Rassegna stampa 5 settembre

 

Giustizia: la prescrizione del reato, "un’amnistia" per soli ricchi

di Margherita Fabbri

 

L’Altro, 5 settembre 2009

 

Marco Pannella non molla. I Radicali non mollano. Dopo aver trascinato, lo scorso 15 agosto, senatori e deputati nelle carceri italiane - onde verificassero la situazione al limite della umana sopravvivenza - Pannella ha rilanciato la necessità di un’amnistia: "Riproponiamo l’urgenza di una grande amnistia.

E sono qui per denunciare i potenti. Non solo quelli di destra, ma anche Tonino Di Pietro, che da 30 anni difende e pratica senza dirlo la più vergognosa ed incivile delle amnistie. E tutta la sinistra italiana, che in 30 anni non ha mai permesso o appoggiato una sola manifestazione di massa che avesse come oggetto il tema della giustizia. Hanno fatto piagnistei continui, ma le manifestazioni le abbiamo fatte da soli, ottenendo successi patenti ed evidenti che però non hanno potuto divenire vittoria. Perché vittoria sarebbe stata la riconquista democratica della legalità, negata dalla partitocrazia che è succeduta al fascismo".

Insomma, dopo "Ferragosto in carcere" e la diffusione dei dati di Pianeta Carcere, secondo cui i detenuti superano del 48% la capienza regolamentare degli istituti di pena qualcosa, forse, si muove. Ma nella conferenza pannelliana di ieri sono usciti altri numeri, numeri davvero impressionanti. Secondo i dati ufficiali citati da Pannella, infatti, sono 10 milioni i processi pendenti in Italia e a fronte di questo, soltanto negli ultimi dieci anni, è stata concessa "un’amnistia di classe, sporca, irresponsabile" a 1 milione e 800mila persone (che diventeranno 2 milioni nel 2010), attraverso la prescrizione dei reati ad essi imputati, in pratica cancellati senza essere passati in giudizio.

Per questa situazione l’Italia è stata richiamata all’ordine a più riprese dal Consiglio d’Europa, che proprio di recente ha riconfermato nei contenuti e nei richiami un rapporto presentato del Commissario Gril-Robles già nel 2005, il quale sottolineava la necessità di un ripristino della legalità nel sistema giudiziario italiano: "La disfunzione della giustizia in Italia non è un fatto nuovo", aveva scritto il giurista portoghese "e tale problema pur essendo diventato un fatto politico e sociale accettato non è assolutamente trascurabile. Tutti i miei interlocutori hanno riconosciuto l’esistenza dì un vero problema del sistema giudiziario, senza tuttavia un particolare entusiasmo ad avviare un processo di riforma".

Nel corso della conferenza stampa, Pannella ha anche ricordato la relazione presentata alla Camera dal ministro della giustizia Alfano lo scorso 27 gennaio, il quale definiva "impressionante" la mole dei procedimenti pendenti e "dell’arretrato o meglio ancora del debito giudiziario dello stato nei confronti dei cittadini". "Le dichiarazioni di Affino", ha dichiarato il leader radicale "sono un segnale di sensibilità e noi speriamo che il ministro non si dimentichi di quello che ha detto, che non venga distrutto dal sistema".

L’obiettivo di breve termine è dunque chiaro: "Chiediamo di realizzare immediatamente un’amnistia ampia, che elimini almeno 8 milioni dei processi pendenti (che sarebbero almeno 16 milioni, senza l’amnistia con cui io voglio farla finita) e che sono di fatto candidati a divenire nuove amnistie di classe, di cui beneficeranno solo i ricchi".

Ma la portata della proposta radicale va oltre: "Vogliamo una riforma strutturale della giustizia, non soltanto del sistema carcerario", ha sottolineato infatti Pannella, "poiché la condizione in cui versano le carceri italiane è soltanto un epifenomeno di quello che in realtà è lo stato italiano, poiché la giustizia è lo stato".

Al termine della conferenza stampa, Marco Pannella ha lanciato un appello agli elettori, effettivi o potenziali: "Ci candidiamo al governo alternativo del paese e chiediamo il vostro supporto affinché possiamo riuscire in questa impresa, dopo trent’anni di resistenza ad un regime partitocratico antidemocratico del quale Berlusconi è solo uno dei risultati".

Giustizia: Pannella; amnistia di legalità, contro quella di classe

 

Agenzia Radicale, 5 settembre 2009

 

Pannella: contro l’amnistia illegale, clandestina, di massa e di classe in corso da decenni - chiamata prescrizione - lottiamo per una vera e ampia amnistia per la legalità, per la Riforma della Giustizia e dello Stato.

Fin dall’autunno del 1978, per tre decenni, abbiamo lottato in Parlamento e nel paese per un’ampia amnistia, per restaurare la legalità e lo Stato di Diritto, contro l’amnistia di fatto, riservata ai privilegiati che possono pagarsi gli avvocati per fare cadere i loro processi in prescrizione": così il leader radicale Marco Pannella ha spiegato le ragioni della sua lotta contro il degrado della giustizia italiana.

Tonino Di Pietro, per ignoranza o per auto-inganno, è pienamente corresponsabile, e dunque complice, di questo stato di cose - ha spiegato Pannella -. Accuso questo oppositore di comodo del Regime Partitocratico di difendere la vergognosa e incivile amnistia attualmente in corso, chiamata prescrizione, di cui hanno beneficiato quasi due milioni di persone in dieci anni, mentre con l’indulto avevamo iniziato un processo che - se accompagnato da un’amnistia - avrebbe portato alla riforma complessiva della Giustizia e al rientro nella legalità costituzionale.

L’Europa ci condanna per questo degrado e il governo italiano è costretto ad ammettere i suoi torti, salvo poi rifiutarsi di pagare le multe e di risarcire le vittime - ricorda Pannella -. Il ministro Alfano ha detto parole di verità in Parlamento, denunciando un "debito giudiziario dello Stato nei confronti dei cittadini" che ha ormai "oltrepassato il limite di ogni possibile tollerabilità.

Il Ventennio fascista - ha concluso Pannella - era lontano mille miglia dai livelli di indecenza del Sessantennio partitocratico. Si tenta di fare passare la nostra proposta come un atto di "clemenza buonista", mentre noi vogliamo farla finita con questo Regime immondo e illegale, candidandoci al Governo del paese.

Giustizia: Bernardini; e Napolitano era favorevole all'amnistia

 

Ansa, 5 settembre 2009

 

"Voglio ricordare che il Presidente della Repubblica partecipò con noi alla marcia per l’amnistia del 2005. Era senatore a vita ma volle sottolineare il dato della incostituzionalità delle carceri italiane già allora." Lo dice ai microfoni di CNR media la parlamentare Radicale Rita Bernardini. "In realtà - continua - l’amnistia oggi serve soprattutto ai magistrati, ingolfati da qualcosa come cinque milioni e duecentomila processi penali arretrati. In realtà esiste già un’amnistia nei fatti, perché per prescrizione negli ultimi dieci anni sono decaduti almeno un milione ottocentomila procedimenti penali".

Giustizia: i problemi non si risolvono promettendo nuove celle

di Franco Fois (Associazione Veneto Radicale)

 

Agenzia Radicale, 5 settembre 2009

 

La sottosegretaria alla Giustizia Elisabetta Casellati nell’articolo apparso il 2 settembre su "Il Gazzettino" dichiara, a dimostrazione dell’impegno che il governo sta mettendo per risolvere l’emergenza carceri, che ben presto nel Nord-Est saranno disponibili seicento nuovi posti. Peccato però che, come certamente la sottosegretaria sa, questi seicento nuovi posti corrispondano, ad oggi, a poco più di un terzo del totale dei detenuti in soprannumero nelle carceri del Nord-Est che ammontano a oltre 1.600 unità.

Di fatto, quindi, anche con i nuovi posti il sistema penitenziario si troverà ancora a fare i conti con l’emergenza soprapopolamento, continuando a restare in una situazione che lo stesso Ministro di Giustizia Angiolino Alfano ha definito incostituzionale. Le affermazioni della Casellati sono poi estremamente carenti su due aspetti fondamentali. Il primo riguarda i reali tempi di messa in disponibilità di questi nuovi posti. Da quanto appreso nei giorni scorsi durante la visita ispettiva condotta presso il carcere di Rovigo assieme al senatore Radicale Marco Perduca, pare che per il completamento del nuovo carcere, che la Casellati cita relativamente ai nuovi posti, serviranno almeno altri due anni. Nel frattempo, visto che i detenuti continueranno ad aumentare, che si fa?

Il secondo punto su cui nulla si dice riguarda gli agenti di custodia: ad oggi nel Nord-Est ne mancano più di cinquecento, entro quanto verrà colmata la carenza? Quanti nuovi agenti verranno assunti a fronte dell’apertura di nuove celle?

Relativamente poi al modo per ridurre la presenza di detenuti nelle celle, l’unica strada degna di attenzione per l’attuale governo sembra essere, forse per far piacere alla Lega, quella di stipulare accordi per far scontare le pene nel paese d’origine agli extracomunitari. Totalmente trascurato il fatto che in questi anni si è assistito ad una drammatica riduzione del ricorso alle pene alternative. Uno strumento, quello delle pene alternative, che se fosse potenziato potrebbe consentire, da un lato, di alleggerire le presenze negli istituti penitenziari e dall’altro di soddisfare il dettato costituzionale che prevede un’opera di recupero e reinserimento.

Sotto questo aspetto appare preoccupante che non si dica nulla, neanche da parte della padovana Casellati, sul fatto che a Venezia, dove il carcere di Santa Maria Maggiore è al limite del collasso, esiste sull’isola della Giudecca un istituto per i detenuti a custodia attenuata chiuso. Un istituto, la cui chiusura nel 2008 fu dichiarata temporanea, per il quale ad oggi il ministero non è stato in grado di trovare i fondi necessari per i lavori di messa a norma delle cucine.

Credo che per individuare mezzi efficaci per far uscire il sistema carcerario dall’attuale situazione di degrado indegna di paese civile, sarebbe assai più utile un’analisi complessiva sullo stato della giustizia. Limitarsi a promettere di costruire nuove carceri può andare bene come propaganda, ma temo sia del tutto insufficiente per risolvere i problemi di detenuti e operatori carcerari.

Giustizia: Uil; le carceri luoghi di violenza, degrado ed inciviltà

 

Comunicato Uil-Pa, 5 settembre 2009

 

"Ci chiediamo fino quando il Ministro Alfano e il Governo Berlusconi potranno continuare a fingere di ignorare quanto accade all’interno delle nostre prigioni. Tra suicidi, aggressioni, ferimenti e celle in fiamme pare di essere alla frontiera di un campo di guerra. Solo nell’ultima settimana una decina di agenti penitenziari hanno dovuto ricorrere a cure ospedaliere per le ferite riportate a seguito di aggressioni subite da detenuti.

In queste ore il numero dei ristretti è salito a 64mila a fronte di una capienza di 43mila posti. Il degrado, l’inciviltà, l’emarginazione, la violenza e la sopraffazione del diritto sono i tratti distintivi del sistema penitenziario italiano oramai alla deriva e prossimo al naufragio sullo scoglio dell’insensibilità e dell’immobilismo politico. Perché è chiaro a tutti che la questione penitenziaria è una questione sociale, una questione di ordine pubblico e una questione politica"

Da Napoli Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari, aprendo i lavori della Direzione Regionale ha parlato anche del preoccupante fenomeno delle aggressioni a poliziotti penitenziari.

"Abbiamo più volte sollecitato il Ministro Alfano a riprendere il confronto con le rappresentanze sindacali della polizia penitenziaria per discutere su un piano di implementazione degli organici e un disegno di razionalizzazione nell’impiego delle risorse umane. Troppi gli sprechi, troppi i privilegi e i privilegiati nel mentre in prima linea si continua ad esser oggetto di aggressioni e ferimenti. È innegabile che le donne e gli uomini del Corpo di polizia penitenziaria stiano pagando un prezzo altissimo al dovere di mantenere l’ordine e la sicurezza all’interno degli istituti penitenziari. Negli ultimi 18 mesi sono circa 800 i poliziotti feriti. Nel silenzio e nell’indifferenza del Ministro, del Governo, della politica e dell’intera Amministrazione Penitenziaria.

Ciò offende, deprime, demotiva, alimenta la rabbia e la frustrazione. Il Ministro Alfano, il Governo Berlusconi diano un segno tangibile di presenza ed attenzione. Da gennaio - ha sottolineato Sarno - ai poliziotti penitenziari non vengono pagati gli straordinari e le missioni. Nelle buste paga ancora non c’è traccia degli adeguamenti salariali concordati ad aprile con il Governo. Nonostante questo strame del diritto la polizia penitenziaria continua a dare prova di alto senso del dovere. Appare utile sottolineare come gli evasi di Voghera e Monza siano stati ripresi e riassicurati alla Giustizia da colleghi che hanno operato liberi dal servizio, quindi occupando il loro tempo libero e senza alcuna retribuzione".

"Abbiamo sollecitato, sostenuto e partecipato all’iniziativa promossa dai Radicali Italiani Ferragosto in carcere nella convinzione che una ritrovata attenzione e, soprattutto, una nuova consapevolezza dello stato in cui versano i nostri penitenziari avrebbe potuto favorire un confronto politico e parlamentare "apartisan" su un dramma che non investe solo i 64mila detenuti e i circa 42mila operatori penitenziari ma attiene alla civiltà, in questo caso gravemente compromessa, di un Paese moderno e all’avanguardia come l’Italia. Voglio credere e sperare che la politica attenzioni realmente alla questione penitenziaria.

Pertanto non posso non prendere atto con favore di quanto dichiarato ieri dall’On. Vitali (responsabile nazionale dell’ordinamento penitenziario del Pdl), sulla necessità di nuove norme e di una disponibilità concreta da parte del Dap al confronto con le OO.SS. La speranza è che il Ministro Alfano tenga conto, almeno, di queste posizioni interne alla maggioranza che sostiene il Governo.

In fondo - ha concluso il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari - se oggi si torna a parlare di amnistia è proprio perché nemmeno il Governo Berlusconi, alla pari del Governo Prodi, ha voluto e saputo individuare e attuare quelle soluzioni strutturali atte a deflazionare il sovraffollamento. Implementazione degli organici, un maggior ricorso alle pene alternative, la modifica delle norme sanzionatorie, una nuova concezione della pena, la revisione della legge Cirielli sulle recidive e benefici di legge, lo snellimento dei tempi processuali nell’ambito di una vera riforma della Giustizia sono le soluzioni vere e strutturali che servono nell’immediato. Poi ci sarà tempo per parlare di edilizia penitenziaria e del piano carceri, più che mai specchietto per le allodole privo com’è dei necessari finanziamenti".

Giustizia: ma quale emergenza carceri? decenni di inefficienza

 

www.siciliainformazioni.com, 5 settembre 2009

 

Da alcuni giorni l’argomento dell’affollamento carcerario è divenuto d’attualità. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha segnalato una presenza massiccia di stranieri nei luoghi di detenzione; lo ha fatto per lamentarsene con l’Europa che non si prende la sua parte di responsabilità nella questione dell’immigrazione.

Il ministro ha invero accennato anche ad un piano di edilizia carceraria, del quale sappiamo poco o niente. Ciò che sappiamo invece, lo dobbiamo anche ad un pregevole servizio radiofonico di "inviato speciale" (Rai) - inchieste e reportage di ottima fattura - che denuncia i numerosi casi di abbandono di strutture costruite e non utilizzate. Ci sono elementi per fare una storia degli sprechi luna mezzo secolo. In testa il carcere di Gela, progettato nel 1959 ed ancora non utilizzato.

L’emergenza carceri non riguarda soltanto i detenuti che vivono in condizioni penose. Riguarda tutti noi: la logistica carceraria è elemento determinante nella recidiva dei detenuti. Carceri affollate provocano invivibilità ed un contagio "feroce". I ravvedimenti sono pressoché impossibili. Ricerche anche recenti denunciano questo fenomeno.

L’affollamento è determinato da una larga presenza di stranieri, che finiscono in carcere sia per le malefatte quanto per la difficoltà di fare conoscere le loro ragioni (non hanno avvocati difensori propri, non conoscono la lingua, ecc.), dall’uso frequente della custodia cautelare in attesa di giudizio, dall’assenza di pene alternative e di strutture "intermedie" presenti in molti Paesi, oltre che, naturalmente, da una carenza di istituti di pena.

Questo inventario delle cause spazza via l’emergenza carceraria. I problemi non sopravvengono, sono presenti da anni. Attribuire alla folta presenza di stranieri l’affollamento delle carceri, per esempio, è una bufala. Basta dare un’occhiata ai dati precedenti alla grande immigrazione con la striscia di indulti e amnistie suggerite dall’affollamento, per rendersene conto.

I tempi della giustizia sono una delle cause reali dell’affollamento. I detenuti in attesa di giudizio sono troppi. In Italia è più facile finire in galera senza processo che espiare una pena dopo una condanna. La custodia cautelare può essere comminata sulla base di valutazioni che di fatto sono frutto di discrezionali, la condanna prevede tre gradi di giudizio ed un’attenta, scrupolosa valutazione di prove ed indizi.

Per queste ragioni la protesta, in sé condivisibile, del ministro Alfano nei confronti dell’Ue indirizza la soluzione della questione su percorsi alternativi, che non l’affrontano. Ottenere risorse dall’Europa non risolve il problema dell’affollamento carcerario ma allevia, di ben poco, il deficit dello Stato.

Il ministro dovrebbe concedere priorità a ben altro. Una buona organizzazione della giustizia concede condizioni di sicurezza al Paese. E le carceri sono una delle componenti essenziali dell’amministrazione della giustizia, assieme alle procedure, ai tempi, alle garanzie e alla certezza della pena.

Fino a che il pacchetto sicurezza ospiterà ronde, i soldati nelle piazze, clandestini da rimandare a casa, il Paese affronterà un’emergenza infinita. Il crimine non viene combattuto né con una buona repressione né con una buona prevenzione. Come denunciano da mesi gli stessi poliziotti che sono attenti alla quantità di benzina nelle vetture di servizio prima di mettere in moto.

Giustizia: le Regioni in affanno su riforma sanità penitenziaria

 

Agi, 5 settembre 2009

 

Ad oltre un anno di distanza dal trasferimento delle competenze sanitarie carcerarie dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale, le Regioni sono ancora in attesa del trasferimento dei finanziamenti relativi dal ministero dell’Economia.

L’allarme è del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, vicepresidente della Conferenza Nazionale dei Garanti dei detenuti, il quale ricorda che il Decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri del 1° aprile 2008 prevedeva, oltre al passaggio delle competenze, delle strutture e del personale anche quello dei fondi riservati alla medicina penitenziaria dal ministero della Giustizia a quello del Welfare. Fondi, questi, si legge nella nota di Marroni, "necessari non solo all’acquisto di farmaci e macchinari ma anche al pagamento degli stipendi degli operatori sanitari. Ma - è questa la denuncia del Garante del Lazio - dei 157,8 milioni di euro previsti per il 2008, il Cipe, lo scorso 6 marzo, ne ha deliberati solo 32 milioni, relativi al primo trimestre 2008?

Le Regioni, ha detto Marroni, "si sono trovate, così, a dover garantire senza fondi i livelli essenziali di assistenza ai detenuti che non erano più i circa 38mila presenti in carcere nel 2007, ma gli oltre 64mila attuali. Inoltre i Servizi sanitari regionali hanno dovuto fare i conti con apparecchiature mediche spesso obsolete e fuori norma da sostituire celermente. È il caso, ad esempio, della Regione Lazio, che pur con un piano di rientro del debito sanitario concordato con il ministero dell’Economia, ha dovuto varare un pacchetto di 2,7 milioni di euro per l’acquisto di strumentazioni mediche per le carceri della Regione".

Una situazione, questa, che, secondo il Garante, riguarda tutte le Regioni a statuto ordinario. In quelle a statuto speciale, invece, la riforma della medicina penitenziaria deve ancora entrare in vigore. Sulla vicenda il Garante, che ha inviato una lettera al viceministro alla Salute Ferruccio Fazio, si è detto "molto preoccupato" per le possibili implicazioni a medio termine sul pagamento degli stipendi degli addetti e sull’acquisto dei medicinali necessari alle carceri. "Una situazione - ha aggiunto Marroni - che crea ancor più inquietudine in vista dell’annunciato arrivo in Italia del virus A/N1H1 visto che, con i livelli di sovraffollamento e la carenza di risorse attuali, c’è il rischio concreto che le carceri italiane siano fra i primi luoghi dove il virus possa attecchire nella sua forma peggiore".

Giustizia: una "pena senza fine", intervista ad un ergastolano

di Davide Pelanda

 

www.criticamente.it, 5 settembre 2009

 

Una pena senza fine. Estrema. Per convenzione temporale esso ha la drammatica dicitura "Fine Pena: 99/99/9999" l’equivalente di "Fine Pena: Mai". È l’ergastolo di cui vogliamo parlare. E del come viene vissuto il Tempo lì dentro. Dentro un carcere. "Sono stati i programmatori dell’informatizzazione del sistema penale che avevano bisogno di una data da scrivere nel campo "fine pena" escogitando per i casellari giudiziari l’escamotage di reiterare il numero 9".

Di solito al cittadino che viene recluso in un carcere la pena ha una determinata durata temporale: condannato a 3 anni, 5 anni, 10 anni… consentendogli prima o poi di acquisire la libertà di gestirsi la sua vita nei tempi e modi da solo. Ma ciò non è così per l’ergastolo. Nessuno di noi riesce ad immaginarlo. E il nostro amico intervistato qui sotto si spinge ancora più in là dicendo che "la morte ha più senso".

Quella che segue è l’intervista a N.V., 54 anni. Ha avuto una condanna all’ergastolo per fatti legati alla lotta armata degli anni Settanta. Ha scontato 22 anni e 5 mesi tra reclusione (15 anni) e semireclusione, poi il Tribunale di sorveglianza gli ha concesso la libertà condizionale. Al termine dei 5 anni della condizionale, come previsto dalla legge, è stata dichiarata esaurita la pena. Ora lavora in una editrice-cooperativa di cui è tra i soci fondatori.

"Il Tempo del recluso - esordisce nella nostra chiacchierata - è totalmente gestito dall’istituzione carceraria. È l’istituzione che decide se e a che ora un recluso può prendere l’aria, se e a che ora può fare la doccia, se e quando può socializzare con altri reclusi, se e quando e quante volte può incontrare i suoi familiari a colloquio, a che ora si aprono le celle e a che ora si chiudono… in sostanza il Tempo di vita del recluso è totalmente gestito dall’istituzione e anche sorvegliato, non c’è un solo minuto in cui l’internato è fuori dallo sguardo dell’istituzione. Poi c’è il Tempo della pena".

 

All’interno della cella avevi un orologio? Un calendario? Che rapporto si instaura con questi oggetti?

"Nella mia esperienza carceraria è sempre stato vietato avere l’orologio, ed il calendario l’usavo solo per segnare i giorni in cui potevo fare colloquio con i miei familiari oppure telefonare. Ma per sopravvivere alla torsione del tempo è decisivo costruire un tempo per sé, caratterizzato da un proprio fare autodeterminato, cosa non facile. Negli ultimi anni della mia carcerazione ho scoperto di avere una vena creativa inaspettata. Di notte quando si chiudevano le celle mi lasciavo andare alla pittura usando la terra del campetto di calcio del carcere di Rebibbia ed altre materie colorate che avevo in cella per cucinare, lo zafferano, ad esempio. Il patriota Settembrini, condannato all’ergastolo, scriveva nelle "Ricordanze" che l’attività autodeterminata consente al recluso di pensare: "almeno in questo son libero", almeno in questo agisco per me stesso.

Producevo 3/4 opere a notte e alla fine, estenuato, mi godevo l’incanto della sospensione del Tempo. Dipingendo era come se accendessi le luci su un altro mondo, anche se l’orecchio rimaneva comunque vigile all’ascolto di ciò che accadeva in sezione, perché la porta della cella si sarebbe potuta aprire in qualunque momento, ad esempio per una perquisizione, o per la conta notturna dei detenuti, la qual cosa avrebbe violato quel momento. Ero quindi simultaneamente collocato un una doppia dimensione: mano e occhi immersi nel tempo della creazione, orecchio attento ai ritmi dell’istituzione carceraria".

 

Che reazione (o sensazione) hai avuto quando lo Stato ha decretato, con la formula "fine pena: mai", l’ergastolo per te? Cosa ha voluto (o vuol) dire in termini di Tempo quella frase?

"Se una persona condannata ad una pena temporale può dire a se stessa: qualunque cosa accada il giorno X sarò una persona libera, e quindi avere un punto di orientamento, il recluso senza fine pena, il recluso condannato all’ergastolo, non può fare questo conto. Nel suo certificato penale il fine pena è scritto con un numero immaginario: 99/99/9999. La sua possibilità di uscita, se non è fra gli ergastolani ai quali è preclusa la possibilità di ottenere i benefici previsti dalla legge (che quindi resteranno a vita in carcere), è legata unicamente alla grazia o all’ottenimento della libertà condizionale che sono entrambi provvedimenti gestiti da autorità diverse ma assolutamente discrezionali. Quindi la vita di una persona condannata all’ergastolo, la sua possibilità di uscire dalla pena, dipende unicamente dal potere discrezionale di un’autorità. Per questo motivo l’esperienza che la persona condannata all’ergastolo vive è quella di sentirsi totalmente nelle mani dell’istituzione che può decidere a suo piacimento se tenere un ergastolano a vita in carcere o farlo uscire. Si potrebbe dire che se con la pena di morte lo Stato toglie la vita ad una persona, con l’ergastolo se la prende. L’impatto con la parola ergastolo è reso bene da una frase di Pietro Ingrao: "Sono contro l’ergastolo perché non riesco ad immaginarlo". Anche fra i reclusi l’ergastolo è una parola tabù. Per aggirarla si usano alcuni eufemismi, prendere l’ergastolo si dice "avere l’erba"… che forse è come dire che si sta un po’ sotto terra" .

 

Come giudichi l’uomo moderno che oggi vive sempre correndo e correndo dietro al Tempo, l’uomo contemporaneo che sembra volere sempre tutto e all’istante, che "brucia" i secondi e il Tempo nella logica del "tutto e subito", grazie anche alla tecnologia, ai mass media, mail e telefonini che ci fa vivere "in Tempo reale" avvenimenti lontani di altri continenti?

"Da alcuni anni sono uscito dal carcere e vedo che i dispositivi reclusivi di controllo del Tempo delle persone sono disseminati ovunque nelle istituzioni sociali, ad esempio in alcune aziende la "pausa fisiologica", quella per andare a gabinetto, per intenderci, è considerata dall’azienda un "furto di Tempo". Per quel che riguarda il mio lavoro, invece, con altre persone, alcune delle quali provenienti dalla reclusione, sono riuscito a costruire un’esperienza lavorativa di tipo cooperativo che consente ai soci cooperanti di decidere autonomamente come organizzare il proprio tempo di lavoro".

 

Che cosa è per te il Tempo oggi? Quanti orologi hai in casa?

"L’orologio, ora che posso, lo uso stabilmente perché ho imparato a considerare il mio tempo e quello delle altre persone una cosa preziosa, questa considerazione della preziosità del tempo penso sia anche un indicatore del rispetto che si ha verso se stessi e verso gli altri. Far aspettare ad esempio è uno dei dispositivi attraverso cui le istituzioni totali, ma più in generale tutti i poteri, fanno sentire la loro supremazia sulle persone. "Ci uccidevano con le attese" affermò una donna internata in campo di concentramento per raccontare uno dei dispositivi più mortificanti di Auschwitz".

Giustizia: le "volanti" della polizia saranno pagate con il Lotto

 

Vita, 5 settembre 2009

 

"La carenza di risorse e mezzi che caratterizza l’operatività delle forze dell’ordine, soprattutto nel meridione d’Italia, a fronte delle ben note emergenze, è un problema gravissimo che necessita soluzioni straordinarie. Per questo proporrò alla maggioranza di replicare l’esperienza della legge Veltroni, istituendo una nuova estrazione del Lotto settimanale, i cui proventi vengano esclusivamente destinati all’acquisto di strumenti e mezzi per le forze dell’ordine e per il pagamento degli straordinari al personale investigativo".

Questa la proposta lanciata dal vicepresidente della commissione nazionale antimafia, Fabio Granata al termine del convegno tenutosi oggi a Palermo, organizzato dal Siulp, in coincidenza con le manifestazioni organizzate per commemorare l’omicidio del Generale Dalla Chiesa. "Il confronto con i rappresentanti sindacali delle forze dell’ordine, gli appelli di don Ciotti e lo sforzo quotidiano di centinaia di agenti che lottano contro ogni forma di recrudescenza mafiosa - osserva Granata - non possono lasciare insensibile la politica e soprattutto necessitano di iniziative realizzabili e risolutive. La lotta alla mafia -conclude il parlamentare del Pdl - parte proprio da questa nuova consapevolezza che affianca e superi la stagione dei convegni per aprire quella delle azioni concrete a sostegno della legalità e della sicurezza".

Puglia: Sappe; nelle carceri mancano anche i letti e i materassi

di Tatiana Bellizzi

 

www.teleradioerre.it, 5 settembre 2009

 

La segreteria regionale del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, maggior sindacato di categoria, ritorna sulla grave situazione delle carceri Pugliesi e Nazionali costatando che oltre ad uno sterile dibattito, nemmeno la visita dei Parlamentari nelle carceri Pugliesi e nazionali promossa dai Radicali a Ferragosto, ha sortito un minimo effetto.

Eppure la situazione peggiora di giorno in giorno, a causa del sovraffollamento scarseggiano finanche le brande, i materassi, le lenzuola; dalla visita dei Parlamentari alle carceri Pugliesi si registra un incremento di quasi 100 detenuti.... dove andremo a finire? Le proteste dei detenuti stanno continuando ancora in maniera semipacifica, ma fino a quando?

Ormai anche i detenuti si aspettano degli interventi e se questi non arriveranno a sbloccare la situazione, ci aspettiamo momenti molto caldi nelle carceri con seri rischi all’incolumità sia dei detenuti stessi che degli Operatori Penitenziari. Purtroppo il clima incandescente che si vive nelle carceri sta già mietendo le prime vittime, poiché il personale di Polizia Penitenziaria che da solo è costretto a far fronte alla situazione è allo stremo, ed a causa di ciò si registra un aumento di casi di lavoratori affetti da forte stress e patologie collegate. Ormai l’organizzazione penitenziaria sottoposta a sollecitazioni di molto superiori alle sue possibilità non c’è la fa più, e rischia di esplodere in qualsiasi momento. Le denunce concrete del Sappe che da mesi rappresenta una situazione preoccupante delle carceri Pugliesi, non ha interessato nessuno sia livello nazionale, regionale e locale.

Sui muri dei penitenziari - si legge in una nota - oltre alla scritta "carcere" dovrebbe essere associato "ospedale, considerato che circa il 40% degli oltre 4.250 detenuti presenti nelle carceri pugliesi (2.000 in più dei posti disponibili) è portatore di patologie dovute alla droga, all’alcol (tossicodipendenti, sieropositivi con problemi psichiatrici, epatici, cardiaci ecc.).

Con questi numeri più da ospedale che da luogo di detenzione, come può essere possibile continuare ad essere indifferenti, lasciando ai pochi medici ed infermieri la responsabilità i assicurare una assistenza sanitaria da paese civile? A Lucera, su 248 detenuti di cui 59 tossicodipendenti, zero psicologi e solo 1 educatore!

Il Sappe rilancia ancora una volta la necessità di intervenire e presto con proposte concrete, che sarebbero esecutive in tempi brevi come: 1) l’impiego dei militari per la vigilanza esterna delle carceri al fine di recuperare subito unità di Polizia Penitenziaria per i servizi all’interno delle sezioni detentive e delle traduzioni, in attesa dell’assunzione urgente e straordinaria di almeno 5000 poliziotti penitenziari; 2) far scontare la pena ad una parte degli stranieri (che rappresentano il 40% della popolazione detenuta, e di cui albanesi, rumeni, tunisini, algerini, marocchini superano il 70% del totale) nei propri paesi d’origine previo incentivi anche economici, ai rispettivi Governi che accettassero tale proposta (ciò farebbe risparmiare allo stato italiano centinaia di milioni di euro); 3) misure alternative alla detenzione e depenalizzazione per quei reati che non destano allarme sociale con l’obbligo di impiegarli in lavori socialmente utili (pulizia strade, giardini, boschi, torrenti, fiumi).

Il Sappe continua a sperare che tra chi ha il dovere di prendere decisioni prevalga la ragione ed il rispetto della Costituzione e delle Leggi dello Stato, altrimenti il nostro Paese potrebbe ripiombare in un clima di violenza, con le carceri utilizzate quale mezzo di lotta per creare disordini con ovvi risvolti negativi anche per la sicurezza delle città e dei cittadini.

Toscana: Sindacati di Polizia penitenziaria scrivono ai Prefetti

 

Ansa, 5 settembre 2009

 

Richiesto un incontro urgente per discutere del mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza nelle città dove hanno sede gli istituti penitenziari toscani.

Solidarietà e preoccupazione da parte dei sindacati della polizia penitenziaria dopo l’aggressione, avvenuta ieri nel carcere di San Gimignano da parte di un detenuto nei confronti di un agente. Sappe e, insieme, Fns-Cisl e Fp-Cgil chiedono all’amministrazione penitenziaria di prendere provvedimenti per affrontare la grave situazione del carcere. Ieri il Sappe della Toscana ha inoltrato una lettera aperta a tutti i Prefetti della Regione, chiedendo un incontro urgente per affrontare la tematica della gestione delle carceri toscane, in funzione del mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza nelle città dove hanno sede gli istituti penitenziari toscani". Intanto, a sostegno della "lotta dei detenuti", centri sociali, associazioni, e organizzazioni studentesche terranno una manifestazione, domani dalle 18 in poi, davanti al carcere fiorentino di Sollicciano.

Torino: muore malato mentale, era in carcere per "resistenza"

 

La Repubblica, 5 settembre 2009

 

È morto in carcere, quando probabilmente non avrebbe dovuto nemmeno esserci. Carlo Esposito, 41 anni, bidello astigiano, incensurato, schizofrenico, condannato alla "pena esemplare" di 2 anni e 2 mesi per resistenza a pubblico ufficiale, è deceduto lunedì sera: per infarto, si legge nel referto medico. La sua morte, però, pur per cause naturali, sta diventando un caso.

Sulla vicenda del bidello astigiano è stato aperto un fascicolo dalla procura di Torino, che ha incaricato il medico legale Roberto Testi di eseguire l’autopsia. E anche il consigliere regionale di Sinistra e libertà Luca Robotti ha presentato un’interrogazione a Palazzo Lascaris e nei prossimi giorni ne seguirà forse una anche al ministro di Grazia e Giustizia. "Carlo Esposito è morto perché invece di aiutarlo e di sostenerlo è stato condannato in modo incomprensibile e sproporzionato", ha commentato Robotti.

Tutto inizia il 24 giugno ad Asti, quando i carabinieri lo vedono fare manovre azzardate con la sua Panda. Esposito non si ferma all’alt della pattuglia e inizia un inseguimento a tutta velocità, tra incidenti evitati per un soffio, per venti chilometri sulla provinciale per Casale. Un comportamento pericoloso, certo. Tuttavia sarebbero bastate le prime parole del fuggitivo per capire che qualcosa nella sua mente non andava. "Dovete ringraziarmi - aveva detto ai carabinieri - Vi ho salvato la vita perché volevano farvi un attentato".

Nel suo passato si registrano diversi ricoveri nel reparto psichiatrico di Asti e un Tso, anche se questo non gli aveva impedito di avere un lavoro, degli amici e una vita abbastanza regolare. Il giorno dopo Esposito viene condannato per direttissima a 26 mesi di galera senza condizionale per resistenza a pubblico ufficiale.

Per un incensurato è una pena alta, esagerata forse, visto che nessuno al tribunale di Asti, né il pm Vincenzo Paone, né il giudice Cesare Proto, né il suo avvocato Michele Aufiero - poi sostituito da Maurizio La Matina - sollevano il fatto che l’uomo sia schizofrenico e nessuno invoca il vizio parziale di mente, che prevede una riduzione di pena e gli consentirebbe di godere della sospensione condizionale.

Invece solo dopo il suo ingresso nel carcere astigiano di Quarto ci si chiede se la detenzione sia compatibile con lo stato di salute dell’uomo che, non solo era schizofrenico, ma anche diabetico, iperteso, obeso, oltre ad aver già avuto delle ischemie. Il medico legale sostiene però che sia sufficiente trasferirlo in una struttura dove possano controllare l’assunzione dei farmaci e ai primi di luglio Esposito entra nel reparto psichiatrico delle Vallette.

Da qui ai primi di agosto invia due lettere alla madre e a un’insegnante della scuola dove lavorava dicendo di essere collassato - "Ho rischiato di morire due volte", scrive lui - perché a suo parere gli erano stati somministrati dei farmaci non idonei o a dosaggi sbagliati. Da quelle crisi si era ripreso, ma alla luce di quanto poi accaduto le lettere saranno consegnate alla procura torinese.

Esposito si sente male verso le 20,30 di lunedì. Va in infermeria con le sue gambe, ma mentre il medico lo visita ha una crisi cardiaca. L’ambulanza arriva subito, ma l’uomo è troppo grave per essere portato in un ospedale: mentre i sanitari cercano di stabilizzarlo, alle 21,30 muore per arresto cardiaco. "Viste le sue condizioni di salute, è possibile che la sua morte non sia colpa di nessuno - conclude Robotti - Ma non sarebbe dovuto morire lì".

Alghero: situazione esplosiva nel carcere; gli agenti protestano

 

Ansa, 5 settembre 2009

 

Assenza di personale. Numerosi tossicodipendenti. Una situazione al limite che avrebbe prodotto, negli ultimi tre mesi, alcuni tentativi di suicidio, con un morto da registrare. Urgente trovare delle soluzioni.

Il sovraffollamento delle carceri italiane è un dato di fatto. Quest’estate ha visto in prima linea di radicali con l’iniziativa "Ferragosto in carcere" portare l’attenzione sul problema che lo stesso ministro Alfano non sottovaluta. Il guardasigilli ha riportato i dati che vedono 63.211 detenuti a fronte di una capienza massima che raggiungerebbe la 43 mila unità.

Tale situazione si riflette anche sul penitenziario di Alghero dove si registra una presenza, ad oggi, di 225 carcerati. Un numero di molto superiore rispetto quanto può sostenere la struttura di via Vittorio Emanuele. E non solo in termini di servizi, ma soprattutto di personale. Diverse lamentele stanno giungendo negli ultimi giorni dagli agenti penitenziari. In totale un’ottantina rispetto ai, circa, 130 che dovrebbero essere per sopperire alle esigenze della casa circondariale.

Quello di Alghero dovrebbe essere un carcere ad "area trattamentale", ovvero dovrebbero trovare spazio solo quei detenuti con condanne definitive, in via di estinzione, i quali svolgono corsi di vario tipo finalizzati al reinserimento nella società. Invece, sono sempre più presente persone finite in cella per reati minori. Spesso legate alla droga Dunque, numerosi, tossicodipendenti che stanno in cella anche per poche settimane. Senza dimenticare tutti i problemi sanitari connessi.

Una situazione limite che, secondo indiscrezioni, avrebbe prodotto, negli ultimi tre mesi, alcuni tentativi di suicidio, con un morto da registrare. Non è difficile anche assistere a risse tra carcerati inseriti nel programma di recupero e altri di passaggio. Condizione che inficia l’impegno, della direzione e di tutto il personale presente nel carcere algherese, finalizzato a creare i presupposti per una permanenza civile dei detenuti. La soluzione non è semplice.

Soluzioni. Il ministro Alfano non vuole sentire parlare di amnistia. Costruire nuovi carceri è, spesso, troppo oneroso. Forse, è il caso, di ritornare alle pene sostitutive mediante infrastrutture realizzate anche nelle periferie dei centri abitati.

Pavia: detenuti in sciopero sospese tutte le attività del carcere

 

La Provincia Pavese, 5 settembre 2009

 

Fino a domani i detenuti della Casa Circondariale di Torre del Gallo incrociano le braccia in attesa di un incontro chiarificatore con la direzione. Distribuzione delle vivande, pulizie, cucina: tutti i servizi funzionano a singhiozzo. "La protesta però non riguarda la totalità dei carcerati - spiega Salvatore Giaconia rappresentante dell’Osapp, sindacato di polizia penitenziaria -. Un centinaio di loro, che appartiene a due sezioni, quelle di alta sicurezza e di regime protettivo, non ha aderito".

Niente sciopero anche per chi, essendo in semi-libertà, esce ogni giorno dalle mura del carcere per recarsi al lavoro e non vuole perdere i benefici di legge. Invece qualche rischio, spiega il sindacato, potrebbe profilarsi per chi sta scioperando all’interno. "Forse sarebbe stato meglio adottare strumenti di protesta diversi da quelli dell’interruzione del lavoro.

Direzione e magistrato di sorveglianza potrebbero ora valutare il loro comportamento sotto il profilo disciplinare. Questo peserebbe negativamente sull’accesso a una riduzione della pena" dice ancora Giaconia.

Sono 435 i detenuti a Torre del Gallo, in esubero di almeno cinquanta unità rispetto alla capienza massima. E in debito di ossigeno sono anche gli agenti di polizia penitenziaria: 191 in servizio rispetto ai 285 che sarebbero necessari.

"Questa emergenza ha messo a dura prova anche il loro lavoro - dice Giaconia dell’Osap - con turni già ridotti ai minimi termini per ferie e malattie. Le carenze che i detenuti segnalano sono anche la conseguenza di questa grave carenza di personale. Le attività non si possono fare senza l’adeguata sorveglianza da parte del personale".

Pordenone: detenuti come sardine in vista molti ricorsi a Cedu

 

Messaggero Veneto, 5 settembre 2009

 

Ricorsi a pioggia nelle carceri di tutta Italia. La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che ha condannato l’Italia a pagare un risarcimento di mille euro a un detenuto costretto a vivere in condizioni di sovraffollamento, ha scatenato ricorsi a catena. A Pordenone ricorsi non ne sono ancora arrivati anche se la condizione di sovraffollamento è una costante: ieri gli ospiti erano 85.

Il ricorso ha fatto "scuola". Un bosniaco, ospite del carcere di Rebibbia tra il 2002 e il 2003, ha trovato "giustizia" a Strasburgo con una sentenza che impone all’Italia un risarcimento di mille euro all’ex detenuto. Ragione: il fatto che l’uomo abbia dovuto condividere una cella di 16,20 metri quadri con cinque persone, disponendo quindi di 2,7 metri quadri di spazio, contro i sette metri quadri a persona giudicati standard minimo sostenibile dal Comitato per la prevenzione della tortura. Strasburgo, però, non sa che nelle carceri italiane quella non è l’eccezione ma la regola. Lo sanno, però, i detenuti e gli ex che stanno presentando ricorsi in massa chiamando in causa le carceri di tutta Italia.

"Ricorsi ancora non ne abbiamo - commenta il direttore della Casa Circondariale di Pordenone, Alberto Quagliotto - ma la condizione di sovraffollamento resta. Si va a giornate perché il turnover è elevato, ma i numeri sono comunque sempre alti". Se ieri i detenuti erano 85, martedì il numero si attestava su 89.

Tutto questo a fronte di una capienza regolamentare di 43 detenuti, aumentabili fino a 68 posti. Non è poi solo una questione di posti, ma anche di organizzazione dello spazio. Il castello non è nato come penitenziario per cui le celle sono state adeguate non senza difficoltà alla loro funzione.

Il problema del sovraffollamento dura da anni così come da anni dura il dibattito e il tira e molla tra istituzioni per realizzare una nuova struttura che rispetti gli standard previsti in materia di accoglienza carceraria, tenuto conto anche per l’ordinamento italiano il carcere deve avere una funzione riabilitativa.

In tanti anni le persone che sono state accolte in condizione di sovraffollamento sono centinaia e, se facessero tutte ricorso alla Corte di Strasburgo, lo stato si troverebbe nell’impossibilità di risarcirle. "I ricorsi costano e il risarcimento non è elevato - analizza il direttore - per cui questo può disincentivare le persone a presentarli".

Pordenone: enti locali disposti a pagare 30% del nuovo carcere

 

Ansa, 5 settembre 2009

 

Una lettera di intenti per cofinanziare la costruzione del nuovo carcere di Pordenone (50-60 milioni la spesa prevista) è stata firmata e consegnata oggi al Sottosegretario alla Giustizia, con delega all’edilizia penitenziaria, Elisabetta Alberti Casellati.

"La lettera - ha fatto sapere la senatrice - contiene la volontà della Regione, della Provincia e del Comune di contribuire al finanziamento della costruzione del carcere a Pordenone. Si tratta di una ventina di milioni di euro - ha aggiunto - su una previsione di spesa di 50-60 milioni, per 220 posti letto. In uno dei prossimi Consigli dei Ministri - ha spiegato Casellati - sarà presentato il piano generale delle carceri. Al suo interno si potranno valutare sedi, finanziamenti e costi. Quanto all’ubicazione di quello di Pordenone - ha concluso - c’è un’area ben precisa della città, che sarà verificata col Capo Dipartimento e il Ministro".

Como: il carcere del Bassone scoppia e la Cisl scrive al ministro

 

Ansa, 5 settembre 2009

 

L’esplosiva situazione del carcere del Bassone finisce sul tavolo del ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Le organizzazioni sindacali hanno inviato una lettera per denunciare "emergenze e criticità che si trascinano ormai dal novembre del 2008". Tra i problemi principali, l’ormai costante sovraffollamento delle celle e la cronica carenza di personale della polizia penitenziaria. Il disagio era sfociato a metà dell’agosto scorso in una forte protesta dei detenuti. "Siamo estremamente preoccupati - ha dichiarato Massimo Corti, segretario generale regionale e provinciale della Cisl-Fns - Non si può garantire la gestione del servizio e la sicurezza quando mancano 92 unità nell’organico della polizia penitenziaria e altre figure fondamentali. L’incolumità del personale è messa a repentaglio ogni giorno e con il numero così ridotto di poliziotti penitenziari rischia l’intera società".

San Gimignano (Si): agente aggredito da detenuto ergastolano

 

Asca, 5 settembre 2009

 

Un uomo di Brindisi di 45 anni, detenuto con ergastolo nel carcere di Siena, ha aggredito un agente di polizia penitenziaria a più riprese. L’agente è stato dimesso dall’Ospedale con 10 giorni di prognosi. Il segretario generale provinciale della Fns-Cisl Giuseppe Sottile e il delegato della segreteria provinciale della Fp-Ccil Massimo Miscia, "denunciano con forza il miserabile atto illecito e le gravi minacce rivolte al Poliziotto e sostengono che il personale di Polizia Penitenziaria di San Gimignano non intende più sopportare condizioni di lavoro insostenibili con gravi ripercussioni sulla sicurezza personale degli operatori". In particolare i sindacati denunciano una "grave carenza di organico", con una "ingovernabilità dell’istituto" e "inadeguate misure di salvaguardia dell’incolumità personale degli operatori".

A tal proposito, l’on. Luigi Vitali, responsabile dell’ordinamento penitenziario del Pdl, esprime solidarietà e vicinanza all’agente aggredito. "Mi auguro - dice Vitali - che presto si possa risolvere il problema dell’affollamento delle carceri con al costruzione di nuovi penitenziari".

Napoli: 120mila euro per una struttura sportiva a Poggioreale

 

Asca, 5 settembre 2009

 

La Giunta regionale della Campania, su proposta dell’assessore alle Politiche sociali Alfonsina De Felice, ha approvato un finanziamento di 120.000 euro per la realizzazione di una struttura sportiva polivalente nel carcere di Poggioreale.

"La Casa Circondariale di Poggioreale - ha dichiarato l’assessore De Felice - è l’istituto con il più alto tasso di sovraffollamento della nostra regione. Per questo motivo abbiamo raccolto l’esigenza dei detenuti di avere una struttura sportiva all’interno del carcere, che sicuramente renderà più sopportabile la condizione di detenzione.

Questa iniziativa rientra negli obiettivi del Piano Sociale Regionale e della Legge regionale n. 11/2007 sulla dignità sociale. Per chi è privo della libertà personale l’attività sportiva, oltre che un sollievo, può essere un efficace strumento di rieducazione.

La realizzazione di questa opera si fonda sulla collaborazione tra istituzioni pubbliche secondo una strategia consolidata ed efficace che, soprattutto per le politiche sociali, riesce a dare risultati apprezzabili", ha concluso l’assessore De Felice.

Bologna: homeless muore al dormitorio, trovato il giorno dopo

 

Redattore Sociale - Dire, 5 settembre 2009

 

Luciano S. si è spento nel sonno il 9 agosto, nel centro Beltrame di Bologna, ma il personale se ne è accorto dopo più di 24 ore, perché nei weekend non ci sono gli educatori. Piazza Grande: "Nei dormitori solitudine e tensioni".

Morte di un invisibile. Luciano S., senza dimora ospite del dormitorio Beltrame di Bologna, si è spento nel sonno la sera di sabato 9 agosto, ma per tutta la domenica successiva nessuno si è accorto di niente. Anche la donna delle pulizie, entrata nella camera, ha pensato che stesse dormendo. Solo il giorno dopo, la stessa donna ha lanciato l’allarme, insospettita dall’odore. Pietro Segata, il presidente della Cooperativa Dolce che gestisce la struttura per conto del comune, prova a spiegare questa morte "invisibile".

"La convenzione del centro Beltrame - dichiara il presidente al Resto del Carlino - prevede attività di portineria, pulizia e manutenzione ordinaria. Nei giorni feriali ci sono anche gli educatori. Il sabato e la domenica no. E sicuramente nei giorni di Ferragosto sono molto meno presenti i volontari". Non ci sarebbero quindi responsabilità, "ma - propone Segata - magari la convenzione sarebbe da rivedere".

Ora il caso fa discutere sulla situazione dei dormitori comunali, anche perché il fatto avviene nel pieno della riforma dei servizi sociali cittadini avviata dall’ex assessore Adriana Scaramuzzino. "Nei dormitori comunali ci sono poche persone, pochi fondi - spiega Jacopo Fiorentino di Piazza Grande -: è una conseguenza scontata, se si ricorre a un’asta per appaltare la gestione dei centri". Anche al Beltrame, che non è una struttura di prima accoglienza.

"Ci si arriva dopo alcuni passaggi - continua Fiorentino - ma le attività di reinserimento lavorativo sono rare. E così il centro spesso si trasforma in un ‘parcheggiò per queste persone: alcune rimangono lì fino ai 65 anni, quando riescono a ottenere una casa popolare". Il comune sta ragionando su come cambiare i suoi dormitori, "ma si sta andando in una direzione che non ci piace". Sul tavolo ci sono varie proposte: accesso riservato ai residenti a Bologna, accorciare i periodi di permanenza, e anche una retta da far pagare agli ospiti. "Su alcune di queste si potrebbe anche discutere - commenta Fiorentino - ma è chiaro che così si tagliano fuori molte persone: i non residenti dove dovrebbero andare?".

Ma nella morte di Luciano S., a colpire è ancora una volta la solitudine di chi vive sulla strada. "I dormitori non sono isole felici - spiega Fiorentino -: fra i senza dimora non c’è molta solidarietà, piuttosto sono frequenti le tensioni: al massimo si può trovare una coppia di amici, ma difficilmente si forma un gruppo".

Si spiega anche così perché nessuno degli ospiti del Beltrame ha bussato alla porta di Luciano. "È un tema di cui parliamo spesso su Piazza Grande: la solitudine e la divisione anche fra chi vive la stessa condizione. Anche su questo influiscono le dipendenze da alcol e droga". Per aiutare una persona a uscire dalla vita di strada, conclude Fiorentino, "servono investimenti seri, ma non sembrano all’orizzonte".

Lecce: "Made in carcere" crea la borsa più grande del mondo

 

www.lecceprima.it, 5 settembre 2009

 

La borsa più grande del mondo? "Made in carcere", a Lecce. Il primato dicono di averlo loro, le stiliste di Borgo San Nicola, quelle donne che da tempo danno sfogo alla propria creatività anche se in un luogo di reclusione, partecipando al progetto ideato dalla leccese Luciana Delle Donne. E dunque, eccola qui, la borsa più grande del mondo, ultimo frutto del laboratorio sartoriale della Casa Circondariale del capoluogo salentino. Ovviamente, il tentativo è di superare il record e vedere il loro nome iscritto nel libro del "Guinness dei primati".

L’immensa borsa, un po’ difficile da portare a tracolla, è stata realizzata in tessuto e materiali di scarto, come tutti i manufatti "Made in Carcere". Ma dove si potrà ammirare in tutta la sua immensa interezza? La risposta arriva da Luciana Delle Donne: presso il salone internazionale della casa - Macef, che si terrà alla fiera di Milano-Rho da oggi e fino al 7 settembre.

"Made in Carcere" ne fa un’altra delle sue, dopo la festa del Baratto, la sfilata per Telethon e tante altre iniziative che scuotono gli animi addormentati, vuol richiamare all’attenzione il pubblico milanese. Ed ecco, tutte le Donne di Made in Carcere pronte ancora per un’altra sfida, spiega la responsabile del progetto in una sua nota, elogiando la tenacia delle magiche manine delle stiliste. Durante queste giornate milanesi, sulla scorta del successo anglosassone, sarà possibile parte ad un "Designcamp", ovvero ad "una non-conferenza i cui contenuti sono proposti dai partecipanti stessi, che nasce dal desiderio delle persone di condividere informazioni e relazioni e apprendere in un ambiente aperto e libero. Il Design Camp è quindi un incontro collaborativo, dove chiunque può insegnare qualcosa, proporre un argomento e parlarne agli altri, con lo scopo di favorire il libero pensiero, la curiosità, la divulgazione e la diffusione di alcuni temi".

Saranno affrontati quattro temi pensati per stimolare gli incontri, a cui gli interessati potranno iscriversi gratuitamente: materiali innovativi e mutamenti degli oggetti nella casa contemporanea; tecnologia e casa, il bijoux tecnologico; la casa e gli stili di vita nella società internazionale, il valore del made in italy; la casa come luogo esteso e il nomadismo delle persone.

Ospite dei dibattiti, oltre Luciana Delle Donne, il designer Giorgio Correggiari designer, Bruno Murari, leader dei ricercatori STMicroelectronics, William Salice, presidente della fondazione Color Your Life, Caterina Micolano di Codice a sbarre, Lorenzo Castellini Esterni, Barbara Zucchi Frua l’Hub, Walter Oscar Mauri di Shaker. Ma la possibilità di partecipare è praticamente aperta a tutti. Inoltre si svolgerà il Concorso "Made in Macef": nell’area un’esposizione di 100 progetti, tra cui dieci saranno selezionati per menzione speciale, frutto di "Made in Macef", un concorso bandito on-line per permettere a designer internazionali di esplorare il tema del Made in Italy proiettandosi verso i trend futuri. In conclusione, tornando al progetto salentino, "chi acquista un accessorio Made in Carcere - spiega Luciana Delle Donne - non acquista un semplice prodotto, ma un progetto con un insieme di messaggi forti ed importanti ed una bella storia da raccontare: etica ed estetica".

Immigrazione: "noi" e "loro", chi deve vivere chi deve morire

di Loredana Biffo

 

Aprile on-line, 5 settembre 2009

 

Il razzismo, disse Michel Foucault, consiste precisamente "nell’introdurre una separazione, quella tra ciò che deve vivere e ciò che deve morire". Questo è esattamente quello che si ottiene con i respingimenti in Libia dove gli immigrati verranno uccisi, o nei ghetti come la clinica S. Paolo dove si può morire di malattie o incidenti, nell’indifferenza della cosiddetta civiltà occidentale.

Lo scottante tema dei respingimenti dei barconi carichi di immigrati, e il modo concitato e paranoide con cui il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi affronta la questione, mette in evidenza il vero focus di un problema che ha origine in una politica di scellerato razzismo, che ha origini antiche ma, purtroppo, sempre attuali. E non è certo Berlusconi il solo colpevole dello strazio a cui stiamo assistendo, pari responsabilità ha la Lega che ha fatto di tale razzismo una bandiera nazionale.

Del resto gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della discriminazione come salvezza dalla contaminazione delle "culture altre". Lo hanno accettato, ma sono davvero in grado di realizzarlo?

No, o perlomeno lo realizzano solo in parte, diventandone la caricatura, o lo realizzano in una misura così minima da diventarne vittime inconsapevoli, che non si vergognano della propria ignoranza (voce del verbo "ignorare") specifica. Non a caso il Commissario Barrot, responsabile dei problemi dell’immigrazione, ha giustamente detto che il respingimento indiscriminato delle barche di immigrati pone un problema, perché tra questi possono esserci persone che hanno titolo per chiedere e ottenere asilo, e che per questo motivo, la Commissione ha chiesto spiegazioni alle autorità italiane, che ora hanno due mesi di tempo per rispondere".

In realtà si pone un problema ancor più grave: la violazione dei diritti di chi è già in Italia come rifugiato politico, e in possesso quindi di carta di identità italiana. Questo è ciò che accade in una città come Torino, dove nel novembre del 2007, i centri sociali hanno occupato uno stabile (ex caserma vigili del fuoco), e ne hanno fatto un rifugio per rifugiati politici sudanesi, che viene poi in seguito sgomberato, dando origine ad una nuova occupazione nei locali di una ex casa di cura privata "Clinica San Paolo" di C.so Peschiera; un luogo assolutamente inadatto ad ospitare 300 persone in totale stato di indigenza, che vivono praticamente senza i servizi igienici minimi per garantirne l’incolumità e lo stato di salute. Ci sono fili della corrente agganciati con mezzi di fortuna a qualche casa circostante, tre tubi dell’acqua per 300 persone, di cui molte donne in stato avanzato di gravidanza, bambini piccoli e malati.

Alcune associazioni si stanno occupando della questione, tra cui il Gruppo Abele, Non solo Asilo, l’associazione Adelaide Aglietta e molte altre, che si pongono l’obiettivo di dare asilo a rifugiati politici somali, etiopi e sudanesi che si trovano in Italia, ma il Governo e il Comune, nonostante la situazione che rivela lo stato d’urgenza, tergiversano rimandando il problema perché i rapporti tra le parti sono pessimi. Nel gennaio 2009 ci sono dei disordini, tutte le associazioni sostengono gli immigrati, mentre il Comune continua a rimandare la decisione di trovare una collocazione dignitosa ai rifugiati. Nel giugno 2009 il Prefetto decide di spostarli in Via Asti alla Caserma Lamarmora, e il Sindaco Chiamparino ordina lo sgombero della ex clinica S. Paolo, ma solo dopo si rendono conto che i rifugiati sono 340, e che nella caserma Lamarmora ci sono solo 200 posti.

A questo punto esplodono le proteste dei Radicali e delle Associazioni, pertanto il trasferimento viene rimandato, la data prevista è l’ 11 settembre 2009 (complimenti per la scelta), e le persone che non rientrano nella capienza massima della caserma, verranno trasferite "in qualche altro posto" da definire (notare che manca poco alla data dell’ 11).

La Senatrice Rita Bernardini, in seguito alla petizione dell’ Associazione Radicale Adelaide Aglietta, chiede conto al Ministro Maroni attraverso una interrogazione parlamentare, di assumersi la responsabilità a livello nazionale e trovare sistemazione per tutti, tenendo conto anche dei nuclei famigliari. Il governo tergiversa, e il problema rimane; le associazioni continuano la loro battaglia nell’indifferenza generale; si pensi che l’Assessore alle Politiche Sociali Borgione, ha detto che "la città ha fatto fin troppo" (sic!), il Sindaco Chiamparino è stato invitato allo stand dei Radicali alla festa del PD, a visionare un video girato all’interno del tugurio in cui vivono questi "esseri umani", ha detto tra l’imbarazzato e il seccato che qualcosa verrà fatto; il giorno dopo questo incontro con i Radicali, è stato mandato in onda un servizio sul Tg 3 in cui si diceva che si sarebbero presi provvedimenti, ma vorrei aggiungere che in qualità di Sindaco è pienamente responsabile di come lavorano i suoi assessori che fino ad ora non hanno risolto il problema; inoltre la caserma Lamarmora sarebbe comunque un luogo provvisorio per 6 mesi, perché poi arriverebbero gli alpini, quindi si ricomincerebbe tutto da capo.

La cosa sconcertante in questo rimpallo di responsabilità, è che Torino rischia di essere il caso migliore nel Paese, perché in base a quanto ne sappiamo nelle altre città, i rifugiati politici potrebbero essere tranquillamente alloggiati sotto i ponti o sui marciapiedi, mentre secondo la Convenzione di Ginevra, il protocollo di New York e la Costituzione Italiana, avrebbero diritto di asilo.

In materia di immigrazione e cittadinanza, l’articolo 13, 2° comma della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, dice che: "ognuno ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio", è un diritto universale, conferito a tutti gli esseri umani, che evidentemente comporta il diritto di immigrare in paese diverso, e perciò il dovere della comunità internazionale di garantirne in qualche forma l’esercizio.

Il razzismo istituzionale racchiuso nel "reato di clandestinità" è il riflesso di una nuova, radicale asimmetria tra "noi e "loro", concepita dalle attuali politiche dell’Occidente, orgoglioso di celebrare i propri trionfi e la propria superiorità rispetto al resto del mondo. La materializzazione di questa asimmetria attraverso le legislazioni contro l’immigrazione, la possiamo chiaramente riconoscere nel nostro "bisogno di sicurezza", nella nostra incontaminabile "identità culturale", anche a costo di far finta di nulla di fronte alla morte di milioni di esseri umani, che avvertiamo come "diversi", e che in quanto tali, nemici, o comunque inferiori.

La costruzione di questo immaginario, è servito inoltre a cambiare il senso comune rispetto al concetto di devianza e al diritto penale, creando allarme sociale non già contro i delitti dei potenti - le corruzioni, i peculati, le grandi bancarotte, le devastazioni ambientali, le mafie, che a detta di qualcuno, la "magistratura politicizzata" si ostina a voler perseguire, bensì gli scippi, i delitti di strada le violenze sessuali commesse da immigrati (quelle degli italiani passano in secondo piano anche se sono numerose e all’interno delle famiglie), che non a caso riempiono le cronache televisive, e ancor più le carceri italiane.

Il razzismo, disse Michel Foucault, consiste precisamente "nell’introdurre una separazione, quella tra ciò che deve vivere e ciò che deve morire". Questo è esattamente quello che si ottiene con i respingimenti in Libia dove gli immigrati verranno uccisi, o nei ghetti come la clinica S. Paolo dove si può morire di malattie o incidenti, nell’indifferenza della cosiddetta civiltà occidentale.

Immigrazione: la "regolarizzazione vigliacca" di colf e badanti

di Piero Soldini

 

Aprile on-line, 5 settembre 2009

 

Il 1° settembre è partita la fase di regolarizzazione per colf e badanti. Un’operazione figlia di una legge razzista (pacchetto sicurezza) che trasforma tutti gli immigrati irregolari in criminali, salvo accorgersi che in questa condizione si trovano centinaia di migliaia, lavoratrici e lavoratori colf e badanti che lavorano sulle nostre case e che se non ci fossero metterebbero in ginocchio le nostre famiglie

Dal 1° settembre fino al 30 settembre si presenteranno le domande di regolarizzazione per colf e badanti. Si tratta di una "regolarizzazione vigliacca" perché arriva dopo una legge razzista (pacchetto sicurezza) che trasforma tutti gli immigrati irregolari in criminali, salvo accorgersi che in questa condizione si trovano centinaia di migliaia, lavoratrici e lavoratori colf e badanti che lavorano sulle nostre case e che se non ci fossero metterebbero in ginocchio le nostre famiglie.

E siccome la famiglia è sacra e "la serva serve" allora per loro scatta la regolarizzazione. Ben venga, comunque, questa regolarizzazione e noi come Cgil c’impegneremo perché sia fatta al meglio. Questo non è affatto scontato perché, come al solito il governo cerca di gestirla con procedure restrittive e disagevoli; e fornendo informazioni volutamente confuse.

Per esempio, occorre fare chiarezza sul pagamento dei 500 euro, questa somma deve essere pagata esclusivamente e tassativamente dal datore di lavoro e se il datore di lavoro si rifiuta di pagare e quindi di accedere alla procedura di regolarizzazione, il lavoratore e la lavoratrice che si trovano nel diritto di accedere dovranno rivolgersi al sindacato per impostare una vertenza.

La seconda cosa che occorre chiarire è che tutti quei lavoratori che perderanno il datore di lavoro, o perché muore o perché li licenzia, dopo aver fatto domanda, dovranno avere la possibilità di cercarne un altro con il quale presentarsi alla convocazione. Se non lo troveranno nello spazio temporale che precede la convocazione, dovranno avere diritto ad un permesso di soggiorno di 6 mesi per attesa occupazione, così come avviene di prassi sia per il decreto flussi che per le regolarizzazioni precedenti a questa.

Il terzo aspetto da sottolineare riguarda il fatto che se il governo ha davvero capito che il lavoro delle assistenti familiari è socialmente utile per le famiglie italiane, per il nostro welfare e per il funzionamento del nostro sistema socio-economico, così come provano da ultimo i dati della Banca d’Italia, e così come è stato enfaticamente affermato da tutti, ministri compresi, allora non basta la regolarizzazione, ma occorrono provvedimenti che defiscalizzino gli oneri di questo lavoro dal reddito delle famiglie, che generalizzino la formazione degli addetti e l’acquisizione di un più elevato standard professionale e riconoscano a questi lavoratori e lavoratrici diritti contrattuali essenziali: giusto salario, orario, riposi, ferie, malattia ecc., diritti che oggi non sono esigibili nella stragrande maggioranza di rapporti di lavoro anomali, fatti di sottosalari e semiconvivenza, convivenza e spesso privazioni di libertà personale. Se non si interviene con provvedimenti strutturali che stabilizzino e qualifichino questo lavoro, che oggi è in assoluto il più precario e sregolato che c’è, la regolarizzazione sarà solo momentanea e in poco tempo queste lavoratrici rischieranno di ritrovarsi di nuovo irregolari e passibili di criminalizzazione.

La quarta cosa che è bene chiarire come Cgil è che noi continuiamo a chiedere con forza una regolarizzazione generalizzata di tutti gli immigrati, comunitari ed italiani che lavorano in nero in tutti gli altri settori: edilizia, agricoltura, industria, commercio e servizi. Secondo le nostre stime ce n’è una quantità analoga a quella di colf e badanti e chi potrebbe affermare che il loro lavoro è meno utile, socialmente ed economicamente, meno necessario? Oppure chi potrebbe sostenere che loro possano continuare a lavorare in nero?

Come si potrebbe ipotizzare per loro una criminalizzazione di massa? Questi lavoratori, anche se venissero accusati di reato di clandestinità ed espulsi, cosa concretamente impossibile, avrebbero comunque diritto ad avere riconosciute tutte le loro spettanze salariali e contributive secondo una Direttiva Ce (la n. 52 in vigore dal 30/6/2009).

Per queste ragioni e per cambiare profondamente la politica xenofoba e razzista di questo governo che produce discriminazioni inaccettabili sul nostro territorio e tragedie sul mare con i respingimenti, la Cgil non mancherà di mobilitarsi in questo caldo autunno che sta per cominciare.

Immigrazione: "reato tenue", giudice non punisce clandestino

di Fabrizio Dell’Orefice

 

Il Tempo, 5 settembre 2009

 

A Genova un giudice non sanziona il nuovo reato: vicenda tenue. Timori a Roma. Una decisione che è pericoloso precedente. Così ha inizio il sabotaggio del nuovo testo sull’immigrazione.

Fatta la legge, trovato l’inganno. Solo che stavolta a scovare l’inghippo non sono i colpevoli di un reato bensì i giudici. Che si sono messi a fare una sorta di sciopero bianco nei confronti nella legge sulla sicurezza appena varata che istituisce anche una nuova fattispecie: quella di clandestinità. Per ora c’è un piccolo caso. Ma che apre uno squarcio come accadde della legge Bossi-Fini nel 2002, quando alcuni magistrati fecero obiezione di coscienza.

A Recco, vicino Genova, un giudice di pace ha ritenuto di "non doversi procedere per particolare tenuità del fatto" nei confronti di un clandestino. In pratica, il giudice ligure ha motivato la sua scelta poiché l’imputato era "incensurato, non aveva mai avuto problemi con la giustizia e svolgeva un’attività lecita, seppure in forma irregolare, così che non appariva giustificata l’azione penale nei suoi confronti".

E si è aggrappato all’articolo 34 del decreto legislativo 274/2000. Questo articolo, di un testo che regolamenta le funzioni dei giudici di pace, spiega che "rispetto all’interesse tutelato, l’esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza, non giustificano l’esercizio dell’azione penale".

 

Vizzini: interpretazione bizzarra Maroni venga a riferire

 

Carlo Vizzini è nella sua Palermo. E a Palermo è festa, è Santa Rosalia. Lui, presidente della commissione Affari Costituzionali e relatore sulla legge sulla sicurezza, s’è concesso un po’ di riposo con una nuotata. Ascolta a telefono le ultime novità che arrivano dalla Liguria dove un giudice di pace ha mandato "assolto" un immigrato accusato di clandestinità. Vizzini, pacatamente, non ci sta: "I giudici sono chiamati ad applicare la legge. Una volta chiusa la fase della discussione si dovrebbe concludere anche quella della contestazione".

 

Presidente, non teme che possa partire una sorta di sciopero bianco magari da quella parte della magistratura più politicizzata?

"Comunque sia non sarebbe ammesso. Né scioperi bianco e né obiezioni di coscienza. Mi auguro che non ci sia nessun comportamento che vada contro l’ordinamento".

 

Il giudice di Recco si è appellato però al fatto che si tratta di un reato tenue e dunque può non procedere. Che cosa ne pensa?

"Dovrei leggere le carte, non me la sento di giudicare così. La legge l’abbiamo lungamente approvata, discussa ed esaminata. Non ho mai sentito parlare della possibilità di appellarsi, da parte di un clandestino, alla tenuità del reato".

 

Nemmeno da parte dell’opposizione è stata sollevata questa obiezione?

"Guardi, le contestazioni che sono state fatte a questa legge sono state davvero le più varie. Ma questa non l’ho mai sentita e mi pare un’interpretazione vagamente bizzarra".

 

Ma perché è stata scelta la strada dell’ammenda per chi viene contestato il reato di clandestinità?

"Oddio, si rende conto se avessimo stabilito invece la detenzione? Già così ci accusa di aver fatto dei lager, figuriamoci se avessimo previsto il carcere. E le dirò di più".

 

Che cosa senatore?

"Pur essendo prevista la sanzione pecuniaria, c’è chi ci accusa di aver riempito i penitenziari. A costoro rivolgo solo un invito: prima di criticare almeno leggete il testo. Ed è un invito rivolto a tutti".

 

A chi si vuole riferire?

"Anche al Pdl. Ho letto una dichiarazione di un esponente del Pdl che accusava appunto la legge di aver provocato il sovraffollamento delle carceri. E per carità di patria non mi chieda il nome".

 

Presidente, ma le sono giunte notizie di altre "inosservanze" della legge?

"No, mi auguro che il governo stia facendo questo monitoraggio. Anzi, sono sicuro che lo starà facendo. Anzi, chiuderò al ministro dell’Interno di venire a riferire al Senato".

 

Quando?

"Non lo so, quando lui lo riterrà opportuno. Appena tornerò in ufficio, lo contatterò per sapere quando lui pensa di avere un quadro della situazione tale da fare un’analisi sull’applicazione della legge".

 

E secondo lei quanto tempo è necessario?

"La legge è entrata in vigore ad agosto. Un mese per giunta di scarsa attività. Secondo me occorrono almeno tre mesi, forse quattro. Insomma, mi auguro che possa venire entro la fine dell’anno in modo anche da verificare altre questioni come la tessera del tifoso".

 

Berlusconi immagina a modifiche del testo soprattutto sul fronte dell’integrazione. Lei sarebbe d’accordo?

"Ripeto, bisognerebbe fare un’analisi. Tuttavia siamo pronti a fare delle correzioni laddove ci rendessimo conto che è necessario intervenire. Sull’integrazione, in particolare quella che riguarda le grandi città, posso solo dire che proprio la prima commissione del Senato ha avviato un’indagine conoscitiva. Nelle prossime settimane dovremmo avere già qualche risultato. Ma non me la sento di anticipare nulla".

Immigrazione: Radicali; interrogazione sul Cie di Ponte Galeria

 

Adnkronos, 5 settembre 2009

 

Sulle proteste in corso al Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria a Roma, la parlamentare radicale eletta nelle liste del Pd, Elisabetta Zamparutti ha presentato una interrogazione al ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Nella interrogazione, la deputata chiede tra l’altro di sapere "se corrispondano al vero atti di autolesionismo e maltrattamenti che si sarebbero verificati nelle ultime ore, come quelli che hanno riguardato un trattenuto tunisino che avrebbe bevuto due bottiglie di shampoo e poi ingoiato una lametta da rasoio e che subito dopo le cure del caso, sarebbe stato malmenato da un agente di polizia". La Zamparutti chiede inoltre al ministro Maroni "cosa intenda fare per ricondurre la situazione del Cie di Ponte Galeria al più rigoroso rispetto della dignità umana, dei diritti umani fondamentali e delle regole interne e internazionali di trattamento delle persone private della libertà personale".

Stati Uniti: pena morte; condannato ucciso nel 2004 discolpato

 

Apcom, 5 settembre 2009

 

Cinque anni dopo l’iniezione letale che ha ucciso Cameron Todd Willingham, sulle autorità del Texas che ne ordinarono la condanna a morte si è alzata una vera e propria bufera alla luce delle prove che dimostrerebbero la sua innocenza. Un caso eclatante di errore giudiziario riesumato da un’inchiesta del settimanale New Yorker, che scagionerebbe Willingham, il quale per tutti gli anni del processo si era sempre dichiarato innocente.

Il caso sconvolse l’America nel 2004 per la brutalità dell’omicidio di cui l’uomo fu accusato. Secondo la polizia infatti Willingham aveva bruciato vivi i suoi tre figli appiccando senza alcun motivo apparente un rogo alla sua casa di Corsicana. Il ragazzo aveva allora 23 anni e lui e sua moglie tentarono in ogni modo di entrare nell’edificio in fiamme quella notte per salvare i bambini. I testimoni che chiamarono la polizia raccontarono di un uomo in lacrime che continuava a piangere nel tentativo di spegnere il fuoco.

Willingham all’epoca non poté permettersi un legale e i due avvocati d’ufficio assegnatigli gli consigliarono per mesi di dichiararsi colpevole per evitare la pena di morte e andare incontro al carcere a vita. Un caso molto controverso, con prove e testimonianze contraddittorie in cui uno dei testimoni chiave del processo fu un compagno di cella del ragazzo, che dichiarò che Willingham gli aveva confessato in carcere di essere stato lui ad appiccare quell’incendio. Pochi anni dopo, lo stesso testimone fu dichiarato mentalmente instabile.

A cinque anni di distanza il New Yorker ha portato alla luce le indagini, pubblicate inizialmente dall’associazione The Innocent Project, che mettono fortemente in discussione le conclusioni dei giudici. Secondo questi dati, all’origine dello spaventoso rogo potrebbe effettivamente non esserci la mano di un omicida ma un tragico incidente.

Gli esperti della Texas Forensic Science Commission ritengono infatti che il materiale che ha dato inizio alle fiamme non possa affatto far pensare a un dolo. A condurre parte delle ricerche è stato uno degli amici più stretti del condannato, che regolarmente andava a trovarlo in carcere. Willingham ha passato 12 anni nel braccio della morte prima di essere ucciso il 17 febbraio del 2004; prima di subire l’iniezione letale ribadì la sua innocenza, dichiarando di essere stato condannato per un crimine che non aveva commesso.

Il caso riaccende ora i riflettori sui tribunali del Texas, più volte accusati di aver condannato imputati innocenti senza aver esaminato a sufficienza le prove. Gli avvocati di The Innocent Project, che da anni si battono per i detenuti americani, hanno scagionato negli anni ben 242 detenuti. Il Texas ha giustiziato 439 persone da quando è in vigore la pena di morte, 16 nel solo 2009. In un recente articolo John Jackson, il magistrato che si occupò del caso, spiega che nonostante tutto quella condanna era motivata, anche in mancanza di prove certe relative all’omicidio dei tre bambini. Secondo Jackson infatti il difficile rapporto dell’uomo con la moglie e il dubbio comportamento descritto dai testimoni durante l’incendio erano indizi più che sufficienti per mandare a morte l’imputato.

Gran Bretagna: detenuto trans trasferito nel carcere femminile

 

Ansa, 5 settembre 2009

 

Un detenuto transessuale verrà trasferito al carcere femminile. Era stato condannato all’ergastolo per omicidio e tentato stupro, reati commessi quando era ancora un uomo, e ora ha vinto la sua battaglia per andare in cella con le donne. Il giudice David Elvin ha infatti annullato la decisione da parte del segretario della giustizia Jack Straw, di continuare a detenere il 27 enne in un carcere maschile. Il giudice ha motivato la sentenza dicendo che rifiutarla significava violare i diritti umani: "Dichiaro che il protrarsi della detenzione in un carcere maschile è una violazione dei diritti umani ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo".

Il giudice ha detto che A., questa l’iniziale del nome del detenuto, viene descritto dal suo avvocato Philippe Kaufmann come "una donna intrappolata nel corpo di un uomo" e che quindi deve essere trasferito in un carcere femminile "il più presto possibile".

Kaufmann ha descritto in una recente audizione A. come una persona che alla nascita apparteneva al sesso maschile, ma che ora ha una femminilità riconosciuta dalla legge con tanto di modifica del certificato di nascita. I peli sul viso e sulle gambe sono stati rimossi in modo permanente con un laser, mentre il seno è cresciuto grazie ad un trattamento ormonale. In carcere ad A. le era proibito indossare gonne e camicette dato che si trovava nella parte maschile: il transessuale, era detenuto in un’ala della prigione destinata alle persone più "vulnerabili".

Brasile: caso Battisti; il 9 settembre decisione sulla estradizione

 

Asca, 5 settembre 2009

 

Il prossimo 9 settembre è attesa la decisione della Corte Suprema brasiliana sull’eventuale estradizione in Italia di Cesare Battisti, ex militante di estrema sinistra accusato di quattro omicidi ed attualmente detenuto in un carcere di Brasilia. "L’Italia ha reagito con arroganza inammissibile alla concessione nei miei confronti dello stato di rifugiato politico ed hanno offeso le autorità brasiliane", ha detto Battisti in un’intervista al quotidiano O’ Globo.

Battisti, che ha fatto parte di un gruppo eversivo chiamato "Proletari armati per il comunismo" (Pac) ha sempre negato di aver commesso degli omicidi ed è fiducioso sulla decisione della massima autorità giudiziaria brasiliana.

"Non credo che la Corte Suprema si lascerà influenzare o intimidire. Sanno bene che per me non c’è alcuna possibilità di difesa in Italia", ha detto aggiungendo che "il governo brasiliano ha preso una decisione, mi rifiuto di pensare che ci sia la possibilità che io venga estradato".

Era stato il ministro della Giustizia, Tarso Genro, ad accordare lo stato di rifugiato politico all’ex terrorista, ma il governo italiano ha chiesto alla Corte Suprema di annullare questa decisione. Rifugiatosi negli anni ottanta in Francia, dove è diventato un autore di romanzi gialli, Battisti è scappato nel 2004 in Brasile per evitare l’estradizione. È stato arrestato nel 2007 a Rio de Janeiro.

 

 

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