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Giustizia: per prevenire i suicidi le carceri puntano sui colloqui di Giovanni Negri
Il Sole 24 Ore, 28 aprile 2010
Qualche margine di umanità in più nel trattamento dei detenuti. A prevederlo è la Circolare (scarica in pdf) del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) con la quale il ministero della Giustizia punta a favorire l’affettività tra i detenuti e i loro familiari, con il principale obiettivo di prevenire il rischio suicidio in carcere. A partire da ieri i detenuti comuni (non quelli particolarmente pericolosi in regime di carcere duro o in alta sicurezza) potranno far conto su un maggior numero di colloqui telefonici con i propri difensori (finora numericamente limitati); sulla possibilità di chiamare dal carcere i familiari anche al telefono cellulare (al momento vietato); sull’ampliamento di aree verdi sul modello del "Giardino degli incontri" all’interno del carcere di Firenze-Sollicciano o di strutture specifiche come quella di Milano-Bollate dove i detenuti possono incontrare mariti, mogli o figli per una mezza giornata o comunque per un periodo più lungo del canonico orario di colloquio in carcere. Nel giorno in cui a Teramo si registra, nel 2010, il ventiduesimo suicidio in cella, il Dap tenta dunque di correre ai ripari con "un nuovo modello trattamentale fondato sul mantenimento delle relazioni affettive, la cui mancata coltivazione rappresenta la principale causa di disagio individuale e un gran motivo di rischio suicidiario". Quattro le principali misure. Innanzitutto la creazione di uno staff multidisciplinare che prenda immediatamente in carico i detenuti a maggior rischio suicidio (per lo più persone che non hanno mai messo piede in carcere, tossicodipendenti o con problemi psichiatrici); staff composto anche da volontari ai quali il Dap dà ora maggiore possibilità di accesso in carcere, "almeno fino alle ore 18" e non più solo la mattina. In secondo luogo, più contatti con la famiglia e gli avvocati difensori. Nei casi di "particolare urgenza o rilevanza", in presenza di figli con meno di dieci anni oppure di trasferimento in altro carcere, il detenuto è autorizzato dal direttore a telefonare al proprio difensore "oltre i limiti numerici previsti dal regolamento ". E ancora: cade il divieto per i "detenuti comuni di media sicurezza " di fare chiamate dirette a telefoni cellulari di propri familiari nel caso in cui non abbia avuto la possibilità di vederli o contattarli per un periodo di almeno 15 giorni. Infine il Dap indica come di "fondamentale importanza" l’adozione di "tutte le misure organizzative possibili per evitare ogni contrazione del funzionamento del servizio colloqui". In via sperimentale, dunque, saranno ampliati "gli spazi e i momenti di affettività tra i detenuti e i loro congiunti e familiari", e saranno anche coinvolti i magistrati di sorveglianza nell’elaborazione di progetti che "facciano perno sulla valorizzazione dei momenti di affettività per rafforzare percorsi trattamentali". Giustizia: siamo alla vigilia di un collasso del sistema carcerario di Fulvio Conti
Pagina di Radiocarcere su Il Riformista, 28 aprile 2010
Che fare? Occorre scarcerare con razionalità e non limitarsi a fronteggiare l’emergenza. Meno 550. Pochi giorni al raggiungimento del collasso del sistema carcerario. I numeri: 206 (le carceri italiane); 43.000 (la capienza regolamentare); 68.000 (il numero di persone che possono essere stipate dell’intera struttura carceraria); 67.452 (il numero dei reclusi al 21 aprile 2010). Poco più di 400 ordini di carcerazione e il sistema penitenziario sarà saturo. Completo: il cartello che sarà esposto sui portoni d’ingresso delle galere italiane. Giorni o al massimo mesi e non sarà più possibile arrestare. Non sarà più possibile condannare. Non sarà più possibile eseguire ordini di custodia cautelare. I delinquenti, anche qualora fossero acciuffati, andrebbero liberati e soprattutto non sarebbero reclusi nelle patrie galere. Una prospettiva che toglie il sonno al Guardasigilli. Il piano carceri, una speculazione edilizia tanto decantata, come era facilmente prevedibile non ha evitato il collasso del sistema penitenziario. Un incubo. L’impossibilità di carcerare il criminale. Il rapinatore, il violentatore, l’omicida che non trovano posto nei 206 penitenziari del nostro paese. Liberi e impuniti. La resa dello Stato democratico. Una prospettiva inaccettabile. La soluzione un raffinato provvedimento legislativo. Il ministro della Giustizia, si applica, e presenta alla Camera dei deputati il disegno di legge n. 3291. Questo prevede che colui il quale deve scontare una condanna ad un anno di carcere od un residuo di pena della stessa entità ha la possibilità di trasferire la sua reclusione dal carcere alla propria abitazione. I detenuti che lascerebbero il carcere molti: le stime oscillano trai 5.000 e i 10.000. Un indulto mascherato, la critica che si leva dalle opposizioni. Il ministro Alfano chiede la sede legislativa in commissione Giustizia. L’opposizione si oppone con l’esclusione dei Radicali e con il consenso della Lega. Si attende l’ennesimo parere del Csm. La musica non cambia. Lo scenario è lo stesso di sempre. La situazione è oggettivamente gravissima. Grave è il rischio della saturazione del sistema carcerario e l’impossibilità di punire i colpevoli di orrendi reati. Altrettanto grave è il fatto che esseri umani vengano stipati nelle strutture carcerarie. Gravità che aumenta esponenzialmente se si considera che molte delle strutture penitenziarie del nostro paese non possono essere chiamate con questo nome, essendo costituite da strutture vecchie e fatiscenti. Il numero dei suicidi lascia basiti. Una situazione che, secondo il costume che caratterizza il nostro sistema politico, si affronta con provvedimenti emergenziali. Una situazione che, sempre per non abbandonare usi e costumi, porta ad una netta contrapposizione tra maggioranza e opposizione, a prescindere dalla bontà delle soluzioni adottate e dall’interesse generale. Il numero delle persone detenute deve essere necessariamente ridotto. Inutile discutere sull’etichetta da appiccicare al provvedimento legislativo (indulto o detenzione domiciliare). Scarcerare, non vi è altra possibilità. Scarcerare però con razionalità (per esempio valutando concretamente la pericolosità) e soprattutto non limitarsi a fronteggiare l’emergenza, ma volare più alto facendo in modo che il problema non si ripresenti. Giustizia: Rita Bernardini da due settimane in sciopero di fame
Ansa, 28 aprile 2010
È la seconda settimana di sciopero della fame per Rita Bernardini, deputato Radicale eletto nel Pd, membro della commissione Giustizia. Una "protesta non violenta" assieme ad altri compagni di partito per "scandire i tempi dell’illegalità che si protrae da anni nelle carceri italiane" ha ricordato la Bernardini oggi in una conferenza stampa dei Radicali alla Camera. Una situazione esplosiva che "viaggia ad un ritmo di 700-800 detenuti in più ogni mese - ha detto la Bernardini - e che per l’estate arriverà a contare 70mila unità a fronte di 43 mila posti disponibili negli istituti italiani". I Radicali esprimono comunque un giudizio positivo sul ddl Alfano che "si sta muovendo nella direzione giusta per quanto riguarda la messa in prova e le pene alternative". Ma la Bernardini ha sottolineato l’esigenza di inserire modifiche nel disegno di legge, per il quale sono stati presentati degli emendamenti, affinché non vadano esclusi i condannati per i reati come terrorismo, associazione mafiosa, traffico di droga e per coloro condannati per evasione dagli arresti domiciliari. Assieme alla Bernardini oggi alla Camera anche il segretario dei Radicali italiani, Mario Staderini, Luigi Manconi, presidente di "A buon diritto", Irene Testa dell’associazione "Il detenuto ignoto" (che partecipa anche allo sciopero della fame) e Giulio Petrilli responsabile Dipartimento diritti e garanzie del Pd della Provincia dell’Aquila. Ma anche la carenza di organico negli Istituti penitenziari, ha spiegato oggi Rita Bernardini produce effetti devastanti sia nella gestione delle carceri che sullo stesso personale della Polizia penitenziaria. "Servono più agenti, educatori, psicologi e figure sanitarie" hanno sottolineato i Radicali in conferenza. Per non parlare "del fatto che i detenuti che svolgono un lavoro all’interno delle carceri sono solo il 15% mentre gli altri stanno 20-22 ore in cella senza fare nulla". Sulla situazione della Polizia penitenziaria la Bernardini ha ribadito l’esigenza di "richiamare a servizio negli istituti tutti quegli agenti imbucati in servizio presso il Dap e al ministero della Giustizia". Anche i sindacati diano una risposta perché sono tre anni che non viene rinnovato il contratto di lavoro agli agenti, esiste una disparità di trattamento anche nei confronti delle altre forze di polizia. Il segretario dei Radicali Staderini infine ha fatto un appello alla chiesa cattolica, che proprio nelle carceri ha i suoi cappellani, per alzare forte la sua voce e farsi sentire dall’opinione pubblica e dalla politica con la stessa forza con la quale parla di aborto, nei confronti della situazione di emergenza delle carceri. Non è una provocazione - ha detto - ma un vero e proprio appello. Giustizia: Corleone ai Garanti; iniziamo uno sciopero della fame
Redattore Sociale, 28 aprile 2010
Sciopero della fame dei Garanti dei diritti dei detenuti, per la detenzione alternativa dei tossicodipendenti. È quanto Franco Corleone, garante dei detenuti fiorentini, proporrà domani a tutti i colleghi italiani per sollecitare il governo a realizzare un disegno di legge che consenta di decongestionare le carceri italiane. Sciopero della fame dei garanti italiani per i diritti dei detenuti al fine di spingere il governo a realizzare un disegno di legge che consenta di decongestionare le carceri attraverso l’adozione di misure di detenzione alternativa per i tossicodipendenti. È quanto proporrà domani Franco Corleone, garante dei detenuti di Firenze, durante la riunione dei garanti italiani che si svolgerà a Bologna. "Questo sarebbe l’unico modo per cancellare il grave e drammatico sovraffollamento che si registra in gran parte delle carceri italiane" ha spiegato Corleone. L’eventuale sciopero della fame collettivo servirà anche a sollecitare il governo ad eliminare le misure negative del disegno di legge Alfano sul carcere, un disegno di legge che però, secondo il garante dei detenuti di Firenze, non servirà a molto visto che i detenuti che potrebbero usufruire dell’ultimo anno ai domiciliari sarebbero pochissimi, a Sollicciano, ad esempio, soltanto una ventina". Giustizia: Di Giovan Paolo (Pd); misure alternative o annunci?
Il Velino, 28 aprile 2010
"Di misure alternative al carcere questo governo non ne fa certo una priorità. I provvedimenti, annunciati dall’esecutivo, riguardano solo chi deve scontare meno di un anno. Ma i problemi riguardano soprattutto chi è in attesa di giudizio". Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, segretario della commissione Affari europei, nel commentare la morte del 22esimo detenuto. "Da uno studio del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - prosegue il senatore del Pd - risulta che, degli oltre 65mila detenuti, circa la metà è costituito da persone in attesa di giudizio, e tra questi circa un 30 per cento potrebbe essere assolto alla fine del processo. Un’anomalia tipicamente italiana - conclude Di Giovan Paolo - che non trova riscontro negli altri Paesi europei, in pratica il ricorso sempre più frequente alla misura cautelare in carcere e la lunga durata dei processi costringe centinaia di migliaia di presunti innocenti a scontare lunghe pene in condizioni spesso poco dignitose". Giustizia: Ferrante (Pd); la situazione è desolante, si intervenga
Il Velino, 28 aprile 2010
"Di fronte al 22esimo suicidio in carcere dall’inizio dell’anno, per di più di un altro ragazzo, siamo davvero senza parole. Non si può rimanere fermi davanti a quella che è diventata una lugubre contabilità. Ormai siamo di fronte, purtroppo, a una situazione desolante di continue morti annunciate, vista la situazione drammatica, ai limiti dell’umanità, delle prigioni. Eppure con tutta evidenza al governo per intervenire non sono sufficienti le denunce e le ripetute richieste dei parlamentari, gli scioperi della fame, le interrogazioni. Cos’altro deve accadere perché l’Esecutivo intervenga?". Lo dice il senatore del Pd Francesco Ferrante. "Secondo la Comunità di Sant’Egidio nel 2009 i detenuti sono diventati 65.067, il numero più alto numero registrato nella storia della Repubblica - spiega Ferrante - Ciò vuol dire che in ogni istituto di pena ci sono molti più reclusi della reale capienza, e infatti le carceri più affollate sono quella di Milano San Vittore, dove sono presenti il 57 per cento dei detenuti in più; il Dozza di Bologna che contiene il 139 per cento dei prigionieri in più; Rebibbia di Roma, con il 78 per cento dei detenuti in più; Poggioreale a Napoli e l’Ucciardone a Palermo, con quasi il 40 per cento di prigionieri in più. È chiaro che la situazione è esplosiva. Vorremmo sapere che fine ha fatto il decreto contro l’affollamento che il Presidente del Consiglio in persona aveva promesso e cosa aspetta il governo a venire in Parlamento per affrontare concretamente una questione che ha superato da tempo l’urgenza". Giustizia: Favi (Pd); contro i suicidi serve attenzione e coraggio
Ansa, 28 aprile 2010
"Bene ha fatto il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap) a dare un primo segnale di attenzione ai bisogni delle persone detenute con la circolare che amplia le possibilità di tenere maggiori contatti telefonici con la famiglia e con gli avvocati difensori, che intende favorire gli incontri con coniugi e figli nelle aree verdi degli istituti penitenziari e che prevede una migliore organizzazione degli staff multi-professionali che prendano in carico i casi a maggior rischio di suicidarlo. Ora serve il coraggio di ampliare le esperienze positive e le buoni prassi di trattamento avanzato, come quella dell’istituto di Milano Bollate, dove i detenuti possano essere impegnati in attività lavorative, di formazione professionale e di espressione creativa della personalità, per far crescere la speranza che la sottrazione della libertà non sia anche tempo e luogo sottratto alla vita. È auspicabile che questo coraggio parta dai luoghi dove più forte giungono segnali di sofferenza e di disperazione come ad esempio in Abruzzo, con la serie tragica di suicidi delle carceri di Sulmona e di Teramo, o in Sardegna dove gli organismi comunitari hanno rilevato tensioni e conflitti acuti per il sovraffollamento degli istituti penitenziari e dove un piano carceri è già prossimo alla realizzazione concreta. Il "Grande Piano" del Capo Dipartimento Ionta, intanto, ancora tarda. Eppure è nei cassetti da almeno un anno e mezzo. Forse oltre al coraggio difettano le idee?" Giustizia: Antigone; è triste seguire contabilità morti in carcere
Adnkronos, 28 aprile 2010
"È triste seguire la contabilità delle morti in carcere, osservando così le condizioni di degrado che ci sono nei penitenziari italiani. Vorremmo non discutere di cifre e di suicidi. Il governo si è impegnato a prendere provvedimenti e li attendiamo". È il commento all’Adnkronos di Stefano Anastasia, difensore civico dei diritti delle persone private della libertà dell’associazione Antigone, che da sempre si batte per i diritti dei detenuti, dopo che i suicidi in cella sono arrivati a quota 23 soltanto nel 2010. Anastasia punta l’attenzione sul provvedimento che il governo si è impegnato a varare che preveda per coloro a cui manca solo un anno di detenzione che vengano consegnati alla detenzione domiciliare: "Questo potrebbe essere un significativo rimedio al sovraffollamento. Scommettere sulle alternative alla detenzione, come i domiciliari o la messa in prova è importante". Sull’ipotesi di utilizzare il braccialetto elettronico, Anastasia sottolinea: "Finora è stato solo uno slogan, ma non credo che sia l’unico modo per risolvere il problema". Giustizia: Marroni (Garante Lazio); governo ponga fine strage
Adnkronos, 28 aprile 2010
"L’ennesimo suicido in un carcere italiano, il 22mo dall’inizio dell’anno, ripropone con drammatica urgenza la necessità di un intervento non più rinviabile del governo per porre fine a questa che sta diventando una vera e propria strage". È quanto afferma Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio e vice coordinatore della Conferenza nazionale dei Garanti dei detenuti commentando la notizia del suicidio di un detenuto di 34 anni nel carcere di Teramo. "Da gennaio ad oggi, una media di oltre cinque detenuti al mese si sono tolti la vita nelle carceri - ha detto Marroni - numeri da vero e proprio allarme sociale. Ormai da mesi le componenti che vivono il pianeta carcere, dai detenuti agli agenti di polizia penitenziaria, manifestano per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla grave crisi che si respira negli istituti di pena". "In tutto questo, ciò che stride è la mancanza di operatività dell’esecutivo, capace in due anni di attività solo di annunci spot - conclude Marroni - È ora che il governo, e il Parlamento, si assumano le loro responsabilità per porre fine a questo massacro silenzioso". Giustizia: Sappe, dopo ennesimo suicidio Governo vari decreto
Adnkronos, 28 aprile 2010
Il mondo delle istituzioni e della politica non possono rimanere insensibili all’ennesimo suicidio di un detenuto in carcere, il 22° dall’inizio dell’anno". È quanto afferma il segretario del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, Donato Capece con riferimento al suicidio nel carcere di Teramo di un giovane italiano detenuto con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti. Per Capece, "la triste, drammatica e periodica regolarità con cui avvengono questi suicidi in carcere impongono una ferma presa di coscienza: c’è bisogno di quella larga convergenza parlamentare che fece approvare quell’indulto del 2006, esperienza fallimentare che fece uscire di galera più di 35.000 persone senza però prevedere un contestuale ripensamento della politica della pena". Il segretario del Sappe auspica che "si dia seguito con celerità alle parole dette il 16 aprile scorso dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per affrontare e risolvere il sovraffollamento delle carceri e i tragici casi di suicidio nei penitenziari, varando un decreto legge che preveda che coloro ai quali manca solo un anno di detenzione vengano consegnati alla detenzione domiciliare. Potrebbe essere un primo importante passo". Lazio: nelle carceri regionali sono in arrivo tremila nuovi posti di Sara Menafra
Il Sole 24 Ore, 28 aprile 2010
Il vero piano carceri arriva domattina sul tavolo del governo. Ma le bozze circolate fino alla scorsa settimana parlano di un programma di lavoro ben preciso, anche per la regione Lazio. Tremila posti in tutto (2.909), ottocento dei quali da realizzare subito costruendo nuovi padiglioni a Velletri, Frosinone, Viterbo e Civitavecchia e gli altri duemila piuttosto teorici, visto che per i tre nuovi carceri ipotizzati a Paliano (Fr), Latina e Roma manca un capitolo di spesa in Finanziaria. In ogni caso, sulla carta, l’intervento potrebbe bastare a risolvere l’emergenza, almeno nel Lazio. Stando ai dati del Dap dello scorso 20 aprile, i detenuti in regione sono circa 6.100, a fronte di una capienza regolamentare di 4.629. Basta però guardare all’immediato passato per non stare tranquilli. Esempio emblematico, il nuovo carcere di Rieti. Progettato nel 2000, con una capienza ordinaria di 306 persone, costato 45 milioni, il carcere ha aperto i cancelli solo a fine ottobre scorso. Ora, a fine aprile, i detenuti sono ancora gli stessi rispetto a quelli reclusi un anno fa nel vecchio istituto di Santa Scolastica: 91, sebbene nel corso del 2009 l’amministrazione penitenziaria sia stata costretta a trasferire fuori dalla regione 965 detenuti in soprannumero. Perché non a Rieti? Perché il carcere modello dell’alto Lazio è carente di agenti di polizia penitenziaria. Oggi sono 96, ma per far funzionare a pieno regime la struttura, dovrebbero essere quasi il doppio, 171. "L’organico della polizia penitenziaria è fermo ai 45mila previsti nel 1992, quando i detenuti erano la metà di quelli di oggi spiega Leo Beneduci segretario generale del sindacato Osapp. Oggi siamo 39.600, cinquemila in meno del previsto". Per l’immediato futuro il governo ha promesso l’ingresso di almeno altri 800 agenti, da selezionare tra i volontari in ferma breve: "Considerando la formazione cui verranno sottoposti, per riportare in ordine l’organico di Rieti- continua Beneduci - ci vorrà almeno un anno. E non è detto che l’obiettivo sarà raggiunto, visto che a quel punto i padiglioni da sorvegliare saranno aumentati ". Senza il numero di operatori necessari, lavorare bene non è facile. Lo sa bene la polizia penitenziaria del carcere di Frosinone, che due settimane fa ha iniziato uno sciopero della fame. Al quarto giorno di digiuno e con qualche agente già finito all’ospedale, il governo ha ceduto. Tra un paio di mesi arriveranno i rinforzi: cinque nuovi agenti, non uno di più. Stando alla bozza del piano carceri, entro l’anno prossimo il carcere frusinate crescerà ancora, con un nuovo padiglione per duecento posti. Non è ancora chiaro chi li sorveglierà. Emilia Romagna: "Non solo carcere", progetto interprovinciale
Asca, 28 aprile 2010
"Non solo carcere" . Progetto promosso dall’associazione "Oltre il muro" è uno dei progetti pensati per il carcere attorno cui ha creato una rete che opera anche a livello interprovinciale. Valeria Viganò, presidente dell’associazione, ha spiegato che il progetto è nato perché la detenzione possa trasformarsi in un periodo di crescita e formazione e soprattutto che si torni a riflettere sulle pene alternative. Le pene alternative sono infatti importanti sia perche i carceri sono sovraffollati ma anche per dare dignità alle persone detenute. Il problema è che la legislazione italiana non contempla le pene alternative. Il progetto come ha spiegato pertanto Carla Chiappini di Svep è partito perché il volontariato emiliano romagnolo nelle sue tre associazioni capofila (a Piacenza, Modena e Forlì) ha inteso promuovere una riflessione della cittadinanza, istituzioni e giornalisti sulle misure alternative alla detenzione perché oggetto di fraintendimenti e sono in Italia bloccate da tanti anni. Una situazione che spesso determina problemi sia di natura economica sia sulla personalità dei detenuti. Le pene esterne e che si spera vengano presto importate in Italia viaggiano non solo sula possibilità di interagire tra istituzioni,volontariato, mondo lavoro, famiglie. Queste pene hanno bisogno di rete. In una logica intesa a garantire una maggior sicurezza le misure alternative potrebbero contribuire a tutto questo anche se nell’opinione pubblica spesso vengono intese come sconto al danno arrecato, Il progetto si è quindi articolato in 4 direttive fondamentali: incontri informativi con il volontariato di tutte le nove città sedi di carceri cui hanno partecipato una ventina di associazioni di volontariato; costruzione di una campagna di promozione delle misure alternative al carcere che è partita sui muri delle stesse nove città il 26 aprile; realizzazione di una pubblicazione di progetto che esce in 20mila copie; organizzazione di un evento conclusivo di taglio europeo dal titolo "La pena utile" che si terrà a Bologna nella mattina del 6 maggio. Per dare qualche numero del 2009 a Piacenza: 24 sono stati i detenuti affidati in prova al servizio sociale, 7 i tossicodipendenti affidati ai servizi sociali e 27 i detenuti domiciliari. Roma: Rebibbia è sovraffollata, superata la quota pre-indulto
Il Sole 24 Ore, 28 aprile 2010
1500 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare degli istituti penitenziari. A fronte di carenze di organico nella polizia penitenziaria di circa mille unità. Bastano questi dati a fotografare lo stato di emergenza che si vive nelle carceri del Lazio. Una situazione sempre più drammatica. Lo confermano i numeri sulle carenze igienicosanitarie, sui suicidi negli istituti di pena. L’ultimo il 13 aprile nel nuovo carcere di Rebibbia. "La situazione carceraria del Lazio - riconosce Angelo Zaccagnino, direttore del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria - rispecchia la forte criticità della quasi totalità degli istituti del Paese. Criticità che sono state finora superate grazie al senso di abnegazione ed alla professionalità del personale penitenziario". Che tuttavia, stanco della situazione di continua emergenza, da oltre due settimane ha avviato in tutti gli istituti di pena della regione forme di protesta per attirare l’attenzione della pubblica opinione e indurre l’amministrazione a intervenire. Nel Lazio sono attivi al momento 14 istituti di pena. Nelle carceri della regione, secondo gli ultimi dati ufficiali del Dap, sono reclusi oltre 6.100 detenuti (il 23% in attesa di giudizio) a fronte di un massimo di 4.629 previsti dalla legge. La capienza regolamentare è superata in 9 carceri, ossia in due istituti su tre. Il 37,3% dei detenuti è straniero (per il 28,4% in attesa del primo giudizio).L’istituto coni maggiori problemi è quello di Rebibbia nuovo complesso, dove è stato superato di circa 100 unità l’affollamento pre-indulto e raggiunto il picco storico dal 1971. Ma la situazione è preoccupante anche nel nuovo complesso di Civitavecchia (479 detenuti a fronte dei 332 previsti) e a Viterbo (653 detenuti su una capienza di 433). A rendere il mix ancora più esplosivo ci sono poi le carenze di organico nella polizia penitenziaria: 3.221 unità effettive a fronte delle 4.136 previste dal dpcm del 1 agosto 2001. Le carenze maggiori sono a Viterbo, Regina Coeli, Rebibbia, Velletri e Frosinone. E proprio da Frosinone è partita la protesta, montata fino ad estendersi a tutte le carceri della regione con scioperi della fame e sit in "Ogni anno - rileva Carlo De Blasis, segretario aggiunto del Sappe - vanno in pensione 800 persone che non vengono sostituite. Questo ha creato situazioni di lavoro pericolose, in alcuni casi una sola persona si trova a sorvegliare 150 detenuti. A ciò si aggiungono anche gli straordinari non pagati da gennaio e la mancanza di fondi". Il sovraffollamento si riflette inevitabilmente sulla vivibilità delle carceri. "La situazione è molto pesante, sia per i detenuti che per i poliziotti - afferma il garante dei detenuti nel Lazio, Angiolo Marroni. Ci sono istituti oramai obsoleti come quelli di Regina Coeli, Cassino e Latina, dove in celle concepite per due persone si sta stipati in sei. Le conseguenze sulle politiche di reinserimento e di socializzazione sono inevitabili. Le misure alternative non funzionano perché mancano i fondi necessari a fare lavorare i detenuti". Infine, l’emergenza sanitaria. Secondo i dati del Dap, nelle carceri del Lazio sono detenuti al momento 1.511 tossicodipendenti di cui 181 affetti anche da Hiv. "Da ottobre del 2008 spiega Marroni -la sanità penitenziaria è passata alle Asl, ma in modo farraginoso, perché il trasferimento dei mezzi finanziari avviene lentamente e le persone da assistere aumentano perché in carcere ci si ammala più facilmente: non c’è solo l’Aids, ci sono le epatiti, le infezioni. E i suicidi in aumento". Lo conferma Simona Filippi, dell’associazione Antigone: "Dall’inizio dell’anno sono già quattro i detenuti morti negli istituti laziali: 3 suicidi ed uno per malattia. Al nostro difensore civico sono stati segnalati moltissimi casi di malasanità e di autolesionismo. Di fronte a tale situazione la misura della detenzione domiciliare prevista dal governo per chi ha un residuo di pena di un solo anno è condivisibile ma non risolutiva. Secondo i nostri calcoli, con questo provvedimento potrebbero uscire dal carcere circa 8mila detenuti lasciando del tutto inalterato il flusso di circa mille detenuti in ingresso al mese, prodotto dalla legge sulla droga e da quella sull’immigrazione ". Teramo: il detenuto suicida… mi uccido per non esservi di peso
Il Centro, 28 aprile 2010
Detenuto muore a Castrogno: è il 22º suicidio in carcere in Italia. La madre e convivente scrive: "Vi tolgo un peso". Poco dopo un altro recluso beve detersivo: salvato. "Mi uccido per non esservi più di peso". Iniziano così le due lettere scritte da Gianluca Protino, 34 anni di San Severo di Foggia, alla convivente e alla madre, prima di suicidarsi nella cella in cui era richiuso al carcere di Castrogno. Protino era detenuto nel carcere di Castrogno da ottobre, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dalla Dda di Bari per la contestazione di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Era in attesa della conclusione delle indagini. Il cadavere é stato trovato dagli agenti di polizia penitenziaria ieri alle 7,30. Si è impiccato con i lacci delle scarpe, con cui ha fatto un cappio legato alle sbarre della finestra. Un suicidio possibile perché era solo in cella: il detenuto con cui la condivideva era stato rimesso in libertà il giorno prima. Protino era determinato: ha aspettato che passasse l’ultimo giro di ispezione, alle 4,20 e subito dopo si è impiccato. Nella notte aveva scritto le due lettere. Alla convivente ha scritto "rifatti una vita", alla madre "pensa a mio fratello". A entrambe: "per voi sono un peso, ho sbagliato e pago io". Sul suicidio é stata aperta un’inchiesta dalla procura di Teramo, coordinata dal sostituto procuratore David Mancini. Oggi sul corpo sarà eseguita l’autopsia. Poche ore dopo, sempre nel corso della mattinata, un altro detenuto, questa volta un marocchino arrestato per reati legati alla droga, ha tentato di togliersi la vita. Ha bevuto il detersivo che aveva in cella. In pochi secondi è stato preso da dolori lancinanti allo stomaco. Gli agenti di custodia in questo caso hanno fatto in tempo a soccorrerlo. Il 118 l’ha portato in ospedale dove gli è stata praticata una lavanda gastrica. Non è in pericolo di vita. Quello avvenuto ieri è il ventiduesimo suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno. Nell’istituto di pena di Castrogno per quest’anno è il primo, anche se spesso avvengono tentativi di suicidio. A Castrogno - è stato più volte segnalato dai sindacati - la vita non è facile, né per chi ci lavora, né per coloro che sono rinchiusi. L’istituto è finito sulle cronache nazionali per l’audio shock in cui alcuni agenti di polizia penitenziaria parlavano di un pestaggio a un detenuto. Caso per cui il pm Mancini ha chiesto l’archiviazione. Invece proprio domani si terrà l’udienza preliminare a carico di Mario Lombardi, 46 anni, chietino, vittima del pestaggio a cui si fa riferimento nell’audio, che è però accusato di aver picchiato un agente di polizia penitenziaria. Il suicidio ha scatenato una serie di reazioni. Il sindacato Sappe di Teramo parla di difficoltà legate alla carenza di personale: "Le traduzioni assorbono diverse unità, i servizi sono tanti, il personale in pensione non è stato mai rimpiazzato", esordisce il segretario provinciale Giuseppe Pallini. Nel carcere di Teramo sono rinchiusi 380 detenuti, mentre la capienza è per 240. E ci sono 190 agenti, ma ce ne dovrebbero essere 240. "Ma a onor del vero", aggiunge il sindacalista, "questo suicidio non è ascrivibile al problema del sovraffollamento, visto che era in cella da solo, né alla carenza di controlli: l’ultimo è stato effettuato alle 4,20. D’altronde è impossibile controllare tutti per tutto il giorno. Si consideri che a Teramo arrivano detenuti con gravi problemi psichiatrici, perché abbiamo il servizio di psichiatria, e questi soggetti sono di difficile gestione, la polizia penitenziaria non è preparata. L’invito è dunque a mandarli in strutture più attrezzate". Eugenio Sarno della Uilpa penitenziari rimarca che "nonostante le denunce, le visite ispettive, le sollecitazioni dei sindacati sulla necessità di intervenire a riammodernare la struttura, a rimpinguare gli organici, a rivitalizzare le attività intramurarie, il Dap, ancora una volta, si è particolarmente distinto per l’innata staticità e l’accertata indifferenza". Secondo Marco Alessandrini, responsabile regionale giustizia del Pd il suicidio evidenzia "ancora una volta il drammatico stato in cui versano gli istituti penitenziari italiani, ove si assiste ad una quotidiana violazione della Costituzione per l’ispirazione della pena al senso di umanità". Sondrio: Vallanzasca ai ragazzi; simbolo di certezza della pena
Ansa, 28 aprile 2010
"Non sono qui per insegnare niente a nessuno, ma per raccontare una testimonianza di vita che mi ha portato a scontare quasi 39 anni di galera". Lo ha detto l’ergastolano Renato Vallanzasca, invitato oggi a parlare agli studenti dell’istituto superiore Balilla Pinchette di Tirano (Sondrio). Un incontro che non ha mancato di suscitare polemiche per la scelta del "relatore", intervenuto con il gip del Tribunale di Sondrio, Pietro Della Pona. "Ho scelto io di essere quello che sono - ha aggiunto il bel Renè - prendendo una strada che più si confaceva al mio carattere. Io sono nato ladro, non so quando rubare smise di essere un passatempo e diventò una professione. Non ho mai sparato per primo e mai alle spalle". "Vallanzasca - ha affermato Della Pona in un auditorium affollato - è un uomo detenuto perché ha sbagliato e oggi si trova ancora in carcere. È da sottolineare la responsabilità individuale nel compiere azioni criminali dettate da scelte personali. Sono l’emblema della certezza della pena - ha concluso l’ex bandito - Non ho mai chiesto di essere rilasciato e non ho mai sollecitato sconti della pena. So di non essere più pericoloso per la società, ma posso essere utile ai ragazzi emarginati delle comunità". Soddisfazione sull’esito dell’incontro è stata espressa dal dirigente scolastico, Martino Liscidini, secondo il quale "gli studenti hanno potuto apprendere in modo diretto le conseguenze di azioni sbagliate che hanno rovinato la vita di chi le ha commesse". Pesaro: madre tossicodipendente in carcere, la figlia si uccide
Ansa, 28 aprile 2010
Morte per intossicazione da barbiturici. Samantha Cangini, la ventiquattrenne pesarese trovata in fin di vita dal fidanzato e morta in ospedale, è deceduta così. Lo ha stabilito l’autopsia, eseguita oggi. La ragazza era figlia di Marina Vandini. Un anno fa la madre era finita sui giornali perché i carabinieri di Pesaro, incaricati di portarla in carcere perché doveva scontare un residuo di pena di 18 mesi per spaccio di stupefacenti, chiesero al giudice di sorveglianza di concedere alla donna gli arresti domiciliari proprio per restare vicino alla figlia, vittima di frequenti crisi depressive. Samantha aveva già tentato di togliersi la vita dopo la morte del padre Ottavio, un tossicodipendente che si era rifugiato in Venezuela. I carabinieri sostennero che da 15 anni Marina Vandini aveva cambiato vita, e che comunque non poteva abbandonare la figlia. Nei mesi scorsi però la Vandini è rimasta coinvolta in un incidente stradale a Forlì, mentre guidava sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Si giustificò dicendo di aver assunto poche gocce di un calmante, ma il giudice decise per la custodia cautelare nel carcere-ospedale di Pisa. Samantha, rimasta sola, ha deciso di farla finita e si è uccisa con una dose massiccia di sonniferi. I funerali si svolgeranno domani, nella chiesa di Borgo Santa Maria, alla presenza della madre, che ha ottenuto un permesso di tre ore per assistere alla cerimonia. Poi la salma della giovane verrà tumulata nel piccolo cimitero di Fonte Corniale, accanto alle ceneri del padre, che lei stessa era andata a riprendere in Venezuela. Vicenza: gli studenti raccolgono prodotti igienici per i detenuti
Giornale di Vicenza, 28 aprile 2010
Curiosa iniziativa dei liceali dello scientifico a favore dei detenuti reclusi nella prigione di Verona. Una raccolta di shampoo, saponette, bagnoschiuma, ciabatte e altro materiale necessario per l’igiene. Dopo il "tubolone" lungo una decina di metri che ha permesso la raccolta di quasi 2 mila euro a favore dei terremotati di Haiti, ora nell’atrio della scuola è apparsa un’installazione che riproduce un bagno, con tanto di vasca, per raccogliere prodotti per l’igiene personale da destinare ai carcerati. L’iniziativa ha preso vita dopo un incontro al Tron tra alcune classi dell’istituto e fra Beppe Prioli, cappellano del carcere di Verona, che ha illustrato le condizioni di vita dei detenuti. Da lì è partita la proposta per una raccolta di beni come saponette, bagnoschiuma, shampoo, dopobarba e altro, sempre molto scarsi tra le celle, da destinare all’associazione "La Fraternità" che si occupa dei carcerati di Verona e del loro reinserimento nella società. Con l’aiuto di alcuni insegnanti, a inizio settimana gli studenti hanno realizzato un angolo "bagno" con una vasca di recupero, tappetino, ciabatte e attaccapanni con tanto di accappatoi e cuffia. Per aumentare l’effetto di verosimiglianza hanno anche creato un effetto "acqua-schiuma" con tulle azzurro e bianco L’iniziativa benefica offre anche uno spunto di riflessione per i ragazzi, che in questi giorni si stanno interrogando sul fatto se sia giusto o meno aiutare individui che hanno commesso reati. La vasca resterà fino al 3 maggio. Televisione: settimanale "Terra!"; viaggio-inchiesta nel carcere
Il Velino, 28 aprile 2010
Un viaggio/inchiesta all’interno delle sovraffollate carceri italiane, è il tema al centro del nuovo appuntamento con Terra!, il settimanale del Tg5 a cura di Toni Capuozzo e Sandro Provvisionato, in onda domani giovedì 29 aprile, in seconda serata, su Canale 5. Sandro Provvisionato, dal Gianicolo, a Roma (luogo che, per la vicinanza con il carcere di Regina Coeli, veniva utilizzato in passato per comunicare con i detenuti all’interno della struttura grazie a intermediari dalla voce particolarmente potente detti "strilloni"), dà il via ad una puntata interamente dedicata alla situazione di grave contingenza in cui si trovano le prigioni italiane dove, secondo una recente stima, avviene 1 suicidio ogni 5 giorni. Per comprendere quali siano le reali situazioni dei carcerati all’interno delle strutture penitenziarie, gli inviati di Terra! hanno visitato alcuni dei più importanti carceri nazionali. Marco Corrias si è recato a Palermo, nella casa circondariale dell’Ucciardone. Sabina Fedeli ha raccolto le impressioni delle detenute della Casa di Reclusione femminile della Giudecca, a Venezia. Toni Capuozzo ha visitato gli istituti di Opera e San Vittore, situati nei pressi di Milano, il primo, e nella centralissima via omonima del capoluogo lombardo, il secondo. Il risultato è uno spaccato della situazione che ben riflette alcuni dati relativi al sovraffollamento degli istituti di pena che si attesta al +56 per cento e che, secondo le stime, a fine anno dovrebbero ospitare circa 73.000 detenuti, a fronte di 43.000 posti reali complessivi dell’intero sistema penitenziario. Per comprendere quindi cosa la politica stia facendo per arginare e risolvere questi problemi, sono stati intervistati il Sottosegretario alla Giustizia Elisabetta Alberti Casellati e la radicale Rita Bernardini. Fabio Tamburini ha, infine, raccolto le riflessioni di Franco Ionta, capo del Dap (Dipartimento Amministrazione della Giustizia), e di due esponenti di altrettanti gruppi speciali legati al mondo degli istituti correzionali. Svizzera: abolite le pene brevi condanne diventano più lunghe
Agi, 28 aprile 2010
Le carceri svizzere sono sovraffollate: il nuovo Codice penale (CP) non ha aiutato a risolvere il problema, che tocca soprattutto la Romandia. Anzi, la situazione sembra essersi deteriorata. L’eliminazione delle pene detentive corte, introdotte dalla riforma del Codice penale in vigore dal 2007, ha portato in realtà a condanne con pene più lunghe, spiega all’Ats André Kuhn, professore all’Istituto di criminologia e diritto penale dell’università di Losanna. I detenuti sono meno seguiti, il processo di risocializzazione ne risente e i prigionieri hanno meno chance di ottenere la libertà condizionale. Stando ai dati dell’Ufficio federale di statistica alla fine del 2009 nelle prigioni svizzere vi erano 6.084 persone. Nella Svizzera tedesca il tasso di occupazione era del 91%, mentre in Romandia e Ticino raggiungeva il 100,1%: il concordato "latino" - uno dei tre attivi a livello nazionale, comprendente, oltre al Ticino, Friburgo, Ginevra, Giura, Neuchâtel, Vaud, Vallese - ha registrato 2.085 detenuti su 2.082 posti disponibili. Secondo Kuhn un miglioramento generale della situazione carceraria dovrebbe arrivare con l’entrata in vigore, il primo gennaio 2011, del codice di procedura penale unificato per tutta la Svizzera. Svizzera: detenuto muore soffocato un audio accusa le guardie
Ansa, 28 aprile 2010
Crescono le polemiche in Svizzera per la morte in cella di un giovane detenuto, rimasto asfissiato la notte dell’11 marzo in un incendio da lui stesso appiccato al materasso e, secondo alcuni, non soccorso in tempo dalle guardie. Trascritte dalla stampa e in parte disponibili in audio su Internet, le conversazioni tra la polizia e la prigione durante il dramma sembrano mettere in luce la lentezza dei soccorsi e il disprezzo nei confronti del prigioniero, uno svizzero di 30 anni. Le autorità hanno aperto inchieste sull’accaduto e per violazione del segreto istruttorio. Il detenuto Skander Vogt è rimasto intossicato dal fumo di un incendio da lui stesso appiccato al materasso della sua cella nel penitenziario di Bochuz (cantone di Vaud, ovest). Nelle conversazioni tra la poliziotti e la prigione, secondo la trascrizione del quotidiano Le Matin, gli agenti hanno definito il detenuto un "connard" (stronzo) ed affermato che poteva anche "crepare". L’intervento è inoltre giunto quando il detenuto era già da tempo incosciente. Nei giorni scorsi, le autorità ed il comandante della polizia cantonale si sono scusati con la famiglia del defunto per le frasi "spiacevoli e inadeguate" dei funzionari. L’uomo era considerato pericoloso e le direttive prevedono in tal caso la presenza di un gruppo di elite della polizia, è stato spiegato.Stati Uniti: è scarcerato dopo 44 anni l’assassino di "Malcolm X"
Apcom, 28 aprile 2010
L’assassino di Malcolm X è libero dopo 44 anni di carcere. Thomas Hagan, l’unico ad aver ammesso il suo ruolo nell’uccisione nel 1965 del leader afroamericano, è stato scarcerato martedì. Hagan è stato liberato un giorno prima del previsto, le pratiche d’ufficio sono state elaborate in modo più rapido del previsto secondo il New York State Department of Correctional Services. Hagan, oggi 69 anni, è uscito dal penitenziario di minima sicurezza Lincoln Correctional Facility alle ore 11. Il caso vuole che la struttura si trovi proprio ad Harlem, quartiere nero di New York, all’incrocio tra la 110 strada e Malcolm X Boulevard. Hagan era stato inserito in un programma di lavoro full-time nel marzo del 1992, negli ultimi 18 anni ha trascorso cinque giorni alla settimana nella sua casa a Brooklyn con la famiglia e solo due all’interno del carcere. L’uomo aveva invocato clemenza per il suo caso, chiedendo di essere rilasciato per poter tornare dalla sua famiglia, diventare un consulente per persone con problemi di alcol e droga, e dare un contribuito alla società per "il tempo che gli resta da vivere".La sua richiesta di scarcerazione era già stata presentata altre 14 volte, ma sempre respinta. "Sono profondamente rammaricato per quanto successo, non sarebbe mai dovuto accadere" aveva detto Hagan durante lo scorso 3 marzo in tribunale. Hagan era stato condannato al carcere a vita dopo essere stato giudicato colpevole al processo insieme a Muhammad Abdul Aziz e Kahlil Islam nel 1966. Gli altri due imputati sono stati rilasciati nel 1980 dopo aver a lungo negato il coinvolgimento nell’omicidio. Per poter ottenere il rilascio Hagan ha dovuto garantire di essere in grado di mantenere un’occupazione, sostenere la famiglia e rispettare la libertà vigilata. Stando a un intervista rilasciata al New York Post nel 2008, Hagan lavorerebbe in un fast-food.Il 21 febbraio del 1965 Hagan aveva solo 22 anni, era noto con il nome Talmadge X Hayer ed era un membro radicale della Nation of Islam. Entrò all’interno della sala da ballo Audubon di Brookyn e sparò a Malcolm X. Mentre cercava di scappare venne ferito da un colpo di pistola alla gamba e i presenti in sala cercarono di linciarlo. Malcolm morì di fronte agli occhi della platea, tra cui la moglie Betty Shabazz e i suoi quattro figli.
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