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Giustizia: i poteri del "commissario straordinario" Ionta nel Dap
Agi, 2 aprile 2010
Il 29 marzo scorso è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale l’ordinanza del presidente del consiglio dei ministri che attribuisce al capo del Dap Franco Ionta i poteri di commissario delegato per l’emergenza penitenziaria (scarica il file). Il 13 gennaio il consiglio dei ministri aveva decretato lo stato di emergenza carceraria e attribuito al capo del Dap i poteri di commissario straordinario per la situazione conseguente al sovraffollamento degli istituti penitenziari. È quanto si legge in una nota del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. L’ordinanza - prosegue la nota - che attribuisce i poteri di commissario straordinario prevede la redazione, entro un mese dalla pubblicazione, di un piano dettagliato degli interventi strutturali da compiere per la realizzazione di nuove strutture penitenziarie, la riorganizzazione, l’adeguamento e il potenziamento delle infrastrutture già esistenti. Il commissario delegato disporrà di un budget di 500 milioni di euro per la realizzazione di nuove strutture penitenziarie e ulteriori finanziamenti tratti dai capitoli di bilancio ordinari del Dap e della Cassa delle ammende. L’attività di indirizzo e controllo, cui spetta l’approvazione del piano e l’attività di vigilanza sull’attività d’azione del commissario delegato, è svolta da un comitato presieduto dal ministro della giustizia e composto dal ministro delle infrastrutture e dei trasporti e dal capo della protezione civile. Il commissario delegato - conclude la nota del Dap - presenterà al comitato di indirizzo e controllo una relazione trimestrale sullo stato di attuazione degli interventi da porre in essere. Giustizia: gli Opg devono chiudere, ma ci sono 1.500 internati
Redattore Sociale, 2 aprile 2010
Malgrado una legge ne disponga la chiusura, la loro fine sembra lontana. Inchiesta di "Terre di Mezzo". Ben 413 reclusi potrebbero uscire se sul territorio ci fossero le strutture adatte ad accoglierli. Trentadue anni dopo la riforma voluta da Franco Basaglia non tutti i manicomi hanno chiuso i battenti. In Italia ci sono ancora sei Ospedali psichiatrici giudiziari che ospitano circa 1.500 persone rinchiuse per ordine della magistratura. Malgrado una legge ne disponga la chiusura (il Decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 1° aprile 2008), la loro fine sembra lontana. Inoltre ben 413 reclusi potrebbero uscirne se sul territorio ci fossero le strutture adatte ad accoglierli. È questo il tema dell’inchiesta "Ergastolo bianco" pubblicata sul numero di aprile di "Terre di mezzo - street magazine". Nelle strutture di Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere (Mantova), Montelupo Fiorentino (Firenze), Aversa (Caserta), Napoli e Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) finiscono persone che, pur avendo commesso reati, non vengono processati perché ritenuti incapaci di intendere e volere. Sospesa la pena, il magistrato dispone nei loro confronti una misura di sicurezza che, nei casi più gravi può arrivare all’internamento: due, cinque o dieci anni, in base alla gravità del reato commesso. Spesso però il periodo di detenzione si protrae ulteriormente: se l’internato non ha nessuno che si possa prendere cura di lui, o non c’è una struttura in grado di accoglierlo, il magistrato di sorveglianza proroga la misura di sicurezza. Un "ergastolo bianco" cui sono condannati una persona su tre nell’Opg di Montelupo e quasi la metà dei 128 internati a Napoli. Uno dei principali nodi da affrontare per la chiusura degli Opg sta nel rispetto dei "bacini" di utenza. In base a quanto previsto dalla legge infatti, in ogni singola struttura, infatti, dovrebbero restare solo i pazienti di una determinata area. Inoltre, ogni Regione, dovrebbe creare comunità protette in grado di accogliere coloro che non hanno familiari in grado di farsene carico. Ma gestire queste persone, però, è impegnativo, e le Regioni se li rimpallano, rallentando di fatto la chiusura degli Opg. In Sardegna, unico caso, hanno cercato di riportare a casa gli internati sardi rinchiusi negli Opg del "continente". L’ex assessore alla Salute, Nerina Dirindin, ha infatti stanziato 4,5 milioni di euro per la cura dei malati psichici sul territorio, prevedendo l’apertura di tre Centri di salute mentale aperti 24 ore su 24, il finanziamento di progetti terapeutici e di reinserimento lavorativo. Un piano di cui hanno beneficiato anche 28 persone (su 74), rinchiuse in Opg del "continente", che hanno così potuto tornare a casa. Un modello di assistenza basato sul criterio della "porta aperta", che è stato cancellato dopo le elezioni regionali del 2009 e l’insediamento della nuova giunta regionale di centro-destra. Giustizia: Alfano; sistema sanzionatorio dev’essere diversificato
Agi, 2 aprile 2010
"Conscio dell’emergenza attuale, legata al sovraffollamento penitenziario, diventa evidente come gli attuali problemi non si superano costruendo solamente nuove carceri, ma diversificando il sistema sanzionatorio. Ciò non corrisponde solo ad esigenze umanitarie, ma alla prospettiva di una prevenzione più efficiente". È quanto scrive il ministro della giustizia, Angelino Alfano, in un messaggio al consiglio nazionale del Sappe, sindacato autonomo della polizia penitenziaria, che lo aveva invitato a partecipare. "Sin dall’origine dal mio mandato - afferma il ministro - ho prestato massima attenzione a Pianeta Carcere, ben consapevole dell’encomiabile spirito di servizio con il quale tutto il personale della polizia penitenziaria, egregiamente affiancato da dirigenti e dai dipendenti dall’intero dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ne ha fino ad oggi garantito il funzionamento, tra mille difficoltà di tipo logistico ed operativo. Una realtà complessa nella quale l’attuale governo intende investire anche attraverso il ricorso a strumenti straordinari già approvati, ad onta delle attuali difficoltà economiche connesse alla negativa congiuntura economica internazionale. Pur tuttavia ho sempre elogiato l’operato di quanti, nonostante la scarsità degli organici di personale e di mezzi, sono riusciti ad instaurare un clima di tolleranza e rispetto". Giustizia: il voto dei detenuti, reso impossibile dalla burocrazia di Stefano Anastasia
Terra, 2 aprile 2010
Non è una soddisfazione da poco: stare in galera e vincere le elezioni! Eppure è accaduto ad alcune decine di migliaia di detenuti che hanno dato il loro contributo alla affermazione del più grande partito italiano, quello del non voto. Certo alcuni vi sono stati costretti dalla legge, e dunque non risulteranno nel computo degli aventi diritto al voto che vi hanno rinunciato, nonostante la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani abbia esplicitamente affermato che la privazione del diritto di voto è illegittima, anche per i condannati per reati di qualche rilevanza (come accade in Italia, dove si perde l’elettorato attivo se si è condannati a pena detentiva superiore a cinque anni). Alcuni vi sono stati costretti dalla legge, ma gli altri (molti altri) possono essere ascritti a quel grande partito che gliele ha suonate, al Pdl come al Pd. Peccato però che (salvo qualche mirabile eccezione, che vi sarà pure stata) queste migliaia di detenuti non abbiano potuto decidere liberamente se astenersi, e vi siano costretti (come in tutto) dai fatti e dalle circostanze. Una normativa d’altri tempi prevede che il detenuto faccia sapere per tempo al Sindaco del Comune di residenza che intende votare nel luogo di reclusione. A quel punto, dal Comune di origine dovrà arrivare comunicazione all’Istituto della avvenuta cancellazione (provvisoria) dalle liste elettorali, cui dovrà seguire la comunicazione al Comune di detenzione perché sia iscritto nelle liste locali, e quindi potrà essere allestito il seggio speciale per la raccolta del suo e di altri voti. Immaginate i passaggi tra le tre amministrazioni pubbliche interessate (i tempi di spedizione, di inerzia e di protocollo) ed ecco che se la macchina non si mette in moto 30-40 giorni prima della data delle elezioni, ti saluto il diritto di voto. Se poi si tiene conto che la maggior parte degli elettori potenziali sono quelli in attesa di giudizio e che in carcere, mensilmente entrano 8-10mila persone, ecco che quelli che la platea dei potenziali elettori si riduce ulteriormente. Peccato. Soprattutto perché nelle elezioni regionali si decide molto delle politiche penitenziarie. Solo una concezione ottocentesca, formalistica e centralistica insieme, può pensare che la pena in concreto si governi da qualche ufficio ministeriale: l’assistenza sanitaria, le offerte formative, scolastiche e di avviamento al lavoro; la tutela di diritti fondamentali e le opportunità effettive di reinserimento al termine della pena si decidono sul territorio e sono nei poteri delle regioni. Peccato non averne discusso ed essere stati costretti ad aderire a quel grande partito di chi sta a vedere cosa faranno quelli eletti dagli altri. Giustizia: caso Izzo; Corte di Strasburgo condanna il Governo
Il Velino, 2 aprile 2010
La Corte Europea dei diritti dell’uomo ravvisando la violazione, da parte dello Stato Italiano, dell’articolo 2 della Convenzione europea, sotto il profilo sostanziale e procedurale, ha condannato il nostro Paese per aver concesso la semilibertà ad Angelo Izzo. Secondo i giudici, l’Italia, nel 2004, non adottò "tutte le misure necessarie alla protezione della vita delle persone sottoposte alla sua giurisdizione". Alla Corte dei diritti umani si erano rivolti i legali della famiglia di Maria Carmela Linciano e di Valentina Maiorano (moglie e figlia del pentito della Sacra Corona Unita, Giovanni Maiorano) uccisi da Izzo il 28 aprile del 2005 in una villetta di Ferrazzano, vicino a Campobasso, mentre godeva della semilibertà. Il governo italiano dopo la prima sentenza del 15 dicembre scorso, sempre favorevole agli avvocati delle due donne, non aveva fatto ricorso impugnandola e così è diventata definitiva. La decisione dei giudici evidenzia le gravi negligenze riscontrate nella concessione della libertà provvisoria da parte dei magistrati di Palermo e di Campobasso. Prossimamente si conoscerà anche l’ammontare del danno morale che il governo dovrà versare ai parenti delle due donne uccise. La condanna definitiva del nostro Paese si aggiunge alle altre che con sempre maggiore frequenza mettono in luce le gravissime lacune della nostra giustizia. Ma questa su Izzo solleverà inevitabilmente ulteriori polemiche. Chi sbagliò sulla concessione della libertà provvisoria? Chi commise quelle "negligenze" evidenziate dalla Corte europea? A Izzo, condannato all’ergastolo per il massacro del Circeo, fu concessa la libertà dalle 8,30 alle 20 dal lunedì al venerdì e dalle 8,30 alle 16 del sabato. "La responsabilità, non è nostra - si affrettarono a giustificarsi i giudici del tribunale di sorveglianza di Campobasso - è dei colleghi di Palermo, del tribunale di sorveglianza del capoluogo siciliano, che ha disposto la semilibertà e ha rispedito il detenuto proprio a Campobasso, dove c’è l’associazione che gli avrebbe dato lavoro, Città futura". Antonio Mastropaolo, presidente del tribunale di sorveglianza di Campobasso, nel 2005 così rispondeva ai giornalisti: "Per me Izzo non doveva essere messo a contatto con soggetti disadattati, come quelli che frequentavano Città futura". Lui non avrebbe proprio concesso la semilibertà, perché oltre ad aver scontato almeno vent’anni di reclusione, il detenuto che ne usufruisce deve aver dimostrato un mutamento di personalità. A noi - ricordava il magistrato - Izzo aveva chiesto la liberazione condizionale e non l’aveva ottenuta. Venivano qui i suoi parenti a premere, reiteratamente, perfino uno zio generale. Ma noi non cedemmo". Nel carcere di Campobasso si trovava ristretto nella sezione dei collaboratori; è lì che entrò in contatto con Dario Saccomani, il pastore evangelico dell’associazione Città futura. Il comportamento di Izzo viene definito buono e anche il tribunale di sorveglianza di Campobasso glielo riconobbe tanto che, a partire dal 2003, ogni paio di mesi gli concesse permessi premio, un paio di giorni ogni volta, agli arresti domiciliari, presso un albergo". Ma durante uno di questi permessi Izzo, nell’albergo, organizza un festino e assieme a lui c’era anche un pregiudicato, poi arrestato per rapina. Nel 2004 Angelo Izzo finisce a Palermo, carcere Pagliarelli, per punizione. Ma nel giro di alcuni mesi Izzo convince i giudici di sorveglianza di Palermo. Nella relazione che gli consentiva la semilibertà si leggeva: "Le sofferenze e le privazioni in carcere gli hanno permesso di rielaborare la propria identità, di prendere le distanze da un passato aberrante". Dopo qualche tempo il tribunale di sorveglianza di Palermo, avendo "analizzato passo passo il suo passato criminale, con una rivisitazione critica di ciò che aveva fatto, dalla sua militanza politica fino agli omicidi che ha compiuto" e visionato le "relazioni di assistenti sociali ed educatori che mettono in evidenza che il suo comportamento era migliorato", sostennero che "davanti al collegio si è mostrato pentito e ravveduto". Lettere: Sbriglia; non avevamo bisogno di altra "disperazione" di Enrico Sbriglia (direttore della Casa circondariale di Trieste)
Il Piccolo, 2 aprile 2010
In riferimento all’articolo apparso il 23.3.2010 (su Il Piccolo n.d.r.), in prima pagina e nella cronaca cittadina, dal titolo "Il Coroneo esplode, maxi rissa con feriti" e sottotitolato "Tensione nel carcere sovraffollato. Ad avere la peggio sono state due guardie", è opportuno far sapere che non avevamo bisogno di altra "disperazione" per descrivere la realtà difficile nella quale operiamo, né tantomeno che venissero narrati fatti diversi rispetto a quelli effettivamente accaduti, capaci di determinare, essi sì, possibili rischi di sicurezza penitenziaria, in quanto destabilizzanti perché in grado d’innescare un crescere di bellicosità. Raccontare, infatti, in modo romanzato e diverso dalla realtà degli accadimenti, descrivendoli come una sorta di conflitto interetnico, all’incorno di un carcere dove è già difficile ricordare a memoria tutte le nazionalità, e diversi sono i culti religiosi professati, equivale al lancio di una bomba in un posto affollato, col rischio di innescare dei processi a catena. Se si racconta di lotte furibonde e di porte sfondate (cose non avvenute), di un detenuto che addirittura si chiude a chiave ali interno di un bagno (porte con chiavi), viene volutamente descritti una situazione di elevatissima animosità e di durissimo confronto quando la realtà deporrà, una volta esperiti tutti gli accertamenti, per una banale lite risolta, positivamente, attraverso un’ordinaria azione di polizia penitenziaria, al punto che neanche alcuni agenti riescono a ricordare, nell’oggettiva e fisiologica conciliazione del momento, come si siano procurati delle modestissime lesioni, avendo operato in una cella affollata, costipata di materiali e letti, dove non risultano esservi stati danneggiamenti per i beni dell’amministrazione e nemmeno si sono registrate aggressioni verso il personale di polizia, e dove alla fine si constateranno, e solo per alcuni detenuti, dei graffi e delle insignificanti lesioni, che non richiederanno prognosi o accertamenti di sorta, a riprova che si e trattato di una scaramuccia, subito "stoppata" dal personale di polizia penitenziaria immediatamente intervenuto. La mia preoccupazione sta nella sensazione che, ancora una volta, si preferisca incapsulare il mondo del carcere nel solito cliché fatto di violenze immani, dove gli agenti, quando non saranno "malvagi", sono imbelli", "non vedono" o "le prendono", e non quello di un mondo riflesso del "fuori" e delle sue criticità, povero di mezzi, dove le persone detenute, e non solo quelle, possono "schizzare" da un momento all’altro, a motivo di una tensione che si accumula ogni giorno di più. Parliamo o di un "posto" dove folle di giovani e meno giovani sono costretti spesso all’ozio forzato e in uno stato di indotta atarassia: in contesti simili, è facile "sbottare" in un modo inurbano e finanche aggressivo verso se stessi e/o i compagni di detenzione, e non bisogna essere psicologi o "grandi firme" per intuirlo. Insomma, non abbiamo bisogno di aumentare la tensione che c’è e tende, ove non si troveranno soluzioni normative concrete e ragionevoli, ad accrescere, ma soprattutto non abbiamo bisogno di volute esagerazioni nella narrazione di fatti, ahimè, banali, ma idonei, ove non correttamente descritti, ad alimentare la cultura della paura e della insicurezza: la disperazione che siano costretti a registrare, infatti, risulta abbondante, in una parola ci basta! Non abbiamo mai nascosto i problemi e da sempre cerchiamo di rendere trasparente il carcere e di dar conto di quel che facciamo, ma desidereremmo, per converso, una stampa critica e responsabile, che non giochi al massacro attraverso la pratica di "raccontarla più grossa", che non ricorra i titoli roboanti e tempesti con locandine di fuoco la città, mascherando il nulla o falsando, anche inconsapevolmente, una realtà sempre più difficile dove gli operatori davvero "rischiano" tutti i giorni, facendo il massimo col poco che si ha e contando sempre di più sull’aiuto che le istituzioni locali, le persone comuni e il mondo associativo, mostrandosi meno "creduloni" di altri, continuano generosamente a offrire. Il "bello" e la verità" non faranno, forse, notizia, ce ne rendiamo conto, ma sono comunque espressioni di libertà. Padova: detenuto di 41 anni trovato morto, cause da accertare
Ansa, 2 aprile 2010
Un detenuto è morto ieri nella Casa Circondariale di Padova. Si tratta di Luca Antoniol, 41 anni, di Tombolo (Padova), arrestato il 19 marzo scorso assieme ad un complice con l’accusa di essere coinvolto in rapine ad un ufficio postale, una tabaccheria e due farmacie tra l’alta padovana e il basso vicentino. Secondo alcune fonti, il detenuto avrebbe avuto un malore in prossimità della lavanderia, secondo altre sarebbe stato ritrovato morto in cella. Ignote per il momento le cause del decesso, per accertarle il pm di turno potrà disporre autopsia. Nella Casa Circondariale di Padova, a fronte di 120 posti regolamentari, sono presenti oltre 230 detenuti, dei quali l’80% stranieri. Con la morte di Antoniol, precisa la redazione di Ristretti Orizzonti, salgono a 51 i detenuti morti negli ultimi tre mesi nelle carceri italiane, per 15 dei quali la causa di morte è risultata il suicidio. Nel 2009 i decessi hanno raggiunto il massimo storico di 175, dei quali 72 per suicidio. Lecce: Sappe; non c’è dignità con celle sovraffollate all’infinito
Il Velino, 2 aprile 2010
"La morte di un persona in carcere è sempre una notizia drammatica. E quindi sapere che un detenuto è morto nel carcere di Lecce per un malore è una brutta notizia. È però altrettanto vero che l’attuale situazione penitenziaria si aggrava ogni giorno di più, come attestano gli oltre 67mila detenuti che oggi affollano i 206 istituti penitenziari italiani in cui mancano più di seimila Agenti di Polizia". Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo Polizia penitenziaria (Sappe), il primo e più rappresentativo sindacato di categoria, alla notizia della morte per malore di un detenuto nel carcere di Lecce. "Si pensi che proprio Lecce è un carcere in cui, a fronte di 680 posti regolamentari, sono presenti più di 1.360 detenuti! Uno Stato democratico assicura alla giustizia e può privare della libertà chi delinque ma nessuno può essere privato della dignità umana. Quale dignità può esserci in celle sovraffollate all’infinito? Va messo in evidenza che il personale di Polizia penitenziaria svolge quotidianamente il duro e difficile lavoro con professionalità, abnegazione, senso del dovere ed umanità. In questo contesto di eccezionale sovraffollamento è necessario avere garanzie che il Piano carceri del Governo trovi una prima urgentissima applicazione nelle parti in cui si prevedono interventi normativi che permettano l’assunzione di duemila Agenti di Polizia Penitenziaria e l’introduzione della possibilità di detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena residua e di messa alla prova delle persone imputabili per reati fino a tre anni, che potranno così svolgere lavori di pubblica utilità". Roma: Garante; le storie di chi non dovrebbe stare in galera…
Dire, 2 aprile 2010
Di diverso, fra di loro, hanno solo gli anni di carcere da scontare. Per il resto, invece, hanno tutti una storia comune: detenuti gravemente ammalati che, per questo, hanno ottenuto la sospensione della pena per poter essere meglio curati fuori dal carcere. Tutti, però, sono tornati in cella al primo miglioramento delle condizioni di salute, nonostante la patologia consigliasse tutt’altro, ed ora passeranno la Pasqua in carcere. Le storie di questi reclusi sono state raccolte dal Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, che ora denuncia: "Molti di loro sono affetti da malattie che, purtroppo, non scompariranno. Per questo avrebbero diritto a stare in luoghi diversi da un carcere. Invece è stato loro riservato un trattamento che nulla ha a che fare con l’umanizzazione della pena. Senza parlare del fatto che anche le decine di casi come questi contribuiscono ad aggravare l’emergenza sovraffollamento". Nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso, fra il Centro Clinico e il piano dove sono reclusi i malati di Aids, si incontrano diversi casi del genere. Nell’anno di sospensione della pena Gaetano, malato di Aids, era riuscito con la famiglia ad avviare un’attività economica regolare rispettando le prescrizioni della misura alternativa. È tornato in carcere perché le sue condizioni possono essere monitorate anche da una struttura sanitaria interna. Accanto a questi ci sono i detenuti tornati in carcere per residui di pena. Luigi, ad esempio, deve scontare otto mesi per un reato del 2000. Viste le sue precarie situazioni stava quasi sempre in casa con la madre 81enne. In carcere passa gran parte del tempo a letto. Marco, che ha un forte disagio psichico, è stato arrestato l’11 marzo per scontare due mesi di carcere: dovrebbe uscire il prossimo maggio. Nella sezione dove è recluso causa conflitti con gli altri detenuti anche per le scarse condizioni igieniche personali. Passa quasi tutto il tempo a letto a guardare la tv. Quella del 70enne Luciano è una storia a parte: il tribunale di Cagliari, per le sue condizioni, gli ha concesso gli arresti domiciliari in ambiente ospedaliero e per questo è stato trasferito dalla Sardegna al Pertini di Roma. La Corte d’Appello di Roma ha disposto che la Direzione di Rebibbia e la Asl trovino una struttura sanitaria assistita dove trasferirlo: in attesa, Luciano rimane in carcere. Da lunedì scorso i detenuti della sezione G 14 hanno scelto, come forma di protesta, il rifiuto del carrello del cibo dell’Amministrazione per sollecitare una maggiore attenzione da parte della magistratura di sorveglianza. "In tutta questa situazione - conclude Marroni - la buona notizia è che, a distanza di mesi dal recepimento della riforma per il passaggio delle competenze sanitarie in carcere dal ministero della Giustizia alle Asl, oggi a Rebibbia, grazie alla Asl Rm B, i detenuti malati, hanno un medico fisso e presente tutti i giorni, la cui figura è fondamentale sia per gli aspetti sanitari e clinici quotidiani che per gli aspetti medico legali". Siracusa: carcere al collasso, pochi agenti con 1.300 detenuti di Sergio Molino
Giornale di Siracusa, 2 aprile 2010
Carceri sovraffollate con un terzo di detenuti in più, operatori addetti al recupero dei carcerati con organici ridotti. La vita all’interno delle carceri è difficile da gestire e Siracusa non si sottrae alla crisi generalizzata che investe tutti gli istituti di pena italiani. Continua, intanto, il lavoro della speciale commissione sulle carceri, presieduta dal consigliere Carmelo Spataro, che stamattina ha ascoltato Michela Denaro, direttrice dell’ufficio esecuzioni penali esterne. Erano presenti il presidente del consiglio provinciale, Michele Mangiafico e i consiglieri Liddo Schiavo, Nino Butera e Niki Paci. La popolazione carceraria aretusea consta di 1300 persone, di cui circa 1000 hanno ricevuto pene definitive. Con un organico di otto unità, due capi area e una direttrice, ognuno dei componenti dell’Uepe deve farsi carico di seguire circa un centinaio di detenuti da osservare in tempi strettissimi. L’ufficio, a regime, dovrebbe contare su 17 operatori e, tra le varie incombenze, deve servire anche due case circondariali nel ragusano. Le alternative alla detenzione sono la semi libertà, l’affidamento ai servizi sociali, la detenzione domiciliare e la libertà vigilata. Ma occorrono risorse e tempi per condurre le osservazioni necessarie e istruire le relative pratiche. Se da un lato, dunque, le carceri sono sovraffollate, dall’altra i servizi di assistenza non riescono a fornire, per come dovrebbero, i necessari supporti per puntare alla rieducazione del carcerato. Primi fra tutti la possibilità di inserimento nel mondo del lavoro che, come hanno convenuto i partecipanti, rappresenta il primo momento di integrazione con la società. "L’incontro di questa mattina - ha dichiarato il presidente del Consiglio provinciale, Michele Mangiafico - ha permesso di mettere in luce il ruolo fondamentale che l’Uepe svolge e potrebbe svolgere ancora di più all’interno del sistema carcerario italiano. Nell’ambito della più generale carenza di organico che caratterizza il sistema e che rende oltremodo difficile il trattamento individualizzato, i ridotti numeri che caratterizzano anche l’Uepe diminuiscono l’efficacia dell’azione di recupero del detenuto che la nostra società potrebbe svolgere e che spesso vede l’Uepe protagonista in positivo nell’osservare il comportamento dei detenuti e gestire casi di affidamento a misure alternative". Trapani: una "guerra di numeri", per le carenze del personale di Vincenza Grimaudo
Quotidiano di Sicilia, 2 aprile 2010
Secondo Roma gli istituti penitenziari del trapanese sarebbero quelli con la migliore situazione in Sicilia. Per il ministero manca solo qualche unità, i sindacati parlano di gravi sofferenze. I conti non tornano per niente. Mentre sindacati, politica, movimenti ed associazioni parlano di gravissime carenze d’organico e di sovraffollamento nelle carceri, il ministero della Giustizia invece è in possesso di altri numeri, ben diversi, che addirittura pongono gli istituti penitenziari del trapanese tra quelli con la migliore situazione in Sicilia. è pronta adesso a scoppiare una vera e propria guerra di cifre: tra il ministero e i sindacati c’è una grandissima divergenza di opinioni e questo si consuma proprio mentre nelle carceri trapanesi ci sono addirittura quasi il doppio dei detenuti rispetto a quelli ce potrebbero essere ospitati. I dati forniti dal Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria mettono in risalto tutta un’altra storia. Lo afferma il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, nella nota di risposta fatta pervenire, tramite il Capo della sua Segreteria, Baldassare Di Giovanni, al presidente del Consiglio provinciale di Trapani, Peppe Poma, il quale nei mesi scorsi aveva avanzato richiesta di notizie e di intervento relativamente allo stato di sovraffollamento presso la Casa Circondariale "San Giuliano" di Trapani. Il ministro della Giustizia riconosce tuttavia che la Casa Circondariale di Trapani e le altre strutture penitenziarie della provincia ripropongono la condizione di sovraffollamento che accomuna anche le altre strutture della regione. Di carenza d’organico però non se ne parla: per la Casa Circondariale di Trapani, a fronte di un organico di 310 unità, ne sono presenti 309; per la Casa Circondariale di Castelvetrano l’organico previsto è di 63 unità e ne sono presenti 61; infine per la Casa di Reclusione di Favignana l’organico effettivo è di 92 unità anziché le 99 previste. "Molto più accentuata - sottolinea poi la nota del ministero della Giustizia firmata da Angelino Alfano - risulta la carenza di personale femminile, che investe pienamente la Casa Circondariale di Trapani, essendo di fatto l’unico istituto nella provincia con sezione femminile". A questo proposito, la nota ministeriale rende noto, per completezza di informazione, che al fine di ovviare alla situazione della sezione femminile della Casa Circondariale di Trapani, il Provveditore Regionale ha diramato un interpello per reperire unità disponibili al distacco presso la sede del carcere di "San Giuliano".
Poma: le cifre non coincidono, mancano agenti
Il presidente del Consiglio provinciale Poma risponde: "Evidentemente le cifre del ministero non coincidono con quelle a suo tempo denunciate dai sindacati, soprattutto per quanto riguarda gli organici della Polizia penitenziaria. Infatti, sulla base dei dati diffusi nei mesi scorsi dai sindacati, il personale penitenziario, sarebbe carente di un centinaio di agenti e risulterebbero necessari 60 unità a Trapani (50 uomini e 10 donne), 20 a Favignana, 10 a Marsala e 10 a Castelvetrano". Inoltre, fra Trapani, Favignana, Castelvetrano e Marsala sarebbero in atto detenute 309 persone in più rispetto alla ricettività massima a fronte della mancanza di almeno 100 agenti nel previsto organico. In particolare, circa 500 sarebbero i detenuti nel carcere del Capoluogo (rispetto alla prevista capienza di 280 persone), di cui 115 per reati di mafia e di camorra, quindi appartenenti al circuito alta sicurezza, e 140 extracomunitari; 150 a Favignana, di cui 64 internati; 107 a Castelvetrano e 45 a Marsala. Teramo: trasferito il detenuto vittima di un presunto pestaggio
Il Centro, 2 aprile 2010
Il detenuto vittima del pestaggio in carcere a cui si fa riferimento nell’audio shock, diventato un caso nazionale, ha lasciato Castrogno. Da qualche giorno Mario Lombardi, 46 anni, chietino, accusato di estorsione, è stato trasferito nella casa circondariale di Sulmona. Un trasferimento disposto dal provveditorato dell’amministrazione penitenziaria e che appare evidentemente collegato alla denuncia fatta nei confronti degli agenti. Intanto il legale dell’uomo, Filippo Torretta, potrebbe presentare opposizione alla richiesta di archiviazione fatta dal pm David Mancini. Una richiesta, ora all’esame del gip, in cui il magistrato denuncia lo stato di omertà registrato in carcere e che di fatto avrebbe impedito di raccogliere prove in grado di poter sostenere un processo. Secondo il magistrato sia i quattro agenti e sia il comandante Giuseppe Luzi hanno fornito delle versioni contraddittorie che non hanno consentito di fare piena luce sulla vicenda. Ci sono solo le accuse del detenuto che al magistrato ha raccontato di essere stato malmenato dagli agenti, accuse che però non possono essere confermate da nessuna certificazione medica. Nella sua richiesta di archiviazione Mancini usa parole pesanti nei confronti dell’ex comandante Giuseppe Luzi (sospeso dal ministro Alfano proprio per questi fatti): per il magistrato ha usato un linguaggio che denota una considerazione del detenuto lontana dal rispetto minimo che si deve alla dignità di tutti gli esseri umani. Va ricordato che Lombardi il 29 aprile comparirà davanti al gup con l’accusa di aver picchiato un agente di polizia penitenziaria: si tratta di un episodio avvenuto nel settembre scorso e per cui il detenuto sostiene di essere stato successivamente pestato per ritorsione dagli stessi poliziotti. L’inchiesta non è quella avviata all’indomani della diffusione dell’ audio, avvenuta a novembre, ma quella partita il giorno dopo l’aggressione su denuncia dello stesso agente malmenato. E mentre l’inchiesta aperta dal pm Mancini è conclusa, quella sulla morte di Uzoma Emeka, il detenuto nigeriano di 32 anni deceduto in carcere, comincia a prendere forma. Dopo che l’autopsia ha accertato che l’uomo, testimone del presunto pestaggio, è morto per un tumore al cervello, tumore che nessuno aveva diagnosticato, il pm titolare del caso Roberta D’Avolio vuole fare chiarezza sui soccorsi e sulle cure prestate al nigeriano. L’esame medico legale ha accertato anche che qualche mese fa l uomo era stato colpito da un infarto che però nessuno in carcere aveva scoperto. Il magistrato disporrà una consulenza medica. Per ora non ci sono indagati. Varese: domani sette detenuti partecipano a giornata ecologica
Varese News, 2 aprile 2010
L’amministrazione comunale, in collaborazione con la locale Protezione Civile, organizza per venerdì 9 e sabato 10 aprile due giornate ecologiche che prevedono il coinvolgimento dei bambini della scuola primaria in varie attività in quella di venerdì e l’impiego di sette detenuti, provenienti dal carcere Miogni di Varese, in quella di sabato. "L’intenzione - spiegano in un comunicato dell’amministrazione - è di ripulire il paese da cartacce e rifiuti abbandonati, in particolar modo in quelle zone dove il problema è maggiormente evidente e fastidioso, l’invito a partecipare è stato indirizzato a tutte le associazioni locali ed è esteso a tutti i cittadini che vorranno contribuire a dare un migliore aspetto alle vie del paese". "Grazie alla disponibilità del direttore del Carcere Miogni di Varese, Dottor Gianfranco Mongelli, a dare man forte ai volontari ci saranno anche sette detenuti partecipanti ad un programma di riabilitazione dello stesso carcere - prosegue il comunicato -. All’operazione "Venegono pulita" parteciperanno anche diversi assessori e consiglieri comunali che, smessi i panni di amministratori, indosseranno per un giorno tute e guanti offrendo un esempio che possa superare le parole e trasformare le intenzioni in fatti. Alle 12,30 la giornata si concluderà presso la Casa Alpina con un ristoro sociale che sarà offerto a tutti i partecipanti. Immigrazione: Milano; sciopero della fame nel Cie di via Corelli
Ansa, 2 aprile 2010
Si mobilitano anche i detenuti del Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano, da ieri sera in sciopero della fame. Il cibo è stato rifiutato in tutte e tre le sezioni (uomini, donne e transessuali) che al momento raccolgono circa 80 persone. Protestano contro il prolungamento della detenzione a sei mesi e in segno di solidarietà con quanto avvenuto nella notte del 30 marzo nel Cie di Ponte Galeria di Roma. Francia: progetto per "prigioni aperte", senza sbarre, né mura
Ansa, 2 aprile 2010
La Francia sta pensando alle "prigioni aperte", senza sbarre, né mura, destinate solo a certi tipi di detenuti, per favorire il ritorno nella vita sociale e lottare contro i rischi di recidiva. La proposta emerge da un rapporto sul sistema penitenziario francese che, affidato ad un esperto di criminologia, Paul-Roger Gontard, è stato presentato oggi al ministero della Giustizia. Almeno due o tre di questi luoghi potrebbero essere costruiti in Francia nell’ambito del progetto già esistente di creare 5.000 nuovi posti per detenuti tra il 2012 ed il 2017. L’obiettivo fissato dal sottosegretario Jean-Marie Bockel è che, a termine, il 10% dei detenuti sia trasferito in prigioni aperte, ovvero circa 6.000 persone su un totale di più di 61.000 detenuti registrati in Francia il primo febbraio scorso. Mentre prigioni senza sbarre ne esistono già in Danimarca, Finlandia e Svezia, in Francia è presente solo un’esperienza di questo tipo, la prigione di Casabianda, in Corsica, che può accogliere fino a 190 detenuti, ‘liberi’ di circolare perché non ci sono mura di cinta. L’amministrazione penitenziaria è già stata incaricata di identificare i luoghi dove queste prigioni potrebbero essere costruite. Turchia: i minori "lanciatori di pietre" in carcere per terrorismo
Apcom, 2 aprile 2010
Ragazzini, che lanciano pietre nel nome dell’indipendenza curda e finiscono in prigione come terroristi. Accade in Turchia, e non di rado. L’ultimo episodio è solo di pochi giorni fa, quando il tribunale di Diyarbakir ha condannato sei minori, con età compresa fra 15 e 17 anni a sette anni e cinque mesi di carcere per aver lanciato sassi contro la polizia durante una delle manifestazioni nell’est del Paese in supporto del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan che lotta per la creazione di uno stato indipendente. In realtà la loro pena totale sarebbe stata di 13 anni, il giudice ha poi deciso di diminuirla grazie ad attenuanti. Questi ragazzi non hanno ammazzato, non hanno rubato. Hanno lanciato pietre contro la polizia in una delle mille manifestazioni che ogni anno si tengono nell’est del Paese, a maggioranza curda, a sostegno del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, organizzazione terrorista che lotta per la creazione di uno stato indipendente curdo. Non sono innocenti, certo. Ma a causa dell’attuale legge anti-terrorismo in vigore, vengono condannati alla stesse pene di chi uccide, perseguita, tortura e sequestra. I capi di imputazione per i sei ragazzi di Diyarbakir erano "propaganda di organizzazione terrorista", "resistenza armata" e "crimine commesso per difendere un’organizzazione terroristica". Accuse gravi di principio, ma dove le armi utilizzate sono sassi e dove le ricostruzioni dei fatti nei processi sono spesso confuse e farraginose. Il ministero della Giustizia stima che i minori in queste condizioni nel Paese siano circa 2.700. Il problema, oltre alle pene comminate, è anche il luogo di detenzione. Circa 1.400 subiscono lo stesso trattamento di detenuti adulti e non scontano la loro pena in istituti idonei. Fra il 2006 e il 2007 quelli finiti sotto processo secondo la legge anti terrorismo per aver tirato sassi contro la polizia sono stati 1.056. Di questi 208 sono finiti in carcere. Numeri inquietanti, contro i quali il governo di Recep Tayyip Erdogan sta cercando di agire. L’esecutivo è al lavoro per modificare la legge che al momento permette alla magistratura di giudicare i lanciatori di pietre secondo la legge antiterrorismo. Sarebbe questo il motivo di pene e condizioni detentive così severe. La bozza della legge è stata presentata a fine marzo e tutta l’opposizione, anche il Partito Nazionalista (Mhp), voce più conservatrice della minoranza, si è mostrata disponibile a votarla. I minori lanciatori di pietre infatti provengono da situazioni famigliari particolarmente critiche complesse. Non vanno a scuola e a volte crescono in un clima di violenza tale che si ritrovano in carcere perché avviati dalla famiglia al crimine o al lavoro in nero, altra grande piaga del Paese. Secondo statistiche ufficiali si calcola che i bambini che lavorano fra i 6 e i 17 anni in Turchia siano 960mila. In un contesto del genere, soprattutto in aree del Paese dove la famiglia è organizzata in clan, è facile che crescano istigati all’odio e la violenza. Il carcere duro però sembra la soluzione meno indicata per garantire loro un futuro migliore. Svizzera: identificato il detenuto deceduto durante l’espulsione
Ansa, 2 aprile 2010
È stato identificato il detenuto nigeriano deceduto il 17 marzo scorso all’aeroporto poco prima della partenza del volo speciale a destinazione della Nigeria (Lagos). Dopo aver effettuato le necessarie indagini, le autorità nigeriane hanno comunicato all’Ufficio federale della migrazione (Ufm) l’identità del cittadino nigeriano deceduto. Si tratta di un richiedente l’asilo la cui domanda è stata respinta e che si trovava in Svizzera senza documenti di viaggio validi (passaporto o carta d’identità). Il decesso è intervenuto poco prima del rimpatrio a bordo di un volo speciale per la Nigeria (Lagos). Per poter rimpatriare le persone che non possiedono documenti di viaggio o che li distruggono di proposito bisogna che, prima di ogni volo speciale, le autorità dello Stato d’origine le riconoscano quali propri cittadini, dopodiché gli interessati ottengono un documento di viaggio di sostituzione (lascia passare). L’Ufm resta in stretto contatto con le autorità nigeriane. Per il momento rinuncia ad eseguire ulteriori voli speciali. Yemen: "giallo" sull’evasione di detenuti, il ministero smentisce
Apcom, 2 aprile 2010
È giallo in Yemen sulla vicenda dell’evasione di un gruppo di detenuti, simpatizzanti del movimento sudista secessionista, a seguito dell’esplosione di una bomba in un carcere di Daleh, nel sud del paese. Mentre fonti locali hanno detto, parlando in condizione di anonimato, che gli evasi sono una quarantina, il ministero yemenita dell’Interno a smentito nel pomeriggio la notizia dell’evasione. "Le informazioni sulla fuga dei detenuti sono prive di fondamento", afferma un comunicato diffuso dal ministero. La polizia aveva in precedenza riferito che in una stazione attigua alla prigione in questione era scoppiata una bagarre tra poliziotti e simpatizzanti del movimento sudista, arrestati per aver partecipato a una manifestazione a Daleh, 280 chilometri a sud di Sanaa. Secondo la polizia, la bomba è stata lanciata dai sudisti arrestati. Responsabili del movimento sudista hanno invece sostenuto che l’ordigno esplosivo fosse stato lanciato dagli agenti. Una trentina di simpatizzanti del movimento sudista - un’alleanza di gruppi fautori della secessione del sud o di una soluzione federale - ha approfittato del trambusto per evadere dal carcere, ha aggiunto la polizia.
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