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Giustizia: in Italia corruzione ai massimi trasparenza ai minimi di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)
Italia Oggi, 22 ottobre 2009
La corruzione in Italia è un fenomeno ancora largamente diffuso, nonostante gli sforzi messi in atto dalla magistratura inquirente e giudicante per contrastarlo. È stato reso pubblico lo scorso venerdì 16 ottobre il Rapporto sul nostro Paese del Greco, il Gruppo di Stati del Consiglio d’Europa contro la corruzione. Dal Rapporto emerge come la corruzione in Italia - radicata tanto nella pubblica amministrazione quanto nella società civile quanto ancora nel settore privato - sia favorita da alcuni aspetti specifici del nostro sistema amministrativo, come la non trasparenza e l’inefficienza di cui soffrono i meccanismi di assunzione e promozione. Alcune aree della pubblica amministrazione - tra cui l’urbanistica, lo smaltimento dei rifiuti, la sanità - sono più colpite di altre dalla corruzione. Nel Rapporto si parla inoltre di tangenti quale strumento molto consueto per ottenere licenze e permessi, contratti pubblici, buoni voti universitari e altro. Non si manca poi di sottolineare il legame tra la corruzione e il crimine organizzato. L’indice relativo al 2008 di Transparency International mette l’Italia al 26° posto tra 31 Paesi europei. Il Greco si dice convinto della necessità di lavorare a un’efficace politica preventiva nei confronti della corruzione, una politica che sappia prevedere strategie anche sul lungo periodo. Non è sufficiente, sottolinea inoltre il Gruppo di Stati del Consiglio d’Europa contro la corruzione, muoversi sul solo livello legislativo, ma è piuttosto indispensabile portare la lotta alla corruzione anche sul piano culturale. Nello specifico, il Greco muove all’Italia 22 raccomandazioni, invitando le autorità competenti a presentare entro il 31 gennaio 2011 una relazione sulla loro attuazione. Tra le altre cose, viene raccomandato che: il Servizio Anti-corruzione e Trasparenza o altra autorità sviluppino una politica anti-corruzione in ambito preventivo, investigativo e giudiziario; venga rivista e resa praticabile la legislazione che assicura il rispetto della Convenzione penale sulla corruzione; si effettui un programma di formazione specialistico per le forze di polizia; si rafforzi il coordinamento tra i vari attori coinvolti nella lotta alla corruzione; si introduca la confisca dei beni per facilitare il sequestro dei proventi della corruzione; si conferiscano a un soggetto adeguato (Servizio Anti-corruzione e Trasparenza o altro) l’autorità e le risorse per effettuare valutazioni sistematiche dell’efficacia dei sistemi amministrativi deputati a cooperare nella prevenzione e nell’emersione della corruzione; si richieda a chiunque lavori nella pubblica amministrazione un codice etico la cui violazione conduca a opportune punizioni amministrative a prescindere da eventuali condanne penali; i membri del Governo abbraccino pubblicamente un codice di condotta che includa tra le altre cose delle ragionevoli restrizioni sull’accettazione di doni; si adotti un sistema di trasparenza finanziaria che permetta di evidenziare potenziali conflitti di interesse per funzionari della pubblica amministrazione a qualsiasi livello; si approntino adeguati sistemi di protezione per coloro che riportano sospetti di corruzione nella pubblica amministrazione; si rafforzino gli obblighi contabili per le aziende di ogni categoria. L’Italia ha aderito nel 2007 al Gruppo di Stati del Consiglio d’Europa contro la corruzione. Ha firmato nel 1999 la Convenzione penale sulla corruzione, che tuttavia non ha ad oggi ancora sottoposto a un processo di ratifica. Giustizia: in Campania arresti e decine di indagati per tangenti di Conchita Sannino
La Repubblica, 22 ottobre 2009
Messi alla porta dalla magistratura. Via dalla Campania e da tutte le province confinanti, per tutelare l’indagine. L’ultimo blitz sulle connessioni tra malaffare e pubblica amministrazione travolge il "modello Mastella". Mette sotto inchiesta 63 persone legate agli affari dell’Udeur e racconta con cifre e dati impressionanti "il fervore lottizzatorio" con cui il partito-famiglia gestiva il potere sul territorio. È un’inchiesta lunga mille pagine e una lista di "raccomandati" con 655 nomi. Tutti contenuti in un file rinvenuto nel computer di Luciano Capobianco, ex direttore generale dell’Arpac, l’agenzia regionale per l’Ambiente. Alla longeva coppia della politica italiana viene riservato il divieto di dimora. Un’iniziativa senza precedenti. Il primo ordine di "allontanamento" dalla Campania e dalle province di Latina, Frosinone, Isernia, Campobasso, Foggia e Potenza è stato notificato ieri mattina, nella sua villa di Ceppaloni, a Sandra Lonardo Mastella, da cinque anni presidente del Consiglio regionale nonché moglie di Clemente, il leader dell’Udeur e oggi europarlamentare del Pdl. Un’analoga misura cautelare è stata richiesta per lo stesso ex ministro, ma per quest’ultimo - che gode dell’immunità parlamentare - si dovrà attendere da Bruxelles l’autorizzazione a procedere. L’istruttoria della Guardia di finanza e dei carabinieri svela metodi e strategie di potere messi in campo. Un ciclone piomba sull’Udeur. Accanto a questa accusa, le altre contestate: truffa allo Stato, turbativa d’asta, falso, concussione. Agli arresti domiciliari finisce lo stesso Capobianco. Misure interdittive, perquisizioni e dodici divieti di dimora colpiscono altri eccellenti del partito, come Carlo Camilleri, ingegnere e consuocero di Mastella; come gli ex sindaci dell’hinterland Francesco Polizio e Giustino Tranfa, oltre ad Antonio Fantini, ex presidente Dc della Regione e poi segretario regionale Udeur, con una schiera di imprenditori e tecnici ritenuti, nella spartizione di appalti e nomine, complici del "modello Mastella". Ma nell’inchiesta viene coinvolto anche Antonio Bassolino. "Nel quadro preoccupante, se fosse confermato - dice il portavoce della Mastella - c’è anche il presidente Bassolino. C’è tutta la politica di destra e di sinistra". Un coinvolgimento, però, che il Governatore nega. "Non ho mai fatto alcuna segnalazione", ha precisato. Dalle pagine dell’ordinanza emerge il sospetto di una compravendita di voti in favore dell’Udeur promossa da personaggi vicini alla cosca dei casalesi, un aspetto che è stato trasmesso per gli accertamenti al pool antimafia della Procura di Napoli. Tra gli indagati anche due consiglieri regionali in carica, i mastelliani Nicola Ferraro e Fernando Errico. Al centro di tutto c’è l’agenzia Arpac. La svolta arriva quando gli 007 del Nucleo tributario trovano nella segreteria di Capobianco un file con 655 nominativi: la maggior parte di essi sono accompagnati dalla segnalazione di un esponente politico, dell’Udeur - ma non solo -, che li avrebbe raccomandati. Dai riscontri incrociati dei finanzieri, è emerso che 136 di quei "segnalati" hanno ottenuto assunzioni o incarichi professionali "con ingiusto vantaggio patrimoniale ed elettorale" incassato dagli inquisiti. Secondo la Procura in tre anni, dal 2005 al 2008, il 90% di quelle raccomandazioni andò a segno. Quel file è uno dei perni dell’inchiesta del pm Francesco Curcio, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco. Evidenzia l’intreccio tra parenti, esponenti, sodali e amici della famiglia-partito. In cambio i Mastella gestivano nomine, assunzioni, appalti, varianti di progetto, pacchetti di voti, arrivando perfino ad "occupare come proprio territorio" l’agenzia regionale. Dall’inchiesta emerge il tentativo, fallito dopo l’intervento degli uffici regionali, di acquistare con un imbroglio, per 18 milioni di fondi europei, la nuova sede napoletana dell’Arpac. Altra vicenda contestata a Mastella, il tentativo di concussione per costringere il direttore sanitario dell’ospedale pediatrico Santobono a nominare primario Bruno Rolando (anch’egli indagato). Il manager si ribellò: e in seguito alla sua opposizione, il direttore sanitario avrebbe ricevuto intimidazioni, come la presentazione di un’interpellanza nei suoi confronti. Giustizia: su Facebook minacce a Berlusconi, aperta indagine
Corriere della Sera, 22 ottobre 2009
Minacce gravi. Questa l’ipotesi di reato contenuta nel fascicolo aperto dalla Procura di Roma sul gruppo di Facebook "Uccidiamo Berlusconi". Il fascicolo è stato aperto dal procuratore Giovanni Ferrara, dall’aggiunto Nello Rossi, che coordina il gruppo Reati criminalità informatica, e dal pm Andrea De Gasperis. La polizia postale sta inoltre monitorando il social network per valutare se tra i gruppi contro Berlusconi sia ravvisabile il reato di istigazione a delinquere. Non è facile infatti, spiegano gli esperti, intervenire per rimuovere o bloccare pagine e siti su internet. Nelle precedenti occasioni, quando sono comparsi siti violenti - come nel caso dei gruppi creati proprio su Facebook e inneggianti allo stupro di gruppo o alla mafia - o, addirittura, di fan club di pluriomicidi o serial killer non c’è stato alcun intervento della magistratura perché si tratta di opinioni, pur discutibili, e gli unici reati d’opinione perseguibili in Italia, commessi anche attraverso internet, sono quelli legati alla legge Mancino, che condanna l’apologia del fascismo e le discriminazioni razziali. In questo caso però fanno notare gli esperti, si potrebbe ravvisare il reato di istigazione a delinquere, che consentirebbe di fatto l’intervento. In ogni caso, comunque, per rimuovere le pagine dal social network, sarebbe necessario agire tramite rogatoria internazionale che deve essere richiesta dalla magistratura: il server su cui gira Facebook è a Palo Alto, in California e dunque l’Italia non può intervenire direttamente. Si può invece chiedere alla società americana - grazie agli accordi di collaborazione - la chiusura della pagina in tempi rapidi. Ma se ciò non è accompagnato dalla richiesta di sequestro preventivo, si perdono tutti i dati relativi alla pagina stessa e dunque risulterebbe impossibile poi risalire all’utente, o agli utenti, che l’hanno realizzata. Il gruppo "Uccidiamo Berlusconi", nato a settembre del 2008, conta più di 14mila iscritti. L’amministratore scrive: "Oggi in data 12 ottobre 2009 prendo la direzione del gruppo abbandonato dalla precedente amministrazione e non potendone cambiare il nome dichiaro questo un gruppo di affermazioni bizzarre. Personalmente non voglio uccidere nessuno, non voglio incitare nessuno a violare la legge". Il gruppo sul social network prenderebbe spunto dal film "Shooting Silvio" il cui protagonista è un giovane scrittore che per decidere di realizzare il libro che ha in mente intende uccidere il premier. La notizia pubblicata dal Giornale ("Migliaia di aspiranti killer sul web") ha scatenato la reazione del governo. Dopo gli strali del quotidiano di Feltri, il ministro della Giustizia Alfano ha invitato la magistratura ad avviare un’indagine sulla sicurezza personale del premier e poche ore dopo la Procura di Roma ha aperto il fascicolo. "La magistratura faccia il proprio dovere indagando, perseguendo e trovando coloro i quali inneggiando all’odio e all’omicidio commettono un reato penale - aveva detto Alfano -. C’è un tema grande di sicurezza che riguarda la persona del presidente del Consiglio e io ho posto questa questione nel corso del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica che si è svolto al Viminale". Il ministro della Difesa e coordinatore del Pdl Ignazio La Russa: "Sembra incredibile che nessuno dei tanti soloni del politically correct abbia trovato il tempo e l’occasione per stigmatizzare, condannare, protestare o almeno evidenziare il fatto che la predicazione dell’odio nei confronti di Berlusconi abbia prodotto sulla rete la nascita di numerosi forum e pagine di Facebook che inneggiano e auspicano l’assassinio del presidente del Consiglio italiano". Parla di una "questione di sicurezza nazionale" il vicepresidente dei deputati Pdl e componente del Copasir Carmelo Briguglio: "Una questione - dice - che fin dalla vicenda delle foto a Villa Certosa fu sottovalutata e coperta dall’inesistente scandalo dei voli di Stato che è finito nel nulla. La diffusione via web di minacce che inneggiano all’assassinio di Berlusconi non va drammatizzata ma va attentamente monitorata e neutralizzata". Sulla vicenda si muove anche il Pd, dopo il caso del coordinatore di Vignola Matteo Mezzadri, che ha scritto sul suo profilo Facebook "possibile che nessuno sia in grado di ficcare una pallottola in testa a Berlusconi?" (poi si è dimesso da tutte le cariche politiche). Dario Franceschini ha chiesto all’amministrazione di Facebook di chiudere il gruppo che minaccia Berlusconi, ma respinge l’idea che ci sia un collegamento con il modo di fare opposizione da parte del Pd: "Quel gruppo va chiuso, ma non c’entra nulla con lo scontro politico. Sono forme demenziali che vanno condannate". Il capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi mette in guardia dal rischio di imbavagliare la Rete: "Siamo d’accordo con il ministro Alfano e sosteniamo la necessità di vigilare su quei siti e quei gruppi che incitano alla violenza e all’odio. Questa vicenda, però, non deve in alcun modo offrire il pretesto per imbavagliare la Rete. Ci opporremo strenuamente a qualsiasi tentativo da parte del governo di censurare il web e di limitare questo spazio di democrazia globale". Resta il fatto che su Facebook le "sparate" non si contano. E oltre a "Uccidiamo Berlusconi" - che spicca come detto per il numero di iscritti - esiste il gruppo "Uccidiamo a badilate (o con lapidazione) Silvio Berlusconi", ma anche "Uccidiamo tutti quelli che vogliono uccidere Berlusconi" e "Uccidiamo il Partito Democratico e i suoi affini". C’è poi chi si ritrova sotto le sigle "Contro chi uccide su Facebook!" e "Quelli che sono infastiditi dai gruppi che vogliono uccidere qualcuno". Insomma, per ogni provocazione c’è una risposta. Ma di certo adesso "Uccidiamo Berlusconi" è la più quotata. Da notare che all’interno del gruppo sono molti quelli che inneggiano a una sconfitta democratica (e non violenta) del Cavaliere: "Io non voglio uccidere Berlusconi. Voglio ucciderlo col voto" scrive Giuseppe. E Simone: "Appendiamo il tricolore dai balconi, sarebbe la forma di protesta migliore!". C’è poi chi vuole candidare Berlusconi al Nobel per la mafia 2010 e chi gli augura un futuro dietro le sbarre. Giammarco indica l’ovvio ("Stanno facendo una pubblicità enorme a questo gruppo... grazie Tg!") e Giada avvisa: "Se chiudono questo gruppo io ne apro un altro uguale". Ernesto fa notare la democrazia dei social network: "Non mi sembra l’unico gruppo... ne cito alcuni: Uccidiamo Costantino, Karina, Moccia, Mughini, Bassolino, Nedved, Arisa, Quaresma, Pellegatti, le Winx, il gatto Virgola e Prezzemolo". In effetti facendo una ricerca con la keyword "Uccidiamo" vengono fuori ben 500 risultati con i "target" più fantasiosi. Altrettanto entusiasmo nel gruppo "Uccidiamo tutti quelli che vogliono uccidere Berlusconi" (quasi 900 iscritti). Edmondo: "Sei grande... e comprerò tutti i libri dove sarai storia!". Giovanni: "Semplicemente... Forza Silvio". Giustizia: il Csm difende Mesiano; nel Paese il clima è invivibile
Corriere della Sera, 22 ottobre 2009
Il plenum del Csm ha approvato a larghissima maggioranza, con il voto contrario dei laici del Pdl, la risoluzione sugli attacchi al giudice del Tribunale di Milano, Raimondo Mesiano. A favore ha votato anche il vice presidente del Csm, Nicola Mancino. L’approvazione è avvenuta al termine di un lungo dibattito nel corso del quale la maggioranza dei consiglieri ha parlato, in relazione agli attacchi e al video contestato sul giudice Mesiano andato in onda su Canale 5, di "intimidazioni alla magistratura". "Il presidente del Consiglio ha lanciato un messaggio molto grave al paese" ha sostenuto il relatore della risoluzione, il laico dell’Udc Ugo Bergamo che ha definito in particolare "inquietante" l’annuncio che su Mesiano se ne sarebbero viste "delle belle". "Il dossieraggio non ha avuto esito - ha detto Bergamo - ma grazie allo zelo del giornalista del re ogni giudice ora sa che può esser sottoposto a un processo mediatico senza possibilità di difesa". "La novità di questa vicenda è che si è passati dalle parole ai fatti - ha sottolineato il togato di Magistratura indipendente Antonio Patrono - si è toccato il magistrato in uno dei valori fondamentali, la sua privacy, a scopo di rappresaglia e intimidazione". "Siamo di fronte ad una modalità che ricorda il "colpirne uno per educarne cento"" ha alzato il tiro il laico di centrosinistra Vincenzo Siniscalchi; mentre Fiorella Pilato, togata di Magistratura democratica, ha parlato di "olio di ricino mediatico" per chi emette "sentenze sgradite al potente di turno". "È una chiara intimidazione all’intera magistratura - ha insistito anche Mario Fresa, del Movimento per la giustizia - se pronunciate sentenze che non piacciono agli eredi del re di Prussia non vivrete più tranquilli". Dopo le parole di Berlusconi "c’è stata una attività di osservazione, pedinamento e investigazione mirata per screditare Mesiano - ha denunciato Fabio Roia (Unicost) facendo riferimento al video di Mattino 5 - e dire che la sentenza è stata pronunciata da una toga rossa psicotica". Per Ezia Maccora, togata di Md, "il messaggio è stato diretto anche ai cittadini: i magistrati non si rispettano". Pino Berruti, di Unicost, ha osservato: "Non so se la sentenza pronunciata da Mesiano sia esatta ma oggi ai giudici, a quelli meno importanti, dobbiamo dire che la legge è uguale per tutti". Il vice presidente del Csm, Nicola Mancino, prima della votazione della delibera ha espresso "preoccupazione per il clima invivibile che si è creato nel paese e che lo rende insensibile rispetto ai valori". "Il potere più è forte e più può intimidire. L’uso del consenso contro altri poteri - ha ammonito il vice presidente del Csm - è deviato e porta a ubriacature". Ma cosa dice il Csm nella delibera approvata dalla Prima Commissione? Le dichiarazioni del premier Silvio Berlusconi e quelle rilasciate da esponenti di centrodestra, oltre al video diffuso da Canale 5 del giudice Raimondo Mesiano, "destano allarmata preoccupazione" perché rischiano di "produrre oggettivamente una forma di condizionamento per ciascun magistrato, nell’esercizio della funzione giurisdizionale, in particolar modo allorquando si tratti di decidere controversie nelle quali siano parti, soggetti di rilevanza istituzionale ed economica". Nel documento della Commissione si riportano le parole pronunciate dal premier in una trasmissione televisiva, quando disse di ritenere che il giudice Mesiano "di estrema sinistra" era stato "fortemente influenzato esternamente" e nella sua sentenza c’erano "le impronte digitali della Cir". Si ricorda anche la considerazione successiva di Berlusconi che presto sul magistrato milanese ne sarebbero venute fuori "delle belle". La commissione mette in relazione temporale quest’ultima dichiarazione con "l’illecita intrusione nella sfera privata del magistrato", con cui allude al video mandato in onda su Canale 5 in cui si definiva Mesiano "stravagante" anche per il fatto di indossare calzini turchesi. Quella intrusione, denunciano i consiglieri, "è avvenuta con tempi e modalità tali da attentare non solo all’ indipendenza ed autonomia di ogni singolo magistrato, ma anche e soprattutto alla credibilità della funzione giurisdizionale stessa. Tali condotte destano allarmata preoccupazione in considerazione del fatto che possono produrre oggettivamente una forma di condizionamento per ciascun magistrato nell’esercizio della funzione giurisdizionale". Nella risoluzione si fa anche riferimento alle parole pronunciate dai capigruppo del Pdl a Camera e Senato, che parlarono di "disegno eversivo". E si dice che "l’assunto di una magistratura giudicante che persegue finalità diverse da quelle sue proprie e, per di più, volte a sovvertire l’assetto istituzionale democraticamente voluto dai cittadini, oltre ad esser privo di fondamento, costituisce la più grave delle accuse ed integra, anche per il livello istituzionale da cui tali affermazioni provengono, un’obiettiva e incisiva delegittimazione della funzione giudiziaria nel suo complesso e dei singoli magistrati". Il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, ha riportato in aula il parere di Giorgio Napolitano: "Il presidente della Repubblica è consapevole delle inquietanti connotazioni della vicenda" ha dichiarato. "Ho informato Napolitano della scelta di trattare con procedura d’urgenza la pratica a tutela del giudice Raimondo Mesiano" ha detto Mancino aprendo i lavori del plenum. "Il presidente - ha aggiunto - si è mostrato consapevole delle inquietanti connotazioni della vicenda e del fatto che in base ad esse la pratica a tutela è stata aperta". Pratica che andrà "ovviamente trattata dal plenum - ha sottolineato ancora il vicepresidente - valutando la sussistenza dei presupposti richiesti dal regolamento interno". Mancino ha ricordato in particolare le parole pronunciate da Napolitano nella seduta del 14 febbraio dell’anno scorso, quando il capo dello Stato sostenne che "occorre prestare la massima cura e non superare il senso del limite e della responsabilità per ricreare un ‘giusto clima di rispetto, riservatezza e decoro intorno al processo". Sulla questione è intervenuto anche Elio Vito. "Il Presidente Berlusconi era del tutto all’oscuro delle iniziative giornalistiche sul giudice Mesiano" - ha dichiarato durante il question time alla Camera il ministro per i Rapporti con il Parlamento". "Il Governo - osserva Vito - auspica che la tutela di valori come la dignità personale e la privacy di chi è oggetto di servizi giornalistici costituisca una preoccupazione da avere nei confronti di tutti e non a senso unico. Anche quando ad essere violata è la privacy del Presidente del Consiglio". Nell’interrogazione dell’Idv, sostiene il ministro, "si insinua che sarebbe stato ordito una sorta di complotto mediatico per colpire la dignità personale e professionale del dott. Mesiano". Vito, sottolineando l’estraneità di Berlusconi rispetto alle iniziative giornalistiche, aggiunge: "D’altra parte vi è una completa autonomia delle redazioni, sia televisive che della carta stampata, nel decidere le linee e i contenuti editoriali della loro attività. Si deve tener presente che il Governo non ha alcuna competenza in materia, tanto più se riferita a soggetti diversi dal servizio radiotelevisivo pubblico". Intanto, ha raggiunto le novanta firme il documento dei giornalisti e degli autori Mediaset sulla vicenda. Domenica scorsa, un gruppo di giornalisti trasversale a tutte le testate aveva proposto una raccolta di firme all’interno del gruppo per prendere nettamente le distanze dal servizio andato in onda su "Mattino 5" giovedì 15 ottobre: il giudice veniva ripreso in momenti del suo privato e con gli ormai famosi calzini azzurri. "Striscia la Notizia" ha dato il proprio sostegno all’iniziativa dopo che Antonio Ricci, sin dal primo momento, aveva definito il servizio "una fesseria". "Noi giornalisti e autori del gruppo Mediaset - è un passaggio del documento - prendiamo decisamente le distanze da questo modo di fare informazione. Non serve a nessuno e non ha senso voler piegare i giornalisti e il loro lavoro a logiche che nulla hanno a che fare con il mestiere, arrivando a produrre il servizio sul giudice Mesiano, che è stato definito dalla Fnsi un pestaggio mediatico". Giustizia: una lettera al Quirinale, da 300 magistrati e giuristi di Luigi Ferrarella
Corriere della Sera, 22 ottobre 2009
L’appello, che da oggi resterà aperto alle sottoscrizioni, raccoglie in un pomeriggio una ventina di avvocati di Milano, Torino e Bologna; l’economista Salvatore Bragantini; lo storico Giuseppe De Lutiis; e 230 magistrati di ogni ruolo, dentro ogni corrente o anche notoriamente fuori dalle correnti. Ci sono capi di Procure o Procure Generali, (Caselli a Torino, Roberti a Salerno, Papalia a Brescia), procuratori aggiunti (i milanesi Carnevali, Pomarici e Spataro, a Palermo l’ex ispettore ministeriale Agueci, Ingroia, Scarpinato e Principato, Zanetti a Monza); sostituti pg e giudici di Cassazione (Vito D’Ambrosio, Gallo, Tindari Bagliore, Amatucci, Salvi); il giudice del processo Abu Omar, Magi; colleghi di Mesiano come il giudice civile Andrea Borrelli. Ci sono due dei giudici penali che firmarono le condanne per il "lodo Mondadori" (Carli e Balzarotti), ma c’è anche il gup che nel 2000 aveva inizialmente prosciolto gli imputati poi condannati (Rosario Lupo). Dopo aver espresso "il nostro pensiero riverente alla Corte Costituzionale tacciata di parzialità e sudditanza politica", e a Napolitano "la più sincera solidarietà" per quanto "accaduto dopo la sentenza della Consulta sul Lodo Alfano", i 300 firmatari rimarcano che "recentemente i capi gruppo ed i vice capi gruppo del partito di maggioranza hanno accusato la magistratura di avere emesso una sentenza in campo civile (Lodo Mondadori, ndr) per finalità eversiva. Un’offesa che, come si sa, è stata più volte pronunciata anche dal presidente del Consiglio, ignorando i Suoi appelli al reciproco rispetto istituzionale". Ma se scrivono a Napolitano, non è per il "danno ai singoli magistrati. Nello scriverle, pensiamo ad altro: pensiamo ad un potere dello Stato vilipeso solo a causa di decisioni sgradite; pensiamo al prestigio ed all’autorevolezza della Magistratura italiana quotidianamente erosi; pensiamo all’effetto intimidatorio che queste offese rivestono, pensiamo allo stato della democrazia italiana che rischia di essere resa zoppa da attacchi impensabili persino in sistemi che non sono fondati, come il nostro, sulla separazione dei poteri". E nei timori dei firmatari c’è "una riforma della giustizia ancora una volta annunciata come punitiva nei confronti della magistratura italiana". A cominciare da "progetti di riforma del Csm semplicemente umilianti". Giustizia: senatori Pd presentano mozione difesa Costituzione
Ansa, 22 ottobre 2009
Il presidente del gruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro, i vicepresidenti Luigi Zanda, Nicola Latorre e 80 senatori del gruppo Pd tra cui Enzo Bianco, Vannino Chiti, Gerardo D’Ambrosio, Paolo Giaretta, Gianrico Carofiglio, Giorgio Tonini e Anna Serafini hanno presentato una mozione in difesa della Costituzione e dei suoi valori fondativi. La mozione impegna il governo "a mantenere, con estremo rigore, la sua azione nei confini dell’ordinamento costituzionale, a cominciare dal rispetto del Parlamento cui spetta il potere legislativo e che invece, in questa Legislatura, è per lo più chiamato a votare i numerosi decreti legge governativi. Ad abbandonare il continuo riscorso al potere di ordinanza di protezione civile il cui campo d’azione e la frequenza sono lievitati a dismisura". La mozione chiede poi al Governo di "osservare, anche nelle esternazioni del premier, il più assoluto rispetto dei ruoli e dei compiti di garanzia attribuiti dalla Costituzione al Presidente della Repubblica, alla Corte Costituzionale, all’ordine giudiziario e agli organi di informazione". A tenere "nel dovuto conto i moniti della Consulta che ha censurato i tentativi del Governo di far prevalere prassi diverse dal dettato della Carta, ha ricordato il dovere delle istituzioni pubbliche di rispettare, tra l’altro, i principi della divisione dei poteri e dello Stato di diritto, nonché di garantire il pluralismo dell’informazione". Infine, esprimendosi sul Lodo Alfano, la Consulta ha escluso che nel nostro ordinamento "singoli organi possano invocare una posizione differenziata in relazione a supposte forme di investitura popolare diretta". Nella mozione dei senatori del Pd si ricorda che nella Costituzione è "principio cardine la separazione e il bilanciamento tra i poteri" e "l’indipendenza e il rispetto reciproci tra i poteri e le funzioni costituzionali escludono ogni forma di concentrazione del potere in un’unica autorità e qualsiasi ipotesi di sconfinamento arbitrario tra i diversi poteri". I senatori del Pd sottolineano inoltre che la Costituzione individua nella figura del Presidente della Repubblica il rappresentante dell’unità nazionale e nella Consulta l’istituzione cui compete verificare la costituzionalità delle leggi. "Nell’ordinamento italiano - scrivono poi i senatori del Pd - costituisce principio costituzionale di particolare rilevanza la tutela piena e assoluta della libertà di stampa". Nella mozione sono quindi riportate numerose, ripetute, esplicite dichiarazioni del premier che segnalano "forti pressioni per un consistente cambiamento dei principi fondamentali della Costituzione Repubblicana". I suoi attacchi al Parlamento e alla funzione legislativa che ad esso spetta, al ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica, alla Consulta e ai giudici fino alle sue aggressioni al pluralismo dell’informazione e alla televisione pubblica. Vi è un "progetto politico di accentramento del potere, di affievolimento consistente del principio della divisione dei poteri a cominciare dalla fondamentale attribuzione al Parlamento dell’esercizio del potere legislativo", scrivono i senatori del Pd. Lo confermano il frequente ricorso alla decretazione d’urgenza unita ai maxiemendamenti e al voto di fiducia, assieme all’abuso da parte del governo Berlusconi del potere di ordinanza di protezione civile. È in atto un’"abnorme prassi espropriativa della funzione legislativa del Parlamento" e dei valori fondanti della Costituzione su cui, attraverso la mozione, i senatori del Pd chiedono al governo e alla maggioranza di opporsi. Giustizia: oggi sono "bulli", domani potenziali criminali o suicidi
Dire, 22 ottobre 2009
Bulli di oggi che potrebbero essere i criminali di domani. Con alla mano dati tratti dalla Procura di Milano (secondo i quali il 45% degli "ex bulli" entro i 24 anni d’età è stato condannato presso un tribunale per almeno tre crimini), si sente l’esigenza di fare i conti con quella che sta sempre di più diventando un’emergenza. Per l’83% degli adolescenti, secondo un’indagine condotta dalla Società italiana di Pediatria, il motivo per cui ci si comporta da bullo è essere ammirato all’interno del gruppo, mentre al 72% è capitato di assistere ad atti di bullismo nei propri confronti o in quelli di amici. Un problema enfatizzato dall’ausilio delle nuove tecnologie, trasformate in armi da quelli che vengono definiti i cyberbulli (un manuale multimediale per educare i ragazzi a proposito, curato dallo psicologo Nicola Iannaccone e dal Gruppo Buongiorno, sarà presto in libreria): quasi il 70% di chi compie atti di cyberbullismo fa uso del cellulare, di questi circa il 6% invia immagini o video minacciosi, e circa il 20% diffonde informazioni false su un’altra persona. Di fronte a questo scenario che dipinge il bullismo come fenomeno sociologico, familiare e sanitario, il Ministero dell’Istruzione ha promosso un convegno sul tema. Due giorni a partire da domani, presso l’Istituto dei Ciechi a Milano, presieduto dalla Commissione Nazionale per la Prevenzione del disagio e del bullismo. "È arrivato il momento di tirare una riga sul passato - ha spiegato Luca Bernardo, direttore del dipartimento materno-infantile del Fatebenefratelli di Milano - e cercare di fare incontrare in un unico terreno comune tanti specialisti e professionisti di diverse aree, non solo i medici, ma anche magistrati, carabinieri, psicologi, educatori, chi fa parte delle carceri che vede il bullo diventare criminale. Questo momento del convegno è importante perché da qui si partirà poi con dei progetti nazionali per fare in modo che su tutto il territorio si ragiona e si fa fronte al problema nella stessa maniera". Dal titolo del convegno, i bulli vengono tra l’altro battezzati col nuovo nome di "moderni predatori": definirli ancora bulli - ha sottolineato Bernardo - è obsoleto. Si tratta di veri predatori: scelgono la preda, la seguono, la controllano e alla fine la colpiscono. Secondo Bernardo, come anello fondamentale della catena per impedire al bullo di oggi di divenire un criminale di domani, quindi per permettere l’intervento nell’età adolescenziale, ci sono gli insegnanti e i bidelli: "hanno un ruolo fondamentale. Vivono parte della giornata con loro, vedono e possono percepire i segnali d’allarme. Allo stesso modo, il bidello è presente durante l’intervallo, conosce i ragazzi a volte molto meglio degli stessi amici e degli insegnanti". Le scuole a tasso record di bullismo? A sorpresa sono le elementari, dove circa il 28% degli alunni rimane coinvolto in fenomeni di aggressività e violenza, sia in qualità di vittima che di carnefice. A riferirlo sono gli esperti dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano, Luca Bernardo, direttore del Dipartimento materno-infantile, e Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di neuroscienze, entrambi alla guida della Commissione nazionale per la prevenzione del disagio e del bullismo, istituita dal ministero dell’Istruzione, università e ricerca. In Italia si è bulli già a 7-8 anni, ancora più che a 16, spiegano i due specialisti durante la presentazione del primo congresso nazionale sul tema "I moderni predatori: il bullismo", in programma domani e sabato a Milano. L’incidenza di questi casi diminuisce alle scuole medie, dove è pari al 20% per raggiungere una quota ancora inferiore - si parla del 10-15% - alle superiori. "I numeri hanno dell’incredibile ma è così - riflette Mencacci - e la situazione sta peggiorando. I bambini di oggi sono sempre più irrequieti". Gli esperti puntano il dito contro "bevande eccitanti a base di caffeina e merendine", prodotti che, se consumati in grande quantità, hanno effetti simili, in piccolo, alle classiche droghe". "Bevendo queste bibite si genera un effetto addiction - chiarisce Mencacci - uno stato di eccitazione, sostenuto da zuccheri ad alta assimilazione presenti nelle merendine. Questi prodotti favoriscono il meccanismo della continua ricerca di gratificazione, perché sottopongono i bimbi a continui stimoli cerebrali e proprio così li preparano a mantenere alto il livello di gratificazione". A qualunque grado, una classe su due non è immune dal fenomeno delle violenze e dell’aggressività fra i banchi di scuola. "Il comportamento da bullo, per ora, è più diffuso fra i maschi (53%) che non nelle femmine (38%)". Ma le ragazze, aggiunge Mencacci, "presentano una maggiore quantità di disturbi rispetto ai ragazzi (32% contro 19%)". Dalle botte alle violenze psicologiche, l’ostracismo, l’emarginazione. Eventi che rischiano di segnare per sempre la vita dei bambini coinvolti. L’associazione fra il bullismo e lo sviluppo di disturbi psichici è alta, avvertono gli esperti. "Si può dire che la quasi totalità dei disagi psichici esordisce in età adolescenziale", ripete Mencacci. Gli effetti del bullismo sono sia di tipo fisico che psichico: ansia, depressione, paura della scuola al punto di decidere di abbandonare gli studi o di cambiare istituto, depressione. Dietro questo esercito di bad boy, baby-prostitute occasionali, predatori moderni, c’è quasi sempre la solitudine, o un disagio familiare. "I bulli - conclude Mencacci - sono il prodotto di una società con pochi binari, tendente a giustificare la trasgressione, e poco attenta alle vittime". Giustizia: no della Lega al "mini-indulto", slitta il piano-carceri
Ansa, 22 ottobre 2009
Altro rinvio per il piano carceri del governo che una settimana fa avrebbe dovuto approdare in Consiglio dei ministri. Il pacchetto confezionato dal ministro Alfano, e dal commissario straordinario Ionta (Dap) sarà probabilmente varato la prossima settimana. Il ritardo non avrebbe nulla a che fare con il piano di edilizia (24 carceri entro il 2012) - anche se qualcuno nella maggioranza ha storto il naso per la classificazione "riservatissimo" degli appalti - ma con la norma che concede i domiciliari a qualche migliaio di detenuti con fine pena non superiore a un anno. Oltre ai problemi con la Lega (c’è già chi parla di mini indulto anche se occorre il sì del giudice di sorveglianza, ci sarebbe una smagliatura nel testo: quella che consentirebbe anche ai mafiosi (con lo scioglimento del cumulo della pena) di uscire. Per non parlare del malcontento del Viminale che quei detenuti ai domiciliari dovrebbe controllare. Giustizia: Don Gallo; stranieri ai domiciliari... ma a casa di chi? di Vincenzo Galiano
Secolo XIX, 22 ottobre 2009
Sono un centinaio i detenuti del carcere di Marassi che potrebbero uscire in anticipo dall’istituto di pena se sarà adottata dal governo la novità inserita nel piano carceri e anticipata ieri dal Secolo XIX. E cioè: i detenuti condannati per pene non gravi (dunque, sono esclusi mafiosi, terroristi, assassini e stupratori) potranno scontare l’ultimo anno agli arresti domiciliari. A patto, però, di averlo un domicilio. Un ostacolo che riguarda soprattutto i detenuti stranieri e che potrebbe vanificare una norma giudicata positivamente dalla totalità delle associazioni impegnate nel volontariato dietro le sbarre. "La maggior parte degli extracomunitari rinchiusi a Marassi - conferma Salvatore Mazzeo, responsabile della casa circondariale - non ha né un alloggio né riferimenti familiari. Perciò, se la norma fosse approvata così com’è, difficilmente potrebbero fruire di questi benefici, rivolti anche ad affrontare il problema del sovraffollamento carcerario". Problema che a Marassi è grave e annoso: a fronte di un a capienza massima di 450 persone, la struttura sulle sponde del Bisagno (proprio accanto allo stadio Ferraris che molti vorrebbero ampliare e rimodernare) ospita 740 detenuti. Quasi 300 in più rispetto agli standard di vivibilità. Gli stranieri sono circa 430: il 59 per cento del totale, a fronte di una media nazionale del 37 per cento che schizza al 50 per cento nelle carceri del Nord e decresce progressivamente man mano che si scende a Sud. Se il Consiglio dei ministri dovesse dare via libera alla modifica dell’ordinamento penitenziario, la sessantina di detenuti stranieri che - secondo le prime stime della direzione carceraria di Marassi - potrebbero uscire di prigione avendo da scontare una pena residua (o un’intera condanna) non superiore ai 12 mesi, non potrebbero godere di questa opportunità. "Quando si tratta di malati o di tossicodipendenti, si fa riferimento agli ospedali o alle comunità terapeutiche - riprende Mazzeo - ma la maggior parte dei detenuti non saprebbe dove andare. E pur avendo diritto ai domiciliari, dovrebbero rassegnarsi a restare in cella". "La questione non riguarda solo gli extracomunitari ma anche molti ragazzi e ragazze che hanno interrotto i rapporti con la famiglia", dice don Andrea Gallo, animatore della comunità di San Benedetto al Porto. Per Don Gallo le strutture d’accoglienza non mancherebbero, ma occorrono risorse per offrire a chi esce di prigione condizioni di vita dignitose e un futuro migliore. "Per ogni detenuto - ricorda don Gallo - siamo fermi, da anni, a 44 euro al giorno di contributo pubblico mentre il costo per la comunità è attorno ai 300 euro. Anche su questo aspetto bisogna agire se non vogliamo che la norma, di per sé molto valida sul piano pedagogico, fallisca lo scopo come avvenuto per l’amnistia". Valter Massa, presidente regionale dell’Arci, attiva nel sostegno ai detenuti assieme a Uisp, Caritas e ad altre associazioni di stampo cattolico, chiede invece aiuto all’amministrazione penitenziaria: "C’è bisogno di fondi per portare a compimento il progetto, al quale stiamo lavorando da tempo, di una nuova struttura d’accoglienza per gli ex carcerati. Parliamo di quelli che hanno scontato tutta la pena e che trovano enormi difficoltà a reinserirsi nel tessuto sociale. Ma la realizzazione di una rete di dormitori diventa ancora più urgente alla luce di questa possibile modifica all’ordinamento giudiziario che introduce gli arresti domiciliari al posto dell’ultimo anno dietro le sbarre". Trento: 10 detenuti per cella nuovo carcere entro giugno 2010
Ansa, 22 ottobre 2009
Il nuovo carcere di Trento, nel quartiere di Spini di Gardolo, dovrebbe essere pronto per l’apertura entro il primo semestre del 2010. Lo ha detto oggi la direttrice delle Case Circondariali di Trento e Rovereto, Antonella Forgione, nel corso della presentazione di una serie di attività culturali per i detenuti. Lo spostamento dei detenuti nella nuova struttura, fornita "chiavi in mano" dalla Provincia autonoma di Trento, avverrà in modo contestuale con l’apertura, senza ricorrere a trasferimenti parziali in altre carceri, ha assicurato la direttrice. La nuova struttura - ha aggiunto - è stata pensata per ospitare 240 detenuti (di cui 20 donne), tutti di media sicurezza, in attesa di giudizio e con pene superiori ai cinque anni. Attualmente i detenuti a Trento sono 154. L’organico della Polizia penitenziaria dovrà essere implementato almeno del doppio, ha sottolineato Forgione. Oggi l’organico è formato da un centinaio di persone. La nuova struttura potrebbe anche ospitare in futuro i detenuti della casa circondariale di Rovereto, "ma ciò dipende dalle scelte prese a livello politico. Si potrebbe ragionare di chiudere Rovereto se ci fosse un’inversione di tendenza nelle presenze a livello nazionale e non fosse superata la soglia critica giunta a quota 65mila". La dottoressa Forgione ha ricordato come l’attuale carcere di Trento sia una struttura vecchia, al limite della vivibilità per detenuti ed operatori, con il doppio della capienza consentita. La nuova avrà celle per uno-due detenuti, mentre oggi in alcune ce ne sono 10". Genova: serve un nuovo carcere, ma Marassi resta in funzione
Secolo XIX, 22 ottobre 2009
"Il carcere di Marassi non sarà mai trasferito o lo sarà in tempi lunghissimi, almeno dieci anni". È la tesi che Salvatore Mazzeo ripete da un po’ di tempo. Ieri il direttore della Casa Circondariale di Marassi ha ribadito il concetto: "Nei piani del ministero - spiega - non c’è la chiusura a breve di Marassi ma, semmai, come avvenuto a Milano e Torino, la costruzione di una seconda struttura di pena da circa 400 posti". Il superamento di Marassi è previsto solo sulla carta e sul medio-lungo periodo. "Marassi è stato ristrutturato nel 1990 - continua Mazzeo - e, a differenza di molte altre carceri importanti, non è affatto fatiscente. Ad esempio, le celle sono tutte dotate di bagni veri, non di gabinetti alla turca. Infatti, nei programmi del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria la struttura è inserita in terza fascia, quella delle dimissioni più lontane nel tempo. A breve, per combattere il sovraffollamento, bisogna invece costruire un nuovo istituto di pena". Piacenza: un Garante comunale dei detenuti... tra le polemiche
Dire, 22 ottobre 2009
A Piacenza arriva il Garante per i diritti dei detenuti, la proposta del Comune in Commissione 3, passa, seppur con qualche mal di pancia anche in maggioranza. L’assessore ai Servizi sociali Giovanna Palladini, dopo i numerosi colloqui con le associazioni che operano all’interno del carcere delle Novate, ha presentato in Commissione la proposta di istituire il Garante per i diritti dei detenuti, figura che faccia da tramite tra il Comune e la struttura carceraria. Secondo la delibera di giunta, il Garante - che dovrà essere residente a Piacenza - sarà nominato dal sindaco Roberto Reggi dopo la consultazione della conferenza dei capigruppo e su proposta dei consiglieri. La nuova figura di nomina comunale dovrà avere competenze nell’ambito dei diritti umani e del lavoro, ma la carica è incompatibile con settori della giustizia. "Il Garante - spiega Palladini al consesso - riferirà direttamente al sindaco, alla Giunta e al Consiglio e non riceverà compensi, se non rimborsi spese documentabili". La commissione, nonostante si sia rimarcato "l’atteggiamento positivo e propositivo" della delibera di Giunta, non è pienamente convinta dell’attuabilità e degli effettivi compiti "sul campo" del Garante. Uno dei critici è Marco Tassi (Pdl) il quale si mostra "concettualmente d’accordo con la proposta" ma scettico "su quanto possa fare il Garante, che non può entrare nel carcere, può avere solo contatti con il direttore delle Novate e con la Polizia penitenziaria. In pratica - rileva Tassi - il Garante ha gli stessi poteri del parroco o dei volontari di qualche associazione". Il documento proposto dall’esecutivo "è ampiamente migliorabile" secondo Gianni D’Amo (Piacenzacomune), soprattutto per quanto riguarda la parte che riguarda i rapporti tra il Garante e i parlamentari piacentini e la nomina della nuova figura che, secondo il pensiero del civico, dovrebbe essere espressione del Consiglio comunale. "Io proporrei di votare tutti insieme in maniera positiva - spiega D’Amo nel suo intervento - ma l’assessore si deve prima preoccupare di verificare e risolvere il problema della nomina e del rapporto con i parlamentari". Se la commissione era iniziata sotto i migliori auspici, i rapporti tra assessore - che ha respinto le critiche al mittente e non incline a modificare il documento - e i consiglieri, anche quelli di maggioranza di centrosinistra, si sono incrinati. La commissione si è comunque espressa con parere positivo condizionato e sarà compito dell’esponente dell’esecutivo verificare la necessità e la possibilità di modificare lo statuto per permettere al consiglio comunale di nominare il Garante. I soli astenuti sono Tassi e Carlo Mazza (Gm) anche se Bruno Galvani (Gm), nonostante si sia allineato alla maggioranza, ha espresso disappunto perché "questa nuova figura non serve a nulla". Cagliari: manifestazione degli agenti per aumento dell'organico
Agi, 22 ottobre 2009
I sindacati di polizia penitenziaria hanno manifestato stamane a Cagliari di fronte agli uffici del Provveditorato regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per protestare contro la carenza di personale, il mancato pagamento degli straordinari e la difficile gestione degli istituti di pena. "In Sardegna - ha detto il segretario regionale della Fsa/Cnpp (Federazione sindacati autonomi/Coordinamento nazionale polizia penitenziaria), Bruno Melis - lavorano circa 1300 agenti per 2600 detenuti. Per far fronte ai numerosi problemi vissuti dagli operatori, crediamo che l’organico debba essere incrementato di almeno 700 unità. Da oltre un anno parliamo di vertenza Sardegna, ma ancora non abbiamo ricevuto risposta né dal provveditore regionale, Francesco Massidda, né dai vertici del ministero di Grazia e giustizia. Per questo chiediamo al Consiglio regionale di intervenire con forza al nostro fianco e siamo pronti a ritornare in piazza fino a quando i nostri interlocutori non ci daranno risposte chiare sui problemi del settore". Il responsabile regionale della Federazione nazionale Ugl polizia penitenziaria, Alessandro Cara, ha sottolineato a sua volta che "le aggressioni agli agenti da parte dei reclusi sono continue e spesso sono dovute all’invivibilità delle carceri, stipate all’inverosimile". Per il rappresentante dell’Unione generale del lavoro, il confronto con i rappresentanti dell’amministrazione penitenziaria deve tener conto anche di altri aspetti, "come la mancata applicazione delle direttive sugli straordinari e la distribuzione del personale nelle varie sedi carcerarie dell’isola, ora inadeguata". Infine, i sindacati si dicono contrari all’apertura di nuovi bracci nelle strutture di Is Arenas, Nuoro-Mamone e Oristano, così come ipotizzato nei giorni scorsi. Alghero: numero dei detenuti triplicato, rispetto a pochi anni fa
www.alguer.it, 22 ottobre 2009
Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria tramite il segretario generale Donato Capece lancia un appello: "Oggi abbiamo in Italia 65mila detenuti: ben 24mila sono stranieri". Per loro le "situazioni di disagio si accentuano", e per "diversi problemi legati alla lingua e all’adattamento pongono in essere gesti dimostrativi". Da qui la richiesta al Governo di "avviare le trattative con gli Stati da cui provengono affinché scontino la pena nei Paesi d’origine". Il sovraffollamento delle galere non è solo un problema italiano sia ben chiaro ma è diventato un problema globale. L’Europa si sta mobilitando, anche perché sono arrivate le prime condanne per "trattamenti inumani e degradanti" nei confronti dei paesi che non garantiscono ai detenuti uno spazio vitale minimo di almeno tre metri quadrati: l’Italia ha guadagnato la prima, con tanto di risarcimento danni al detenuto, e altri 100 ricorsi stanno già prendendo la via di Strasburgo. Si corre ai ripari. C’è chi, come l’Italia, punta sull’edilizia carceraria e chi osa di più, come il Portogallo, cambiando politica e dando spazio alle misure alternative, che non producono consensi ma riducono la recidiva. La Sardegna non fa eccezione. Nel carcere di Alghero, ad esempio, il numero dei detenuti si era attestato, nel periodo subito dopo l’indulto, a 80-90 unità. Ora, invece, la Casa Circondariale ospita 240 reclusi, un numero triplicato che non facilita certo la gestione della struttura. Ma il problema vero, denunciato spesso dai responsabili del carcere, è la carenza di personale. Mentre i detenuti aumentavano gli agenti di polizia penitenziaria rimanevano gli stessi. Il numero dei reclusi è lievitato così anche per un altro fattore e cioè il trasferimento ad Alghero di detenuti non definitivi, una novità per il carcere algherese. Nonostante questo le attività che la Casa Circondariale di Alghero propone per i detenuti sono sempre andate avanti, e la struttura è stata diverse volte presa a modello. All’interno delle mura carcerarie si svolgono fra gli altri, infatti, corsi scolastici tenuti dai docenti dell’Istituto Alberghiero, corsi di tipografia, e a breve dovrebbe iniziare anche un corso di panificio. Tutto questo senza tralasciare l’ennesima difficoltà, e cioè il budget ridotto di cui dispone il carcere di Alghero. Per tornare al problema del sovraffollamento, è bene ricordare che ogni detenuto dovrebbe avere uno spazio vitale minimo sancito da una sentenza dell’Unione Europea e il carcere di Alghero, benché al limite di presenze, riesce a soddisfare questa esigenza. Il lavoro degli agenti di polizia penitenziaria è comunque sicuramente troppo pesante e il loro esiguo numero crea tutta una serie di problemi per quanto riguarda turni, straordinari e ferie. Una situazione quindi molto particolare che dovrebbe far riflettere e che dovrebbe essere affrontata con serietà dagli organi competenti. Enna: un carcere che "fa acqua" si allaga dopo violente piogge
Apcom, 22 ottobre 2009
La tromba d’aria e il contemporaneo nubifragio che questa mattina alle 5 hanno colpito le province di Caltanissetta ed Enna hanno provocato danni e allagamenti. In particolare, nel Nisseno, a Riesi, si è addirittura staccato un tetto in lamiera di un’abitazione che è stato trasportato per un centinaio di metri dal vento colpendo altri edifici e provocando un grande frastuono. Problemi per cadute di alberi e allegamenti si segnalano anche a Pizza Armerina e Nicosia, nell’Ennese. A Enna, invece, la pioggia ha provocato infiltrazioni nella Casa Circondariale, provocando l’inibizione dell’uso di alcune aree della struttura. Nel carcere di Enna sono ospitati 180 detenuti. Il problema delle infiltrazioni d’acqua era già noto e si stava provvedendo al ripristino. Varese: detenuto alla guida di nuovo bus-navetta del Comune
Varese News, 22 ottobre 2009
Un detenuto al volante del nuovo bus navetta del Comune di Malnate (Va). Girerà per il paese raccogliendo gli anziani e tutti coloro che non fossero automuniti trasportandoli, secondo un tragitto predefinito, nei punti sensibili del territorio. Sta prendendo forma a Malnate il progetto di piazza Vittorio Veneto di coinvolgere persone sottoposte a forme di detenzione in alcune iniziative socialmente utili a partire dai lavori di manutenzione fino alla guida del nuovo bus. "Come avevamo già anticipato qualche mese fa - dice il sindaco Sandro Damiani - cercheremo di attivare questo servizio magari impiegando i detenuti. Un detenuto affidabile che potrebbe accompagnare i cittadini, che ne avessero bisogno, per il paese. Ci sarebbero delle fermate come una normale linea delle Nord. Si tratterebbe peraltro di un servizio quasi a costo zero per l’amministrazione. Sarebbe, infatti, quasi totalmente a carico del privato che sosterrà anche il costo del bollo e dell’assicurazione dei veicolo". Il veicolo, di proprietà di un privato, è un piccolo bus a otto posti: "Confido di far partire il servizio nel giro di un paio di mesi - dice il sindaco Sandro Damiani - questo almeno è il mio auspicio. Se tutto fila liscio non ci dovrebbero essere intoppi e i cittadini potrebbero contare su un’iniziativa importante e di grande utilità". Nelle prossime settimane sarà ultimato l’appalto per l’aggiudicazione così da poter procedere poi all’avvio del servizio. "Abbiamo avvertito questa esigenza soprattutto delle persone più anziane - dice il sindaco - che hanno delle difficoltà a raggiungere, anche dalle periferie, alcune zone di Malnate, magari anche solo per fare la spesa. Così magari non potendo muoversi altrimenti, sono costrette sempre ad andare negli stessi posti, pur volendo cambiare. Nel momento in cui ci saranno i nuovi supermercati - aggiunge il sindaco - il bus potrebbe accompagnare le persone facendovi tappa". Il sindaco è intenzionato a non scartare l’ipotesi del detenuto autista sull’onda dei buoni risultati ottenuti negli ultimi mesi. Un paio di detenuti sono stati, infatti, già impiegati per la manutenzione della piazza e del cimitero. Anche piccoli lavori nei quali si sono distinti per affidabilità e serietà facendo propendere Damiani per la prosecuzione dell’iniziativa. "L’obiettivo - aveva spiegato il sindaco - è quello di favorire un reinserimento di questi cittadini nella società facendogli svolgere un’attività in favore della collettività". Trapani: il presidente del Consiglio provinciale scrive ad Alfano
www.a.marsala.it, 22 ottobre 2009
Non demorde il Presidente del Consiglio Provinciale, Peppe Poma, che continua ad incalzare il Ministro della Giustizia per cercare di risolvere il problema del sovraffollamento e della carenza di personale nelle carceri trapanesi. Facendo seguito alle precedenti note in data 22 aprile e 30 luglio 2009 sullo stesso argomento - afferma il Presidente Poma nella nuova lettera trasmessa oggi al Ministro Angelino Alfano - e raccogliendo le insistenti e motivate richieste in tal senso indirizzatemi da tutti i partecipanti al quarto congresso provinciale della Uilpa-Penitenziari, svoltosi a Trapani lo scorso 19 ottobre, sottopongo ancora una volta alla Tua autorevole attenzione, anche per conto dell’intero Consiglio di questa Provincia Regionale da me presieduto, l’ormai improcrastinabile esigenza di un celere intervento del tuo Dicastero e dello stesso Governo per dare adeguata e risolutiva risposta alla gravissima problematica del sovraffollamento delle carceri trapanesi (a cominciare da quello di "San Giuliano") a cui viene drammaticamente a sommarsi la contemporanea assoluta carenza di personale: una vera e propria "miscela esplosiva" che oggettivamente, da un momento all’altro, potrebbe sfociare in conseguenze, relativamente anche alla garanzia della sicurezza, a dir poco disastrose. Mi permetto ricordare, a questo proposito, - aggiunge Peppe Poma - l’episodio di violenta contestazione, verificatosi nello scorso mese di marzo, in cui, fra l’altro, un agente di custodia del predetto carcere di San Giuliano è rimasto addirittura ferito, proprio perché il sovraffollamento delle celle ed il mancato rispetto delle minime necessità dell’organico del personale dipendente hanno da tempo superato ampiamente i limiti imposti dalla umana dignità e dal rispetto delle garanzie di sicurezza. Infatti, come ha "certificato" il congresso della Uilpa-Penitenziari, fra Trapani, Favignana, Castelvetrano e Marsala sono in atto detenute 309 persone in più rispetto alla ricettività massima a fronte della mancanza di almeno 100 agenti nel previsto organico, In particolare, 500 sono i detenuti nel carcere del Capoluogo, di cui 115 per reati di mafia e di camorra, quindi appartenenti al circuito alta sicurezza, e 140 extracomunitari; 150 a Favignana, di cui 64 internati; 107 a Castelvetrano, 45 a Marsala. Per quanto concerne invece il personale dipendente, carente di un centinaio di agenti, è emerso che sono necessari, senza ulteriori perdite di tempo, 60 unità a Trapani (50 uomini e 10 donne), 20 a Favignana, 10 a Marsala e 10 a Castelvetrano. Ti comunico altresì che, nel corso del dibattito al succitato congresso della Uilpa-Penitenziari, sia il Coordinatore provinciale, che il Segretario generale della provincia di Trapani e quello regionale per la Sicilia di questo Sindacato (rispettivamente Francesco Culcasi, Giovanni Angileri e Gioacchino Veneziano) hanno criticato la nota fattami pervenire dal Capo della tua Segreteria, Dott. Baldassare Di Giovanni, perché, pur prendendo positivamente atto della conferma della prevista costruzione di un nuovo padiglione nel carcere di San Giuliano a Trapani, si elude di rispondere alla richiesta di destinare nuovo personale allo stesso carcere di S. Giuliano. Nel preannunciarti infine che nei prossimi giorni, assieme ai componenti della Conferenza dei Capigruppo al Consiglio Provinciale, incontrerò il Direttore del "San Giuliano", Dott. Renato Persico, per discutere sulle problematiche di cui trattasi (sovraffollamento, carenza degli organici di polizia penitenziaria, sicurezza etc.), Ti invito, ancora una volta, a venire a Trapani per renderti personalmente conto della gravità della situazione e della urgenza di un intervento. Trento: detenuti mimano la fuga, ma è uno spettacolo teatrale
Ansa, 22 ottobre 2009
In uno spettacolo teatrale organizzato all’interno del carcere di Trento, i detenuti, con una maschera sul viso, hanno mimato la fuga. Un’evasione che ha divertito il pubblico senza mettere in allarme la polizia penitenziaria. "Maschere di liberta", questo il titolo dell’evento-laboratorio proposto dal mimo trentino Emilio Frattini nell’ambito del progetto multidisciplinare "Libertà e detenzione". L’idea era di trasformare i detenuti in poetici mimi, clown o attori recitanti. Tutti i partecipanti, una trentina, hanno dapprima realizzato una maschera partendo da un calco in gesso costruito sul proprio viso. Con questo nuovo volto ogni detenuto ha così costruito un alter-ego, da reinventare e modificare. "Dietro la maschera si può essere invisibili, nascosti o si può esprimere la verità di ciò che si vorrebbe essere", dice il mimo Frattini che ha raccontato come i detenuti abbiano ideato ed indossato maschere con i loro volti inespressivi, in modo tale che erano costretti ad esprimersi con la gestualità, con il corpo. "Hanno liberato la loro fantasia, fino a cercare una libertà interiore", ha detto Frattini che intende ripetere questa esperienza nel nuovo carcere di Trento che verrà aperto il prossimo anno. Televisione: i collaboratori di giustizia protagonisti di Blu Notte
Agi, 22 ottobre 2009
"Dentro Cosa Nostra - La storia dei pentiti di mafia: Tommaso Buscetta, il boss dei due mondi". Questo l’argomento della quarta puntata di "Blu Notte - Misteri Italiani", in onda su Raitre alle 21,10 di domani 23 ottobre. Carlo Lucarelli racconta il fenomeno dei collaboratori di giustizia. Il 15 luglio 1984 arriva a Roma, estradato dagli Stati Uniti, Tommaso Buscetta che, reduce da un tentativo di suicidio e dallo sterminio di quasi tutta la sua famiglia, si "pente" e attraverso la sua collaborazione con il giudice Giovanni Falcone, la mafia comincia a non avere più misteri. Buscetta parla, rivela organigrammi, nomi, traffici, struttura, omicidi. Si ferma solo quando ventila l’ipotesi di rapporti tra mafia e politica. La sua confessione è uno dei pilastri su cui si basa il maxiprocesso, il primo vero processo a Cosa Nostra. La prima legge sui collaboratori di giustizia in Italia viene varata nel 1991. I suoi effetti sono dirompenti: moltissimi mafiosi, dopo le condanne del maxiprocesso e le conseguenze della sanguinosa guerra interna scatenata dai Corleonesi, iniziano a collaborare usufruendo dei programmi di protezione e reinserimento della legge. La mafia sembra quasi sconfitta. Nel 2001 viene approvata una nuova norma, che se da una parte restringe i troppi privilegi, dall’altra indebolisce le possibilità di scoprire, attraverso l’aiuto dei collaboratori di giustizia, il cosiddetto terzo livello: i rapporti della mafia con la politica. Le testimonianze dei numerosi pentiti non solo ripercorrono vicende umane dai tratti sconvolgenti, ma anche la storia di una delle maggiori organizzazioni criminali di tutti i tempi. Un’occasione unica per conoscere la mafia dal suo interno. Immigrazione: reato di clandestinità "irrazionale", alla Consulta
Il Manifesto, 22 ottobre 2009
Un giudice di pace di Bologna ieri ha accolto l’istanza di legittimità costituzionale sollevata dalla procura sul nuovo reato di clandestinità. Era già successo a Torino il 6 ottobre quando un altro giudice di pace aveva inviato gli atti alla Consulta con un’ordinanza integrata da sue osservazioni in cui sottolineava che il reato introdotto dalla legge fortemente voluta dal ministro dell’Interno Roberto Maroni oltre a non essere in linea con la Costituzione ricorda anche teorie giuridiche dell’800 ormai superate. Per il coordinatore dei giudici di pace bolognesi Mario Luigi Cocco invece il nuovo reato "pecca di irrazionalità" quando mette allo stesso livello chi era già in Italia e ha perso i documenti e chi è entrato dopo che la legge è entrata in vigore. In più si crea un "cortocircuito" tra procedure diverse di espulsione (quella amministrativa e quella prevista dalla nuova legge). È un fatto che a Bologna tutti gli stranieri condannati per clandestinità hanno subito la pena dell’ammenda; in nessun caso è stata disposta l’espulsione e questo sarà anche l’orientamento per il futuro. Come dire che la sbandierata efficacia del nuovo reato rimane sulla carta mentre le espulsioni, quando si fanno, continuano ad essere quelle amministrative disposte dal prefetto ed eseguite dal questore. La decisione del giudice Cocco non congela rutti i procedimenti esistenti a Bologna visto che gli altri giudici di pace che si occupano di clandestinità hanno in tre casi rigettato la stessa istanza mentre un altro ha rinviato la decisione. Una risposta alle critiche del deputato leghista Angelo Alessandri (che il Carroccio vorrebbe candidare per le prossime regionali in Emilia Romagna) che ha fatto scattare immediatamente la polemica: "Il magistrato dovrebbe limitarsi ad applicare le leggi, visto che il problema della legittimità costituzionale di una norma spetta in via principale ad altri organi". Dopo le prime eccezioni era stato proprio Maroni ad utilizzare toni molto duri verso i giudici. Ma è proprio, quello che sta accadendo visto che i magistrati si stanno rivolgendo alla Consulta per chiedere un parere. Scendendo nel merito delle cinque pagine dell’ordinanza del giudice Cocco la Costituzione verrebbe violata in quattro punti. Chi era già in Italia non può essere considerato allo stesso modo di chi è entrato dopo F8 agosto e la regolarizzazione di colf e badanti è una "patente disparità di trattamento per situazioni omogenee" (art. 3). "Non risulta neanche prevista la possibilità di sottrarsi alla condanna con l’allontanamento volontario" (art. 24 comma 2) mentre la pena (espulsione) non mira alla rieducazione del condannato (art. 27 comma 3). E infine il raddoppio della procedura dell’espulsione (art. 97 comma 1). È qui che si realizza il "cortocircuito" per il giudice tanto che "l’applicazione della pena sostitutiva dell’espulsione in sede penale risulta inevitabilmente paralizzata e inapplicabile". Immigrazione: l'Unhcr; aumentano le domande di asilo politico
www.unimondo.org, 22 ottobre 2009
Nel primo semestre dell’anno le domande di asilo nei paesi industrializzati sono cresciute del 10% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: lo rende noto l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) che oggi ha pubblicato le statistiche preliminari nel rapporto "Asylum levels and trends in industrialized countries, first half 2009". Nei primi sei mesi del 2009 sono state presentate 185mila domande di asilo in 38 paesi europei, Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Repubblica di Corea. L’Iraq rimane il principale paese di origine dei richiedenti asilo (13.200 domande) per il quarto anno consecutivo. Gli afghani (12mila) e i somali (11mila) rappresentano il secondo e il terzo gruppo a causa del costante deteriorarsi delle condizioni di sicurezza in vaste aree dei loro paesi di origine. Gli altri principali paesi di origine sono Cina, Serbia (Kosovo compreso), Federazione Russa, Nigeria, Messico, Zimbabwe, Pakistan e Sri Lanka. "Questi dati mostrano come la violenza e l’instabilità in alcune aree del mondo costringano sempre più persone a fuggire e cercare protezione in paesi sicuri" - ha detto l’Alto Commissario António Guterres. "È veramente necessario che i paesi tengano le porte ben aperte a coloro che hanno un genuino bisogno di protezione internazionale". Come regione, l’Europa ha ricevuto il 75% di tutte le domande di asilo, anche se gli Stati Uniti restano il paese nel quale sono state presentate il maggior numero di domande di asilo con il 13% circa di tutte le domande presentate nei paesi industrializzati (23.700). La Francia si piazza al secondo posto con il 10% di domande presentate (19.400), seguita da Canada (18.700), Regno Unito (17.700) e Germania, al quinto posto (12mila). Analizzando gli andamenti, il rapporto statistico Unhcr mostra una distribuzione non omogenea delle domande di asilo. La maggior parte dei richiedenti asilo iracheni, ad esempio, hanno presentato domanda in Germania, Paesi Bassi e Svezia, e nella vicina Turchia. Gli afghani hanno presentato domanda principalmente nel Regno Unito o in Norvegia, mentre i somali hanno chiesto asilo nei Paesi Bassi, in Svezia e in Italia. Secondo il rapporto, anche i cambiamenti di politica possono influire sulle tendenze dell’asilo. Si cita ad esempio il caso del netto declino delle domande di asilo presentate da cittadini iracheni in Svezia dopo che un tribunale per le migrazioni aveva stabilito nel 2007 che la situazione in Iraq non era caratterizzata da un "conflitto armato". La decisione, spiega il rapporto, potrebbe aver deviato le domande di asilo degli iracheni verso altri paesi come la Germania, la Finlandia e la Norvegia. Sebbene il rapporto si riferisca agli andamenti delle domande di asilo durante il primo semestre dell’anno, gli autori, basandosi sulle tendenze stagionali negli ultimi 10 anni, affermano che nel secondo semestre ci potrebbe essere un ulteriore aumento del numero di domande. Secondo il rapporto è necessario usare cautela, perché non è detto che al numero di domande corrisponda necessariamente il numero di richiedenti asilo, in quanto alcune persone potrebbero aver fatto domanda in più paesi nel corso di un dato anno o aver presentato più domande nello stesso paese. Marocco: sciopero fame detenuti, contro "condizioni inumane"
Associated Press, 22 ottobre 2009
I detenuti islamisti del carcere di Sale osserveranno oggi uno sciopero della fame di 24 ore per solidarietà con uno di loro che sarebbe stato pestato dai guardiani del carcere e da detenuti comuni. In un comunicato reso pubblico dall’associazione Annassir che difende i diritti dei detenuti islamisti in Marocco, i detenuti del movimento Salafiya Jihadiya del carcere di Sale protestano contro "le condizioni inumane nelle quali sono detenuti da numerosi anni" e denunciato l’attacco contro un detenuto. Secondo loro, ha "pagato il prezzo del suo coraggio dopo aver fatto pervenire alla stampa una foto di un detenuto del carcere di Fez che era stato torturato a morte mentre aveva le mani ammanettate.
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