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Giustizia: domiciliari; decreto pronto? il Cdm non lo esamina
Ansa, 30 aprile 2010
È pronto il decreto legge con cui il governo punta ad alleggerire, almeno in parte, il sovraffollamento delle carceri. Il provvedimento era stato preannunciato due settimane fa dal premier Silvio Berlusconi, e prevede la detenzione domiciliare al condannato al quale resti da scontare un anno di carcere o al condannato a una pena detentiva non superiore a un anno. La bozza di provvedimento ricalca a larghe linee il testo del ddl ora all’esame della Commissione giustizia della Camera, tranne la cosiddetta "messa alla prove" per gli imputabili di reati puniti con pene fino a tre anni. Stralciata quest’ultima parte (su cui la Lega si è detta contraria), il decreto si limiterà a introdurre un nuovo principio, e cioè che le pene detentive non superiori a un anno, di regola, debbano essere espiate presso un domicilio esterno al carcere. A regime si pensa che le carceri saranno così alleggerite di circa 2mila detenuti all’anno (il sovraffollamento è ora pari a oltre 67.000 detenuti contro una capienza regolamentare di circa 43mila posti). Ma la bozza di decreto introduce numerosi "paletti": non potranno avere la detenzione domiciliare coloro che sono stati condannati per reati di particolare allarme sociale (delitti di mafia, terrorismo, sequestro di persona a scopo di estorsione, omicidio, rapina, etc.); esclusi anche i delinquenti abituali, professionali o per tendenza, come pure coloro che sono sottoposti a regime di sorveglianza particolare o i condannati ai quali sia stata revocata una misura alternativa. E ancora: la detenzione domiciliare non sarà automatica in quanto spetterà al magistrato di sorveglianza decidere su ciascun caso; non sarà concessa nel caso in cui il domicilio non sia idoneo o quando il condannato in carcere abbia riportato provvedimenti disciplinari che fanno emergere il pericolo concreto di fuga. Previste, infine, due misure di carattere repressivo: aumentare le pene per chi evade (anche in caso di allontanamento dal luogo di detenzione domiciliare), con un raddoppio del minimo della pena (da 6 mesi a un anno) e con un triplicarsi del minimo (da uno a tre anni); introdurre nel codice penale una aggravante (con aumento delle pene di un terzo) per i delitti commessi dal condannato sottoposto a misure alternative. Giustizia: Anm; cambiare ddl su messa in prova altrimenti fallirà
Agi, 30 aprile 2010
Il disegno di legge che prevede la messa in prova i detenuti che hanno compiuto reati puniti con pena inferiore a 3 anni di reclusione e la detenzione domiciliare per chi deve scontare una pena residua di un anno deve essere in parte modificato, altrimenti le nuove norme non avranno gli effetti sperati. Lo sostiene l’Associazione nazionale magistrati, che oggi pomeriggio è stata ascoltata in audizione dalla Commissione Giustizia della Camera. "L’impianto del provvedimento - spiega Luca Palamara, presidente dell’Anm - è condivisibile, ma se non verranno attuate alcune modifiche rischia di togliere potere di valutazione al giudice e di avere un impatto negativo sui tribunali di sorveglianza". Il sindacato delle toghe, dunque, esprime "perplessità" sulla scelta, contenuta nel ddl, di "sottrarre al magistrato di sorveglianza ogni valutazione sulla idoneità della misura" della detenzione domiciliare: si passerebbe, sottolinea Palamara, "da un automatismo all’altro: oggi è vietato in ogni caso, anche in assenza di pericolosità, concedere la detenzione domiciliare al recidivo, domani sarebbe obbligatoria l’applicazione del nuovo istituto anche ad un soggetto al quale siano state già rigettate istanze di applicazione di benefici, in quanto ritenuto, in concreto, pericoloso". Inoltre, appare "necessaria - rileva l’Anm - una valutazione sull’impatto della riforma sui tribunali di sorveglianza, i quali, nella fase immediatamente successiva all’entrata in vigore della legge, saranno chiamati a far fronte, in un brevissimo termine, a oltre 10mila istanze". Più positivo il giudizio dei magistrati sull’istituto della messa in prova: "questa - ricorda Palamara - era già stata proposta come strumento per deflazionare il dibattimento e per ridurre gli eccessi di carcerazione per fatti di minore gravità e per pene brevi". Secondo il sindacato delle toghe, però, l’introduzione del nuovo istituto "va tempestivamente accompagnata da misure efficaci di dotazione delle strutture pubbliche di mezzi e professionalità idonei a rendere effettiva la misura e adeguati i controlli sulla sua esecuzione. La effettiva possibilità di rendere concretamente applicabile l’istituto - conclude l’Anm - rappresenta una condizione ineludibile senza la quale si rischia di condannare al fallimento una misura di civiltà e di razionalità". Giustizia: Aiga; il ddl Alfano è necessario, ma non è sufficiente
www.osservatoriosullalegalita.org, 30 aprile 2010
A conclusione dell’audizione dinanzi alla Commissione Giustizia della Camera sul ddl Alfano in materia di esecuzione presso il domicilio della pena detentiva e di sospensione con messa alla prova, la delegazione dell’Aiga (composta dal presidente avv. Giuseppe Sileci e dagli avv.ti Francesco Capecci e Fabio Beconcini) ha stigmatizzato le disumane condizioni nelle quali vive la popolazione carceraria e l’urgenza di intervenire sul sovraffollamento delle carceri per prevenire ulteriori gesti suicidari (22 dall’inizio dell’anno) e per restituire dignità alle persone in stato di restrizione. "In questa direzione" ha affermato l’avv. Giuseppe Sileci, "il ddl Alfano può risultare necessario (sia pure con alcuni importanti correttivi) ma certamente non è sufficiente. Rimane irrisolto infatti uno dei principali problemi che da sempre affligge il sistema penale e penitenziario italiano: queste misure non avranno effetti per il 44% circa dei detenuti attuali, poiché costoro sono tutti in attesa di giudizio definitivo". "Ma anche per coloro i quali sarà consentito di beneficiare della nuova detenzione domiciliare è concreto il rischio che gli effetti siano molto limitati, perché riguarderanno soprattutto i recidivi, ossia coloro i quali sono esclusi dall’attuale detenzione domiciliare" ha aggiunto l’avv. Fabio Beconcini. "L’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, invece, avrà solo effetti indiretti sull’entità della popolazione carceraria, essendo più evidente l’astratta capacità della misura a decongestionare le aule dei tribunali: capacità astratta in quanto l’istituto è previsto soltanto per reati puniti con pena massima di tre anni, e pertanto - vista l’operatività nel nostro ordinamento degli sconti di pena già previsti per i procedimenti speciali - residuale per coloro i quali hanno già beneficiato della sospensione condizionale della pena" ha concluso l’avv. Beconcini. Giustizia: Brunetta; chiederò a editori di donare libri a carceri
Asca, 30 aprile 2010
"Chiederò a tutti gli editori italiani l’impegno di donare libri ai luoghi più tristi da vivere, le carceri". L’idea è stata lanciata all’Aquila dal ministro per la Pubblica amministrazione e l’Innovazione, Renato Brunetta, nel corso della cerimonia di consegna di 300 volumi alla biblioteca provinciale della città da parte di Marilena Ferrari. "Per realizzare questo progetto - ha annunciato Brunetta - parlerò subito col ministro Angelino Alfano. I penitenziari, infatti, o non sono dotati di spazi di lettura o hanno biblioteche poco fornite. Sarebbe veramente un grande investimento in umanità". Il ministro ha chiarito che collaborazione tra colleghi è possibile. Esempio ne è l’iniziativa dei libri donati a 700 scuole italiane dalla Ferrari, condivisa appieno dal ministro per l’Istruzione, Mariastella Gelmini. Mariella Ferrari, dal proprio canto, ha assicurato che se, in prospettiva, la Provincia dell’Aquila riuscirà a reperire spazi idonei, lei sarà felice di mandare altri volumi. Quanto, infine, all’incidente capitato ieri a Roma al rettore dell’Università dell’Aquila, Ferdinando di Orio, Brunetta ha detto categoricamente: "Smentisco che il Rettore venisse da me". Giustizia: queste istanze dei detenuti a Sportello di Antigone di Gianluca Luongo
Terra, 30 aprile 2010
Devo ammettere che sino ad oggi, pur praticando da circa un decennio le sezioni penali dei Tribunali, la realtà carceraria mi era praticamente sconosciuta. A pochi mesi di distanza dall’avvio di un interessante, e spero utile, progetto di assistenza volontaria dei detenuti quale quello dello Sportello di Antigone provo a tracciare un primissimo bilancio personale. Il progetto si svolge nel carcere di Rebibbia - Nuovo Complesso, all’interno di una sezione maschile dove, in apparenza, il regime di vita è migliore di quello riscontrato in altri istituti di pena, ma dove comunque i detenuti raccontano di piccoli e grandi drammi che, almeno sino ad ora, attengono in gran parte alla inadeguatezza dell’assistenza sanitaria. Ci è stato esposto il caso del detenuto affetto da Aids, che da moltissimi mesi non effettua alcun tipo di controllo medico e quello del detenuto affetto da fistole sacrali, che da oltre un anno attende di essere operato a causa della mancanza di disponibilità da parte delle strutture sanitarie ospedaliere competenti. Questi ritardi generano situazioni di gravissimo disagio e di crescente contestazione da parte dei detenuti, esposti perennemente al rischio di contagio aggravato dal sovraffollamento nel quale versa l’istituto, che sotto tale aspetto purtroppo non si differenzia da tutti gli altri. Ma vi è un altro aspetto, connesso a quello del sovraffollamento, che riguarda la politica degli annunci in materia giudiziaria e penitenziaria che l’attuale Governo ha oramai elevato a sistema. Spesso la classe politica si nutre di annunci, nella convinzione di non dover rispondere degli impegni assunti. Una promessa costa poco e rende molto. Di volta in volta la classe dirigente trova modo di imputare il proprio fallimento a qualche fattore esterno condizionante. Se a queste condotte di sostanziale "irresponsabilità politica" il corpo elettorale italiano appare, ahimè, assuefatto, per i detenuti la promessa di un miglioramento della propria condizione rappresenta molto più di una semplice prospettiva ma una vera e propria speranza di rinascita, la cui continua frustrazione rappresenta una sorta di "pena accessoria". Più di un detenuto nel corso degli ultimi colloqui con lo sportello del difensore civico ha chiesto notizie in merito al progetto di legge annunciato dal Governo in materia di sovraffollamento delle carceri, quello per intendersi nel quale è previsto che tutti coloro che hanno un residuo di pena pari o inferiore ad un anno possano scontarlo in regime di detenzione domiciliare. Buona o cattiva che sia, l’effetto generato da questo ennesimo annuncio è quello di mantenere alto uno stato di tensione emotiva che non solo non conviene alimentare ma che trovo sia quanto di più vessatorio si possa fare nei confronti di persone che devono la loro sorte agli umori di questo o quel politico, il quale sa bene che difficilmente sarà chiamato a rispondere delle promesse mancate. La speranza è dunque che, almeno in certe materie, la classe politica abbia l’accortezza di passare dalle promesse ai fatti, abbandonando la politica degli annunci! Giustizia: caso Cucchi; chiusa inchiesta cade ipotesi di omicidio
Dire, 30 aprile 2010
Cadono le ipotesi di omicidio colposo e preterintenzionale per i tredici indagati nell’inchiesta relativa alla morte di Stefano Cucchi. Sui tre agenti accusati del pestaggio del giovane romano morto lo scorso 22 ottobre, adesso gravano solo le accuse di lesioni e abuso di autorità, escludendo di fatto l’ipotesi di omicidio preterintenzionale. Per gli altri dieci indagati, tra funzionari della pubblica amministrazione, medici e infermieri dell’ospedale Sandro Pertini, in cui Cucchi fu ricoverato, decadono sempre le contestazioni di reato per omicidio colposo, ma penderanno invece ancora le accuse di favoreggiamento, abbandono di incapace, abuso d’ufficio e falsità ideologica. È quanto emerge dall’atto di chiusura d’inchiesta della Procura. Al di là delle qualificazioni giuridiche dei fatti, che "per loro intrinseca natura sono temporanee, non definitive e pertanto suscettibili di modifiche - dice Anselmo - ciò che emerge è che Stefano Cucchi è stato pestato dentro un Tribunale della Repubblica perché si lamentava e chiedeva farmaci, in conseguenza di ciò non ha potuto essere curato come avrebbe dovuto ed è stato anzi abbandonato fino a causarne la morte, il tutto in un contesto di coperture, favoreggiamenti e falsità tanto terribile da apparire addirittura surreale, se non ci fosse stato il corpo di Stefano a documentarne l’esistenza. Nei venti giorni "concessici- aggiunge il legale- daremo tutto l’apporto collaborativo possibile alla Procura, al fine di meglio precisare alcune questioni come è nostro dovere e compito fare nell’interesse della famiglia Cucchi e della verità. Ringraziamo i pubblici ministeri per l’efficace e diligente attività d’indagine espletata, non dimenticando il particolare valore sociale e civile che essa ha. Un simile impegno- conclude l’avvocato della famiglia Cucchi- è e deve essere un esempio per tutti a garanzia del rispetto dei diritti fondamentali della persona che si trova affidata alla custodia dello Stato".
Accusati 3 agenti, dirigente Prap, 9 medici e infermieri
Sono tredici le persone cui la procura di Roma ha notificato l’avviso di fine inchiesta in relazione alla morte di Stefano Cucchi. Nicola Menichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici sono gli agenti di polizia penitenziaria cui è contestato il concorso nelle lesioni volontarie e nell’abuso di autorità. Nove rappresentano il personale sanitario in servizio all’ospedale Sandro Pertini dove era stato ricoverato Cucchi: si tratta del primario Aldo Fierro, dei medici Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno, Luigi Preite De Marchis, Stefania Corbi e di Rosita Caponetti, e degli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe. La lista degli indagati è completata da Claudio Marchiandi, direttore dell’ufficio dei detenuti e del trattamento del Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria (Prap). Fatta eccezione per gli agenti della penitenziaria, tutti gli altri, a vario titolo, sono accusati di falso, abuso d’ufficio, abbandono di incapace (punito fino a otto anni, tre in più rispetto al massimo previsto per l’ipotesi originaria di omicidio colposo), rifiuto di atti d’ufficio, favoreggiamento e omissione di referto. Giustizia: la famiglia di Cucchi; senza botte non sarebbe morto
Dire, 30 aprile 2010
"Esprimiamo soddisfazione per il grande lavoro svolto dai pm. Quando è stato arrestato, Stefano stava bene, ed è morto in condizioni terribili per il semplice fatto che stava male perché picchiato dagli agenti di Polizia Penitenziaria, ed è stato picchiato perché si lamentava e chiedeva farmaci. Questa è la tremenda verità che emerge chiaramente dal capo d’imputazione particolarmente articolato. Non dimentichiamo che senza quelle botte Stefano non sarebbe morto. I medici si devono vergognare e non sono più degni di indossare un camice". È quanto dichiara in una nota la famiglia Cucchi. Invitiamo tutti a "leggersi bene il capo di imputazione e l’elenco degli indagati dell’avviso conclusione delle indagini emesso oggi dalla Procura della Repubblica di Roma, prima di fare qualsiasi valutazione allarmistica o peggio trionfalistica - dichiara invece l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia. La ricostruzione che emerge prepotentemente dai fatti contestati è terribile, ed esige una profonda riflessione da parte dei responsabili di tutte le istituzioni che sono coinvolte a causa del comportamento di funzionari o medici loro appartenenti". Giustizia: Manconi; grave che la parola omicidio esca da accuse
Apcom, 30 aprile 2010
Luigi Manconi, presidente dell’associazione "A Buon Diritto", critica le conclusioni dell’inchiesta sulla morte in ospedale del detenuto Stefano Cucchi. "La mia prima valutazione, in attesa di conoscere meglio le decisioni prese dalla Procura, è decisamente negativa", dice ai microfoni di Cnr Media. "Per un verso - spiega - c’è un elemento simbolico molto importante che rischia di avere pesanti ripercussioni sull’opinione pubblica. Stiamo parlando di un giovane uomo morto. Bene, la parola omicidio non compare nei capi di imputazione". "Stefano Cucchi - ricorda Manconi - viene ricoverato nel reparto detentivo del Pertini in quanto ha subito un pestaggio, perché ha subito violenze. Violenze verificate, documentate, riconosciute, certificate, e sono queste violenze che hanno portato Stefano in quel luogo dove non è stato curato. Questo nesso di causa ed effetto è stato ignorato". "Quelle violenze - sostiene ancora Manconi - hanno inciso pesantemente sul percorso sanitario determinando la successione di fatti patologici che lo hanno portato alla morte. Le percosse hanno un ruolo decisivo, ciò viene ignorato. Questa causa precisa, puntualmente descritta dalle perizie, cioè il pestaggio subito, diventa qualcosa di incerto e approssimativo. Viene separato dal rapporto di causa effetto con la morte di Stefano Cucchi. Questo - conclude - è un errore estremamente grave che rischia di compromettere l’andamento del processo". Giustizia: caso Cucchi; atti pubblici, ma non c’è nessuna verità di Giancarlo Castelli
Il Fatto Quotidiano, 30 aprile 2010
C’è stata, nei confronti di Stefano Cucchi, una grave sottovalutazione del suo stato metabolico che era giunto a un punto di non ritorno. Non sarà un colpo di maglio verso l’operato del personale sanitario del padiglione penitenziario dell’ospedale Pertini, dove il giovane di 31 anni è morto il 31 ottobre 2009, ma anche la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficienza e l’efficacia del Sistema sanitario nazionale, presieduta dal senatore Ignazio Marino, non fa sconti sulle responsabilità dei sanitari che avrebbero dovuto curare Stefano. Un lavoro, quello della Commissione d’inchiesta, che proprio ieri, con un voto non unanime (10 favorevoli tra Pd, Idv e Udc, 6 contrari del Pdl, un astenuto della Lega nord), si è deciso di rendere pubblico e di trasmettere alla Procura di Roma. "Speravo si arrivasse ad un voto unanime", si è rammaricato Marino. Sul risultato dell’indagine, secondo il senatore Pd, "è evidente che Cucchi ha subito dei traumi senza i quali non si sarebbe avviata la sequenza di eventi che ha determinato il ricovero". Proprio sui traumi, pur non rilevando alcuna connessione con lo squilibrio metabolico che avrebbe portato il ragazzo alla morte, i periti della commissione, Vincenzo Pascali e Rodolfo Proietti, hanno detto che "le ecchimosi (riscontrate sul volto), possono essere state prodotte da una succussione diretta delle orbite". Colpi che potrebbero aver interessato le orbite degli occhi, "lesioni non particolarmente compatibili con un evento accidentale ma che suggeriscono l’ipotesi di lesioni dirette". Le fratture alla terza vertebra lombare e a quella coccigea, secondo i periti, erano recenti. Se è vero, infatti, che sulla prima, l’autopsia aveva riscontrato la presenza di un’ernia di Schmorl, quasi certamente di natura fisiologica, era allo stesso tempo presente un’infiltrazione ecchimotica, segnale di un focolaio traumatico. Ma il cuore della relazione è l’aspetto che riguarda quello che si può definire un vero e proprio scompenso metabolico, causa primaria della morte del giovane, secondo l’opinione della commissione parlamentare. Il rifiuto delle cure, del cibo e dell’acqua, non fu "totale" ("si limitò a manifestare opposizione solo nei confronti della somministrazione di terapia endovenosa mentre accettò, a più riprese, iniezioni intramuscolari, farmaci e sedativi ipnotici") e allo stesso modo, nonostante il suo sciopero "strumentale" per chiedere di parlare con il suo avvocato, accadde per cibo e acqua che, seppur in maniera inadeguata e saltuaria, comunque assumeva (un particolare curioso fu la richiesta, nella notte tra il 21 e il 22 ottobre, poche ore prima di morire, di una tavoletta di cioccolata). Ma questa parziale astensione da cibo e acqua trasformò le condizioni cliniche di Stefano, fino ad allora di lieve-media gravità, in un peggioramento che di lì a poco diventò irreversibile. Cominciò a dimagrire velocemente (dai 52 chili all’ingresso a 42 anche se, secondo un’altra perizia, era precipitato a 37), si verificò una sindrome dismetabolica e uno squilibrio elettrolitico, che provocò un tipo di blocco renale (definito dai periti sindrome iperosmolare di natura prerenale), un punto di non ritorno non più correggibile, neppure se si assumono liquidi. Tutti elementi, questi, che ora la Procura di Roma che indaga sulla morte di Stefano Cucchi potrà acquisire, assieme a quelle effettuate dai suoi consulenti e a quelle già depositate dalla parte civile, (discordanti sul rapporto causa-effetto tra traumi e decesso). Eppure ieri, in commissione, non si è riusciti a trovare l’accordo unanime per togliere il segreto su tutta la relazione. "Eravamo d’accordo a desecretare ma volevamo tutelare chi da questo poteva avere nocumento per essere stato leggero in una affermazione - ha detto il capogruppo del Pdl, Michele Saccomanno che ha votato no assieme ad altri 5 colleghi di partito - perché è diverso parlare con un parlamentare rispetto ad un magistrato". "Abbiamo ritenuto indispensabile non mantenere il segreto sugli atti ma di consentire a tutti di vederli e alla procura di utilizzarli per il suo lavoro - ha ribattuto il senatore Pd, Lionello Cosentino - trovo incomprensibile il voto Pdl perché credo che tutti siano d’accordo per fare luce sulla vicenda". Il centrodestra, peraltro, è andato sotto in Commissione per l’assenza degli ex-An. E così la crisi politica di questi giorni è entrata anche sul caso Cucchi. Abruzzo: Pd; regione inadempiente su lavoro e salute detenuti
Adnkronos, 30 aprile 2010
Per il consigliere regionale abruzzese del Pd Claudio Ruffini l’ennesimo suicidio nelle carceri abruzzesi ripropone con forza la necessità di una serie di politiche attive della formazione e del lavoro all’interno degli istituti penitenziari presenti sul territorio. Ruffini ricorda che nella seduta del Consiglio regionale del 30 dicembre 2009 (seduta del bilancio regionale) era stato approvato un emendamento presentato dal Gruppo Pd (primo firmatario Claudio Ruffini), che mirava proprio a finanziare una serie di azioni per il recupero sociale dei detenuti. "Avevamo predisposto l’emendamento dopo che una delegazione di parlamentari e consiglieri regionali aveva fatto visita al carcere di Castrogno (Teramo) per constatare le condizioni dei detenuti all’interno dell’istituto di pena. Ma da allora, sono passati ben quattro mesi, non è stata presa nessuna decisione dalla Giunta regionale". Per Ruffini "si discute di un problema, se ne individua anche una possibile soluzione che poi viene puntualmente disattesa dalla politica. In effetti dopo la visita della delegazione era apparso a tutti che le condizioni dei nostri istituti erano precarie: carenza di servizi igienici, sovraffollamento, mancanza di spazi ricreativi per i detenuti". "Criticità denunciate anche in V Commissione durante un’audizione dei vari direttori degli istituti penitenziari abruzzesi - ricorda Ruffini - Un allarme che è stato rilanciato pochi giorni fa anche dai sindacati del personale degli istituti penitenziari, che denunciano da anni i problemi nelle carceri senza ricevere risposte". "In effetti - sottolinea Ruffini - stiamo ancora aspettando che l’Assessorato competente in materia di formazione e lavoro stabilisca un piano di finanziamento di tali servizi che si rendevano possibili grazie all’utilizzo del Fondo Sociale Europeo". "Vorrei precisare - ha proseguito Riuffini - che l’emendamento approvato nella seduta del bilancio imponeva che entro 60 giorni dall’entrate in vigore della legge (l.r. 9 gennaio 2010 n. 1), la Giunta regionale avrebbe dovuto approvare un piano di finanziamento per il reinserimento sociale, formativo e lavorativo delle persone detenute negli Istituti penitenziari abruzzesi". "Ora - sottolinea Ruffini - le numerosi morti impongono al Governo regionale di operare una seria riflessione sul ruolo dei detenuti negli istituti penitenziari. Credo sia importante salvaguardare la dignità anche di persone che nella vita hanno sbagliato, dandogli ancora una possibilità di redimersi, inserendoli nella società con una prospettiva di lavoro". Ruffini, infine, segnala che sono diverse le regioni italiane (vedi Lombardia e Lazio, ma anche il Comune di Milano) che hanno siglato Protocolli d’intesa per il recupero e il reinserimento lavorativo delle persone detenute, costruendo un vero e proprio percorso personalizzato di inserimento lavorativo attraverso l’attivazione di tirocini formativi e di orientamento oppure con l’incentivo di una borsa lavoro. Napoli: Trib. Sorveglianza; a Poggioreale si rispettino le leggi
Il Carcere Possibile onlus, 30 aprile 2010
La Dott.ssa Angelica Di Giovanni, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli dispone "che la direzione della Casa Circondariale di Poggioreale si attivi con pronta sollecitudine per eliminare ogni possibile situazione di contrasto con l’art. 27 costituzione e con l’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, informandone tempestivamente questo magistrato di sorveglianza". Il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, prende atto della drammatica situazione degli Istituti di Pena della Corte di Appello di Napoli ed invia, alle rispettive Direzioni, l’ordine di disporre quanto necessario per eliminare l’evidente contrasto con le norme vigenti. In particolare dichiara che "risulta indiscutibilmente prioritaria la necessità di spazi di vita sufficienti, la possibilità di utilizzare la toilette in modo privato, l’areazione disponibile, l’accesso alla luce ed all’aria naturali, l’uso dell’acqua corrente per igiene personale, la qualità del riscaldamento ed il rispetto delle esigenze sanitarie di base" Finalmente all’interno delle istituzioni si prendono provvedimenti per il rispetto della legge e per la tutela dei diritti violati. "Il Carcere Possibile Onlus" vigilerà affinché le disposizioni impartite vengano eseguite e su quali provvedimenti adotteranno le Direzioni degli Istituti di Pena. Di seguito il testo del provvedimento inviato alla Casa Circondariale di Napoli-Poggioreale. Un provvedimento analogo è stato inviato anche agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari di Napoli ed Aversa. Ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Napoli. "La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza Sulejmanovic c. Italia, del 16 luglio 2009 ricorda che "L’art. 3 della Convenzione sancisce uno dei valori fondamentali delle società democratiche. Proibisce in termini assoluti la tortura e le pene o i trattamenti disumani o degradanti, a prescindere dal comportamento della persona a riguardo (Saidi c. Italia N. 37201/2006 del 27 febbraio 2008 e Labita c. Italia, N. 26772/1995). Esso impone allo Stato di assicurarsi che ogni prigioniero sia detenuto nelle condizioni che sono compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione del provvedimento non espongano l’interessato a pericoli o a prove di un’intensità che ecceda il livello inevitabile di sofferenza inerente la detenzione e che, avuto riguardo alle esigenze pratiche della detenzione, la salute ed il benessere del prigioniero siano assicurati in modo adeguato". Rilevato che una situazione di "sovrappopolazione carceraria grave pone in sé il problema che cade sotto l’at. 3 della Convenzione" , come ricorda la Corte Europea, v’è da sottolineare che altri aspetti delle condizioni di detenzione sono da prendere in considerazione nell’esame del rispetto della detta disposizione. Tra questi figurano la possibilità di utilizzare la toilette in modo privato, l’areazione disponibile, l’accesso alla luce ed all’aria naturali, la qualità del riscaldamento ed il rispetto delle esigenze sanitarie di base. Infatti, su quest’ultimo punto, la Corte Europea ha dedotto la violazione dell’art. 3 perfino nei processi in cui ogni detenuto disponeva da 3 a 4 mq. dato che la mancanza di spazio si accompagnava ad una mancanza di ventilazione e di luce. (Moisseiev c. Russia del 9 ottobre 2008 e Vlassov c. Russia del 12 giugno 2008). Considerato che il Giudice nazionale, per consolidata giurisprudenza e ormai principio convenzionale acclarato, è tenuto a conformarsi alle pronunce della Corte Europea, pur sempre nel rispetto degli orientamenti costituzionali, e che l’eventuale mancato rispetto delle indicazioni della Corte costituirebbe autonoma violazione della Convenzione, indipendente da quelle denunciate dalla parte ricorrente. Rilevato, peraltro, che l’Italia con l’adesione alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, si è impegnata a conformarsi alle sentenze definitive della Corte Europea nelle controversie nelle quali è parte (art. 46 della Convenzione). Letta la sentenza della Corte Costituzionale N. 266 del 23 settembre 2009, che nel rivalutare il ruolo complessivo del Magistrato di Sorveglianza nei suoi rapporti con le altre istituzioni ed in particolar modo con l’amministrazione penitenziaria, precisa che "la norma (l’art. 69 o.p.), nel quinto comma (ultimo periodo) dispone che il magistrato di sorveglianza "impartisce, inoltre, nel corso del trattamento, disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati". La parola "disposizioni", nel contesto in cui è inserita, non significa segnalazioni (tanto più che questa modalità d’intervento forma oggetto di apposita previsione nel primo comma dell’art. 69), ma prescrizioni ed ordini, il cui carattere vincolante per l’amministrazione penitenziaria è intrinseco alle finalità di tutela che la norma stessa persegue" . Ed ancora la stessa Corte Costituzionale nella citata sentenza, ricorda che "Pertanto, resta valido quanto già affermato da questa Corte con la citata sentenza 212 del 1997, per la quale l’ordinamento penitenziario, nel configurare l’organizzazione dei giudici di sorveglianza" (magistrato e tribunale di sorveglianza) "ha dato vita ad un assetto chiaramente ispirato al criterio per cui la funzione di tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti è posta in capo a tali uffici della magistratura ordinaria". Rebus sic stantibus, attualmente il numero dei detenuti presenti nella Casa Circondariale di Napoli ! "Poggioreale" è di 2.759 a fronte di una capienza di 1.400 unità, ormai quasi il doppio, per cui la situazione è tale da essere oggettivamente, di per sé, possibile fonte di violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Di tutta evidenza, peraltro, appare la compromissione del dettato costituzionale, art. 27 Cost., atteso che in tali condizioni, resta difficile assicurare la concreta realizzazione del principio per cui "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Rilevata l’esigenza indifferibile di garantire che le condizioni di detenzione siano compatibili con il rispetto della dignità umana e che le condizioni di esecuzione della pena siano tali da consentire che "la salute ed il benessere del prigioniero siano assicurati in modo adeguato ", e a tali fini risulta indiscutibilmente prioritaria la necessità di spazi di vita sufficienti, la possibilità di utilizzare la toilette in modo privato, l’areazione disponibile, l’accesso alla luce ed all’aria naturali, l’uso dell’acqua corrente per igiene personale, la qualità del riscaldamento ed il rispetto delle esigenze sanitarie di base. Letti gli artt. 69 O.P., 27 Cost. e 3 Cedu: DISPONE che la direzione della Casa Circondariale di Poggioreale si attivi con pronta sollecitudine per eliminare ogni possibile situazione di contrasto con l’art. 27 costituzione e con l’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, informandone tempestivamente questo magistrato di sorveglianza".
Napoli, 20.04.2010 Il Magistrato di Sorveglianza Dott.ssa Angelica Di Giovanni Teramo: l’autopsia conferma, Gianluca Protino è morto suicida
Il Centro, 30 aprile 2010
L’autopsia conferma: Gianluca Protino è morto per asfissia. Il detenuto 34enne di San Severo si è dunque suicidato, come conferma l’assenza di lesioni da colluttazione sul corpo. L’ora della morte, sempre stando all’autopsia svolta ieri dall’anatomopatologo Giuseppe Sciarra risale alle 4,30 di martedì, cioè 10 minuti dopo l’ispezione degli agenti di custodia. Protino era da solo in cella, il compagno era stato liberato il giorno prima. I funerali si terranno oggi pomeriggio a Sannicandro, dove Protino, che era a Castrogno per associazione a delinquere per traffico di stupefancenti, sarà tumulato. Sul 22º suicidio nelle carceri italiane nel 2010 si susseguono le prese di posizione. Rita Bernardini , parlamentare radicale, ha visitato più volte il carcere di Teramo, l’ultima volta con Pannella dopo il caso dell’audio sul pestaggio di un detenuto. "Mi ha colpito il clima particolare, di paura, e che vengono fatte pochissime attività: i detenuti non sono seguiti e ci sono molti casi psichiatrici. Non c’è da meravigliarsi se avvengono casi come quest’ultimo. Penso sia uno degli istituti più cupi e tenebrosi". La parlamentare è al 14º giorno di sciopero della fame: l’obiettivo è "incidere subito sul sovraffollamento nelle carceri". Il consigliere regionale Claudio Ruffini (Pd) ricorda come nella seduta del 30 dicembre 2009 è stato approvato un emendamento presentato dal Pd che mirava proprio a finanziare azioni per il recupero sociale dei detenuti. "Avevamo predisposto l’emendamento dopo che una delegazione di parlamentari e consiglieri regionali aveva fatto visita al carcere di Castrogno. Ma da allora, sono passati ben quattro mesi, non è stata presa nessuna decisione dalla giunta regionale". Ricorda anche che durante la visita era apparso a tutti che "le condizioni erano precarie: carenza di servizi igienici, sovraffollamento, mancanza di spazi ricreativi per i detenuti". Anche Augusto Di Stanislao, parlamentare Idv, ha fatto visita a Castrogno e ricorda che dopo una sua mozione "approvata all’unanimità con cui anche la maggioranza si è impegnata in una serie di iniziative atte a risollevare una drammatica realtà focalizzando l’attenzione sul sovraffollamento e sulla carenza di personale penitenziario e di educatori, dopo l’annuncio dell’emergenza carceri di Alfano e del fantomatico piano carceri, dopo continue denunce e sollecitazioni dei sindacati sulla necessità di intervenire sulle strutture, sugli organici, siamo ancora di fronte a una situazione insostenibile e all’emergenza - soluzioni". Empoli: bloccato progetto su transessuali, tornano le detenute
Il Tirreno, 30 aprile 2010
Il carcere di Pozzale che dal 4 marzo scorso sarebbe dovuto essere il primo per transessuali in Italia "è rimasto chiuso per più di un anno e per le misure di sicurezza sono stati spesi oltre 100 mila euro: ora però il ministro Alfano ha bloccato il progetto, non so se per ragioni moralistiche e forse diventerà un carcere femminile". Lo ha detto Franco Corleone, garante dei diritti detenuti del Comune di Firenze. "Il carcere di Empoli - ha spiegato Corleone - passava da carcere a custodia attenuata ad uno per transessuali, ma tutto è stato bloccato. Sembra poi che martedì a Roma sia stata fatta una riunione per decidere cosa fare, ma la soluzione non è stata trovata. Il dato grave è che in un’epoca di sovraffollamento una struttura venga lasciata chiusa per oltre un anno. Non sappiamo quando verrà aperta". Sempre ieri, poi, Corleone ha espresso "soddisfazione perché, probabilmente, l’idea di costruire un padiglione da 200 posti a Sollicciano è tramontata: ricavo questa impressione dopo un incontro con il vice capo del Dap, Santi Consolo, in cui ho avuto assicurazione su alcuni miglioramenti della vita in carcere: ad esempio passeggi, cucine o pannelli solari. Vedremo se sono solo promesse". Corleone infine ha auspicato di nuovo "misure per consentire gli affidamenti terapeutici per i tossicodipendenti, la vera strada contro il sovraffollamento" e anche "un incontro con la nuova giunta regionale toscana". Empoli: Luxuria; atto di crudeltà bloccare il progetto di Pozzale
Ansa, 30 aprile 2010
"Mi auguro che venga smentita l’intenzione del ministero della Giustizia di bloccare il progetto sul carcere specifico per detenute trans a Pozzale, vicino Empoli. Sarebbe un atto di crudeltà verso una condizione di estrema sofferenza in cui versano le detenute transgender in Italia". È quanto dice in una nota Vladimir Luxuria che invita il ministro della Giustizia Angelino Alfano "a motivare questo rifiuto e a fare una visita nelle sezioni delle carceri per trans. Discriminazione sull’ora d’aria, sospensione del trattamento ormonale, episodi di autolesionismo fino al tentativo di suicidio", sono solo alcuni dei problemi secondo Luxuria che si registrano in queste sezioni, dove si registrano "poca accessibilità ad attività ricreative e rieducative". "Il carcere di Pozzale avrebbe consentito uno sconto di pena per il reato commesso - conclude Luxuria - senza dover scontare la propria condizione sessuale con un’adeguata preparazione da parte degli agenti penitenziari. Faccio appello alla sensibilità del ministro per le Pari Opportunità per far riflettere maggiormente su quando la politica manca di pietas". Porto Azzurro (Li): situazione drammatica, protesta di agenti
Ansa, 30 aprile 2010
Il corpo di polizia penitenziaria del carcere di Porto Azzurro è, da ieri, in stato di agitazione, proclamato da tutte le sigle sindacali. Le iniziative di protesta sono scattate a partire da oggi, con gli agenti che si sono astenuti dalla mensa. "Nel prossimo fine settimana gli agenti si auto consegneranno in caserma - spiega Aldo Di Giacomo, consigliere nazionale del Sappe - mentre nei giorni 8 e 9 maggio organizzeremo un sit-in di protesta e allestiremo gazebo per informare i cittadini sulle condizioni lavorative disperate con cui hanno a che fare ogni giorno gli agenti del carcere". "Il clima che si respira nel carcere è pesante e, a causa delle carenze di organico, gli agenti lavorano in condizioni esasperate - commenta Aldo Di Giacomo - il ministero sta valutando la possibilità di trasferire personale in missione a Porto Azzurro, a breve arriveranno 6 sottufficiali e 7 nuovi agenti, ma la situazione è drammatica e di certo questo non può bastare". Lo scorso 7 aprile, al carcere di Porto Azzurro, c’è stata la rivolta di parte dei detenuti che, per due ore, hanno tenuto sotto sequestro due agenti per protestare contro le condizioni generali di vita all’interno dell’istituto. Catania: ruba 90mila euro arrestato cassiere impiegato all’Ipm
Agi, 30 aprile 2010
Arresti domiciliari per il cassiere del carcere minorile di Bicocca accusato di peculato per avere sottratto dalle casse della casa circondariale 90 mila euro. E lo avrebbe fatto prelevando il denaro in contante da una delle casse in dotazione all’ufficio, poi versato sul proprio conto corrente. L’inchiesta che ha portato in carcere, seppure ai domiciliari, il contabile del carcere è scattata il 18 febbraio in seguito alla denuncia da parte della direttrice dell’istituto penitenziario che ai carabinieri ha segnalato l’ammanco dei 90 mila euro dalla cassa. Ammanco che era stato segnalato dallo stesso ragioniere, il quale però aveva parlato di un furto. Le indagini dei carabinieri hanno però appurato che la cassaforte non presentava segni di effrazione, e che le chiavi erano in possesso del solo ragioniere e che solo lui era a conoscenza delle combinazioni per potere accedere dentro la cassetta di sicurezza. La condizione precaria del ragioniere e il suo vizio di giocare cospicue somme di denaro al superenalotto e ai gratta e vinci hanno fatto confluire i sospetti su di lui. Le verifiche contabili sul suo conto corrente hanno permesso di ricostruire la vicenda. Parma: ergastolano in sciopero della fame per essere trasferito
Ansa, 30 aprile 2010
Ha ripreso lo sciopero della fame, sospeso ai primi di marzo scorso, Carmelo Tripodi, il detenuto calabrese di 41 anni, condannato all’ergastolo in regime di 41 bis e attualmente nel carcere di Parma. A riferirlo è il legale di Tripodi l’avv. Mirna Raschi di Reggio Calabria che ha scritto al magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia per chiedere il trasferimento dell’uomo per "incompatibilità ambientale a causa di contrasti sorti con qualche operatore penitenziarie" in un’altra struttura. Il legale, che già aveva avanzato analoga istanza al Dipartimento amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, segnala che "a tutt’oggi il mio assistito è deperito e ha perso già otto chili, per come mi riferisce la famiglia, che è in una situazione di panico per il congiunto, in quanto conoscendo il detenuto, ritiene che se non verrà trasferito ad altra casa circondariale si lascerà morire". L’avv. Raschi rileva, nella lettera, che Tripodi "prima di iniziare la protesta pacifica, che nuoce esclusivamente alla sua salute ma che non sembra avere turbato gli animi di chi dovendo occuparsi della rieducazione dei condannati, è rimasto sordo alle richieste di aiuto, aveva inoltrato già da due anni al Dap istanze varie di trasferimento rimaste inascoltate". "Si sollecita un intervento urgente - conclude Raschi - per evitare che la situazione possa ulteriormente precipitare e che si debba parlare magari tra qualche giorno di Carmelo Tripodi come dell’ennesimo caso di sconfitta del sistema penitenziario". Verbania: Osapp; detenuto tenta dar fuoco cella 3 agenti feriti
Ansa, 30 aprile 2010
Momenti di tensione, questa mattina, nel carcere di Verbania. Un detenuto italo-marocchino, F.H. di 25 anni appena arrestato per furto e resistenza a pubblico ufficiale, ha tentato di dare fuoco alla sua cella. Le fiamme sono state prontamente spente da due agenti della polizia penitenziaria, che nel tentativo di riportarlo alla calma hanno subito lievi ferite. Lo rende noto la segreteria regionale dell’Osapp, il sindacato della polizia penitenziaria che lancia un appello alla politica e alle istituzioni perché ‘intervengano al più presto ed evitino lo sfascio delle carceri piemontesì. Nel tentativo di immobilizzare il detenuto, secondo quanto si apprende, sarebbe rimasto ferito anche un sovrintendente della polizia penitenziaria, a cui l’italo-marocchino ha rotto il naso con un pugno. Lecce: nove agenti dell’Ipm sotto processo per abusi e violenze
Ansa, 30 aprile 2010
Saranno completati entro la fine dell’anno i lavori di ripristino del carcere minorile del capoluogo salentino. È il presidente del Tribunale per i minorenni, la dottoressa Ada Luzza, ad anticipare la prossima soluzione di una querelle che si trascina ormai da alcuni anni. "La struttura è stata chiusa nel 2007 perché dovevano essere fatti dei lavori. Lavori che, per vicissitudini varie, sono iniziati con molto ritardo, ma che hanno subito negli ultimi tempi una brusca accelerazione. Il funzionario del Ministero responsabile del progetto mi ha confermato che si prevede la consegna dell’opera a fine 2010. La struttura dovrebbe essere riaperta subito dopo". Dopo la chiusura dell’Istituto penale minorile di Lecce, una struttura nata per ospitare 50 detenuti e 25 agenti di custodia, il "Nicola Fornelli" di Bari è l’unico istituto di detenzione per minori dell’intera Puglia, con una ricettività di 36 posti. La distanza è uno dei tanti disagi con cui, sia le famiglie dei giovani detenuti che il personale giudiziario deve fare i conti quotidianamente. Colloqui, processi e interrogatori costringono a lunghi viaggi da Lecce a Bari e viceversa. L’unica struttura adesso in funzione a Lecce è il Cpa (Centro di prima accoglienza), adibito a ospitare minorenni in stato di arresto, fermo o accompagnamento, fino all’udienza di convalida che si deve tenere entro 96 ore dal fermo. Chiuso ufficialmente nel luglio del 2007 per "il mancato adeguamento alle norme antinfortunistiche della legge 626", il carcere minorile di Lecce, sito sulla via per Monteroni, è stato al centro di una complessa inchiesta giudiziaria. Un’inchiesta nata dopo l’esposto inviato nel 2006, alla procura di Lecce, dall’allora sottosegretario alla Giustizia Alberto Maritati. Un vero e proprio dossier contenente le dichiarazioni rese da alcuni operatori del carcere. "Avevo raccolto la richiesta di aiuto da parte di un medico e di un assistente sociale in servizio presso il carcere - dichiarò Maritati - dopo che i due si erano rivolti alla mia segreteria lamentando di non avere trovato ascolto da nessun’altra parte". L’inchiesta, avviata subito dopo dalla Procura di Lecce e condotta dal sostituto procuratore Antonio De Donno, ha portato al rinvio a giudizio, nel novembre del 2008, di nove agenti. Sotto processo sono finiti l’ispettore Gianfranco Verri, il suo vice Giovanni Leuzzi e altri sette: Ettore Delli Noci, Vincenzo Pulimeno, Alfredo De Matteis, Emanuele Croce, Antonio Giovanni Leo, Fernando Musca, Fabrizio De Giorgi. Per tutti le accuse sono di abusi su minori e violenze. Secondo i giudici, all’interno della struttura si sarebbe creata, dal 2003 al 2005, una sorta di associazione finalizzata a sopprimere con la violenza qualsiasi cenno di dissenso, non solo dei reclusi, ma anche del personale operante all’interno della stessa. Un vero e proprio inferno in cui a farne le spese sono stati i giovani detenuti, vittime di violenze e abusi di ogni genere. Le testimonianze raccolte parlano di ragazzini denudati e pestati in cella, fino a "far uscire sangue da entrambe le orecchie" o "spezzare tre denti". O ancora, di un ospite della struttura lasciato "per un’intera notte completamente nudo a dormire in cella di isolamento senza materasso". Il processo, iniziato lo scorso 19 febbraio dinanzi ai giudici della II sezione penale del Tribunale di Lecce, non si è ancora concluso. Bologna: giornale per promuovere le alternative alla detenzione
Redattore Sociale, 30 aprile 2010
Manifesti e un giornale per promuovere le alternative alla detenzione. In Emilia Romagna 2100 detenuti in più rispetto alla capienza degli istituti di pena, 740 quelli affidati a misure alternative. Sul giornale dei volontari un intervento dell’attore Ale. Misure alternative, pene utili e disagi del sistema carcerario. Continua l’impegno del volontariato emiliano-romagnolo nella campagna di comunicazione "Non solo carcere, la pena utile" dedicata alle misure alternative alla detenzione, strumenti che potrebbero essere uno dei rimedi alla congestione delle carceri sovraffollate. Un tema che, secondo i promotori, dovrebbe trovare più attenzione, da parte delle istituzioni e della stampa, in una regione in cui le carceri sono al collasso, l’indice di affollamento supera il 180% rispetto al 140 della media nazionale, i detenuti sono 2100 in più rispetto alla capienza regolamentare e mancano 644 agenti di polizia penitenziaria. In Emilia-Romagna sono 740 i detenuti affidati a misure alternative, cioè ai servizi sociali, alla detenzione domiciliare o alla semilibertà. Fra questi, 145 sul territorio bolognese. "I volontari in carcere - afferma Paolo Cigarini, referente della Conferenza regionale volontario e giustizia - entrano in contatto con una situazione difficile e disumana. Il carcere, come prevede la Costituzione, dovrebbe rieducare e stimolare dei cambiamenti. In questa società della paura, rappresenta invece una risposta miope e sbrigativa, lontana da intenti rieducativi". L’obiettivo del volontariato penitenziario, infatti, è quello di promuovere un’idea condivisa di sicurezza che nasca non solo dalla necessaria prevenzione e repressione dei reati, ma dalla capacità di proporre una "pena intelligente" in grado di offrire ai detenuti reali possibilità di cambiamento. "Secondo i dati del ministero della Giustizia - ricorda Carla Chiappini, direttore tecnico del progetto - ogni 1.000 detenuti che scontano la pena in carcere, 690 continuano a commettere reati appena sono fuori. Invece, su 1.000 detenuti sottoposti a misure alternative solo 190 recidivano e solo 4 commettono reati durante il periodo di detenzione". Per la campagna di comunicazione, già partita nelle principali città della regione con manifesti e conferenze stampa, è stato realizzato il giornale "Non solo carcere", un numero unico curato dalla Conferenza volontariato e giustizia, che ha raccolto il contributo dell’attore ed autore teatrale Alessandro Bergonzoni. "Quale sicurezza è quella di chi dice buttate la chiave? - si chiede Bergonzoni. "È quella - continua - di rimandare ad altre generazioni il dovere di riformare e di riabilitare quello che chiamiamo colpa e danno. Abbiamo mai fatto una ricerca interiore e ulteriore su come si può e si deve ri-leggere, ri-tradurre e ri-vedere l’imprigionare?". Su questi e altri temi discuteranno le associazioni di volontariato che si incontreranno il 6 maggio a Bologna, dalle 9.30 nella Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio, per il convegno dal titolo "La pena utile: strumenti ed esperienze in Europa e in Regione", un’occasione per mettere a confronto le prassi europee e riflettere sui ritardi del sistema italiano. La campagna "Non solo carcere" è il frutto dell’omonimo progetto inter-provinciale promosso dalle associazioni Oltre il muro di Piacenza, Carcere-Città di Modena, Con-Tatto di Forlì e sostenuto dai Centri di servizio per il volontariato di Piacenza (Svep) e Modena (Volontariamo). All’iniziativa hanno aderito numerose associazioni di tutta la regione. Ferrara: farmacie rispondono appello per la salute dei detenuti
Asca, 30 aprile 2010
I vertici delle Farmacie Comunali di Ferrara hanno accolto con particolare considerazione l’appello di solidarietà lanciato dal direttore del carcere di Ferrara Francesco Cacciola, che in una recente lettera indirizzata al presidente dell’Azienda municipalizzata Sergio Caselli, ha sollecitato l’intervento sociale delle Farmacie Comunali di Ferrara per arginare, almeno in parte, i problemi che incombono sulla salute dei detenuti che affollano la Casa circondariale di via Arginone. In particolare il direttore ha sottolineato la situazione di molti carcerati che versano in situazione di grave indigenza e, privi di un sostegno economico famigliare, non sono in condizioni di fronteggiare le spese necessarie per l’acquisto degli ausili sanitari eventualmente necessari. L’azienda Afm si è attivata per sostenere con proprie risorse l’acquisto di diverse tipologie di articoli sanitari e materiale protesico. "Si tratta di un contributo necessario - dichiara il Presidente di Afm Sergio Caselli - un supporto per la salute di persone che si trovano in gravi difficoltà. Un atto doveroso da parte della nostra Azienda, considerando la condizione umana di individui che il più delle volte non ricevono aiuti da parte dei familiari spesso lontani". "Abbiamo già provveduto a consegnare, preferendo dalla lista approntata dal Dirigente medico del carcere, gli articoli ritenuti di assoluta priorità per il benessere e la salute dei detenuti, come ad esempio: stampelle regolabili con appoggio braccio, collari cervicali, stecche per immobilizzare piccole fratture composite, nonché cerotti, bende, elettrocauteri per la cauterizzazione di piccoli vasi e soprattutto occhiali da lettura che, oltre ad essere importanti per correggere la presbiopia, sono veramente indispensabili per migliorare la qualità della vita soprattutto in un ambiente come il carcere, dove la lettura costituisce l’unico mezzo per tenere allenata la mente e lo spirito". L’intervento delle Farmacie Comunali di Ferrara, rappresenta un importante segno di riconoscimento del valore sociale insito nelle attività svolte dall’azienda ma anche e soprattutto un fondamentale esempio di solidarietà, specie in questo difficile momento che investe il sistema carcerario del nostro Paese dove su 206 istituti per 64.406 detenuti, sussiste un esubero di oltre 20 mila carcerati, con situazioni insostenibili e in cui si riscontrano bassi livelli di vivibilità. Genova: sesso con una detenuta, rinvia a giudizio per direttore
Ansa, 30 aprile 2010
Con l’accusa di aver indotto una detenuta a fare sesso con lui in cambio di agevolazioni, è stato chiesto il rinvio a giudizio dell’ex direttore del carcere femminile genovese di Pontedecimo, Giuseppe Comparone. I reati che gli vengono contestati sono violenza sessuale aggravata e continuata, concussione, induzione alla calunnia e falso ideologico e materiale. È stato invece prosciolto dal gip Adriana Petri, su richiesta degli stessi pm, dall’accusa di violenza sessuale aggravata l’ex vicedirettore dello stesso carcere, Mario Manis. Manis era stato accusato da una detenuta che aveva poi ritirato tutto. L’inchiesta era partita un anno fa, dopo la denuncia di una detenuta di origini marocchine di 28 anni. La donna aveva raccontato di essere stata indotta ad avere rapporti sessuali con Comparone, un funzionario e tre agenti penitenziari in cambio di varie agevolazioni. La detenuta, che godeva del beneficio del lavoro esterno a Genova, fu trasferita nel carcere di Monza. Il direttore di Pontedecimo, che ha subito anche perquisizioni domiciliari, ha sempre negato ogni addebito e si è dichiarato vittima di una vendetta. La vicenda sarebbe venuta alla luce durante gli interrogatori ai quali la donna era stata sottoposta per essere rientrata in ritardo in carcere dal lavoro. Libri: "Impìccati", con otto storie di morte nelle prigioni italiane
Ansa, 30 aprile 2010
Impìccati di Luca Cardinalini Ed. Derive Approdi, 2010. € 15,00
"La pena carceraria non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità", lo dice la Costituzione. Ma chi conosce la realtà del carcere non si chiede perché ogni anno un centinaio di detenuti muore, ma piuttosto perché altre migliaia decidono di resistere. Nonostante tutto. Anche i media sembrano essersene accorti: in carcere si muore sempre più spesso. Per suicidio, per malori o "per cause da accertare", un modo elegante per non dire che si viene ammazzati. Questo libro racconta una serie di storie di detenuti che non ce l’hanno fatta a uscire vivi di galera. Storie diverse per vita, cultura, convinzioni politiche. Storie che continuano a sbiadire in desolate udienze di solitari tribunali, dove sfilano testimoni, agenti, direttori, educatori, parenti, alla ricerca di uno scampolo di verità e di giustizia. Storie come quella recente e allarmante di Stefano Cucchi, o di Niki Aprile Gatti, incensurato, ritrovato impiccato nel bagno della sua cella, con molti particolari poco chiari. O quelle di Stefano Frapporti, arrestato per una manovra errata in bicicletta, che si sarebbe anche lui impiccato in una cella dopo poche ore. Del sindaco di Roccaraso Camillo Valentini che non resse alla vergogna dell’arresto e decise di legarsi un sacchetto di plastica sulla testa; le accuse mossegli si rivelarono poi inconsistenti. Del suicidio annunciato della brigatista rossa Diana Blefari. Del tunisino Ben Gargi che si è lasciato morire di fame e per il quale nessuno ha predisposto una legge per garantirgli un’alimentazione forzata. Di Aldo Bianzino, trovato morto nella sua cella a Perugia, con una profonda lesione al fegato, a detta del magistrato "provocata dalle manovre di rianimazione dopo l’arresto cardiaco". Introduce il libro un’approfondita analisi, ricca di dati e documentazione, sulla complessa realtà carceraria italiana. Luca Cardinalini è giornalista e scrittore. Per le nostre edizioni ha pubblicato STTL. Che la terra ti sia lieve (con Giuseppe Cardoni); La strana morte del Dr. Narducci. Il rebus dei due cadaveri e il "mostro" di Firenze (con Pietro Licciardi) e Quasi goal. Storie dal calcio "minore". Dalla serie C alla Terza categoria. Ferrara: pestaggio in caserma, il video inchioda un carabiniere
La Repubblica, 30 aprile 2010
La procura ha aperto un’inchiesta per lesioni contro il militare che nel video si vede picchiare dei fermati con un manganello. Manconi: "Immagini impressionanti". Nuovo pestaggio in una sede delle forze dell’ordine. Questa volta il teatro è stata la caserma dei carabinieri di via del Campo a Ferrara. In un video 1, reso pubblico dall’associazione "A buon diritto" di Luigi Manconi si vedono, in momenti diversi, due persone che cadono a terra, forse colpite, circondate da alcuni carabinieri in divisa; e un altro fermato nudo, poi avvolto in una coperta e portato via da personale di pronto soccorso sanitario. Manconi parla di un nuovo "caso di violenza all’interno di un caserma". Il video è nel fascicolo dell’inchiesta aperta dalla procura di Ferrara per lesioni contro un carabiniere 2 e per resistenza a pubblico ufficiale contestata a quattro giovani. Il filmato riguarda i fatti accaduti il 24 febbraio scorso (e riferiti allora da mezzi di informazione) quando i quattro, dopo essere stati arrestati in stato di ebbrezza per resistenza a pubblico ufficiale, furono trattenuti per ore in caserma. "Ma uno dei fermati - spiega Manconi - ha subìto pesanti maltrattamenti e violenze e colpi inferti con manganello a opera di uno, e forse non solo uno, appartenente all’Arma. Le immagini, riprese da una telecamera di sorveglianza installata nei locali della caserma, sono impressionanti: un giovane uomo, ammanettato, totalmente inoffensivo e non in grado di difendersi, viene aggredito, colpito con lo sfollagente, buttato per terra. Proverà a rialzarsi per due volte e per due volte verrà colpito. Senza che alcuno gli presti soccorso. Si tratta, giova ricordarlo - sottolinea - di una persona affidata a un apparato dello Stato, all’interno di una caserma dello Stato, che ne deve garantire l’incolumità". Per concludere: "Come le cronache dolorosamente riportano con frequenza crescente, dobbiamo dire che non si tratta affatto di un caso isolato". Sul caso la procura di Ferrara, pm Barbara Cavallo, ha subito aperto un’inchiesta, ordinato una perizia per pulire le immagini, e ora si dovrà determinare se vi siano responsabilità da parte dei militari (non solo l’unico già indagato) o se le loro azioni siano state innescate dalla resistenza dei giovani, trattenuti per tre ore, in un clima di tensione e di "guerriglia" causata da loro (uno si era denudato, uno si era ferito ad un braccio e sanguinante rincorreva i carabinieri per infettarli) come aveva sottolineato Alberto Bova, legale del carabiniere indagato, che aveva aggiunto come il video non facesse trasparire nessun atto violento. Secondo quanto riferito a suo tempo da uno dei legali dei giovani, Barbara Simoni, nell’integrale del video a disposizione della magistratura si vedrebbe un carabiniere che con un manganello in mano prima carica il gesto e poi colpisce un ragazzo seduto e ammanettato. Quindi si vedono altri carabinieri, da identificare, in ginocchio su un altro ragazzo. Il primo carabiniere, ora indagato per quel colpo di manganello, è stato riconosciuto dallo stesso legale, perché lo aveva assistito come parte civile, in altri episodi di arresti per resistenza. Dopo aver visto il video e riconosciuto il militare indicandolo, ha scelto di assistere i ragazzi. L’avvocato Bova, aveva sottolineato che tutto è avvenuto dopo che i quattro ragazzi fuori controllo che avevano aggredito i carabinieri e provocato danni, ferendo gravemente cinque militari. Per i giovani, che risiedono nella provincia di Rovigo, è pendente in tribunale il processo per direttissima, ‘congelatò e fissato all’11 maggio in attesa degli sviluppi della nuova inchiesta. Camerun: sit-in protesta giornalisti per collega morto in carcere
Agi, 30 aprile 2010
I giornalisti del Camerun hanno organizzato per lunedì prossimo un sit-in davanti al palazzo del primo ministro per protestare contro la morte di un loro collega, Bibi Ngota direttore del settimanale Camerun Express, avvenuta nella prigione centrale di Yaoundè. Ngota era in stato di detenzione preventiva per aver pubblicato un documento in cui si accusavano personaggi pubblici di malaffare legato alla Società nazionale idrocarburi. Le autorità hanno giudicato il documento ‘falsò. La manifestazione è organizzata dall’Unione dei giornalisti del Camerun (Ujc). L’Ujc vuole che sia fatta chiarezza sulla morte e chiede una commissione d’inchiesta che stabilisca le responsabilità e che applichi sanzioni esemplari contro i colpevoli.
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