Rassegna stampa 26 ottobre

 

Giustizia: la riforma è attesa da 15 anni, non ci sono più scuse

di Cesare Maffi

 

Italia Oggi, 26 ottobre 2009

 

Eccellente la proposta, dal Pdl, di arrivare a una riforma condivisa in campo giudiziario. Ottimo il richiamo a una consultazione dell’avvocatura. Il sindacato dei magistrati si è affrettato a fornire disponibilità. In realtà, ben poche delle indicazioni del Pdl saranno accolte dalle opposizioni, pur se l’Udc potrebbe in parte aderire.

Le prime reazioni, negative, sono autolesionistiche per Pd e Idv, e fanno il gioco della maggioranza. Verosimilmente l’associazione dei magistrati dirà di no, laddove gli avvocati potrebbero in buona misura convergere. L’essenziale è dichiararsi aperti; poi, conta che alla riforma si arrivi. E si arrivi in due tempi: in fretta, per le leggi ordinarie; col tempo necessario, per le riforme costituzionali.

Queste ultime necessiterebbero di una popolarità radicata, essendo ovvio che dal Pd e ancor più dall’Idv scatterebbe la richiesta di referendum. Troppe occasioni sono andate perse in passato. Da anni il centro-destra parla di spezzare le carriere: siamo ancora a zero. I cittadini si aspettano novità incisive, che rechino a una giustizia sicura e rapida.

Pure il Csm avrà bisogno di una robusta revisione, per superare l’odierna situazione di organo corporativo (nel senso deteriore, e non tecnico, della parola). Bisognerebbe anche riflettere sui fallimenti finora occorsi ai tentativi di riscrittura del codice penale. Insomma: il centro-destra deve usare la maggioranza di cui dispone, che sulla carta ha margini di tranquilla sicurezza nelle due camere, per attuare riforme che gli elettori attendono invano dal 1994. Allora, i pochi mesi di vita di un governo improvvisato non consentirono di procedere. Nella legislatura del 2001 furono le suicide liti interne a paralizzare Berlusconi. Oggi non ci sono scusanti. Il restauro della giustizia è bene che sia stato avviato; ma sarà bene che venga presto compiuto. Con o senza altrui contributi.

Giustizia: Alfano; no amnistie, nuove carceri per "rieducazione"

 

Ansa, 26 ottobre 2009

 

Niente amnistie o indulti ma nuove carceri per circa 20 mila nuovi posti: lo ha ribadito il ministro della giustizia Angelino Alfano in un intervento davanti agli studenti della facoltà di giurisprudenza di San Pietroburgo, dove è in visita ufficiale. "Le nostre carceri sono sovraffollate, abbiamo 65 mila detenuti contro una capienza di poco più di 60 mila posti, ma il governo sta pensando di creare 20 mila nuovi posti con gli stessi metodi usati dal premier Silvio Berlusconi per ricostruire vere e proprie città in Abruzzo dopo il terremoto dello scorso aprile", ha detto il guardasigilli. "In tal modo arrecheremo un gran sollievo ai detenuti, che non devono solo espiare la pena ma anche essere rieducati per tornare in società", ha proseguito. "Lo strumento dell’amnistia o dell’indulto è inutile perché ogni due anni il problema torna a riproporsi negli stessi termini", ha osservato.

Alfano ha anche ricordato che il 38% dei detenuti sono stranieri: "senza di loro non ci sarebbe sovraffollamento carcerario", ha sottolineato, spiegando il fenomeno con la collocazione geografica dell’Italia, tra Africa ed Europa meridionale.

Giustizia: 10 pdl bipartisan, per garante dei diritti dei detenuti

 

Adnkronos, 26 ottobre 2009

 

Può compiere, senza aver bisogno di alcuna autorizzazione, veri e propri blitz negli istituti penitenziari, negli ospedali psichiatrici giudiziari, negli istituti penali e nelle comunità per minori, per verificare che sia assicurata la tutela dei diritti fondamentali. È il Garante nazionale per i diritti dei detenuti che maggioranza e opposizione chiedono di istituire con 10 proposte di legge presentate sia alla Camera che al Senato.

Nella passata legislatura un testo unificato era stato approvato alla Camera ma le elezioni anticipate hanno impedito al provvedimento di proseguire il proprio iter a palazzo Madama. Pur in mancanza di una figura nazionale che tuteli i diritti fondamentali dei detenuti sono stati istituiti e designati i Garanti in quattordici comuni, in due province ed in cinque regioni.

La mancanza di un soggetto nazionale che coordini l’attività dei Garanti locali, sottolineano i promotori delle iniziative legislative, appare come un limite e l’eccessivo cumulo di funzioni a carico dei magistrati di sorveglianza e la presenza massiccia negli istituti di pena di soggetti socialmente deboli come tossicodipendenti ed extracomunitari (quasi la metà della popolazione detenuta) rendono "attuale ed urgente" la necessità di interventi per un carcere più "trasparente".

Il Garante, secondo le proposte di legge, potrebbe avere diverse finalità: allentare le tensioni, mediare, raccogliere un prezioso patrimonio di informazioni; potrebbe svolgere una funzione di deterrente rispetto a tentazioni di maltrattamenti, potrebbe diventare uno "specchio pubblico" delle condizioni di detenzione ed un punto di partenza per una periodica discussione parlamentare sui temi del carcere e dei diritti dei detenuti, anche tenendo conto del fatto che nelle proposte è prevista una relazione annuale del Garante alle Camere.

I compiti cui potrebbe essere chiamato il Garante sono molteplici: potrebbe abbreviare i tempi per un ricovero ospedaliero, fornire le informazioni per l’accesso al patrocinio gratuito per i non abbienti, sollecitare i lavori necessari per migliorare le condizioni igienico-sanitarie dell’istituto, verificare la compatibilità delle circolari ministeriali con le leggi che regolano la materia, monitorare i regolamenti interni e soprattutto garantire, attraverso visite ispettive (anche senza preavviso) il rispetto degli standard minimi di trattamento.

È necessario, sottolineano i firmatari dei provvedimenti, individuare nuove forme di controllo della legalità nei luoghi di detenzione, senza mettere in discussione quelle esistenti. Il Garante dei diritti dei detenuti potrebbe inoltre funzionare da "cassa di risonanza" dell’inadeguatezza delle piante organiche degli istituti penitenziari.

L’istituzione di un Garante per la tutela dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, osservano i promotori delle iniziative di legge che attendono ancora di avviare il proprio iter parlamentare, giunge comunque in ritardo rispetto ad altri Paesi europei, e non solo rispetto alle realtà scandinave dove istituzioni simili a quella che si vuole realizzare in Italia sono state costruire sulle figure tradizionali degli Ombudsman, ma anche rispetto ai Paesi dell’area mediterranea come Portogallo e Spagna, o a Nazioni come Francia e Gran Bretagna.

L’esigenza di una istituzione indipendente a tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, dicono i firmatari delle proposte presentate in Parlamento, giunge anche da una risoluzione delle Nazioni Unite del 1993: in base a quel testo, approvato ben sedici anni fa, gli Stati sono tenuti ad istituire un organismo indipendente per la tutela e la promozione dei diritti.

E rispetto alle realtà locali che già esistono è indispensabile, a giudizio dei deputati e senatori che hanno sottoscritto le proposte di legge, un raccordo a livello centrale "leggero" che rispetti le autonomie e che sia allo stesso tempo "efficace momento di sintesi tra esperienze diverse".

Giustizia: morte del detenuto Stefano Cucchi necessita risposte

di Patrizio Gonnella e Luigi Manconi

 

Ristretti Orizzonti, 26 ottobre 2009

 

La morte di Stefano Cucchi avvenuta all’ospedale Pertini (reparto detentivo) richiede un immediato chiarimento. Trentunenne, di corporatura esile, arrestato pare per modesto possesso di droga il 16 ottobre scorso. Al momento dell’arresto da parte dei carabinieri, secondo quanto riferito dai familiari, stava bene, camminava sulle sue gambe, non aveva segni di alcun tipo sul viso. La mattina seguente, all’udienza per direttissima, il padre nota tumefazioni al volto e agli occhi. Non viene inviato agli arresti domiciliari, eppure i fatti contestati non sono di particolare gravità. Dal carcere viene disposto il ricovero all’ospedale Pertini. Pare per "dolori alla schiena". Ai genitori non è consentito di vedere il figlio. L’autorizzazione al colloquio giunge per il 23 ottobre ma è troppo tardi perché Stefano Cucchi muore la notte tra il 22 e il 23 ottobre. I genitori rivedono il figlio per il riconoscimento all’obitorio e si trovano di fronte a un viso devastato. Ai consulenti di parte è stata negata la possibilità di fare le fotografie di quel viso. Una morte tragica, sospetta che richiede risposte dalla magistratura, dall’amministrazione penitenziaria, dai carabinieri, dai medici del Pertini e dalla Asl competente.

Poniamo noi alcune domande e vorremmo che ci fossero le risposte: 1) Che traumi presentava Stefano Cucchi e chi glieli aveva provocati? 2) Perché è stato ricoverato all’ospedale Pertini? 3) La morte è dipesa dalle possibili violenze subite? 4) Perché ai genitori è stato impedito di incontrare il figlio per lunghi sei giorni? 5) Perché non gli sono stati concessi gli arresti domiciliari neanche fosse il più efferato criminale? 6) Perché non vengono rese pubbliche le foto del viso tumefatto posto che in Italia capita spesso che i verbali degli interrogatori a base di inchieste importanti vengono immediatamente trascritti sui giornali?

Giustizia: sempre più i minorenni in carcere per reati di droga

di Emanuele Perugini

 

Il Messaggero, 26 ottobre 2009

 

Abuso e spaccio di droga, furti, rapine, violenza e persino tentati omicidi e omicidi. Sono sempre di più i minori coinvolti in reati di questo tipo. Soprattutto gli italiani, che nell’ultimo anno hanno riguadagnato il triste primato delle presenze nelle carceri minorili: 694 contro 653. Mentre altri 18.000 minori sono quelli coinvolti in altre forme e misure cautelari come le comunità di recupero e i programmi di messa in prova. A denunciare questa preoccupante inversione di tendenza è stata Serenella Pesarin direttore generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari del Dipartimento per la Giustizia minorile del Ministero della Giustizia, nel corso del suo intervento ad un Convegno Organizzato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche a Roma.

Nel caso degli ingressi nei Istituti Penali per i Minorenni - spiega Pesarin - "si registra persino il superamento del numero di ingressi dei minori italiani (629 nel 2004 - 694 nel 2008) sul numero di ingressi dei minori stranieri (965 nel 2004 - 653 nel 2008) a fronte di un costante ed importante aumento delle misure cautelari non detentive quali il collocamento in comunità (su 2.188 collocamenti nel 2008 ben 664 risultano stranieri) e dell’applicazione della messa alla prova (274 casi nel 2003 - 512 nel 2008), che più di ogni altra facilita l’ingresso dei minori stranieri in programmi di recupero efficaci e rispondenti ai propri bisogni".

I dati poi relativi al 2009 sono ancora più preoccupanti: Il numero dei minori con età compresa tra i 14 e i 18 anni è infatti passato dai 470 del 2008 a 540 - il 55 per cento italiani e il 45 per cento stranieri - con il risultato che anche le carceri per i minori scoppiano, anche più di quelle dei maggiorenni. "Possono sembrare numeri piccoli - afferma la dottoressa Pesarin nel suo accorato allarme - se paragonati ai circa 60 mila detenuti delle carceri per adulti. Ma 100 minori in più rispetto a una capienza di 400 è una situazione ancora più grave. Stanno cambiando le modalità con cui i minori delinquono, sono sempre più violenti e per questo finiscono in istituto".

Questa tendenza si ritrova nei numeri del carcere minorile milanese Cesare Beccaria, un istituto considerato d’avanguardia a livello europeo: sui 136 ragazzi entrati dall’inizio del 2009 (nel 2008 erano stati 342 e nel 2007 280), il 48,5% è italiano: una percentuale che si è impennata rispetto al 27% del 2008 e al 17 del 2007. Il reato più gettonato è la rapina (45,5%) in crescita rispetto al passato (33,6% nel 2008), mentre aumentano in maniera preoccupante i tentati omicidi e gli omicidi: dal 3,2% del 2008 al 13,6 del 2009, con un forte coinvolgimento di minori di 16 anni (nel 30% dei casi).

A Napoli invece sono entrati finora 117 ragazzi (erano stati 176 nel 2008), con una grande maggioranza condannati per spaccio di droga e rapine. I crimini correlati alla droga sono sempre più diffusi: lo attesta anche l’edizione 2008 della Relazione al Parlamento sulle tossicodipendenze, curata dal Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio. Infatti, il 60% degli ingressi nei centri di prima accoglienza per minori è legato al traffico di sostanze e dal 2007 gli ingressi in carcere per reati legati alla droga sono cresciuti del 38%, con una netta prevalenza maschile e una leggera maggioranza di italiani (54,2% del totale).

Giustizia: sconto pena all'imputato "geneticamente vulnerabile"

 

La Stampa, 26 ottobre 2009

 

Condannato con rito abbreviato a nove anni e due mesi di reclusione dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Udine il 10 giugno 2008, per omicidio volontario, con interdizione perpetua dai pubblici uffici, si è visto scontare la pena di un anno in secondo grado dalla Corte d’Assise d’appello di Trieste perché ritenuto "vulnerabile geneticamente".

È quanto accaduto - per la prima volta in Italia - al cittadino algerino Abdelmalek Bayout, accusato di aver ucciso a coltellate nel 2007, a Udine, durante una rissa, il colombiano Walter Felipe Novoa Perez, di 32 anni.

Attraverso un’indagine cromosomica innovativa, Bayout è stato trovato in possesso di alcuni geni, che lo renderebbero più incline a manifestare aggressività se provocato o espulso socialmente. Tale "vulnerabilità genetica" si sarebbe incrociata, nel momento immediatamente precedente all’omicidio, con "lo straniamento dovuto all’essersi trovato nella necessità di coniugare il rispetto della propria fede islamica integralista con il modello comportamentale occidentale", così da determinare nell’uomo "un importante deficit nella sua capacità di intendere e di volere".

La sentenza - ha osservato il giudice Amedeo Santosuosso, consigliere della Corte d’Appello di Milano - applica l’orientamento espresso nel 2002 nel documento britannico diventato da allora il punto di riferimento in merito alle connessioni fra caratteristiche genetiche, comportamento e responsabilità. Il documento, intitolato "Genetica e comportamento umano: il contesto etico", è stato elaborato dal Nuffield Council on Bioethics. "Le conclusioni di quel documento, in generale condivise, rilevano - spiega Santosuosso - che dalle conoscenze genetiche attuali non emerge una sufficiente evidenza scientifica tale da escludere la responsabilità e assolvere persone con determinate caratteristiche; tuttavia possono verificarsi casi in cui parziali evidenze scientifiche possono essere utilizzate per calcolare la pena".

Il corpo senza vita di Novoa Perez era stato trovato il 10 marzo 2007 nei pressi del sottopasso ferroviario di via Cernaia, a Udine. La Polizia era risalita a Bayout indagando su una medicazione che l’uomo si era fatto fare al Pronto soccorso dell’Ospedale. Fermato, l’algerino aveva ammesso di aver accoltellato Novoa Perez, spiegando che lo aveva deriso perchè aveva gli occhi truccati con il kajal, apparentemente per motivi religiosi, ed aveva condotto gli agenti nel luogo in cui aveva gettato l’arma, prima di chiudersi in un silenzio assoluto.

 

Il giudice: è il primo caso in Italia

 

Il caso di "vulnerabilità genetica" riconosciuto dalla Corte d’Assise d’Appello di Trieste "è il primo del genere in Italia". Così il giudice Amedeo Santosuosso, consigliere della Corte d’Appello di Milano, ha commentato lo sconto di pena di un anno riconosciuto a un cittadino algerino condannato per omicidio.

La sentenza, osserva Santosuosso, applica l’orientamento espresso nel 2002 nel documento britannico diventato da allora il punto di riferimento in merito alle connessioni fra caratteristiche genetiche, comportamento e responsabilità. Il documento, intitolato "Genetica e comportamento umano: il contesto etico", è stato elaborato dal Nuffield Council on Bioethics. "Le conclusioni di quel documento, in generale condivise, rilevano - spiega Santosuosso - che dalle conoscenze genetiche attuali non emerge una sufficiente evidenza scientifica tale da escludere la responsabilità e assolvere persone con determinate caratteristiche; tuttavia possono verificarsi casi in cui parziali evidenze scientifiche possono essere utilizzate per calcolare la pena".

Non è molto chiaro, al momento, che cosa si intenda per "vulnerabilità genetica". Il termine, secondo Santuosuosso, "sembra volersi riferire ad una condizione genetica che rende vulnerabili, sembra di capire sulla base di accertamenti di natura scientifica. Quale sia è tutto da vedere".

Giustizia: 41bis; limitare i colloqui con avvocati è costituzionale

 

Ansa, 26 ottobre 2009

 

La corte d’assise di Palermo, presieduta da Salvatore Di Vitale, ha respinto l’eccezione di legittimità costituzionale dell’articolo 41 bis, la norma che disciplina il carcere duro per i mafiosi. La questione era stata sollevata dalla difesa del capomafia palermitano Giuseppe Graviano alla prima udienza del processo per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del collaboratore di giustizia rapito nel 1993 e assassinato nel 1996 per indurre il padre a ritrattare le sue dichiarazioni.

Il difensore di Graviano, imputato assieme ad altri 5 capimafia, aveva sostenuto l’incostituzionalità della norma sul carcere duro in quanto, dopo le ultime modifiche legislative, che prevedono un massimo di tre colloqui al mese tra detenuti e legali, ciascuno di un’ora, limita il diritto di difesa.

La corte, che ha dichiarato la questione manifestamente infondata, ha sostenuto che la corte costituzionale si è già ampiamente pronunciata sulla compatibilità tra il 41 bis e la costituzione e che non sia riscontrabile alcuna lesione del diritto di difesa. Il processo, dunque, va avanti con la costituzione delle parti e l’illustrazione dell’accusa da parte del pm della Dda Fernando Asaro. Alla sbarra, oltre a Graviano, ci sono Salvatore Benigno, Francesco Giuliano, Luigi Giacalone e Matteo Messina Denaro, accusati dell’ideazione e delle prime fasi del sequestro. Imputato anche il pentito Gaspare Spatuzza, che si è autoaccusato del rapimento nei mesi scorsi.

Giustizia: Alfano; bene conferma costituzionalità carcere duro

 

Dire, 26 ottobre 2009

 

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, esprime "soddisfazione e compiacimento" per l’ordinanza emessa dalla Corte di Assise di Palermo nel processo contro alcuni boss mafiosi accusati di uno dei crimini più orrendi consumati da Cosa Nostra: il sequestro e la spietata uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio innocente di un collaboratore di Giustizia. Lo riferisce una nota dell’ufficio stampa. "La pronuncia dei giudici della Corte - osserva Alfano - conferma la bontà e la correttezza costituzionale della scelta di rigore che ha contraddistinto la riforma dell’art. 41 bis O.P.

voluta dal governo Berlusconi, dichiarando, con solide argomentazioni giuridiche, manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità del nuovo regime di carcere duro per i mafiosi, sollevata dalla difesa di Giuseppe Graviano". Si tratta di un provvedimento giurisdizionale che, "ancora una volta, testimonia dell’impegno del governo" in materia antimafia. "Rimane quindi confermato - conclude Alfano - che è possibile garantire il diritto di difesa senza cedere di un millimetro rispetto alla necessità di debellare, anche all’interno del circuito carcerario, il potere mafioso, mettendo in campo una strategia complessiva di cui il 41 bis, insieme al nuovo sistema delle misure di prevenzione anche patrimoniali, è parte essenziale".

Giustizia: Alfano; tra Italia e Russia accordo per cooperazione

 

Ansa, 26 ottobre 2009

 

Italia e Russia firmeranno il 3 dicembre a Roma, nel corso di un vertice intergovernativo, un programma di cooperazione giudiziaria: lo ha annunciato oggi a Mosca il ministro della giustizia Angelino Alfano nel corso di una conferenza stampa congiunta con il suo collega Aleksandr Konovalov, al termine della visita di quattro giorni del Guardasigilli tra San Pietroburgo e la capitale russa. Al vertice parteciperanno il leader del Cremlino Dimitri Medvedev e il premier italiano Silvio Berlusconi, con 4-5-6 ministri per parte.

La cooperazione, ha spiegato Alfano, riguarderà in particolare tre settori. "Uno sarà il miglioramento delle cause civili e la messa a punto di un sistema di valutazione reciproca sull’avvocatura e il notariato per spunti di riflessione comune", ha spiegato. "Il secondo sarà l’impiego di tecnologie innovative e l’applicazione di pene alternative al carcere", ha proseguito, ricordando che in Italia sussiste un problema di arretrato per le cause civili e di sovraffollamento carcerario. "Il terzo, infine, sarà quello dell’immigrazione illegale e della lotta alla criminalità organizzata, sulla base del documento finale elaborato a Roma dai ministri della giustizia del G8", ha aggiunto.

Il Guardasigilli, che sabato aveva visitato a San Pietroburgo la facoltà di giurisprudenza e la Corte Costituzionale, ha concluso la sua visita incontrando il procuratore generale russo Iuri Caika. Quest’ultimo gli ha chiesto di rafforzare la già esistente cooperazione giudiziaria proponendo una bozza di accordo che verrà esaminata successivamente al vertice intergovernativo di dicembre. Il ministro si è detto d’accordo nell’intensificare la già eccellente collaborazione bilaterale sul piano giudiziario e ha ribadito la sintonia registrata al G8 italiano sulla lotta contro la pirateria marittima e sulla strategia italiana del sequestro dei beni illeciti contro la criminalità organizzata. Alfano ha invitato Caika in Italia per il prossimo aprile.

Giustizia: corsi per "educatori cinofili" destinati ai detenuti Ipm

 

Ansa, 26 ottobre 2009

 

Corsi di operatori cinofili ed educatori canini per i giovani nelle carceri: questo il progetto dell’Associazione italiana difesa animali ed ambiente (Aidaa) presentata al ministro della Giustizia Angelino Alfano ed ai vertici dell’amministrazione penitenziaria.

L’iniziativa pilota dell’associazione animalista, da sviluppare nei carceri minorili di Roma, Milano e Napoli, è volta alla reintegrazione dei giovani detenuti attraverso i corsi professionali specifici per diventare operatori cinofili.

"Crediamo seriamente in questo progetto - ha commentato il presidente dell’Aidaa, Lorenzo Croce - siamo pronti a mettere a disposizione la professionalità dei nostri educatori cinofili per realizzare questi corsi perché riteniamo che il vivere a contatto con gli animali, ed in un certo modo esserne responsabili, sia una lezione di vita e un importante percorso di rieducazione per i giovani ospiti dei centri di accoglienza e di quelli che per esemplificazione chiamiamo carceri minorili".

Liguria: Sappe; la situazione penitenziaria è sempre più critica

 

Comunicato stampa, 26 ottobre 2009

 

Nuova lettera di sollecito del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria, al Ministro della Giustizia Angelino Alfano e ai parlamentari eletti in Liguria sulla sempre più critica situazione penitenziaria regionale, caratterizzata da un pesante sovraffollamento nelle 7 carceri regionali e dalle considerevoli carenze di organico nei Reparti di Polizia penitenziaria e in quelli del Personale amministrativo.

Spiega Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario ligure Sappe: "Abbiamo ritenuto interessare nuovamente il Ministro Alfano e tutti i parlamentari eletti in Regione per denunciare una situazione ogni giorno sempre più allarmante, che ricade in primis sulle condizioni lavorative delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria, e che non può restare in assenza di provvedimenti concreti. La grave e critica situazione della Liguria emerge chiaramente esaminando le presenze degli organici del Corpo di Polizia e dei detenuti nelle sette Case Circondariali della Regione.

L’emergenza sovraffollamento in Liguria ha raggiunto cifre allarmanti: a fronte di una ricettiva regolamentare per 1.140 posti, oggi ci sono nelle celle dei carceri regionali più di 1.650 detenuti. Non solo. Sul fronte Personale le criticità sono ancora più evidenti. La Liguria è la Regione in Italia con la percentuale minore di poliziotti penitenziari in servizio rispetto a quelli previsti, con poco più di 850 agenti in servizio invece che i necessari 1.264 previsti. Mancano più di 400 unità di Polizia penitenziaria: a Chiavari ne mancano 17, a Genova Marassi ben 165(!), a Pontedecimo 59, a Imperia 22, a La Spezia 54, a Sanremo 77 ed a Savona 13! Ed anche per quanto concerne il Personale dirigenziale e tecnico amministrativo la situazione ligure è davvero allarmante. Mancano, complessivamente, ben 3 Dirigenti, 23 Educatori, 21 Assistenti Sociali, 68 Collaboratori, 80 tra collaboratori d’area direttiva, tecnici, impiegati, informatici!"

Martinelli sottolinea che il Sappe è tornato a chiedere al Ministro della Giustizia Alfano e a tutti i parlamentari eletti in Regione di adottare urgenti provvedimenti finalizzati da un lato ad incrementare concretamente gli organici di tutti i Reparti di Polizia Penitenziaria della Liguria e dall’altro a ridurre il numero dei detenuti presenti in Regione.

"Fino ad oggi la drammatica situazione è stata contenuta grazie principalmente al senso di responsabilità, allo spirito di sacrificio ed alla grande professionalità del Corpo di Polizia Penitenziaria. Ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle donne e gli uomini della Polizia penitenziaria in servizio negli Istituti di Pena della Liguria per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia. Servono provvedimenti concreti e nel tempo più breve. Per evitare" conclude Martinelli "il tracollo dell’emergenza penitenziaria in Liguria".

Roma: quella morte "misteriosa"… di un detenuto in ospedale

di Checchino Antonini

 

Liberazione, 26 ottobre 2009

 

Aveva già gli occhi neri il mattino dopo l’arresto, Stefano Cucchi, 31 anni. Morto dopo quattro giorni di ricovero nel reparto penitenziario del Pertini. Il viso sfigurato, due vertebre rotte. I familiari non lo hanno potuto visitare. Ora vorrebbero le foto dell’autopsia e la salma, prima che sia ricomposta.

Aldo Bianzino, morto due anni fa in una prigione di Perugia per cause ancora da chiarire. Marcello Lonzi, ammazzato in una galera livornese nel 2003 da un arresto cardiocircolatorio ma il suo corpo sfigurato, a sua madre che cerca ancora verità, dice tutt’altro. Fino a l’altro ieri, Ilaria non conosceva i loro nomi, forse nemmeno sapeva quanto fosse lungo il catalogo dei morti di galera. Poi i carabinieri di Tor Pignattara hanno bussato a casa loro per dire che semplicemente "Stefano era morto", in ospedale. Più precisamente nel reparto penitenziario del Pertini. Ora la famiglia chiede di poter vedere la salma prima che sia ricomposta. Vuole accedere al più presto alle foto dell’autopsia. Perché, finora, le due cose sono state negate.

Stefano aveva 31 anni, faceva il geometra in uno studio comune con il padre e la sorella. La notte tra il 15 e il 16 ottobre lo pescano con 20 grammi di sostanze nel vicino quartiere Appio Claudio. Le modalità dell’arresto e del sequestro non sono ancora note alla famiglia. All’una e mezza di notte di notte, il citofono di casa Cucchi segnala l’arrivo di Stefano. Non è solo. Con lui ci sono i militari che lo hanno arrestato. Perquisiranno solo la sua cameretta, senza per altro trovare nulla. Uscendo, uno di loro cerca di rassicurare la madre: "Signora non si preoccupi. Per così poco è capace che domani sia a casa ai domiciliari".

Dettaglio importante: Stefano "era pulito", racconta Ilaria nella sala d’aspetto dell’obitorio di Piazzale del Verano. Ossia "camminava sulle sue gambe, non aveva segni sul viso". E ricorda quanto fosse esile suo fratello. Basso e magrissimo. Il mattino appresso suo padre va a Piazzale Clodio all’udienza per direttissima. Stefano aveva il viso livido e gli occhi gonfi. L’udienza è rinviata al 13 novembre. Si torna a Regina Coeli.

Il sabato sera, l’indomani, i carabinieri arrivano a casa Cucchi per comunicare il ricovero al Pronto soccorso dell’Isola Tiberina. Si scoprirà, invece, che era stato portato al Pertini. Motivo ufficiale: dolori alla schiena dovuti a una caduta precedente all’arresto di cui in casa nessuno sa nulla. Ma una lastra dirà che aveva due vertebre rotte, una sacrale e una lombare, due vertebre basse. Si può camminare per tre giorni con due vertebre rotte, andare a casa, poi in carcere, quindi al processo e di nuovo in galera? Bisognerebbe sapere quanto siano profonde quelle lesioni. Ma sicuramente il dolore sarebbe stato evidente. E per capire quando si siano verificate ci sarebbe da osservare l’emorragia attorno alle vertebre.

Quella sera i genitori di Stefano sono scappati in ospedale ma fu spiegato loro - era la prima volta che si trovavano in quelle condizioni - che era un carcere a tutti gli effetti. Non era possibile vederlo, né avere notizie senza una carta del pm. La stessa cosa si sarebbero sentito dire la domenica mattina. Lunedì la carta non è ancora arrivata. "Ma perché è qui?", riescono a domandare a una poliziotta. "Non vi preoccupate, vostro figlio è tranquillo". Mercoledì arriva l’autorizzazione ma vale per il giorno successivo. Ma Stefano muore all’alba. All’ora di pranzo - un bel po’ di ore dopo - arrivano i carabinieri a portare il dispositivo per la nomina di un consulente di parte per gli "accertamenti urgenti non ripetibili", l’autopsia.

C’è qualcosa che non quadra. Ilaria ha sempre più domande in testa e nessuna risposta. La sera prima una volontaria le aveva telefonato per riferire un messaggio di Stefano. Voleva parlare con suo cognato, il marito di Ilaria, appunto. Il ragazzo cercava aiuto per affidare a qualcuno la sua cagnetta. "Ma quando esco la rivoglio", aveva precisato. Poi aveva chiesto un bibbia. "Noi siamo molto religiosi", conferma Ilaria. La volontaria non ha saputo dire granché delle condizioni fisiche di Stefano. Dice che era sempre sotto il lenzuolo.

Dopo un’inutile corsa sotto la pioggia a Piazzale Clodio - "credevamo fosse lì l’autopsia" - Ilaria e i suoi arrivano al Pertini. Una dottoressa conferma la versione della volontaria: pare che Stefano stesse per ore sotto le lenzuola. "Non si voleva nutrire - ha detto - gli portavamo la carne ma lui la lasciava". E avrebbe rifiutato le cure. Suonano beffarde le parole della dottoressa ai genitori che nemmeno hanno potuto assistere un figlio moribondo: "Perché non vi siete rivolti a noi?". Dopo un braccio di ferro col posto di polizia, finalmente il pm autorizza i familiari a vedere la salma. Dietro il vetro divisorio, Stefano rivela il viso deformato, nero, "come bruciato". Un occhio pesto, l’altro fuori dalle orbite, le ossa della mascella spostate. "Per forza non mangiava!", esclama la sorella. Il corpo era nascosto da un lenzuolo. L’autopsia è durata più di cinque ore e stavolta il pm ha negato ai consulenti di parte di effettuare foto. Ci saranno solo quelle del perito del pm.

All’uscita dall’obitorio il medico di parte avrà poche parole. Conferma la natura traumatica degli ematomi sul viso ma nega emorragie interne. Insomma, quelle botte non spiegherebbero la morte. Sarebbe evidente una "sofferenza polmonare" ma per capire meglio si dovranno aspettare gli esami istologici, le cartelle cliniche, i rilievi tossicologici. Le domande di Ilaria sono troppe, e sempre più inquietanti.

Frosinone: muore un detenuto di 35 anni, forse per "overdose"

 

www.radiocarcere.com, 26 ottobre 2009

 

Pubblichiamo la lettera scritta dall’avv. Marco Cinquegrana, che ci dà notizia della morte di un suo cliente detenuto nel carcere di Frosinone. Il detenuto si chiamava Elio O. ed è morto il 13 ottobre. Ciò che colpisce, a quanto si apprende, è la causa del decesso. Overdose di droga. Insomma, pare che, dopo il caso del Carcere Marassi di Genova, un altro istituto penitenziario non sia impermeabile al traffico di sostanze stupefacenti.

"Volevo segnalare a Radiocarcere il decesso avvenuto nel carcere di Frosinone del mio assistito Elio O., deceduto in data 13 ottobre. Nell’incarico peritale conferito dal Pm della locale procura si ipotizzano reati di cui agli art. 586 c.p., 73,80 Dpr 309/90, quindi devo presumere che Elio sia deceduto per overdose di sostanze stupefacenti che qualcuno ha illegittimamente introdotto in carcere. Ogni commento è superfluo visto che il povero Elio O. aveva 35 anni. Vi farò sapere qualcosa appena avrò la possibilità di parlare con il pm della procura di Frosinone, dott. De Bona, che si occupa della vicenda".

Firenze: Sollicciano scoppia detenuti lavoranti faranno sciopero

 

Ansa, 26 ottobre 2009

 

"Dal primo novembre i detenuti lavoratori di Sollicciano faranno sciopero per almeno una settimana". Lo ha annunciato Franco Corleone, garante per i diritti dei detenuti di Firenze, presentando questa mattina un documento scritto dalla commissione detenuti che riunisce due rappresentanti per ogni sezione dell’istituto penitenziario.

"A oggi - ha detto Corleone - nel carcere fiorentino ci sono 986 detenuti più 6 bambini, contro una capienza da circa 500 posti. La situazione rispetto a agosto, quando i carcerati protestarono battendo oggetti sulle sbarre, è andata peggiorando. Le amministrazioni locale e nazionale non stanno facendo niente".

I detenuti lavoratori a Sollicciano sono circa 150 tra addetti alla cucina, alle pulizie, alla spesa, alla lavanderia, ai lavori di manutenzione, portavitto, barbieri, dipendenti dell’azienda agricola e giardinieri, scrivani. Oltre al sovraffollamento, tra i problemi evidenziati ci sono "docce vergognose in alcune sezioni; ore di attesa per i familiari che devono parlare con i detenuti; il materiale scadente per i materassi, i passeggi invivibili, la fornitura di materiale di igiene personale insufficiente".

I detenuti chiedono inoltre il controllo della qualità del vitto, un maggiore cambio delle lenzuola, l’imbiancatura delle celle, una migliore utilizzazione e organizzazione dell’area verde, permessi premio ogni 30 giorni come in altri istituti (attualmente a Sollicciano sono ogni 60 giorni), l’applicazione delle espulsioni e delle detenzioni nel paese di origine per le persone che hanno i requisiti, la previsione di misure alternative e pongono come limite massimo per la vivibilità del carcere la presenza di 700 persone.

 

Uil: non fomentare rivolta detenuti

 

Paventare lo sciopero dei detenuti lavoratori del carcere di Sollicciano "non è solo una provocazione, ma un atto di grave irresponsabilità" perché rischia di fomentare proteste violente. Così la Uil Pa Penitenziari risponde al garante per i diritti dei detenuti di Firenze, Franco Corleone, che aveva annunciato a partire da novembre lo sciopero dei detenuti addetti a servizi vari per almeno una settimana come protesta contro il sovraffollamento.

"Siamo tutti consapevoli delle criticità che attagliano Sollicciano e la quasi totalità degli istituti penitenziari italiani, e le criticità vanno risolte, ma - sostiene in un nota il segretario del sindacato, Eugenio Sarno - un percorso di contrapposizione non è inaccettabile". Il blocco dei servizi - spiega - determinerebbe un aggravio delle condizioni igieniche e il blocco di attività primarie come il vitto. "La situazione - conclude - è tale che basta un nonnulla per appiccare il fuoco".

Teramo: lettera unitaria dei sindacati; "situazione insostenibile"

 

Ansa, 26 ottobre 2009

 

Su iniziativa dell’Uspp per l’Ugl e in collaborazione con Sappe, Cgil, Cisl, Uil, Osapp, organizzazioni sindacali rappresentanti della Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale di Teramo, è stato sottoscritto un documento congiunto che si allega alla presente, rivolto alle istituzioni locali ed extra locali, in particolar modo all’attenzione dell’ Assessore Regionale per le Politiche Sociali Dr. Paolo Gatti.

Gli eventi accaduti nel carcere teramano negli ultimi due mesi; cinque agenti di polizia penitenziaria aggrediti dai detenuti, la morte di un ristretto e due tentativi di suicidio di detenuti sventati ci preoccupano fortemente, e ci hanno indotto ad intraprendere questa iniziativa di sensibilizzazione, in quanto riteniamo che il pianeta carcere sia un problema sociale che non può non essere oggetto di un attenzione particolare da parte di tutti gli organi politici e sociali. Nella nota si riportano le diverse problematiche che affliggono il sistema penitenziario nazionale e che si rispecchiano fortemente nell’istituto penitenziario teramano.

Questi i punti cardini: Personale di Polizia Penitenziaria gravemente carente, costretto a operare al di sotto dei parametri minimi di sicurezza; 185 unità devono garantire le normali attività di salvaguardia e sicurezza all’interno dell’istituto, il servizio di traduzioni e piantonamenti a fronte di una popolazione detenuta di circa 400 ristretti.

Struttura - Anche se è una struttura di recente costruzione esistono seri problemi di manutenzione che non vengono eseguiti da anni, interventi ordinari e impiego di impianti tecnologici per il potenziamento e/o la riqualificazione degli spazi operativi.

Nei posti di servizio a uso del personale e all’interno dei reparti detentivi dove sono ubicati i detenuti, l’igiene è inesistente: nei bagni ad uso del personale non è fornito, sapone, carta igienica e le pulizie dei locali effettuate dai detenuti lavoranti senza l’uso di prodotti e di disinfettanti, ma solo con acqua poiché la direzione non li fornisce.

Assistenza sanitaria carente. Attività rieducativa e trattamentale insufficiente, scarse le attività lavorative. Traduzioni e piantonamenti - il Nucleo Ntp, da solo, effettua più movimenti di detenuti che i restanti istituti della regione messi assieme, tra le cause; le udienze di convalida di arresto non vengono effettuate in istituto per locali non idonei per le Autorità giudiziarie. La movimentazione detenuti in entrata (oltre 1.000 da inizio anno) e uscita è pari alla movimentazione di tutti gli istituti dell’Abruzzo (8 istituti di pena) messi assieme. Relazioni sindacali inesistenti. Organizzazione del lavoro non appropriata.

Benessere del personale inesistente,non vi è alcuna iniziativa sociale a favore del personale chiediamo al Dr. Gatti e a tutti gli organi in indirizzo di farsi carico delle problematiche esposte, ed intercedere verso i Superiori Organi Governativi, affinché attuino solidi e positivi interventi per far si che nell’istituto teramano torni ad esserci condizioni di lavoro, di sicurezza e vivibilità proprio di un paese che si dice "civile". Inoltre si chiede un possibile incontro, con il quale si possa aprire un costruttivo dialogo per affrontare la grave situazione di disagio.

Gorgona: gli agenti insorgono; "costretti a mangiare scatolette"

 

La Repubblica, 26 ottobre 2009

 

"Se d’estate è un paradiso terrestre, d’inverno si trasforma in una prigione nella prigione". Canio Colangelo, segretario nazionale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, descrive così la Gorgona e il suo carcere per gli agenti in servizio sull’isola a largo della costa livornese. Cattive condizioni igieniche, una caserma fatiscente dove piove e nei bagni "al posto dello sciacquone si deve buttare un secchio d’acqua, impianti elettrici non a norma e cibo scadente alla mensa".

In più adesso è stata "soppressa una delle tre corse giornaliere delle motovedette collegate con Livorno per mancanza di risorse", così gli agenti sono "costretti a mangiare scatolette e vivere forzatamente, come sequestrati" sulla Gorgona. Da ieri i poliziotti sono in stato di agitazione: non mangeranno più i pasti all’interno della struttura se non riceveranno risposte dall’amministrazione dell’istituto. E non vanno meglio le cose al Solliccianino.

Nei giorni scorsi il personale penitenziario aveva chiesto un incontro con il provveditore regionale alle carceri, Maria Pia Giuffrida, per discutere dell’emergenza sicurezza innescata dall’improvviso aumento del numero di detenuti dovuto alla chiusura delle Murate e al traSferimento di reclusi da Sollicciano. "Nessuno ha soluzioni - dice Cuono De Rosa del sindacato Lisiapp, che nei prossimi giorni organizzerà un sit-in davanti alla questura - ci dicono che dovremo accettare i cambiamenti, ma questo significa azzerare il livello di sicurezza".

Siracusa: ancora aggressioni nelle carceri ai danni degli agenti

di Gaetano Guzzardo

 

Giornale di Siracusa, 26 ottobre 2009

 

Ancora aggressioni nella Casa Circondariale di Augusta ai danni di agenti della polizia penitenziaria da parte di detenuti. A denunciare questo ennesimo fatto è il vice segretario nazionale di categoria Ugl-Fnpp, Sebastiano Bongiovanni. L’aggressione è avvenuta ieri, a meno di due mesi dall’ultima, presso la struttura penitenziaria megarese, dove l’agente addetto al controllo alla sezione di un blocco detentivo, durante l’espletamento del proprio lavoro veniva aggredito con schiaffi da un detenuto straniero, sol perché lo ha invitato a non continuare a fare, quelle che vengono considerate, richieste inopportune e fuori luogo per il regolamento carcerario, e a far rientro nella propria stanza.

Stando al racconto fatto da Bongiovanni, il poliziotto, fortunatamente, è stato immediatamente soccorso dai colleghi, evitando così ulteriori danni fisici. Un ulteriore atto di violenza all’interno delle carceri, sempre più sovraffollate, dove esasperazione e disagio sembrano ormai normalità. In questo contesto, denuncia Bongiovanni, a pagare sono i lavoratori.

"È davvero imbarazzante ed incredibile notare il silenzio dell’Amministrazione e il silenzio dello Stato - dichiara il vice segretario nazionale dell’Ugl-Fnpp - dinanzi ai fatti gravissimi che si stanno susseguendo giorno dopo giorno nelle carceri d’Italia ed a farne le spese, ancora una volta, è solo la polizia penitenziaria.

Noi non vorremmo crederci, ma stando agli ultimi eventi si percepisce sempre più forte la "debolezza" dell’Amministrazione Centrale, la quale non sembra riuscire a gestire come si conviene quei problemi principali che poi portano alle conseguenze peggiori (suicidi, aggressioni, autolesionismi, proteste ecc.)".

Nella fattispecie, secondo l’esponente sindacale, l’Amministrazione Carceraria dimostrerebbe la propria incapacità ad affrontare adeguatamente il problema del sovraffollamento delle carceri, il problema della rilevante presenza di detenuti stranieri ed il gravissimo problema della carenza di organico della polizia penitenziaria.

Un problema, quest’ultimo, che secondo il sindacato di categoria, se non verrà ripristinato a breve potrebbe non soddisfare più neanche i minimi livelli di sicurezza di cui gli istituti penitenziari necessitano per la sicurezza del Paese. Un fenomeno per niente circoscritto ma generalizzato che coinvolge tutte le carceri italiane per cui da tempo, da più parte, forze sociali e politiche chiedono misure adeguate, non esclusa la depenalizzazione di alcuni reati minori, ad iniziare dal reato d’immigrazione.

"La nostra organizzazione - ha concluso Bongiovanni - non intende rimanere inerte aspettando altre aggressioni, per tale motivo, reiteriamo, chiediamo urgentemente alla Direzione di Augusta, (la stessa richiesta è stata fatta circa un mese fa), di una convocazione urgente per discutere di una nuova organizzazione del lavoro, in modo da analizzare e concordare le giuste contromisure, assumendoci ognuno di noi le nostre responsabilità, per evitare in futuro altri episodi di questo genere".

Genova: direttore carcere nega aver fatto sesso con detenuta

 

Secolo XIX, 26 ottobre 2009

 

"Non ho mai concesso benefici immeritati in cambio di sesso ad un detenuta". Questo, in estrema sintesi, il contenuto della memoria difensiva depositata stamani dal direttore del carcere femminile di Genova Pontedecimo Giuseppe Comparone nell’ufficio del gup Adriana Petri in occasione dell’interrogatorio di garanzia. Comparone, accompagnato dal suo avvocato difensore, Mario Iavicoli, si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Comparone è indagato per violenza sessuale, concussione sessuale, induzione alla calunnia e falso. I pm che indagano su di lui, Vittorio Ranieri Miniati e Alessandro Bogliolo, hanno chiesto e ottenuto nei giorni scorsi al giudice Petri che il direttore fosse sospeso dal suo incarico. È accusato di avere concesso immeritatamente ad una detenuta i benefici dell’articolo 21, ovvero il permesso di lavorare all’esterno del carcere nei giorni festivi, pretendendo in cambio dalla donna favori sessuali.

Secondo indiscrezioni, nella memoria il direttore in primo luogo nega di avere concesso i benefici alla donna in modo autonomo, in quanto i detenuti vengono giudicati idonei al lavoro esterno in seguito ad un giudizio corale. Nega di avere mai ricevuto visite nella sua casa interna al carcere dalla detenuta in quanto questa non avrebbe mai potuto lasciare autonomamente - così come lei stessa riferisce - le aree detentive. Nega infine di essere stato in città in almeno due delle tre date indicate dalla detenuta come i giorni in cui si sarebbero consumati i rapporti sessuali.

Specifica infine che la denuncia presentata dalla detenuta a suo carico, da cui ha preso le mosse l’inchiesta, sia stata presentata due giorni dopo il suo ordine di rinchiudere la detenuta negandole i privilegi del lavoro dopo due inottemperanze da parte della detenuta stessa. Una sorta di ritorsione o vendetta, in altre parole. Intanto i pm hanno chiesto che sia effettuato un incidente probatorio alla presenza della detenuta, attualmente rinchiusa nel carcere di Monza.

Piacenza: giornale detenuti vince "Premio Cento" alla stampa

 

Redattore Sociale - Dire, 26 ottobre 2009

 

Un premio per l’informazione sociale a "Sosta Forzata". Il periodico del carcere delle Novate di Piacenza è fra i giornali vincitori del Premio Cento alla stampa locale, assegnato sabato scorso nella cittadina ferrarese, dedicato alle pubblicazioni a diffusione gratuita senza scopo di lucro. "Una bella soddisfazione- dice Carla Chiappini, direttore responsabile della testata- perché con questo premio è stata riconosciuta la dignità di un progetto giornalistico particolare". Il periodico scritto dai detenuti, infatti, era l’unica testata in gara ad occuparsi esclusivamente di temi sociali.

"Sosta Forzata" è un giornale realizzato in collaborazione con l’associazione di volontariato Oltre il Muro, ma viene interamente costruito in carcere: la sua redazione conta quindici detenuti, che - come racconta Chiappini - "realizzano i loro articoli in cella, scrivendo a penna su fogli di carta". Sono poi i volontari responsabili della grafica ad occuparsi della pubblicazione del giornale.

"Il senso di questa operazione di comunicazione è vincere la diffidenza degli esterni verso i detenuti, e difendere la dignità di un’informazione che soffre di forti limitazioni", spiega Carla Chiappini. A lei e alla redazione sono arrivati anche i complimenti del sindaco di Piacenza, Roberto Reggi: "Questo riconoscimento, così prestigioso e significativo, premia la qualità della testata e il valore sociale di questa straordinaria esperienza giornalistica".

Bolzano: fino all’8 novembre la mostra "Libertà va cercando"

 

Alto Adige, 26 ottobre 2009

 

"Libertà va cercando ch’è si cara". Questo il titolo della mostra-evento realizzata dai detenuti del carcere di Padova, proposta a Bolzano dal Centro culturale "Romano Guardini", in collaborazione con l’assessorato comunale alla cultura che verrà inaugurata oggi alle 16.30, presso la Galleria civica di Piazza Domenicani (presente all’inaugurazione l’assessore Schönsberg). Il senso di questa mostra, spiegano in una nota gli organizzatori, "è documentare come possa essere possibile che dei detenuti possano vivere l’esperienza della libertà, cioè della scoperta e del recupero del proprio volto umano".

La mostra - badate bene dei carcerati e non sui carcerati - documenta attraverso quadri d’autore (bellissimo il quadro di Rembrandt "Il ritorno del figliol prodigo"), testi letterari, lettere, volti e ancora precise testimonianze di carcerati, la vita di un "Io che rinasce" grazie ad un incontro con un’umanità che ti accoglie esattamente così come sei. Alcune iniziative di approfondimento affiancheranno la mostra.

Fra queste: una tavola rotonda, mercoledì 28 ottobre alle 18, presso la sala di rappresentanza del Comune, con la direttrice del carcere di Bolzano, Annarita Nuzzacci, il presidente dell’Ordine degli avvocati di Bolzano, Maria Carmela Carriere, il direttore del progetto Odòs di Caritas, Alessandro Pedrotti, il sindaco Luigi Spagnolli e Nicola Boscoletto, presidente della Cooperativa sociale Giotto di Padova.

Da segnalare l’interessante conferenza "Istituzioni carcerarie a Bolzano nei secoli" a cura dell’Archivio storico della città di Bolzano che si terrà lunedì 26 ottobre presso la Galleria Civica alle ore 18 con la partecipazione di Christoph von Hartungen e Hannes Obermair. Altro importante momento a cui non mancare è l’appuntamento con uno dei poeti e scrittori più celebrati in Italia: sempre presso la Galleria Civica venerdì 30 ottobre a partire dalle ore 20.30 Davide Rondoni parteciperà ad una serata in cui saranno lette alcune lettere dal carcere. La mostra resterà aperta fino all’8 novembre e potrà essere visitata tutti i giorni dalle 9.30 alle 12 e dalle 16 alle 19.30. Per le visite guidate telefonare dal lunedì al venerdì dalle 15 alle 19 allo 0471.280339. Ingresso libero.

Immigrazione: per minori stranieri più carcere che accoglienza

 

Sesto Potere, 26 ottobre 2009

 

Secondo il rapporto dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani (Anci) sui minorenni stranieri non accompagnati si è verificato "un aumento del 19% della presenza di tali minori sul territorio dei comuni italiani presi in considerazione, rispetto al triennio precedente, con 7.870 minori solo per il 2006".

E i Comuni dichiarano di aver attivato "interventi di presa in carico fino alla maggiore età, anche con soluzioni di seconda accoglienza, per 3.515 minori accolti in strutture di seconda accoglienza nel 2006, il 45% del totale. Anche i dati relativi all’indagine 2007-2008, in corso di elaborazione, confermano queste tendenze", conclude Giovannetti.

Questo è emerso nel corso del convegno nazionale "Minori non accompagnati appartenenti all’Unione Europea", giornata di studio dedicata alla tutela dei diritti e alla protezione dei minorenni neo-comunitari non accompagnati presenti sul territorio nazionale, il cui numero è in significativo aumento negli ultimi tempi.

Un appuntamento organizzato dalla Biblioteca Centrale del Cnr G. Marconi, in collaborazione con l’Istituto Centrale di Formazione del Dipartimento Giustizia Minorile (Ministero della Giustizia) e la redazione della rivista "Minori giustizia".

"Il seminario si inserisce nel quadro delle iniziative promosse dalla rete italiana dei Centri di Documentazione Europea che, insieme alla Rappresentanza della Commissione Europea in Italia, ad Università e Enti di ricerca, quest’anno hanno voluto realizzare un progetto sulla tematica La diversità culturale nel processo di integrazione europea", spiegano Luisa De Biagi, tecnologo della Biblioteca Centrale del Cnr G. Marconi e Maria Adelaide Ranchino, responsabile del Centro di Documentazione Europea (Cde) presso la stessa Biblioteca Centrale.

Insomma, i minorenni stranieri in Italia sono in aumento e sono sovra-rappresentati nella popolazione carceraria giovanile, diminuiscono però i loro ingressi nei Centri di prima accoglienza e negli Istituti penali, dove si registra il superamento da parte dei minori italiani. Un panorama di riferimento al quale si affianca quello sulla popolazione carceraria. "È indubbio che i minori stranieri siano sovra-rappresentati nella popolazione giovanile in stato di detenzione, in considerazione del rapporto italiani-stranieri nelle denunce alle Procure della Repubblica presso i Tribunali per i Minorenni nel quinquennio 2002-2006 (40.588 nel 2002 - 39.626 nel 2006 in totale, di cui 10.009 nel 2002 e 11.413 nel 2006 a carico di minori stranieri)", dichiara Serenella Pesarin, direttore generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari del Dipartimento per la Giustizia minorile del Ministero della Giustizia.

Tale fenomeno è dovuto al fatto che una larga parte di questi ragazzi, spesso clandestinamente in Italia, "versano in condizioni personali, familiari e sociali assolutamente precarie" e sono "privi di una figura parentale positiva di riferimento".

Nonostante ciò, il trend negli anni 2004-2008 fa rilevare una progressiva e forte diminuzione degli ingressi dei minori stranieri nei Centri di Prima Accoglienza e negli Istituti Penali per i Minorenni. In questi secondi, prosegue Pesarin, "si registra persino il superamento del numero di ingressi dei minori italiani (629 nel 2004 - 694 nel 2008) sul numero di ingressi dei minori stranieri (965 nel 2004 - 653 nel 2008)", a fronte di un costante ed importante aumento "delle misure cautelari non detentive quali il collocamento in comunità (su 2.188 collocamenti nel 2008 ben 664 risultano stranieri)" e dell’applicazione della messa alla prova "(274 casi nel 2003 - 512 nel 2008), che più di ogni altra facilita l’ingresso dei minori stranieri in programmi di recupero efficaci e rispondenti ai propri bisogni".

Il Dipartimento per la giustizia minorile del Ministero della Giustizia opera attraverso 12 Centri regionali e/o interregionali dai quali dipendono: 26 Centri di prima accoglienza; 29 uffici di Servizio Sociale per i minorenni; 18 Istituti penali per i minorenni; 12 Comunità Ministeriali.

Droghe: il rapporto dell'Onu sull'oppio è diventato clandestino?

di Marco Perduca (senatore Radicali-Pd)

 

Notiziario Aduc, 26 ottobre 2009

 

Solo il notiziario droghe dell’Associazione Diritti e Utenti dei Consumatori (Aduc) si è accorto della pubblicazione dell’ennesimo rapporto dell’Ufficio Onu contro la Droga e il Crimine (Unodc), incentrato su "Tossicodipendenza, Criminalità e Insurrezione" in Afghanistan. Nessuna agenzia di stampa né tantomeno il solerte direttore dell’Unodc hanno pensato bene di presentarlo a Roma dove si discute della necessità e urgenza di convocare una conferenza internazionale per la pacificazione del paese asiatico.

Perché non si vogliono far conoscere i fallimenti delle politiche di eradicazione delle colture che costano ingenti risorse umane e finanziarie mentre il fenomeno potrebbe essere incanalato nella produzione legale di oppiacei per la cura del dolore andando a incontrare la domanda reale di analgesici per miliardi di poveri?

Secondo l’Onu infatti, il traffico di eroina oggi frutta ai Talebani molto più che quando erano al potere. Dieci anni fa i Talebani ricavavano intorno ai $75-100 milioni l’anno, tassando la coltivazione di oppio. Oggi ricavano in media $125 milioni annualmente, solamente tassando la coltivazione e il commercio di oppio senza contare il pizzo imposto ai laboratori che raffinano l’oppio in eroina, l’importazione dei precursori chimici ecc.

Nel documento, pubblicato il 21 ottobre scorso, si esaminano le conseguenze devastanti che le 900 tonnellate di oppio e le quasi 400 tonnellate di eroina esportate dall’Afganistan ogni anno comportano per la sicurezza e la salute pubblica dei paesi situati lungo le narco-rotte balcaniche ed euro-asiatiche, fino all’Unione Europea, Russia, India e Cina. Il rapporto spiega inoltre in che modo lo stupefacente più letale al mondo ha costruito un mercato che vale 65 miliardi di dollari, avvelena 15 milioni di tossicodipendenti, causa 100.000 morti all’anno, diffonde hiv/aids ad un tasso senza precedenti e, l’elemento più serio che mai, finanzia mafie, ribelli e terroristi.

Con insospettate conseguenze in termini di traffico. L’oppio afgano che si riesce a sequestrare è poco: solo il 20% dell’eroina trafficata nel mondo è confiscata (rispetto al 42% della cocaina esportata dai paesi Andini.) Non solo, i sequestri si fanno meno frequenti man mano che la droga si incammina verso l’Occidente. Mentre l’Iran intercetta il 20% degli oppiacei che l’attraversano, e il Pakistan il 17%, l’Asia Centrale ne intercetta solo il 5% e la Russia un magro 4%. Va anche peggio in paesi dell’Europa sud-orientale, membri dell’Ue (Bulgaria, Grecia e Romania) che intercettano meno del 2% dell’oppio nazionale.

La certificazione dei fallimenti del proibizionismo da parte delle Nazioni unite dovrebbe essere al centro del ballottaggio per le presidenziali afgane, perché tutto questo silenzio?

Stati Uniti: in Arizona privatizzato anche il braccio della morte

 

Corriere della Sera, 26 ottobre 2009

 

L’Arizona sarà il primo stato americano a privatizzare completamente non solo le sue prigioni, ma anche il loro braccio della morte. In Arizona, i detenuti in attesa della esecuzione sono 127 su un totale di oltre 40 mila, tutti rinchiusi in un penitenziario di massima sicurezza. Lo Stato li affiderà a una delle imprese private che da tempo gestiscono varie carceri in America, dalla Alaska alle Hawai. Il motivo della decisione: l’Arizona, che ha un deficit di bilancio di 2 miliardi di dollari, pensa di risparmiare 100 milioni di dollari all’anno. Lo Stato ha già dato in appalto a privati quasi un terzo delle sue prigioni.

Sulla imminente privatizzazione dei bracci della morte in Arizona è polemica. Todd Thomas, della Correction corp of America, una impresa privata che amministra una delle carceri dello stato, ha precisato che le esecuzioni verrebbero compiute sempre da funzionari statali. Ma ha ammesso che ditte come la sua non sono addestrate al controllo dei condannati a morte, i detenuti più difficili: "Sinora non abbiamo avuto a che fare con penitenziari di massima sicurezza". Un ex ricercatore del Ministero della giustizia, James Austin, che nel 2001 pubblicò un rapporto sulla privatizzazione delle carceri, ha ammonito che "se accadesse qualcosa nei bracci della morte in mano a privati, scoppierebbe uno scandalo". Il deputato repubblicano John Kavanagh, che ha promosso la riforma appena approvata dal Parlamento dell’Arizona, ha confutato i critici, sostenendo che "i risultati saranno buoni e comunque non esiste una alternativa più economica".

Ma in America le carceri private, nate negli Anni Ottanta, sono sotto accusa per i motivi più diversi, dal pessimo vitto e la mancanza di cure dei detenuti agli scoppi di violenza e la scarsa riduzione dei costi. Esse sono usate non solo dai singoli Stati, che vi detengono oltre 100 mila persone, ma anche dal governo federale, che ve ne detiene circa 35 mila. I "liberal" le vogliono abolire protestando che la giustizia è compito esclusivo dello Stato, non può essere privatizzata. Paradossalmente, in America la riduzione dei costi, non la questione morale, è una delle argomentazioni addotte contro la sentenza capitale: mantenere i condannati nei bracci della morte, oltre 3.500 in tutto, è costosissimo, a causa della sorveglianza, le rivolte e le malattie. Ma di recente lo stato dell’Ohio ne ha trovata un’altra: in due casi, i boia non sono riusciti a fare l’iniezione letale ai condannati, che sono stati perciò riportati nelle loro celle. L’Ohio ha sospeso l’esecuzione per accertare se una seconda non violerebbe il divieto costituzionale di "pena eccessiva e crudele".

Iran: arrestati per proteste, 35 famigliari dei riformisti detenuti

 

Agi, 26 ottobre 2009

 

In Iran sono state arrestate 35 persone tra familiari e amici, inclusi mogli e figli, di riformisti detenuti in seguito alle proteste seguite alle elezioni presidenziali del 12 giugno. Lo ha rivelato il quotidiano riformista Sarmayeh Newspaper. Il sito riformista norooznews ha riportato che gli arresti sono stati effettuati da "guardie armate e mascherate che hanno fatto irruzione in una cerimonia religiosa" che si stava svolgendo nell’abitazione del suocero dell’esponente riformista Shahab Tabataba, ex collaboratore della campagna di Mir Hossein Moussavi, principale oppositore del presidente Ahmadinejad. Sarmayeh ha riferito che inizialmente erano state arrestate 60 persone ma 25 sono state rilasciate e le altre 35 trattenute in carcere. In manette sono finiti alcuni membri del Fronte islamico di partecipazione dell’Iran (Fipi). Tabatabai era stato arrestato nei disordini del post voto e condannato a cinque anni di carcere.

Libano: le carceri in condizioni disastrose, annunciata riforma

 

Ansa, 26 ottobre 2009

 

Il ministro degli interni libanese Ziad Barud ha annunciato una riforma delle carceri in risposta al recente rapporto del capo della polizia sulle disastrose condizioni in cui vivono i detenuti in Libano. Citato stamani dal quotidiano libanese L’Orient Le-Jour, Barud ha sottolineato la necessità di promuovere una "campagna umanitaria" senza però specificare i modi e i tempi con cui i provvedimenti verranno attuati. La situazione precaria dei penitenziari libanesi, che lo stesso ministro descrive come un vulcano attive, è nell’ultimo anno degenerata più volte in violenti disordini tra detenuti e guardie carcerarie. Nell’allarmante documento pubblicato lo scorso mese, il comandante della polizia libanese Ashraf Rifi aveva denunciato le scarse condizioni igieniche e il sovraffollamento del carcere di Rumie, nei sobborghi di Beirut dove "oltre 3.500 persone, molte delle quali ancora in attesa di giudizio, vivono stipate in una struttura che ne potrebbe ospitare solo 1.500".

 

 

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