Rassegna stampa 9 marzo

 

Giustizia: perché la salute dei detenuti non può più attendere

 

Comunicato stampa, 9 marzo 2009

 

Presto nel sito www.ristretti.it sarà aperta una "finestra" dedicata alle iniziative del "Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale - onlus".

La salute dei detenuti non può più attendere. Governo e Regioni che aspettano ad applicare la Riforma? Dal 1° ottobre 2008, in applicazione del Dpcm 1° aprile 2008, le Regioni italiane hanno piena competenza nella sanità penitenziaria in tutti gli Istituti penitenziari, per minori e adulti e per gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

Ad esse spetta il compito di garantire ai detenuti e agli internati il diritto alla salute sulla base delle Linee Guida che fanno parte integrante del Dpcm.

Per il passaggio delle competenze dal Ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale sono previsti atti fondamentali per il conferimento delle risorse finanziarie e professionali alle Regioni italiane, per la messa a disposizione degli ambienti, degli arredi e delle tecnologie, per la definizione delle forme di collaborazione tra il Ministero della Giustizia e il Servi zio sanitario nazionale a tutti i livelli istituzionali, nazionali, regionali locali.

Purtroppo, la fase di transizione è contrassegnata da incomprensibili ritardi nell’assegnazione delle risorse finanziarie alle Regioni, da lentezze esasperanti nell’assunzione delle competenze sanitarie da parte delle Regioni a Statuto speciale e delle Province Autonome, da ambiguità nei ruoli direzionali negli Ospedali psichiatrici giudiziari e da tentazioni di invasione di campo anziché dalla ricerca della leale e fattiva collaborazione tra i due diversi Ordinamenti: quello penitenziario e quello sanitario che operano sullo stesso campo della condizione carceraria.

Questo stato delle cose produce difficoltà serie alle Regioni italiane, smarrimento negli operatori e allarme tra i detenuti per un Servizio sanitario che stenta a garantire quello che promette: il diritto alla cura e alla salute.

Il Forum per la salute dei detenuti, proprio perché consapevole della complessità del processo da realizzare, fa appello a tutte le Istituzioni interessate, al Governo e alle Regioni italiane, perché siano risolti rapidamente i problemi in sospeso, compreso il passaggio di tutti gli psicologi al Ssn, e sia avviata la nuova rete dei servizi sanitari e sociosanitari, così come previsti nelle Linee Guida allegate al Dpcm.

E’ il momento di predisporre ed attuare in ogni Regione e in ogni Istituto penitenziario programmi di prevenzione, di cura e di riabilitazione nei quali coinvolgere prima di tutto gli operatori e i detenuti, insieme alle Associazioni del Volontariato e del Terzo settore.

La riforma della sanità penitenziaria ha bisogno di atti chiari e tempestivi, di tutto l’impegno professionale degli operatori, sanitari e penitenziari, ma soprattutto di un forte coordinamento da parte dei Ministeri interessati e delle Regioni italiane, con univocità di intenti e di scopi che sono quelli previsti dagli articoli 27 e 32 della Costituzione italiana.

 

Forum nazionale per il diritto alla salute

delle persone private della libertà personale 

Giustizia: più detenuti meno risorse, contraddizione profonda

 

Redattore Sociale - Dire, 9 marzo 2009

 

L’allarme del Forum nazionale per il diritto alla salute in carcere. Benigni: "Tra l’inadempienza a livello nazionale e lentezza delle regioni chi ci rimette è il detenuto". Marroni: "In carcere fino a 150 diverse nazionalità".

"Assistiamo a una contraddizione profonda: da una parte vi è l’incremento della popolazione carceraria, dall’altra si stanno riducendo le risorse. In altre parole, più carcere meno salute". Così Bruno Benigni, presidente del Centro Basaglia e membro del comitato direttivo del Forum nazionale per il diritto alla salute in carcere, intervenuto questa mattina a Roma nel corso della conferenza stampa convocata dallo stesso Forum per denunciare lo stato di stallo in cui versa l’attuazione della riforma che, a partire dallo scorso 1 ottobre, ha trasferito la competenza della sanità penitenziaria dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale, e quindi alle Regioni.

"Abbiamo bisogno di avere meno carcere, e pertanto dobbiamo accelerare i tempi della giustizia, ma dobbiamo avere anche meno persone in attesa di giudizio e utilizzare di più misure alternative - ha proseguito. Ma per raggiungere condizioni più adeguate per i detenuti sono necessarie "più risorse e più professionalità".

Tuttavia, ha fatto notare Benigni, pur essendo "largamente sottostimate", le risorse assegnate alle regioni non sono state consegnate. "In tanti anni - ha voluto precisare "il fondo per la sanità penitenziaria è stato tagliato sistematicamente e, nonostante questo, le risorse non arrivano". Insomma tra l’inadempienza a livello nazionale e lentezza delle regioni, finisce che la vittima è il detenuto.

Per questo il presidente del Centro Basaglia ha rivolto un appello non solo al governo e alle regioni, ma a tutte le forze politiche e sociali, perché facciano qualcosa per porre un freno ai danni che l’affollamento e la promiscuità delle carceri finiscono inevitabilmente per produrre. "Quando in carcere i diritti vengono lesi e negati - ha ammonito - si crea il terreno adatto per una protesta generalizzata. È necessario - ha concluso - che questa riforma, che è la prima nel suo genere in Europa, non resti però inapplicata".

Sulla complessità del pianeta carcere si è soffermato poi Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio e membro del comitato direttivo del Forum nazionale. "Il 40% dei detenuti non sono italiani - ha detto -. Vi è un aumento delle nazionalità presenti, con conseguente aumento delle religioni e delle diete.

In un carcere del Lazio a un certo punto erano presenti 150 diverse nazionalità, e questo comporta una convivenza e una gestione del carcere difficilissima". Quanto al problema della salute, Marroni ha precisato: "L’affollamento produce contagio e la malattia più contagiosa è la Tbc, ma bisogna fare i conti anche con il disagio psichico che riguarda soprattutto i nuovi giunti".

Giustizia: solo 37 detenuti su 100 godono di una buona salute

 

Redattore Sociale - Dire, 9 marzo 2009

 

Lancia l’allarme il Forum nazionale per il diritto alla salute in carcere: dito puntato contro le lentezze dell’applicazione della riforma sul passaggio della competenza al Ssn. Detenuti a quota 60.320.

"La salute dei detenuti non può attendere": con questo slogan il Forum nazionale per il diritto della salute in carcere ha voluto lanciare l’allarme sulla condizione sanitaria dei detenuti in Italia. E lo ha fatto fa puntando il dito sulle promesse mancate della riforma che ha sancito, a partire dallo scorso 1 ottobre, il passaggio della competenza sulla salute penitenziaria dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale. "Ci auguriamo che la riforma stabilita con atto del 1 aprile 2008 possa andare in porto garantendo il pieno diritto alla salute dei detenuti - ha dichiarato Leda Colombini, presidente del Forum nazionale, aprendo la conferenza stampa convocata questa mattina a Roma presso la Camera dei deputati. "La situazione è molto critica, per non dire grave" ha proseguito Colombini, sottolineando come le carenze che si sono verificate nel corso di questo passaggio di competenze alle Regioni mettano in forse lo stesso cammino della riforma.

"I dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aggiornati a ieri - ha proseguito - parlano di 60.320 detenuti presenti nelle carceri italiane, il che significa che è stato superato il tetto raggiunto al momento dell’indulto". Inoltre i nuovi ingressi sono circa mille al mese, mentre solo il 40% dei reclusi ha avuto una condanna definitiva. A ciò va aggiunta "la forte carenza di personale con il rischio di non poter rispondere alle esigenze di salute e di governo delle carceri". Un punto particolarmente drammatico, quest’ultimo, sul piano della sicurezza, mentre l’idea del governo di costruire nuove strutture carcerarie non cambierebbe nulla anche perché "in Italia ce ne sono una decina già costruite che non vengono aperte per carenza di personale".

A questa mancanza si aggiungono quelle specifica dell’area salute. "Nell’arco di tempo in cui avrebbe dovuto procedere la realizzazione della riforma, ovvero tra il 2000 e il 2008 - ha continuato la presidente del Forum - i morti sono stati 2.329", comprendendo in questa cifra i molti che hanno contratto la malattia in carcere anche se poi sono deceduti in ospedale.

"I suicidi sono stati invece 481, compresi anche in questo caso coloro che sono morti in ospedale. Mentre sono in continuo aumento l’Hiv, i problemi della masticazione e le malattie neonatali, e si è riaffacciata con serietà la questione della tubercolosi". Insomma, "la salute del carcere riguarda anche chi è fuori, soprattutto tenendo presente che vi è un turnover è molto alto: dal 2004-2005, infatti, sono state 117 mila visite di primo ingresso". Infine "su 100 persone in carcere solo 37 si trovano in stato di buona salute, il 50% è in condizione di discreta salute (comprendendo in questa percentuale anche chi è colpito da malattie) e il 13% ha patologie gravi".

Giustizia: aspettando il piano-carceri turni per alzarsi da brande 

di Dino Martirano

 

Corriere della Sera, 9 marzo 2009

 

Nelle celle da 13 metri quadrati del carcere di Latina ora si dorme in 6 perché tutti i giorni arrivano gli "sfollati" da Regina Coeli ormai satura fino al soffitto. Così l’emergenza sovraffollamento, che sta investendo le carceri "circondariali" costruite nell’Ottocento nelle grandi città, ora viene scaricata in provincia con operazioni di "sfollamento " che costano il doppio perché poi i detenuti vanno tradotti ai processi.

A San Vittore (Milano), a Marassi (Genova), a Regina Coeli (Roma) e a Poggioreale (Napoli) è ormai prassi montare la terza branda sui letti a castello: a Marassi, chi dorme in alto ha praticamente il naso schiacciato contro la volta. Meglio comunque dei nuovi giunti ai quali, nelle giornate nere, viene dato un materassino da stendere sul pavimento.

Nel VI raggio di San Vittore, non ristrutturato, nelle celle da 5 si convive in 8 e i detenuti devono fare a turno per stare in piedi. Dalle "stanze" sono stati tolti i tavolini per fare spazio (per mangiare si usa un pezzo di cartone appoggiato a un secchio) e le mensole per gli oggetti hanno la profondità di un pacchetto di sigarette. Con il sovraffollamento sparisce il "trattamento": si diradano i colloqui con gli educatori, i posti di lavoro (spesini, manutenzione) vengono centellinati, i medici fanno fatica a stare dietro a tutti.

Nella prima settimana di marzo, le presenze registrate nei 206 istituti dell’amministrazione penitenziaria hanno sfiorato quota 60.500, confermando l’incremento di 800 unità al mese: così per tornare alla fotografia pre-indulto, 61.500 detenuti, mancano pochi giorni. Chi sta peggio sono i detenuti in attesa di giudizio (circa 30 mila) che in buona parte sono stranieri. A San Vittore può succedere che le presenze siano anche 1.400 (capienza di 800 posti) e a poco è servito il recente allarme del presidente della Corte d’Appello, Giuseppe Grechi: se "in un a cella ci sono 8 detenuti quando ce ne dovrebbero essere 3" si finisce per "esercitare la tortura a pochi passi dal Duomo".

Ma queste sono "parole inaccettabili...", ha poi commentato l’ex procuratore antiterrorismo Franco Ionta che dall’estate 2008 è il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). E proprio il capo del Dap, che dal 2 marzo è anche commissario straordinario per l’emergenza, deve preparare entro il 2 maggio il piano per la costruzione di nuove carceri voluto dal Guardasigilli Angelino Alfano.

Sessanta giorni per decidere se costruire nuove sezioni accanto ai penitenziari esistenti o nuovi istituti, per la cui realizzazione però ci vuole tempo. Il Dap ha già inviato al ministero uno "schema di penitenziario tipo per 400 posti detentivi ad aggregazione radiale". Però, spiega al Corriere Ionta, "decideremo caso per caso..., ma è chiaro che con più penale c’è bisogno di più carcere".

Il piano stima 13 mila posti in più entro il 2012, ma "gli interventi in corso con fine lavori nel biennio 2009-2010" prevedono 4.907 posti in più. Il 13 febbraio, il capo del Dipartimento ha però sollecitato "talune modifiche" legislative, chiedendo al ministro di utilizzare "professionalità esterne" mentre il governo parla di dirigenti generali dello Stato e di prefetti in pensione.

"Particolare rilievo", scrive inoltre Ionta, "va dato alla mancata previsione di corresponsione di compensi sia al Capo del Dipartimento che ai suoi ausiliari nonché ai tecnici coinvolti nel progetto. Per tale verso appare opportuna una norma che stabilisca i criteri per la corresponsione di tali compensi.

Giustizia: mancano i soldi per le espulsioni di stranieri detenuti

 

L’Espresso, 9 marzo 2009

 

Taal doveva tornare nel suo Paese a novembre ma è ancora a Pagliarelli Taal Momodou non mangia da quattro giorni, ha iniziato lo sciopero della fame per protesta. Sta male, la sua salute già precaria è appesa ad un filo. Momodou, 46 anni, ha scontato una pena per droga. Così come prevede la legge Boss-Fini, anziché rimanere a Pagliarelli altri due anni, già a novembre avrebbe dovuto far rientro in Gambia, il suo Paese.

La disposizione del magistrato di sorveglianza però rimane lettera morta. E l’espulsione inefficace. Momodou rimane in cella. La questura, infatti, non è in condizione di provvedere: è a corto di soldi, di uomini e ha anche contratto un debito con l’Alitalia di 100 mila euro.

I volontari del carcere hanno avvertito il suo avvocato ma nonostante un "fax urgentissimo", spedito ancora una volta dalla casa circondariale alla questura lo scorso 20 gennaio, Taal resta dov’è. A sollevare il caso è il Siulp che punta l’indice sui tagli sul comparto sicurezza decisi dal governo.

"Palermo - dice Vittorio Costantini, segretario generale del Siulp - è una delle poche città dove si stanno verificando questi deplorevoli ritardi sui rimpatri. Quest’anno sono stati destinati solo 400 mila euro per tutte le missioni della nostra questura, comprese quelle dell’ufficio Immigrazione a fronte di uno stanziamento nel 2008 di oltre due milioni.

Senza dimenticare che fino al 28 febbraio sono già stati spesi 250 mila euro e 1,8 milioni di euro sono da rimborsare a poliziotti che hanno anticipato le somme per le missioni di tasca loro". A condividere il destino di Taal ci sono almeno altri dieci detenuti che hanno ottenuto dal magistrato di sorveglianza il provvedimento di espulsione. E altri venti sono in attesa. Fattimir Rrasa è un albanese che da due mesi, assieme ad un suo connazionale, aspetta di lasciare Pagliarelli per il suo Paese. Ad assisterli è l’avvocatessa Anna Bonfiglio Calamia: "È una situazione inaccettabile, disumana".

Tra gli altri immigrati in attesa di espulsione ci sono anche i "pericolosi" che, sempre secondo la legge, dovrebbero lasciare l’Italia subito dopo avere scontato la pena. Ma anche in questo caso la misura rimane inefficace per mancanza di fondi. E così questi immigrati rimangono liberi, sparendo in fretta da Palermo, "in modo - assicura Costantini - da non essere più identificati".

C’è un terzo punto nella legge Bossi-Fini, l’espulsione amministrativa, anche questa di pertinenza del questore. Quando non è possibile eseguire con immediatezza il rimpatrio, lo straniero viene trattenuto, per un massimo di 60 giorni, in un Centro di permanenza temporanea. Poi, il clandestino ha 5 giorni per lasciare il territorio. "Accade il contrario, ovviamente - denuncia ancora Costantini - L’immigrato rimane nella nostra Isola, e anche in questo caso poi si trasferisce in altre città".

Eiru Beki, donna del Ghana di 26 anni, è una clandestina. Per lei, all’ufficio di gabinetto della questura è arrivato un fax, anche questo urgentissimo. Disponeva che due dipendenti la accompagnassero al Centro identificativo espulsivo di Roma - Ponte Galeria. Ma la risposta è stata laconica: "Non risulta possibile effettuare suddetto servizio per mancanza di personale". Eiru, molto probabilmente, adesso non si trova nemmeno più in città.

Non va meglio guardando alle procedure per i permessi di soggiorno, di solito rilasciati in venti giorni. "È accaduto che a causa della mancanza di personale - rivela ancora il segretario generale del Siulp - un permesso sia arrivato dopo due anni, quando già era in scadenza". Costantini ne fa una questione generale: "Sarebbe meglio trasferire le competenze sui permessi al ministero degli Esteri, lasciando i poliziotti ai loro compiti".

Giustizia: i danni di una informazione razzistica e xenofobica

di Sergio D’Elia (Segretario dell'Associazione "Nessuno Tocchi Caino)

 

Articolo 21, 9 marzo 2009

 

I due rumeni accusati di violenza sessuale nel parco della Caffarella e poi scagionati dal test del Dna, non sono solo vittima di un errore giudiziario, sono anche e soprattutto vittima di un clima di xenofobia che è sempre più dilagante nel nostro Paese, e che è all’origine anche di quell’errore. L’informazione è la prima responsabile della diffusione di questo clima.

L’agenda setting non è teoria da relegare nel mondo accademico per i cultori di sociologia della comunicazione, è prassi quotidiana - e da decenni - di direttori di giornali e telegiornali che decidono la composizione dell’agenda politica e dei temi cosiddetti di attualità.

Che abbiano agito in buona o cattiva fede, che abbiano dettato o si siano fatti dettare la questione "stupri" e il caso "stupratori rumeni" come tema dominante l’attualità politica di queste settimane, non cambia molto. Quando si dice "stampa di regime", non significa solo che è prona al regime, significa anche che alimenta un regime. Il regime della paura.

Il meccanismo della paura, quanto perverso, "funziona" sempre: si destabilizza per stabilizzare; si creano "emergenze" e poi ci si candida a governarle; si crea allarme nell’opinione pubblica e, quindi, si alimenta il macchinario emergenzialista di leggi speciali e apparati di sicurezza. Non si considera però che quando si semina vento si raccoglie tempesta: si entra in una spirale di misure repressive e procedure illegali, di giustizia sommaria e giustizia "fai da te", di ronde e linciaggi, che portano a un degrado ulteriore e, forse, irreversibile dello Stato di diritto. Che travolge tutto e tutti.

Nell’anno dopo l’indulto, i reati non aumentarono in maniera significativa, però le notizie di morti ammazzati e violenze di ogni genere diffuse dai telegiornali triplicarono. Come ha rilevato uno studio del Centro d’Ascolto radicale sulla informazione radiotelevisiva, dieci minuti di ogni telegiornale furono mediamente dedicati a questa informazione mortifera. Di nuovo, oggi, l’"emergenza stupri" non trova riscontro nei dati statistici.

Anzi, è un dato di fatto che il numero degli stupri nel nostro Paese è diminuito dell’8 per cento nel 2008 rispetto all’anno precedente. Lo ha reso noto lo stesso Governo, paradossalmente, nella stessa seduta in cui ha emanato un decreto d’emergenza contro gli stupri, la cui necessità e urgenza era solo quella di rispondere a un’opinione pubblica allarmata. Allarmata da che?

Evidentemente, non dall’aumento in assoluto che non c’era delle notizie giudiziarie di reato, ma dalle notizie di cronaca relative a questo tipo di reati improvvisamente proliferate. Relative, in particolare, non agli stupri considerati di serie B, quelli "made in Italy", ma a quelli di serie A, di importazione rumena, contro i quali sono scattate subito misure "protezionistiche".

Se la questione stupri fosse stata dai media trattata seriamente e tenendo conto della realtà, in base alla quale oltre il 70 per cento delle violenze nei confronti delle donne accade in ambito familiare o nella cerchia di conoscenti, il governo avrebbe, forse, agito di conseguenza. Invece no, per la stampa italiana, il problema è lo straniero, è costituito da alcune decine di rumeni violentatori.

Nessuna inchiesta, nessun articolo sulle migliaia di italianissimi coniugi, conviventi e colleghi violentatori di donne italiane, e non solo. Da questo punto di vista, sarebbe da chiedersi: chi è lo "straniero", per le donne e alla vita civile del nostro Paese, che dovrebbe essere espulso dall’Italia?

Siccome quel che conta non è tanto la realtà, ma come si usa dire: la "percezione" della realtà, l’importante non è dare risposte adeguate alla gravità e profondità del problema, ma dare un segnale. Ecco, quindi, dopo l’ennesimo fatto di cronaca, l’ennesimo decreto-manifesto del Governo. Un altro segnale di fumo negli occhi dell’opinione pubblica.

Bene ha fatto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, a definire odiosa l’uguaglianza tra straniero e criminale e a ribadire che la responsabilità penale di uno non si può trasferire all’etnia di appartenenza. Anche perché è un dato di fatto che i detenuti rumeni alla fine del 2006 erano 1.650 e oggi sono 2.729, cioè lo 0,27 per cento di quell’oltre un milione di romeni che vivono e lavorano in Italia, arrivati in gran numero soprattutto dopo il primo gennaio 2007 con l’entrata di Bucarest nella Ue. Anche se i delinquenti rumeni figurano in cima alla lista degli stranieri accusati di stupro, la paura in atto nei confronti del "rumeno" va ben oltre il semplice dato statistico della criminalità.

Si può di-spiegare solo con la potenza di fuoco del messaggio che è stato diffuso: c’è l’emergenza stupri e il colpevole è rumeno. Tant’è che anche quando si tratta di persone innocenti si fanno titoli come "presi i romeni sbagliati".

Resta l’impostazione razzistica e xenofobica di un’informazione che procura danni anche all’amministrazione della giustizia. Gli organi preposti ad affrontare questi fenomeni sono condizionati da questo tipo di condanna preventiva, sommaria ed extra-giudiziaria. L’emergenza mediatica porta a fare operazioni sbagliate dal punto di vista investigativo e giudiziario, perché si tratta di trovare subito un colpevole purché sia.

Ora, anche se i due rumeni della Caffarella sono stati scagionati dai test del Dna, sarà difficile che da questa vicenda escano del tutto innocenti. Non solo perché, comunque vada, il marchio di infamia e di colpevolezza con cui sono stati bollati rischia di essere indelebile, ma anche perché gli inquirenti difficilmente abbandonano radicalmente una tesi accusatoria. "Uno di loro ha confessato", argomentano. Perché avrebbe dovuto farlo? Che quella confessione sia dovuta a qualche forma di pressione non è concepibile. In Italia queste cose non si fanno. Il nostro è il Paese delle meraviglie, e noi siamo tutti come Alice.

Giustizia: Fini; stupro è un’emergenza, no connotazione etnica

 

Corriere della Sera, 9 marzo 2009

 

"La violenza sulle donne è da un lato una piaga sociale e dall’altro una vera e propria emergenza civile" ma "non ci può essere una connotazione etnica dietro lo stupro": lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenendo alla manifestazione per l’8 Marzo al teatro Brancaccio di Roma. Fini ha sottolineato l’esigenza di una "convergenza bipartisan" che deve essere "un valore aggiunto della politica su questioni che attengono la dignità della persona". E poi, echeggiando le parole dette ieri dal capo dello Stato, ha esortato a non dare connotazioni etniche agli episodi di stupro: "È giusto - ha spiegato Fini - titolare "donna stuprata da romeno", ma bisogna fare lo stesso quando a commettere la violenza è un italiano".

"Non bastano nuove leggi" - "Per un impegno corale delle istituzioni contro la violenza sulle donne non possiamo concentrarci solo su nuove leggi", "non possiamo limitarci a una stretta repressiva, che pure è utile, ma occorre avere più attenzione per la violenza quotidiana e silenziosa, quella che avviene tra le mura domestiche e che provoca ferite ma anche un grande senso di ingiustizia": ha aggiunto Fini.

Occorre, ha sottolineato il presidente, "mobilitare le coscienze, senza distinzioni politiche: ci si può dividere sulla bontà di un singolo provvedimento, non nel momento in cui si lancia una mobilitazione delle coscienze". Mobilitazione che, secondo Fini, deve riguardare "innanzitutto chi ha la responsabilità di educare i giovani". Occorre, ha detto ancora, "far sentire alla donna che il suo grido di dolore viene ascoltato". Bisogna dunque, secondo il presidente della Camera, occuparsi della violenza quotidiana, e per fare questo serve "un’azione culturale e l’impegno di tutti, ma anche l’impegno degli opinion leader": Fini ha invitato a "porre maggiore attenzione ai messaggi distorti", a quelli che comunicano uno scarso rispetto nei confronti della donna e del suo corpo.

Giustizia: stupro Caffarella; Riesame si riserva sui due romeni

 

Il Tempo, 9 marzo 2009

 

Il Tribunale del Riesame di Roma si è riservato la decisione sulle istanze di scarcerazione presentate dai difensori dei due romeni. Alexandru Isztoika Loyos e di Karol Racz sono accusati dello stupro avvenuto nel parco della Caffarella. La decisione sarà emessa entro domani. Intanto il pm Vincenzo Barba ha chiesto il mantenimento in carcere dei due indagati ritenendoli responsabili dell'aggressione o, in subordine "concorrenti morali nella violenza sessuale da parte di altri".

I legali dei due romeni, rispettivamente Giancarlo Di Rosa e Lorenzo La Marca, si augurano che, riserva a parte, il giudizio possa essere reso rapidamente dal collegio vista, a loro giudizio, "l’evidenza" delle prove a discarico.

Secondo la tesi delle difese la "prova regina" della estraneità dei due romeni ai fatti che vengono loro contestati - ovvero l’esito negativo, confermato anche da una seconda analisi, emerso della comparazione del Dna degli accusati con quello trovato sui reperti analizzati (cicche di sigarette, fazzolettini e altre evidenze trovate dalla polizia scientifica alla Caffarella) e sui residui biologici repertati sulla vittima della violenza - dovrebbe convincere senza alcuna riserva il giudice terzo, ovvero il collegio del Riesame, a scarcerare i due romeni. Ciò a prescindere dai sospetti e dalle ricognizioni fatti in sede di confronto tra presunti carnefici e le vittime.

Comunque vada domani l’udienza, e l’esito conseguente, uno dei due arrestati - sono entrambi in carcere a Regina Coeli - resterà dietro le sbarre. Si tratta di Karol Racz, chiamato in causa da Loyos sulla vicenda della Caffarella, raggiunto nei giorni scorsi da una seconda ordinanza di custodia cautelare in carcere chiesta dal pm Nicola Maiorano che indaga sulla violenza di Primavalle. Secondo l’accusa Racz era uno dei due incappucciati che stuprarono la donna di 41 anni ad una fermata del bus in Via Andersen, alla fine di gennaio. Un’accusa, anche in questo caso, suffragata da un riconoscimento "dubbio" fatto dalla vittima che dopo il confronto in varie interviste, l’ultima ad Anno Zero, espresse dubbi e insicurezze.

L’accusa per lo stupro della Caffarella, affidata al pm Vincenzo Barba, domani quasi sicuramente ribadirà in sede di Riesame il propri convincimento e quindi si opporrà alla scarcerazione anche se tra le carte depositate ai giudici del Tribunale della Libertà c’è anche la consulenza sul Dna.

Il pm Barba insisterà sul controverso ruolo di Loyos. Il biondino, dopo una prima confessione poi ritrattata e dopo le polemiche su presunte percosse subite, per la verità non confermate dal video che ha registrato l’interrogatorio, secondo la procura era a conoscenza di molti particolari sull’aggressione del 14 febbraio anche se ripete da giorni che nel pomeriggio di San Valentino non era alla Caffarella e ha citato numerosi testimoni a suffragio. L’ultima parola passa domani al Riesame.

Intanto la squadra mobile di Roma è in trasferta in Romania dove si cercano cinque pastori rom parenti di un detenuto romeno in carcere per violenza sessuale ma estraneo allo stupro nel parco romano. I cinque hanno una compatibilità genetica con il detenuto, che ha lo stesso cromosoma Y isolato dalla polizia scientifica sui reperti biologici trovati alla Caffarella.

Giustizia: il cantiere per la riforma dei processi si mette in moto

di Giovanni Negri

 

Il Sole 24 Ore, 9 marzo 2009

 

Con velocità e modalità diverse ma con uno stesso obiettivo: 6 anni di durata massima. Governo e maggioranza hanno messo in campo nelle ultime settimane una pluralità di interventi sui processi con l’obiettivo di accelerarne i tempi e ricondurli a una durata standard di 6 anni (3 per il primo grado, 2 per l’appello e 1 per la Cassazione) già determinata dalle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo che più volta ha già condannato l’Italia per il mancato rispetto di questi paletti.

Ora il limite massimo dei 6 anni per lo svolgimento è stato formalizzato per la prima volta, nell’ambito del disegno di legge di revisione della procedura penale. Secondo i dati 2006 del Consiglio d’Europa in Italia il numero delle controversie civili arenate davanti ai tribunali di primo grado erano 3.687.965, ritardi che hanno visto esplodere, ed è altra emergenza, i risarcimenti ai cittadini per i danni subito a causa della lentezza dell’amministrazione della giustizia: 120 milioni dal 2002 al 2008). Il progetto, in forme diverse, investe un po’ tutti i settori processuali, dal penale al civile, dall’amministrativo al tributario, passando per il lavoro. Segnali di inversione di tendenza sono attesi soprattutto dal disegno di legge del processo civile approvato dal Senato mercoledì e ora in discussione alla Camera per un approvazione finale entro l’estate, e che prevede un pacchetto di misure destinato a incidere da subito sul processo.

A partire dalle questioni di competenza che non potranno essere più sollevate in tutte le fasi processuali, ma verranno risolte, una volta per sempre, all’avvio del procedimento. Lo svolgimento del processo sarà poi contrassegnato dalla possibilità di scelta delle parti che avranno a disposizione, per le cause di competenza del giudice unico, l’alternativa rispetto al rito ordinario, di un procedimento sommario caratterizzato da tempi più brevi, senza però che il diritto alla difesa e al contraddittorio vengano compromessi.

Il procedimento è destinato a concludersi con un’ordinanza che, se non appellata, è destinata ad assumere fora di sentenza. Le modifiche del rito ordinario sono poi indirizzate a sanzionare processualmente le parti che hanno adottato condotte dilatorie, a ricondurre a 3 mesi i termini per la riassunzione quando il processo, per qualche ragione, si è interrotto, a imporre alle parti una contestazione puntuale e tempestiva dei fatti. Perché, in caso contrario, la sentenza dovrà tenere conto proprio di quei fatti che non sono stati oggetti di obiezione. La stessa sentenza, potrà essere pronunciata in forma sintetica, rifacendosi magari a precedenti conformi, con l solo riferimento ai punti di fatto e di diritto determinanti.

Per agevolare le testimonianze, il disegno di legge ammette che le dichiarazioni siano rese anche in forma scritta, su un modulo specifico, ma le parti dovranno essere d’accordo. I termini di impugnazione dovranno essere abbreviati, mentre, per alleggerire i carichi di lavoro della Cassazione, viene introdotto un filtro per misurare l’ammissibilità sulla base di criteri come la novità della questione sottoposta alla Corte, la fondatezza della violazione dei principi del giusto processo, un contrasto di giurisprudenza.

 

Crescono i diritti della difesa

 

Più spazio alle prove a discarico, l’accompagnamento forzato dei testimoni a favore, concessione di un termine a difesa quando l’avvocato titolare è sostituito da quello d’ufficio. Il disegno di legge sul processo penale approvato dal Consiglio dei ministri il 6 febbraio scorso mira a rafforzare i diritti della difesa.

Un segno rintracciabile sin dalla prima disposizione che modifica, ampliandola, la competenza della Corte d’assise. Al collegio, che offre maggiori garanzie anche per l’imputato, saranno infatti devoluti non solo i reati gravissimi, per il quale il Codice penale prevede pene superiori ai 24 anni, ma anche altri crimini come il sequestro di persona.

Parallelamente, anche se si procede con il giudizio abbreviato, per quei reati a decidere sarà comunque la Corte d’Assise. Di sicuro le norme che strizzano l’occhio alle richieste dell’avvocatura sono quelle che danno nuova linfa alle indagini difensive e consentono di rimpolpare il bagaglio di prove a discarico. Così, quando la persona "in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa" non si presenta senza giustificazioni, sarà il giudice, su input dell’avvocato, a disporre l’accompagnamento coattivo.

E nel frattempo l’imputato guadagna il diritto a ottenere l’ingresso nel procedimento di qualunque prova a suo favore, con l’esclusione di quelle vietate o manifestatamente irrilevanti. Vale la pena sottolineare che, nella norma modificata, viene specificato che l’imputato ha diritto all’interrogatorio o ad esempio all’esame dei testimoni "nelle stesse condizioni del pubblico ministero".

Sul principio del giusto processo va segnalata anche l’altra norma che interviene sugli arredi dei Tribuna e che impone, nelle aule di udienza, che i banchi riservati "alle parti" siano posti allo stesso livello di fronte al giudice. La disposizione sembrerebbe estendere alle parti civili i diritti di posizione già riservati a difesa e imputato.

Che oggi, infatti siedono sullo stesso livello dell’accusa. La vera novità, dunque, par emergere dal titolo della nuova disposizione, "aula di udienza" anziché "aula di udienza dibattimentale". In sostanza, la parità di altezza rispetto al giudice va garantita in tutte le sedi di udienza, non solo quelle dibattimentali.

Campania: 7.300 detenuti, 2mila in più dei posti regolamentari

 

Ansa, 9 marzo 2009

 

Un sistema penitenziario con oltre 2.000 detenuti rispetto la capienza regolamentare e al limite della crisi. È il quadro descritto dalle Associazioni Antigone Campania e la Mansarda Onlus, impegnate nel monitoraggio delle condizioni della detenzione nella regione.

Secondo i dati resi noti oggi nel mese di gennaio 2009 si è registrata la presenza di 7.378 detenuti - 7.060 uomini e 318 donne. Ci sono, quindi oltre 2.000 detenuti rispetto alla capienza. La capienza ufficiale complessiva è di 5.328 posti (5.117 per uomini e 211 per le donne).

"Abbiamo superato i numeri precedenti all’indulto hanno dichiarato Samuele Ciambriello e Dario Stefano Dell’Aquila, rispettivamente presidente de la Mansarda e di Antigone Campania. Nel 2005 erano presenti 7.310 detenuti (7.034 uomini e 276 donne). Nel 2006, con l’indulto, i detenuti erano diventati 5.312 (5.155 uomini e 219 donne).

Poi di nuovo un aumento. Nel 2007 avevamo 6.164 detenuti (5945 uomini e 219 donne), nel 2008 6.934 (6.663 uomini e 271 donne). Sono cifre che parlano da sole". Il caso limite, secondo le associazioni, è rappresentato da Poggioreale con 2.544 detenuti presenti su una capienza di 1.387. Oltre 1.000 in più (1.157) Complessivamente ben 4.351 detenuti (su 7.378) sono in attesa di una sentenza definitiva. Circa il 20% della popolazione detenuta è tossicodipendente ma solo il 4,1% è in trattamento metadonico.

"Si registrano - denunciano preoccupati Ciambriello e Dell’Aquila - segnali di crisi. Nel corso del 2008 si sono verificati 5 suicidi, 14 decessi per cause naturali, 42 tentati suicidi e 255 atti di autolesionismo. Nel 2009 abbiamo registrato già 2 suicidi. L’ultimo un settimana fa nel carcere di Avellino. Questa situazione genera difficoltà per le persone detenute ma anche per il personale penitenziario civile e per gli agenti di polizia penitenziaria.

Permane poi una forte criticità nel rapporto tra educatori e detenuti, che è pari a circa 1 a 200. Questa è una situazione molto seria - concludono i rappresentanti del mondo associativo - che andrà ad aggravarsi in assenza di una strategia di intervento da parte del governo e se verranno approvati le proposte di legge che vanno a criminalizzare gli immigrati, regolari e non. Nell’immediato ci sono solo due azioni che potrebbero contribuire ad alleviare questo stato di cose.

Da un lato è necessario immettere nuove risorse e personale negli istituti di pena, dall’altro estendere la possibilità di ricorrere a misure alternative alla detenzione. Se ciò non avviene e se si prosegue con scelte demagogiche in materia di sicurezza si rischia di mettere in crisi tutto il sistema penitenziario e di creare condizioni di invivibilità in tutti i penitenziari campani e italiani".

Foggia: 25enne si impicca in cella, era detenuto per "oltraggio"

 

Ansa, 9 marzo 2009

 

Un detenuto 25enne di Bisceglie, Leonardo Di Modugno, è stato trovato impiccato ieri sera nella sua cella. Il giovane fu arrestato dai carabinieri di Bisceglie a fine marzo dello scorso anno con l’accusa di resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale. Sarà da accertare soprattutto come il detenuto sia riuscito a compiere l’insano gesto eludendo i controlli degli agenti. Secondo la polizia penitenziaria il ragazzo era seguito da uno psichiatra.

Cagliari: detenuto sieropositivo, è morto per broncopolmonite

 

La Nuova Sardegna, 9 marzo 2009

 

Non sembra esserci alcun mistero dietro la morte di Giancarlo Monni (35 anni), detenuto a Buoncammino e deceduto all’ospedale Brotzu per un attacco di broncopolmonite. Il sostituto procuratore Andrea Massidda ha disposto l’autopsia, che è stata eseguita in queste ore. L’esito - la relazione ufficiale sarà consegnata al magistrato tra circa un mese - confermerebbe la diagnosi indicata nella cartella clinica del centro medico di Buoncammino e quella dell’ospedale. Monni era sieropositivo e stava male da circa una settimana. Tra lunedì e giovedì scorsi i medici del carcere gli hanno proposto una terapia antibiotica, che il detenuto ha rifiutato sostenendo di essere allergico a quel tipo di farmaci.

Col passare dei giorni le sue condizioni si sono aggravate, da qui la decisione di chiedere alla direzione del penitenziario il trasferimento in ospedale per un esame radiologico e altri test. Nella cartella del carcere risulta un sospetto di broncopolmonite, che al Brotzu avrebbe trovato pieno riscontro.

Giancarlo Monni è poi deceduto in ospedale e avantieri i gruppi ultrà del Cagliari - cui apparteneva da lungo tempo - hanno protestato duramente davanti al carcere. Urla, insulti alla polizia, le mura di Buoncammino imbrattate con vernice spray. È intervenuta la squadra mobile, poi la Digos e sono in corso accertamenti sull’identità dei manifestanti. L’inchiesta giudiziaria sulla morte di Monni, aperta come atto dovuto, si concluderà soltanto quando gli esiti dell’autopsia confermeranno che quanto era possibile per salvare la vita al detenuto è stato fatto.

Modena: arrestati 2 agenti, "favorivano" i camorristi detenuti

 

Il Resto del Carlino, 9 marzo 2009

 

I detenuti affiliati alla camorra erano riusciti a corrompere due guardie carcerarie, che ora sono in stato di fermo. Grazie a loro si scambiavano informazioni con altri membri dell’organizzazione malavitosa e mandavano avanti la gestione di due sale da gioco clandestine in provincia.

Cinque provvedimenti di fermo - tra cui due agenti della polizia penitenziaria del carcere Sant’Anna di Modena - e nove indagati a piede libero: è il risultato dell’operazione anticrimine denominata Medusa con cui si è cercato di arginare il fenomeno delle infiltrazioni camorristiche nel modenese. L’operazione, avviata alla fine del 2007, è stata condotta dalla polizia di Modena insieme alla Dda di Bologna e ad altri operatori del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Nucleo Investigativo Centrale e Casa Circondariale di Modena. L’indagine ha portato a riscontrare l’effettiva infiltrazione di esponenti del clan dei Casalesi, oltre che nelle tradizionali attività estorsive, anche nell’apparato amministrativo attraverso la gestione di circoli privati.

In particolare alcuni esponenti del clan, detenuti nella Casa Circondariale di Modena in regime di Alta Sicurezza, con la compiacenza di due operatori della Polizia Penitenziaria di Modena riuscivano a impartire ordini e direttive ad altri soggetti affiliati al clan dei Casalesi, sia per mantenere i contatti con l’esterno (con la provincia di Modena e con altri centri dell’Agro Aversano), sia per la gestione di due circoli privati in provincia di Modena.

L’attività investigativa è nata proprio dalla necessità di stroncare il flusso di informazioni riservate che alcuni detenuti del Sant’Anna riuscivano inspiegabilmente ad acquisire nonostante fossero ristretti in regime di Alta Sicurezza. Attraverso l’installazione di microspie, soprattutto all’interno del carcere, gli inquirenti hanno quindi raccolto elementi che davano riscontro sia ai servizi di osservazione a distanza sia ai documenti acquisiti.

Dalle registrazioni è emerso un quadro piuttosto chiaro: alcuni dei detenuti, infatti, si vantavano espressamente di essere affiliati al clan dei Casalesi. Ma soprattutto è emerso il tentativo, da parte degli appartenenti al clan, di avvicinare i vertici della struttura penitenziaria e in particolare il Magistrato di Sorveglianza di Modena.

Il loro interesse era diretto in particolare al Direttore della casa Circondariale e ai responsabili sanitari dai quali cercavano di ottenere diagnosi di patologie invalidanti incompatibili con il regime carcerario.

Ma soprattutto dalle registrazioni è emerso che i camorristi minacciavano il Magistrato di Sorveglianza, colpevole di non essersi piegato alle richieste dei Casalesi, essendosi rifiutato di concedere loro dei permessi premio. Queste le frasi che i casalesi avevano diretto contro il Magistrato di Sorveglianza: "non ne vuole sapere proprio dei casalesi... eppure lo dobbiamo buttare con la testa sotto, quello lo deve capire… deve passare quel guaio deve passare quello". Pertanto, per garantire l’incolumità fisica del Magistrato di Sorveglianza, il Comitato Provinciale Ordine e Sicurezza Pubblica di Modena ha attivato a ottobre 2008 un servizio di vigilanza tuttora valido nei suoi confronti.

Sempre per garantirsi la possibilità di comunicare con l’esterno, i casalesi detenuti in carcere erano riusciti a corrompere due agenti del corpo di polizia penitenziaria: I due sono individuati ad hoc dai camorristi anche in virtù delle comune provenienza geografica. Le guardie hanno quindi agevolato e favorito i detenuti, avviando un canale privilegiato grazie al quale passavano oggetti e informazioni riservate.

Persone mai autorizzate dall’Autorità competente accedevano quindi tranquillamente all’interno della struttura penitenziaria ed erano ammessi a colloquio con i detenuti che, con questo sistema, potevano senza alcuna difficoltà dettare le regole ai soggetti esterni attraverso messaggi ed "ambasciate". Le due guardie avevano persino informato i detenuti di essere "sotto osservazione" e quindi della possibilità di essere intercettati sia nella corrispondenza sia nelle celle e negli spazi comuni della struttura, mettendo in serio pericolo - con questa rivelazione sulle indagini in corso - l’incolumità dei loro colleghi.

Dalle ulteriori indagini svolte è venuto alla luce anche il fatto che i camorristi detenuti al Sant’Anna erano direttamente collegati a componenti del clan residenti nel modenese, che gestivano due circoli privati in provincia: il Royal a Castelfranco Emilia e il Matrix II a Carpi. Uno dei due agenti corrotti era stato ripagato dei favori resi proprio con la partecipazione alle quote di uno dei due circoli. E proprio a partire da questo dato gli inquirenti hanno cominciato a indagare sulla gestione dei due locali: dietro la maschera di circoli privati si nascondevano, di fatto, due grosse sale da gioco clandestine. Al loro interno, infatti, sono state trovate postazioni da gioco per il videopoker e il poker online, oltre alla tradizionale roulette.

In particolare i videopoker erano di nuovissima generazione e predisposti in modo tale da poter essere convertiti, con un semplice telecomando azionato dal gestore, in normali videogiochi. Il sistema di protezione era talmente evoluto che la macchina si ritrasformava automaticamente in videogioco, nel caso in cui il giocatore non avesse toccato alcun tasto per sette secondi consecutivi (in caso di blitz di polizia). I due circoli facevano guadagnare alla malavita organizzata diverse centinaia di migliaia di euro al mese.

Le fasi conclusive delle indagini hanno portato infine a perquisizioni a carico dei detenuti, effettuate nelle celle, negli altri luoghi da loro frequentati all’interno del carcere e nei luoghi di residenza nei vari centri del paese. Analoghe perquisizioni sono state effettuate anche a carico di tutti gli altri indagati a piede libero.

 

Comunicato stampa del Ministero della Giustizia - Dap

 

L’operazione anticamorra, che alle prime luci dell’alba ha condotto all’esecuzione di 5 provvedimenti di fermo, 5 denuncie in stato di libertà e al sequestro di 2 club adibiti a sale da gioco, è il risultato di circa un anno di indagini svolte congiuntamente dal Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria di Roma e dalla Questura di Modena Squadra Mobile - I Sezione, con la collaborazione del personale di Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale di Modena, su delega della D.D.A di Napoli.

Il procedimento penale, relativo alle attività nel territorio modenese di soggetti riconducibili al c.d. clan dei casalesi, è uno stralcio di più vasta ed articolata indagine promossa dalla Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia - di Napoli.

Intercettazioni ambientali e telefoniche, controlli e pedinamenti nel territorio modenese hanno svelato che alcuni detenuti del carcere Sant’Anna di Modena, organici al clan dei casalesi, grazie all’aiuto di due appartenenti alla Polizia Penitenziaria (M.R. di Carinola e M.N. di Caivano - Na), anch’essi colpiti da provvedimento di fermo, continuassero a gestire attività criminose nel territorio modenese, beneficiando di privilegi all’interno del carcere. Secondo gli investigatori, la specifica funzione dei Pubblici Ufficiali appartenenti alla Polizia Penitenziaria avrebbe favorito i movimenti illeciti dei reclusi appartenenti al "Clan dei Casalesi", sia all’interno del penitenziario che all’esterno, attraverso l’agevolazione di contatti con il sodalizio criminale attivo a Modena.

Un appartenente alla Polizia Penitenziaria avrebbe provveduto, dietro compenso, ad introdurre nel penitenziario generi non consentiti; un altro avrebbe agevolato la fruizione di colloqui visivi di un detenuto ben oltre il limite consentito, dietro compenso e con la promessa di entrare in affari con il detenuto.

Le intercettazioni in carcere hanno inoltre svelato la volontà dei criminali coinvolti di intraprendere azioni ritorsive nei confronti del Magistrato di Sorveglianza di Modena per il diniego da questi espresso circa la concessione di permessi premio. Agli indagati vengono contestati i delitti di corruzione e di frode informatica aggravati dal vincolo associativo, e la contravvenzione di esercizio di giochi d’azzardo.

Belluno: i detenuti protestano per la carenza cronica dei servizi

 

Il Corriere delle Alpi, 9 marzo 2009

 

Sciopero della fame e protesta a suon di pentole e coperchi: in carcere a Baldenich ieri i detenuti hanno fatto sentire così la loro voce per premere contro la carenza cronica di servizi e di assistenza sociale. Continueranno così per due o tre giorni, con un pizzico di solidarietà con chi sta fuori, in libertà, ma non ce la fa a comprarsi da mangiare: i detenuti di Baldenich hanno infatti chiesto e ottenuto che i pasti dell’amministrazione da loro rifiutati in questi giorni siano offerti alla mensa dei poveri gestita dai frati bellunesi.

Una adesione decisiva quella di ieri, primo giorno di sciopero della fame in cella: caffè al mattino e basta, poi piatti e pignatte sono serviti a fare rumore per attrarre l’attenzione dell’opinione pubblica che scorre veloce al di là delle mura di cinta del carcere cittadino. Non è passata inosservata la protesta dei detenuti di Baldenich, perché qualcuno ha raccolto quel rumore che valicava le mura di cinta e le grate chiuse delle celle e ha avvertito gli organi di informazione di quel che stava succedendo.

Intorno alle 16.30-17, le percussioni sono finite: per cosa esprimono il loro malumore i detenuti di Baldenich? Per le croniche carenze dell’istituto di detenzione, simile a quelle di molti altri istituti di pena italiani, tanto è vero che ieri anche in altre città s’è svolta lo stesso tipo di manifestazione.

A cominciare dall’affollamento, poi l’assistenza e i servizi che i detenuti vorrebbero diversa. Una manifestazione che s’è svolta in tutta tranquillità e civiltà, come spiega il direttore Immacolata Mammarella. "I detenuti hanno deciso di manifestare un certo disagio e questo è consentito nei limiti della civiltà, che hanno rispettato: fa parte della maniera di esprimersi, del resto il disagio è incontestabilmente reale.

Quindi hanno rifiutato il vitto dell’amministrazione: su loro richiesta è stato quindi offerto alla mensa dei poveri e in questo modo siamo riusciti a dare una dimensione particolare e significativa a questo disagio che riguarda in generale la situazione detentiva: i problemi sono quelli di sempre.

Non è che ci sia una disattenzione da parte dell’amministrazione, ma ovviamente chi vive la situazione l’avverte in prima persona. Da parte nostra c’è attenzione continua, ma loro hanno deciso di far conoscere il loro disagio all’esterno".

Dunque, i detenuti di Baldenich hanno rifiutato il vitto dell’amministrazione penitenziaria e hanno annunciato che questa protesta continuerà per due o tre giorni. Un periodo nel quale i pasti che rifiuteranno saranno sempre offerti alla mensa dei poveri di Belluno, gestita dai frati cittadini. Una sensibilità che i carcerati sperano sia rivolta, prima o poi, anche nei loro confronti in merito alle loro rivendicazioni.

Genova: imparare a convivere con il virus Hiv, anche in carcere

 

Sesto Potere, 9 marzo 2009

 

Rompere il silenzio sulla malattia e imparare a convivere anche in carcere con il virus dell’Aids, che continua a scatenare molte ansie e angosce individuali e collettive, è il primo obiettivo del progetto Hiv & Carcere sostenuto dalla Provincia di Genova d’intesa con la Direzione della Casa Circondariale ed attuato dal Coordinamento Ligure Persone Sieropositive.

Il progetto - presentato nell’istituto penitenziario dal direttore Salvatore Mazzeo e dall’assessora provinciale alle carceri Milò Bertolotto con Anna Maria Rebagliati del Coordinamento ligure persone sieropositive, l’infettivologo del carcere Emanuele Pontali e il commissario della Polizia Penitenziaria Giovanna Calenzo - si articola in dodici incontri informativi e formativi rivolti sia ai detenuti, in particolare ai 300 studenti dei corsi scolastici (medie inferiori e superiori) interni alla Casa Circondariale e a quelli del centro clinico malattie infettive, che al personale della Polizia Penitenziaria.

Il progetto "ha l’approccio giusto - ha detto Salvatore Mazzeo - e l’informazione sulla malattia è particolarmente utile nel settore penitenziario dove c’è una forte diffusione delle infezioni da virus Hiv, soprattutto tra i tossicodipendenti che sono oltre un terzo della popolazione carceraria.

Ringrazio la Provincia, sempre presente e partecipe nelle nostre iniziative, per il sostegno a un progetto che aiuta a far vivere con maggiore serenità la propria condizione alle persone affette dal virus ed anche a comprendere che si può condurre una vita del tutto normale insieme alle persone sieropositive, rispettando alcune misure precauzionali".

Gli incontri, otto per i detenuti durante le lezioni scolastiche, uno al centro clinico, due con la Polizia Penitenziaria e uno finale, di approfondimento, per tutti i partecipanti, puntano a migliorare le conoscenze delle persone detenute su questo virus - dalle modalità di trasmissione alla prevenzione, dai rischi comportamentali alle nuove terapie ai modi per imparare a convivere con queste gravi patologie - e su altre malattie che hanno le stesse vie di trasmissione, aiutarle a comprendere e riconoscere i comportamenti a rischio e gli stili di vita che invece possono ridurlo e a migliorare le relazioni e il livello di collaborazione tra detenuti con infezioni Hiv ed epatiti virali con il personale di Polizia Penitenziaria, al quale il progetto fornirà informazioni supplementari sulla malattia e sugli specifici problemi legati al loro ruolo all’interno nel carcere di Marassi.

"Su temi così importanti c’è stata la piena condivisione e collaborazione anche della Polizia Penitenziaria - ha detto Milò Bertolotto - e la Provincia per il secondo anno sostiene con molta convinzione questo progetto che affronta la sieropositività e l’Aids, ancora sottoposti a molti pregiudizi, luoghi comuni e disinformazione nella nostra società, e la collaborazione tra enti, istituzioni e associazioni anche in questo caso sta operando molto bene nella complessa e delicata realtà carceraria."

Il progetto di informazione sull’Hiv in carcere "è un investimento di salute pubblica - ha detto l’infettivologo Emanuele Pontali - perché offre informazioni proiettate anche al futuro, nella società a fine pena, dei detenuti con conoscenze e strumenti di prevenzione utili anche fuori da queste mura dove il rischio di contagio è molto più ridotto e dove chi entra ha la possibilità di fare analisi e test sull’Hiv, sull’epatite B e C e sulla Tbc che permettono di diagnosticare eventuali casi".

Il problema delle malattie trasmissibili in carcere riguarda soprattutto le epatiti virali, contratte in particolare attraverso i tatuaggi praticati clandestinamente, in modo promiscuo, con punte di penne biro applicate alle testine rotanti dei lettori di cassette musicali, come sanno gli agenti che hanno sequestrato diverse di queste macchinette artigianali. "I tatuaggi hanno un significato identitario, di appartenenza ad un gruppo con cui i detenuti rispondono, in modo assolutamente sbagliato e rischioso, alla neutralizzazione della propria identità in carcere" ha detto il direttore Mazzeo che a margine della presentazione del progetto Hiv & Carcere con l’assessora provinciale Milò Bertolotto e il Coordinamento ligure persone sieropositive ha fornito una serie di dati sulla Casa Circondariale, una delle quattro in Italia ad avere una specifica "Sezione Hiv per affrontare questa patologia con gli strumenti più adeguati".

Negli ultimi cinque anni sono stati 260 i detenuti con infezione Hiv (sieropositivi o ammalati di Aids) transitati dal penitenziario di Marassi, dove attualmente sono ottanta le persone ricoverate nel centro clinico, di cui 37 con Aids conclamato e 25 sottoposte invece a regime di grande sorveglianza per prevenire i rischi di suicidio.

Il carcere genovese oggi è di nuovo strapieno, con una popolazione di 700 detenuti, il doppio rispetto ai 360 del primo periodo dopo l’indulto e a fronte di una capienza ufficiale di 400 persone e in ogni cella, quattro metri di lato, ci sono da cinque a nove detenuti. Il direttore Mazzeo ha anche ricordato che "la Polizia Penitenziaria continua ad avere pesantissime carenze di personale, perché sulla carta l’organico è di 400 effettivi, ma ne mancano cento e altri settanta sono distaccati in varie parti d’Italia."

Ravenna: il sindaco chiederà dimissioni di direttore del carcere

 

Ansa, 9 marzo 2009

 

"Entro un mese chiederò al ministero le dimissioni della direzione del carcere di Ravenna se la mia ordinanza sull’adeguamento dei servizi igienici non sarà rispettata". È quanto il sindaco della città romagnola, Fabrizio Matteucci, ha annunciato nel corso di una conferenza stampa organizzata in mattinata dal Pd provinciale.

"L’ordinanza in questione risale al settembre scorso. Sei mesi dopo, secondo quanto sostenuto dall’assessore comunale alla Sanità Pericle Stoppa, nulla è ancora stato fatto. Per ora - ha continuato Matteucci - mi limiterò a segnalare la mancanza. E comunque la direzione del penitenziario mi pare inadeguata".

Il senatore del Pd Vidmer Mercatali ha poi aggiunto che le celle sono sovraffollate e che "costruire una nuova struttura è fondamentale ma il carcere di Ravenna non rientra nell’elenco delle priorità stilato dal Governo". Nelle scorse settimane il penitenziario ravennate è stato al centro di un’inchiesta sulla corruzione interna che ha portato finora all’arresto di due agenti (entrambi con il grado di assistente capo) e di un detenuto. Su questo fronte, Matteucci ha ribadito l’appello già a suo tempo fatto del procuratore della Repubblica Roberto Mescolini: "Chi sa, parli".

Rieti: il nuovo carcere apre a giugno, trovati a fatica gli agenti

 

Il Tempo, 9 marzo 2009

 

Il nuovo carcere di Rieti aprirà prima dell’estate. Quasi sicuramente tra la fine di maggio e i primissimi giorni di giugno. Il ministero dell’Interno e quello di Grazia e giustizia hanno stanziato gli ultimi fondi necessari per far partire il complesso penitenziario. È stata incontrata una certa fatica a trasferire guardie carcerarie da altre case circondariali a quella di Vazia, perché i soli agenti in forza a Santa Scolastica non sarebbero stati sufficienti per la nuova struttura.

"Molti lo chiamano supercarcere ma è solo un carcere più grande e più moderno del precedente - ha osservato il senatore Cicolani, nel dare la notizia agli imprenditori di Federlazio - partirà a maggio 2009 ed ospiterà 250 detenuti richiedendo almeno 300 addetti senza contare i servizi, ed è per questo che vorrei fare una riunione con il ministero di Grazia e giustizia per comprendere i requisiti che verranno adottati nella formulazione delle gare d’appalto". Rieti dovrà prepararsi a gestire, in un certo qual modo, una parte dell’indotto che gira attorno all’impianto.

"La nostra città - ha aggiunto Cicolani - sarà interessata da un problema che oggi non vive ed è per questo che non dobbiamo farci trovare impreparati all’arrivo di nuova popolazione, dei loro parenti ed avvocati, governando gli aspetti positivi di questa vicenda". Gli imprenditori di Federlazio, coordinati dal presidente Carmine Rinaldi e dal direttore Antonio Zanetti, hanno ascoltato attentamente gli input lanciati dal parlamentare sabino. Tutta l’operazione è monitorata e seguita anche dalla Prefettura reatina.

"Il nostro è un carcere piccolino - ha detto il sindaco Emili - ma nonostante ciò vive un sovraffollamento, mi risulta che la capienza sia per 40 detenuti. Con la nuova casa circondariale il detenuto sarà inserito in una struttura più moderna dove il suo recupero, probabilmente, potrà essere garantito anche da piccoli servizi collaterali".

Che a Rieti serva al più presto il nuovo carcere lo hanno ammesso anche dalla Regione Lazio. "La casa circondariale di Santa Scolastica è troppo piccola e priva di spazi adeguati per la rieducazione - ha detto il consigliere regionale Antonio Cicchetti - e l’ulteriore sforzo del governo Berlusconi per arrivare all’apertura della nuova area è un messaggio, forte e chiaro, di concretezza". In totale per la struttura sono stati spesi 48 milioni di euro, più di 90 miliardi di vecchie lire.

Cagliari: sventata evasione di detenuto albanese, già trasferito

 

Apcom, 9 marzo 2009

 

Lenzuola annodate ad un gancio: preparava la fuga dal carcere cagliaritano di Buoncammino un detenuto albanese. Un piano sventato dagli agenti della polizia penitenziaria soltanto grazie alla soffiata di un altro detenuto. Gli agenti hanno trovato il kit per la fuga nascosto nel freezer di una stanza della sezione alta sorveglianza del penitenziario cagliaritano. Un’inchiesta sull’episodio è stata aperta dalla direzione del carcere che lo ha segnalato anche alla Procura della Repubblica di Cagliari. L’aspirante evaso intanto, è stato trasferito nel carcere di massima sicurezza di Livorno.

Immigrazione: il sogno di Maroni, tante galere nuove di zecca

di Stefano Galieni

 

Liberazione, 9 marzo 2009

 

Si avvicinano diverse scadenze elettorali e il governo in carica rispolvera i suoi cavalli di battaglia. Il tema "sicurezza" legato all’immigrazione è un leit motiv, le soluzioni proposte sono sempre le stesse sperimentate in passato. Utili solo come spettro propagandistico, e a dare l’immagine di un Paese governato con il pugno di ferro, nonché a far fare affari sulla pelle dei migranti a cooperative e imprese di ogni tipo.

Non spiega Maroni cosa colleghi fatti di cronaca nera tragici e diversi, con la decisione di portare a 6 mesi il tempo massimo di trattenimento nei Cie (centri di identificazione ed espulsione), un tempo Cpt. Poco o nulla. Le persone accusate di reati abbietti vengono arrestate, processate e nel caso espulse. Se sono cittadini comunitari non se ne può disporre l’allontanamento o il rimpatrio con il divieto di rientro, non possono essere rinchiusi nei Cie. Se sono colpevoli di reati gravi, tali da meritare la custodia cautelare e poi una pena da scontare, che si svolgano in carcere le identificazioni. Ma questo farebbe perdere ai Cie qualsiasi ragione sociale, connessa alla "emergenza criminalità".

Portare la detenzione a sei mesi, dagli attuali due, non risolve ma aggrava le difficoltà in cui i centri stessi operano. Sono le autorità di polizia giudiziaria ad aver chiara l’idea che o una persona viene identificata entro pochi giorni oppure, dopo mesi trascorsi inutilmente ad accumulare rabbia e maltrattamenti, dovrà essere rimessa in libertà, con l’obbligo teorico di allontanarsi dal Paese ma senza che tale provvedimento possa essere eseguito.

Quello a cui si va incontro con incoscienza è un crudele sovraffollamento dei Centri che il governo intende risolvere con la realizzazione di nuove strutture, nelle regioni che ne sono sprovviste. Il percorso delineato, da Maroni, prevede in tempi brevi la garanzia di altri 1.600 posti disponibili. Anche ammettendo una logica sistemica, evidentemente assente, si tratta di strutture che - se l’obiettivo è l’espulsione effettiva - non lo perseguiranno. Serviranno invece ad affermare la presenza di un inutile apparato repressivo anche laddove non se ne avverte il bisogno.

Costruire la mappa di quelli che potrebbero essere i nuovi siti adibiti a Cie è cosa difficile. Nel Veneto l’area individuata pare quella di Verona. Ma occorre una zona adatta, isolata e vicina all’aeroporto. Il sindaco Tosi attende il giorno con malcelata impazienza. Verrà scelto il Comune di Villafranca, più vicino all’aeroporto ma più densamente abitato o quello di Boscomantico, nel terreno in cui un tempo - esempio di sadismo simbolico - sorgeva un campo rom sgomberato?

Ma nella città degli innamorati non tutti sono d’accordo con il "primo cittadino": non solo la sinistra ma anche i sindacati di polizia e il Progetto Nord Est (partito di maggioranza) dichiarano la propria contrarietà, anche se per ragioni radicalmente diverse. Fatto sta che la detenzione di 300 migranti costringerà a dirottare sul Centro buona parte degli agenti di polizia operanti nel territorio, alla faccia della sicurezza. Non a caso si guarda anche ad altri Comuni in provincia di Venezia.

La Toscana resta un pallino dei governi (di diverso segno) che hanno creduto nella detenzione come deterrente alla permanenza di migranti irregolari. La Regione finora si è sempre opposta e continua a volerlo fare, dai due comuni indicati come possibili sedi - Grosseto e Campi Bisenzio (in provincia di Firenze) - giungono già segnali di netta opposizione. In Liguria la giunta regionale è corsa ai ripari inserendo nella legge regionale sull’immigrazione un articolo in cui si dichiara l’indisponibilità del proprio territorio ai Centri, per ragioni etiche e politiche.

Dopo tante ricerche era stato individuato uno spazio a La Spezia, ma si dovrà attendere. La materia è di competenza nazionale e certamente il governo impugnerà le decisioni liguri. A quel punto si prospetta uno scontro. Ma il rifiuto e la diffidenza verso le "isole della sicurezza" sembrano dilagare: in Umbria era stato individuato uno spazio a Terni, immediatamente sono arrivati i no, gli stessi che sono giunti da Falconara e da Ancona nelle Marche. Segnali di fastidio arrivano anche da Vasto, in Abruzzo, ma si tratta di regioni in cui tutta questa voglia di galera non è ancora divenuta patrimonio comune e si riescono a vedere più i danni che i benefici che la presenza di un Centro potrebbe portare.

Ha fatto gridare allo scandalo un po’ tutti anche la proposta fatta per la Campania. Un comune sconosciuto del casertano, San Nicola Valle. Peccato che a 500 metri in linea d’aria dal sito individuato si trovi una delle più importanti attrazioni turistiche italiane, la Reggia di Caserta. Scelta difficile da digerire in una provincia che si affanna a combattere da un lato contro la criminalità organizzata e dall’altro contro le vere emergenze sociali: disoccupazione, impoverimento, servizi inadeguati.

Come a dire "restate nel fango che i soldi ci sono solo per rinchiudere poveri disgraziati". E se nel centro di accoglienza di Cagliari Elmas ormai è in atto la trasformazione in Cie, nel silenzio e nell’indifferenza, con meno riserbo si continua a giocare la partita su Lampedusa.

Il sogno di Maroni non è complesso da spiegare: nell’immaginario sociale la "clandestinità" giunge solo dal mare. Rinchiudere tutti coloro che arrivano a Lampedusa per rispedirli direttamente al punto di partenza, dopo mesi di inutile trattenimento, creerà malcontento fra i meno di seimila isolani che vedranno ridotta la propria terra a carcere ma tranquillizzerà milioni di padani e di continentali a cui farà comodo l’avamposto trasformato in una gabbia. Per questo vanno aiutati i lampedusani a evitare la iattura che sembra loro destinata e vanno intraprese iniziative di ogni tipo per impedire l’apertura di qualsiasi centro. Il Prc deve partecipare alla costruzione di comitati civici di opposizione, in ogni luogo minacciato di divenire sede di queste vergogne da leggi razziali. Portare le proprie istanze nelle istituzioni locali ed europee ma anche nelle piazze e nelle strade. Potendo mostrare che non è né con le ronde né con i campi concentrazionari che si potrà tornare a vivere le città e i quartieri senza paura, ma con percorsi di inclusione seri e di prospettiva. Deve farlo ora, prima che si alzi un nuovo muro, che si frapponga fra le persone altro inutile e crudele filo spinato.

Immigrazione: Fortress Europe; in febbraio, 31 i migrati morti

 

Redattore Sociale - Dire, 9 marzo 2009

 

Strage alle Canarie: 25 le vittime a pochi metri dall’isola di Lanzarote. Tra loro 4 neonati, 4 bambini tra 8 e 11 anni e 2 donne. Lo scrittore algerino Moulessehoul: "Ogni cervello in esilio è un assassinio per la nazione".

Sono almeno 31 le vittime censite lungo la frontiera sud dell’Unione europea nel mese di febbraio dall’osservatorio Fortress Europe. Tragico il bilancio delle isole Canarie, in Spagna, dove continuano a sbarcare sempre più minori non accompagnati come risultato delle politiche di riammissione. Lo scorso 16 febbraio una barca di migranti si è rovesciata in mare, a soli 20 metri dalla costa di Teguise, sull’isola canaria di Lanzarote.

Dopo alcuni giorni di ricerche, sono stati recuperati 25 cadaveri. Un uomo è ancora disperso. Tra le vittime si contano anche 4 neonati, 4 bambini tra 8 e 11 anni e 2 donne. Una era incinta all’ottavo mese. Due settimane prima erano stati trovati tre morti di stenti a bordo di una imbarcazione giunta all’isola di Gran Canaria. Stessa scena il 21 febbraio, stavolta in Andalucia, al largo di Motril, dove su una barca è stato trovato un uomo senza vita in mezzo ai passeggeri.

Tragiche notizie arrivano anche dall’Algeria. Secondo cifre ufficiali recentemente rilasciate dal governo, dal 2005 sarebbero morti almeno 261 algerini nella traversata del Mediterraneo. In particolare: 29 nel 2005, 73 nel 2006, 61 nel 2007 e 98 nel 2008. Un dato in continuo aumento. Senza tenere conto del numero di dispersi. Destinato a rimanere sconosciuto.

Scrive l’autore algerino Mohammed Moulessehoul - più conosciuto con il suo pseudonimo femminile Yasmina Khadra, con il quale ha pubblicato i suoi libri negli anni della guerra civile - "Ogni cervello in esilio è un assassinio per la nazione".

Durissime parole comparse sul quotidiano "Le quotidien d’Oran", in una lettera aperta al primo ministro, dello scorso 19 gennaio 2009: "L’Algeria è un paradiso i cui sogni sono altrove, il che spinge migliaia di adolescenti a saltare in barche di fortuna per andarli a cercare, affrontando naufragi mortali e insolazioni irreversibili. Nessuna nazione può avanzare senza miti e nessuna gioventù si può rafforzare senza i suoi idoli. Che cosa abbiamo fatto dei nostri miti e quali sono diventati i nostri idoli in questa nevrotica ricerca di sospetti arricchimenti, che hanno fatto dei nostri sindaci, dei nostri governatori, dei nostri deputati e dei nostri senatori dei costruttori di disillusioni? Il miracolo esiste. Basterebbe crederci".

Ma la fortezza Europa miete vittime anche dentro i suoi confini. A Calais, in Francia, punto di transito dei migranti destinati a imbarcarsi clandestinamente nei camion diretti in Inghilterra, l’ultima vittima è una neonata di pochi giorni. Figlia di una coppia kurda della baraccopoli lungo l’A16, a Dunkerque. Era nata prematura sulla via dell’esilio. Il suo viaggio è durato poche ore.

Droghe: il Forum; la "guerra globale alle droghe" deve finire

 

Fuoriluogo, 9 marzo 2009

 

Il Comunicato Stampa di Forum Droghe in occasione della conferenza stampa del 9 marzo.

A Vienna, nei giorni 11-12 marzo 2009, le Nazioni Unite terranno un incontro ad alto livello sulle droghe. Ministri ed altri importanti rappresentanti dei governi provenienti da tutto il mondo si incontreranno per discutere l’implementazione degli obiettivi strategici adottati nel corso della Sessione Speciale dell’Assemblea Generale dell’Onu sulle droghe del 1998.

Dieci anni fa l’Onu dichiarò una guerra globale alla droga: l’obiettivo era eliminare o ridurre significativamente l’offerta e la domanda di droghe illecite nel prossimo decennio con lo slogan "Un mondo libero dalla droga: possiamo farcela!". I dieci anni sono passati, ma siamo più che mai lontani da un mondo "libero dalla droga". Secondo dati ufficiali Onu, la produzione di cocaina è aumentata del 20 per cento e la produzione di eroina è aumentata del 120 per cento. I consumatori di droghe illegali non sono mai stati così tanti. Inoltre, le politiche restrittive sulle droghe finora adottate hanno prodotto molte conseguenze non volute. Chiediamo ai rappresentanti dei governi le seguenti riforme urgenti:

Le prigioni sono sovraffollate per i milioni di persone che hanno commesso violazioni di minore entità: i governi devono decriminalizzare il consumo di droghe!

Molti paesi prevedono nelle loro leggi la pena di morte per reati connessi alle droghe. Ciò costituisce una violazione del loro obbligo al rispetto dei diritti umani - i governi devono abolire la pena capitale!

È in corso una crisi umanitaria causata dall’eradicazione forzata delle coltivazioni di coca e di oppio - i governi devono porre fine alle eradicazioni forzate, rispettare l’eredità culturale dei popoli indigeni e dare ai coltivatori i mezzi di sussistenza!

La guerra globale alla droga ha lasciato milioni di persone prive di trattamento per il dolore cronico - i governi devono consentire loro un ampio accesso alla terapia del dolore!

Ogni anno, migliaia di persone in tutto il mondo sono sottoposte con la coercizione a varie forme di trattamento per uso di droghe - i governi devono smettere di violare i diritti umani in nome del trattamento della tossicodipendenza!

L’Hiv e l’Epatite C si stanno diffondendo tra i consumatori per via parenterale - i governi devono ricorrere in misura crescente a programmi di riduzione del danno come i trattamenti sostitutivi con oppiacei, lo scambio di siringhe e le stanze del consumo!

Droghe: il Forum; l'Unodc arretrato sulla riduzione del danno

 

Redattore Sociale - Dire, 9 marzo 2009

 

Appello lanciato presso la sede del Partito Radicale, in vista del meeting delle Nazioni unite di Vienna dell’11 e 12 marzo: "In nome della lotta alla droga milioni di consumatori dietro le sbarre e centinaia di migliaia di malati".

"Chiediamo a tutte le delegazioni di non approvare la dichiarazione politica di indirizzo alle politiche globali di contrasto alla droga molto arretrata non solo rispetto agli indirizzi perseguiti in molti paesi, ma perfino rispetto agli indirizzi seguiti da altre agenzie Onu come l’Unaids".

È questo l’appello lanciato questa mattina a Roma, presso la sede del Partito Radicale, da Forum droghe in vista del meeting di alto livello delle Nazioni unite di Vienna previsto per l’11 e 12 marzo 2009, in coincidenza con la conferenza nazionale sulle droghe di Trieste. Secondo il Forum droghe, l’attuale bozza proposta dall’Ufficio antidroga delle Nazioni unite (Unodc), "è largamente insoddisfacente perché non contiene né un forte richiamo ai diritti umani, né cita la riduzione del danno e un più forte impegno a tutela della salute".

"Ci troviamo di fronte a una bozza in continuità con le politiche finora adottate - ha affermato grazia Zuffa, del Forum Droghe -. Non c’è una sottolineatura della violazione dei diritti umani e non c’è menzione della riduzione del danno". Secondo il Forum droghe, al mondo sono milioni i consumatori dietro le sbarre e centinaia di migliaia le persone che hanno contratto Aids e Epatite C attraverso siringhe contaminate. "In nome della guerra alla droga - si legge nel documento presentato oggi dal Forum - sono largamente calpestati i fondamentali diritti umani dei consumatori.

Nei paesi con la pena di morte questa viene di regola applicata per i reati di droga, violando qualsiasi criterio di proporzionalità fra pena erogata e crimine compiuto". Casus belli della conferenza di Vienna, secondo il documento, la questione della riduzione del danno, oggi con l’Unione europea dei ventisette unita a favore, insieme a Canada, Argentina ed Ecuador e Stati Uniti contro. "La riduzione del danno - spiega il Forum droghe nel documento - ha assunto un valore simbolico: l’enfasi sulla salute relega in secondo piano, per la prima volta, il braccio armato dell’antidroga".

L’Italia, su questo tema, esce fuori dal coro europeo. "L’Italia - ha affermato Marco Perduca, radicale, senatore Pd - è pronta a bloccare il consenso europeo. L’Italia non firmerà il documento se nella riduzione del danno viene incluso il tema delle narcosale o la distribuzione di eroina sotto controllo medico, una sorta di potere di veto in una situazione in cui molti paesi hanno avuto risultati positivi".

Il meeting di Vienna rischia di essere un’occasione perduta su vari fronti, afferma il documento del Forum droghe e avverte: "Siamo più che mai lontani da un mondo libero dalla droga". Secondo i dati ufficiali delle Nazioni unite, infatti, la produzione di cocaina è aumentata del 20%, mentre quella dell’eroina del 120%. Tra le richieste presentate per l’assise di Vienna, la decriminalizzazione da parte dei governi del consumo delle droghe, abolire in taluni casi la pena capitale.

Inoltre consentire un ampio accesso alla terapia del dolore e fare in modo che il trattamento della tossicodipendenza non violi di diritti umani della persona, la richiesta ai governi di porre fine alle eradicazioni forzate rispettando le culture di alcuni popoli indigeni, ed infine la richiesta ai governi del ricorso a programmi di riduzione del danno come i trattamenti sostitutivi con oppiacei, lo scambio di siringhe e le stanze del consumo.

Droghe: verso il divieto di fumare sigarette per minori di 18 anni

 

Notiziario Aduc, 9 marzo 2009

 

Si inizia presto, prestissimo, a fumare in Italia. Il 17%, infatti, ha acceso la prima sigaretta prima dei 15 anni, e ben il 44,8% tra 15 e 17. Un trend allarmante, secondo i dati dell’indagine Il fumo in Italia 2008, condotta dall’Osservatorio fumo alcol e droga dell’Istituto superiore di sanità (Iss) e dalla Doxa.

Invertirlo è l’obiettivo del Disegno di legge,a firma di Ignazio Marino (Pd) e Antonio Tomassini (Pdl), presentato in Commissione Sanità del Senato, che comincerà l’esame dopo aver concluso i lavori sul Ddl sul testamento biologico. Fra i punti chiave del provvedimento, è quello di vietare il fumo e la vendita di sigarette agli under 18, alzando dunque il limite oggi fissato per legge a 16 anni. Un limite spesso ignorato.

Dall’indagine emerge infatti che all’83,8% degli intervistati non è mai capitato di vedere un tabaccaio che si rifiuta di vendere le sigarette a un minore di 16 anni o che chiede un documento per verificare l’età. Secondo un precedente rapporto dell’Osservatorio dell’Iss, in Italia sono 130 mila i fumatori fra i 15 e i 17 anni, il 7,4% di questa fascia d’età. L’84% dei giovani con il vizio compra le sigarette dal tabaccaio, il 10,7% ricorre al distributore automatico, il 3,2% acquista i pacchetti da ambulanti o di contrabbando.

 

 

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