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Giustizia: politiche della sicurezza, tra spot e realtà quotidiana di Francesco Scommi
Aprile on-line, 6 marzo 2009
I sindacati delle forze di polizia incontrano il segretario del Pd Franceschini. Ne esce un quadro desolante, le risorse tagliate stanno compromettendo il servizio. E le ronde governative, invece di costituire un sostegno, si stanno rivelando un intralcio. Franceschini rilancia la proposta di accorpare referendum ed europee per dare ossigeno, con i risparmi, al comparto Poliziotti appiedati, auto tecnicamente ferme, riparate grazie alla "comprensione" degli amici meccanici. Comuni che stanziano soldi per le ronde che magari, com’è accaduto a Rieti, prendono fischi per fiaschi ed inseguono le volanti della squadra mobile in servizio pattugliamento. Il pianeta "sicurezza" e al collasso. "Qui ed ora, non domani", dicono all’unisono i rappresentanti delle forze di polizia invitati dal Partito democratico a fare il punto sullo stato dell’arte. Sullo sfondo, brilla ancora la scure del governo: "Il ddl 112 taglia 3 miliardi di euro in 3 anni ai comparti difesa e sicurezza", ricorda Marco Minniti. Ma il Pd, oggi, vuole tenersi fuori. Dario Franceschini si fa da parte: "Non devono contare le mie parole - dice - ma quelle di chi lavora per strada. Sentite loro", dice ai giornalisti. Certo nella sala Berlinguer della Camera ci sono anche i sindacati delle forze dell’ordine che guardano al Pd. Ma le loro parole si confondono con quelle di chi non può essere sospettato di avere simpatie politiche a sinistra. Ecco Antonio Scolletta, coordinatore nazionale della Federazione Sindacale di Polizia dell’Ugl: "Il governo dopo aver fatto mille promesse in campagna elettorale, ora è venuto meno e ha messo in ginocchio il comparto con una politica si settore miope e inadeguata". Scolletta critica poi "l’andazzo mediatico che dipinge il paese in preda alle onda barbariche che arrivano da sud" e a proposito delle ronde dice senza mezze misure: "È una sanatoria per qualche drappello in camicia verde che scorazzava da tempo al Nord". Ancora più chiaro: "Maroni è patetico quando dice che serviva una regolamentazione. Prima del decreto sicurezza quello delle di disciplinare le ronde era un problema sconosciuto. I nostri problemi sono altri". Ma le ronde non sono state pensate come un sostegno, un aiuto alla pubblica sicurezza? "Preferiamo fare da soli" rispondono in coro i sindacati di polizia. Sull’efficacia della sicurezza civica fioriscono gli aneddoti più svariati. Gianni Ciotti del Silp Cgil, in servizio a Roma, racconta: "Ieri una ronda ci ha chiamati per lo sgombero di un insediamento Rom a loro dire abusivo. Mandiamo due volanti. Salta fuori che il terreno è del Vaticano e il prete lo ha prestato per favorire il pellegrinaggio ai santuari. Risultato: uomini e mezzi tolti dal servizio effettivo per tre ore". Le ronde non sono propriamente infallibili: "A Rieti ci hanno segnalato come sospetta una macchina della polizia che stava pattugliando in incognito", dice Claudio Ciardullo, anche lui Silp - Cgil. Nel parco romano della Caffarella hanno dato da fare al guardiano notturno perché volevano entrare per forza, senza autorizzazione. "Eppure mentre a noi il governo taglia - aggiunge Ciardullo - a loro arrivano i soldi dei Comuni. Come a Verona dove Tosi gli ha dato 100mila euro". Dario Franceschini prova una sintesi: "In campagna elettorale la maggioranza ha strumentalizzato la paura degli italiani per proporsi come una risposta al senso di insicurezza con promesse che non ha mantenuto. Ora cerca di nascondere i fatti e cioè i tagli e il crescente senso di insicurezza. Nello stesso tempo fa due operazioni di immagine: quella inutile dei militari in città. E quella pericolosa delle ronde". Nel primo caso, spiega il segretario Pd, "i 30mila soldati annunciati da Berlusconi non esistono. Le forze armate in servizio sono 70mila, 42mila sono in missione. I trentamila di Berlusconi non ci sono". Quanto alle ronde, il leader democratico è tranchant: "Il monopolio della sicurezza appartiene allo Stato. I cittadini si sentono più sicuri con la polizia e i carabinieri che con le ronde. Da quando c’è il decreto si stanno moltiplicando. Ma chi ci dice che possiamo fidarci? Che non diventino strumenti della criminalità organizzata? Quelli della mafia, della camorra e della ‘ndrangheta non ce l’hanno scritto in faccia che sono criminali". Una prima soluzione all’emergenza sicurezza Franceschini la individua, ed è la confermata adesione all’appello dei cinquanta parlamentari democratici di accorpare il referendum elettorale sull’election day. Fatto quello, si potrebbero stanziare i 460 e passa milioni di risparmi per le forze dell’ordine. Dice il segretario: "Ci dicono che siamo sempre per il ‘nò, su questo siamo pronti a dire subito sì". Franceschini però sottolinea, a proposito delle intenzioni della maggioranza: "Vogliono che si voti il referendum il 21 giugno perché così sarà più difficile raggiungere il quorum, e fanno un piacere a quella parte della maggioranza, la Lega in particolare, che non vuole che il referendum passi". Giustizia: ditemi voi se non è razzismo parlare di "dna romeno" di Piero Sansonetti
Il Riformista, 6 marzo 2009
Esagero quando dico che il razzismo, in Italia, è un male che sta dilagando? E quando dico che una parte della stampa favorisce questo dilagare? Mi pare di no. Provo a dimostrarvelo. Ieri due giornali conservatori - Libero e il Giornate - hanno polemizzato contro chi nei giorni scorsi si era un po’ indignato per la vicenda dei due giovani romeni accusati dello stupro della Caffarella (linciati dai mass media e poi scagionati dalla prova del Dna). In particolare i due giornali criticavano un mio articolo, pubblicato ieri l’altro sul Riformista nel quale sostenevo due tesi. La prima è che le Tv e i giornali italiani hanno il linciaggio facile. Basta una parola della polizia o una soffiata di un giudice per emanare la sentenza di condanna ed espone l’imputato al pubblico ludibrio. La seconda tesi è che nel nostro Paese sta montando il pregiudizio razzista. La base del pregiudizio è evidente in molti giudizi e cronache sugli accusati dello stupro alla Caffarella. Si è arrivati a parlare di un cromosoma Y che identificherebbe la nazionalità romena. Il concetto è chiaro: hanno un patrimonio genetico diverso dal nostro. Dunque, sono una razza. Quando dico "pregiudizio razzista" mi riferisco a quell’idea secondo la quale esistono alcuni gruppi etnici, o popoli, o nazionalità, "portati" per propria natura al delitto, o a un particolare tipo di delitto. Sostenevo che questo pregiudizio è la base, il pilastro del razzismo, dai secoli dei secoli (gli ebrei complottano, gli zingari rubano i bambini, i romeni stuprano, i neri sono forti e violenti, etc.); ed è la struttura ideologica sulla quale poi crescono le degenerazioni più feroci (l’antisemitismo, il Ku Klux Klan, o addirittura il nazismo). Michele Brambilla, sul Giornale, mi fa una contestazione ragionevole. Dice: attenti a non confondere forcaiolismo e razzismo. Giusto, ha ragione, sono due fenomeni diversi. Anche se spesso - ma non sempre - tendono a sovrapporsi, o ad allearsi. Dice Brambilla: i giornali hanno sbattuto in prima pagina mostri romeni, ma anche mostri italiani o di altri paesi, e li hanno spolpati ben bene prima che giungesse l’assoluzione. E poi non hanno di sicuro dedicato all’assoluzione lo stesso spazio e la stessa enfasi dedicata alle accuse e alle notizie infamanti (e false). Condivido l’obiezione, ma credo che non mi riguardi: ho scritto migliaia e migliaia di righe contro il forcaiolismo, anche contro quello che se la prende coi potenti, e appena qualche giorno fa - abbastanza isolato - mi sono schierato, proprio dalle colonne del Rifonnista, a favore della legge che vieta la pubblicazione delle intercettazioni. Fausto Carioti, su Libero, fa invece un ragionamento diverso, e mi offre un argomento formidabile per rispondere a Brambilla del Giornale. Non posso che dire a Brambilla: leggiti l’articolo di Carioti e poi dimmi se non pare anche a te che il razzismo stia dilagando sui nostri giornali. Cosa scrive Carioti? Diciamo che anche lui ha qualche dubbio sulla colpevolezza dei due romeni. Ma non ha dubbi - sembra di capire, o comunque ne ha pochissimi - sulla colpevolezza "dei romeni". In che senso? Dovrei copiare quasi tutto l’articolo per farvi capire bene il ragionamento, ma mi limito a trascriverne la frase chiave: "Gli investigatori hanno svolto un esame genetico sperimentale sul cromosoma "Y" degli aggressori (della ragazza della Caffarella, ndr). I dati ottenuti confermano che, molto probabilmente, costoro appartengono all’etnia romena". Non mi sembra che questa affermazione abbia bisogno di spiegazioni. Vuol dire questo: i romeni hanno un patrimonio genetico diverso da quello nostro, di noi "bianchi". Sono una razza. Ecco, questa è esattamente la base teorica del razzismo. Cos’è il razzismo? La teoria secondo la quale gli esseri umani non sono tutti uguali, ma sono divisi in razze - e naturalmente se le razze sono diverse ce ne saranno di superiori e di inferiori - e queste razze, sulla base della loro diversità biologica hanno anche diversità comportamentali. Dopo la tragedia del fascismo e del nazismo (e l’orrore del manifesto della razza, pubblicato in Italia nel 1939) il razzismo, nel nostro paese, sembrava sostanzialmente sconfitto. Anche perché la scienza aveva accertato e solennemente dichiarato che le razze non esistono. Oggi, purtroppo - è questo l’allarme che lanciavo col mio articolo - il razzismo sta riprendendo piede. Io non uso più questo termine, come facevo 10 anni fa, come insulto. Il razzismo, secondo me, è così diffuso nell’opinione pubblica, da essere diventato un punto dì vista. Anche se infondato, anche se antiscientifico, anche se davvero pericolosissimo, è un punto di vista che ad esempio il collega Carioti rivendica puntigliosamente nel suo articolo. Articolo che, con una vecchia battuta, può essere riassunto così: "Non sono io razzista, sono loro che sono rumeni!". Giustizia: Franceschini; più risorse alla polizia e "no" alle ronde
La Stampa, 6 marzo 2009
"No alla demagogia delle ronde, sì a più risorse per la sicurezza". Dario Franceschini lancia la sua proposta al governo per smentire le critiche che il Pdl fa all’opposizione di dire sempre no: "Siamo pronti a dire dei sì in Parlamento, anzi facciamo noi una proposta - ha detto il segretario del Pd al termine dell’assemblea a cui hanno preso parte diverse sigle sindacali della polizia -, per reperire risorse per la sicurezza si voti per il referendum, per le amministrative e per le europee in un unico giorno, il 7 giugno, e i 460 milioni di euro risparmiati vadano per la benzina delle volanti e per assumere subito 5000 poliziotti, carabinieri e finanzieri". Franceschini ha sottolineato infatti che la scelta del governo di votare in 3 domeniche diverse, il 7, il 14 e il 21, per i ballottaggi, "serve a fare in modo che il referendum non raggiunga il quorum perché la Lega non lo vuole e questo rischia di succedere anche l’anno prossimo quando ci saranno le regionali e il referendum sul lodo Alfano". Franceschini ha spiegato di aver voluto che l’assemblea fosse aperta alla stampa perché "gli italiani sentissero non dalla voce dell’opposizione, di cui si potrebbe sospettare che parli nell’ambito dello scontro politico quotidiano, ma dalle parole dei diretti interessati". Quindi il leader democratico ha accusato il governo di "tentare tutti i giorni di nascondere, di coprire, come sulla crisi economica, il problema della sicurezza che invece è stato enfatizzato in modo scientifico fino alle elezioni politiche". Secondo Franceschini il governo "cerca di far scomparire il problema dai mezzi di comunicazione perché deve coprire il fallimento della sua azione". Il leader del Pd ha citato i problemi più urgenti: "3,5 milioni di tagli alla sicurezza, meno volanti, meno poliziotti, 500 vetture ferme per riparazioni perché non ci sono i soldi, racconti da brivido che abbiamo sentito oggi", il governo sta facendo "due tipi di operazioni, una di immagine che è inutile: tremila soldati nelle strade cosa fanno? Il presidente del Consiglio aveva annunciato altri 30mila soldati per le strade: qualcuno li ha visti? Non possono esserci perché su 70mila soldati operativi 42mila sono impegnati all’estero". Infine Franceschini ha denunciato la "pericolosità" dell’operazione avviata dal governo con le ronde: "La risposta sbagliata a un problema vero, quello della sicurezza" perché "privatizzarla è una follia, non esiste in nessun Paese al mondo e noi ci batteremo innanzitutto per difendere il principio" che la sicurezza dei cittadini deve essere un compito dello Stato. Nel corso dell’assemblea sono intervenuti diversi esponenti sindacali delle forze di polizia per lamentare la mancanza di risorse e i rischi connessi all’istituzione delle ronde. Franco Maccari del Coisp di Venezia ha sottolineato "l’inefficienza, la stupidaggine e la strafottenza dell’uso politico che il sindaco di Verona sta facendo dei militari" e ha avvertito che nei piccoli paesi del Nord come quello in cui vive "le ronde esistono già, passano e lasciano bigliettini come i vigilantes. I negozianti hanno cominciato a disdire i contratti con le società private e a rivolgersi a chi organizza le ronde, provate ad immaginare quanti soldi può incamerare un’associazione parallela di cittadini privati. I pizzini non sono solo a Sud, iniziano ad essere usati anche in provincia di Treviso". Silvio Iannotta del Siap di Caserta ha denunciato che dopo gli annunci del governo nella città in cui imperversano i Casalesi "non è arrivata né una macchina né un uomo in più". Infine Gianni Ciotti, segretario generale della Silp-Cgil, ha raccontato che "ieri a Roma una ronda ha chiamato delle volanti per sgomberare un terreno dagli immigrati mentre era stato un prete ad ospitarli per un pellegrinaggio in un santuario, noi viviamo tutti i giorni queste situazioni, e poi abbiamo 115 pattuglie ma la settimana scorsa ne sono uscite solo otto. Che fine ha fatto il poliziotto di quartiere? Vi chiedo di incalzare il ministro su questo, di farvi dare i dati". Giustizia: dall'Ucpi manifesto contro provvedimenti del governo di Mauro W. Giannini
www.osservatoriosullalegalita.org, 6 marzo 2009
Un manifesto dal titolo "Sicurezza: emergenza o voglia d’ordine"? È l’iniziativa presa dalla Giunta dell’Unione Camere Penali per esprimere la propria posizione contraria alle misure urgenti assunte dal governo in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale. L’Ucpi ha anche chiesto un’audizione su questo tema alla Commissione Giustizia della Camera che sta esaminando la conversione in legge del provvedimento. Il manifesto spiega che "I dati ufficiali diffusi dal Ministero dell’Interno danno conto di una costante e progressiva diminuzione del fenomeno criminale sin dal secondo semestre dell’anno 2007. Nell’anno 2008 gli omicidi volontari sono al minimo storico, i furti sono diminuiti del 39,72% rispetto all’anno precedente, le rapine del 28,8%, l’usura del 10,4%, la ricettazione del 31,6%, il riciclaggio del 5,8%, le minacce del 22,1%; diminuiti anche estorsioni e danneggiamenti. Sempre gli stessi dati ci dicono che anche i reati di violenza sessuale sono diminuiti: -8,4%. Non solo, la maggior parte degli "stupri" si consuma entro le mura domestiche: i dati relativi al 2007 ci dicono che il 69,7% è opera di partner, il 17,4% di un conoscente e solo il 6,2% è opera di estranei. La sicurezza delle persone è dunque oggi maggiormente assicurata rispetto al passato e se un bisogno di sicurezza emerge esso sta nell’assicurare la tutela delle donne dalle offese delle persone a loro più vicine". Eppure, nota l’Ucpi, "dalla primavera scorsa l’emergenza sicurezza occupa pressoché interamente l’agenda del parlamento ed in nome della sicurezza si sono varate, spesso con il beneplacito dell’opposizione, norme, quali l’aggravante di clandestinità, di intollerabile eccezionalità rispetto al sistema dei valori costituzionali; dalle pagine della stampa uomini politici di più parti, cogliendo a pretesto dolorosi fatti di cronaca, si lanciano in scriteriati attacchi all’indipendenza dei giudici, invocano di sostituirsi ad essi per comminare solo carcere per legge agli indagati, e per legittimare le proprie istanze confondono le carte e deliberatamente promuovono per "certezza" della pena ciò che altro non è che "certezza della anticipazione di una pena" ancora tutta da decidere, sacrificando il valore costituzionale della presunzione di non colpevolezza; in nome della sicurezza il governo approva un decreto che rischia di agevolare l’istinto dei cittadini a dar sfogo ad insane voglie di ritorsioni, sminuendo l’operato delle forze dell’ordine, impone la totale privazione della libertà personale degli indagati per pericolosità presunta senza che nessun giudice l’abbia realmente accertata, invoca l’eliminazione delle misure alternative al carcere laddove è noto che esse "disincentivano" la recidiva in misura di gran lunga superiore alla detenzione; in nome della sicurezza, il governo chiede oggi ai medici di violare il "giuramento di Ippocrate"; sollecita le vittime di reato a divenire delatori pena la perdita di legittime facoltà; impone ai detenuti il sacrificio di diritti umani elementari; introduce una sorta di schedatura in ragione della "diversità" di chi, per scelta o per necessità, non ha stabile dimora; utilizza norme di dubbia legittimità costituzionale, quali i delitti di apologia e di istigazione, come pericoloso strumento di limitazione del diritto di libera associazione e di libera manifestazione del pensiero". Ma, rilevano i penalisti italiani, "Se i dati del Ministero dell’interno non dicono il falso, le pretese misure sulla sicurezza dei cittadini, talune delle quali avallate dalla stessa opposizione (che in passato ha "cavalcato" secondo modalità analoghe l’esigenza sicurezza), costituiscono un inganno ai danni dei cittadini medesimi e, lungi dal garantire più sicurezza celano, soltanto una forte voglia di "ordine pubblico" a tutti i costi." Pertanto la Giunta Ucpi parla di "impennata autoritaria, cui fa da emblema la proposta reintroduzione del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale" e sottolinea come sia compito dello Stato farsi carico della sicurezza dei cittadini, "ma come sia per converso contrario all’etica della politica strumentalizzare lo strepito suscitato da pur odiosi fatti di cronaca per ragioni di sola propaganda, ricorda che lo Stato forte non è quello che viene meno al rispetto dei valori costituzionali del processo penale, ma è tout court lo stato di diritto, che applica severamente le regole esistenti e che garantisce la certezza della pena non con una condanna preventiva ed aprioristica, ma con un percorso processuale di ragionevole durata senza alcun sacrificio delle regole di accertamento dei fatti. Processi di piazza e processi esemplari (concetti che per molti versi coincidono) sono fenomeni che rischiano di sfuggire di mano, e di politici apprendisti stregoni la storia fornisce fulgidi esempi". L’Ucpi esprime "tutto lo sconcerto e lo sdegno dei penalisti italiani per le norme regressive ed illiberali adottate dal Governo e per quelle attualmente in discussione in Parlamento, ribadisce ancora una volta la propria assoluta indisponibilità a consentire la continua lesione dei diritti costituzionali dell’individuo, la sistematica opera di devastazione del sistema penale e la crescente compromissione delle garanzie nel processo ad opera di interventi legislativi estemporanei ed emotivi, dettati dal clamore assunto da isolati, seppure gravi, fatti di cronaca e privi di qualsivoglia utilità e di garanzia in termini di "certezza della pena" e fa appello al Presidente della Repubblica, al Governo, ai Presidenti di Camera e Senato, a tutte le forze politiche di maggioranza e di opposizione ed alla pubblica opinione affinché si ripensi interamente l’opportunità di adottare provvedimenti ingiustificati ed inefficaci, ma per converso "eversivi" del sistema dei valori costituzionali, destinati a determinare una profonda regressione del livello di civiltà e un’intollerabile svolta autoritaria del nostro ordinamento." Con una lettera alla presidente della Commissione Giustizia della Camera, Giulia Bongiorno, il presidente Ucpi, Oreste Dominioni, ha anche chiesto un’audizione per esporre ai deputati le osservazioni dei penalisti. Giustizia: La Russa; senza riscontri, Racz deve essere liberato di Lorenzo Salvia
Corriere della Sera, 6 marzo 2009
"Deve essere vestita la chiamata di correità". Vestita? "Sì vestita, cioè confermata da riscontri obiettivi Da sola l’accusa di un altro indagato non basta per mettere in carcere una persona. E se questi riscontri non ci sono Karol Racz, faccia da pugile come dite voi, deve uscire". Per andare ai domiciliari? "No, libero punto e basta". Girando lo zucchero nel decaffeinato giù al baretto del ministero della Difesa, Ignazio La Russa torna al suo vecchio mestiere, quello di avvocato.
Che idea si è fatto di quest’indagine, ministro? "Mi tornano in mente i tanti processi che ho fatto a Milano negli anni 70. Ho difeso tanti ragazzi di destra e la tecnica dell’accusa era sempre la stessa: la chiamata di correità senza avere nient’altro in mano. Venivano sempre assolti".
In questo caso il test del Dna smentisce l’accusa. "Attenzione, le prove scientifiche non sono sicure al cento per cento, danno sempre una percentuale di probabilità".
Eppure quando il risultato è positivo il test del Dna viene definito dagli investigatori come la prova regina. "Bisogna guardare sempre al quadro complessivo. Da quello che ho letto sui giornali Karol Racz non ha confessato ma ci sarebbe stato un riconoscimento da parte della ragazza, sebbene non certo".
Il primo identikit parla di una persona alta un metro e 75 e con la frangetta. Racz è calvo e più basso di 20 centimetri. "Devo ancora trovare un identikit che coincide. La vittima vede sempre il suo aggressore più grande, forte e cattivo di quello che è in realtà. È un fatto psicologico. Però ci vuole più prudenza".
Prudenza da parte di chi? "Guardi, quando a gennaio i carabinieri hanno arrestato i responsabili dello stupro di Guidonia sono andato subito a congratularmi con loro al comando. Ma prima di mettermi in macchina mi sono sincerato che i primi test del Dna confermassero l’accusa. Volevo essere sicuro che non fosse un inizio di indagine ma un’indagine avviata positivamente".
Questa volta è stata subito convocata una conferenza stampa. "Non da me. Massime garanzie durante le indagini, massima severità una volta accertate le responsabilità".
Ministro, se non fosse romeno ma italiano Karol Racz sarebbe ancora dentro? "Escludo che ci sia un trattamento più rigido solo per la sua nazionalità. Anzi, le interpretazioni estensive a favore degli indagati sono spesso arrivate proprio su casi di extracomunitari. E poi si ricorda il caso di Ciccio e Tore?".
Il padre dei fratelli di Gravina. "Ecco, pensavano che li avesse uccisi lui. E l’hanno rimesso in libertà più di un mese dopo il ritrovamento dei corpi, quando diventò chiaro a tutti che era stato un incidente. Quello era un papà, un papà italiano e l’hanno lasciato in carcere contro ogni evidenza. No, il fatto che stavolta ci sia di mezzo un romeno non cambia nulla. Semmai il problema è un altro: l’errore giudiziario ci può essere ma troppo spesso i magistrati faticano ad ammetterlo e a fare marcia indietro".
Anche sullo stupro della Caffarella? "Non tocca a me dirlo. L’operato del pm e della polizia viene vagliato da altri magistrati che, credo, non hanno alcun interesse a coprire un’eventuale carenza di indizi". Giustizia: il Prefetto di Roma; non criminalizzare tutti i romeni
Libero, 6 marzo 2009
Emergenza sicurezza, nuovo regolamento dei campi nomadi, regolamentazione dei cortei nel centro della città, sono solo alcuni dei problemi con cui il neo prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, si sta misurando sin dal suo insediamento a Palazzo Valentini al posto di Carlo Mosca.
Prefetto, gli ultimi fatti di cronaca indicano un’incidenza della popolazione romena in eventi delittuosi? Perché, a suo avviso, si registra questa escalation? "Gli episodi delittuosi verificatisi negli ultimi tempi certamente non possono mettere a rischio i legami storici, culturali e linguistici che da sempre avvicinano il popolo italiano e quello romeno. La medesima reazione di sdegno e di pronta condanna nei confronti di azioni delittuose compiute da connazionali registratasi sia in Romania sia nelle comunità di cittadini di quel Paese che vivono regolarmente in Italia dimostra che non si può dar corso ad accuse generalizzate, criminalizzando una intera popolazione. Indubbiamente, un dato di fatto reale è rappresentato, tuttavia, dalla presenza sul territorio nazionale di una componente criminale di soggetti di nazionalità romena che, seppur limitata a sacche di minoranza rispetto alla generalità dei connazionali ivi soggiornanti, vivono ai margini della società e si rendono protagonisti di episodi di criminalità. Del resto, le stesse vicende storiche del popolo italiano che ha vissuto nel corso degli anni fasi di emigrazione ci hanno resi consapevoli della difficoltà a sopportare un’immagine negativa per azioni criminose di cui si rendono responsabili solo alcuni dei connazionali ed al tempo stesso ci devono rendere coscienti dell’errore insito nelle generalizzazioni".
I poliziotti in arrivo dalla Romania possono aiutare a risolvere il problema della criminalità dell’est? "Sono a conoscenza della fattiva e intensa collaborazione tra la polizia italiana e quella" romena. Ritengo che la collaborazione tra le Polizie italiana e romena, in un quadro di lotta alla criminalità, costituisca indubbiamente una valida metodologia di lavoro tendente ad agevolare le procedure di identificazione di quei cittadino romeni presenti sul territorio nazionale ed abitualmente dediti ad attività illegali con connessa possibilità di riuscire a localizzare nel territorio d’origine quei soggetti ivi rifugiatisi a seguito della commissione di reati in Italia".
Con l’approvazione del nuovo Regolamento e la consegna del Dast (Documento di autorizzazione allo stazionamento temporaneo, ndr) ai nomadi, cosa succederà? "Innanzitutto mi preme evidenziare che il regolamento rappresenta il frutto della collaborazione interistituzionale con Regione Lazio, Provincia e Comune di Roma sulla base della piena condivisione di alcune linee di azione ritenute strategiche per il superamento dell’emergenza. In meno di due mesi, grazie al forte impegno profuso dai rappresentanti di tutte le Istituzioni coinvolte, si è addivenuti, infatti, alla stesura di un documento condiviso".
Come saranno i nuovi villaggi? "La filosofia perseguita è quella di concepire i villaggi attrezzati non come aree di segregazione bensì come strutture finalizzate ad offrire opportunità di un inserimento sociale alle famiglie ivi ospitate, contemperando al tempo stesso la duplice esigenza di garantire la sicurezza del territorio e la sussistenza di dignitose condizioni di vivibilità per chi vi risieda, specie nell’interesse dei minori. In tal senso, vanno lette la previsione del rilascio di autorizzazioni per l’ammissione dei nuclei familiari con relativa individuazione delle categorie che possono essere accolte; l’assegnazione di una struttura abitativa al loro interno con connesso inserimento dei nuclei familiari in percorsi di integrazione lavorativa, di formazione, scolastica e sanitaria; l’indicazione di regole relativamente alla permanenza nel villaggio, quali l’osservanza dell’obbligo scolastico, il corretto esercizio della potestà genito-riale, l’accettazione dei percorsi d’integrazione socio-lavorativi, nonché il rispetto delle civili norme di convivenza".
Prima di consegnare il Dast, i 7 campi regolari del Comune saranno di nuovo "censiti". Entro 40 giorni lavorativi, come ha annunciato l’assessore capitolino Sveva Belviso, sarà terminata la nuova identificazione? Perché il primo censimento non è andato a buon fine? "Non credo che si debba parlare di un fallimento del primo censimento della popolazione nomade. Si è trattato di un censimento su base volontaria che, pur con le intuibili conseguenze sotto il profilo dell’attendibilità dei dati numerici, ha permesso di tracciare, grazie all’ausilio encomiabile della Croce Rossa Italiana, un primo quadro della consistenza delle etnie in questione. Appare chiaro ora che, nell’ottica di dare concreta attuazione alle previsioni contenute nel regolamento, occorre addivenire ad una precisa e puntuale identificazione dei soggetti presenti anche per individuare quei nuclei familiari aventi i requisiti per essere ammessi nei villaggi".
Cosa pensa delle ronde? "Le ronde, laddove vengono disciplinate normativamente, con le verifiche sulle associazioni, sulle persone che le compongono, potrebbero avere una funzione di valido deterrente, attraverso un’attività di osservazione in contesti determinati. Al contrario, le ronde spontanee comporterebbero solo un aggravio per le Forze dell’Ordine, che si troverebbero a dover controllare l’agire delle stesse ronde".
È favorevole all’armamento ai vigili? "Rispetto la decisione presa. È importante, però, ora procedere alla formazione del personale".
Cosa ci dice sui tre commissariati di polizia che saranno chiusi? "La soppressione di tre posti di polizia (Centocelle, Montesacro e Fregene, ndr), richiesta dal Questore e per la quale ho già dato il nulla osta, va ricondotta nel quadro di una maggiore razionalizzazione della distribuzione delle forze di polizia sul territorio".
Sui cortei nel centro della città cosa è stato deciso dal Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza? "È in fase di definizione il Protocollo, sta lavorando un tavolo tecnico composto dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali e partiti politici, nonché dal Comune e dalla Questura, presieduto dalla Prefettura, che sta verificando le proposte di ciascuna componente per arrivare alla definizione di un protocollo condiviso e partecipato".
E sull’ordinanza anti alcool cosa ci può dire? "Dai dati forniti dalla Questura emerge, tra l’altro, che sono state controllate 1.201 persone ed eseguiti 21 arresti; i veicoli controllati 117, 436 gli esercizi pubblici sottoposti a controllo amministrativo con due provvedimenti di chiusura. Comunque si sta procedendo con un tavolo di lavoro interistituzionale, con la partecipazione anche di rappresentanti di Confcommercio, Confesercenti, Assovetro, per trovare soluzioni condivise al fine di superare le problematiche nel centro storico dovute alla movida".
Anche la violenza dentro e fuori lo stadio è uno dei temi sui quali il Comitato si pronuncia spesso. Com’è oggi la situazione? "Le problematiche connesse alla sicurezza presso lo stadio sono costantemente all’attenzione del Comitato Provinciale per l’Ordine e la sicurezza Pubblica. L’attivazione di diverse iniziative - come la creazione di un’area riservata di sicurezza nei pressi dello stadio, il potenziamento dell’illuminazione, la bonifica nelle zone limitrofe e provvedimenti di viabilità in occasione degli incontri di calcio, nonché l’istituzione delle associazioni di Stewarding - hanno portato ad effetti positivi sotto il profilo dell’ordine pubblico tanto che le ordinanze emesse dalla Questura riguardano solo le partite ritenute storicamente a grosso rischio".
Auto blu. A Roma, spesso, sono un problema... "È un dato di fatto l’alto numero di autovetture di servizio circolanti nella realtà territoriale urbana, che possono suscitare l’idea di benefici ingiustificati ingenerando malumori tra i cittadini; ma la lettura di questo elemento non può prescindere dalla peculiarità della Capitale, sede delle importanti istituzioni politiche, economiche e finanziarie nazionali nonché di importanti organismi di rilievo internazionale. Per la parte che compete al Prefetto di autorizzare l’uso dei lampeggianti sulle auto a disposizione di particolari categorie di personalità, opera un attento vaglio delle istanze in modo da limitare la fruizione alle situazioni in cui vi è effettiva necessità di garantire la sicurezza, consentendo il contemperamento delle esigenze di tutela personale con il contenimento dei disagi della cittadinanza".
Graffiti e scritte "politiche" sui muri della città. Multe ai proprietari degli immobili che non ripuliscono o spazi apposta per i writers? "Sono contrario alle multe ai proprietari degli immobili che non provvedono alla cancellazione di graffiti o scritte, per l’ovvio motivo che al danno subito si aggiungerebbe la beffa, senza peraltro risolvere il problema. Si potrebbe dare visibilità all’attività artistica dei writers in manifestazioni dedicate".
Infine, lei pensa che Roma sia effettivamente una città insicura? "Roma è una delle città europee più sicure. L’analisi comparata dei dati negli ultimi tempi evidenzia un calo significativo dei reati in genere anche se episodi di violenza alla persona - come quelli avvenuti di recente - creano particolare allarme sociale ed una diffusa percezione di insicurezza nei cittadini". Giustizia: Unione Europea; in Italia 32% di detenuti è straniero
Agi, 6 marzo 2009
Più che in Portogallo, ma nettamente meno che in Belgio o in Austria: tra i Paesi europei l’Italia registra un numero di detenuti stranieri alto, ma non allarmante; in linea con quello della Spagna o di nazioni di transito per i flussi migratori come Malta. Secondo i dati del Consiglio d’Europa sulla popolazione carceraria, il 32,3 per cento dei detenuti nelle prigioni italiane è composto da stranieri, contro il 20,2 per cento del Portogallo e il 58,4 della Grecia. È record in Austria e Belgio, dove rispettivamente il 42,9 e il 41,6 per cento dei detenuti sono stranieri. In Italia nel 2006, secondo i dati di Space, la statistica penale annuale del Consiglio d’Europa, c’erano 12.360 detenuti stranieri, poco meno degli 11.436 in Francia dove rappresentano il 19,8 per cento del totale. Il dato italiano è in linea con quello olandese - dove il 32,7 per cento dei detenuti sono stranieri - e quello spagnolo: il 31,2 per cento. In Inghilterra solo il 14 per cento dei carcerati non è cittadino britannici, un dato che deve tener conto della massiccia immigrazione dalle ex colonie, così come per la Francia, il Belgio e la stessa Olanda. Un caso particolare è rappresentato dalla Germania, dove la percentuale relativamente bassa di detenuti stranieri - il 26,9 per cento - corrisponde a un dato assoluto record per i Paesi Ue: 21.263. A breve distanza, con 20.018 carcerati, segue la Spagna e, distaccata di molto, l’Italia, la Francia (11.436) e l’Inghilterra (10.879). In Germania, su un totale di più di 751mila reati commessi nel 2006, poco più di 170mila sono stati imputati a stranieri (il 22 per cento del totale) anche se a loro è attribuito un terzo dei reati a sfondo sessuale: 619 stupri e 1.315 molestie. Un caso a parte è rappresentato da Paesi come il Lussemburgo e il Principato di Monaco, che registrano percentuali di detenuti stranieri del 75,2 e del 97,3 per cento; ma di fronte al numero irrisorio di residenti con cittadinanza è un dato di cui non si può tenere conto. Giustizia: l'Albania ad Alfano; pronti a ricevere i nostri detenuti
Adnkronos, 6 marzo 2009
Il ministro della Giustizia albanese Enkelejd Alibeaj ha assicurato al ministro della Giustizia Angelino Alfano "l’immediata disponibilità a ricevere, già dai prossimi mesi, almeno i primi 50 detenuti che scontano la pena in Italia". Lo rende noto il ministero della Giustizia al termine dell’incontro avvenuto questo pomeriggio, presso i locali del Dicastero di via Arenula, tra il ministro della Giustizia Angelino Alfano e il suo omologo albanese Enkelejd Alibeaj. Durante l’incontro, in un’ottica di collaborazione, spiega il ministero della Giustizia, si è parlato proficuamente della possibilità di trasferire i detenuti albanesi nelle carceri italiane affinché scontino la loro pena nel paese di origine. Il ministro Alfano, in merito, ha ricordato l’impegno assunto da tempo dal ministero della Giustizia albanese di collaborare per agevolare queste traduzioni. Il ministro Alfano, inoltre, ha proposto l’avvio immediato di un gruppo di lavoro misto tra i tecnici dei rispettivi ministeri, finalizzato all’attuazione delle prime traduzioni, alla condivisione delle più importanti riforme e al potenziamento della lotta alla criminalità organizzata perché sia chiaro che non esistono zone franche, tra Italia e Albania, in cui delinquere. Nel sottolineare l’importanza - aggiunge il dicastero della Giustizia - di un destino comune che avvicina Italia e Albania in una dimensione europea, il ministro della Giustizia Angelino Alfano si farà portatore, in occasione del prossimo G8, di eventuali proposte e problematiche che il ministro della Giustizia albanese intenderà sottoporgli. C’è grande interesse da parte dell’Italia a intensificare le relazioni bilaterali in materia di giustizia, a rafforzare le dinamiche di collaborazione rispetto alle procedure di estradizione e di assistenza nei processi penali nell’ambito di una cooperazione internazionale e ad attuare pienamente l’accordo per il contrasto alla criminalità, con il riconoscimento reciproco delle decisioni penali. Lettere: i detenuti da varie carceri scrivono a Riccardo Arena
www.radiocarcere.com, 6 marzo 2009
Carissimo Riccardo, ti scrivo per testimoniare l’illegalità della detenzione qui nel carcere 2 Palazzi di Padova. Un carcere di cui si parla solo quando ci sono iniziative da pubblicizzare. Come quella del laboratorio di pasticceria dove però sono coinvolti solo una trentina di detenuti. Per carità è una cosa positiva, ma qualcuno si chiede cosa fanno gli altri 800 detenuti del carcere di Padova? Non credo. Mi riferisco in particolare alla prima e alla sesta sezione del carcere, dove sono rinchiusi circa 150 detenuti. Ecco per loro non c’è nessuna possibilità di reinserimento, né tantomeno lavoro o di corsi di formazione. Per noi 150 detenuti non c’è nulla, ma solo la branda e la tv. Allo stesso tempo ci viene negato il minimo rispetto del diritto alla salute, tanto che siamo costretti ad attendere più di un anno per una visita oculistica. Neanche in una canile il veterinario fa spettare così tanto! Gli educatori poi ci mettono mesi e mesi per farci una sintesi comportamentale. E spesso arriviamo davanti al giudice di sorveglianza che ci rinvia l’udienza perché la sintesi non è ancora arrivata.
A., dal carcere 2 Palazzi di Padova
Caro Arena, anche se sono di Napoli mi hanno sbattuto qui giù in una cella del carcere di Caltanissetta. Una cella che assomiglia più a una stalla che a un luogo dove espiare la pena. Ma non ti scrivo per questo. Ti scrivo perché stando qui in Sicilia di fatto mi è impossibile poter incontrare mia moglie e mio figlio. Un bambino che ha appena 2 anni. Vedi noi siamo gente povera, anzi viviamo sotto la soglia di povertà, e mia moglie non ha neanche i soldi per potermi telefonare, figurati per fare un viaggio fino a qui. Ti assicuro che sono disperato. Disperato non tanto per la pena che devo scontare, che avendo sbagliato è giusto che io sconti, ma per il fatto di non poter vedere la mia famiglia. Questo non c’era scritto nella sentenza che mi ha condannato. E non è giusto farmi patire questa pena in più. Per pagare la mia pena serenamente, mi basterebbe essere trasferito in un carcere della Campania e sono certo che, se il Dap vuole, può trovare un posticino per me. Stare in carcere, lontano dalla propria famiglia, è la pena peggiore che si possa infliggere. È il carcere nel carcere.
Ciro, dal carcere di Caltanissetta Sicilia: illustrate a Palermo agevolazioni per lavoro ai detenuti
Comunicato stampa, 6 marzo 2009
Lavoro ai detenuti: illustrata ai detenuti dell’Ucciardone di Palermo la legge regionale n. 16. Il dirigente dell’Ufficio del Garante regionale per la Sicilia dei diritti dei detenuti e Segretario generale della Conferenza Nazionale dei Garanti Regionali, avv. Lino Buscemi e il funzionario del medesimo Ufficio, dott.ssa Gloria Cammarata, presso la Casa Circondariale "Ucciardone" di Palermo hanno illustrato ai detenuti i contenuti della legge regionale n. 16 del 1999 (e il relativo bando attuativo pubblicato il 9 gennaio 2009) concernente l’erogazione di sovvenzioni per l’inizio o il proseguimento di attività lavorative da parte di soggetti in espiazione di pena in carcere o che usufruiscano di misure alternative. L’incontro che ha registrato una larga partecipazione di detenuti, ha determinato interesse nei medesimi ai fini della presentazione di domande per ottenere la concessione di un contributo a fondo perduto (massimo 25 mila euro) per l’acquisto di macchine e attrezzature necessarie allo svolgimento dell’attività. Roma: una super-centrale, sorveglierà la città con telecamere di Eugenio Occorsio
La Repubblica, 6 marzo 2009
Telecamere ovunque, a partire dalle zone periferiche ad alto rischio. E un grande network iper-tecnologico che le colleghi tutte ad una centrale operativa unica, in Comune o in questura. È il progetto "Roma città sicura" che l’Unione Industriali ha presentato al sindaco Gianni Alemanno. "Si è detto entusiasta, non la finiva più di chiederci dettagli", racconta Aurelio Regina, che dell’Unione è presidente. "Non si può andare avanti con i militari a mitra spianato - dice Regina - e delle ronde non voglio neanche parlare. L’unica soluzione per la sicurezza è la tecnologia". Il piano è la prima parte di un maxiprogetto per il digitale a Roma da 600 milioni di euro di investimenti in cinque anni. Il prossimo appuntamento, il 24 marzo, è con il ministro dell’Interno, Roberto Maroni. "Si tratta di posare centinaia di chilometri di fibre ottiche di nuova generazione che colleghino in una rete le migliaia di telecamere (6.000 solo quelle comunali, ndr) che ci puntano da ogni angolo della città, aggiungendone anche di altre nelle zone più oscure e più periferiche dell’area metropolitana". Oggi le telecamere inviano le immagini tutt’al più a qualche postazione locale o a qualche gabbiotto di sicurezza senza "dialogare" le une con le altre. "La sfida è di metterle tutte in una rete interattiva, e di creare una vera cabina centralizzata dove personale qualificato, appartenente ad un corpo pubblico, le tenga sott’occhio". Anche le sale operative delle polizie private dovranno essere associate in questo network: la regia sarà al Campidoglio o in una sede del Viminale. Secondo il progetto, dovranno essere razionalizzate e tenute sotto controllo pubblico le immagini provenienti dai ministeri, da strade, banche, negozi, stadi, musei, stazioni della metro. E poi quelle che saranno riprese nei prati più sperduti di periferia. Non saranno più le immagini annebbiate e sfocate di oggi ma quelle nitidissime e sonore che le fibre ottiche potranno trasmettere. Perché la qualità, come la tv ad alta definizione, si ottiene con la velocità di trasmissione: le fibre esistenti garantiscono una capacità di 60 megabyte, quelle future si avvicineranno a 100. Per confronto, l’Adsl che porta Internet nelle case ha una potenza fra i 20 e i 50 megabyte. "La nuova rete - precisa Regina - servirà innanzitutto per garantire Internet veloce a tutti. Nei tratti dove non sarà possibile arrivare con la fibra ottica, interverranno reti cellulari anch’esse di nuova generazione. Ma il primo utilizzo del network sarà per la sicurezza". Della rete faranno parte i "lampioni intelligenti" equipaggiati con sensori in grado di identificare se ci sono armi in zona, e con display per avvisi di pubblica utilità. I cavi elettrici, opportunamente ammodernati, saranno sufficienti a portare il segnale alla rete ottica. Che sarà realizzata per lo più da Telecom e comprenderà i pochi tratti di fibra "posati" a suo tempo da operatori come Fastweb, Colt e Bt. "Il sindaco ci ha garantito che renderà più rapido, con le opportune modifiche normative, l’iter autorizzativo per realizzare gli scavi, che comunque saranno, ancora grazie alle tecnologie, meno invasivi di quelli cui siamo abituati". Treviso: nasce la prima Scuola di Formazione per le "ronde"
L’Unità, 6 marzo 2009
Sarà presentata domani a Crocetta del Montello, in provincia di Treviso. A tenere i corsi un investigatore privato ex militare dell’Arma dei Carabinieri. Ai partecipanti una pettorina catarifrangente. La legge che le istituzionalizza c’è già, presto ci saranno anche le scuola di formazione per i volontari delle ronde. La prima sarà presentata domani a Crocetta del Montello, in provincia di Treviso: una vera scuola, affidata ad Antonio Romeo un investigatore privato con un passato nell’Arma, ospitata nella "country house" di proprietà del capogruppo di Forza Italia della Regione Veneto, Remo Sernagiotto. "Ma non si tratta di ronde di partito, che richiamerebbero esperienze del passato che non condividiamo - ha chiarito il padrone di casa - Si tratta invece di una iniziativa slegata dalle classiche logiche politiche ed infatti sono stati invitati i segretari di rutti i partiti. Con l’avvio di questi corsi intendiamo semplicemente offrire un contributo concreto per realizzare la "sicurezza partecipata"". Al termine delle lezioni i volontari, che riceveranno un giubbetto blu in stile K-way catarifrangente con la scritta "Art. 46 ddl sicurezza", potranno essere messi a disposizione dei sindaci, dei Prefetti e dei Questori per dare vita a gruppi da impegnare sul territorio. "Domani presenteremo i corsi di formazione - ha spiegato Sernagiotto - se poi il ministero dell’Interno fisserà delle regole diverse da quelle che stiamo seguendo in questa prima fase, modificheremo l’impostazione delle lezioni. Di sicuro, però, non scenderemo in strada prima dell’emanazione dei decreti attuativi". Ma chi paga per tutto questo? La legge prevede infatti che le spese delle associazioni di volontariato non ricadano in nessun modo sulla finanza pubblica. E pazienza se il Sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano si è detto convinto che spetti alle Regioni farsi carico dei corsi di formazione. In Veneto la soluzione c’è già: il sindaco di Verona Flavio Tosi ha promesso 100mila euro, mentre qualcuno sta cercando addirittura di "accedere ai fondi europei per la sicurezza", come hanno denunciato ieri Franco Maccari del Coisp, Graziano Candeo del Siulp Veneto e Giuseppe Tiani, segretario generale del Siap. Genova: la Polizia è senza soldi, il Comune le destina 300mila €
La Stampa, 6 marzo 2009
La polizia non ha mezzi, benzina e attrezzature mentre il governo pensa alle ronde? A Genova intervengono Comune e Regione che finanzieranno con 300 mila euro le forze dell’ordine, anche se, come ha sottolineato l’assessore comunale alla sicurezza Francesco Scidone, "non dovrebbe essere l’amministrazione locale a occuparsi di queste cose". La decisione è stata annunciata ieri sera dopo che i rappresentanti del Sap, il sindacato autonomo di polizia, avevano formalmente inoltrato alle Commissioni consiliari decentramento e politiche della sicurezza riunite in seduta congiunta la richiesta di destinare 500 mila euro, un terzo dei fondi per il patto per la sicurezza ancora fermi, all’acquisto di ciò che serve alla normale attività di polizia. "Quei soldi sono tutti impegnati in una ventina di progetti legati alla videosorveglianza e alla prevenzione - ha detto l’assessore - Avevamo scelto altre priorità, credendo che lo Stato centrale si sarebbe occupato di finanziare le forze dell’ordine". Bergamo: mancano agenti, la nuova ala carcere rimane chiusa
Bergamo Sette, 6 marzo 2009
Per dare un sollievo ai 525 detenuti del sovraffollato carcere di Bergamo (ne potrebbe ospitare al massimo 340) una soluzione ci sarebbe: aprire la nuova ala dell’istituto di via Gleno, già pronta e utilizzabile. Ma per il ministro della Giustizia Angelino Alfano questo non è possibile, dato che bisognerebbe assumere nuovi agenti penitenziari, cosa che però il disastrato bilancio statale non consente. In realtà, per aprire la nuova ala del carcere di via Gleno non serve affatto assumere nuovi agenti di custodia. Basta semplicemente distribuirli meglio sul territorio nazionale. Oggi infatti vi è uno squilibrio che va a vantaggio dei penitenziari del Sud e a scapito di quelli del Nord. Dunque si è scoperto perché non è possibile aprire la nuova ala - ricavata dall’ex aula bunker - nella casa circondariale di via Gleno, offrendo una migliore vivibilità ai 525 detenuti oggi reclusi in un carcere che ne potrebbe ospitare al massimo 340. Non per i motivi che aveva spiegato nelle settimane scorse il ministro della Giustizia Angelino Alfano: e cioè che l’utilizzo della nuova area non era praticabile perché richiedeva l’assunzione di nuovi agenti di polizia penitenziaria ma che questo non era reso possibile dal bilancio statale alle prese con l’attuale congiuntura economica. Non è così, perché in Italia di agenti di custodia in realtà ce ne sono a iosa e non ci sarebbe affatto il bisogno di assumerne di nuovi per impiegarli nella nuova ala di Bergamo. Secondo i dati del Consiglio d’Europa, per ogni 100 agenti carcerari ci sono 157 detenuti in Gran Bretagna, 209 in Francia, 227 in Germania, 283 in Spagna e solo 101 in Italia. Ma è la distribuzione degli agenti penitenziari italiani sul territorio che va contro ogni logica. Secondo i dati del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, infatti sono sotto organico tutti i Provveditorati delle carceri del Centro-Nord, e la Lombardia è la più penalizzata con una carenza di 1.066 agenti. Per contro, ce ne sono 185 in esubero sull’organico stabilito in Campania, 195 in Calabria, 337 in Puglia e addirittura 1.496 nel Lazio. Non solo, ma anche quelli impiegati al Nord riescono, con vari sotterfugi, a farsi "distaccare" al Sud. In conclusione, se non si può aprire la nuova ala del carcere di Bergamo, la colpa è solo di questo squilibrio Nord-Sud: il solito "federalismo alla rovescia" che impiega più personale là dove ce n’è meno bisogno e viceversa. Sassari: a sei mesi dalla visita dell’On. Melis, stessa situazione di Sara Dellabella
www.rivistaonline.com, 6 marzo 2009
Tempo fa, l’On. Guido Melis (Pd) ha posto un’interrogazione al Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, attraverso la quale descriveva la situazione del carcere di Sassari. Era settembre, tema dominante della cronaca politica erano la riforma della scuola e quella della Giustizia. I mesi passano, ma le condizioni dei carcerati restano sempre le stesse. Il testo del documento parlamentare. "La Casa Circondariale di Sassari è ospitata nel vecchio edificio di San Sebastiano; il carcere è stato progettato a cavallo dell’unità d’Italia, e inaugurato, come attesta lo storico locale Enrico Costa, nel 1871, ben 137 anni fa; ai tempi era, forse, un gioiello di edilizia carceraria, ma adesso si può parlare di un vero e proprio rudere da museo archeologico; l’intero secondo piano dell’edificio è attualmente inagibile, a causa della continua minaccia di crolli e le celle, per lo più fatiscenti nonostante i vari restauri succedutisi negli anni, sono di pochi metri quadri, hanno muri scrostati, sono buie, umide e malsane con servizi alla turca divisi dai letti da un muretto alto appena 80, 90 centimetri, e ospitano ciascuna 4 o 5 detenuti. All’interno della struttura per i detenuti non vi è nessuna possibilità di lavorare né di imparare un mestiere, il personale di custodia, lodevole per abnegazione, si trova perennemente sotto organico (l’ultimo concorso è stato espletato nel 1993), e gli educatori, che sono pochissimi, in tutto tre, devono dividersi tra il carcere di Sassari e quello di Alghero; da tempo si attende il completamento del nuovo carcere, che dovrebbe sorgere nella zona di Bancali, alla periferia della città, ma i lavori, come può constatare chiunque visiti la zona, languono o procedono con inspiegabile lentezza; l’addensamento dei detenuti a San Sebastiano ha, nel frattempo, aggiunto limiti decisamente al di là della soglia di tolleranza della struttura. Il fenomeno del sovraffollamento nelle carceri rappresenta un’emergenza non solo in Sardegna, dove i dati più recenti ci dicono che nei dodici istituti penitenziari presenti nella regione sono ospitati 1888 detenuti, di cui 51 donne e di cui solo 991 condannati in via definitiva, ma in tutto il Paese; l’emergenza viene fronteggiata in modo dissennato con una politica volta a penalizzare, invece che a depenalizzare, che riempie le celle di ragazze e ragazzi che, responsabili di piccoli reati, alla scuola del carcere naturalmente diventano quei veri delinquenti che magari ancora non sono; inoltre con il decreto-legge n. 112 del 2008 sono stati tagliati i fondi per l’edilizia carceraria, è stato gravemente penalizzato il reclutamento degli agenti di custodia che attualmente si trovano a dover sostenere turni che vanno dalle 6 alle 12, per poi tornare in servizio dalla mezzanotte all’alba, a fronte di stipendi assolutamente inadeguati: si chiude la porta alle riforme e si arriva a minacciare la stessa legge Gozzini, che negli anni scorsi ebbe almeno il merito di ridare una parvenza di civiltà a un ordinamento penitenziario di stampo medievale, totalmente inadeguato agli standard europei. Bologna: nuovi "kit" per i detenuti che escono dalla "Dozza"
Ansa, 6 marzo 2009
Niente più sacchi di plastica neri, ma uno zainetto (rosso o azzurro) contenente uno spazzolino da denti, un dentifricio, dei fazzoletti di carta, una saponetta, due biglietti dell’autobus, un cambio di biancheria intima, due t-shirt e la guida ‘Dove andare per’ che contiene tutti i riferimenti dei servizi sociali della città: è il kit che dal prossimo 16 marzo sarà distribuito a tutti i detenuti in uscita dalla Casa Circondariale Dozza di Bologna. Già 200 i kit pronti per la primissima fase di sperimentazione del progetto messo a punto da Comune, Provincia e Regione Emilia Romagna, che ha anche stanziato un contributo di 12 mila euro, in accordo con il Garante per i diritti dei detenuti Desi Bruno e i volontari di Avoc, della cooperativa La Rupe, Amici di Piazza Grande e Avvocato di Strada. Ai detenuti che riceveranno il kit sarà offerta anche la possibilità di passare una notte nel dormitorio di via del Gomito. L’alloggio però non sarà consentito, ai sensi di legge, agli stranieri irregolari. Il progetto, presentato oggi a Palazzo D’Accursio alla presenza del vicesindaco Giuseppe Paruolo, "vuole dare un segnale sul piano della dignità dei detenuti - ha spiegato il garante Desi Bruno - e cancellare la tristissima immagine di quanto uscivano dal carcere con in mano solo un sacco nero" e a volte neanche quello. "Si tratta di un kit che non risolve ovviamente il problema del reinserimento di chi esce di galera - ha concluso l’avvocato - ma dà una risposta per le prime 48 ore di libertà che sono le più critiche". Spoleto: detenuto chiede revoca regime 41-bis per farsi curare
Adnkronos, 6 marzo 2009
Accusato di associazione a delinquere di stampo camorristico e recluso al 41 bis della Casa di Reclusione di Spoleto, Roberto Fermo, 35 anni, della provincia di Napoli, in attesa di giudizio, chiamato in correità da diversi collaboratori di giustizia e proclamatosi sempre innocente chiede la revoca del carcere duro e il ricovero in una struttura sanitaria per sottoporsi a cure. Tramite il suo avvocato, Vittorio Trupiano, si è rivolto al tribunale di Sorveglianza di Perugia che prenderà in esame il suo caso nell’udienza fissata per il 10 marzo prossimo. Secondo il legale Fermo, in carcere avrebbe tentato ripetutamente il suicidio. "Roberto Fermo non è un simulatore - sostiene il legale - è assistito da presunzione di non colpevolezza, ma ciò che più rileva è che egli, già da libero, dopo la morte del padre, fu ricoverato presso un presidio pubblico ospedaliero campano sotto stretta osservazione psichiatrica. Tutto ciò mi ha indotto a rivolgermi al Ministro di Giustizia, prima, per la revoca del 41 bis e ricovero in struttura ospedaliera, e poi, dato il rigetto di tale mia richiesta, al Tribunale di Sorveglianza di Perugia chiedendo la fissazione di apposita udienza". "Il recentissimo, ennesimo, tentativo di suicidio da parte di che da 8 anni, oramai, vive in totale segregazione, in una cella priva di tutto, affetto da gravissimi disturbi psichici - prosegue il legale - mi induce a rivolgere un accorato appello alle coscienze civili del Paese, a che non si verifichi una morte da tempo annunciata ed affinché un diritto sacro, quale è quello alla salute, trovi applicazione anche nei confronti di chi è detenuto". Bologna: Vanna Marchi e figlia in carcere, per pena definitiva
Adnkronos, 6 marzo 2009
Da questo pomeriggio la televenditrice Vanna Marchi e la figlia Stefania Nobile sono rinchiuse nella prigione di Bologna. Nei loro confronti i carabinieri hanno eseguito un ordine di carcerazione emesso dal Pg di Milano, Bruno Fenizia. Le due donne sono state prelevate dalla loro abitazione, la villa di Castel del Rio sulla collina imolese. Devono scontare rispettivamente una pena definitiva di cinque anni e sei mesi e di cinque anni e quattro mesi. Pene già ridotte per un anno di pre-sofferto e per la concessione dei benefici dell’indulto che ha concesso lo sconto di tre anni. Il loro difensore, l’avvocato Liborio Cataliotti, ha spiegato che domattina andrà a visitare le sue assistite. E comunque presenterà un’istanza al Tribunale di Sorveglianza. Lodi: Giuliano Pisapia spiega le norme del pacchetto sicurezza
Il Cittadino, 6 marzo 2009
A spiegare le norme del pacchetto sicurezza ai lodigiani sarà l’onorevole Giuliano Pisapia. Il 9 marzo, alle 21, nella sala San Paolo di via Fanfulla, si svolgerà l’incontro intitolato "In/sicurezza", coordinato da Paolo Muzzi, garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale della provincia. Il parlamentare è stato invitato a Lodi dalle associazioni lodigiane che dalla scorsa primavera hanno iniziato a dibattere sui provvedimenti legati alla sicurezza e al tema dell’immigrazione. Poi il gruppo si è allargato purtroppo durante la lotta contro le bombe su Gaza. "Noi non ci vergogniamo di essere partigiane e avere già un’idea in merito al pacchetto sicurezza - spiega Michela Sfondrini, esponente di Los carcere - però abbiamo colto al volo la disponibilità di Pisapia per parlare delle norme, al di là delle cose che si leggono sui media. Grazie alla sua competenza magari le persone riescono anche a farsi un’opinione diversa sul tema. Le norme del pacchetto sicurezza sono state bocciate anche dalle associazioni del mondo cattolico, come la comunità di Sant’Egidio o le Acli. L’ostilità è diffusa". "La commissione europea per le libertà civili - spiega Laura Coci di Lodi per Mostar - ha stigmatizzato il pacchetto sicurezza. Le problematiche non richiedono risposte securitarie: queste non fanno altro che complicare la situazione. I temi non si risolvono con le misure d’urgenza come è stato fatto dopo lo stupro della ragazzina a Roma. È inutile, destabilizzante, immorale e costituzionalmente illegittimo. Nel 2008 gli stupri sono diminuiti rispetto al 2007, ma non si affrontano costruendo nemici interni e distogliendo così l’attenzione dai problemi delle persone che perdono il posto di lavoro". Questo clima sociale, ammonisce Enrico Bosani di Rifondazione comunista, "è stato fomentato da chi ha governato il paese per 8 anni in questi ultimi 10. Da una parte abbiamo una legislazione rilassata per i potenti, dall’altra una cattiva verso chi non ha diritti. È necessario un fronte che sia il più ampio possibile". Se non si oppone una visione diversa, aggiunge Sfondrini, "le cose ci sfuggiranno di mano". Questo modo di legiferare rischia, infatti, ammette Stefania Baroni dei Verdi, "di rompere la coesione sociale e di portarci alla deriva". Oggi, aggiunge Domenico Campagnoli, segretario della Cgil, "c’è bisogno di politiche di inclusione". A lanciare l’iniziativa del 9, sottolinea Nino Bonaldi, "sono anche le associazioni etniche. Gli stranieri presenti nel Lodigiano - dice - sono qua per lavorare. Coinvolgerli e fare un cammino insieme è importante. In fondo sono proprio loro che si sentono in pericolo". Siracusa: "C’è chi dice no", progetto sulla legalità nelle scuole
La Sicilia, 6 marzo 2009
"Un progetto di grande valenza nazionale, inusuale per un paese così piccolo, ma dove la fantasia progettuale non ha eguali in tutta la provincia". Così il senatore Roberto Centaro ha definito "C’è chi dice no", l’iniziativa nata dal consigliere comunale Francesco De Martino e realizzato con la casa editrice Carthusia e la collaborazione di numerosi partner. Presentato nei locali del centro "Sant’Ambrogio", il progetto è rivolto agli studenti delle scuole primarie di secondo grado di tutta la regione e mira a diffondere la cultura della legalità. Per farlo De Martino, assistente capo della polizia penitenziaria in servizio al carcere minorile di Catania e Patrizia Zerbi, responsabile di Carthusia, si sono inventati un kit composto da una serie di strumenti didattici innovativi che gli insegnati dovranno utilizzare per spiegare ai loro alunni cosa vuol dire vivere secondo le regole. Il kit fa parte della collana "Apriscatola" di Carthusia, e comprende una scatola-plancia gioco con carte e segnali per giocare; volumetti tascabili della serie "Lo spaccamondo" con un inserto dedicato ai genitori e una guida informativa per i docenti. In supporto a questo materiale inoltre, anche alcuni video sullo stesso tema: il film "Ti aspetto fuori" e il cartone animato "Benedetta". Il primo è una sorta di racconto dei ragazzi "dentro" rivolto ai loro coetanei "fuori". Il film, che gli studenti del comprensivo Buccheri-Buscemi hanno visto in anteprima in occasione della presentazione del progetto, è realizzato infatti all’interno dell’istituto minorile e vede protagonisti 9 giovani detenuti (Carmelo, Cristhian, Concetto, Davide, Giuseppe, Marco, Michele, Mohamed e Simone), insieme con attori professionisti, fra cui Nino Frassica. Padova: nato il "Fondo di Solidarietà" per le vittime dell’usura
Redattore Sociale - Dire, 6 marzo 2009
Due nuove iniziative per i cittadini del territorio da parte della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo: creati il "Fondo di solidarietà" e il "Fondo di prevenzione dell’usura". Si rivolgono ai cittadini del territorio padovano e rodigino le due nuove iniziative di sostegno economico lanciate dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo per dare un supporto concreto alle persone e alle famiglie sempre più in crisi. Da oggi sono stati creati infatti il "Fondo di solidarietà" e il "Fondo di prevenzione dell’usura". Il primo servirà a dare un po’ di respiro nei casi di perdita del lavoro in assenza o con parziale protezione di ammortizzatori o tutele sociali. Dal punto di vista operativo, verranno aperti tre conti correnti bancari e altrettanti conti correnti postali intestati alle Diocesi di Padova, di Adria-Rovigo e di Chioggia, che serviranno proprio a sostenere le famiglie più deboli. Il compito di individuare nel territorio le situazioni di nuova povertà, di raccogliere le informazioni sui casi segnalati e di avviare l’istruttoria delle richieste spetterà alle parrocchie, alle Caritas, alle Acli e agli assistenti sociali dei comuni. Parallelamente alla riduzione delle capacità economiche delle famiglie, la crisi ha come conseguenza anche un significativo e preoccupante aumento del fenomeno dell’usura, che colpisce chi si trova a richiedere prestiti per far fronte alle spese quotidiane. Secondo quanto emerso dalla Consulta nazionale antiusura nel corso del 2008 in Veneto le famiglie a rischio erano circa 28 mila, di cui circa la metà nelle province di Padova e Rovigo. Da qui la decisione di istituire un fondo ad hoc, che può contare su un totale di 50 mila euro e che si concretizzerà in un’operatività creditizia convenzionata per assistere i cittadini già vittime dell’usura o fortemente a rischio. Il prima linea insieme alla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo c’è la Fondazione Tovini di Verona, che rappresenta nel Triveneto la Consulta nazionale antiusura: da parte sua arriveranno per l’iniziativa altri 200 mila euro e starà a lei il compito di esaminare le richieste e di garantire i finanziamenti a persone potenzialmente oggetto di usura. Saranno inoltre coinvolte le Caritas di Padova, di Adria-Rovigo e di Chioggia, che dovranno raccogliere le esigenze sul territorio, e la Cassa di Risparmio del Veneto, cui spetterà l’onere di esaminare le richieste pervenute dalla Fondazione Tovini e concedere i finanziamenti. "Si tratta di due operazioni che abbiamo voluto avviare perché siamo consapevoli che, in una congiuntura economica difficile come quella che stiamo attraversando, le priorità sono quelle di dare una risposta concreta ai bisogni di coloro che nella nostra comunità sono oggi più deboli" commenta il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Antonio Finotti. Libri: "Aboliamo le prigioni?", di Angela Davis (Minimum Fax) di Vincenzo Guagliardo
Liberazione, 6 marzo 2009
"Aboliamo le prigioni?" sarà presentato domenica a Roma al Volturnoccupato, via Volturno 37 alle ore 19 nell’ambito di una "giornata sulla prigionia femminile" organizzata da Scarceranda e Ora d’aria. Che fine ha fatto la famosa compagna afroamericana Angela Davis, per la cui liberazione ci si mobilitò in tanti, e con successo, sia in America che in Europa nei primissimi anni Settanta? È rimasta al suo posto: sempre idealmente vicina ai suoi vecchi "maestri", il filosofo Marcuse e il detenuto ammazzato in carcere George Jackson, da studiosa e militante ha continuato ad approfondire certi temi, e, mutando e migliorando sempre il suo approccio, propone ora come approdo la lotta per l’abolizione delle prigioni. Così come si è fatto prima per la schiavitù e, ormai in molti paesi, per la pena di morte. (Angela Davis, Aboliamo le prigioni?, Minimum Fax, 270 pagine, euro 14,50). Le prigioni sono un cancro nel cuore della democrazia che, così, non è più tale. Il carcere infatti non è solo la prigione, è una vasta intricata e ignorata rete di interessi e conseguenze, è un "complesso carcerario-industriale". "Le strategie di abolizione del carcere riflettono una comprensione dei nessi tra istituzioni che di solito concepiamo come diverse e slegate (…) La povertà persistente nel cuore del capitalismo globale porta a un aumento della popolazione carceraria, che a sua volta rafforza le condizioni che perpetuano la povertà". I carcerati sono gli eredi degli schiavi, persone senza diritti (e gli ergastolani gli eredi dei condannati a morte). La vecchia pena visibile si occulta dietro i muri, e grazie all’invisibilità viene accettata come cosa normale. Ma da questo laboratorio-memoria ogni tanto le sue tecniche devono fuoriuscire. Mica sono lì per niente. Quando ciò avviene, a Guantanamo o ad Abu Ghraib in Iraq, magari sotto forma di tortura filmata, il progressista scende in campo in difesa della "democrazia", cui tali aspetti sarebbero estranei: in realtà continua a ignorare la fonte, "il cancro" della cosiddetta democrazia, la sua realtà quotidiana. Ma ora in America ci sono più di due milioni di reclusi. Come nascondersi con tali numeri che il carcere è ormai un ghetto dove buttar via una buona parte della gente ormai considerata superflua, demonizzandola, sottoponendola a un trattamento che terrorizzi gli altri superflui e cementi la morale della gente perbene? E come ignorare che l’esportazione della "democrazia" americana esporta anche questo cancro, che esso ne fa parte "di brutto"? Ecco: un discorso semplice, lineare. Siamo arrivati a un momento chiave, possiamo ripercorrere a ritroso il cammino del cancro, giungere alla logica conclusione del discorso (la "democrazia dell’abolizione"). Ma immagino che l’intellettuale italiano medio qualificherà questa analisi come rozza: slogan pietrificati, detriti sociologici… E se fosse evangelica chiarezza? Il futuro che già vediamo in atto anche qui? Beh, se non lo riconosceremo, sarà allora difficile capire il successo ottenuto nel 1998 dagli studenti americani con sit-in e manifestazioni in cinquanta campus. Avevano visto in un filmato che "Le guardie del Brazoria County Detention Center usavano pungoli elettrici per il bestiame e altre forme d’intimidazione per ottenere il rispetto e costringere i prigionieri a dire: Amo il Texas". A guadagnare in quel carcere privatizzato era la Sodexho (con sede a Parigi!): tra le università che hanno rinunciato ai servizi della Sodexho figurano la Suny di Albany, il Goucher College e la James Madison University. La Sodexho ha ceduto, ha mollato il Brazoria. Se non lo riconosceremo, faremo girotondi. In appendice al libro della Davis, Guido Caldiron e Paolo Persichetti provano generosamente a dimostrare l’attualità delle tesi abolizioniste dell’autrice riferite alla situazione italiana ed europea. Un’attualità tutt’ora virtuale, s’intende. Immigrazione: Trento; 300 truffati con falsi contratti, 6 arresti
Ansa, 6 marzo 2009
Truffavano le persone che volevano immigrare in Italia per lavorare facendosi pagare finti contratti con le aziende. Sono sei le persone, italiani, egiziani e marocchini, arrestate con le accuse di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, falso in atti pubblici e privati nonché contraffazione di timbri. L’operazione della questura di Trento è stata condotta in diverse regioni italiane dalla Polizia di Stato delle Squadre Mobili di Mantova, Bolzano e Milano. Perquisizioni anche a Roma. L’organizzazione criminale, falsificava documentazione di aziende trentine utilizzando timbri contraffatti dell’ufficio provinciale del lavoro di Trento che inviava poi a cittadini marocchini. Questi ultimi, sicuri di poter avere il visto d’ingresso per l’Italia per lavoro, pagavano all’organizzazione dai 5.000 ai 7.000 euro. Le vittime, ricevuta la documentazione in Marocco, si presentavano presso il consolato italiano di Casablanca e l’ambasciata di Rabat per ottenere il visto, ma gli uffici diplomatici, verificata la falsità degli atti, negavano il visto d’ingresso. Oltre 300 i marocchini vittime della truffa. Immigrazione: Novara; Caritas assiste clandestini Lega protesta
La Repubblica, 6 marzo 2009
È scontro Lega - Caritas per gli aiuti dati dall’associazione cattolica a 100 clandestini, molti diventati tali per aver perso il lavoro. "Non è giusto che assista irregolari con i contributi che riceve da enti pubblici per la sua attività", ha infatti tuonato detto il sindaco leghista Massimo Giordano. Nelle stesse ore il sindaco Pd di Vicenza ha emesso un’ordinanza che vieta di chiedere la carità fuori dalle chiese, come è avvenuto a Crotone dove una nuova ordinanza vieta anche di mangiare in pubblico e sistemare giacigli per strada. Un provvedimento deciso per la "massiccia presenza di extracomunitari che generano disagio e precarie condizioni igieniche con i bivacchi", hanno spiegato i consiglieri. A Lampedusa il dibattito politico su immigrati e sbarchi è finito con lanci di bottiglie d’acqua e malori a tra la maggioranza e l’opposizione che accusava il sindaco di non chiedere in modo abbastanza forte la chiusura del Cie e di essersi "venduto" al governo. Immigrazione: Roma; sezione per trans in Cie Ponte di Galeria
Ansa, 6 marzo 2009
Nel Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie) di Ponte Galeria sarà previsto un settore per i trans; una categoria di persone che necessita di una gestione a parte. Ad annunciarlo è stato Fabio Ciciliano, direttore del Cie, in occasione della firma del Protocollo d’intesa tra il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, e la Croce rossa italiana, che ha la gestione del Centro. In seguito all’accordo, l’Ufficio del Garante si impegna a seguire, con incontri settimanali, gli "ospiti" del Cie, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione e la diagnostica sanitaria. "Ci stiamo attrezzando anche per corsi di formazione. Pensiamo che gli immigrati siano soggetti deboli come i detenuti, e quindi vanno tutelati" ha anticipato Marroni. Ha sottolineato, invece, la differenza Ciciliano: "Gli ospiti non sono detenuti; possono liberamente circolare nel centro, usare il cellulare, fare acquisti. Non sono minimamente soggetti a restrizioni paragonabili a quelle delle carceri; senza contare che la Polizia penitenziaria nei Cie non è nemmeno contemplata, l’ospite ha a che fare solo con la Croce Rossa". Ponte Galeria è uno dei Centri migliori d’Europa ed il più grande in assoluto: con i suoi 50 mila metri quadri può ospitare fino a 364 immigrati. "Non uno di più - ha puntualizzato Ciciliano - nonostante i recenti ingressi provenienti da Lampedusa, non abbiamo problemi di sovraffollamento. Ad oggi contiamo 316 persone e siamo in attesa di altre 40, ognuno dei quali avrà un proprio spazio da gestire". All’arrivo al Cie gli immigrati ritirano un kit di primo ingresso per l’igiene personale, più gli indumenti (scarpe e pantofole comprese). Nel corso del soggiorno, poi, ricevono una scheda telefonica di 5 euro ogni dieci giorni e un buono di 5,8 euro ogni tre giorni. Sulla qualità del vitto ha garantito anche Marroni. Sono tutti questi motivi che rendono Ponte Galeria, a dieci anni dalla sua nascita, un centro di eccellenza, attestato anche da due importanti riconoscimenti internazionali: la Certificazione di qualità del servizio e la Certificazione etica. Il Centro ospita per lo più Tunisini, ma c’è un numero nutrito anche di Nigeriane e Cinesi. Questi ultimi sono i più difficili da rimpatriare. La questione del rimpatrio è particolarmente spinosa: "Il problema è aggravato dalla mancanza di collaborazione dei Paesi di origine. Diventa così difficile identificare un immigrato e di conseguenza farlo tornare al luogo di provenienza", ha concluso Ciciliano. Mondo: Msf; ogni giorno curiamo più di 12.000 vittime di stupro
Asca, 6 marzo 2009
In vista della giornata internazionale della donna, Medici Senza Frontiere (Msf) lancia oggi il rapporto "Vite spezzate", che riassume l’esperienza dell’organizzazione umanitaria nel sostegno alle vittime di violenza sessuale, basato sulle sue attività in Liberia, Burundi, Repubblica democratica del Congo, Sud Africa, Colombia e in altri paesi. "Nel 2007, i nostri team hanno curato oltre 12.000 vittime di violenza sessuale in tutto il mondo, sia in luoghi di conflitto che in zone stabili - spiega Meinie Nicolai, direttrice delle operazioni di Msf - circa 35 persone ogni giorno nei soli progetti di Msf. Le vittime raccontano storie di orrore, dolore e degrado, spesso inflitti proprio dalle persone che dovrebbero garantire loro protezione, come padri, zii, vicini di casa o soldati. Tutte le vittime di stupro corrono seri rischi a lungo termine per la salute". La profilassi successiva alla violenza per prevenire l’eventuale contagio dell’infezione Hiv è fondamentale nell’assistenza alle vittime di stupro; il trattamento profilattico deve iniziare il prima possibile e assolutamente entro le 72 ore per essere efficace. La terapia include anche la profilassi per la prevenzione di altre infezioni sessualmente trasmissibili, come l’epatite B. Per le persone ferite è obbligatorio il vaccino contro il tetano. La contraccezione di emergenza per scongiurare il rischio di gravidanze indesiderate è possibile fino a cinque giorni dopo il rapporto. "Le cure di emergenza specifiche di cui le vittime di stupro hanno bisogno sono molto rare o completamente assenti nei paesi in cui operiamo - afferma Thilde Knudsen, responsabile di Msf per la salute sessuale e riproduttiva -. Il trauma non può essere completamente rimosso. I postumi psicologici della violenza rischiano di compromettere seriamente la qualità di vita delle vittime. Tuttavia un tempestivo e mirato trattamento medico di emergenza, abbinato a un adeguato supporto psicologico, sociale e legale, possono limitare i danni e aiutare le vittime a sopravvivere". L’assistenza alle vittime di violenza sessuale richiede il coinvolgimento di diversi soggetti. Una risposta coordinata tra le organizzazioni impegnate nel supporto medico, sociale e legale è il modo migliore per prestare soccorso a coloro che hanno subito il trauma di uno stupro. Una delle difficoltà maggiori riscontrate da Msf è garantire che le persone portino a termine le cure e che lo facciano abbastanza rapidamente. "Integrare i servizi medici per le vittime di violenza sessuale nel sistema di assistenza sanitaria generale - spiegano Msf - può contribuire a garantire la riservatezza, anche se spesso, per rompere i tabù legati alla violenza sessuale, si rendono necessarie delle aggressive campagne di sensibilizzazione". Il rapporto comprende anche un capitolo dedicato alle vittime di sesso maschile. Uomini e ragazzi costituiscono una piccola minoranza della popolazione curata da Msf nei progetti sulla violenza sessuale (circa il 6% di quelli in corso a Khayelitsa, nel Sud Africa e a Masisi, nella Repubblica Democratica del Congo). Per gli uomini è ancora più difficile chiedere aiuto in caso di stupro, per loro i tabù sono maggiori rispetto a quelli delle donne. In genere gli uomini vittime di abusi vengono ignorati e non trattati. "Questo rapporto nasce dal desiderio di condividere le nostre esperienze con gli operatori sanitari e le organizzazioni umanitarie di tutto il mondo, a beneficio di tutte le vittime di violenza sessuale - afferma Meinie Nicolai -. Il rapporto esprime anche tutta la nostra indignazione. I nostri operatori ascoltano ogni giorno storie piene di dolore che raccontano di abusi orribili. Ci sentiamo obbligati a parlarne. Per quanto il fenomeno sia diffuso in alcuni dei luoghi in cui lavoriamo, non esistono giustificazioni per la violenza sessuale".
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