sarebbe gravissimo e sarei pronto a rivolgermi alla Magistratura per capire come mai non è stato messo nelle condizioni di non nuocere più". Secondo il Sappe, dopo le feroci polemiche dell’anno scorso, è cambiato poco nella struttura pesarese, continuamente alle prese con carenza organica e sovraffollamento di detenuti. "Cambia poco a Pesaro - conclude - A Villa Fastiggi sono stati assegnati 7 agenti di ruolo in più, ma allo stesso tempo sono venuti meno 12 distaccamenti, dunque materialmente abbiamo meno uomini su cui contare anche se la pianta organica ufficialmente è aumentata. Per quanto riguarda il sovraffollamento, invece, "viaggiamo" ormai stabilmente, sopra i trecento detenuti". Catanzaro: la boxe approda anche nell’Istituto penale minorile
www.tuttosportcalabria.it, 1 marzo 2010
Il pugilato approda anche nell’istituto penale minorile di Catanzaro, allontanando da se i soliti pregiudizi che lo hanno accompagnato per tanto tempo. Sport di regole rigide, che impegna i ragazzi sotto molteplici aspetti, quindi in grado di coinvolgerli totalmente e disciplina educativa che migliora la conoscenza del proprio corpo e i propri limiti fisici naturali. Sin dai primi giorni questa attività è stata accolta positivamente dai ragazzi ed ha rappresentato per loro sicuramente una novità, quindi un’opportunità per tutti coloro che vorranno apprendere e misurarsi con questa disciplina. Il progetto vuole dare ai partecipanti quegli strumenti necessari per la valorizzazione delle proprie capacità individuali, della stima e fiducia in se stessi. Dunque la pratica motoria non è considerata in modo semplicistico e riduttivo solo mero esercizio fisico, ma anche e soprattutto come attività educativa direttamente funzionale alla conquista di una maggiore consapevolezza della propria identità psicofisica. La struttura penitenziaria ha acquistato tutte le attrezzature necessarie allo svolgimento degli allenamenti: sacchi, corde, guantoni, caschi ed i ragazzi stanno iniziando ad acquisire le tecniche di base del pugilato svolgendo l’allenamento con dedizione ed impegno. Un’esperienza nuova anche per il tecnico dell’Asd Boxe Popolare, Gianfranco Tallarico, in quanto svolta in un luogo ed in una situazione ambientale differenti dalle palestre cittadine ma tuttavia entusiasmante. Trovare un punto di comunicazione e di relazione con i ragazzi attraverso questo sport è fondamentale così come renderli realmente protagonisti e consapevoli delle loro potenzialità. L’immagine che ciascun ragazzo costruisce di se, come si percepisce, come si vede, passa attraverso la potente mediazione del corpo. Sapersi migliorare, saper collaborare con i compagni, mettersi alla prova in una strategia di attacco o di difesa, di crescere, di cambiamento, sono tutti elementi di forza per una sana costruzione della personalità. Anche quello dell’alimentazione è già diventato motivo di confronto con i ragazzi, che chiedono spesso come e cosa fare per dimagrire e sentirsi in forma. A riguardo è anche intervenuto il presidente del comitato regionale calabrese Fpi, Avv. Vanessa Avolio, che con un messaggio destinato a tutte le società presenti sul territorio regionale, ha inteso rivolgere un plauso all’Asd Boxe Popolare Cosenza ed al suo tecnico, Gianfranco Tallarico. Bologna: alla Dozza, concerto del violoncellista Mario Brunello
Ansa, 1 marzo 2010
Mario Brunello, uno dei più grandi violoncellisti contemporanei, oggi alle 14 ha suonato per i detenuti del carcere della Dozza. Lo annuncia un comunicato dell’Avoc, associazione volontari del carcere. Non è la prima volta che il musicista - spiega una nota - entra in un carcere con il suo violoncello per mettere a disposizione dei detenuti un’arte che spazia dalla musica classica a quella contemporanea. Proprio a Bologna, tre anni fa, tenne un altro concerto per i detenuti. Presenti oltre alla dirigenza del carcere anche il Prof. Fabio Roversi Monaco, presidente Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, la Prof. Beatrice Draghetti, Presidente della Provincia, e il Prof. Giuseppe Tibaldi, Presidente Avoc. Ucraina: modifiche al Codice Penale e più diritti per i detenuti
Ansa, 1 marzo 2010
Con l’entrata in vigore delle modifiche al Codice penale, in Ucraina si attendono nuovi diritti per i carcerati. Tra questi il diritto a una maggiore libertà di religione. Fra le nuove disposizioni, approvate dal Parlamento lo scorso 21 gennaio e di recente firmate dal capo dello Stato, l’integrazione dell’art. 7 che proibisce la discriminazione dei detenuti "per motivi di razza, colore della pelle, convinzioni politiche e religiose, genere, status e luogo di residenza". Un ulteriore emendamento stabilisce che "le associazioni religiose e di cittadini e le organizzazioni umanitarie" possono offrire, "nei termini stabiliti dal codice penale e dalla legislazione dell’Ucraina", il proprio aiuto "agli organi e alle autorità carcerarie nella correzione dei detenuti e nelle attività per la loro rieducazione sociale". Un nuovo comma dell’articolo che regolamenta lo svolgimento delle liturgie e delle cerimonie religiose negli istituti carcerari stabilisce che l’amministrazione penitenziaria non può "esprimere opinioni nei confronti delle religioni". Nel giugno 2009, l’Ugcc, la Chiesa Ucraina Greca Cattolica aveva promosso a Kiev in collaborazione con il Dipartimento di Stato per l’attuazione della pena, la Commissione cattolica internazionale per l’assistenza pastorale in carcere (Iccppc) e la Missione cristiana per il servizio carcerario in Ucraina, il congresso internazionale "La dimensione giuridica del ministero in carcere". Obiettivo dell’iniziativa, si legge in un comunicato del Sir, era garantire l’umanizzazione delle politiche penitenziarie nel Paese. Cile: per terremoto crolla un carcere più di 200 detenuti in fuga
Adnkronos, 1 marzo 2010
Il violento terremoto che ha colpito il Cile la notte scorsa ha provocato il crollo del muro di una prigione di Chillan, a sud della capitale, permettendo a 209 detenuti di scappare dal carcere. Subito dopo la scossa di magnitudo 8,8 della scala Richter, i prigionieri si sono rivoltati contro gli agenti carcerari, aprendosi una via di fuga dal penitenziario. Sessanta dei detenuti sono stati catturati, mentre 209 sono riusciti a scappare. Quattro le vittime, non si sa ancora se in conseguenza del crollo della prigione o degli scontri con gli agenti. Iran: amnistiati i detenuti accusati reati meno gravi in proteste
Agi, 1 marzo 2010
Le autorità iraniane hanno annunciato che sarà scarcerato un numero imprecisato di persone arrestate durante le proteste post-elettorali e accusate di reati meno gravi. La Procure generale di Teheran non ha indicato una data precisa per le scarcerazioni ma si è limitato a dire che cominceranno con l’inizio del nuovo anno persiano, il 21 marzo. Intanto l’ayatollah Ali Khamenei ha ribadito che il programma nucleare iraniano ha fini pacifici e ha accusato l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) di farsi "influenzare dagli Stati Uniti". Gli ultimi rapporti dell’Aiea, secondo la guida spirituale iraniana, "dimostrano questa mancanza di autonomia". Libano: un progetto di teatro-carcere, finanziato da Ue e Italia
Ansa, 1 marzo 2010
Per 52 volte ha tentato il suicidio, ma ora ha voglia di vivere, anche se è condannato a passare il resto dei suoi giorni dietro le sbarre del carcere di massima sicurezza libanese di Rumie, nei pressi di Beirut. Taleb, condannato tredici anni fa per omicidio volontario, da due anni partecipa assieme ad altri 40 detenuti al programma di dramma-terapia condotto dalla regista e attrice Zeina Daccache nell’ambito di un progetto finanziato dall’Unione Europea e dalla Cooperazione italiana. "Per lunghi anni sono stato in isolamento e stavo male", ricorda Taleb, parlando con l’Ansa all’interno della sala-teatro della più affollata prigione del Libano. "Poi ho iniziato a partecipare agli incontri con Zeina e piano piano sono uscito dall’incubo", ricorda, sostenuto dai suoi compagni riuniti in circolo di sedie di plastica bianche per una nuova sessione di dramma-terapia. Tra loro figurano un condannato a morte, un paio di ergastolani, qualcuno giudicato colpevole di omicidi, stupri e altri gravi delitti. Nel circolo di sedie compaiono anche molti fermati per reati minori che sono in attesa di giudizio. Da mesi e persino da qualche anno, contrariamente a quanto previsto dal diritto penale libanese. Samer ha 24 anni, da un anno e mezzo è dentro in attesa di un processo. Racconta di esser stato fermato una sera mentre fumava hashish con alcuni amici. "Non so quando mi giudicheranno - dice -. Ma vorrei riprendere gli studi per il diploma... il problema è che ti portano a fare gli esami nelle scuole di Beirut in manette. È un’umiliazione che ti scoraggia". La trentenne Zeina Daccache, formatasi come dramma-terapista negli Stati Uniti e poi con Armando Punzo (direttore della Compagnia della Fortezza del carcere di Volterra e autore nei mesi scorsi di un workshop proprio a Rumie) richiama il silenzio e dà il via alle attività di socializzazione e "ci si dimentica di stare dietro le sbarre". La prigione di Rumie sorge su una collina a nord-est della capitale, ma i 3.500 prigionieri del "più duro carcere del Libano" si sentono lontanissimi dalla civiltà: costruita per ospitare al massimo un migliaio di prigionieri, ha celle da quattro metri quadri dove sono stipati fino a sei detenuti. Secondo il recente rapporto del Centro libanese per i diritti umani (Cldu) non è solo il sovraffollamento a rendere impossibile la vita a Rumie e nelle altre 20 carceri regionali libanesi. "Mancano i servizi medici essenziali, le condizioni igieniche sono sotto i limiti accettabili, le infrastrutture sono inadeguate". Due terzi dell’intera popolazione carceraria (5.500 persone circa) è in attesa di giudizio, mentre il 13% è dentro in modo arbitrario, per lo più stranieri immigrati illegali. In tutto, stima l’organizzazione, il 70% dei prigionieri dovrebbe essere messo in libertà. In attesa della più volte annunciata riforma del sistema detentivo, le sessioni di dramma-terapia della Daccache, direttrice dell’organizzazione Catharsis, portano tre volte a settimana un conforto vitale. Grazie al progetto, giunto al suo terzo anno e finanziato dall’Italia con quasi 80.000 euro, una quarantina di detenuti l’anno scorso, per la prima volta in tutto il Medio Oriente, ha trasformato il carcere in un teatro. Da quell’esperienza è nato un documentario che è stato premiato al Film festival di Dubai del dicembre scorso e che sarà presentato al festival dei Diritti Umani di Bologna di novembre.
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