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Giustizia: detenzione domiciliare; nessun decreto avanti col ddl
Asca, 25 aprile 2010
Serrato confronto per tutta la settimana in Commissione Giustizia sul Disegno di Legge governativo 3291 contenente norme per l’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno e la sospensione del procedimento con la messa in prova del condannato. In risposta ad un domanda di Rita Bernardini (Pd) su notizie di stampa riguardanti l’orientamento governativo a presentare in merito un Decreto Legge il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo ha escluso questa ipotesi visto che le misure in discussione sono contenute in un disegno di legge del Governo che punta ad affrontare l’emergenza del sovraffollamento carcerario. Caliendo ha fornito una relazione tecnica sul numero dei detenuti precisando che la detenzione domiciliare dovrebbe essere applicata, a regime, a circa 2.000 carcerati. Ha escluso che questa sia una forma di condono mascherato e ha ricordato il piano carceri del governo per realizzare in 18 mesi 11.000 nuovi posti. Giustizia: Orlando (Pd); ddl detenzione? verificheremo se bluff
Apcom, 25 aprile 2010
"Stiamo lavorando per definire i dettagli di una agenda di proposte per la giustizia l’appuntamento di oggi va in questa direzione". Così Andrea Orlando, presidente del Forum giustizia del Pd concludendo i lavori dell’incontro, promosso venerdì dal gruppo Pd alla Camera, su detenzione domiciliare e messa alla prova. "Naturalmente questo lavoro espone ad equivoci ed attacchi. Ma è l’unico modo di parlare al paese e di fare emergere, di fronte ad esso, la distanza che corre tra l’agenda del governo e i problemi reali della giustizia - ha spiegato Orlando -. Mentre infatti le camere sono impegnate a discutere una legge sulle intercettazioni fatta su misura per neutralizzare chi indaga ed informa su corruzione e malgoverno, mentre continua ad incombere la sciagurata legge sul cosiddetto processo breve, che ieri Fini ha qualificato, come noi da tempo facciamo, "una vera e propria amnistia mascherata" esplodono le emergenze non affrontate dal governo tra queste appunto il carcere, una realtà esplosiva generata dalla propaganda che si pretende di risolvere con la propaganda stessa". "La politica della destra in questi anni combinando inasprimenti della pena per alcuni reati e abbreviando i termini di prescrizione solo per altri ha prodotto da un lato la congestione della carceri dove finiscono di solito i più deboli e dall’altro l’impunità per quelli che hanno i migliori strumenti di difesa - ha proseguito il responsabile Giustizia del Pd -. Il disegno di legge presentato dal ministro Alfano sulla detenzione domiciliare e la messa alla prova apparentemente segna una inversione di tendenza ma nei fatti rischia di essere un passo falso. Infatti alcune palesi contraddizioni del testo e l’assenza di risorse a supporto di questi interventi rischiano di generare un effetto boomerang in grado di pregiudicare lo sviluppo di un sistema di pene alternative al carcere. Se si tratta di un bluff, e a noi così pare, andremo a vedere le carte chiedendo profonde correzioni alle norme proposte che eliminino le incongruenze e i profili di incostituzionalità emersi anche dal confronto di oggi. Riteniamo essenziale un impegno del governo a rivedere i meccanismi della legge Cirielli a proposito di recidiva che hanno generato l’attuale situazione carceraria. È evidente infine che questi interventi non possono essere a costo zero e presuppongono l’individuazione di risorse per rafforzare le strutture di controllo di percorsi di reinserimento". Giustizia: troppi detenuti e pochi agenti, emergenza endemica di Elena Ritondale
Nuova Società, 25 aprile 2010
Intervista ad Angiolo Marroni, Garante dei diritti dei detenuti del Lazio. È di martedì l’ultima manifestazione organizzata dagli agenti di polizia giudiziaria del carcere di Regina Coeli, a Roma, per protestare contro il sovraffollamento delle prigioni italiane. Sulle condizioni di vita e lavoro all’interno dei penitenziari abbiamo chiesto il parere di Angiolo Marroni, Garante dei diritti dei detenuti del Lazio.
Cosa chiede oggi la Polizia Penitenziaria? Le diverse sigle sindacali della Polizia Penitenziaria, che hanno aderito compatte alla mobilitazione, chiedono interventi per limitare il sovraffollamento, ma protestano anche contro i tagli all’organico. Nelle attuali condizioni il rapporto fra il numero dei poliziotti e quello dei detenuti non solo non è sicuro per i primi, ma non è neppure utile ai secondi. In questo modo, infatti, si riduce la funzione più alta delle guardie carcerarie, quella, cioè, del "trattamento" e del supporto alle attività finalizzate al reinserimento dei detenuti.
Quali sono le maggiori criticità del carcere italiano? Sicuramente la mancanza di organico e l’affollamento. Quest’ultimo, in particolare, determina la riduzione delle possibilità di lavoro, fatto gravissimo visto che il carcere è vissuto soprattutto da povera gente. Voglio sottolineare poi il gran numero di detenuti non condannati in via definitiva; queste persone andrebbero considerate innocenti. La lentezza della giustizia rappresenta per questo motivo un ulteriore problema, andando a ingolfare gli istituti di pena. Nel Lazio poi viviamo una situazione particolare, perché la magistratura di sorveglianza è responsabile dei collaboratori di giustizia e dei "41 bis" di tutta Italia. A tutto questo si aggiungono criticità strutturali, soprattutto in alcuni edifici obsoleti come Regina Coeli, Cassino e Latina o in altre, di costruzione più recente ma troppo distanti dai centri abitati, fra cui Velletri, Viterbo e Civitavecchia. Queste e altre cause hanno portato ai 20 suicidi in carcere dall’inizio del 2010.
In cosa consiste il lavoro di un Garante per i diritti dei detenuti? Il mio ufficio ha in carico 14 istituti di pena nel Lazio, il carcere minorile di Casal del Marmo e, in seguito a un accordo specifico, segue anche il Cie di Ponte Galeria. Noi crediamo che coloro che si trovano in carcere vadano considerati persone a tutti gli effetti. Se i penitenziari sono visitati e frequentati dalla società civile, diventano più vivibili e soprattutto più utili per uscire da una cultura del crimine. Oltre a vigilare sul rispetto dei diritti, promuoviamo lo studio e il lavoro, ad esempio attraverso il sostegno a cooperative sociali formate da detenuti o ex detenuti. Ultimamente, ad esempio, abbiamo sottoscritto un accordo con l’Università di Tor Vergata e la Telecom, per permettere ai detenuti di Rebibbia Nuovo Complesso di poter seguire video-lezioni e quindi proseguire i propri studi.
Cosa pensa del Piano carceri e del Ddl Alfano?
Prima di tutto io credo che il carcere dovrebbe essere considerato una misura estrema e che si dovrebbe seriamente pensare a una gamma di pene alternative. Sul Piano Carceri posso dire che, visti i tempi di finanziamento e di localizzazione di eventuali nuove sedi, le procedure per le gare e i tempi di costruzione, si rischia di non dare, ancora una volta, una risposta tempestiva ai detenuti. Per quanto riguarda invece il Ddl Alfano, posso dire che naturalmente sono favorevole a un’iniziativa che estenda gli arresti domiciliari a coloro che devono ancora scontare un anno di carcere, con la conseguente riduzione della popolazione penitenziaria. Nutriamo alcuni dubbi solo sulla mancata previsione di nuovi finanziamenti per il personale che dovrà gestire i detenuti domiciliari. Giustizia: Sindacati lavoratori in piazza contro ministro Alfano
Ansa, 25 aprile 2010
Hanno sfidato la pioggia battente per protestare in piazza a Roma contro quello che giudicano lo "smantellamento" della giustizia operato dal ministro Alfano attraverso un accordo, con le organizzazioni sindacali minori, che "taglia 7.900 cancellieri e 1.800 ufficiali giudiziari e mortifica e dequalifica tutti i lavoratori". La manifestazione organizzata dalle associazioni sindacali della funzione pubblica (Uil Pubblica amministrazione, Funzione pubblica Cgil, Flp e Rdb) ha richiamato a Roma rappresentanti di tutta Italia che hanno sfilato dalla Bocca della Verità fino a Piazza Navona dove i lavoratori giudiziari hanno raccontato dal palco il disagio di lavorare sempre in meno e senza materiale tecnico. "Il Governo fa finta di non conoscere le condizioni in cui versano gli uffici giudiziari: mancano le persone che li facciano funzionare, i mezzi e le risorse adeguati per la prosecuzione del servizio", sottolineano gli organizzatori della manifestazione che chiedono "investimenti e un progetto di riorganizzazione" e accusano Alfano di non aver rispettato l’impegno per "risorse per il riconoscimento professionale del personale e per 3.000 nuove e necessarie assunzioni". Ai manifestanti è arrivata la solidarietà del Partito Democratico attraverso il responsabile carceri Sandro Favi e il deputato Jean Leonard Touadì che hanno denunciato l’inerzia del Governo davanti ai gravissimi problemi di funzionalità dell’intero sistema. "Una giustizia efficiente per i cittadini - hanno sottolineato - ha bisogno di un progetto organico di intervento e modernizzazione che non può prescindere dal ruolo essenziale degli operatori del settore".
Favi (Pd): no riforma, se non si investe sul personale
"Non si può parlare di riforma del processo se non ci sono investimenti veri sull’ammodernamento delle strutture e investimenti sul personale". Lo ha detto Sandro Favi responsabile del settore carceri del Partito democratico che venerdì mattina ha partecipato alla manifestazione del personale giudiziario in protesta per i tagli del settore. "Il Pd - ha detto ancora Sandro Favi - è al fianco dei lavoratori della giustizia in questa giornata di sciopero perché crediamo, se si vuole fare una riforma, che non si possa prescindere da un ruolo vero del personale sia giudiziario che penitenziario. Allo stesso modo non si può pensare di risolvere il problema del carcere se quando si ipotizza l’apertura di nuovi istituti contemporaneamente non ci sono le risorse finanziarie per il personale e per le funzionalità del sistema".
Picierno (Pd): garantire condizioni di lavoro dignitoso
"Garantire condizioni di lavoro dignitose è sicuramente il primo passo di una riforma della giustizia dalla parte dei cittadini. Per questo aderisco convintamente alla manifestazione di venerdì. La mia adesione vuole anche denunciare quanto le disastrose condizioni delle carceri italiane ricadono non solo sui detenuti, ma anche sui lavoratori del settore". Lo dichiara la deputata democratica Pina Picerno aderendo alla manifestazione degli operatori della giustizia. Giustizia: ogni anno 38 mila i minori denunciati, 500 negli Ipm
Asca, 25 aprile 2010
In una dettagliata relazione in Commissione Giustizia sulla situazione delle risorse umane e materiali dei penitenziari per i minori il Capo del Dipartimento per la giustizia minorile, Bruno Brattoli ha precisato che mediamente ogni anno i ragazzi denunciati sono 38.000, quelli entrati nel circuito penale sono circa 18mila e quelli negli istituti penali sono circa 500 di cui il 50% di sesso maschile ed il 41% di nazionalità non italiana. Dopo aver rilevato che un alleggerimento della situazione può derivare dal progetto normativo in materia di messa in prova in discussione alla Camera, Brattoli ha affermato che l’efficienza del sistema della giustizia minorile italiana è riconosciuta in sede nazionale ed internazionale tanto che è allo studio la estensione di alcuni istituti sperimentati al sistema penale ordinario. Ma vi sono alcune criticità a cominciare dalla carenza di personale sia civile sia penitenziario. A suo giudizio altro problema rilevante è lo schema di riorganizzazione del Ministero della Giustizia con la riduzione delle Direzioni generali da tre a due, mentre sarebbe opportuno mantenere lo status quo. Giustizia: Cucchi; morti per mano di Stato, rompiamo il silenzio
Ansa, 25 aprile 2010
"Iniziative come queste sono importanti perché rompono il silenzio intorno a morti simili a quella di mio figlio". Lo ha detto Giovanni Cucchi, padre di Stefano, il giovane morto a Roma all’ospedale Sandro Pertini dopo essere stato arrestato e detenuto per possesso di droga, partecipando ieri a Pisa all’iniziativa Verità una, giustizia nessuna per portare alla ribalta le storie di persone morte "per mano di uomini in divisa al servizio dello stato" alla quale han preso parte un centinaio di persone. "Noi non siamo contro le istituzioni - ha aggiunto Rita Cucchi, la madre di Stefano - ma vogliamo solo che paghino per le loro responsabilità quella manciata di persone che disonorano lo Stato anziché essere al suo servizio". Stefano Cucchi, morì il 22 ottobre 2009 nel reparto giudiziario dell’ospedale Pertini e i genitori sospettano che sia stato vittime di percosse. "Adesso aspettiamo che i magistrati - ha concluso Giovanni Cucchi - formulino le imputazioni anche alla luce del lavoro dei nostri periti e del fatto acquisito che le fratture sul corpo di mio figlio non erano pregresse, ma sono recenti e dimostrano che è stato colpito con violenza". All’iniziativa hanno partecipato anche familiari e amici di Niki Aprile Gatti, Manuel Eliantonio, Marcello Lonzi, Riccardo Rasman, Giuseppe Uva, Stefano Frapporti, Aldo Bianzino, Francesco Mastrogiovanni, Simone La Penna, Bledar Vukaj e Carlo Giuliani. Sicilia: inchiesta carceri, mondo di cui non interessa a nessuno di Roberto Puglisi
www.livesicilia.it, 25 aprile 2010
Lo sappiamo: ci sono cose più emozionanti. C’è la crisi politica in Sicilia. C’è il campionato. C’è l’incontro Berlusconi-Micciché… eppure, Livesicilia, in questo turbine lampeggiante di emozioni, sceglie di dedicare ancora una volta la sua attenzione al carcere, per il consueto speciale domenicale. Il nostro è un "ancora una volta" disperato però non a mani alzate. Disperato perché sappiamo di combattere una battaglia solitaria. Oltre la cortina fumogena delle belle apparenze, infatti, abbiamo imparato ad apprendere la dura verità, a scontarla come una pena. Di galera non gliene frega niente a nessuno. E non gliene frega niente a nessuno, perché quell’umanità colpevole (in qualche caso innocente) e dolente, nascosta alla vista, segregata e seviziata, sembra fatta apposta per essere dimenticata. Dimenticata nell’approssimarsi di un’altra estate al mare, nascosta dalle rutilanti liti per il potere, segregata dal rimbalzo giocoso del pallone domenica e infrasettimanale. Chi volete che scriva e che parli dei carcerati, a parte i radicali? Chi volete che si interessi alla vita che scorre nei luoghi di pena, se non ci sono suicidi da commentare? Il dramma penitenziario siciliano e italiano respira a fatica in una propria dimensione invisibile agli occhi degli uomini liberi. Perché gli uomini che camminano a cielo scoperto se ne fregano, semplicemente. O pensano che un surplus di sofferenza da galera sia meritato, in barba alla legge e alla costituzione, come se l’ombra del portone di una prigione fosse una ghigliottina col compito di separare un cittadino dai suoi diritti. Le cifre, via Ansa: "Sono 67.452 i detenuti reclusi nelle carceri italiane, 42.530 italiani e 24.922 stranieri. Sono inoltre 29.791 i detenuti in attesa di giudizio mentre 35.708 i "definitivi". Questi i dati del Dap sulla presenza nelle carceri a fine aprile elaborati dall’associazione "Ristretti Orizzonti". La regione con il più alto numero di detenuti, al 28 febbraio scorso quando i detenuti risultavano essere 66.692, è la Lombardia (9.067) seguita da Sicilia(8.043), Campania(7.913), Lazio (6.060), Piemonte(5.076). Al polo opposto la Valle d’Aosta con solo 262 detenuti. L’etnia straniera più presente negli istituti di pena è quella marocchina con 5.268 detenuti, seguita da quella romena (3.225), tunisina (3.178), albanese (2.935), nigeriana (1.182) e algerina (1.022)". E adesso arriva l’estate. Il caldo aumenterà. I suicidi aumenteranno. Il carcere, oggi, serve soprattutto un ingranaggio ingiusto. È la discarica dei delinquenti comuni, l’inferno della povera gente, la cloaca degli espulsi dalla società. Se hai i soldi puoi difenderti dal carcere e dai processi per direttissima. Altrimenti, lasciate ogni speranza. Si possono per un momento mettere da parte gli altri emozionanti protagonisti della vita quotidiana per raccontare l’orrenda galera? Noi pensiamo di sì. Forse qualche lettore la penserà in modo diverso. Resista per un poco, solo un poco, allora. Lo preghiamo e ci scusiamo. Resistere, resistere, resistere. Tra un po’ ricominciano le partite.
Le pentole di Piazza Lanza, di Carmelo Caruso
Mesi fa non dovette sembrare vero ai quasi cento boss arrestati dai carabinieri siciliani. Neppure un carcere che li ospitasse, il che per un boss è quasi come un visto negato: un clandestino della giustizia. Dovettero vagare tutta una notte in giro tra i greppi di Sicilia per trovare un alloggio manco fossero falegnami che dovevano farsi censire. Uomini di "mala", picari senza lode ma con molta infamia, una vittoria per la giustizia, un problema per le carceri. E così a pochi mesi di distanza da quell’episodio, la Sicilia come mezz’Italia, silenziosamente filtra dalle maglie di un setaccio i dispacci dalle case circondariali. Solo la cera nelle orecchie impedisce d’ascoltare visto che a Catania dal carcere di Piazza Lanza, la protesta avanza a suon di pentole. Già: tegami e alluminio - ottone e chiave di do per chi sconta la pena - da giorni impediscono ai catanesi del quartiere di dormire. Sono 575 lì dove potrebbero starci in 252, 11 in una cella di 6, senza cure farmaceutiche adeguate, un’isola al quadrato nell’isola. Pure la polizia penitenziaria che all’umido e al puzzo di sentina è abituata, denuncia, attraverso una lettera al ministro della Giustizia la carenza di organico, il collasso del sistema penitenziario. La tregua di guardia e ladri, o semplicemente una guerra perduta da ambo le parti. Perché questi uomini che si dividono - in pochi metri quadrati e in bracci - tra leggerezza del dovere e pesantezza della colpa sono cugini dello stesso sonno, compagni sotto il cielo in una stessa tenda lacera e fredda. E saranno scherzi di un architetto maldestro o forse le direttive di un piano regolatore preciso e letterario, se questo fungo velenoso che è il carcere di Piazza Lanza si trovi dietro lo stadio Massimino ed il Teatro Stabile della città, proprio lì dove il catanese riversa l’acidità della settimana e sfida i boati del vulcano o dove si eccita senza donna (come nei caffè di Brancati) e si vezzeggia una fotografia di Ferro, di Spadaro consumandosi nell’illusione di Catania città aperta. Non c’è neppure l’arancio degli agrumi che colora invece il carcere Bicocca (quello minorile) e non sentono neppure i reattori degli aerei di Fontanarossa che per un uomo colpevole sono come accenti di una lirica. L’uomo che sconta la pena a Piazza Lanza è un prigioniero della vita impigliato come un’alice, costretto a vivere la sua e quella che ha strappato. Sì, colpevole, ma la colpa può essere espiata solo da un uomo che vive e non da un manichino che si trascina. Un uomo malato è sempre uno schiavo della carne, un buco della coscienza una lampadina fulminata dopo aver spento. Solo una mente altrettanto negletta può dire: hanno il pane non gli basta? Non può un fiammiferaio che amministra il fuoco (in questo caso il Ministro della Giustizia) bruciare senza l’estintore e non ci sarebbe bilancia tarata senza la compassione, senza un contrappasso di bene. Quindi sono come invitati di un matrimonio questi uomini che tamburellano le posate, chiedono attenzione, alzano il dito se è vero che la giustizia è il matrimonio del tutto con la parte. Non si dorme a Catania da una settimana ed è un’insonnia salutare, la sveglia della ragione e si tengono le piccole abajour accese perché la luce si fa avara - amara l’anima.
Navarra (Sappe): la situazione è insostenibile", di Alessandro Buttitta
Calogero Navarra, segretario nazionale della Sicilia della sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), ha parlato con Livesicilia della grave condizione in cui versano le carceri siciliane. Pochi giorni fa la SAPPE, il più importante sindacato di polizia penitenziaria a livello nazionale, in collaborazione con altri sindacati (Cigl-Fp/Pp, Cisl-Fns, Osapp, Sinappe, Ugl/Pp, Fsa-Cnpp), si è sollevata in stato d’agitazione, inviando due documenti al ministro della Giustizia Angelino Alfano.
Signor Navarra, qual è la situazione delle carceri siciliane? "Siamo al collasso, non riusciamo a reggere più la situazione. Siamo oberati di lavoro. Siamo fuori contesto, viviamo una situazione che è non è normale. Nelle carceri siciliane attualmente ci sono 8300/8400 detenuti, prima dell’Indulto eravamo in 6200. Gli istituti penitenziari in Sicilia hanno troppo utenza, siamo veramente in una situazione d’emergenza. Come sindacato, abbiamo prodotto due documenti insieme ad altre cinque sigle sindacali per evidenziare le problematiche siciliane, ma non abbiamo avuto ancora risposta. È una situazione insostenibile. Aumentano i detenuti ma diminuiscono gli agenti di polizia penitenziaria. Chi va in pensione, non è neanche ricambiato. Abbiamo denunciato i nostri disagi al Provveditore, ma non può far granché… Dovrebbe esserci una riforma dall’alto; purtroppo questa non arriva".
Quali sono i maggiori problemi? "Oltre al sovraffollamento, abbiamo grandi difficoltà a gestire tutti questi detenuti. La maggior parte, circa il 40%, sono extracomunitari, soprattutto provenienti dall’Africa settentrionale. Non riusciamo ad avere un dialogo con loro; non parlano la nostra lingua, non c’è comunicazione tra noi e loro. Sono ingovernabili, sono difficili da gestire, pensano solo ai loro vizi, ovvero il fumo. Non abbiamo neanche la possibilità di cambiarli di stanza, perché ogni volta ci sono problemi, risse e colluttazioni. C’è un clima costante di nervosismo e di tensione. Ci sono spesso aggressioni che il più delle volte nascono da incomprensioni. Proprio in settimana a Messina due assistenti capi della polizia penitenziaria sono stati aggrediti e sono finiti all’ospedale. Per uno sette giorni di prognosi, per l’altro cinque. È impossibile avere un confronto".
Gli episodi di violenza sono quindi frequenti fra detenuti e polizia penitenziaria? "Purtroppo sì. Ad Enna 15-20 giorni fa, ad Agrigento circa un mese e mezzo fa. La violenza è un dato di fatto nelle carceri siciliane. Per non parlare dei tentati suicidi. Proprio in questi giorni abbiamo salvato un detenuto intento ad impiccarsi. Spesso assistiamo a questi fenomeni di autolesionismo. Non riusciamo a farli ragionare perché pensano di non avere prospettive, non avendo sostentamenti economici. Ci sono fenomeni di disagio che non riusciamo ad affrontare, non ne abbiamo le forze e i mezzi".
Il personale penitenziario come affronta questa situazione? "Male. Il personale è ridotto al minimo. Aspettavamo il Piano Carceri, ma questo è stato bloccato dal Pacchetto della Protezione Civile. Non ci sono nuove assunzioni e molti di noi vanno in pensione, di conseguenza siamo pieni di lavoro, non riuscendo più a reggere la situazione. Facciamo sempre più spesso straordinari che non vengono retribuiti. I nostri turni di lavoro da otto ore sono diventati da nove e dieci ore, a volte anche undici. Aumentando poi l’utenza, noi della polizia penitenziaria siamo sempre più caricati di lavoro. Siamo obbligati agli straordinari non pagati. Non abbiamo neppure i soldi per la benzina dei mezzi di trasporto. Lavoro in questo ambiente da 32 anni e non si sono mai verificate cose del genere. Non ci viene neppure garantito il riposo settimanale. Dopo un turno di guardia di otto - nove ore, siamo costretti a rimontare poche ore dopo. Siamo stressati, in special modo il personale più anziano. I più anziani non reggono a questo stress psicofisico, vanno in quiescenza. Non riescono a sopportare questi condizioni di lavoro e spesso sono costretti a chiedere certificati di malattia. Non lo fanno perché non vogliono lavorare, non riescono proprio a farcela. Non sono garantite le normali condizioni di lavoro".
Avete prodotto insieme ad altre sigle sindacali dei documenti riguardo la difficile situazione delle carceri siciliane. Fiduciosi in qualche risposta dal ministro Alfano? "Attendiamo risposte ma sappiamo che purtroppo non arriveranno. Il disagio delle carceri riguarda tutta l’Italia, c’è una diffusione a macchia di leopardo. Noi aspettiamo dei segnali, tra l’altro come sindacato non riusciamo a capire alcune cose della metodica seguita dal governo".
Ad esempio? "Nel carcere di Agrigento dovrebbe sorgere un nuovo padiglione, ma l’inizio dei lavori, previsto per aprile, è slittato per mancanza di fondi. Sono andato a Conegliano Veneto in provincia di Treviso e ho visto che c’è una fabbrica che produce i modulari di sessanta celle in 30 giorni al costo di 20 milioni di euro. Il governo attualmente spende invece 100 milioni di euro per la fabbricazione di nuovi posti letto. In un momento come questo dove c’è l’impellenza di posti letto, non capisco come mai il governo non si rivolga a questa fabbrica. C’è una metodica che fatichiamo a comprendere. Tra l’altro queste celle sono come le suite a tre stelle che si trovano nelle navi da crociera, quindi anche fatte con una certa qualità. Non riusciamo a comprendere alcune strategie ministeriali soprattutto in un momento di crisi e di necessità come questo. Il governo pensa invece alle carceri galleggianti".
Se le risposte da parte del ministero non arriveranno, come sindacato che siete pronti a fare? "Lanceremo ancora segnali, non ci fermeremo sicuramente. Adopereremo tutti i nostri mezzi a disposizione, sempre nel rispetto delle regole e della democrazia. Lo sciopero poi potrebbe essere un’alternativa".
Buscemi: (Ufficio Garante): due metri quadri a detenuto, di Gianni Parlatore
Uno spaccato duro, crudo e reale del mondo delle carceri siciliane dove il diritto sembra sospeso, dove alcuni detenuti sono sprovvisti pure del vestiario, perfino della biancheria intima. A tratteggiarlo è l’avvocato Lino Buscemi, dirigente dell’Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti e profondo conoscitore dei mali del sistema penitenziario regionale.
Avvocato Buscemi, quali sono le condizioni del pianeta-carcere siciliano? "Sono condizioni drammatiche. Tra i primati negativi che la Sicilia detiene vi è anche quello del sovraffollamento delle prigioni, siamo secondi solo alla Lombardia. Su un totale di 67 mila detenuti in Italia, nella nostra regione se ne contano più di 8 mila, a fronte di una tollerabilità massima degli istituti siciliani che è pari a 5 mila unità. Secondo le convenzioni internazionali in materia, ogni detenuto ha diritto a 5 metri quadri all’interno della sua cella. In Sicilia la media è di appena 2 metri quadri. Vorrei segnalare un ulteriore dato: le situazioni più difficili non le vivono i mafiosi, come si crede, che quantomeno hanno le loro stanze e l’acqua calda, bensì i detenuti comuni".
Quali sono gli altri disagi alla base delle segnalazioni che vi giungono come Ufficio del Garante dei detenuti in Sicilia? "Innanzitutto c’è il problema dello spazio: non è umano vivere in 12 in una cella. In molti, poi, ci scrivono perché chiedono semplicemente di essere trasferiti in carceri più vicine al luogo in cui vivevano, per non pesare troppo sui bilanci delle loro famiglie, che sono quasi sempre piuttosto disastrate. Poi vi è il dramma dei servizi sanitari: chiedono visite mediche più frequenti, hanno bisogno di dentiere o di busti per il mal di schiena. Manca anche questo. La Sicilia è l’unica regione a non aver ancora attivato strumenti per il trasferimento del servizio dal sistema sanitario penitenziario a quello sanitario regionale, e questo provoca la precarietà dei medici che lavorano negli istituti di pena siciliani".
Nel Rapporto contro la tortura e per i diritti dei detenuti che avete presentato alla U.E. chiedete la chiusura di alcune prigioni dell’Isola. Quali sono e perché? Abbiamo chiesto la chiusura di ben otto carceri siciliane: l’Ucciardone di Palermo, Favignana, Mistretta, Marsala, San Cataldo, Noto, il Gazzi di Messina e il carcere di Piazza Lanza di Catania. In questi istituti, oltre ai problemi già citati, non funzionano i servizi igienici, i detenuti sono costretti a fare i loro bisogni davanti a tutti, escono perfino topi e scarafaggi dai bagni. C’è il problema della carenza di psicologi, assistenti sociali, interpreti e mediatori culturali. Poi c’è lo scandalo del carcere di Gela: ci sono voluti 51 anni per realizzarlo, l’ex sindaco Crocetta qualche anno fa ha consegnato le chiavi all’allora Guardasigilli Mastella, ma è ancora chiuso. Il carcere di Noto, invece, funziona solo a mezzo servizio, in quello di Villalba, vicino Caltanissetta, pascolano invece indisturbate le mucche".
Tutto questo, secondo voi, si ripercuote negativamente sui detenuti, anche quando finiscono di scontare la loro pena. "Senza dubbio. L’umanizzazione della pena favorisce il reinserimento sociale dopo la liberazione. La pena, come dice la nostra Costituzioni, non è affittiva, ma rieducativa. I detenuti devono poter lavorare o studiare. Se consegniamo bestie alla società, esse torneranno a delinquere. Lo dimostrano le statistiche: tra i detenuti avviati a corsi di recupero solo il 5% torna a compiere delitti, mentre la quota sale all’87% tra quelli trattati in modo disumano, in spregio di tutti i diritti. I paesi civili si distinguono da quelli incivili, come diceva Calamandrei, per tre cose: la legge elettorale, il codice di procedura penale e lo stato delle carceri. Per questo non accettiamo che i detenuti vengano torturati o siano costretti a sopportare angherie. Uno Stato di diritto non può scendere al livello dei criminali. Le carceri italiane, e quelle siciliane nello specifico, sono in questo momento fuori dalla Costituzione".
Padre Cosimo; chi vuole il perdono prima deve pentirsi, di Gianni Parlatore
Intervista a Padre Cosimo Scordato animatore del Centro sociale San Francesco Saverio nato nel difficile quartiere palermitano dell’Albergheria nel 1985 e protagonista, insieme a don Pino Puglisi, don Paolo Turturro e don Baldassarre Meli, della stagione dei "parroci di frontiera", che all’indomani delle stragi, decisero di prendere in mano la situazione e parlare direttamente alla gente.
È di qualche giorno fa la notizia secondo la quale Totò Riina, all’ergastolo nel carcere milanese di Opera, avrebbe chiesto un provvedimento di clemenza per intercessione dell’arcivescovo di Milano Tettemanzi. Lei da uomo di Chiesa, come si pone rispetto a questo fatto? "Nella concezione cristiana, l’ottenimento della grazia passa per la conversione. Occorre innanzitutto riconoscere i propri errori per collaborare e per evitare anche che siano altri a commettere gli stessi errori. La grazia come sacramento non è un qualcosa che si ottiene a buon mercato, quasi in modo automatico. Serve un cambiamento radicale di mentalità".
Le condizioni al limite dell’umanità nelle quali vivono molti detenuti negli istituti non aiutano il percorso di conversione. Qual è la sua esperienza a tal proposito? "Ricordo che una volta, tanti anni fa, andai a trovare un detenuto nel carcere dell’Ucciardone. In effetti le condizioni erano assai problematiche, la situazione complessiva piuttosto squallida. Ricevo molte lettere di persone che mi conoscono, di fedeli in carcere. Spesso trapela scoramento. Provo a incoraggiarli, li esorto ad andare avanti nonostante le difficoltà. È necessario tenere distinto il momento spirituale dalla dimensione giudiziaria. Altrimenti si corre il rischio che il concetto di pentimento scivoli verso quello di pentitismo, che è diventato ambiguo negli ultimi tempi".
Come si coniugano, nell’ottica cattolica, la sete di giustizia e il perdono per chi sbaglia? "Si coniugano in un percorso di fede, sincero, lungo e autentico. La concessione di un atto di clemenza non è un patto magico, occorre creare le condizioni necessarie. Non esiste la grazia a prescindere, prima viene la conversione e questo vale per tutti i detenuti. Inoltre, anche la pena è una tappa necessaria di questo percorso di fede. Il perdono e la grazia vanno meritati. Chi si pente e si converte, già riceve nel suo intimo la grazia di Dio". Firenze: suicida detenuto di 34 anni, era in carcere da 2 giorni
Redattore Sociale, 25 aprile 2010
Un detenuto italiano si è tolto la vita impiccandosi all’interno del carcere di "Sollicciano" a Firenze. Il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria parla di una "struttura sovraffollata all’inverosimile" con oltre 960 detenuti. Un detenuto italiano si è tolto la vita impiccandosi all’interno del carcere di "Sollicciano" a Firenze. È il 21mo dall’inizio dell’anno. La notizia è stata diffusa Sindacato autonomo di polizia penitenziaria) che parla di una "struttura sovraffollata all’inverosimile" con oltre 960 detenuti presenti rispetto a una capienza di soli 500 posti. Nell’istituto "mancano in organico oltre 220 agenti di Polizia penitenziaria e le unità attualmente in servizio fanno davvero grandi sacrifici quotidiani per garantire sicurezza e umanità in carcere. - sottolinea il Sappe -. È tempo di intervenire con urgenza per deflazione il sistema, che altrimenti rischia ogni giorno di più di implodere". Secondo il sindacato "Il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è spesso lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Non si può e non si deve chiedere al Personale del Corpo di "accollarsi" la responsabilità di tracciare profili psicologici che possano eventualmente permettere di intuire l’eventuale rischio di autolesionismo da parte dei detenuti". L’organismo torna a sollecitare "l’urgente attuazione delle previsioni contenute nel Piano carceri del Governo, potenziando maggiormente il ricorso all’area penale esterna e limitando la restrizione in carcere solo nei casi indispensabili e necessari. Una cosa è certa: se non fosse per la professionalità, l’attenzione, il senso del dovere dei poliziotti penitenziari le morti per suicidio in carcere sarebbero molte di più di quelle attuali."
Suicida in carcere mandante raid punitivo al bowling di Pozzuoli (Ansa)
Il detenuto che si è suicidato oggi nel carcere di Sollicciano a Firenze è Giuseppe Palumbo, 34 anni, uno dei quattro fermati due giorni fa per il raid punitivo in una sala giochi di Giugliano e in un bowling di Pozzuoli. Lo riferisce Donato Capece, segretario generale del Sappe, Sindacato autonomo polizia penitenziaria. A volto coperto e armati di pistola, di fucile e di due mitragliette, lo scorso 14 marzo, un commando fece irruzione prima in una sala giochi di Giugliano, poi dopo pochi minuti, in un centro bowling di Pozzuoli, nel napoletano. Sparando all’impazzata tra la gente, distruggendo i locali e la maggior parte delle auto in sosta nei parcheggi. Dell’irruzione è stato anche diffuso un video shock. Sei le persone identificate, tra cui un minorenne, come i componenti della banda armata, quattro dei quali fermati due giorni fa, in operazione congiunta Gdf e carabinieri tra Napoli e Firenze, tra cui Giusuppe Palumbo. All’origine delle due incursioni armate ci sarebbero stati dissidi personali e di carattere economico proprio tra Palumbo, la moglie e uno zio della consorte. Oggi Palumbo si è suicidato intorno alle 14.30 nella sua cella di Sollicciano, impiccandosi con un lenzuolo, spiega Capece. L’uomo ci aveva già provato stamattina - racconta il segretario del Sappe - ma gli agenti lo avevano fermato. Poi quando il suo compagno di celle è uscito per l’ora d’aria, Palumbo è rimasto da solo, e questa volta è riuscito nell’intento. "Il nostro agente di turno ci aveva parlato e gli era sembrato tranquillo, ha proseguito il giro di controllo e quando ha finito ed è ritornato indietro alla cella del detenuto, l’ha trovato impiccato". Stamattina c’era stata l’udienza che aveva convalidato il suo arresto. "Con Palumbo - sottolinea il Sappe - salgono a 21 i detenuti suicidi in cella dall’inizio dell’anno. "Mancano gli organici, con un agente ogni cento detenuti, non è possibile controllarli. Una volta finto il giro di controllo è già passato troppo tempo dalla prima cella", sottolinea Capece, che denuncia anche la mancanza di un supporto psicologico specializzato nelle carceri. E per evitare molte morti in cella, il segretario generale del Sappe lancia anche un’idea in extremis: "Usare le lenzuola di carta in carcere, come quelle che si usano sui treni. Potrebbe essere un deterrente".
Disposta autopsia, gesto inaspettato (Ansa)
La procura di Firenze ha aperto un fascicolo sulla morte di Giuseppe Palumbo, 34 anni, che ieri si è impiccato nel carcere fiorentino di Sollicciano. Palumbo era uno dei quattro fermati per il raid punitivo in una sala giochi di Giugliano (Napoli) e in una sala bowling a Pozzuoli il 14 marzo scorso. Il pm ha disposto l’autopsia. Il difensore di Palumbo, l’avvocato Alfredo Guarino, ha spiegato di non sapere niente dei telegrammi che Palumbo ha ricevuto e spedito prima del suicidio: "Notizie di stampa dicono che, se ci sono stati, sono stati sequestrati e io non ho accesso agli atti dell’inchiesta - ha spiegato -. Posso solo dire che né io né, credo, i suoi familiari gli avevamo inviato telegrammi. E nemmeno ne abbiamo ricevuti". Palumbo "aveva alle spalle una situazione difficile e aveva una personalità fragile - ha aggiunto l’avvocato. So che in carcere era seguito da uno psichiatra. Il collega che mi ha sostituito durante l’udienza di convalida, però, mi ha detto di averlo trovato abbattuto, ma che, nel suo comportamento, niente faceva presagire quel che poi è successo". Riguardo il fascicolo aperto dalla procura di Firenze: "È un atto dovuto - ha detto Guarino. Per adesso i familiari non hanno sporto denuncia. Si sono limitati a nominare dei propri consulenti per l’autopsia". Firenze: Commissione errori sanitari apre indagine sul suicidio
Asca, 25 aprile 2010
La Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e i disavanzi sanitari regionali, presieduta dall’on. Leoluca Orlando, aprirà un’indagine sulla morte del detenuto suicidatosi nel carcere di Sollicciano a Firenze. "È il ventunesimo suicidio in cella dall’inizio dell’anno, l’ennesima testimonianza che è necessario agire con urgenza per migliorare la situazione delle carceri italiane", ha commentato Orlando. "La Commissione che presiedo", prosegue, "ha già avviato uno specifico filone di inchiesta sulla tutela del diritto alla salute fisica e psichica dei carcerati e, la prossima settimana, incontrerà il vicedirettore del Dipartimento di amministrazione penitenziaria Santi Consolo, anche per fare il punto sulla situazione dei suicidi in carcere". Nell’ambito dello stesso filone d’inchiesta, la Commissione Errori Sanitari ha dato il via, con la visita della scorsa settimana nella struttura penitenziaria di Sulmona, ad una serie di sopralluoghi nelle diverse carceri italiane al fine di monitorare il grado di tutela del diritto alla salute dei detenuti. Firenze: Angiolo Marroni; il Governo ponga fine a questa strage
Asca, 25 aprile 2010
Era uno dei protagonisti del video-choc della sala giochi di Giugliano dello scorso 14 marzo il detenuto 34enne che nel pomeriggio di oggi si è tolto la vita, impiccandosi nel carcere fiorentino di Sollicciano. Si tratta del 21mo suicidio nelle carceri di tutta Italia dall’inizio dell’anno. A quanto appreso Giuseppe Palumbo, questo il suo nome, era stato arrestato due giorni fa a Firenze e, proprio questa mattina, aveva avuto l’udienza che ne ha convalidato l’arresto. "Da gennaio ad oggi, una media di cinque detenuti al mese si sono tolti la vita nelle carceri - ha detto Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio e vice coordinatore della Conferenza Nazionale dei Garanti dei detenuti - se continua questo trend a fine anno avremo nelle carceri il più alto numero di decessi nella storia della Repubblica. Ormai da mesi tutte le componenti che vivono il pianeta carcere, dai detenuti agli agenti di polizia penitenziaria, stanno manifestando in varie forme per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla grave crisi che si sta respirando negli istituti di pena". Secondo Marroni, "il sovraffollamento, la carenza di risorse finanziarie e, soprattutto umane, e la vetustità della maggior parte delle carceri stanno causando un corto circuito che, fatalmente, finisce con il travolgere le personalità più deboli che vedono nel suicidio la via più breve per risolvere i problemi. Ora è giunto il momento di dire basta. Chiediamo al governo di assumersi le proprie responsabilità e di porre fine a questa orrenda strage". Firenze: Franco Corleone; a Sollicciano personale è inadeguato
Redattore Sociale, 25 aprile 2010
"A Sollicciano mancano gli educatori e il personale non ha le attenzioni necessarie per favorire l’accoglienza dei detenuti". Anche per questo motivo, secondo il garante dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, si è verificato il suicidio del recluso italiano all’interno dell’istituto penitenziario fiorentino. "Gran parte dei suicidi all’interno delle carceri - ha spiegato Corleone - avvengono proprio nei primi giorni di detenzione. Ecco perché sarebbe opportuno, oltre alla risoluzione del sovraffollamento, agevolare l’ingresso dei detenuti con un personale più adeguato". "Proprio ieri mattina - ha concluso il garante dei detenuti di Firenze - mi sono recato in visita a Sollicciano per tentare di trovare soluzioni alle difficoltà quotidiane. L’intervento che richiedo urgentemente è la detenzione alternativa per i tossicodipendenti". Roma: 15 detenuti ottengono diploma operatore socio-sanitario
Asca, 25 aprile 2010
Grande successo per il primo corso a valenza sanitaria organizzato dagli Istituti Regina Elena e San Gallicano in collaborazione con l’Enaip Lazio per gli ospiti della Casa di reclusione di Rebibbia. I detenuti hanno ottenuto la qualifica di Operatore Socio Sanitario (OSS) dopo un corso di 1.000 ore di formazione, organizzato con frequenza giornaliera per oltre sei mesi. Altro aspetto di interesse l’assiduità di frequenza dei corsisti: il 100% dei 15 iscritti, italiani e stranieri, ha concluso il percorso formativo e sostenuto l’esame finale, contro l’alta percentuale di abbandono che si registra nei corsi di formazione. L’attestato di qualifica è spendibile sia all’interno che all’esterno dei Penitenziari e in tutta la Comunità europea. "Ringrazio l’Enaip e gli istituti Regina Elena e San Gallicano per questa concreta e preziosa opportunità offerta ai detenuti dell’Istituto Penitenziario di Rebibbia" ha dichiara il Dott. Stefano Ricca, Direttore di Rebibbia dando inizio alla cerimonia di consegna degli attestati. "I nostri Istituti - sottolinea il Prof. Francesco Bevere, Direttore Generale degli Istituti Regina Elena e San Gallicano - offrono una ulteriore testimonianza di generosità e impegno verso le persone in difficoltà. Il corso ha tenuto occupati gli allievi in modo utile, con risvolti positivi sul versante psicologico e sociale ed ha permesso di acquisire una qualifica specialistica molto richiesta e in continua evoluzione. Desideriamo mettere a disposizione di realtà come le carceri, tutta l’esperienza dei nostri Istituti anche nel campo della formazione oltre alle specifiche competenze in campo oncologico e dermatologico. Sono certo che a questa iniziativa se ne affiancheranno presto altre". "Questo corso è stato il primo del genere effettuato nelle carceri d’Italia - ha affermato Vitaliana Cecchetti, Direttore Generale Enaip Lazio - È stato anche molto impegnativo rispetto ad altri progetti, poiché ha richiesto mille ore di lezioni in aula, esercitazioni e tirocinio, impegnando gli allievi tutti i pomeriggi per circa 6 mesi. L’interesse è stato determinato da molteplici aspetti tra cui la concreta possibilità di utilizzo del titolo professionale per un impiego sia per i detenuti che devono scontare pene lunghe o ergastoli, che per i detenuti che riacquisteranno a breve la libertà." La qualifica di OSS consente a chi deve scontare pene lunghe o ergastoli di diventare operatori di assistenza (in gergo "piantoni"): adeguatamente retribuzione, si occuperanno dei detenuti più anziani o in stato di bisogno, alimentandoli, assistendoli nell’igiene personale, accompagnandoli fuori, ecc. Per gli altri, tramite cooperative sociali, si avrà la concreta possibilità di inserimento nel mondo del lavoro e raggiungere così il vero obiettivo della detenzione: la riabilitazione ed il reinserimento sociale della persona reclusa. "Per noi - spiega con soddisfazione la Dott.ssa Maria Grazia Loira, Direttore del Corso e appartenente al Servizio Dipartimentale delle Professioni Sanitarie Riabilitative e Tecniche IRE e ISG - è stato un atto di sfida e coraggio nel muovere i primi passi in una comunità che oltre l’aspetto giuridico ha regole, atteggiamenti, dinamiche relazionali che i docenti hanno saputo capire, rispettare e utilizzare per il pieno successo dell’iniziativa. È stata un esperienza molto importante sotto il profilo umano per tutti, docenti e discenti." Riguardo il programma del corso sono stati trattati argomenti che vanno dalla legislazione sanitaria nazionale e regionale, sicurezza e diritto del lavoro, organizzazione dei servizi sociali e sanitari, sino ad arrivare al modulo con materie quali anatomia, dietetica, psichiatria, pediatria, geriatria e, soprattutto con il dettaglio dei possibili interventi sociali e sanitari in ogni singolo settore. Per la formazione inerente gli interventi sanitari, si sono svolte 100 ore di esercitazioni e simulazioni organizzate in una stanza appositamente arredata con manichino, manichino specifico per pronto soccorso, letto ospedaliero, ecc. Milano: Casellati; a Opera e S. Vittore esempi modelli recupero
Apcom, 25 aprile 2010
"I problemi del sistema carcerario sono molti, ma da Opera e da San Vittore ci giungono indicazioni su modelli di recupero utili anche per altre realtà carcerarie". Questo il giudizio del sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati, al termine di una visita negli istituti penitenziari di Opera e di San Vittore. Al centro della visita le iniziative dirette al recupero dei detenuti. Ad Opera, una delle più grande case di reclusione d’Europa, il sottosegretario fa notare in una nota che le attività che mirano con successo al reinserimento sociale dei detenuti sono molte: dalla costruzione di violini alla produzione metalmeccanica, alla digitalizzazione di fascicoli all’allestimento di spettacoli teatrali. A San Vittore, i detenuti lavorano alla realizzazione di articoli di sartoria in collaborazione con altri istituti. "Ho molto apprezzato - conclude Alberti Casellati - lo spirito di collaborazione tra l’amministrazione penitenziaria e le cooperative, le associazioni, i volontari che quotidianamente si impegnano al fianco dei detenuti". Forlì-Cesena: lotta esclusione sociale passa attraverso il lavoro di Michela Mosconi
Corriere Cesenate, 25 aprile 2010
La lotta all’esclusione sociale passa anche per l’avviamento professionale dei detenuti. A Cesena ci sono esempi positivi, ma restano problemi. L’inserimento lavorativo dei carcerati? Se si vuole, si può fare. Esistono alcune realtà nel Cesenate che si sono prese a cuore il rapporto tra la società civile e la drammatica realtà del carcere nel quale sono rinchiusi, oltre ai detenuti, i sogni, le speranze, e il disperato bisogno di amore degli stessi. Nel mondo dell’imprenditoria locale ci sono realtà che si stanno muovendo bene in questo senso, dimostrando di essere guidati, nel loro operare, non solo dalla logica del profitto, ma anche da quella etica e morale. La struttura cooperativa cesenate Orogel Fresco, per esempio, ha in forza presso la propria struttura un operaio ex detenuto con alle spalle problemi di droga, assunta con contratto a tempo determinato. Giuseppe Maldini, presidente della cooperativa, non manca, però, di precisare le difficoltà che si incontrano in questo senso. "L’esperienza di un detenuto o ex detenuto che vuole iniziare un percorso professionale deve inserirsi dentro un preciso cammino di reinserimento. Il carcere non può né deve rappresentare una corsia preferenziale per chi è in cerca di lavoro". "Neanche - precisa - finito il periodo di prova (in genere 5 o 6 mesi, ndr) si può pensare che finisca anche l’esperienza lavorativa. Un semplice inserimento non è sufficiente. L’aspettativa è trattenere la persona in azienda, e in questo senso tutti dobbiamo compiere molti passi in avanti". Un pensiero condiviso anche da Gigi Mondardini, imprenditore, tra i titolari della Mareco Luce con sede a Capocolle di Bertinoro. L’impresa, 55 dipendenti, da lavoro a 5 carcerati: 4 attraverso laboratori predisposti direttamente all’interno del carcere di Forlì (attivi da sette anni), mentre uno di loro è in forza all’azienda. "Lo si deve voler fare", attacca così l’imprenditore cesenate raccontando la propria esperienza a contatto coi detenuti. Uno degli ostacoli maggiori sono le battaglie contro una burocrazia a tratti insormontabile e nella quasi totale assenza delle istituzioni. Ci sono casi limite, per esempio, come quello di chi, straniero educato, per anni, ad una professione, a detenzione conclusa si ritrova clandestino e quindi non avente diritto ad un impiego in regola. "In questo modo, se lo assumo infrango la legge, e l’aspirante lavoratore è costretto a tornare nel suo paese d’origine, inciampando, ancora una volta, in una vita di stenti e a rischio nuovi reati. Il nostro obiettivo è invece quello dell’assunzione, sulla base della formazione impartita al lavoratore formato nel tempo". L’appoggio politico alle iniziative delle aziende disposte ad assumere, poi, è pressoché nullo. "I nostri interlocutori collaborano poco - ammonisce Mondardini. Io non pretendo dei sì a tutte le mie richieste. Mi aspetterei invece che mi si dessero delle risposte precise, fatte di sì o di no". Le istituzioni riunite nella Commissione paritetica (incaricata di occuparsi anche del reinserimento lavorativo dei detenuti), è stata più volte disertata dai rappresentanti di Provincia, comuni di Cesena e Forlì e dagli altri rappresentanti deputati all’elargizione di contributi, dopo tante parole spese e senza nessun risultato.
Luigi Dall’Ara (San Vincenzo): accogliete i carcerati nelle vostre aziende
Luigi Dall’Ara, presidente della San Vincenzo de Paoli, lancia un appello a imprenditori e dirigenti per il reinserimento di chi ha avuto problemi con la giustizia: "Vedrete, i risultati non mancheranno". La vicinanza, con visite a domicilio, rappresenta una delle mission della San Vincenzo de Paoli, che ne esprime carisma e modus operandi. Dal 2003 la "San Vincenzo" ha incominciato ad interessarsi al problema dei detenuti, andandoli direttamente ad incontrare in carcere. Dagli incontri col cappellano del carcere di Forlì, con gli assistenti sociali, con la stessa direttrice, è maturata la decisione della segnalazione delle famiglie dei carcerati di Cesena, che desiderano ricevere visite e che si trovano in stato di bisogno. Riportiamo qui di seguito la lettera del presidente Luigi Dall’Ara, indirizzata agli imprenditori del territorio cesenate attraverso la quale li sollecita a una maggiore sensibilizzazione sul tema del reinserimento lavorativo dei detenuti. "Chi firma questo messaggio è un gruppo di persone che, inserite nella storia feconda di bene, suscitata anche qui in Romagna, dall’esperienza evangelica della società di San Vincenzo de Paoli (fondata in Francia nel 1833 dal Beato Federico Ozanam e presente ininterrottamente a Cesena dal 1887 e sempre vissuta con uno spirito di autentica laicità) desidera dare volto e voce al dialogo che deve intercorrere fra la società civile, dove operiamo, e la drammatica realtà del carcere. Concretamente il carcere che ha sede nella città di Forlì. Da qualche anno, grazie alla disponibilità e all’incoraggiamento della direttrice, del cappellano e di molti operatori, abbiamo cercato di renderci conto di cosa significhi, per l’esistenza di tante persone, il vivere la pesante esperienza della pena: isolati dal mondo, spesso lontani dalle loro famiglie. In obbedienza al comandamento del Signore che ci chiederà, nell’ultimo giorno (come ogni sera!) cosa hai fatto per il tuo fratello che ha bisogno del tuo aiuto? "ero in carcere e mi avete visitato". Ci sentiamo coinvolti a portare a quanti incontriamo, oltrepassati i cancelli dell’antica rocca di Ravaldino il dono dell’amicizia, dell’interessamento per i loro grandi o meno grandi, mai andando a mani vuote (chi è in carcere ha bisogno di tutto!): un richiamo forte del Vangelo, un impegno che ci viene dalla carta costituzionale che vede nel carcere non soltanto il luogo dove scontare la pena inflitta dal tribunale, ma ancor più la possibilità concreta di ricostruire una vita devastata da esperienza dolorose e malvagità. Non intendiamo assolutamente affrontare i temi dibattuti della sicurezza, della certezza della pena, del come può o deve essere amministrata la giustizia e neanche, di per sé, della riforma della istituzione carceraria. Quanti hanno questa responsabilità sono in grave ritardo! Soltanto (e non è poca cosa) desideriamo coinvolgere altri amici soprattutto per quanto riguarda il "dopo carcere"! se è necessario che il carcere si organizza in modo tale da offrire possibilità lavorative e di studio ancor più necessaria è l’assistenza a coloro che dimessi dal carcere, dopo aver scontato la pena rischiano di ricadere nella malavita se non sono accolti dalla famiglia, da una comunità che li può ospitare, soprattutto se non è data la possibilità di un lavoro che consenta di valorizzare la libertà recuperata, di intrecciare relazioni che riempiono la solitudine e ridono il gusto di vivere la vita buona. Concretamente: è urgente che imprenditori e dirigenti delle aziende che operano nel nostro territorio, si rendano disponibili a questi inserimenti. È un rischio, siamo in tempi nei quali la disoccupazione, è una scommessa! Ei risultati non deluderanno. Fermo restando che noi della San Vincenzo, in collaborazione con i servizi sociali, rimarremo al fianco di questi amici che saranno accolti con fiducia e generosità nelle vostre aziende. Già alcuni imprenditori lo stanno verificando con soddisfazione". Chi fosse disponibile a collaborare a questa iniziativa può contattare il numero telefonico o mail del consiglio centrale: 0547.300741 e cesena@sanvincenzoitalia.it, o chiamare al cellulare: 338.2949685. Forlì: detenuti costretti dormire a terra, interrogazione del Pdl
Sesto Potere, 25 aprile 2010
Il carcere di Forlì scoppia. La casa circondariale della Rocca, infatti, a fronte dei 135 regolamentari e dei 165 tollerabili, attualmente ospita 273 detenuti. E di questi gli stranieri sono quasi il 50%. Recentemente i sindacati di polizia Sappe, Osapp, Cisl Fns, Uil Pa e Uspp hanno denunciato situazioni insostenibili: i carcerati stanno pigiati come sardine nelle celle e a causa della carenza di brande e mancanza di posti letto si sono trovati costretti a dormire per terra su improvvisati materassi. E questo è nulla in confronto ai tentativi di suicidio. "Giustamente i sindacati di polizia hanno anche segnalato che mentre il rapporto tra detenuti e poliziotti dovrebbe essere di uno a uno, nel carcere di Forlì è arrivato a tre a uno. Così non si può andare avanti. Il sovraffollamento, che secondo la Corte Europea dei diritti dell’uomo equivale a trattamento disumano, incide negativamente non solo sulle condizioni di vita dei detenuti, ma anche sulla funzione rieducativa che la pena deve avere": commenta il consigliere comunale del Pdl e avvocato Fabrizio Ragni che sull’argomento ha presentato un’interrogazione a tema. È in fase di costruzione il nuovo carcere di Forlì nella zona del "Quattro" ma, tuttavia, non sarà ultimato a breve, sarà disponibile infatti non prima di 4-5 anni. Al riguardo, Fabrizio Ragni ha chiesto al sindaco se sia stata progettata un’adeguata viabilità di servizio e quale sia la previsione di collegamento con i mezzi pubblici (bus e treno) per favorire l’accesso al nuovo Carcere di Forlì e se sia stata ipotizzata una linea riservata per congiungere la nuova struttura (collocata in periferia) al Palazzo di Giustizia (in pieno centro storico) e rendere più celere la traduzione dei carcerati. Ragni vuole anche accertare l’eventuale attuazione dei progetti del Comune per favorire l’accesso ai detenuti a lavori socialmente utili da svolgersi anche all’esterno del carcere sulla base di quanto previsto dall’Ordinamento Penitenziario e, in caso contrario, quali siano le ragioni della mancata previsione. Per accertare di persona quale sia la reale situazione della casa circondariale della Rocca di Forlì l’avvocato Fabrizio Ragni, consigliere comunale del Pdl di Forlì, ha presentato richiesta alla direzione del carcere di essere autorizzato ad effettuare una visita per ottenere il rilascio di tutti i dati relativi alla popolazione carceraria, alle condizioni igienico - sanitarie e statiche della struttura ed ai disagi eventuali sopportati dai detenuti e del personale in servizio. "Personale di sicurezza e della sezione femminile a ranghi ridotti e questo significa che i turni, che devono essere di sei ore, diventano di otto, con picchi di nove e dieci ore consecutive di lavoro e riposi che saltavano. È necessario ridurre la criticità che si è determinata, anche al fine di salvaguardare i livelli di sicurezza e di dignità delle persone che vivono e lavorano nel carcere": conclude Ragni. Napoli: rapina farmacia, arresto ispettore Polizia penitenziaria
Apcom, 25 aprile 2010
Un ispettore della Polizia penitenziaria, Ciro Arpino, 52enne originario di Vico Equense è stato arrestato per il reato di rapina aggravata dai poliziotti del commissariato di Sorretto. L’uomo, libero dal servizio, è stato arrestato ieri dopo che aveva rapinato una farmacia. L`uomo nelle tasche del giubbino aveva il berretto nero di lana e gli occhiali da sole utilizzati per camuffarsi, 120 appena rapinati, nella tasca dei pantaloni il suo tesserino di riconoscimento quale ispettore della Polizia Penitenziaria e nella cintola dei pantaloni la pistola d’ordinanza Beretta 92fs con caricatore e cartucce. I poliziotti hanno accertato che poco prima il rapinatore aveva fatto irruzione all`interno della Farmacia di Meta di Sorrento in Via Angelo Cosenza, minacciando il titolare ed i dipendenti con la pistola si era fatto consegnare il denaro in cassa. Le vittime hanno riconosciuto il rapinatore che è stato successivamente condotto al carcere di Santa Maria Capua Vetere. Televisione: La7 "Reality"; un giorno con la Polizia penitenziaria
Italpress, 25 aprile 2010
Il loro numero è inferiore rispetto a quello dei detenuti, sono costretti a coprire i buchi di organico e sottoposti a livelli di stress difficilmente riscontrabili in altre professioni. "Reality" - il programma di approfondimento del Tg La7 a cura di Paola Palombaro, in onda stasera alle 23.40 su La7 - ha seguito per una giornata gli agenti della polizia penitenziaria. Il 30% viene messo a riposo o va in pensione anticipatamente a causa di una sindrome ansioso-depressiva. La maggior parte proviene dal Sud e spesso sceglie di vivere in caserma per non gravare sul bilancio familiare. Sono spesso vittime di aggressioni da parte degli stessi detenuti (700 negli ultimi 18 mesi gli episodi denunciati). Nel reportage di Flavia Fratello, le loro difficili condizioni lavorative e le proteste che stanno organizzando in questi giorni nelle carceri. Mostre: "Botero. Abu Ghraib", le violenze nelle carceri dell’Irak
Ansa, 25 aprile 2010
Trentasette opere che evidenziano come la malvagità dell’uomo possa raggiungere apici a dir poco biasimevoli. È l’articolazione della mostra "Botero. Abu Ghraib", promossa dall’amministrazione comunale di Seregno e dal locale Comitato antifascista, con la collaborazione di Lucinda Barnes del Berkeley Art Museum California e di Silvia Buzzelli dell’Università degli studi di Milano - Bicocca, inaugurata ieri, 24 aprile, alle 17, nella galleria Mariani di via Cavour 26 a Seregno. L’iniziativa rientra nella programmazione celebrativa della ricorrenza del 25 aprile. I quadri in esposizione, riproduzioni autorizzate degli originali patrimonio appunto del Berkeley Art Museum California, sono dedicati alla squallida realtà del penitenziario di Abu Ghraib, la prigione centrale di Baghdad, capitale dell’Iraq, diventata tristemente sinonimo di tortura negli anni del regime di Saddam Hussein, che lì faceva seviziare i suoi avversari politici, ma soprattutto dopo lo scandalo che sei anni fa fu alimentato dalle pagine del "New Yorker", che denunciò le torture inflitte da soldati statunitensi e britannici ai prigionieri irakeni, addirittura incappucciati, legati ai fili elettrici o tenuti al guinzaglio. L’impegno di Fernando Botero è partito proprio da qui. "Questa vicenda mostruosa andava denunciata - ha spiegato l’artista colombiano. Nessuno si sarebbe ricordato degli orrori di Guernica senza il capolavoro di Pablo Picasso". Le opere non hanno titolo, ma sono accompagnate semplicemente dal nome del carcere e da un numero. Sarà possibile visitarle fino al prossimo 9 maggio, con i seguenti orari: tutti i giorni dalle 16.30 alle 19, la domenica anche dalle 10 alle 12.30. Usa: pena di morte; nell’Utah ritorna il "plotone di esecuzione"
Ansa, 25 aprile 2010
Il prossimo 18 giugno il 49enne Ronnie Lee Gardner verrà giustiziato, nello Utah, da un plotone di cinque tiratori scelti. Il ritorno al passato, ai tempi del selvaggio west, è stato deciso da un giudice federale che ha accolto la richiesta del condannato contrario a sottoporsi all’iniezione letale. Gardner ha ucciso, nel 1985, l’avvocato Micheal J. Burdell durante l’evasione dal Palazzo di Giustizia di Salt Lake City e lo Utah è l’unico stato americano, dei 35 nei quali è in uso la pena di morte, che prevede l’esecuzione attraverso la fucilazione. Dal 1976, anno in cui la pena capitale è stata reintrodotta dalla Corte Suprema, risultano solo due i casi di condannati fucilati ed entrambi sono avvenuti nello Utah. Gary Gilmore, nel 1977, prima di cadere a terra pronunciò la frase "Let’s do it", mentre per Albert Taylor, nel 1996, numerosi cecchini si offrirono come volontari. La richiesta di Gardner non rappresenta comunque un caso isolato. Altri dieci detenuti nei carceri dello Utah hanno chiesto di poter essere giustiziati attraverso la fucilazione e Amnesty International, l’organizzazione internazionale per i diritti umani, ha fatto subito sentire la sua voce. Lydia Kalish, portavoce del gruppo, ha puntato il dito contro quella maggioranza dell’opinione pubblica dello stato mormone favorevole alla pena di morte. La Kalish ha promesso che Amnesty farà di tutto per fermare la "mattanza". La pena capitale è una realtà che pone gli Stati Uniti in una posizione lontana dalla tendenza abolizionista internazionale, facendo parte dei 76 paesi al mondo in cui ancora viene prevista come "punizione estrema".Non in tutti gli stati della federazione è in vigore come in North Dakota, New Jersey, Minnesota, Michigan e lo Stato di New York per citarne alcuni. In generale, i metodi più utilizzati nel giustiziare i condannati rimangono l’iniezione letale, la sedia elettrica, la camera a gas, l’impiccagione e come nel caso dello Utah, la fucilazione. Nonostante l’immagine di progresso e libertà, gli Stati Uniti rimangono stabilmente, ogni anno, ai primi posti per numero di esecuzioni capitali. Spagna: sesso tra agenti e detenute, 3 arresti e direttore sospeso
Ansa, 25 aprile 2010
"Alcalà Meco" è un noto carcere femminile che si trova nei pressi di Madrid e ospita abitualmente circa 600 donne. Adesso, dopo la scoperta di uno scandalo interno, probabilmente diverrà ancora più celebre. Secondo quanto riporta il giornale iberico "20 Minutos", all’interno della prigione vi era un inaccettabile scambio di favori tra i guardiani e le recluse. Infatti, in cambio di prestazioni sessuali, le donne ottenevano la possibilità di comunicare con l’estero attraverso l’utilizzo di telefoni cellulari oppure potevano avere droga e altre sostanze vietate all’interno della struttura. Un canale privilegiato per poter soddisfare i propri desideri. Un’inchiesta amministrativa è attualmente in corso per individuare nuovi ed eventuali retroscena circa gli accordi all’interno del penitenziario. E stando a quanto scrive il sito web del quotidiano "El Mundo", la direzione del carcere è stata licenziata oggi dal Ministero degli Interni spagnolo. Le persone arrestate sono tre: il direttore, il suo vice e l’amministratore dell’istituto. Secondo Ramon Garcia, presidente del sindacato degli agenti dell’amministrazione penitenziaria Csi-Csif, un avvenimento del genere non sarebbe mai accaduto fino a tre anni fa. Infatti, nel 2007 una legge sull’uguaglianza dei sessi nelle prigioni ha unificato il personale di custodia, consentendo a tutti di prestare servizio in qualsiasi carcere indipendentemente dal sesso dei detenuti. Quindi, mentre prima gli agenti uomini potevano lavorare solo in carceri maschili e le custodi donne solo in quelli femminili, adesso è ammessa la promiscuità con secondini maschi che possono occuparsi di prigioni femminili, e viceversa, con i rischi che ne conseguono. Lo stesso presidente inoltre ha sottolineato l’esistenza del principio della "presunzione di innocenza", perciò i probabili imputati non possono essere giudicati colpevoli solo per l’arresto, ma è richiesta la legittimazione attraverso prove concrete. Tuttavia aggiunge che, qualora essi abbiano commesso reati, ne dovranno rispondere davanti alla giustizia. Un vero e proprio scandalo, che probabilmente aprirà gli occhi su altri avvenimenti del genere nelle carceri madrilene, e non solo.
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