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Giustizia: il carcere che uccide misura del fallimento dello Stato
Comunicato stampa, 20 aprile 2010
Cinquantacinque morti dall’inizio di quest’anno, venti per suicidio, mille e seicentosedici persone detenute decedute nel carcere negli ultimi dieci anni. In questo stesso arco temporale, più di settanta sono stati gli agenti di polizia penitenziaria che si sono tolti la vita, molti altri congedati per patologie invalidanti riconosciute da cause di servizio o in funzione di queste costretti a passare a ruoli amministrativi. In carcere si muore ogni giorno, e il governo e la sua maggioranza parlamentare fanno finta di non accorgersene. Alle oltre 67.000 persone attualmente detenute - in costante aumento, su 43.000 posti effettivi - nei 207 istituti penitenziari del paese, e al mondo del lavoro in carcere, sempre più ridotto nel numero che compone le diverse professionalità, della sicurezza come di quelle socio educative ed assistenziali, costretto a lavorare in condizioni intollerabili, il Governo Berlusconi tenta invano di rispondere opponendo solo e sempre il famoso e fumoso piano carceri, di cui si parla invano da circa 14 mesi, ma che ad oggi nessuno ha ancora avuto modo di apprezzare concretamente. Nessuna capacità e disponibilità a valutare percorsi riformatori e opzioni strutturali, ben più incisivi e necessari del piano di edilizia penitenziaria nel lungo periodo, ritenuti essenziali per stabilizzare il sistema e garantire l’affermazione piena dei diritti universali e di cittadinanza, ma anche per offrire una migliore qualità del lavoro agli operatori coinvolti. Una propaganda che reagisce e tenta di spostare l’attenzione dalle criticità del carcere e dai problemi reali denunciati dai lavoratori negando di fatto l’evidenza, il diritto alla vita delle persone e le proposte del sindacato per assecondare logiche e politiche securitarie che oltre a condizionare pesantemente il mandato istituzionale affidato al sistema penitenziario, ormai privato della sua mission rieducativa, al contrario di quanto assunto non aumenta in alcun modo la sicurezza della cittadinanza. C’è bisogno di rinnovare, ripensare l’istituzione penitenziaria, dotarla delle risorse necessarie, occorre implementare l’azione sindacale per affrontare un’emergenza che non è solo del carcere ma sociale, per ricondurre a legalità il sistema, riportare le condizioni di vita e di lavoro nel carcere ad una condizione quanto più possibile soddisfacente. È una battaglia di civiltà e di giustizia che da qui in avanti può e deve essere condotta dalla Cgil confederale e di categoria con grande impegno e altrettanta fermezza.
Francesco Quinti e Daniele Scalzo Fp-Cgil Polizia Penitenziaria Giustizia: Consiglio Europa; troppa violenza nelle carceri italiane
Apcom, 20 aprile 2010
Troppa violenza nelle carceri italiane, dove il sovraffollamento e le continue risse pesano sull’altissimo numero di detenuti suicidi. Lo rileva il comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti (Cpt), che ha pubblicato oggi il rapporto relativo alla sua quinta visita periodica in Italia, effettuata dal 14 al 26 settembre 2008, corredato dalla relativa risposta del Governo italiano. Per quanto concerne il trattamento dei detenuti da parte delle forze dell’ordine, il rapporto riferisce che la delegazione del Cpt ha ricevuto un certo numero di denunce di presunti maltrattamenti fisici o di uso eccessivo della forza da parte di agenti della polizia e dei carabinieri, e, in minor misura, da parte di agenti della guardia di finanza, soprattutto nel Bresciano. I presunti maltrattamenti consistevano essenzialmente in pugni, calci o manganellate al momento dell’arresto, e, in alcuni casi, nel corso della permanenza in un centro di detenzione. "Per certi casi - si legge nel rapporto - la delegazione ha potuto riscontrare l’esistenza di certificati medici attestanti i fatti denunciati". Nella loro risposta, le autorità italiane "hanno indicato che sono state emanate delle direttive specifiche per prevenire e punire il comportamento indebitamente aggressivo delle forze dell’ordine. Inoltre, le autorità hanno fornito le informazioni richieste sui punti sollevati dal Cpt in materia di garanzie procedurali contro i maltrattamenti". Sono state inoltre esaminate le condizioni di detenzione presso il Centro di identificazione e di espulsione (Cei) di Via Corelli a Milano. Il Cpt ha raccomandato, tra l’altro, che siano garantiti agli immigrati irregolari che vi devono essere trattenuti "maggiori e più ampie possibilità di attività". Per quanto concerne le carceri, la delegazione che ha effettuato la visita a nome del Comitato ha posto l’accento sul sovraffollamento delle prigioni, sulla questione delle cure mediche in ambiente carcerario e sul trattamento dei detenuti sottoposti al regime di massima sicurezza (il "41-bis"). Il Cpt ha espresso "viva preoccupazione" per il livello di violenza registrato all’interno delle carceri di Brescia-Mombello e di Cagliari-Buoncammino, dove episodi di violenza tra detenuti nel corso del 2008 hanno causato lesioni gravi e, in un caso, la morte di un carcerato. Inoltre, il Comitato ha ricevuto a Cagliari alcune accuse relative al fatto che il personale carcerario non sarebbe sempre intervenuto tempestivamente per sedare le risse tra detenuti. Le autorità italiane hanno indicato nella loro risposta che "la direzione generale delle carceri ha invitato le prigioni di Brescia e di Cagliari a prendere tutte le misure necessarie per impedire la violenza tra detenuti. Hanno inoltre affermato - riferisce il Comitato - che dall’autunno del 2008, si è ottenuta una diminuzione degli episodi di violenza, a seguito di una convenzione conclusa tra il carcere di Cagliari e la Caritas". Per quanto concerne l’ospedale psichiatrico giudiziario Filippo Saporito (Opg) di Aversa, il rapporto pone in evidenza le scadenti condizioni della struttura e la necessità di migliorare il regime quotidiano di degenza dei pazienti, aumentando il numero e la varietà delle attività trattamentali quotidiane loro garantite. La delegazione ha inoltre riscontrato che alcuni pazienti erano stati trattenuti nell’Opg più a lungo di quanto non lo richiedessero le loro condizioni e che altri erano trattenuti nell’ospedale anche oltre lo scadere del termine previsto dall’ordine di internamento. Le autorità italiane hanno fatto valere nella loro risposta che l’ospedale è in corso di ristrutturazione e che la legge non prevede un limite per l’esecuzione di misure di sicurezza temporanee non detentive. In merito al Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (Spdc) presso l’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli, la delegazione ha concentrato l’attenzione sul ricorso al trattamento obbligatorio dei pazienti. Il Comitato raccomanda di apportare miglioramenti alla fase giudiziaria della procedura relativa al trattamento sanitario obbligatorio. Giustizia: l'Ue a Italia; contrastare la violenza delle forze ordine
Reuters, 20 aprile 2010
Il Consiglio d’Europa ha chiesto all’Italia di attivarsi perché migliori il livello del trattamento da parte delle forze dell’ordine delle persone in stato d’arresto e diminuisca la violenza, anche tra detenuti, all’interno dei penitenziari italiani. Lo si legge in un rapporto pubblicato oggi dal Comitato anti-tortura (Cpt) del Consiglio, che ha svolto dal 14 al 26 settembre 2008 la sua quinta visita in Italia. Nel corso della missione, la delegazione del Cpt ha ricevuto una serie di accuse riguardo "all’eccessivo uso della forza da parte di agenti di polizia e carabinieri e, in misura minore, della Guardia di finanza", si legge nel rapporto, in cui si fa riferimento a "pugni, calci, manganellate somministrate nel corso di arresti o in alcuni casi durante la custodia".Dopo aver constatato "prove mediche di tali accuse", il Cpt ha chiesto alle autorità italiane "ulteriori azioni per portare la situazione in linea con gli standard di legge (europei)". L’Italia, continua il rapporto, ha risposto di aver già provveduto a diramare "direttive specifiche per prevenire e sanzionare comportamenti inappropriatamente aggressivi da parte delle forze dell’ordine". Sul fronte carceri, oltre a lamentare l’eccessivo sovraffollamento, il Comitato ha espresso "grande preoccupazione" per l’alto livello di violenze tra detenuti - che ha causato nel corso del 2008 diversi feriti e un decesso - di fronte alle quali in alcuni casi le forze dell’ordine si sono dimostrate troppo lente ad intervenire. Situazioni particolarmente gravi sono state rilevate nei penitenziari di Brescia-Mombello e Cagliari-Buoncammino.Le autorità italiane hanno risposto, si legge ancora nel documento del Consiglio, di aver sollecitato l’amministrazione dei due carceri a contrastare il livello di violenze, diminuite comunque negli ultimi tempi grazie anche all’azione di volontari Caritas. Giustizia: Consiglio Europa; Italia non è modello diritti detenuti
Redattore Sociale, 20 aprile 2010
Percosse da parte delle forze dell’ordine, sovraffollamento delle prigioni, cattive condizioni all’interno degli Ospedali psichiatrici giudiziari. Il rapporto si riferisce alla visita effettuata dal Comitato nel settembre 2008. Percosse da parte delle forze dell’ordine, sovraffollamento delle prigioni, cattive condizioni all’interno degli Ospedali psichiatrici giudiziari: l’Italia non appare certo il paese dei diritti. A puntare il dito contro il nostro paese è il Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti del Consiglio d’Europa, che oggi ha pubblicato il rapporto relativo alla quinta visita periodica effettuata sul territorio italiano tra il 14 e il 26 settembre 2008. Il rapporto è corredato dalle risposte del governo italiano. Per quanto concerne il trattamento delle persone private di libertà da parte delle forze dell’ordine, il rapporto riferisce che la delegazione del Comitato ha ricevuto un certo numero di denunce di presunti maltrattamenti fisici e/o di uso eccessivo della forza da parte di agenti della polizia e dei carabinieri e, in minor misura, da parte di agenti della Guardia di Finanza, soprattutto nel Bresciano. I presunti maltrattamenti consistevano essenzialmente in pugni, calci o manganellate al momento dell’arresto e, in alcuni casi, nel corso della permanenza in un centro di detenzione. In alcuni casi, inoltre, la delegazione ha potuto riscontrare l’esistenza di certificati medici attestanti i fatti denunciati. Il rapporto, inoltre, verifica il rispetto delle garanzie procedurali contro i maltrattamenti e constata la necessità di un’azione più incisiva in questo campo, per rendere conformi la legge e la pratica alle norme stabilite dal Comitato. Nella loro risposta, le autorità italiane hanno indicato che sono state emanate delle direttive specifiche per prevenire e punire il comportamento indebitamente aggressivo delle forze dell’ordine. Inoltre, rileva il rapporto, sono state esaminate le condizioni di detenzione presso il Centro di identificazione e di espulsione di Via Corelli a Milano. A questo proposito il Comitato raccomanda che siano garantiti agli immigrati irregolari che vi devono essere trattenuti maggiori e più ampie possibilità di attività. Sul fronte delle carceri, invece, il rapporto pone l’accento sul sovraffollamento delle prigioni, sulla questione delle cure mediche in ambiente carcerario (la cui responsabilità è stata ora trasferita alle regioni) e sul trattamento dei detenuti sottoposti al regime di massima sicurezza (il "41-bis"). Il Comitato ha espresso anche la più viva preoccupazione per il livello di violenza registrato all’interno delle carceri di Brescia-Mombello e di Cagliari-Buoncammino, dove episodi di violenza tra detenuti nel corso del 2008 hanno causato lesioni gravi e, in un caso, la morte di un carcerato. A Cagliari, poi, il Comitato ha ricevuto alcune accuse relative al fatto che il personale carcerario non sarebbe sempre intervenuto tempestivamente per sedare le risse tra detenuti. Per tutta risposta le autorità italiane hanno evidenziato che l’amministrazione penitenziaria ha invitato le prigioni di Brescia e di Cagliari a prendere tutte le misure necessarie per impedire la violenza tra detenuti. Hanno inoltre affermato che, a partire dall’autunno del 2008, gli episodi di violenza nel carcere di Cagliari sono diminuiti a seguito di una convenzione con la Caritas. Sotto accusa anche l’Ospedale psichiatrico giudiziario Filippo Saporito di Aversa. Secondo il rapporto, infatti, le condizioni della struttura sarebbero scadenti mentre si evidenzierebbe e la necessità di migliorare il regime quotidiano di degenza dei pazienti, aumentando il numero e la varietà delle attività trattamentali quotidiane loro garantite. La delegazione ha inoltre riscontrato che alcuni pazienti erano stati trattenuti nell’Opg più a lungo di quanto non lo richiedessero le loro condizioni e che altri erano trattenuti nell’ospedale anche oltre lo scadere del termine previsto dall’ordine di internamento. Le autorità italiane hanno risposto che l’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa è in corso di ristrutturazione e che la legge non prevede un limite per l’esecuzione di misure di sicurezza temporanee non detentive. Il ricorso al trattamento obbligatorio dei pazienti è stato invece oggetto di critica per quanto riguarda il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Napoli, la delegazione ha concentrato l’attenzione sul ricorso. A questo proposito la raccomandazione è quella apportare miglioramenti alla fase giudiziaria della procedura relativa al trattamento sanitario obbligatorio. Giustizia: Consiglio Europa; Opg Aversa, situazione "incredibile"
Ansa, 20 aprile 2010
Comitato per la prevenzione della tortura (Cpt) del Consiglio d’Europa definisce "incredibile" la situazione riscontrata nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa (Ce), dove alcuni detenuti vengono legati al letto seminudi, 24 ore su 24 anche per dieci giorni, sdraiati su un materasso con un foro al centro sotto al quale c’è un secchio in cui finiscono gli escrementi. La denuncia arriva dal rapporto preparato dal Cpt dopo la visita effettuata in Italia tra il 16 e il 26 settembre del 2008. La situazione di Aversa è indicata come la più grave nel documento pubblicato oggi dopo il consenso giunto dal governo italiano. Nelle 84 pagine del rapporto vengono denunciati anche diversi casi di maltrattamenti subiti al momento dell’arresto, subito dopo il fermo e in carcere di cui il Cpt ha trovato prove tangibili. Il Comitato esprime inoltre "grande preoccupazione" per la mancanza di tutele per chi venga fermato dalle forze dell’ordine, oltre che per la violenza tra detenuti riscontrata sia nel carcere di Brescia che in quello di Cagliari. Giustizia: direttore dell’Opg di Aversa; tolti i letti di contenzione
Ansa, 20 aprile 2010
Nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa (Caserta) finito nel mirino del Consiglio d’Europa "non ci sono più dal gennaio 2009 i letti di contenzione. C’è sicuramente un problema di sovraffollamento con 300 internati a fronte di una capienza che non dovrebbe superare le 160 unita". Lo dice, interpellato dall’Ansa, Adolfo Ferraro, psichiatra, direttore sanitario della struttura. "Siamo probabilmente gli unici - spiega - a non avere più letti di contenzione. I problemi nascono invece dal fatto che c’è una carenza di personale sanitario a fronte di una prevalenza di quello penitenziario in seguito a quanto previsto da un Dpcm del governo Prodi che ha fatto degli Opg vere e proprie strutture carcerarie, con la prevalenza di un modello penitenziario rispetto a quello sanitario". E quali sono oggi le condizioni nelle quali si trovano gli internati? "Sono pessime - dice Ferraro - perché le persone vivono ammassate l’una all’altra, in condizioni di sovraffollamento con presenze che sono il doppio di quelle che sarebbero consentite". Giustizia:
Sappe; anche carceri prefabbricate in piano governo Comunicato stampa, 20 aprile 2010 Il
Sindacato Autonomo Polizia penitenziaria (Sappe) ha rivolto oggi un appello,
l’ennesimo, al presidente del Consiglio, ai presidenti di Senato e Camera e al
ministro della Giustizia perché sia risolta al più presto la “sempre più
critica e drammatica situazione degli organici della Polizia penitenziaria, che
nel grave contesto dell’attuale allarmante sovraffollamento delle carceri
italiane riveste prioritaria importanza”. Scrive
nella nota Donato Capece, Segretario Generale del Sappe: “Se il carcere è in
larga misura destinato a raccogliere il disagio sociale, è evidente come la
società dei reclusi non possa che essere lo specchio della società degli
uomini liberi. In altri termini, sembra che lo Stato badi solo ad assicurare il
contenimento all’interno delle strutture penitenziarie. È giunta l’ora di
ripensare la repressione penale mettendo da un lato i fatti ritenuti di un
disvalore sociale di tale gravità da imporre una reazione dello Stato con la
misura estrema che è il carcere, e dall’altro, anche mantenendo la rilevanza
penale, indicare le condotte per le quali non è necessario il carcere
(ipotizzando sanzioni diverse). In
questo contesto, abbiamo saluto con favore il Piano carceri del Governo. Ma ora
è necessario avere le garanzie che esso trovi applicazione quanto prima:
contenere 67mila persone in celle predisposte per ospitarne 43mila e non
individuare con rapidità soluzioni d’intervento vuol dire far lavorare le
donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria perennemente con una “bomba”
pronta ad esplodere da un momento all’altro. Una riflessione equilibrata sulle
norme penali che producono carcere e che non comportano un reale ritorno in
termini di soddisfazione delle istanze di sicurezza potrebbe condurre ad
interventi normativi, secondo valutazioni da fare caso per caso, che possono
essere orientati verso forme di depenalizzazione, oppure verso l’introduzione
di sanzioni o misure cautelari (obbligatoriamente) alternative al carcere.” Il
Sappe suggerisce anche una concreta ed economica proposta per nuovi posti
detentivi nelle carceri italiane: “Non si può sempre e solo dire no a
prescindere, come qualcuno fa anche sul Piano carceri, senza poi essere in grado
di proporre soluzioni alternative. Noi, che condividiamo l’impianto
complessivo del Piano carceri del Governo, proponiamo di integrarlo con una
ulteriore e nuova soluzione. Un
modo rapido, sicuro ed economico per ridurre il sovraffollamento delle carceri
è ad esempio quello di costruire mini-reparti detentivi (da 200 - 400 - 600
posti, in tempi non superiori rispettivamente a 4, 5 e 6 mesi contro i molti
anni che si impiegano per la costruzione in cemento armato di un fabbricato
detentivo simile) con celle prefabbricate di tipo modulare sicure ed affidabili,
oltre che adeguate alle norme Italiane, ed in largo uso negli Stati Uniti
d’America da più di venti anni. Si tratta in sostanza di un “sistema” che
permette di realizzare direttamente in fabbrica camere detentive complete di
tutti gli impianti ed accessori (inferriate, porte di sicurezza, lampade, prese
di corrente, sanitari, radiatori, ecc.), pronte quindi da collocare in opera con
evidenti vantaggi di sicurezza, economicità, invalicabilità, migliore qualità
della vita detentiva e del comfort in generale ed assenza di manutenzione
ordinaria”. Sappe - Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sicilia: sindacati degli agenti scrivono a Alfano; siamo al collasso
Ansa, 20 aprile 2010
"La situazione penitenziaria in Sicilia è al collasso. Non possiamo più sottacere come l’attuale trend quanto prima porterà al collasso l’intero sistema penitenziario siciliano". Lo scrivono, proclamando lo stato di agitazione collettivo, in una lettera inviata al ministro della Giustizia Angelo Alfano le segreterie regionali siciliane delle organizzazioni sindacali di polizia penitenziaria Sappe, Osapp, Cisl- Fns, Sinappe, Ugl/pp, Cgil-Fp/pp, Fsa-Cnpp. I sindacati parlano di una "gravissima carenza di organico in cui versa tutta la Sicilia" denunciando "l’enormità dei carichi di lavoro" con "straordinari decurtati e missioni non saldate per carenza di fondi". Tra i problemi denunciati dai sindacati, che annunciano manifestazioni "qualora gli organi competenti non dovessero porre i necessari correttivi". I sindacati rilevano anche i problemi di automezzi che assicurano le traduzioni nei Palazzi di Giustizia e Ospedali "in buona parte ridotti all’osso" e fatiscenti, e quelli legati alla sanità penitenziaria "che crea non poche difficoltà operative, tanto che da tre anni a questa parte sono aumentati i suicidi e tentati suicidi". Liguria: Sappe; troppi detenuti, sarà difficile con arrivo estate
Agi, 20 aprile 2010
"Liguria penitenziaria, record di detenuti presenti. E sono molte le preoccupazioni per quello che potrà accadere nelle carceri nei prossimi mesi estivi, se non si interverrà con urgenza per sanare le criticità del sistema. È quanto denuncia il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria, che ha inviato a tutti i parlamentari eletti in Liguria ed ai neo Consiglieri Regionali una nota con indicate le gravi problematiche operative dei Baschi Azzurri della Penitenziaria. "I numeri sono estremamente chiari ed allarmanti allo stesso tempo e impongono l’urgente necessità di assumere provvedimenti, come lo sfollamento delle strutture sovraffollate e la diramazione di un interpello straordinario nazionale per disporre l?invio di personale di Polizia in missione provenienti da altre sedi penitenziarie, in analogia a quanto già avviene per sedi altrettanto carenti come quelli regionali. Ma a chiedere queste cose è solo il Sindacato". Spiega Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. "Ogni giorno aumenta la presenza di detenuti, oggi arrivati ad essere quasi 1.750 stipati in strutture idonee ad ospitarne poco più di mille e 100, controllati da un Personale di Polizia Penitenziaria stanco e stressato che registra la carenza di ben 400 agenti rispetto alle piante organiche previste. I detenuti presenti sono complessivamente più imputati che condannati con sentenza definitiva, per un 60% sono stranieri ed in Liguria si registra anche la percentuale più alta a livello nazionale di detenuti tossicodipendenti (circa il 40% dei presenti rispetto ad una media nazionale del 25%). E se continua questo trend di ingressi in carcere, c’è il rischio che nei mesi estivi le carceri diventeranno roventi ed a rischio rivolte, con i soli poliziotti penitenziari - sempre più sotto organico - nella prima linea delle sezioni detentive a gestire le tensioni e le situazioni di pericolo. Il nostro è dunque un grido d?allarme: muovetevi prima che la situazione diventi ingestibile. Martinelli, nel ricordare l’apprezzamento già espresso dal Sappe all’annunciato piano carceri del Governo, sottolinea che se il carcere è in larga misura destinato a raccogliere il disagio sociale, è evidente come la società dei reclusi non possa che essere lo specchio della società degli uomini liberi. In altri termini, sembra che lo Stato badi solo ad assicurare il contenimento all’interno delle strutture penitenziarie. È giunta l’ora di ripensare la repressione penale mettendo da un lato i fatti ritenuti di un disvalore sociale di tale gravità da imporre una reazione dello Stato con la misura estrema che è il carcere, e dall’altro, anche mantenendo la rilevanza penale, indicare le condotte per le quali non è necessario il carcere (ipotizzando sanzioni diverse). È chiaro che una opzione di questo tipo dovrebbe ridisegnare il sistema a partire dalle norme in materia di immigrazione e dalla individuazione delle risorse per affrontare il tema delle dipendenze e dei disturbi mentali fuori dal carcere. Rispetto ad una situazione così dirompente per l’organizzazione penitenziaria è necessario interrogarsi su che cosa fare e quali iniziative intraprendere. Riteniamo che la politica debba dare delle risposte certe ed immediate. Il piano carceri è una prima e importante risposta, ma bisogna fare ancora di più. Una attenta analisi consente di affermare che un numero rilevante di detenuti fa ingresso in carcere per fattispecie minori, di non particolare gravità e che non appaiono per nulla allarmanti socialmente. Una riflessione equilibrata sulle norme penali che producono carcere e che non comportano un reale ritorno in termini di soddisfazione delle istanze di sicurezza potrebbe condurre ad interventi normativi, secondo valutazioni da fare caso per caso, che possono essere orientati verso forme di depenalizzazione, oppure verso l’introduzione di sanzioni o misure cautelari (obbligatoriamente) alternative al carcere. Il fenomeno implica, inoltre, una necessaria discussione sui tempi del processo (che certamente incidono notevolmente sulle vicende della custodia) e sul rapporto tra la custodia cautelare e il dibattimento. In un momento in cui si riconoscono una situazione di emergenza e una condizione di detenzione che non garantisce la dignità della persona e l’umanità della pena e si pensa alla costruzione di nuovi spazi detentivi, non si può non riflettere sui modelli di custodia e sui necessari interventi nella organizzazione della detenzione. Non è solo risolvendo il problema del sovraffollamento (se e quando si risolverà), che si migliorerà la qualità del tempo che le persone trascorrono in carcere". Sicilia: "Biblioteca 2010"; tra iniziative libri in regalo ai detenuti
Adnkronos, 20 aprile 2010
Centinaia di volumi, parte dei quali in arabo, donati ai detenuti siciliani; un disegno di legge che mette in rete le biblioteche siciliane per farle diventare "europee", luoghi dove potere studiare, usare postazioni Internet e organizzare confronti culturali; la digitalizzazione dei volumi affinché siano consultabili anche sul web; una proposta per superare l’ostacolo dei diritti d’autore che frena le libere consultazioni dei testi su Internet; la mostra "Scrittori siciliani del Novecento" che diventa itinerante toccando Messina e arrivando a Bruxelles per far conoscere ai giovani europei i valori di civiltà e di legalità della nostra cultura. Con "Biblioteca 2010" la Biblioteca dell’Assemblea regionale siciliana vara, in occasione della Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, un programma di cinque iniziative per aprire sempre più al territorio la conoscenza e la fruizione dei propri "tesori". Il programma sarà illustrato in conferenza stampa domani, alle ore 10, presso la Sala stampa di Palazzo dei Normanni, in piazza Parlamento. Interverranno i deputati componenti della Commissione di vigilanza per la Biblioteca (Pino Apprendi, Innocenzo Leontini e Antonino Bosco); il direttore del Servizio biblioteca, Eugenio Consoli; il direttore della Biblioteca centrale della Regione, Gaetano Gullo; e Antonino Pellitteri, docente di storia dei Paesi islamici presso il Dipartimento di Scienze filologiche e linguistiche dell’Università di Palermo. L’Aquila: Petrilli (Pd) in sciopero fame contro sovraffollamento
Redattore Sociale, 20 aprile 2010
Richiamare all’attenzione dell’opinione pubblica le difficili condizioni di vita delle carceri italiane. Con questo scopo da cinque giorni Giulio Petrilli del Pd dell’Aquila, responsabile provinciale dipartimento diritti e garanzie, ha cominciato uno sciopero della fame. "La situazione delle carceri italiane e della nostra regione, l’Abruzzo - dice in una nota - è sempre più difficile, si è arrivati ad una capienza doppia di quella consentita, l’assistenza sanitaria è ridotta al lumicino, il reinserimento, le misure alternative al carcere vengono applicate sempre meno. In questa totale invivibilità aumentano i suicidi, le morti per mancanza di cure, i disagi psichici. Rendiamo visibile e cerchiamo di risolvere questo problema, non si può rimanere in silenzio di fronte a un imbarbarimento così forte delle condizioni di vita nei penitenziari italiani". Cremona: detenuti oltre il limite tollerabile, il carcere al collasso
Asca, 20 aprile 2010
Carcere di via Cà del Ferro al collasso. Come mai è capitato nella sua storia ormai ventennale. Lo dicono i numeri, che delineano un record tutto da dimenticare: il massimo di detenuti e il minimo di agenti operativi, costretti da anni a lavorare sui tre quadranti (otto ore al giorno) anziché sui quattro previsti da contratto. Nella casa circondariale di Cremona i detenuti in questi giorni oscillano tra le 310 e 320 unità a fronte di una capienza regolamentare di 196 reclusi (fissata al momento del varo del carcere, nel 1992) e di una capienza tollerata di 300 detenuti. Le sezioni attive sono cinque su sei. Quanto agli agenti, dei circa 160 che dovrebbero prendere parte ai servizi, se ne contano soltanto 135 davvero operativi. Pordenone: strutture residenziali… al posto delle grandi carceri
Messaggero Veneto, 20 aprile 2010
"Non abbiamo bisogno di grandi carceri, ma di piccole comunità residenziali distribuite nel territorio". La convinzione dell’assessore alle Politiche sociali, Giovanni Zanolin, è stata espressa in occasione dell’inaugurazione dei nuovi locali della cooperativa Oasi, nell’ex spogliatoio a fianco del campo di calcio di via Ferraris. Una struttura, ceduta dalla Parrocchia al Comune, la quale con i fondi acquisiti ha potuto ristrutturare l’asilo, per metterla a disposizione non solo di ex carcerati, ma anche di coloro che non sanno dove andare, privi temporaneamente di un tetto. "Una percentuale elevatissima delle esecuzioni penali - ha detto Zanolin - non conosce il carcere, perché non c’è posto. Ed è un dato di fatto che le detenzioni fuori dal cercare hanno una percentuale di successo significativa". Così come i 250 ex carcerati della cooperativa Oasi ospitati in 15 anni di attività non sono tornati in carcere, come ha ricordato il presidente Sergio Chiarotto. Il vescovo, Ovidio Poletto, ha parlato "dell’ennesimo tassello del mosaico di solidarietà che si compone in città. La vera arte della vita - ha aggiunto - sta nella solidarietà. Uno stile che comporta l’assunzione di responsabilità da parte di tutti. Nella nostra società alcuni volti, quelli degli ultimi, restano in ombra, mentre i riflettori sono sempre puntati su volti che dovrebbero fare penitenza. La penitenza, come ha ricordato il Papa, spetta a tutti, anche alla Chiesa". Il sindaco, Sergio Bolzonello, ha voluto sottolineare che i locali di via Ferraris "non sono un luogo separato dalla città, visto che è vicino alle strutture parrocchiali e limitrofo al campo di calcio dove si allenano gli allievi del Torre". Chiarotto, che era affiancato da Sandro Castellari, "anima" della cooperativa, ha insistito sul valore del volontariato. Una delle sale interne alla struttura è stata dedicata a Paul Bottos, morto l’anno scorso in un incidente stradale. Sulmona: protesta degli agenti, per chiusura di Casa di Lavoro
Ansa, 20 aprile 2010
Stato di agitazione per gli agenti penitenziari del carcere di Sulmona. Tornano a chiedere l’immediata chiusura della casa di lavoro del carcere di Sulmona, infatti, i sindacati di polizia penitenziaria Cgil, Ugl, Uil, Sappe, Cisl, Sinappe e Fsacnpp, in un documento congiunto. La carta è stata mandata al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), al Provveditore regionale Abruzzo e Molise, all’ufficio relazioni sindacali, al direttore del carcere di Sulmona, ai capigruppo parlamentari e al personale della casa di reclusione. Tra le richieste dei sindacati, la riduzione del numero dei detenuti, in particolare degli internati, la rivalutazione delle assegnazioni di soggetti con problemi psichiatrici, il potenziamento del presidio sanitario e del numero di agenti, l’incremento delle ore di straordinario. "Turni di lavoro pesanti, straordinari non pagati e carichi di lavoro eccessivi minano la condizione psicofisica degli agenti - scrivono -. A questi problemi, comuni a tutti penitenziari, si aggiunge per quello peligno la criticità della casa lavoro più grande d’Italia, che ospita 200 internati con problemi di tossicodipendenza e psichiatrici". Con il passaggio della medicina penitenziaria alle Asl, il servizio sanitario, secondo i sindacati, sarebbe ulteriormente peggiorato, con un solo infermiere nel turno serale a far fronte alle esigenze di 400 detenuti in trattamento farmacologico. Al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria i sindacati chiedono di essere ricevuti "per affrontare e risolvere la drammatica situazione del carcere di Sulmona". Usa: Rapporto Hrw; i detenuti sieropositivi, tenuti in isolamento
www.giornalettismo.com, 20 aprile 2010
Fino a 25 anni fa, 46 dei 51 stati americani isolavano sistematicamente i detenuti sieropositivi. Oggi, solo il South Carolina e l’Alabama continuano a stigmatizzare i detenuti malati, stimati in circa 22.000 unità su tutto il territorio degli Stati Uniti. Dal mese di marzo, vi ha rinunciato pure il Mississipi. L’Ong internazionale Human Rights Watch (Hrw), in collaborazione con il gruppo per la difesa delle libertà civili (Aclu), ha raccolto le testimonianze di quei prigionieri e pubblicato, a metà aprile, una relazione sulla segregazione dei detenuti sieropositivi nelle carceri federali e degli Stati Uniti. Il rapporto spiega che, all’arrivo, ogni prigioniero viene sottoposto a un test di screening: "Il risultato di questa prova determinerà quasi tutti gli aspetti della vita del prigioniero finché lui o lei è in carcere. Il test Hiv sarà determinante per stabilire dove il detenuto sarà posto, dove mangerà e dove potrà trascorrere il tempo libero". In entrambi gli Stati, i detenuti sieropositivi sono isolati in cella durante le ventitré ore. L’isolamento continua per una settimana in attesa della conferma dei risultati del test. Ronald B., racconta il suo arrivo al centro di accoglienza a Kirkland, South Carolina: "Quando sono arrivato a Kirkland, ho passato l’ammissione. Mi hanno fatto un esame del sangue. Io non conoscevo il mio stato. Sono stato messo con gente di tutte le nazionalità in un dormitorio grande [...]. Improvvisamente, vengono e ti fanno lasciare tutto… Sono letteralmente messo in una prigione, una cella buia al piano di sotto, e questo è tutto. Ci sono rimasto per 23 ore e il giorno dopo, mi hanno alimentato attraverso la porta. Non potevo nemmeno fare la doccia tutti i giorni. Devi urlare per farti sentire da qualcuno a volte arrivano, a volte no". Il marchio - Una volta che la diagnosi è confermata, i detenuti sono posti in aree specializzate di alta sicurezza. Perché, non è tanto il crimine che determina la loro posizione, ma la loro salute. "Si è contrassegnati come Hiv positivi, così dal primo giorno,è finita", afferma Loma P. incarcerato in South Carolina.Contrariamente a quanto affermato dai diritti dei malati sulla difesa della propria privacy, lo studio rivelato da Hrw ha scoperto anche altre forme di umiliazione. Se si cerca il nome di un prigioniero sieropositivo, sul sito web del carcere, ad esempio, lo si troverà inserito tra le liste di quelli detenuti nelle unità destinate ai malati di Hiv. In Alabama, al Limestone correctional facility, i detenuti sieropositivi devono indossare un bracciale bianco. In North Carolina, hanno un punto blu sul distintivo che li distingue da altri prigionieri, mentre le donne si distinguono per una notazione sulle loro divise del dormitorio che le ospita "Whitney B". Mangiano da soli, sono seduti separatamente durante le funzioni religiose e durante i corsi. Non hanno accesso ad alcun programma di inserimento al lavoro. Non hanno il diritto di lavorare né nelle cucine del carcere, né nei laboratori tessili, carpenteria, o in ufficio. Le uniche attività accessibili per loro sono i lavori di pulizia o di falciatura dell’erba. Infetti e froci - Due argomenti sono rivendicati dagli amministratori delle prigioni di questi due Stati per giustificare questo isolamento: il primo, fa riferimento al cosiddetto "bene dei pazienti" che possono ricevere le loro cure più facilmente, il secondo riguarda la necessità di ridurre i rischi di trasmissione tra i detenuti e tra gli ufficiali. Insomma, argomentazioni che non hanno alcuna giustificazione medica e che alimentano solo la disinformazione tra i detenuti e tra il personale. Vittime di un vero e proprio apartheid, i detenuti Hiv positivi subiscono anche offese verbali. Vengono chiamati "infetti" o "froci". In South Carolina devono addirittura girare la testa contro il muro quando gli altri prigionieri passano attraverso le loro sezioni. Uno di essi, Giuseppe T., testimonia: "Ho sentito un ufficiale dire ai prigionieri di un altro dormitorio: "L’unità è positiva, state lontani da loro, non vorrete mica prendere questa merda, non è vero?". Nel concludere la sua relazione, l’Ong per i diritti umani ha ricordato: "La discriminazione contro i detenuti Hiv positivi [...] costituisce un trattamento crudele, inumano e degradante in violazione del diritto internazionale". Cina: Expo Shanghai; città "ripulita", arrestate 6mila persone
Ansa, 20 aprile 2010
Vaste retate di polizia a Shanghai in vista dell’Expo. Le forze dell’ordine annunciano di aver fermato circa seimila persone coinvolte in piccoli reati di vario genere tra i quali il furto e la prostituzione, durante una fitta operazione durata 12 giorni. Secondo il China Daily, oltre 30.000 poliziotti hanno pattugliato senza sosta la città di Shanghai dal 3 al 14 aprile facendo 900 raids. Delle 6.402 persone fermate, 429 sono attualmente in carcere in attesa di processo per reati come furto, gioco d’azzardo, prostituzione e vendita di materiale pornografico. Del totale, 852 sono stati condannati a 15 giorni di carcere, gli altri, fermati per reati minori, sono stati rilasciati dopo essere stati multati e redarguiti. Le forze dell’ordine hanno poi confiscato circa 2.000 mezzi a due ruote privi di licenza che potrebbero rappresentare un pericolo per il traffico. Tra i 6.000 fermati, secondo i dati forniti dalla polizia, vi sarebbero anche alcuni stranieri. Nel distretto di Xuhui sono stati arrestati 4 stranieri mentre si trovavano in un pub perché sospettati di rimanere illegalmente nel Paese e di fare uso di droga. Altri 31 stranieri che lavoravano in un hotel del distretto di Minhang sono stati fermati, sempre perché sospettati di trattenersi illegalmente in Cina. Al momento la polizia non ha reso noto quanti siano gli stranieri ancora detenuti. I controlli di sicurezza sono stati intensificati, in vista dell’inizio dell’Expo, in tutta la città, e in particolare nel parco dell’Expo. A bordo di ogni autobus che effettuerà la rotta per e dall’Expo saranno collocati dei controllori speciali. Punti di controllo con i raggi X sono stati predisposti in tutti i punti di accesso delle stazioni della metropolitana.
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