Rassegna stampa 7 aprile

 

Giustizia: "messa in prova" alla Camera; no corsia preferenziale

 

Apcom, 7 aprile 2010

 

Inizierà domani in commissione Giustizia alla Camera l’esame del ddl del governo che prevede che le pene detentive non superiori a un anno possano essere scontate a casa o presso un altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza e la sospensione del processo con messa alla prova.

Fallita per ora l’intenzione dell’esecutivo di dare una corsia preferenziale al provvedimento che costituisce uno dei pilastri del piano carceri portato in Consiglio dei ministri dal Guardasigilli Angelino Alfano lo scorso 13 gennaio: non è stata trovata l’unanimità dei gruppi, infatti, alla proposta di assegnare il ddl in sede legislativa.

"Prima di accordare la legislativa sul provvedimento del governo sulla detenzione domiciliare e la messa in prova - commenta la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti - vogliamo verificare in commissione la reale volontà di tutte le forze politiche ad avviare un percorso normativo che sia veramente risolutivo e durevole per risolvere le cause primarie del sovraffollamento delle carceri. Non vogliamo alcun allungamento dei tempi, ma come sempre puntiamo su un confronto costruttivo ed efficace. Se il governo e la maggioranza ci daranno segnali in questo senso saremo i primi a richiedere il trasferimento in legislativa. Una delle maggiori perplessità sull'attuale testo del ddl è che ancora una volta si vorrebbero affrontare le riforme sulla giustizia a costo zero. Quando sappiamo bene che per una reale riuscita della messa in prova e del carcere domiciliare c`è bisogno di investire adeguatamente su mezzi e risorse umane".

Secondo le stime del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, nel settembre 2009, circa il 32 per cento dei detenuti a seguito di sentenza definitiva scontavano pene detentive non superiori a un anno. Tale percentuale è costantemente in crescita: era circa il 25 per cento nel giugno 2007 e il 31 per cento nel giugno 2008. "Questo fenomeno - si legge nella relazione introduttiva del ddl - determina una condizione di disagio che espone lo Stato italiano alle condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo e non consente di attuare pienamente la funzione rieducativa della pena.

Di qui la necessità, oltreché di intervenire sulle infrastrutture carcerarie, di prevedere che, in alcuni casi, l’esecuzione delle pene più brevi possa avvenire anche in luoghi diversi dagli istituti penitenziari, fermo restando il principio che la detenzione, anche se breve, va comunque eseguita e non può essere sospesa se non nei casi previsti dal codice di procedura penale e dalle leggi in materia di ordinamento penitenziario".

Giustizia: Bernardini (Ri); Pd poco responsabile, ddl è prioritario

 

Dire, 7 aprile 2010

 

Rita Bernardini, deputata radicale membro della commissione Giustizia, ha scritto alla capogruppo del Pd in commissione Giustizia, Donatella Ferranti, sulla scelta del Partito democratico di non accordare la sede legislativa al ddl del governo in materia di "disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno e sospensione del procedimento con messa alla prova". "Vogliamo trascinare la discussione per mesi e mesi in sede referente - ha chiesto la deputata radicale alla Ferranti - e poi avere chissà quando il passaggio in aula e poi l’esame da parte dell’altro ramo del Parlamento? Arriveremo all’estate con più di 70mila detenuti senza che nulla di concreto sia accaduto".

Bernardini ha spiegato inoltre che "se la corsia preferenziale della sede legislativa non fosse accordata, si sentirebbe in dovere - soprattutto dopo aver rivisitato nei giorni di Pasqua e Pasquetta con Marco Pannella le case circondariali di Poggioreale e dell’Ucciardone - di riprendere la lotta nonviolenta informandone la comunità penitenziaria che - sia detto per inciso - è ormai allo stremo delle proprie capacità di sopportazione del dolore inflitto dallo stato di violazione permanente di diritti umani essenziali sia nei confronti dei detenuti che di tutto il personale in servizio".

Bernardini ha ricordato all’on. Ferranti che per indurre il Governo ad adottare misure e/o provvedimenti legislativi volti a ridurre la popolazione penitenziaria, aveva già portato avanti una dura iniziativa nonviolenta durata 19 giorni di sciopero della fame nel mese di febbraio. "Comprendo benissimo - ha scritto Bernardini nella lettera - che il ddl può non essere completamente soddisfacente e per migliorarlo dobbiamo tutti impegnarci, ma non essere consapevoli che i tempi richiesti dalla drammatica situazione di sovraffollamento carcerario devono essere necessariamente rapidi e non rilevare che per la prima volta da quando è iniziata la legislatura a maggioranza di centrodestra, si registra un’inversione di tendenza rispetto alla politica pervicacemente fin qui adottata all’insegna di più galera per tutti, mi appare poco responsabile e anche un po’ autolesionista visto che i gruppi parlamentari del Pd possono tranquillamente rivendicare a loro stessi il merito di questa accelerazione e presa di coscienza del parlamento dopo l’approvazione delle mozioni sulle carceri avvenuta in gennaio sia alla Camera che al Senato".

Giustizia: Garante Lazio; il Piano carceri? è rimasto sulla carta

 

Agi, 7 aprile 2010

 

"Il Piano carceri per il momento è rimasto sulla carta. Non si sa bene che fine abbia fatto, anche perché i soldi mancano. Viene annunciata ogni tanto una correzione, un Consiglio dei ministri, una riunione apposita e così via ma siamo lontani dall’avvio". Così il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni ai microfoni di CNRmedia. "Io penso - prosegue Marroni - che per evitare un affollamento che continua a crescere ogni settimana è necessaria una riforma profonda del sistema penitenziario italiano, perché altrimenti continuiamo ad avere norme che prevedono carcere per qualsiasi illegalità, e la detenzione diventa una soluzione miracolosa per dare sicurezza ai cittadini. Questo invece - conclude - non accade perché il carcere spesso è scuola di crimine e non altro. Oggi essere ottimisti è molto difficile".

Giustizia: Alberti Casellati; sì stanze per incontri intimi detenuti

 

La Nuova di Venezia, 7 aprile 2010

 

Privazione della libertà ma non degli affetti. Maria Elisabetta Casellati, sottosegretario veneto alla Giustizia, è convinta che il percorso di riabilitazione carceraria debba passare anche attraverso una normale attività sessuale. "Si dovrebbe pensare anche alla vita sessuale dei detenuti - ha sottolineato intervenendo al programma radiofonico di Radio2 "Un giorno da pecora". A questo fine andrebbero predisposte delle stanze".

Una riflessione a livello personale, precisa la Casellati, "non c’è un progetto governativo in questo senso". Resta il fatto che "nel momento in cui si affronta il problema del sovraffollamento sarebbe utile riflettere anche sul tema della vita sessuale dei detenuti. Molti paesi in Europa l’hanno già fatto. Certo non è facile organizzarla, ma potrebbe essere sano".

La senatrice padovana del Pdl è convinta che "una persona repressa nel suo istinto naturale e sessuale può avere qualche altra polarizzazione sessuale, magari anche non desiderata, o addirittura imposta dall’ambiente". Tutto ciò, è il pensiero della Casellati, non agevola certo un futuro ritorno alla normalità. "Si riflette, giustamente, su come poter agevolare il reinserimento post detenzione - aggiunge -. È giusto che il detenuto saldi il suo conto con la giustizia, ma è importante anche metterlo nelle condizioni per non tornare a delinquere una volta lasciato il carcere. In questo senso, oltre agli aspetti inerenti al lavoro, alla cultura e alla formazione, trovo sia positivo permettere ai carcerati di sviluppare un’affettività normale e completa".

Sul come organizzare questi incontri, la senatrice del Pdl, rispondendo alle domande dei conduttori Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro, ha specificato che "bisognerebbe predisporre delle stanze dove i carcerati possano incontrare le proprie mogli per un intrattenimento di carattere sessuale-affettivo. Riserverei a questi incontri lo stesso tempo dedicato ai colloqui con la famiglia, diciamo un’oretta". Insomma, nel momento in cui si affronta il problema del sovraffollamento degli istituti di pena italiani sarebbe giusto riflettere anche su questo aspetto di civiltà. "Nel nostro Paese - conclude - si dibatte molto sul problema del reinserimento dei carcerati, ma questo aspetto passa in secondo piano. Trovo invece che si dovrebbe pensare anche alla vita sessuale dei detenuti".

 

Salvaguardia vita affettiva detenuti nulla toglie a espiazione pena

 

"Il mio era un invito alla riflessione su un profilo che ritengo importante da un punto di vista umano e cioè la salvaguardia della vita affettiva del detenuto, valorizzando la sfera degli affetti al pari del reinserimento sociale e lavorativo, nulla togliendo all’espiazione della pena e, quindi, al debito che il detenuto ha nei confronti dello Stato e delle vittime del reato". È quanto tiene a precisare il sottosegretario al ministero della Giustizia Elisabetta Alberti Casellati, a proposito dell’intervista rilasciata al quotidiano "il Mattino di Padova" e alla successiva dichiarazione di Donato Capece, segretario nazionale del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria.

Giustizia: Bernardini (Ri); bene Casellati, su tutela vita affettiva

 

Il Velino, 7 aprile 2010

 

"Non posso che condividere le dichiarazioni con le quali il sottosegretario Casellati ha posto il problema di come salvaguardare la vita affettiva delle persone private della libertà. Ho sempre pensato infatti che maggiore considerazione per chi è in carcere, non vuol dire minor sicurezza per chi sta fuori, mentre un regime detentivo che non offre alcuna possibilità di scelta al detenuto e che lo priva di ogni legame affettivo con la vita esterna risulta essere, invece, un fattore criminologico di notevole spessore, che spesso porta alla ricaduta nel reato". Lo ha dichiarato Rita Bernardini, parlamentare radicale eletta nelle liste del Pd e membro della commissione Giustizia della Camera. "Per questi motivi nella mozione sulle carceri presentata in questa legislatura la delegazione radicale nel Gruppo del Pd aveva chiesto al Governo di impegnarsi affinché ai detenuti e agli internati venisse finalmente concessa la possibilità di coltivare i propri rapporti affettivi anche all’interno del carcere, consentendo loro di incontrare le persone autorizzate ai colloqui in locali adibiti o realizzati a tale scopo, senza controlli visivi e auditivi. La maggioranza dei parlamentari, sia alla Camera che al Senato, previo parere contrario espresso dell’Esecutivo, ha bocciato questa proposta. Mi metto a disposizione dell’on. Casellati per convincere i suoi colleghi di Governo ad approvare una tale riforma di civiltà dell’ordinamento penitenziario".

Giustizia: Sappe; no a proposta Casellati sulle stanze del sesso

 

Il Velino, 7 aprile 2010

 

"Sono davvero sconcertato dalle esternazioni estemporanee di certi esponenti di questo governo di centro-destra e mi chiedo se esse sintetizzano l’effettivo intendimento dell’Esecutivo Berlusconi in materia penitenziaria. Garantire il sesso in carcere ai detenuti dovrebbe essere l’ultimo dei pensieri di chi ha responsabilità di governo della Giustizia, vista la grave situazione penitenziaria".

È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, alle dichiarazioni della sottosegretaria alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati, ospite del programma di Radio2 "Un giorno da pecora" lo scorso lunedì 5 aprile.

"Qualche giorno fa, intervenendo ad una trasmissione radiofonica, la sottosegretaria alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati, che per l’Amministrazione penitenziaria ha competenze ben definite relativamente alla Direzione generale delle risorse materiali dei beni e dei servizi e alla Direzione generale del bilancio e della contabilità e non quindi di indirizzo della politica penitenziaria del Paese, ha dichiarato: "Si dovrebbe pensare anche alla vita sessuale dei detenuti. Una persona repressa nel suo istinto naturale e sessuale può avere qualche altra polarizzazione sessuale, magari anche non desiderata, o addirittura imposta dall’ambiente. Bisognerebbe predisporre delle stanze dove potersi incontrare con le proprie mogli per un intrattenimento di carattere sessuale-affettivo. Riserverei a questi incontri lo stesso tempo dedicato ai colloqui con la famiglia, diciamo un’oretta".

Che a fare queste dichiarazioni sia un sottosegretario alla Giustizia che evidentemente ignora quali siano le reali priorità in materia carceraria in Italia (come ad esempio i gravi disagi connessi alla presenza oggi nelle 200 galere italiane di oltre 67mila a fronte di 43mila posti letto con una conseguente pesante assenza di posti letto nelle celle tale da costringere molti detenuti a dormire per terra) mi stupisce non poco e mi sento in dovere di chiedere al ministro Guardasigilli Alfano se le dichiarazioni della sottosegretaria Casellati rispecchiano la linea del governo in materia carceraria. La sottosegretaria, che va ben oltre quanto tentarono di fare - non riuscendovi - i governi e i ministri della Giustizia di centro-sinistra succedutisi negli anni passati, pensa forse che si debba distogliere il già insufficiente personale di Polizia Penitenziaria dai compiti istituzionali di controllo e sicurezza in carcere per impiegarli e fare da baby sitter o guardoni di Stato al detenuto e ai suoi familiari mentre si scambiano effusioni in carcere?

Ha pensato di chiedere un parere prima alle Associazioni dei familiari delle vittime della criminalità o a chi ha subito un reato e poi anche ai suoi colleghi di coalizione di centro-destra, la sottosegretaria Casellati, su cosa ne pensano della sua bizzarra idea di stanze del sesso nelle carceri? Pensa davvero che il sesso per i detenuti sia una priorità di governo per l’esecutivo Berlusconi? Crede forse che il dettato costituzionale che sancisce come le pene debbano tendere alla rieducazione del condannato passi anche attraverso il sesso in carcere? Forse la sottosegretaria Casellati è rimasta romanticamente affascinata dalla deprecabile storia di qualche settimana fa a Milano Bollate, carcere a trattamento avanzato, in cui una detenuta è rimasta incredibilmente incinta di un altro recluso durante la detenzione in carcere. Non è quella la realtà delle carceri italiane".

Giustizia: Ceraudo; con rapporti affettivi anche carceri più vivibili

di Francesco Ceraudo (Centro regionale della Toscana per la salute in carcere)

 

Ristretti Orizzonti, 7 aprile 2010

 

In carcere si subiscono gravi alterazioni e mutilazioni in merito soprattutto alla vista, al linguaggio, e al sesso. Le drammatiche condizioni di sovraffollamento cronico rendono tutto più complicato ed insidioso. Esiste un gravissimo problema sessuale nelle carceri, di fronte al quale si osserva indifferenza, si preferisce schivare l’argomento, si preferisce non parlare.

Registriamo con soddisfazione i primi, timidi approcci da parte del legislatore; alcuni disegni di legge, infatti, sono stati presentati in Parlamento al fine di regolamentare la materia sulla stregua del modello realizzato nei paesi scandinavi.

Permettere ai detenuti di vivere i propri affetti, aprire le carceri alla sessualità è un tentativo concreto di umanizzare la detenzione e costituisce un segnale importante di prospettiva per i detenuti e per i familiari, poiché negare la sessualità, impedirla, comporta sul piano sostanziale, privarne anche la moglie, la fidanzata o la compagna le quali, in definitiva, non hanno alcuna colpa da espiare. Interrompere il flusso dei rapporti umani ad un singolo individuo, significa separarlo dalla sua stessa storia personale, significa amputarlo di quelle dimensioni sociali che lo hanno generato, nutrito sostenuto.

Risulta scientificamente comprovato che l’attività sessuale nell’uomo, rappresenta un ciclo organico che non è possibile interrompere senza determinare gravi ripercussioni fisiche e psichiche. Viene rinchiuso in cella un corpo, ma anche la stessa volontà, gli stessi desideri. Tutto viene deciso e gestito dagli altri. La sessualità è, invece, l’unico aspetto della vita di relazione dei detenuti che non risulta normativizzato da regolamenti o da disposizioni ministeriali. Tutto ciò crea, inevitabilmente, le premesse per il realizzarsi di inconfessabili arbitrii. Soprattutto noi Medici Penitenziari non vogliamo, non possiamo, non dobbiamo chiudere gli occhi sui problemi, sui bisogni, sui drammi degli uomini ristretti in carcere.

È veramente difficile potersi illudere che questi problemi scompaiano o si risolvano da soli, per quanto comodo sia, a volte, non vedere ed invece sia amaro, tormentoso sapere o capire. Il problema dell’affettività in carcere merita attenzione e rispetto perché vi confluiscono e l’animano gli istinti, le sensazioni, le emozioni, i sentimenti radicati in ogni uomo. L’affettività è un insopprimibile bisogno di vita, un po’ come respirare, nutrirsi, dormire. Mutilando l’umanità, comprimendo la natura oltre un certo limite, non rimane che la patologia della rinuncia o la patologia della degenerazione.

È il momento di chiedersi se fra i bisogni, se fra i diritti dei detenuti vi siano anche il bisogno ed il diritto di amare e di essere amati secondo le soluzioni adottate da paesi di grande civiltà penitenziaria come la Danimarca, la Norvegia, la Svezia, la stessa Spagna, persino l’Albania. Sulla stregua di tali considerazioni, esiste pertanto l’esigenza di istituzionalizzare con tutte le cautele e gli accorgimenti del caso il diritto alla sessualità.

I permessi-premio, i periodi brevi di licenza, le possibilità di avere incontri con la propria partner in carcere possono delineare alcune soluzioni del problema. Il problema molto serio dell’affettività in carcere viene richiamato come elemento fondamentale per rendere più vivibile l’ambiente carcerario e viene intravisto come un tentativo significativo dagli stessi Cardinali Tettamanzi di Milano e Sepe di Napoli che hanno ribadito queste posizioni in recenti visite al carcere di San Vittore e a Poggioreale.

Lo stesso Sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati ha richiamato l’attenzione in questo versante prefigurando la necessità di un provvedimento legislativo. Ho presenziato recentemente un Congresso Internazionale di Medicina Penitenziaria all’Università di Murcia in Spagna. Si è parlato dei suicidi in carcere. È emersa la considerazione che la possibilità di intrattenere rapporti affettivi in carcere da parte dei detenuti costituisca tra l’altro un importante, serio deterrente per i suicidi. Non a caso la Spagna che ha gli stessi numeri di popolazione detenuta dell’Italia, ha presentato la più bassa incidenza di suicidi (18-20 l’anno) in Europa. Ho visitato il carcere di Granada. Sono previste le camere dell’amore con un sistema organizzativo semplice ed efficace. Senza falsi moralismi, senza sterili discussioni ideologiche dovremmo avvertire il dovere di uniformarci. Queste sono le precise direttive emanate dal Consiglio d’Europa.

Giustizia: Porto Azzurro; 36 detenuti "sequestrano" due agenti

 

Ansa, 7 aprile 2010

 

Accerchiati, minacciati e sequestrati da una quarantina di detenuti armati di piccole lame. Due agenti penitenziari del carcere di Porto Azzurro (Livorno), ieri pomeriggio, sono stati vittime di una protesta dei reclusi contro le condizioni di vita nell’istituto: la mancanza di acqua calda, i mancati cambi di lenzuola e il vitto non adeguato. Tutto si è risolto senza incidenti dopo un paio d’ore, grazie alla mediazione del personale di polizia penitenziaria e dal comandante del reparto.

Proprio l’istituto penitenziario dell’Isola d’Elba nel 1987 fu teatro di una rivolta che tenne per una settimana l’Italia con il fiato sospeso. Dal 25 agosto al primo settembre, sei ergastolani capitanati dal neofascista Mario Tuti, durante un tentativo di evasione presero in ostaggio una trentina di persone, fra le quali il direttore dell’istituto. Gli ostaggi vennero poi rilasciati senza spargimento di sangue.

Per il direttore del carcere, Carlo Alberto Mazzerbo, quella di ieri è stata "un’azione dimostrativa condotta in una forma assolutamente intollerabile. La protesta è stata solo di una parte dei reclusi della sezione carceraria. La situazione è tornata alla normalità grazie alla professionalità dei due agenti. Gli altri e il comandante del reparto hanno condotto la mediazione e gestito la situazione con la freddezza necessaria". Secondo Mazzerbo, alla base della protesta ci sono "problemi di vivibilità legati al malfunzionamento della caldaia e di alcune lavatrici, che stiamo sistemando. Questo carcere non è diverso agli altri e deve fare i conti con problemi vari di gestione e di sovraffollamento".

Se ieri "gli altri agenti fossero entrati nella sezione - sostiene il segretario del sindacato Sappe, Aldo Di Giacomo - poteva scoppiare il caos con brutte conseguenze". Il segretario generale del sindacato UilPa penitenziari, Eugenio Sarno, invece, rilancia l’allarme carceri: quanto avvenuto, sostiene, è "la punta dell’iceberg delle pulsioni e delle tensioni che covano nei penitenziari italiani oramai pronti ad esplodere come una pentola a pressione". Poi, ricostruendo la vicenda, spiega che "intorno alle 16, durante le operazioni della conta, l’addetto alla sezione e il capoposto sono stati accerchiati e sequestrati dai 36 detenuti della quattordicesima sezione del terzo reparto. La liberazione degli ostaggi è avvenuta intorno alle 17.50". Alla base della protesta, secondo l’Uilpa, ci sono "le inumane condizioni del penitenziario isolano. La struttura è fatiscente - aggiunge il Sappe - e si deve fare i conti con la carenza di organico. Ci sono 320 detenuti a fronte di 121 agenti, quando invece ne servirebbero almeno 209. Prima dell’estate è previsto l’arrivo di altri 300 detenuti".

 

Mazzerbo (Direttore del carcere): sequestro intollerabile

 

"Un’azione dimostrativa sfociata in una forma assolutamente intollerabile". Carlo Alberto Mazzerbo, direttore del carcere di Porto Azzurro, commenta il sequestro dei due agenti avvenuto ieri. "La protesta, ben sopra le righe, è stata condotta solo da una parte dei reclusi della sezione carceraria - spiega il direttore del carcere - in circa due ore la situazione è tornata alla normalità, grazie alla professionalità dimostrata dai due agenti coinvolti direttamente. Gli altri e il comandante del reparto hanno condotto l’opera di mediazione e gestito la situazione con la freddezza necessaria".

I reclusi hanno dato vita all’azione dimostrativa per protestare contro le condizioni di vita generali nel carcere, in particolare per la mancanza di acqua calda e per il mancato cambio delle lenzuola. "Problemi di vivibilità, legati al malfunzionamento della caldaia e di alcune lavatrici che stiamo già provvedendo a sistemare", commenta il direttore. "Il carcere di Porto Azzurro - aggiunge Mazzerbo - non è diverso agli altri e deve fare i conti con problemi vari di gestione e di sovraffollamento". Problematiche che, con l’atteso arrivo di altri 300 detenuti prima dell’estate, potrebbero diventare difficilmente gestibili. "Ci auguriamo che nel frattempo si provveda a creare le condizioni necessarie per poter accogliere i nuovi detenuti in modo adeguato".

 

Sappe: le carceri stanno per esplodere, subito piano carceri

 

"Le carceri italiane stanno per esplodere ed episodi come quelli avvenuti ieri a Porto Azzurro, con due agenti di Polizia penitenziaria sequestrati da detenuti in rivolta, ne sono l’esempio più eclatante e drammatico. L’appello che rivolgiamo al Governo Berlusconi, al ministero della Giustizia e all’Amministrazione Penitenziaria è dare immediata esecuzione al Piano carceri, vista l’invivibilità delle galere italiane per chi è detenuto e per chi vi ci lavora 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno".

Esprime preoccupazione Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Sappe - il primo e più rappresentativo della categoria -, nel commentare il grave episodio accaduto ieri pomeriggio nel carcere di Porto Azzurro. "Non posso che giudicare con estrema preoccupazione il gravissimo episodio avvenuto ieri pomeriggio nel carcere di Porto Azzurro, tristemente noto anche per un’analoga rivolta avvenuta nell’agosto del 1987, con due appartenenti alla Polizia Penitenziaria sequestrati da detenuti in protesta per le condizioni di vita quotidiana all’interno del penitenziario (mancanza di acqua calda, mancati cambi di lenzuola e vitto non adeguato). Esprimo ai colleghi sequestrati e poi rilasciati la nostra vicinanza e solidarietà: quello avvenuto ieri è gravissimo ed inaccettabile".

Aggiunge Capece: "Questi episodi violenti di aggressione ai nostri agenti sono la risultanza tra il crescente sovraffollamento penitenziario, le gravi carenze organiche del corpo di Polizia Penitenziaria, che ha ben seimila agenti in mano, e la mancanza di provvedimenti concreti delle direzioni penitenziarie a tutela delle donne e degli uomini della Penitenziaria, che lavorano nella prima linea delle sezioni detentive completamente disarmati e senza tutela alcuna.

La grave e critica situazione del carcere di Porto Azzurro emerge chiaramente esaminando i dati relativi agli organici del Corpo di Polizia e alle presenze di detenuti: alla data del 28 febbraio scorso c’erano detenute circa 630 persone per 326 posti letto regolamentari! Mancano in organico ben 51 poliziotti penitenziari e complessivamente 34 figure professionali nelle varie qualifiche (e tra esse ben sei educatori) del comparto ministeri". Il Sappe chiederà nelle prossime ore al ministero della Giustizia e al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di Roma di adottare urgenti provvedimenti per il carcere di Porto Azzurro, finalizzati da un lato ad incrementare concretamente gli organici del Reparto di Polizia Penitenziaria e dall’altro a ridurre il numero dei detenuti presenti.

 

Uil-Pa: da Porto Azzurro allarme da non sottovalutare

 

"Il gravissimo fatto di cronaca accaduto ieri sera nel penitenziario di Porto Azzurro è un allarme che non deve essere sottovalutato. Esso rappresenta, infatti, solo la punta dell’iceberg delle pulsioni e delle tensioni che covano nei penitenziari italiani oramai pronti ad esplodere come una pentola a pressione". Questo il commento di Eugenio Sarno alla notizia del sequestro, nel pomeriggio di ieri, di due agenti penitenziari da parte di alcuni detenuti ristretti a Porto Azzurro. "Nel pomeriggio - racconta Sarno - durante le operazioni della conta (ore 16) l’addetto alla sezione e il capoposto sono stati accerchiati e sequestrati dai 36 detenuti ristretti nella 14esima sezione del terzo reparto.

La liberazione degli ostaggi è avvenuta intorno alle 17.50, grazie alla mediazione effettuata da personale di polizia penitenziaria e dal comandante del reparto. Ci pare utile sottolineare come a Porto Azzurro benché siano presenti 306 detenuti manchi un direttore titolare e questo nonostante i dirigenti penitenziari in forza al Dap siano in numero ben maggiore delle strutture penitenziarie (510 dirigenti penitenziari per 208 carceri). Per la Uil Pa Penitenziari i fatti di Porto Azzurro sono un chiaro monito. "I detenuti hanno voluto protestare contro le inumane condizioni del penitenziario isolano. Una struttura che ho già inserito nel mio prossimo giro di visite (26 aprile), avuto riguardo per le continue segnalazioni che mi giungevano dai nostri responsabili.

Penso, però, che sia necessario dire con chiarezza e fermezza che tali forme di proteste non potranno essere ne tollerate ne consentite. La violenza non potrà mai essere strumento di denuncia e comunicazione. Vogliamo sperare che quello di Porto Azzurro resti un episodio isolato. Tutta la comunità penitenziaria è impegnata a denunciare l’inciviltà e la disumanità che quotidianamente il personale e i detenuti debbono affrontare e subire nei nostri penitenziari.

Facciamo ancora una volta appello al Ministro Alfano perché si impegni a fondo per rendere immediatamente disponibili e fruibili le più volte annunciate misure accompagnatorie al piano carceri (detenzione domiciliare e affidamento in prova), confidando nel senso di responsabilità dell’intero Parlamento. Quanto accaduto a Porto Azzurro - chiude il segretario generale della Uil Pa Penitenziari - è la più clamorosa delle denunce sulle condizioni lavorative della polizia penitenziaria. Una sola unità è preposta alla sorveglianza di decine, centinaia, di detenuti. Soli, abbandonati e impotenti. È chiaro che occorre implementare gli organici.

Ma delle 3.700 assunzioni straordinarie annunciate da Alfano, nemmeno l’ombra. Di contro il Capo del Dap, Ionta, resta fermo e silente di fronte a questa drammatica situazione. Potrebbe, ma non lo fa, recuperare centinaia di unità di polizia penitenziaria impiegate nei palazzi del potere.

Dovrebbe, ma non lo fa, disporre la presenza di un dirigente titolare presso ogni istituto penitenziario. Nelle sue vesti di Commissario Straordinario lo stesso Ionta nulla fa trapelare sul c.d. piano carceri. Nel frattempo questo silenzio e questa inoperosità seppellisce il diritto, la dignità e la civiltà. Speriamo che il 13 aprile quando il ministro Alfano ci incontrerà, salvo ulteriori rinvii, si possa avere un quadro più chiaro e determinato degli obiettivi che il piano carceri si pone. Obiettivi che non possono, certamente, solo limitarsi alla mera ricerca di nuovi posti detentivi".

Marche: Garante in "trasferta" a Lecce per parenti di detenuti

 

Ristretti Orizzonti, 7 aprile 2010

 

Un collaboratore dell’Ufficio del garante dei Diritti dei detenuti della Regione Marche sarà a Lecce presso l’Ufficio del Difensore Civico della Provincia martedì 13 aprile dalle ore 09.00 alle ore 13.00 a disposizione di familiari o legali od associazioni od enti di promozione sociale che volessero segnalare situazione di persone ristrette nelle carceri della Regione Marche.

Il garante si occupa di: diritto al lavoro, alla formazione, alla crescita culturale alla tutela della salute, alla cura della persona, alla affettività in modo particolare in presenza di figli minori. Il Garante svolge attività di sensibilizzazione pubblica sul tema dei diritti umani e sulla finalità rieducativi della pena, avvicinando la comunità locale al carcere.

Il Garante dei diritti dei detenuti della Regione Marche è un organo di garanzia che, in ambito penitenziario ha funzioni di tutela delle persone private o limitate della loro libertà personale. Il suo operato si differenzia pertanto nettamente per natura e funzioni, da quella degli organi di ispezione amministrativa interna e della stessa magistratura di sorveglianza. Il Garante è una figura eletta dal Consiglio Regionale delle Marche che svolge per conto della comunità regionale, compiti di promozione dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi regionali.

Per informazioni: Lecce - Ufficio del Difensore Civico, Palazzo Adorno, in via Umberto I, nelle vicinanze del Palazzo dei Celestini e della Basilica di Santa Croce. È aperto al pubblico nella mattinata, dal lunedì al venerdì. Il numero di telefono è 0832/683347, il numero di fax è 0832/683346. Ancona - Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti, Via Oberdan 1 - è aperto al pubblico nella mattina dal lunedì al venerdì dalle ore 09.00 alle ore 13.00 tel. 071- 2298483 fax 071 - 2298483. Utilizzando la pagina contatti del sito web http://ombudsmanmarche.jimdo.com.

Toscana: la Regione acquisterà 4.500 materassi, per i detenuti

 

Il Tirreno, 7 aprile 2010

 

Emergenza carceri in Toscana. A tal punto che il neo presidente della Regione Enrico Rossi ha deciso come primo atto del suo governo quello di far arrivare ai detenuti toscani materassi nuovi. Un segno di attenzione nei confronti di una condizione di degrado e di inciviltà. "Con 620mila euro verranno comprati e inviati nei 18 penitenziari della Toscana 4mila 500 materassi e cuscini nuovi. Verrà garantita la loro periodica pulizia e ai carcerati verrà anche fornito un kit personale per curare la propria igiene orale e del corpo", spiega una nota della Regione. In Toscana i detenuti sono circa 4.500 mentre i posti letto sono 2.836.

E il sovraffollamento moltiplica, come dice il centro regionale per la salute in carcere, i casi di infezioni, scabbia, pediculosi, epatiti, Tbc, Hiv. Perché i detenuti sono costretti a stare anche 22 ore al giorno in cella visto che non ci sono sufficienti agenti di custodia per permettergli la cosiddetta "ora d’aria". "Il degrado delle condizioni igieniche e sanitarie a causa del sovraffollamento è una cosa che salta subito agli occhi entrando in carcere - spiega Rossi, che è ancora assessore alla sanità in carica -.

La sanità pubblica regionale si fa carico di questi problemi anche in carenza di risorse nazionali, perché il suo obiettivo è quello di assicurare il diritto alla salute di tutti i cittadini, detenuti o meno che siano". Conclude Rossi: "Tutto ciò lo impone la legge ma lo dicono soprattutto quei valori di umanità, di universalità e di giustizia".

Roma: Rebibbia; 20 detenuti malati fanno sciopero della fame

 

Apcom, 7 aprile 2010

 

Da questa mattina venti detenuti del reparto G 14, destinato a reclusi malati e infermi, del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso hanno iniziato uno sciopero totale della fame per chiedere che venga data immediata risposta ad un pacchetto di richieste che comprendono, fra l`altro, la possibilità di parlare più frequentemente con il magistrato di sorveglianza e l`umanizzazione dell`ora d`aria con la possibilità di usufruire degli spazi verdi interni al carcere. Lo rende noto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni.

Dal 29 marzo scorso i detenuti ricoverati nel G 14 hanno iniziato la protesta con il rifiuto del cibo dell`amministrazione penitenziaria. Gli stessi reclusi hanno annunciato, questa mattina, l`inasprimento della protesta con lo sciopero totale della fame e quello della spesa. Fra le altre rivendicazioni avanzate, la distribuzione della terapia in cella e, soprattutto, l`applicazione della legge che prevede l`incompatibilità con il carcere per i detenuti affetti da malattie gravi.

"Le persone che stanno attuando questa coraggiosa forma di protesta hanno sollevato un problema di strettissima attualità in carcere - ha detto Marroni - quello dei reclusi affetti da malattie la cui gravità non dovrebbe consentire loro di stare in carcere. Personalmente ho sollevato da tempo questo problema, raccontando i casi di reclusi malati costretti a stare in una cella perché non hanno una famiglia oppure mancano le strutture in grado di accoglierli all`esterno. Bisognerebbe avere coraggio di investire per creare un sistema alternativo alla detenzione per rendere alla lunga le carceri più vivibili. E nel frattempo che ciò accada, adoperarsi per rendere più umane le condizioni di vita in carcere dei detenuti malati".

Palermo: Ucciardone è fatiscente, il Comune faccia la sua parte

 

Redattore Sociale, 7 aprile 2010

 

Dopo la visita dei parlamentari Radicali, che hanno preso atto della precarietà della situazione, la protesta di allarga anche agli spazi esterni, dove i familiari attendono di poter parlare con i detenuti senza potersi riparare dalle intemperie.

Detenuti ammassati all’interno del penitenziario, poco personale e pulizie che lasciano a desiderare. All’esterno del carcere i parenti dei reclusi aspettano il loro turno di visita in mezzo ai rifiuti e senza alcun riparo dalla pioggia e sole. È la situazione all’Ucciardone di Palermo.

Nell’antica casa circondariale in questo momento ci sono 720 detenuti costretti a convivere nelle celle in uno stato di sovraffollamento enorme. I reclusi vivono in una struttura fatiscente, senza riscaldamento. Si sta per aprire una nuova sezione ma manca il personale per farla funzionare. L’organico è sotto di almeno unità: 300 agenti di polizia sui 500 previsti.

La situazione nei giorni scorsi è stata rimarcata dai detenuti, che hanno inviato una lettera al Garante dei diritti dei detenuti Salvo Fleres. Il garante ha ribadito la necessità di interventi immediati per ridare dignità alle persone che si trovano in carcere. "I detenuti - ha detto Fleres - chiedono il rispetto della dignità dei loro familiari attraverso la realizzazione di piccoli interventi la cui competenza è del sindaco di Palermo ma che tardano ad arrivare".

I detenuti di una intera sezione dell’Ucciardone chiedono fra le altre cose, infatti, che i loro parenti, in attesa del loro turno durante le visite, possano disporre di un posto dove potersi riparare dalla pioggia, dal sole e dal vento. "In tal senso - ha spiegato il Garante Fleres - già lo scorso mese di gennaio ho interpellato il sindaco di Palermo affinché venga realizzata una copertura per consentire ai familiari, che già dalle 4,30 del mattino iniziano i turni d’attesa per visitare i loro parenti, di poter disporre di un riparo". Un riparo e poi la pulizia del piazzale antistante: "Ormai - ha aggiunto Fleres - è invaso da ogni tipo di rifiuto e le panchine sono in stato di abbandono".

Lo scorso lunedì Marco Pannella insieme a una delegazione di radicali, composta da Rita Bernardini e Matteo Angioli, ha compiuto una visita ispettiva e ha definito l’Ucciardone una "discarica sociale". La situazione del carcere borbonico di Palermo è stata descritta dalla Bernardini. "Sono stata qui nel marzo 2009 e da allora - ha detto - non è cambiato nulla, la situazione è peggiorata e questo non per colpa della direzione o del personale che opera in questo istituto ma per responsabilità dell’amministrazione centrale".

In Sicilia l’emergenza carceri ha raggiunto livelli non più tollerabili. Al 28 febbraio, a fronte di una capienza massima pari a 5.086 detenuti se ne registrava la presenza di 8.043. A farne le spese secondo il sindacato della Uil sono i dipendenti delle carceri ma, soprattutto, i detenuti costretti a vivere in condizioni igieniche disumane. "Le limitazioni incivili della detenzione - ha detto Sarno della Uil Palermo - si coniugano con la quotidiana contrizione dei diritti elementari per il personale penitenziario e per la polizia penitenziaria".

Il sindacato chiede che le proposte ministeriali diventino realtà e che siano, avviate, al più presto l’affidamento in prova, il ricorso alla detenzione domiciliare, l’assunzione di circa 4 mila unità di polizia penitenziaria. In Sicilia rispetto agli organici previsti, mancano sette dirigenti penitenziari, 63 educatori, 3 assistenti sociali, 23 contabili, 51 collaboratori e 68 tecnici.

Salerno: detenuto tenta il suicidio in ospedale salvato da agenti

 

Il Velino, 7 aprile 2010

 

Questo pomeriggio un detenuto 43enne, salernitano, classificato Alta Sicurezza e con fine pena a settembre 2010, ha tentato il suicidio nell’ospedale Ruggi d’Aragona di Salerno, dove era stato ricoverato ieri. Posizionatosi sul cornicione del quarto piano ha più volte minacciato di lanciarsi nel vuoto. Grazie alla mediazione degli agenti di sorveglianza supportati dal comandante del Nucleo operativo provinciale T.P. della Polizia Penitenziaria l’uomo ha poi desistito dal suo proposito. Ne dà comunicazione il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, che riapre le polemiche sulla mancata riapertura del padiglione detentivo presso l’ospedale cittadino. "Da molto tempo abbiamo sollecitato la riapertura del padiglione detentivo presso il nosocomio salernitano, sottolineando i rischi di dover ricorrere ai ricoveri nelle corsi ordinarie.

I lavori di ristrutturazione del padiglione detentivo, che ne causarono la temporanea chiusura, sono da tempo ultimati. Purtroppo la mancata assegnazione di personale medico e paramedico ne impedisce l’opportuna quanto necessaria riapertura. Considerato che le autorità amministrative dell’ospedale non riescono, per ragioni a noi sconosciute, a porre rimedio alla situazione non possiamo non auspicare il diretto intervento del prefetto di Salerno nei confronti della direzione sanitaria dell’ospedale con l’intimazione a provvedere.

Riaprire quella struttura - sottolinea Eugenio Sarno - significa garantire maggiore sicurezza alla collettività e consentire di effettuare il servizio di sorveglianza in ambienti protetti e discreti a tutto vantaggio della privacy degli stessi detenuti ricoverati la cui presenza nelle corsie ordinarie determina preoccupazioni ed imbarazzi negli altri ammalati ricoverati. Possiamo solo immaginare quale e quanta agitazione avrebbe ingenerato l’eventuale suicidio del detenuto ricoverato e le polemiche che ne sarebbero derivate. Invece grazie alla prontezza di riflessi di un poliziotto penitenziario possiamo riferire del 29esimo suicidio sventato dagli agenti penitenziari".

Cagliari: corso di "filet artistico" per 20 detenute Buoncammino

 

Agi, 7 aprile 2010

 

L’arte del filet di Bosa da domani entra a Buoncammino nella sua veste più moderna quella che permette di realizzare girocolli, orecchini, bracciali, pendenti e spille impreziositi con delicati colori e perle di diversa fattura. Promosso dal Centro Territoriale Permanente, con la supervisione di Alba Demurtas, curato dalla maestra di filet Mariangela Porcu, il corso "I gioielli e il ricamo", articolato in trenta ore, si avvale della collaborazione dell’area trattamentale diretta da Claudio Massa.

Il progetto, coordinato da Giuseppina Pani, interesserà le detenute della sezione femminile dell’Istituto Penitenziario cagliaritano diretto da Gianfranco Pala, che seguono i corsi scolastici del Ctp. Per due volte alla settimana, il lunedì e il giovedì, dalle 10.20 alle 12, le detenute potranno scoprire come nascono i pavoni, i fiori, i tralci di vite con il ricamo filet e apprendere a trasformarli in originali gioielli dai colori pastello. Non solo un momento di svago per le donne ristrette ma anche un’occasione per acquisire una competenza lavorativa spendibile sul mercato. Le lezioni del corso si terranno nella sala polivalente della sezione femminile.

"L’obiettivo della Direzione è duplice - sottolinea Michela Cangiano, comandante degli Agenti di Polizia Penitenziaria - dare maggior senso e dignità al periodo della carcerazione e tentare di restituire alla società persone che siano in grado di effettuare scelte diverse da quelle criminali una volta scontata la pena. Solo proseguendo su questa strada è possibile dare al cittadino una sicurezza reale e duratura, non limitata al periodo di carcerazione. Un successo - aggiunge Cangiano - ancora più significativo in quanto frutto dell’impegno e del sacrificio personale di coloro che ogni giorno lavorano nel carcere tra i quali gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria, gli educatori e tutti gli altri collaboratori che operano in una situazione di estrema difficoltà caratterizzata da una profonda carenza di risorse materiali ed umane e, a volte, dall’indifferenza della società verso i problemi penitenziari". "L’iniziativa - afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme" - rappresenta un’occasione per le detenute ma anche un momento significativo per una struttura che nonostante le difficoltà oggettive, grazie alla collaborazione dei diversi operatori, riesce a far vivere esperienze positive a chi si trova in difficoltà". A conclusione del corso di educazione degli adulti sarà allestita una mostra.

Immigrazione: la Consulta... e la "beffa infinita" della sanatoria

di Guido Savio (Asgi)

 

Il Manifesto, 7 aprile 2010

 

Con una circolare del 17 marzo firmata dal Capo della Polizia Antonio Manganelli, il Ministero dell’Interno ha chiarito che non possono accedere alla regolarizzazione colf e badanti condannati per non aver ubbidito all’ordine di allontanamento del questore. Tale condanna rientrerebbe nelle ipotesi di arresto facoltativo in flagranza previste dall’art 381 c.p.p. e, pertanto, sarebbe ostativa alla regolarizzazione.

La tesi del Ministero non è affatto pacifica, potendosi invece sostenere che per il reato di inottemperanza all’ordine del questore l’arresto è previsto dal testo unico immigrazione e non dal codice di procedura penale e, pertanto, la relativa condanna non è di ostacolo alla regolarizzazione. Ogni sanatoria comporta, fisiologicamente, un’autodenuncia. Chi vuole essere regolarizzato è costretto ad uscire allo scoperto, a smettere di essere "invisibile". È per questo che la legge ha previsto, fino alla definizione della procedura di emersione, la sospensione di tutti i procedimenti, penali e amministrativi connessi alla presenza sul territorio e al lavoro nero, nei confronti del datore di lavoro e del lavoratore. E, parallelamente, l’estinzione degli stessi illeciti a regolarizzazione avvenuta E, ancora, sempre la legge di emersione ha previsto che , possano sanarsi gli espulsi per irregolarità dell’ingresso e/o del soggiorno.

È noto a tutti che l’ordine del questore costituisce la modalità ordinaria di esecuzione delle espulsioni: quel che non riesce a fare lo Stato, con i suoi potenti mezzi, lo deve fare l’immigrato, chiamato ad auto espellersi in soli cinque giorni. Salvo giustificato motivo. Pena l’arresto e la reclusione da uno a quattro anni. Secondo l’opinione ministeriale, gli espulsi per irregolarità di ingresso e/o soggiorno - che pure sono inottemperanti all’ordine del questore - possono sanarsi, se però sono stati un poco più sfortunati, e sono stati fermati una seconda volta e, solo per questo arrestati e condannati, allora no: dura lex, sed lex. E quindi si ricomincia dall’inizio, come al gioco dell’oca. È stata tutta una finzione, abbiamo scherzato, si toma clandestini, si procede all’espulsione e ad applicare le sanzioni, penali e amministrative, al datore di lavoro che ha dichiarato - con la domanda di emersione - di avere alle sue dipendenze un lavoratore straniero privo di permesso di soggiorno. Insomma, la possibilità di emersione dipende dall’alea.

È importante rammentare che, proprio in tema di emersione del lavoro sommerso, con la sentenza n. 78/2005, la Corte costituzionale precisò che "se è indubitabile che rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire i requisiti che i lavoratori extracomunitari debbono avere per ottenere le autorizzazioni che consentano loro di trattenersi e lavorare nel territorio della Repubblica, è altresì vero che il suo esercizio deve essere rispettoso dei limiti segnati dai precetti costituzionali. A prescindere dal rispetto di altri parametri, per essere in armonia con l’art 3 della Costituzione la normativa deve anzitutto essere conforme a criteri di intrinseca ragionevolezza". Far dipendere da fatti del tutto casuali - essere stato fermato una invece che due volte - la sorte dei lavoratori stranieri che si sono autodenunciati (e dei loro datori di lavoro), suona come una beffa, assai poco conforme ai citati "criteri di intrinseca ragionevolezza".

Francia: medico preso in ostaggio da detenuto in carcere Santé

 

Apcom, 7 aprile 2010

 

Dopo alcune ore di paura, è finita bene la vicenda del medico preso in ostaggio da un detenuto nel carcere parigino de La Santé: il sequestratore, considerato pericoloso dalle autorità carcerarie, lo ha liberato e si è arreso. "Il detenuto si è arreso e ha liberato l’ostaggio che è in buone condizioni", hanno reso noto fonti del ministero della Giustizia al termine di oltre cinque ore di negoziati.

Il carcerato, Francis Dorffer, di 26 anni, condannato per violenza sessuale e furti, ha ceduto dopo una trattativa estenuante con la Brigata di ricerca e indagine (Bri), assistita da una psicologa. L’uomo aveva sequestrato lo psichiatra Cyrille Canetti, era in possesso di un’arma bianca di fabbricazione artigianale e chiedeva di essere trasferito più vicino alla sua compagna, che abita nella città di Mulhouse, nell’Est della Francia.

L’amministrazione penitenziaria ha ceduto alle richieste del carcerato, che in passato aveva già preso in ostaggio altre due persone. Nel settembre del 2003, a 19 anni, l’uomo aveva strangolato e sgozzato un compagno di cella con il quale aveva avuto dei litigi, e per questo è stato condannato a 30 anni di prigione.

Usa: detenute devono pedalare su una cyclette per vedere la Tv

 

Galileo, 7 aprile 2010

 

Cosa succederebbe se tutti i detenuti americani producessero energia pedalando su una cyclette appositamente modificata? Se lo è chiesto lo Sceriffo dell’Arizona Joe Arpaio che ha avviato un piccolissimo esperimento introducendo quello che lui ha chiamato la Pedal Vision. Preoccupato del giro vita di alcune detenute in un carcere femminile nell’Arizona, ha pensato di far fare loro un po’ di esercizio fisico, proponendo la seguente equazione. Se pedali, puoi guardare la televisione.

La dinamo collegata alla cyclette della Pedale Vision è in grado di alimentare un televisore da 19 pollici e se la voglia passasse durante la visione del programma preferito, un rumore avverte il detenuto che la TV si sta spegnendo, impedendo la visione del programma televisivo.

L’esperimento dello Sceriffo dell’Arizona Joe Arpaio è stato testimoniato da MyFox in una trasmissione realizzata dagli utenti qualche settimana fa. Questa curiosa esperienza fa sorgere una domanda. Che cosa succederebbe se tutti i detenuti americani fossero chiamati a pedalare su Cyclette appositamente modificate per mantenere la propria linea e contemporaneamente produrre energia elettrica?

Del resto, proprio a Natale, nelle piazze milanesi, era stata avviata un’iniziativa simbolica, durante la quale i cittadini milanesi venivano chiamati a pedalare e produrre energia per un albero natalizio. Considerando che negli Usa la popolazione carceraria nel corso del 2008 ammontava a circa 2,5 milioni di detenuti e presupponendo con plausibile affidabilità che un individuo potrebbe produrre circa 150 W di energia elettrica ottenuti grazie ad un esercizio fisico moderato, in USA si potrebbero produrre circa 370.000 chilowatt/ora (kWh) al giorno.

Se moltiplicassimo l’energia prodotta dalle Cyclette per il costo dell’energia elettrica che negli Usa è pari a 12 ¢ / kWh, ogni giorno negli Stati Uniti si risparmierebbero circa 110.000 $ (ipotizzando che un detenuto pedalasse per 2,5 ore al giorno), per un risparmio annuale di circa 40 milioni di dollari. Ottima idea e risultati molto interessanti. Rimarrà solo un’idea, una chimera, molto probabilmente irrealizzabile, almeno se pensato e immaginato anche in Italia.

 

 

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