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Giustizia: l’ultimo anno ai "domiciliari", usciranno in 7-8 mila di Liana Milella
La Repubblica, 17 aprile 2010
Per decreto. Dalla cella ai domiciliari chi oggi è recluso ma deve scontare solo un anno di pena. In tutto 10.741 persone, di cui 3.577 condannate a meno di un anno. Berlusconi annuncia che "ci sta pensando". Fonti di via Arenula confermano che l’obiettivo è approvare il dl nel giro di una decina di giorni. Ai vertici del Dap tirano un sospiro di sollievo perché i sette-ottomila che alla fine uscirebbero potrebbero attenuare l’incubo di un’estate che si preannuncia rovente. Straripanti i penitenziari (67.206 detenuti al 31 marzo dove ce ne starebbero al massimo 43mila), 20 suicidi nel 2010 e 28 evitati in extremis, troppo incombente il rischio di rivolte. Berlusconi, mentre il centrodestra si divide pure sui rimedi contro il sovraffollamento carcerario, decide di fare il decreto e anticipare il ddl che, in commissione Giustizia alla Camera, è il pomo della discordia tra il Pdl che lo sostiene e la Lega che lo avversa. Il Carroccio paventa il rischio d’una nuova amnistia che la gente non capirebbe. Si divide pure l’opposizione: Di Pietro è nettamente contrario, l’Udc favorevole come pure il Pd, ma a patto che la misura sia accompagnata da un congruo stanziamento economico e da controlli adeguati per evitare che gli immigrati finiscano nei Cie. I numeri parlano chiaro: dei 10.741 cui manca un anno ben 3.987 sono extracomunitari. Netta sostenitrice la radicale Rita Bernardini che aveva chiesto di poter approvare il testo in commissione (la cosiddetta "legislativa"). Quando la proposta è stata bocciata ha iniziato uno sciopero della fame che tuttora prosegue. Lei è d’accordo con Berlusconi: "Stavolta ha ragione da vendere: se c’è una materia in cui la decretazione d’urgenza si giustifica è proprio quella della drammatica situazione delle carceri". "Necessità e urgenza", presupposti di un decreto, ci sono tutti, "a meno che non si voglia assistere inerti allo stillicidio della conta dei morti per suicidio o malasanità". All’opposto, al dl è contraria l’Udc che, con Roberto Rao, chiede di non interrompere "il lavoro già in corso della commissione Giustizia". Ma Berlusconi, il Guardasigilli Alfano, il capo del Dap Ionta hanno fretta. E la dialettica di Camera e Senato mal si sposa con l’urgenza. Il testo del ddl, che oltre alla detenzione domiciliare contiene anche la "messa in prova" (non fa il processo e non va in cella chi accetta di pagare il conto con la giustizia con lavori di pubblica utilità), richiederebbe tempi troppo lunghi. Non sarebbe legge per agosto. Da sempre il mese caldo nelle celle. Ecco l’idea del dl. Che riguarderebbe solo la detenzione domiciliare. Secondo il presidente di Antigone Patrizio Gonnella uscirebbero 8mila detenuti. Grosso modo è il dato che ha fornito il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo. A regime, la misura metterebbe fuori dal carcere 2mila detenuti all’anno. Giustizia: un decreto legge contro l’ostruzionismo di Lega e Idv di Dino Martirano
Corriere della Sera, 17 aprile 2010
Le pressioni dell’amministrazione penitenziaria e i malumori dei sindacati degli agenti - che temono un’estate con oltre 70 mila detenuti in condizioni limite di sovraffollamento - hanno convinto il governo ad accelerare sulla concessione della detenzione domiciliare a circa 10 mila carcerati con un fine pena da scontare inferiore a un anno. L’annuncio lo ha dato il presidente del Consiglio che ha fatto riferimento ai gravi fatti di cronaca degli ultimi giorni prima ancora che si sapesse della rivolta avvenuta nel carcere di Fossano (Cuneo): "Visto il sovraffollamento che ha portato quest’anno ad avere 20 suicidi, l’ultimo ieri (giovedì ndr), stiamo pensando di dare un regime di detenzione domiciliare a coloro cui manca un solo anno di carcere". Silvio Berlusconi, che quando era capo di Forza Italia fece votare al suo partito l’indulto di tre anni, ora però vuole rassicurare gli alleati più riottosi davanti a un nuovo provvedimento di clemenza: "I detenuti non avrebbero interesse a scappare perché altrimenti si vedrebbero raddoppiare la pena". In realtà, la mossa sollecitata dal Guardasigilli Angelino Alfano - forse in arrivo già al prossimo Consiglio dei ministri - deve scontare un periodo di stallo in commissione Giustizia alla Camera dove il ddl Alfano (detenzione domiciliare di un anno e messa alla prova di tre anni) è di fatto fermo perché un fronte giustizialista bipartisan, sostenuto dalla Lega e dall’Idv, ha costretto il sottosegretario Giacomo Caliendo a presentare i dati sull’impatto del provvedimento: "10.741 detenuti presenti in carcere per scontare pene inferiori ai 12 mesi così suddivisi: 5.694 italiani, 790 stranieri comunitari, 3.987 extracomunitari di cui 2.936 in possesso di una residenza o domicilio". È stato comunque il leghista Nicola Molteni a manifestare nella commissione presieduta da Giulia Bongiorno molti dubbi su un "mini indulto" difficilmente digeribile dall’elettorato del Carroccio, abituato ai toni duri della propaganda sulla certezza della pena. Invece, l’ex sottosegretario alla Giustizia del governo Prodi, Luigi Manconi, ha invitato il Pd ad appoggiare il ddl Alfano. Ma ora il decreto legge annunciato da Berlusconi non prevede più la parte del ddl Alfano che riguarda la messa in prova (sospensione del processo per tre anni) e si limita a quella riguardante la detenzione domiciliare. Resta da vedere, poi, se il decreto avrà un minimo di copertura finanziaria, visto che il testo giunto all’esame della commissione prevede la "clausola di invarianza finanziaria", bloccando nuovi fondi per le strutture che dovranno garantire ospitalità ai detenuti inviati ai domiciliari che non sapranno indicare una fissa dimora. L’opposizione, a parte l’Idv, non è contraria alla soluzione prospettata dal governo. Che ora, con il decreto legge, avrà subito l’effetto di una boccata d’ossigeno sul disastrato sistema carcerario ormai giunto al limite dei 67 mila detenuti. Giustizia: con questa riforma misure penali diverse dal carcere di Maria Lucia Di Bitonto
Italia Oggi, 17 aprile 2010
È all’esame della commissione giustizia della camera dei deputati il disegno di legge n. C 3291 volto a introdurre nel nostro sistema l’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a un anno (anche se parte residua di maggior pena) e la sospensione del procedimento penale con messa alla prova in caso di reati per i quali la reclusione non ecceda i tre anni. La prima innovazione appare una misura tampone per contrastare il drammatico sovraffollamento delle carceri. Di maggiore rilievo l’altra, che intende caratterizzare la risposta punitiva dello Stato non solo per l’insopprimibile aspetto afflittivo, ma soprattutto per la sua capacità di stimolare, in tempi brevi, il recupero dell’autore del reato ad una prospettiva di legalità. Sono prevedibili, al riguardo, ampie convergenze politiche, poiché, nella scorsa legislatura, l’attuale opposizione presentò un disegno di legge (ddl C. 2664) che prevedeva, tra l’altro, proprio l’introduzione della sospensione del procedimento con messa alla prova. Tale modello differenziato di definizione del processo non è una novità assoluta. Nel procedimento a carico di imputati minorenni, per salvaguardare il migliore sviluppo di una personalità ancora immatura, viene loro offerta la possibilità di uscire rapidamente dal circuito penale, a condizione che si astengano dalla commissione di altri reati e si impegnino ad attuare il programma di reinserimento sociale elaborato dai servizi per i minori dell’amministrazione della giustizia in collaborazione coi servizi sociali degli enti territoriali. Da tempo si discute circa l’opportunità di estendere ai maggiorenni la sospensione del processo penale e relativa messa alla prova, con finalità profondamente diverse da quelle che la giustificano in ambito minorile. Servirebbe a decongestionare il carico giudiziario ampliando il novero delle scelte esperibili dall’imputato in alternativa alla celebrazione del dibattimento. Inoltre, avrebbe la funzione di imperniare il sistema punitivo su un ventaglio articolato di misure sanzionatorie, con ricorso solo quale extrema ratio alla pena detentiva, della cui effettiva capacità rieducativa, specie per i reati minori, è lecito dubitare. Occorre però che il legislatore qualifichi esplicitamente il riconoscimento della colpevolezza dell’imputato quale indefettibile presupposto della sospensione del processo con messa in prova. La serietà della prospettiva di risocializzazione connessa a tale istituto, infatti, non ammette ambiguità su tale punto. Del resto, deve escludersi che le limitazioni della libertà personale da esso implicate possano prescindere dall’accertamento della responsabilità penale di chi le subisce. Giustizia: senza decreto legge in estate detenuti a quota 70mila
Ansa, 17 aprile 2010
Arriveranno presto a quota 70 mila i detenuti reclusi nei 205 penitenziari italiani, a fronte di una capienza regolamentare pari a 43 mila posti letto. Il disagio è fortissimo e gli agenti in servizio non ce la fanno più: da tempo reclamano nuove assunzioni, più soldi e ritmi di lavoro meno usuranti. I sindacati denunciano anche la mancanza di fondi che, in alcuni casi, si traduce persino nella mancanza di soldi per la benzina per il trasferimento dei detenuti da un carcere all’altro. Venti le persone che, dall’inizio dell’anno, si sono tolte la vita in cella - e 28 sono state quelle salvate dall’intervento del personale di guardia - e i dati indicano che il 2010 potrebbe essere un anno peggiore del 2009 quando i casi di suicidio tra le sbarre furono ben 72, ai quali bisogna aggiungere altri cento decessi per malattia o altre cause. Questi i numeri dell’emergenza carceri alla quale cerca di rispondere il governo con la scelta della decretazione d’urgenza per il cosiddetto, ora ex, ddl sulla "messa alla prova" che potrebbe consentire l’uscita di circa 8-10 mila detenuti (in base ai dati dell’associazione Antigone e a quelli forniti dal sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo due giorni fa), e la diminuzione dell’ingresso in carcere di circa duemila detenuti ogni anno. Adesso, ogni mese, sono circa un migliaio le persone che entrano nel circuito penitenziario. Si stima che per effetto della "ex Cirielli" siano venuti meno i 2/3 delle misure alternative alla detenzione. Attualmente, nelle carceri, si trovano anche 2.900 donne con 54 bambini piccoli al seguito. Nel 2009 i minorenni reclusi sono stati più di 1.200. Giustizia: Manconi; siamo garantisti, votiamo ddl sulle carceri di Sonia Oranges
Il Riformista, 17 aprile 2010
"Il responsabile Giustizia del Pd, Andrea Orlando, ha cominciato a elaborare un progetto per la riforma del settore, che va nella giusta direzione": la giusta direzione, per Luigi Manconi (sottosegretario alla Giustizia dell’ultimo governo Prodi, ora presidente di "A Buon Diritto"), è quella che "sottrae il Pd e il centrosinistra alla subalternità al berlusconismo".
Perché parla di subalternità? Il partito, soprattutto la parte di matrice diessina, ha sofferto due grossi limiti. Prima di tutto, nella tradizione della sinistra sono sempre state privilegiate le libertà collettive rispetto ai diritti individuali, laddove, invece, nel processo penale sono messe in gioco proprio queste ultime. Il garantismo è stato sempre preoccupazione di minoranze considerate eretiche. E poi, grande influenza nelle scelte del Pd ha avuto il peso preponderante avuto da Silvio Berlusconi sulla scena pubblica. Un’anomalia fatta d’insofferenza verso le regole, di ostilità verso le autorità di garanzia, di contrapposizione tra sostanzialismo e formalismo, in un paio di decenni ha fatto di Berlusconi il paradigma di un’idea di giustizia classista. E la necessità di rimuovere un ostacolo tanto abnorme perché fornito di un resistente consenso politico, ha tolto alla sinistra qualunque autonomia di elaborazione di un progetto di riforma per la giustizia. Questioni essenziali come la distinzione fra la funzione inquirente e quella giudicante, o come il carattere evidentemente virtuale del principio di obbligatorietà dell’azione penale, non sono state tenute nella giusta considerazione perché pareva che affrontandole si facesse il gioco del nemico. È stato così per il processo breve, una proposta trappola che pure nascondeva un problema reale. Rischia di essere così per il ddl Alfano sulle carceri. Ci sono settori del Pd, per non parlare dell’Idv, che sembrano trovarsi a proprio agio in una posizione di totale subalternità al berlusconismo.
Lei chiede al Pd di votare il ddl Alfano… Certamente. Seppur perfettibile, propone misure razionali e pienamente rispondenti alla concezione costituzionale della pena propria di uno stato di diritto. La messa in prova è una misura prevista in ogni ipotesi di riforma, di destra e di sinistra, elaborata negli ultimi 20 anni. E la detenzione domiciliare, contrariamente a quanto pensa Di Pietro, è una vera detenzione che si sconta nel proprio domicilio, nell’ultimo anno di pena. Tutte misure che rispondono a un’idea liberale della pena e che non hanno alcun connotato in comune con l’indulto, come vorrebbero alcuni, che invece è un provvedimento di clemenza.
Ma già sulla proposta Orlando si sono divisi tra giustizialisti e garantisti… Non userei mai questi termini. La distinzione vera è tra chi pensa che il Pd possa avere una strategia autonoma sulla giustizia, e chi teme di restare schiacciato dal berlusconismo, reagendo goffamente solo con un gioco di rimessa. La proposta Orlando, in realtà, mette insieme esponenti come Letta e Cuperlo, di provenienze diverse e sinora su posizioni differenti sui temi delle garanzie. Giustizia: Antigone; ok al decreto legge, ma ha troppi "paletti"
Ansa, 17 aprile 2010
"La misura della detenzione domiciliare per chi ha un residuo di pena di un solo anno è condivisibile ma non risolutiva dello stato di emergenza in cui versano le carceri italiane". Lo afferma Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, che si batte per i diritti negli istituti di pena. "Con questo provvedimento potrebbero uscire dal carcere - dice Gonnella - circa 8 mila detenuti. Il problema è che se non si modificano le leggi, come quella sulla droga o sull’immigrazione, che concorrono a portare in carcere una media di circa mille persone al mese, la detenzione domiciliare non sposterà di molto il problema". Inoltre, secondo Gonnella, "i paletti posti nel dl all’ammissione alla detenzione domiciliare rendono evanescente un provvedimento che va comunque nel senso della presa di consapevolezza del problema carceri. Le misure discutibili - conclude Gonnella - sono: l’obbligatorietà della riparazione in favore della vittima che nel caso, ad esempio, degli immigrati che non rispettano l’obbligo di espulsione non si capisce come potrebbe essere applicata, l’aumento della pena per il reato di evasione e l’obbligatorietà del lavoro socialmente utile". Giustizia: Ance; no a procedure straordinarie su piano carceri
Ansa, 17 aprile 2010
"Non è da Paese civile sottrarre pezzi di mercato varando procedure straordinarie per interventi definiti di emergenza, ma che di emergenza non sono". È la posizione espressa dal presidente nazionale di Ance, Paolo Buzzetti, con riferimento al piano straordinario carceri al quale lavora un commissario speciale nominato dal governo. Il tema è al centro del convegno di Positano (Salerno) "Edilizia Giustizia" dei Giovani Imprenditori Edili, la cui seconda sessione è in corso oggi.Buzzetti ha lanciato un messaggio preciso al Governo ed alla platea dei costruttori: l’unica chance per uscire da una crisi micidiale è dare il via subito ad una "stagione di riforme rapide, condivise, frutto di una reazione collettiva e coesa fra Stato nazionale e cittadini". E, a sostegno della necessità, elenca le mancanze di uno Stato che strangola il cittadino-imprenditore con troppe norme, capaci di suscitare la rivolta persino dei segretari comunali e finiscono solo per selezionare i furbi che le eludono; che pretende le tasse, ma non paga per i lavori svolti, "costringendo le imprese al fallimento in nome di un patto di stabilità che è questione di lana caprina"; che impiega 10 anni per avviare un’opera pubblica di medie dimensioni, contro i 3 della media UE. Che tollera meccanismi perversi nell’aggiudicazione degli appalti come quello del massimo ribasso, che arriva a tagli sui prezzi del 45-50% possibili solo da parte dei più spregiudicati, da quelli che riciclano denaro sporco; ancora, che pesa sul costo del lavoro per i due terzi dello stipendio lordo di un operaio, di fatto incentivando chi fa lavorare in nero. "Le imprese chiudono, il mercato interno delle costruzioni ha perso il 30% negli ultimi due anni, i Lavori pubblici sono calati del 23%, l’Anas non ha più un soldo per nuovi appalti - ha denunciato Buzzetti: occorre una scintilla per innescare la ripresa, il rischio che un mercato imperfetto e segnato da ingiustizie strangoli definitivamente le imprese, purtroppo, è ormai fortissimo. Dovessi consigliare ai miei, ai nostri figli, di continuare a metterci il nome e l’impegno nelle imprese di famiglia, oggi sarebbe più facile dire: cercatevi altro da fare. Eppure - ha concluso Buzzetti rivolto ai Giovani Costruttori a Positano - io credo che oggi, più che mai, bisogna tutti assieme crederci ancora".
Contro la crisi rottamare le carceri
Rottamare le carceri: ovvero riconvertire in abitazioni, affidandole ai privati, i vecchi penitenziari e dare vita nel contempo a nuove strutture, moderne, efficienti, ecosostenibili ed effettivamente adeguate alla funzione, costituzionalmente garantita, di rieducazione dei detenuti. È La proposta che i Giovani costruttori edili di Ance Campania lanciano da Positano, dalla prima giornata del loro convegno dedicata al binomio edilizia e giustizia. La proposta trova un primo, autorevole sostenitore: il senatore Filippo Berselli, presidente della commissione Giustizia del Senato che tende la mano all’ipotesi di lavoro presentata dal vicepresidente regionale Mario Giustino. Al centro del dibattito anche le opportunità che arrivano con il varo del piano nazionale per l’edilizia carceraria da 1,5 miliardi di cui 700 milioni già disponibili per le emergenze. Con la pubblicazione sulla "Gazzetta ufficiale n. 73, del 29 marzo scorso, dell’ordinanza del 19 marzo 2010 il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria si ritrova con 700 milioni in cassa subito da spendere per progettare e costruire nuovi edifici di pena e ampliare quelli esistenti, allo scopo di "assicurare la tutela della salute e la sicurezza dei detenuti, garantendo altresì una migliore condizione di vita degli stessi. Si tratta della prima fetta della torta di finanziamenti da 1,5 miliardi messa sul piatto dal governo per svecchiare il patrimonio immobiliare costituito in Italia dagli istituti penitenziari. I giovani dell’Ance, riuniti a Positano guardano al provvedimento del governo come una opportunità da collocare nell’ambito del più ampio piano straordinario per l’edilizia carceraria, attualmente allo studio dell’apposita commissione istituita di recente dal governo. Sposa subito la proposta dell’Ance il senatore Filippo Berselli che promette di convocare una delegazione dei costruttori per confrontarsi con loro non appena giungerà in Commissione il piano straordinario del governo. L’Ance propone l’affidamento, ai privati, delle vecchie strutture carcerarie, con la fondamentale condizione che s’inneschi, per via legislativa, l’automatismo della cessione del titolo di proprietà da parte dell’amministrazione giudiziaria ed il contestuale cambio di destinazione d’uso da parte dei Comuni. Lettere: Mantova; caro sindaco in carcere difficile sopravvivere
La Gazzetta di Mantova, 17 aprile 2010
Signor Sindaco, lei è appena stato eletto e sicuramente non ha ancora il quadro completo dei problemi della piccola grande Mantova, ma visto che c’è, provi un po’ a interessarsi anche del carcere di Mantova. Da parecchio tempo si parla della situazione delle carceri italiane. Quello di Mantova in via Poma è uno dei più vecchi della Lombardia, nato per ospitare circa 80 detenuti e ora con un sovraffollamento di 240. Fiumi di parole e di promesse, ma la situazione purtroppo non cambia, anzi, peggiora di giorno in giorno. Ne hanno parlato politici, detenuti, direttore e poliziotti e ognuno di loro sembra avere la chiave per risolvere il problema. Vorrei portare la mia testimonianza di volontario del CSC (Centro solidarietà carcere). Sono entrato la prima volta nel carcere di Mantova nel 1992 e da allora, almeno 2 volte la settimana sono tra quelle mura. Vengo dal mondo del volontariato da una vita e chi mi conosce, sostiene che faccio bene ad aiutare il prossimo: i bambini e gli anziani, perché tutto ciò eleva la mente e lo spirito, ma con i detenuti no, loro non meritano niente, bisogna chiudere le celle e buttare le chiavi, sono il cancro della società, la spazzatura da eliminare: non vale la pena aiutarli. Io invece, dopo 18 anni, ho ancora lo stesso entusiasmo nell’entrare in cella e parlare con loro. Giorno dopo giorno ne esco arricchito di esperienza e umanità. Trovo persone che hanno i problemi di tutta la gente normale, ragazzi che potrebbero essere figli miei, padri di famiglia che attendono con ansia il giorno dei colloqui per vedere i propri cari e che per circostanze non sempre adducibili a loro, sono rinchiusi in strutture fatiscenti dove manca persino l’aria. Ognuno di loro ha uno spazio vivibile (o invivibile) di 1,8 mq a testa, latrina compresa. Devono convivere con altri che professano religioni e culture diverse, con reati di tutte le specie, abitudini diverse, fumatori con non fumatori ecc., il tutto per 24 ore al giorno. I carceri, secondo la legge, dovrebbero servire per redimere e recuperare soggetti pericolosi per la società e reinserirli nel mondo cosiddetto normale, lindi da ogni peccato, invece, i risultati sono lì evidenti: quando escono, i più non hanno altre alternative che ritornare a delinquere col risultato di essere di nuovo in carcere. Ma la situazione non è solo drammatica per i detenuti, pure la polizia penitenziaria, nettamente sotto organico, con turni massacranti e pagati male ha i suoi problemi nell’espletare bene il proprio lavoro, senza contare l’importanza dei loro rapporti relazionali verso i carcerati. La maggior parte di loro è consapevole di avere a che fare con persone e non animali e per questo riescono a instaurare rapporti che portano un po’ di sollievo per evitare che la situazione di per sé esplosiva, non degeneri e scoppi veramente. Come volontario, assieme alla mia associazione, chiedo a lei signor Sindaco e a tutti i nostri politici: possibile che nel 2010 non si possa garantire a delle persone quel minimo di igiene indispensabile per la sopravvivenza che la Costituzione stessa stabilisce? Non potrebbe essere una soluzione applicare quelle pene alternative di cui tanto si parla come la semidetenzione, la libertà controllata, il lavoro sostitutivo o la pena pecuniaria, per i reati che lo prevedono? Fate presto, non si può rimandare ancora. Si devono dare risposte concrete a queste emergenze per il bene della nostra società, presente e futura.
Mario Sassi Associazione Centro Solidarietà Carcere Mantova Sardegna: carceri fatiscenti e sovraffollate, mozione in Regione
Alguer.it, 17 aprile 2010
Il gruppo consiliare Comunisti - Sinistra sarda - Rossomori ha presentato in Consiglio regionale una mozione in riferimento all´attuazione della territorializzazione della pena, oltre alla drammatica situazione in cui versano le carceri sarde. "In merito alla drammatica situazione delle carceri sarde, fatiscenti, sovraffollate, con cronica carenza d’organico, nelle quali le condizioni di vita non sono degne di un paese che possa definirsi civile, è inammissibile che la Giunta regionale, nonostante sia stato siglato ormai quattro anni fa uno specifico protocollo d’intesa tra il Ministero della Giustizia e la Regione Autonoma della Sardegna, al fine di ovviare a tale situazione, ancora non si sia adeguatamente attivata per dargli attuazione". A sostenerlo in una mozione presentata in Consiglio regionale è il gruppo consiliare Comunisti - Sinistra sarda - Rossomori in riferimento all’attuazione della territorializzazione della pena previsto dalla legge 354/1975. Il protocollo prevede, in particolare, reciproci impegni allo scopo di dare attuazione ai principi costituzionali di applicazione della pena in termini di rieducazione e recupero sociale dei condannati, e di tutela della dignità umana, rendendo possibile la realizzazione di strutture diversificate di accoglienza per minori e di donne con bimbi, giovani adulti, stranieri. In base al suddetto principio i detenuti di origine sarda possono scontare la pena in istituti isolani, tenendo conto del luogo di residenza delle famiglie. Principio che può e deve essere applicato anche ai detenuti stranieri che chiedono di poter scontare la pena nel proprio paese d’origine, determinandosi, in tal modo, oltre la realizzazione di un principio di civiltà giuridica, il decongestionamento delle carceri sarde. La Seconda Commissione Consiliare ha invitato più volte la Giunta ad attivarsi per risolvere le suddette problematiche che attengono alla tutela dei diritti fondamentali della persona. Nella convinzione - concludono gli esponenti dell’opposizione - che sia urgente ed indefettibile l’intervento della Giunta in tal senso, si ritiene necessario presentare un’apposita mozione da porre al più presto all’ordine del giorno dei lavori del Consiglio. Fossano: tentativo rivolta, per affollamento e mancanza lavoro
Apcom, 17 aprile 2010
Ieri dalle 17.20 fino alle 22 la polizia penitenziaria in servizio presso la Casa di Reclusione di Fossano (Cn), è stata impegnata a sedare un grave tentativo di rivolta. Lo rende noto l’Osapp. La rivolta ha avuto luogo al secondo piano, dove è ubicata la sezione Penale al cui interno sono ristretti una sessantina di detenuti di nazionalità extracomunitaria, per reati che vanno dallo spaccio di stupefacenti al furto. Inizialmente, i reclusi hanno cominciato a sbattere le stoviglie e suppellettili, ma subito dopo, spiega l’Osapp, "la tensione è salita ed i detenuti hanno letteralmente sradicato il cancello di sbarramento della sezione (peso circa 4 quintali)". Tempestivamente è stato dato l’allarme, e tutto il personale a disposizione e libero dal servizio è stato chiamato ad intervenire. La Polizia Penitenziaria in poco tempo è riuscita a riportare l’ordine. "Oggi - comunica l’Osapp - anche grazie all’ausilio delle unità di Polizia penitenziaria provenienti dagli istituti Piemontesi, è stato effettuato il trasferimento di circa 15 detenuti ritenuti tra i promotori dei disordini che trarrebbero origine dal sovraffollamento e dalla mancanza di lavoro. Sempre nella mattinata, è stata effettuata una perquisizione generale con relativa bonifica dell’intero istituto, con l’ausilio delle unità cinofile della Polizia Penitenziaria". Benché ed ancora una volta, la Polizia Penitenziaria di Fossano e del Piemonte abbia dimostrato il più alto senso del dovere - dichiara il segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci - le condizioni esistenti in Piemonte e sul territorio nazionale, in quanto a gravissima carenza di organico, di risorse economiche e di mezzi, non consentiranno ancora a lungo alle donne e agli uomini del Corpo di mantenere vigenti legalità e sicurezza nelle carceri. Tra i provvedimenti in corso di adozione e che intenderebbero sfollare le carceri con la messa in prova per pena residue inferiori ad un anno il Governo non può dimenticare la Polizia Penitenziaria, sempre più abbandonata a se stessa nel sostenere fino in fondo il grave impatto degli errori che da tempo e soprattutto negli ultimi due anni si sono verificati nella gestione del sistema penitenziario italiano." Venezia: fare in modo che il carcere non sia "isolato" dalla città
La Nuova di Venezia, 17 aprile 2010
L’ennesimo suicidio nelle sovraffollate carceri italiane - il ventesimo dall’inizio dell’anno, uno alla settimana - pone con prepotenza al centro della nostra attenzione il problema delle carceri, della vita che vi si svolge all’interno, del sovraffollamento, della difficoltà di costruire - nonostante gli sforzi delle amministrazioni penitenziarie, dei volontari e del privato sociale - percorsi di reintegrazione e recupero per le persone detenute. Come fare perché il carcere non sia più vissuto come un luogo separato dalla città, ma come uno dei "territori" della città, una delle tante parti che, nel bene e nel male, la costituiscono? Una città è un insieme di luoghi, di persone, di ambienti e soprattutto di relazioni. Un carcere è un luogo nel quale molte persone dei più diversi ambienti hanno bisogno di costruire relazioni. Ma tra la città e il carcere le relazioni sono difficili. La direzione carceraria, la polizia penitenziaria, gli educatori, gli operatori, le cooperative sociali, i volontari, cercano ogni giorno di costruire nelle loro esperienze di lavoro o di volontariato un "territorio delle relazioni". Basta seguire anche solo per un giorno come funziona il "tempo del carcere" per rendersene conto. Ma questi sforzi, purtroppo, rimangono circoscritti all’ambito carcerario. Non vi è permeabilità tra il dentro e il fuori. E per molti detenuti la mancanza di relazione con l’esterno diventa un problema, quando si avvicina ad esempio la fine della pena e ci si deve organizzare per il reinserimento nella società. A Venezia ci sono tre carceri. La più nota è certamente la Casa Circondariale maschile di Santa Maria Maggiore. È una struttura che, negli ultimi anni, ha subito notevoli interventi di miglioramento delle condizioni di vita dei carcerati i quali ad esempio dispongono di doccia e di bagno in ogni cella, ma dove il cronico sovraffollamento difficilmente garantisce una adeguata protezione. Prova ne è i suicidi in carcere che anche a Venezia nel 2009 hanno funestato la città. Poi vi è il Carcere Femminile alla Giudecca, nel quale trovano luogo alcune delle esperienze più interessanti di lavoro in carcere, come nel caso del laboratorio di cosmetica e dell’orto biologico, due fiori all’occhiello del carcere, o della lavanderia che di recente è stata dotata di impianti moderni e più efficienti e che oggi è una realtà produttiva di tutto rispetto. E infine vi è la Sat, la Struttura Attenuata per Tossicodipendenti, sempre alla Giudecca. Ma questi tre luoghi, per quanto ristrutturati, per quanto dotati di servizi, per quanto attivi dal punto di vista delle possibilità di lavorare all’interno del carcere, sono comunque luoghi separati dalla città, dal mondo. Sono comunque sempre "carcere". E la separazione è ancora più netta se si pensa al sistema delle informazioni e dei servizi. Un sistema di relazioni adeguato al funzionamento della città presume l’organizzazione di un insieme di informazioni e di servizi che vengano forniti alla popolazione. A partire dall’Urp fino ai call center privati, la nostra vita è segnata da informazioni e servizi. Ma la popolazione segregata non può accedere a questi servizi. Ai reclusi questi servizi sono preclusi. Il Comune di Venezia negli ultimi anni ha molto innovato in questo senso, aprendo con propri operatori - in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria - sportelli informativi all’interno delle strutture carcerarie destinati ai detenuti e contribuendo ad aprire e sostenendo uno sportello informativo esterno, rivolto a familiari ed ex detenuti. Sono piccoli passi verso l’integrazione del carcere nella città, un tassello di quel ricco patrimonio di politiche e servizi sociali di eccellenza che la nostra città sa offrire ai suoi cittadini, a tutti i cittadini, compresa la popolazione detenuta nelle carceri cittadine. Tuttavia questo insieme di servizi e di attenzione ai più deboli va rafforzato ancora di più. Altrimenti il rischio è di lasciare soli non solo i detenuti, ma anche coloro che, nelle stesse difficoltà organizzative e logistiche, ogni giorno si adoperano per rendere vivibile quel territorio difficile e separato dal resto della città.
In Comune con Bettin Sulmona: la Commissione Errori Sanitari ha visitato il carcere
Il Velino, 17 aprile 2010
Una delegazione della Commissione parlamentare sugli errori sanitari e i disavanzi sanitari regionali, composta da Doris Lo Moro e Laura Molteni, ha visitato stamane il carcere di Sulmona, incontrando il direttore del carcere, il provveditore interregionale di Abruzzo e Molise, il responsabile della sanità dell’Asl di riferimento di Sulmona. La delegazione ha visitato la struttura, soffermandosi in particolare sui luoghi di cura, di lavoro e ricreativi, e ha poi incontrato detenuti sottoposti a diversi regimi detentivi. La visita, spiega una nota, ha consentito ai commissari di analizzare la situazione del carcere e di evidenziarne alcune criticità, come un parziale soprannumero relativo ad alcune tipologie, la carenza complessiva di organico e la difficoltà di molti detenuti di accedere alle attività lavorative, della quale chiedono l’implementazione, con conseguente disagio. Durante la visita si è inoltre appreso che gli educatori arriveranno al numero di circa otto unità. Dal punto di vista della situazione sanitaria, la delegazione ha constatato - come già emerso dalla audizione del direttore del Dap Franco Ionta in commissione nel gennaio scorso - alcuni problemi successivi al passaggio della sanità carceraria dal ministero della Giustizia alle Regioni. Ci si aspetta che il personale sanitario che fino ad oggi ha operato nelle carceri sia valorizzato per le proprie competenze ed esperienze specifiche. È emersa inoltre la preoccupazione che con il trasferimento di queste competenze anche la sanità carceraria dovrà essere in linea con i vincoli di bilancio delle Regioni stesse, in questo caso della Regione Abruzzo, obbligato a rispettare il piano di rientro previsto e sottoscritto dalla stessa. "Anche da questa visita emerge quanto sia importante arrivare a breve ad una definizione dei costi standard nelle prestazioni e nella gestione della sanità". A dichiararlo è l’on. Molteni (Lnp) che prosegue: "Il federalismo fiscale sarà una grande opportunità per tutto il paese in quanto consentirà un utilizzo virtuoso delle risorse e un’ottimizzazione delle stesse, attraverso l’eliminazione degli sprechi e una migliore gestione più responsabile e più responsiva della cosa pubblica. Ciò consentirà alle Regioni un equilibrio della gestione della salute di tutti i cittadini che risiedono sul territorio, detenuti compresi. La visita di stamane - ha concluso Molteni - finalizzata a conoscere la specifica situazione del carcere di Sulmona, costituisce il primo dei sopralluoghi che la Commissione farà nei prossimi mesi nelle carceri italiane, e dai quali potrà emergere una visione più ampia e complessiva e una conseguente analisi e valutazione propositiva. Bisogna porre molta attenzione da un lato alla salute psicofisica dei detenuti e dall’altro alla salute degli agenti di polizia penitenziaria e di tutto il personale che lavora in queste strutture oltre che alla salubrità dei luoghi. In questo caso il concetto di tutela della salute da una parte deve abbracciare tutto il contesto carcerario e dall’altra parte le strutture di riferimento sanitarie e socio assistenziali al di fuori di questi istituti". Secondo l’on. Lo Moro (Pd) "questa prima tappa ha confermato la validità della scelta della Commissione di aprire un filone specifico di indagine sulla salute nelle carceri, un settore particolarmente delicato anche a causa dei continui e tristi episodi di suicidio di detenuti. Da questo punto di vista, riteniamo fondamentale la visita sul posto, apprezzata dal personale penitenziario e dagli stessi detenuti, al fine di prendere conoscenza della situazione della struttura penitenziaria e poter stilare, al termine del ciclo di visite che la Commissione ha intenzione di intraprendere nei prossimi mesi, una relazione complessiva sulla tutela del diritto alla salute fisica e psichica dei detenuti delle carceri italiane". Aosta: attivata lavanderia, darà lavoro regolare a tre detenuti
Adnkronos, 17 aprile 2010
La prima ed unica attività lavorativa presso la Casa Circondariale di Brissogne in Valle d’Aosta è una lavanderia nella quale presteranno servizio 3 detenuti con regolare rapporto di lavoro che sarà inaugurata lunedì prossimo. La nuova lavanderia interna affidata in convenzione alla cooperativa sociale Les Jeunes Relieurs erogherà servizi sia alla casa circondariale, per il lavaggio delle lenzuola, coperte, grembiuli da cucina, strofinacci e degli indumenti personali dei detenuti, sia a clienti pubblici e privati. Tra le prime commesse esterne acquisite, il lavaggio degli indumenti degli anziani utenti del servizio di assistenza domiciliare del Comune di Aosta. Per Domenico Minervini, direttore della Casa Circondariale "l’affidamento di attività lavorative ad imprese e cooperative esterne in cui i detenuti debbano lavorare con condizioni molto simili a quelle delle realtà imprenditoriali esterne rappresenta un passo fondamentale per la formazione e rieducazione del detenuto". La fase di avvio dell’attività lavorativa è stata seguita ed accompagnata dall’Agenzia regionale del lavoro, in particolare attraverso il Programma di Iniziativa Comunitaria Equal ed un corso formativo cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo. Catania: il carcere di piazza Lanza è una bomba ad orologeria
www.siciliatoday.net, 17 aprile 2010
"I segnali di allarme provenienti dalla comunità penitenziaria del carcere di Piazza Lanza, a Catania, non possono più essere ignorati". È quanto denunciano i radicali di Catania sottolineando la disastrosa situazione del carcere cittadino. "I detenuti - si legge nella nota dei radicali - in questi giorni hanno scelto di battere sulle inferriate per denunciare le insostenibili condizioni in cui sono costretti a vivere. La polizia penitenziaria, dal canto suo, ha sottolineato la difficoltà di lavorare in un clima di crescente tensione". Catania, il carcere di Piazza Lanza è una bomba ad orologeria. La denuncia dei radicali Italiani soddisfatti dei servizi sanitari Studi di settore, essenziale il dialogo con il contribuente: addio alle liti col Fisco se non c’è contraddittorio Nella casa circondariale di Piazza Lanza sono presenti oltre 500 detenuti stipati in celle che a stento potrebbero ospitarne la metà. Il numero degli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio è gravemente sottodimensionato rispetto alla previsione della pianta organica. I radicali denunciano anche carenze nell’assistenza sanitaria e psicologica, così come assente sembra essere il lavoro e la possibilità di socializzare. La stragrande maggioranza dei cittadini detenuti nel carcere di Piazza Lanza è in attesa di giudizio. Nella metà dei casi, il reato contestato è la violazione della legge sulla droga. "In questo girone infernale - insistono i radicali - ubicato nel cuore della città sono sistematicamente violati regolamenti, leggi e convenzioni internazionali. L’art. 27 della Costituzione affida al carcere una funzione rieducativa, ma Piazza Lanza assomiglia di più ad una "scuola" di delinquenza: un luogo in cui chi entra è destinato ad uscirne, con tutta probabilità, peggiorato sotto il profilo della attitudine a commettere reati". Più volte, anche recentemente, esponenti radicali hanno effettuato visite ispettive all’interno del penitenziario catanese, constatando di persona una situazione di estrema emergenza. Rita Bernardini, deputata radicale e membro della Commissione Giustizia della Camera, dalla mezzanotte di mercoledì 14 aprile è in sciopero della fame per sollecitare il Parlamento ad affrontare con urgenza la questione delle carceri. "Adesso - concludono i radicali - non è più il tempo delle parole. Le istituzioni e i soggetti competenti, a qualsiasi livello, hanno il dovere di intervenire e disinnescare questa bomba ad orologeria, ristabilendo condizioni minime di legalità e dignità per chi vive recluso in carcere e per chi vi lavora. Continuare a guardare inerti o, peggio ancora, fingere di non vedere che la situazione è sul punto di esplodere sarebbe un atteggiamento a dir poco irresponsabile". Sassari: territorializzazione della pena? riaprire piccole carceri
La Nuova Sardegna, 17 aprile 2010
"Territorializzazione della pena? Iniziamo con la riapertura dei piccoli istituti carcerari sardi". Con queste parole il sindaco di Bono Piero Molotzu interviene nel dibattito sullo stato delle carceri e sul mancato rispetto degli accordi tra Stato e Regione che prevedono il riavvicinamento dei detenuti ai luoghi d’origine (225 sardi sono detenuti in carceri della penisola). Questo tema si collega a quelli, spinosi, del sovraffollamento dei penitenziari, dei problemi sanitari al loro interno, dell’edilizia carceraria e della carenza degli organici di polizia. Nell’isola esistono diverse strutture che, con poca spesa, potrebbero essere adibite (o meglio riadibite) a penitenziari. Tra questi il vecchio carcere di Bono, che attualmente è la sede della Compagnia dei Carabinieri. Nel giro di una decina di mesi, dopo il completamento dei lavori di costruzione della nuova caserma, l’Arma rimetterà l’edificio nella disponibilità del Comune. Perché allora non restituirgli il suo ruolo di carcere? "La struttura - spiega Piero Molotzu - era nata nell’ambito di un piano ministeriale come carcere mandamentale, ma con tutte le caratteristiche di sicurezza. A fronte di centinaia di milioni di euro che costa la realizzazione di nuove strutture, questo edificio, capace di ospitare una trentina di detenuti, potrebbe essere adeguato con quattro cinque milioni di euro. La sua rimessa in funzione come appendice del carcere di Nuoro Badu ‘e Carros, che dista poco più di trenta chilometri, potrebbe garantire un numero di posti sufficienti per una corretta ed economica gestione. Senza dubbio - aggiunge il sindaco - la detenzione in una struttura simile garantirebbe un trattamento più umano ai detenuti che spesso vivono in situazioni ambientali e igieniche drammatiche e al di sotto delle soglie di civiltà. Inoltre favorirebbe il rientro in Sardegna di molti agenti del corpo di polizia penitenziaria. Tanti provengono anche dal territorio di Bono, e hanno ancora casa da queste parti. Il rientro contribuirebbe al ripopolamento dei paesi dell’interno". Peccato che il Ministero di Grazia e Giustizia non sia dello stesso avviso, e che abbia risposto negativamente alla richiesta avanzata in tal senso dall’amministrazione comunale di Bono. "Già da tempo - racconta Molotzu - ho segnalato il problema scrivendo al ministro e al responsabile delle politiche carcerarie. Solo dopo vari mesi ho ricevuto risposta, ma il ministero sostiene che riaprire il piccolo carcere di Bono sarebbe economicamente svantaggioso a fronte di quelli che definisce "irrisori vantaggi". Personalmente non mi trovo d’accordo, ma mi rendo conto che se queste sono le logiche del ministero sarà difficile arrivare a soluzioni ragionevoli. Mi aspetto allora che il ministro mi dica cosa devo fare di questa struttura". - Barbara Mastino Bologna: il carcere raccontato… attraverso pittura e fotografia
Redattore Sociale, 17 aprile 2010
È l’obiettivo della mostra "Dentro e fuori: scatti e pitture" che viene presentata sabato 17 aprile alla biblioteca Casa di Khaoula. È il frutto di un laboratorio artistico realizzato all’interno del carcere della Dozza di Bologna. Raccontare il carcere attraverso la pittura e la fotografia. È l’obiettivo della mostra "Dentro e fuori: scatti e pitture" che viene presentata sabato 17 aprile alla biblioteca Casa di Khaoula. È il frutto di un laboratorio artistico realizzato all’interno del carcere della Dozza di Bologna dai volontari dell’associazione "Il Poggeschi per il carcere". "È una mostra itinerante - afferma Alessandro Sensini, volontario del Centro Poggeschi - per far conoscere alla cittadinanza bolognese il mondo della detenzione e del disagio adulto: storie di donne e uomini che, attraverso un’esperienza creativa, esprimono e interpretano ciò che sta dentro e fuori. La nostra iniziativa, inoltre, rappresenta uno stimolo per riflettere sulle buone prassi e sugli strumenti che le istituzioni e il privato sociale hanno a disposizione per creare reti di collaborazione e favorire pratiche di solidarietà". I quadri della mostra sono stati realizzati dai detenuti che negli ultimi anni hanno partecipato al corso di pittura. Da quest’anno, il laboratorio, a cui si sono iscritti circa 30 detenuti, ha coinvolto per la prima volta anche la sezione femminile. Le fotografie, invece, sono state realizzate dai soci e dagli ospiti della cooperativa "Dai Crocicchi", da dieci anni impegnata nel campo del disagio adulto e della detenzione. "I quadri sono anche in vendita - spiega Sensini - perché la nostra intenzione è quella di coniugare l’aspetto artistico e creativo a quello del riscatto sociale. Il ricavato andrà ai detenuti che hanno realizzato le opere". L’appuntamento è per sabato 17 aprile alle 11 nella biblioteca Casa di Khaoula di via Corticella. A Bologna. Il programma della giornata prevede anche la presentazione, da parte dei bibliotecari di Sala Borsa e della Dozza, del servizio di prestito inter-bibliotecario istituito fra le biblioteche comunali e la casa circondariale di Bologna. Un’iniziativa che negli ultimi anni ha fatto registrare un vero e proprio boom di richieste. Secondo i dati di Sala Borsa, dalle 43 richieste del 2006 si è passati alle 1.431 del 2009. Alle 12 sarà proiettato il documentario "Il diario di Romeo e Giulietta: fare teatro in un carcere minorile" realizzato da Maria Chiara Patuelli e Silvia Storelli di Crossing Tv. Previsto anche un intervento di Valerio Varesi, scrittore e giornalista di Repubblica. Ai partecipanti verrà distribuita una copia della biblio-filmografia "Mondi ristretti" dedicata al tema del carcere e curata dalle biblioteche del quartiere Navile. Non è la prima volta che i lavori creativi dei detenuti vengono presentati al pubblico. La mostra è già stata allestita al Centro Poggeschi, alla biblioteca Lame e alla galleria dell’Arengo di Zola Predosa. Nella Casa di Khaoula di via Corticella sarà possibile visitarla fino a sabato 24 aprile negli orari di apertura della biblioteca. L’iniziativa, promossa dal Centro Poggeschi e dalla cooperativa "Dai Crocicchi", è realizzata in collaborazione con il Comune di Bologna e il gruppo "Ausilio per la cultura" di Coop Adriatica. Padova: dal carcere al palcoscenico ma sulle orme di Annibale
Il Mattino di Padova, 17 aprile 2010
Dal carcere al palcoscenico, sulle orme di Annibale. Stasera alle ore 20 al Teatro alle Maddalene di via San Giovanni da Verdara va in scena lo spettacolo "Annibale non l’ha mai fatto", di Andrea Pennacchi e M. Cinzia Zanellato: un progetto Tam Teatrocarcere - N.c.p. Due Palazzi cui contribuisce l’Assessorato alle Politiche sociali della Regione, che vede coinvolti attori detenuti nel penitenziario di Padova. L’evento scenico, quinto appuntamento della rassegna "Contrappunti", nasce dal progetto di Tam Teatrocarcere al Due Palazzi ispirato al viaggio del giornalista Paolo Rumiz sulle tracce del grande generale cartaginese Annibale, che per vent’anni tenne sotto scacco Roma dopo aver varcato le Alpi con il suo potente esercito. Come gli uomini che conducevano gli elefanti di Annibale, o come i suoi cavalieri Numidi, Farid, Maher e Rashid, detenuti al Due Palazzi, sono protagonisti loro malgrado di un epocale movimento storico, quello dei migranti. La regia dello spettacolo è firmata da Andrea Pennacchi e M. Cinzia Zanellato, mentre i protagonisti sono Kessaci Farid (attore), Raffaella Rivi (video), Alessandro Martinello (luci-fonica), Claudia Fabris (collaborazione artistica) e Paola Valente (organizzazione). Si replica domani con inizio alle ore 18. Biglietti d’ingresso: 8 euro; ridotto 5 euro (sotto i 25 anni e sopra i 60). Prenotazioni ai numeri 049.654669 (mattina) oppure 334.7685121. Medio Oriente: più di settemila, i palestinesi detenuti da Israele
Ansa, 17 aprile 2010
Sono tuttora più di 7.000 i detenuti palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane e 270 di loro sono minorenni. È la stima aggiornata diffusa oggi a Ramallah dall’Istituto centrale di Statistica dipendente dall’Autorità nazionale palestinese (Anp). Il dato rivela una riduzione complessiva rispetto ad alcune cifre registrate nel passato (quando si era giunti a indicare un numero approssimativo di circa 11.000 reclusi), ma resta spropositata secondo i responsabili dell’Anp, che proprio domani commemoreranno la tradizionale "Giornata del Prigioniero palestinese". Tre dei reclusi conteggiati dall’Istituto di statistica sono in prigione in Israele da oltre 30 anni, 315 da oltre 15, mentre altri 264 risultano ancora in attesa di giudizio. In totale, l’Anp calcola che 760.000 palestinesi sono passati per le galere israeliane negli ultimi 43 anni: a partire dall’occupazione dei territori seguita alla Guerra dei Sei Giorni del 1967. Fra i detenuti più noti dell’attuale generazione spicca il nome di Marwan Barghuti, esponente di al-Fatah (il partito cardine dell’Anp), ex leader della milizia dei Tanzim e ispiratore della seconda Intifada, che giusto ieri ha compiuto il suo ottavo anno di reclusione. Brasile: estradizione di Cesare Battisti ora è nelle mani di Lula
Ansa, 17 aprile 2010
Il destino di Cesare Battisti è nelle mani di Lula. Il Supremo Tribunal Federal brasiliano (Stf) ha pubblicato oggi le motivazioni della sentenza con la quale mesi fa ha dato via libera all’estradizione in Italia dell’ex terrorista rosso, rilevando che ora spetta al presidente brasiliano pronunciare l’ultima parola: un documento, quello dell’Alta Corte, in cui si smonta in sostanza la tesi che Battisti sia un perseguitato politico. Uno dei punti chiave delle motivazioni sulla sentenza contro Battisti, che si trova in un carcere di Brasilia, rileva infatti che i quattro omicidi - commessi alla fine degli anni 70 - per i quali l’ex membro dei Proletari armati per il comunismo è stato condannato in Italia, sono stati perpetrati "senza alcun obiettivo politico immediato", né rappresentano "una legittima reazione ad un regime oppressivo". Il testo parla inoltre dell’Italia dell’epoca come di un paese "in piena normalità istituzionale dello Stato di diritto". Proprio sulla base di tale punto, sottolineano analisti locali, nel caso in cui il presidente Lula decidesse di confermare l’asilo politico a Battisti - come hanno ipotizzato anche oggi alcuni media brasiliani - dovrà presentare una motivazione diversa dalla persecuzione politica. Il dispositivo della sentenza pronunciata nel novembre scorso rileva inoltre che "nonostante la decisione" - e cioè il sì all’estradizione - dell’Alta Corte "non sia vincolante", Lula dovrà "osservare i termini del trattato di estradizione firmato tra Brasile e Italia". I giudici fanno in altre parole capire che pur avendo ora Lula l’ultima parola, lo stesso capo dello Stato dovrà muoversi nell’ambito dell’accordo di estradizione Roma-Brasilia in vigore da diversi anni. A concedere lo status di rifugiato politico a Battisti era stato, nel gennaio 2009, l’ex ministro della Giustizia, Tarso Genro, che aveva preso tale decisione sulla base "dello statuto dei rifugiati del 1951", il quale prevede quali ragioni valide per la concessione dell’asilo "il fondato timore di persecuzione per motivi di razza o di opinione politica". La pubblicazione delle motivazioni sul sito web dell’Stf (due pagine di sintesi, su un totale di 200) giunge pochi giorni dopo - lo scorso lunedì a Washington - di un colloquio tra il premier Silvio Berlusconi e lo stesso Lula, il quale in quell’occasione aveva fatto sapere di voler aspettare "le motivazioni" con cui la Corte avrebbe argomentato la sua sentenza. Il premier aveva da parte sua espresso totale fiducia nei confronti delle autorità brasiliane per l’espletamento delle procedure di estradizione, oltre al rispetto nei confronti del lavoro dei giudici brasiliani. Ora il documento è di fatto sul tavolo del capo di Stato. Fonti della difesa di Battisti hanno ricordato all’Ansa di avere cinque giorni di tempo, a partire da lunedì, per leggere e controllare con la lente d’ingrandimento le 200 pagine della sentenza. "Valuteremo se ci sono contraddizioni od eventuali punti oscuri nel testo", hanno rilevato le fonti, che secondo le norme brasiliane non hanno più possibilità di presentare ricorsi.
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