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Giustizia: allarme carcere, tra morti e affollamento straripante di Liana Milella
La Repubblica, 10 aprile 2010
Un altro morto nel carcere di Sulmona. Quota 13 in dieci anni. Di cui 11 suicidi. E schizza a 54, in media uno ogni due giorni dall’inizio del 2010, il numero dei decessi in cella. Il cadavere di Domenico Cardarelli, romano, 39 anni, lo scopre il compagno e dà l’allarme. Un segnale che arriva subito a Roma, ai vertici dell’amministrazione penitenziaria e del ministero della Giustizia dove le preoccupazioni per un sovraffollamento straripante turba i sonni del Guardasigilli Angelino Alfano e del capo del Dap Franco Ionta. Cifre mai raggiunte, 67.206 detenuti al 31 marzo, di cui ben 24.935 stranieri. Un trend stabile di crescita di 700 nuovi ingressi al mese, ad agosto saranno superati i 70mila. E per quel periodo, di solito il più temuto, la paura di proteste forti e possibili rivolte sono evidentissimi. I primi segnali già si avvertono: battiture alle inferriate di Poggioreale, due agenti sequestrati a Porto Azzurro. Il morto di Sulmona diventa un nuovo campanello d’allarme. Che riapre un caso mai del tutto chiarito, la ragione dei suicidi che si susseguono in un carcere sovraffollato dove la sezione degli internati, chi non sconta più la pena ma dovrebbe stare in una casa lavoro per riabilitarsi, scoppia letteralmente. Lì non lavorano perché il lavoro non c’è, di fatto sono solo reclusi. Il Pd chiede ad Alfano di chiuderla, ma ai vertici del Dap c’è sgomento: "E poi chi sta lì dove lo portiamo?". Ancora non si sa di cosa sia morto Cardarelli. Il procuratore Federico De Siervo ha disposto l’autopsia. L’immediata ispezione ha rivelato che in cella c’era un barattolo con una droga chimica. C’è l’ipotesi overdose. Ma Cardarelli, appena tornato da un permesso, sembrava un tipo tranquillo. Inevitabile, per il Dap, una nuova ispezione, come quella che ci fu nel 2005 dopo il boom dei suicidi. Ma le ragioni del malessere sono già note, non si può vivere in cella pressati come sardine. Scrive Ristretti orizzonti che segue il susseguirsi dei decessi: "Nelle carceri si muore così spesso perché negli ultimi 20 anni sono diventate il ricettacolo di tutti i disagi umani e sociali". È pur vero che un’emergenza come l’attuale è inedita. Si fece l’indulto nel 2006 quando i detenuti erano 63mila. Ora i pannicelli di Alfano sono la messa in prova per chi rischia di scontare tre anni e i domiciliari per chi ne ha di fronte solo uno. Dicono al Dap: "In Parlamento si devono mettere una mano sulla coscienza: se queste misure non vengono approvate per agosto la situazione rischia di precipitare". Il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, che ieri ha chiesto i dati a Ionta, è impegnato in una difficile mediazione: portare a casa il pacchetto che garantirebbe di mandare ai domiciliari il 32% dei 35.348 detenuti definitivi. Cui si aggiunge chi, con la messa in prova, non entrerebbe neppure in cella. Ma la trattativa è difficile, la Lega contraria, nel Pdl distinguo causidici, Di Pietro scatenato, il Pd disposto al sì ma con precise garanzie (come dice il responsabile carceri Sandro Favi). Nel frattempo in cella si muore. Giustizia: suicidi e proteste, ma la Lega stoppa il "piano Alfano" di Claudia Fusani
L’Unità, 10 aprile 2010
La Radicale Rita Bernardini ha chiesto che la Commissione giustizia in sede legislativa approvasse subito il ddl del governo con la messa alla prova per chi deve scontare meno di tre anni. La Lega si smarca dal Pdl. Vite e numeri. L’ultimo detenuto trovato morto nel supercarcere di Sulmona si chiamava Domenico Cardarelli, 39 anni, romano. Dicono che sia stata un’overdose. Poche ore prima era stato trovato cadavere nel carcere di Benevento C.B. anche lui 39 anni, in attesa di giudizio ha trovato una calzamaglia di nylon e si è appeso alla maniglia di un porta. Sono i decessi numero 53 e 54 dall’inizio dell’anno, una media di uno ogni due giorni, 18 sono suicidi. L’anno scorso erano stati 175, 72 i suicidi, l’ago indica nuovi record. Dal 2000 a oggi i decessi sono stati 1.651, gli abitanti di un intero paese. Fatti. Tre padiglioni del carcere napoletano di Poggio Reale picchiano da ore le pentole contro le sbarre per denunciare il sovraffollamento troppo oltre la soglia della dignità in cui sono costretti a vivere: 2.786 presenze contro una capienza massima di 1.500 posti. È più o meno così in tutta Italia e il rischio, di cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è ben consapevole, è che la protesta dilaghi, vada oltre Napoli e Poggio Reale. Nel carcere di Porto Azzurro due agenti sono stati sequestrati per due ore da una quarantina di detenuti. Stress da sovraffollamento. I detenuti ristretti nei 103 penitenziari italiani sono oltre 67 mila contro 43 mila posti disponibili. Il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi ha consegnato 500 materassi ai detenuti del carcere di Sollicciano. Non li avevano. Timori e messaggi. Sempre a Sulmona è stato fatto ritrovare un proiettile calibro 9 davanti al portone. E a San Vittore, qualche giorno fa, una bomba carta è stata lanciata oltre il muro di cinta. "Temiamo possibili attentati, chiediamo la convocazione urgente del Comitato nazionale dell’ordine e della sicurezza pubblica sull’emergenza carceri" dicono i sindacati degli agenti penitenziari. Agenti sequestrati. L’elenco delle voci che compongono l’emergenza carcere è lungo assai, fatto di tanti numeri, nessuno è una statistica, tutti insieme raccontano di un allarme rosso e di una minaccia che potrebbe esplodere da un momento all’altro. "Di sicuro - affermano i vertici del Dap - non è pensabile arrivare al primo caldo in queste condizioni". Urge una soluzione al più tardi entro la metà di maggio. Ma le soluzioni già individuate sulla carta dal direttore del Dap Franco Ionta e avallate dal ministro Guardasigilli Angelino Alfano fino ad ottenere lo stato di emergenza (anche di questo si doveva occupare la Protezione Civile e il clan della Ferratella), si bloccano davanti ai veti incrociati della stessa maggioranza. Alfano e Ionta avevano strappato a gennaio un sì convinto al piano carceri (24 nuovi edifici e duemila agenti in più) per cui servono tempi e soldi. Nell’immediato l’unica soluzione possibile è un mini-indulto tale da consentire l’uscita "sotto osservazione" di oltre diecimila detenuti definitivi con condanne non superiori ai tre anni. Si chiama messa alla prova. Ma la Lega dice no. Gli ex di An storcono la bocca. Di Pietro dice "non se ne parla". Idem il Pd. L’indulto del 2006 è stato a lungo rinfacciato dagli elettori di centrosinistra. È cronaca parlamentare di questi giorni dopo la pausa pasquale. Il gruppo Radicale, che fa parte del Pd e che denuncia in continuazione l’illegalità del nostro sistema carcerario, ha proposto con Rita Bernardini che la Commissione giustizia valutasse in sede legislativa il ddl sul mini-indulto. Idea bocciata per motivi diversi ma da tutti tranne il Pdl. Il Carroccio dice no perché "è una forma di indulto e noi siamo il partito della certezza della pena". Il Pd prende tempo perché "non capisce come tutto questo possa essere a costo zero". L’Idv perché "troppi sono i punti che devono essere approfonditi". Il cammino del ddl sarà quindi lungo. E dall’esito incerto nonostante porti la firma del governo. Ma l’emergenza non può più attendere. Pasqua di Resurrezione, cominciamo anche dal carcere e dai detenuti, scriveva l’altro giorno Adriano Sofri. Il contatore dei decessi in cella corre veloce. Muoiono per disperazione. Dovrà intervenire di nuovo la Chiesa. Era già successo nel 2006. Martedì la potente comunità di Sant’Egidio scende in campo per affrontare l’emergenza. Giustizia: su ddl svuota-carceri Alfano non raccoglie consensi
Il Sole 24 Ore, 10 aprile 2010
Una Lega più di lotta che di governo rischia di far perdere colpi al ddl "svuotacarceri" del ministro Angelino Alfano, destinato a sfoltire la popolazione carceraria di circa 10mila detenuti e, in prospettiva, a limitare gli ingressi nelle patrie galere. "Un indulto mascherato" e "un’amnistia mascherata", ha paventato, ieri, il leghista Nicola Molteni, durante la seduta della commissione giustizia della Camera, dov’è cominciata la discussione del ddl sulla "detenzione domiciliare " per chi deve scontare solo 1 anno di carcere (anche come pena residua), e sulla "messa alla prova" di chi è imputabile di reati puniti fino a 3 anni. Parole analoghe a quelle del leader dell’Idv Antonio Di Pietro, contrario al provvedimento, sostenuto - sia pure con sfumature diverse - dall’inedito asse Pdl-Pd, dal sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo e dalla presidente della commissione, Giulia Bongiorno, che ne condivide "la ratio" pur ritenendo opportuno approfondire alcuni aspetti. La seduta di ieri ha rivelato che la Lega vuole giocare da protagonista, e non da gregaria, la partita delle riforme, anche a costo di smarcarsi dal governo. Come nel caso del carcere e dell’emergenza sovraffollamento (i detenuti hanno superato quota 67mila, 24mila più dei posti regolamentari e nel 2010 già si contano 18 suicidi); un’emergenza nazionale da affrontare con un "piano straordinario" di edilizia, assunzioni e misure sanzionatorie diverse dal carcere. Mai come ieri la Lega si è smarcata dal governo, anche se non aver fatto obiezioni al ddl "svuota carceri" dopo l’approvazione del ddl al consiglio dei ministri di gennaio, sebbene le misure andassero in direzione opposta alla linea del Carroccio della "tolleranza zero". A settembre 2009, circa il 32% dei detenuti definitivi scontava pene non superiori a un anno (25% nel 2007, 31% nel 2008). Il che, oltre ad aumentare il disagio dei detenuti, espone lo stato alle condanne della corte di Strasburgo per trattamenti inumani e degradanti e impedisce di attuare il principio costituzionale della rieducazione. Con la "detenzione domiciliare" (fruibile anche da stranieri e recidivi) dovrebbero uscire da 7mila a 10mila detenuti; ma ieri, in commissione, tutti hanno chiesto dati più dettagliati,anche sull’effettiva esistenza di luoghi, diversi dal domicilio, in cui accogliere i beneficiari della "detenzione domiciliare" (il sospetto è che gli stranieri senza domicilio finiscano nei Cie). Quanto alla "messa alla prova" (sospensione del processo in cambio di lavori di pubblica utilità, al termine dei quali, se la prova è riuscita, il reato si estingue), anche qui è stato chiesto (in particolare dal Pd) di dimostrare l’esistenza di una "rete" effettiva che garantisca lo svolgimento dei lavori socialmente utili. Mercoledì il governo dovrebbe fornire dati e risposte. E si capirà se, e fino a che punto, la Lega voglia fare opposizione. Giustizia: solo 19 psicologi di ruolo e assistono 68mila detenuti di Dina Galano
Terra, 10 aprile 2010
Dall’inizio dell’anno salgono a 54 i decessi nei penitenziari italiani. Diciotto i suicidi. L’ultimo, a Sulmona, è anche un atto d’accusa contro l’assenza di assistenza sanitaria e psicologica agli internati. Nelle carceri italiane muore un detenuto ogni due giorni. Per precarie condizioni di salute, per tossicodipendenze croniche, per suicidio. Così spesso "perché negli ultimi venti anni le carceri sono diventate il ricettacolo di tutti i disagi umani e sociali, ma anche perché le condizioni detentive sono sempre più difficili", ha spiegato in un comunicato l’associazione Ristretti Orizzonti che cura l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere. Ieri è stato confermato l’ultimo caso: un internato nel penitenziario di Sulmona si è tolto la vita nella notte, probabilmente a seguito di un’overdose. Non è ancora chiaro se si sia trattato di un atto autolesionista, oppure della conseguenza di un sovradosaggio accidentale di sostanze stupefacenti. Con questo decesso, tuttavia, la conta nazionale è salita a 54 vittime da inizio anno, 18 di queste avvenute per auto soppressione. Se parte della responsabilità dell’emergenza penitenziaria è riconducibile all’alto tasso di sovraffollamento (anche la capienza limite è stata superata da tempo, portando a oltre 68mila il numero dei reclusi), mancano strutture, assistenza psicologica, attività di trattamento e controlli sanitari. Soltanto il 20 per cento dei detenuti, ricorda Ristretti Orizzonti citando una recente ricerca della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria, può dirsi in buona salute. E ciò che è accaduto - e si è ripetuto - nel supercarcere di Sulmona ha fatto meritare all’istituto l’appellativo di "carcere dei suicidi". Per la sua lunga storia, ma anche per il più alto tasso registrato dall’inizio del 2010: quattro tentati suicidi sventati dall’intervento degli agenti penitenziari, e tre consumati. Gli ultimi due avvenuti a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. In entrambi i casi si è trattato di internati nella sezione Casa-lavoro. "Si tratta di persone che, pur non essendo autori di reato, sono reclusi in base alla sola pericolosità sociale", spiega Irene Testa, dell’associazione Il detenuto ignoto, che ha visitato la struttura nel giugno scorso. "Qui sono trattenuti spesso ragazzi molto giovani, chiusi in celle piccolissime in un regime di semilibertà che, però, non è accompagnato da effettive attività lavorative". Chi arriva al gesto suicida, dunque, può anche essere una persona senza pena, dunque senza colpa oggettiva. Indispensabile in questi casi, è l’assistenza psicologica, passata alla competenza del Servizio sanitario nazionale non senza ripercussioni, come spiega la psicologa Paola Giannelli, che svolge la sua attività proprio nel carcere di Sulmona. "Allo stato attuale - argomenta la dottoressa - a fronte dell’emergenza suicidi e del disagio psichico, sono soltanto 19 gli psicologi di ruolo (ex articolo 80 dell’ordinamento penitenziario, ndr) a curare l’assistenza penitenziaria di 68mila detenuti". In queste condizioni, denuncia Giannelli, "la tutela dei diritti dei detenuti, ma anche la sicurezza delle carceri, è fortemente compromessa". Giustizia: da Sant’Egidio, conferenza su suicidi e affollamento
Adnkronos, 10 aprile 2010
"Dinanzi ai tanti suicidi, mentre torna l’allarme per il sovraffollamento carcerario e primi investimenti segnalano la preoccupazione dell’autorità giudiziaria e la ricerca di soluzioni", la Comunità di Sant’Egidio propone una riflessione sulla situazione del sistema carcere in Italia, lanciando alcune proposte in una conferenza convocata per martedì prossimo alle 11 nella sede della comunità. Saranno presentati dati, commenti e suggerimenti su salute, pene alternative, indulto, diritti e condizioni dei detenuti. La Comunità di Sant’Egidio è presente da molti anni in diversi penitenziari italiani con i suoi volontari e ha condotto un monitoraggio dell’evoluzione della popolazione carceraria, della legislazione in materia e delle problematiche che ruotano attorno alle carceri. Giustizia: Alfano; sulla strada dei mafiosi… il carcere durissimo
Agi, 10 aprile 2010
"La mafia tenta sempre di perpetuare se stessa, però i segnali che arrivano oggi sono confortanti e vanno in una duplice direzione: da un lato un’aggressione ai patrimoni senza precedenti, dall’altra tanti arresti". Lo ha detto il ministro della Giustizia Angelino Alfano, ospite dei giovani del Pdl nella sede del Parlamento siciliano, in occasione della presentazione di un corso di formazione politica. "Se provate a sfogliare il catalogo di coloro i quali stanno al 41 bis - ha proseguito Alfano - vi renderete conto che tutti i boss sono non solo in carcere, ma al carcere duro. Credo che proprio oggi che svolgiamo un corso di formazione con giovani che vogliono impegnarsi in politica e nelle istituzioni, valga la pensa di sottolinearlo: fare il mafioso non solo è una cosa ignominiosa, è anche sconveniente, perché prima o poi si finisce in galera, al carcere durissimo". Giustizia: Cgil, il 24 protesta anche dei lavoratori penitenziari
Adnkronos, 10 aprile 2010
"I lavoratori Penitenziari, della Giustizia Minorile ed Archivi Notarili della Fp Cgil il 24 aprile scenderanno in piazza con i lavoratori giudiziari". Lo annuncia Antonio Crispi, segretario nazionale Fp Cgil. "La giustizia è un bene costituzionalmente garantito - prosegue Crispi - e dunque sentiamo la necessità di difendere tale diritto come cittadini, tuttavia la politica scellerata del Ministro Alfano coinvolge tutte le articolazioni di questo Ministero. L’accordo del 15 dicembre 2009, modificato in alcune parti e sottoscritto il 2 marzo scorso -spiega il sindacalista - riguarda tutti i Dipartimenti ed è stato firmato dalla minoranza delle organizzazioni sindacali, in spregio delle regole della democrazia: si tratta di un pessimo accordo che non tiene conto né delle aspettative dei lavoratori né delle loro professionalità". Per la Fp Cgil, "le condizioni di lavoro dei lavoratori penitenziari, della giustizia minorile e degli Archivi Notarili sono difficilissime a causa delle gravi carenze di risorse umane ed economiche per far fronte alle quali il Ministro Alfano non ha mosso un dito". "Inoltre nel recente Decreto Milleproroghe - dice ancora il sindacato - è stato approvato un ulteriore taglio degli organici del 10% che peggiorerà ulteriormente le condizioni di lavoro e costringerà molti uffici alla chiusura e alla paralisi del sistema dell’esecuzione penale interno ed esterno". "Mentre da una lato si magnifica il Piano Carceri - si legge nella nota - e si apportano modifiche normative in materia di esecuzione penale, dall’altro si tagliano le figure professionali preposte al trattamento in termini di organico e di competenze svilendone il significato professionale. Mentre da un lato si prevedono 400 nuovi notai dall’altro si diminuisce l’organico degli Archivi. La giustizia minorile che ha un organico ormai insufficiente di personale tecnico non riesce ad assumere gli educatori vincitori di concorso ed a bandire un concorso per assistenti sociali, ormai indispensabile. Questa politica schizofrenica va arginata e non si può tacere davanti all’arroganza dell’Amministrazione che firma accordi con la minoranza dei sindacati. Per questo il 24 aprile tutti in piazza - conclude Crispi - per difendere il nostro diritto alla giustizia come cittadini e difendere i nostri diritti di lavoratori". Lettere: su Cucchi, aspettiamo ancora le risposte del Governo di Enrico Letta (Vicesegretario del Partito Democratico)
L’Unità, 10 aprile 2010
Enrico Letta ci scrive come già fece a gennaio: "I medici hanno fugato i dubbi: per la morte di Stefano ci sono dei responsabili Il Paese chiede verità per dare senso alle parole civiltà e giustizia". Se dubbi c’erano, la relazione dei medici legali li ha fugati tutti. La morte di Stefano Cucchi ha dei responsabili. Non è stata né accidentale né fortuita. Ora la richiesta di verità è ancora più forte e motivata. A gennaio chiedemmo al presidente del consiglio con una lettera aperta su l’Unità di non lasciare la vicenda all’inerzia della burocrazia e alle prevedibili lungaggini che aiutano l’omertà. Quella lettera non ha avuto seguito: è grave e lo diciamo certo non per una questione di galateo. E non vi è scarso rispetto per gli organi che si stanno occupando della vicenda. Anzi. Vogliamo incoraggiarli a perseverare fino a che siano date le risposte che la famiglia di Cucchi chiede con compostezza e fiducia nella giustizia. Continuiamo invece a pensare che il capo del governo dovrebbe prendere questa drammatica storia a emblema. Dovrebbe farne un caso nazionale proprio per dare a tutti il segno che per un paese come l’Italia è inconcepibile che succeda quel che è successo a Stefano Cucchi. E per far sapere a tutti quelli che possono essere tentati di avere atteggiamenti simili a quelli che hanno portato alla morte di Cucchi che non ci sono burocrazie omertose in grado di coprire e nascondere. Per questo motivo che il capo del governo decida o no di mettere l’attenzione sul caso noi non vogliamo desistere. Continueremo come tanti cittadini italiani a tenere accesa la luce sul caso Cucchi. Continueremo a sostenere la voglia di giustizia che la famiglia chiede tenacemente. E continueremo a ricordare al presidente del consiglio che questo caso esiste ed esisterà finché la verità non sarà appurata e le colpe riconosciute e sanzionate. Perché solo se ciò accadrà potremo pensare di vivere in un paese nel quale le parole civiltà e giustizia hanno davvero un senso pieno. Toscana: Sappe; carceri fuori legge, pensare anche agli agenti
Ansa, 10 aprile 2010
"La Regione Toscana pensi anche agli Agenti di polizia penitenziaria, non solo ai detenuti". Lo scrive in una nota il segretario generale del Sappe Donato Capece commentando la visita del neopresidente della Regione Toscana Enrico Rossi al carcere di Sollicciano (Firenze). "La Toscana - scrive Capece - è una delle regioni italiane "fuori legge" dal punto di vista penitenziario. A fronte di una capienza regolamentare pari a 3.215 posti letto, oggi le 18 carceri regionali ospitano quasi 4.500 detenuti, dei quali oltre il 52% stranieri. Siamo in una situazione di sovraffollamento reale a tutto discapito delle difficili condizioni di lavoro delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria". Dato "altrettanto grave - scrive Capece - è proprio quello relativo al personale di Polizia penitenziaria in servizio in Toscana. Mancano 900 unità: invece dei 3.021 previsti dalle piante organiche ne abbiamo in servizio 2.150. L’allarmante situazione delle carceri toscane sta determinando tensioni tra gli stessi detenuti e inevitabili problemi di sicurezza interna che ricadono sulla Polizia penitenziaria che ha mantenuto fino ad ora l’ordine e la sicurezza negli Istituti toscani, a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato, nonostante continue e costanti umiliazioni e aggressioni. Ma la situazione rischia di degenerare. Per questo mi auguro che il neo governatore della Toscana Enrico Rossi, che oggi ha visitato il carcere di Firenze Sollicciano, impegni la sua Giunta con interventi concreti". Liguria: Sappe; 1.738 detenuti, ben oltre la capienza massima
Ansa, 10 aprile 2010
Secondo le ultime rilevazioni statistiche aggiornate al 31 marzo scorso, i detenuti presenti negli Istituti penitenziari della Liguria hanno superato la ricettività massima tollerabile delle strutture e si aggravano ogni giorno di più le gravi condizioni di lavoro del personale di polizia penitenziaria, nettamente sotto organico in Regione: è la denuncia del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa della categoria, che con il segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria Roberto Martinelli commenta: "Al 31 marzo scorso erano presenti in Liguria 1.738 detenuti, record storico mai registrato neppure ai tempi immediatamente precedenti l’indulto del 2006, a fronte di una capienza regolamentare degli Istituti pari a 1.140 posti letto. Non solo: la presenza di stranieri tra i reclusi della Liguria si attesta tra il 50 ed il 60% dei presenti e nella nostra Regione si registra anche la percentuale più alta a livello nazionale di detenuti tossicodipendenti (circa il 40% dei presenti rispetto ad una media nazionale del 25%) e, altro record negativo a livello nazionale, quello dei detenuti che lavorano, che in Liguria sono solo il 15% dei presenti. Questi emblematici dati - prosegue - dovrebbero far comprendere una volta di più anche ai non addetti ai lavori ma soprattutto a mondo politico e parlamentare come i livelli di sicurezza dei nostri penitenziari siano assai limitati e in quali drammatiche e difficili condizioni lavorino con professionalità e senso del dovere le donne e gli uomini della polizia penitenziaria in Liguria, carenti in organico di ben 400 unità in meno. Non è un caso che in alcune realtà penitenziaria sia stato già proclamato lo stato di agitazione del Personale di Polizia Penitenziaria per le precarie condizioni di lavoro dei Baschi Azzurri". "La situazione penitenziaria - aggiunge Martinelli - si aggrava infatti ogni giorno di più, come attestano gli oltre 67mila detenuti che oggi affollano i 206 istituti penitenziari italiani in cui mancano più di 5mila agenti di polizia: in questo contesto - conclude - è necessario avere garanzie che il Piano carceri del governo trovi una prima urgentissima applicazione nelle parti in cui si prevedono interventi normativi che permettano l’assunzione di 2mila agenti di polizia penitenziaria e l’introduzione della possibilità di detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena residua e di messa alla prova delle persone imputabili per reati fino a tre anni, che potranno così svolgere lavori di pubblica utilità". Empoli: usiamo il carcere vuoto per sfollare Opg di Montelupo
Nove da Firenze, 10 aprile 2010
"Per migliorare le condizioni di vita dei detenuti all’Opg di Montelupo utilizziamo la casa circondariale di Empoli". Il sindaco di Empoli, Luciana Cappelli, propone un riutilizzo della struttura carceraria del Pozzale per alleviare il sovraffollamento che caratterizza l’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. "L’interruzione delle procedure di riapertura della casa circondariale di Empoli decisa dal Ministro della Giustizia ci lasciano sorpresi e ci preoccupano - dice il sindaco Cappelli - e ci sorprende che un percorso già deciso, pubblicizzato e alla fase finale di preparazione, tanto che erano già stati predisposti corsi di formazione per il personale che avrebbe dovuto lavorare all’interno della struttura, sia stato improvvisamente bloccato, manifestando una grave incapacità nel prendere decisioni definitive". "Ci preoccupa il fatto che, a fronte di una struttura ormai da mesi chiusa e inutilizzata, altri istituti debbano sopportare presenze che vanno ben oltre il limite consentito, impedendo ai carcerati di vivere la loro detenzione in una condizione di vita dignitosa. Non importa andare molto lontano per incontrare strutture, come l’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, nelle quali il problema del sovraffollamento sta raggiungendo livelli insopportabili". "Come sindaci - prosegue Cappelli - abbiamo sempre inteso il Circondario Empolese-Valdelsa non come un insieme di comuni ma come un insieme di territori legati fra loro da una condivisione delle problematiche che via via si presentano, e di strategie per individuare le soluzioni e le opportunità. Alla luce di questa interpretazione del ruolo del Circondario, ritengo che una collaborazione per la vivibilità delle strutture di Montelupo e di Empoli potrebbe costituire un’ottima opportunità di utilizzo della nostra casa circondariale, e di miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti ospitati all’Opg". "Il Comune di Empoli ha sempre dimostrato, e continuerà a farlo, la propria disponibilità a discutere con le altre autorità competenti sulla destinazione futura della struttura del Pozzale, accettando il confronto e portando le proprie idee e proposte". "La fatica di comprendere e, ancor di più, di accettare questa ulteriore fase di stallo - conclude il sindaco - mi rafforzano ulteriormente nella convinzione che quella della casa circondariale del Pozzale sia una risorsa e un’opportunità da non disperdere". La proposta del sindaco di Empoli si inserisce nell’attuale dibattito sulle condizioni dei detenuti nelle carceri toscane, che ha visto nei giorni scorsi numerose prese di posizione: dal nuovo presidente della Regione, Enrico Rossi, al garante dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, al segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Donato Capece. Sulmona: indagini su un proiettile ritrovato davanti all’ingresso
Il Tempo, 10 aprile 2010
Allarme attentati all’interno del carcere di Sulmona dopo gli accadimenti degli ultimi giorni. C’è tanta paura soprattutto perché nel supercarcere sono rinchiusi tanti personaggi della malavita campana e siciliana. Si teme per l’istituzione penitenziaria e in particolare per il corpo di Polizia dopo il ritrovamento, due giorni fa, di un proiettile calibro 9 davanti all’ingresso della struttura. Al momento, da fonti interne al penitenziario di via Lamaccio, si è appreso che il proiettile potrebbe essere stato smarrito da un componente delle scorte che ogni giorno si recano al carcere. Un’ipotesi che potrebbe quindi escludere l’attentato, anche se la fibrillazione non è stata accantonata. "Sul proiettile - è stato riferito - è impresso l’anno di fabbricazione e da questo particolare se ne potrà accertare l’appartenenza. Al momento si esclude comunque che possa essere del personale in servizio nella struttura sulmonese". Sul ritrovamento del proiettile sono ancora in corso le indagini e nei prossimi giorni se ne conoscerà la provenienza. A denunciare il timore di un possibile attentato, il segretario generale del Sappe, Donato Capece che ricorda come un episodio analogo avvenne nel febbraio scorso, dopo il suicidio di un detenuto. Secondo il sindacalista "manifestazioni di intolleranza verso l’istituzione penitenziaria sono sempre più frequenti, come dimostra il lancio qualche giorno fa di bombe carta nell’intercinta del carcere milanese di San Vittore". Una situazione "bollente" per la quale si chiede maggiore attenzione da parte delle altre forze di polizia e l’impiego di militari per i servizi di vigilanza esterna degli istituti penitenziari. Il tutto per evitare qualche tragedia.
In corso operazione antidroga nel carcere
Dopo la morte di un detenuto questa mattina a Sulmona, nel penitenziario abruzzese è in corso una operazione antidroga con due squadre di unità cinofile. Lo riferisce il sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe, rilevando che "nelle carceri italiane il 25% circa dei detenuti è tossicodipendente e ciò determina moltissimi problemi, di natura sociale, detentiva e di sicurezza: se per un verso è opportuno agire sul piano del recupero sociale, è altrettanto necessario disporre di adeguate risorse per far fronte alla possibilità che all’interno del carcere entri la droga". Alcuni recenti fatti di cronaca, secondo Donato Capece, leader del sindacato, "hanno dimostrato che è sempre più frequente il tentativo, anche da parte dei detenuti appena arrestati o di familiari e/o amici a colloquio, di introdurre sostanze stupefacenti all’interno degli istituti penitenziari. Spesso la professionalità della Polizia Penitenziaria consente di individuare i responsabili e di denunciarli all’Autorità giudiziaria, ma ciò non è sufficiente. Bisogna investire concretamente sulla sicurezza, sulla prevenzione ed anche sulla repressione del crimine". Il Sappe auspica quindi che "si provveda ad istituire in tutte le Regioni d’Italia un distaccamento di unità cinofile del Corpo di Polizia Penitenziaria, servizio oggi limitato solo ad alcune realtà del Paese".
Detenuto strappato alla morte
Lo hanno trovato con i lacci delle scarpe stretti al collo e appesi alla grata della cella. È stato sventato così mercoledì l’ennesimo tentativo di suicidio nel supercare di Sulmona. Il detenuto, un internato di circa 40 anni del Napoletano, è stato strappato alla morte grazie all’intervento tempestivo degli agenti penitenziari. Dopo averlo liberato dal cappio, le guardie lo hanno portato nell’infermeria dell’istituto di pena. Il ricovero è stato scongiurato. Il detenuto viene definito dagli agenti come una persona tranquilla, ma con problemi familiari. L’episodio arriva a pochi giorni dall’ultimo suicidio (il secondo nel 2010) di Romano Iaria, 54enne di Roma, impiccatosi con le lenzuola alla grata della sua cella. E l’ennesimo tentativo di suicidio riaccende le polemiche. "Abbiamo notizie, anche se da confermare, dell’arrivo di 70 internati nella struttura", afferma Mauro Nardella , vice segretario provinciale della Uil penitenziari, "se la cosa dovesse concretizzarsi sarebbe gravissima, il carcere rischia di scoppiare da un momento all’altro". Ieri tra l’altro nel carcere c’è stato un altro fatto che ha destato discussioni. Davanti al portone d’ingresso è stato trovato un proiettile calibro 9. Secondo quanto si è appreso da ambienti del carcere il proiettile sarebbe uguale a quelli in dotazione alle forze di polizia penitenziaria, ma non corrisponderebbe a quello che hanno gli agenti in servizio nella struttura penitenziaria peligna. Può essere che sia caduto a qualche agente addetto alle scorte dei detenuti. Fatto sta che un episodio analogo avvenne nel febbraio scorso, dopo il suicidio di un detenuto. Lo ricorda il Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe). "Chiediamo maggiore attenzione anche da parte delle altre forze di polizia", afferma il segretario generale Donato Capece. Bologna: ancora furti alla Dozza, sparite le munizioni dai mitra di Alessandro Cori
La Repubblica, 10 aprile 2010
Una quindicina di proiettili in dotazione alle guardie. La Procura ha aperto un fascicolo sulla scomparsa dall’armeria di una Beretta calibro 92. Al momento non ci sono indagati, da chiarire la posizione di sei agenti penitenziari. Alla Dozza sono sparite alcune munizioni dei mitra d’ordinanza in dotazione alle guardie, sostituite con vecchi proiettili ormai "fuori corso". In tutto una quindicina di pallottole che riaprono il giallo dei furti nel penitenziario bolognese dove si è già volatilizzata una pistola Beretta dall’armeria, circostanza su cui la Procura ha deciso di aprire un fascicolo. Nelle settimane scorse un agente di custodia al momento di smontare dal servizio e riconsegnare l’arma si accorge che dai caricatori dei mitra PM12 utilizzati di solito dal personale in servizio sul muro di cinta erano spariti alcuni proiettili. Al loro posto l’agente ha trovato munizioni appartenenti a lotti del 1989 e del 1992, ormai in disuso. I proiettili nuovi spariti da ciascun caricatore sono solo due o tre, e se non fosse stato per l’occhio attento dell’agente nessuno si sarebbe accorto della differenza. Certo, ora bisognerà capire dove sono finiti e perché alcuni pezzi di lotti che addirittura risultano distrutti ricompaiano all’improvviso. Da un giallo all’altro. La Beretta sparita due mesi fa, in dotazione ad un agente cinquantenne della polizia penitenziaria, non è stata ancora ritrovata. Il pm Rossella Poggioli ha aperto un fascicolo: il reato è quello di furto. Al momento non ci sono indagati. Da chiarire è la posizione di sei agenti, che prestano servizio nella zona tra la porta carraia del penitenziario e l’armeria. Il mistero della pistola scomparsa viene fuori il 20 febbraio, quando un agente di custodia si accorge che il cassetto di sicurezza dell’armeria dove quattro giorni prima era stata riposta la pistola, insieme a due caricatori anche questi spariti nel nulla, era aperto. Il carcere viene rivoltato in lungo e largo ma la Beretta non si trova. L’amministrazione penitenziaria avvia un’indagine interna. Dopo due mesi però tutto lascia pensare che la pistola sia "uscita" in qualche modo dal carcere. Per due storie che dovranno essere chiarite, ce n’è una già risolta ma non per questo meno assurda. L’altro giorno, un ragazzo extracomunitario che sta già scontando una pena di 9 anni, è stato condannato ad altri sei mesi di carcere perché "smascherato" come il mittente di due lettere contenenti eroina, che circa due anni fa aveva spedito direttamente dalla sua cella della Dozza. Le missive erano destinate ad una donna reclusa nel penitenziario di Rovereto, in provincia di Trento. Il detenuto nascondeva le bustine di droga dietro una rosa in rilievo disegnata sulla busta. Gorizia: oggi un convegno "Alternative in carcere e al carcere"
Il Piccolo, 10 aprile 2010
C’è anche la Comunità Arcobaleno tra le associazioni che hanno aderito al convegno "Alternative in carcere e al carcere", organizzato dalla Conferenza Regionale Volontariato Giustizia del Friuli Venezia Giulia, che si svolge oggi nella sala Luigi Petris del centro di accoglienza Ernesto Balducci di Zugliano. L’evento sarà soprattutto un momento di riflessione dedicato alla figura di Mario Gozzini, ad oltre dieci anni dalla sua morte, per ripensare il ricorso al carcere ascoltando testimonianze e punti di vista di chi nella sua vita si è avvicinato a diverso titolo al mondo carcerario. I lavori si svilupperanno in due sezioni distinte. La prima tratterà la questione delle "Alternative in carcere", e si svolgerà dalle 9.30 alle 13.30. Dopo il saluto di Pierluigi Dipiazza e l’introduzione di Alberto De Nadai le letture di Cristina Benedetti ricorderanno Mario Gozzini. Alcune testimonianze di detenuti e di persone che stanno scontando la loro pena in modo alternativo condurranno poi i presenti al cuore della discussione. Il magistrato Alessandro Margara terrà una relazione dal titolo "Dal penale al sociale: è possibile?", mentre Lucia Castellano parlerà della Casa di Reclusione di Milano-Bollate, da lei diretta. Ornella Favero, coordinatrice del periodico "Ristretti orizzonti", della Casa di Reclusione di Padova, metterà in relazione i concetti di informazione e prevenzione all’interno del carcere, mentre il docente dell’università di Padova Khalid Rhazzali spiegherà "La condizione degli immigrati negli istituti penitenziari". A chiudere la prima parte del convegno, infine, il garante delle persone private della libertà personale del Comune di Rovigo, il cui intervento precederà il dibattito con il pubblico. Nel pomeriggio, dalle 14.30 alle 18.30, si parlerà invece di "Alternative al carcere". Ad aprire la discussione le toccanti testimonianze di Manlio Milani (presidente dell’Associazione famiglie dei Caduti nella strage di piazza della Loggia, a Brescia) e Silvia Giralucci (giornalista e figlia di una vittima delle Brigate Rosse). Il docente dell’università di Bologna Massimo Pavarini relazionerà invece sulla "Efficacia delle misure alternative e la sicurezza sociale", mentre il professor Giuseppe Mosconi (università di Padova) ipotizzerà un nuovo possibile modello di giustizia ripartiva. Prima del dibattito conclusivo, un ultimo intervento, con Elisabetta Laganà (presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia) che relazionerà su "L’azione volontaria nei processi di reinserimento sociale delle persone detenute". Cinema: un’intervista a David Monzon, regista di "Celda 211" di Antonella Barone
www.innocentievasioni.net, 10 aprile 2010
Un agente carcerario appena assunto finisce per una casualità in mezzo ad una rivolta esplosa nel braccio di massima sicurezza e, per evitare di essere preso in ostaggio, si finge detenuto. Gli eventi lo spingono fatalmente in prima linea finché si ritrova a condividere con il pluriomicida Malamadre le ragioni e il controllo della sommossa. Stando alla trama, "Cella 211", tratto dall’omonimo romanzo di Francisco Pérez Gandul (pubblicato in Italia da Marsilio Editori) avrebbe già tutti i requisiti per rientrare tra i prison movies di successo dove, a cominciare dai vari Distretti 13, non mancano alleanze tra giovani poliziotti e vecchi criminali contro un potere che si scopre corrotto e violento. David Monzon, esordiente nel 2001 con il pluripremiato "El corazon del guerriero" (ma che con The kovak box - controllo mentale" sembrava essere stato già arruolato dal cinema d’intrattenimento) con Cella 211, girato in digitale e in location reali, realizza un piccolo thriller dai grandi temi che conquista il pubblico, convince la critica e totalizza ben otto premi Goya tra cui quello per miglior film, miglior regia e miglior attore. Pur muovendosi all’interno del cinema di genere, Monzon scombina ruoli, schiva il cliché dell’eroe fuori legge, racconta, in chiave realistica, con riprese sobrie e montaggio serrato, miserie e tradimenti da entrambi le parti delle sbarre. E, infine, benché non risparmi allo spettatore l’escalation di tensione finale, non concede epiloghi rasserenanti.
Anche se Celda 211 è tratto da un romanzo di finzione, lei e il co-sceneggiatore avete incontrato detenuti ed operatori per realizzare un’ambientazione realistica. Dopo questa esperienza è cambiata la sua idea del carcere? Beninteso, dopo questo periodo di tempo in contatto con detenuti familiari di detenuti, funzionari ed educatori penitenziari, la tua visione del carcere cambia necessariamente. Non è la stessa cosa conoscere una realtà in concreto piuttosto che attraverso le informazioni dei giornali, i libri o i film. Quello che Jorge Guerricaechevarrìa - il mio co-sceneggiatore - ed io intendevamo prima di scrivere la sceneggiatura era tentare di conoscere la realtà dei prigionieri spagnoli per saper almeno da dove mentivamo con la nostra storia di finzione. La finzione manipola con effetti drammatici la realtà, tuttavia questa manipolazione si può effettuare in diverse forme. Noi pensiamo che, in qualche modo, la nostra storia rifletterà lo spirito di tutte queste visite e conversazioni intrattenute con la gente del carcere, pensiamo che l’universo che abbiamo conosciuto arriverà in qualche modo allo spettato
Qual è stato l’atteggiamento delle autorità penitenziarie spagnole nei confronti del vostro film? Hanno preso visione della sceneggiatura prima di concedervi la location? La direzione generale dell’Amministrazione penitenziaria ha letto il copione prima di lasciarci girare in una delle sue celle, oggi chiuse. Mi è stato chiesto di affrontar di petto l’argomento, di non cercare di ingannare, di mostrare apertamente la storia che volevamo raccontare. Fortunatamente, il capo ufficio stampa dell’Amministrazione penitenziaria è una persona eccellente, di grande sensibilità e intelligenza e ha capito da subito che se in questa storia qualcosa usciva male, non era il mondo carcerario bensì la condizione umana. Il copione gli sembrò magnifico e pensò che doveva sostenere un film tanto rischioso e controcorrente come questo. Di fatto, prima della mia richiesta di raccontare con detenuti veri all’interno del cast del film, la collaborazione è stata istantanea. Gli è sembrata una buona idea di reinserimento il fatto che detenuti in libertà condizionata potessero partecipare ad una esperienza come questa. Al film, in questo modo, è stata conferita una grossa dose di realismo. E la convivenza degli attori e di tutta l’equipe tecnica con i detenuti è stata una fonte di ispirazione costante, non solo sul piano creativo, ma anche umano. È giusto riconoscere che ‘Amministrazione penitenziaria è piena di gente che lotta giorno per giorno affinché il sistema sia un po’ più umano.
È stato detto che Francisco Perez Gandul nel romanzo Celda 211 coniuga la provocazione pura e la polemica politica. Pensa che questa definizione si adatti anche al suo film? Quel che più mi ha interessato dall’inizio del libro e mi ha spinto a realizzare il film è stata la sua sorprendente vocazione alla tragedia classica. Mi ha commosso la parte umana prima che la provocazione politica. Indubbiamente, quest’ultima è presente ma ho sempre voluto che fosse in sottofondo, che non fosse in primo piano. Credo che le riflessioni sociali o politiche che un film possa suscitare siano sempre più vigorose se basate su conflitti umani che commuovano lo spettatore. Ricordiamo per esempio "Missing" di Costa Gavras o qualche film di Francesco Rosi. Se il loro messaggio socio-politico ci commuove è perché i loro personaggi e le loro circostanze ci toccano, ci colpiscono, perché ci identifichiamo con i loro protagonisti e ci interessa il destino che devono vivere. Questo è quel che ho sempre voluto che accadesse in "Cella 211", che la tragedia personale di Juan Oliver colpisse lo spettatore. E il suo rapporto di amicizia al limite dell’abisso con Malamadre finirà per commuovere profondamente. Solo così il commento sociale e politico del film acquista profondità e riesce anche a suscitare rabbia nel pubblico, come di fatto mi accorgo che succede alla maggior parte di quanti vedono il film.
All’ultimo festival di Berlino sono stati presentati diversi film ambientati in carcere o in altri luoghi di privazione della libertà, da "Shutter Island" di Martin Scorsese al romeno "Se io voglio fischiare, fischio", all’austriaco "Il rapinatore", di Benjamin Heisenberg, al norvegese"Una specie di gentiluomo"di Hans Petter Moland per non parlare del recente successo de "Il profeta" di Jacques Audiard. Un critico italiano ha scritto in proposito "sembra che oggi a tutte le latitudini questo mondo somigli ad una prigione". Condivide questa affermazione? Quando Jorge Guerricaechevarrìa ed io visitavamo le carceri e parlavamo con detenuti e funzionari, ci rendevamo conto del fatto che il mondo carcerario rifletteva in modo condensato il mondo di fuori e che il nostro film si apprestava a ricoprire senza quasi senza rendercene conto una certa qualità di favola o parabola sulla società esterna. Quando abbiamo trasmesso questa idea ad un detenuto russo, molto spiritoso, ci disse che, in effetti, "il mondo del carcere è esattamente uguale a quello di fuori solo che in mp3". Questa frase tanto pertinente quanto sintetica l’ho tenuta presente durante tutto il processo di realizzazione del film perché, in effetti, attraverso il microcosmo della prigione si può parlare del mondo intero.
Il cinema, soprattutto quello statunitense, e la televisione sono responsabili di molti stereotipi riguardanti il carcere. In Celda 211 il fato invece capovolge i ruoli e questo disorienta lo spettatore, disturba e fa pensare. Crede che questo possa aiutare a vincere i luoghi comuni? Sin dalla scrittura della sceneggiatura Jorge ed io ci siamo riproposti di non rivedere alcun film carcerario per cercare di superare i luoghi comuni. La nostra intenzione sin dall’inizio è stata di far sì che "Cella 211" avesse uno sguardo proprio, originale, e per questo la nostra ispirazione doveva provenire dalla trama che proponeva il libro e dal nostro personale contatto con il mondo del carcere e la particolare idiosincrasia del penitenziario spagnolo. Se, come la domanda lascia trapelare, il film infine provoca e fa pensare, credo che questa potrebbe essere una delle ragioni dello spettacolare successo che ha conosciuto in Spagna. Io credo che lo spettatore desideri affrontare storie che gli propongano viaggi di intensità emotiva, che lo sottopongano ad uno sforzo, che lo facciano emozionare e riflettere. Non posso essere più in disaccordo con quanti considerano lo spettatore come un mite agnello al quale bisogna dare cose masticate e che non lo sottopongano al minimo sforzo. Io credo che lo spettatore è intelligente. E di fatto, molto più intelligente di me.
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