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Giustizia: "pentimento securitario" la maggioranza scricchiola di Marzia Bonacci
Aprile on-line, 21 marzo 2009
La polemica sul ddl sicurezza è ancora al centro della politica italiana. Il ministro Sacconi, ma anche esponenti della Lega, ammettono che sul provvedimento dei "medici-spie" si può discutere per una soluzione condivisa tra le varie anime del centrodestra. Ieri anche Berlusconi si era detto contrario alla norma. Più difficile la questione delle ronde, sui cui i lumbard non vogliono mollare Pressing dell’opposizione, dissidenza interna con più di cento parlamentari guidati dalla Mussolini che si dicono contrari, l’occhio critico dell’Europa e del Vaticano puntato addosso. E poi, la nascita del Pdl, la definizione dei futuribili rapporti di forza interni tra An e Fi, la competizione per accreditarsi come destra credibile, in senso liberale e democratico, il pericolo di apparire ostaggio della Lega. Insomma, la maggioranza scricchiola sul tema sicurezza e Berlusconi vacilla. La politica securitaria, fino ad oggi scritta dai lumbard, sembra dovrà essere rivista. L’introduzione della delazione degli immigrati clandestini da parte di pubblici ufficiali (dai medici agli insegnanti), passando per le ronde, alimentano una polemica politica tale da costringere il governo ad ammettere che si, si potrebbe fare. Rivedere le misure, così care allo stato maggiore leghista, è un’ipotesi al vaglio dell’esecutivo. Meno probabile, nonostante l’uscita di giovedì del Cavaliere (che si è detto disponibile a cancellare l’emendamento Bricolo e poco affezionato alla sicurezza fai da te), il marcia indietro sulle ronde. Sull’obbligo di denuncia dei clandestini da parte dei medici, previsto nel ddl sicurezza, il ministro del welfare Sacconi ha infatti precisato che il governo "sta valutando quali soluzioni adottare". Fermo restando che "dobbiamo organizzarci per un più rigoroso monitoraggio della salute dei cittadini che entrano nel nostro Paese provenendo da aree più sregolate e meno attrezzate a prevenire malattie e patologie", perché questo problema a suo dire esiste e "deve essere affrontato". Un’apertura che era stata annunciata dallo stesso premier ieri da Strasburgo, ma che certo è un boccone amaro da ingollare per le camice verdi. "Si è fatta una grande polemica sul nulla", dice il ministro dell’Interno Maroni, perché la delazione dei clandestini da parte dei medici "è utile e c’e’ in tutti i paesi d’Europa". Ma Maroni sa che il premier ha parlato e ha promesso una rivisitazione, quindi in qualche modo recede da un atteggiamento granitico: "se la preoccupazione è quella dell’introduzione dell’obbligo dico che noi siamo per l’abolizione del divieto non per l’introduzione dell’obbligo". E ha poi ricordato che l’emendamento Bricolo sia stato "un’iniziativa del Senato e non del governo. Ora va alla Camera: noi la seguiremo con attenzione". Ma il punto è che già la possibilità della denuncia, sostengono associazioni e sindacati, può avere conseguenze negative per la salute collettiva, spingendo nella clandestinità gli immigrati malati e privi di permesso di soggiorno, scoraggiandoli a recarsi presso i presidi sanitari con il rischio della diffusione delle patologie. Per questo la partita che ora si apre è importante: evitare "soluzioni pasticciate" ha detto il senatore Pd Marino, indicando nella cancellazione anche della possibilità della denuncia, l’unica strada praticabile. Il rischio è infatti che il governo, in particolare Berlusconi, medi con la Lega sul terreno della non obbligatorietà della delazione dei clandestini da parte dei sanitari: il che, come sottolineano in molti, non basterebbe a detonare le conseguenze nefaste del provvedimento. Diverso è il tema delle ronde, su cui il premier oggi è intervenuto precisando che "mai detto che le ronde non servono, ma ho semplicemente spiegato che abbiamo dato un pretesto all’opposizione per attaccarci". Un colpo al cerchio e uno alla botte della Lega, a cui si può chiedere una rinuncia, ma senza aprire conflitti insanabili, senza arrivare a lacerazioni controproducenti. Ma sul tema l’opposizione non molla l’osso, dopo aver incassato anche la contrarietà dell’Associazione funzionari di polizia che, riferendosi al ddl sicurezza, parla di "norme che costringerebbero a rischi inaccettabili". Per questo il segretario democratico ha rilanciato: "Mi sembra che si stiano dividendo su tutto", ha detto Franceschini, anche perché "quando si accettano proposte che non stanno né in cielo né in terra, prima o poi ci si accorge che non stanno in piedi". Spera, il segretario, che "il ravvedimento sulle ronde porti a rivedere un provvedimento sbagliato". Un fatto di "coerenza" gli fa eco la capogruppo democratica al Senato Finocchiaro. Che la maggioranza sia in fibrillazione lo dimostrano le dichiarazioni piovute da entrambe le parti, Lega e Pdl, per smorzare una polemica intestina che è più che evidente. "Rapporti di sana conflittualità" che diventano "più marcati nei periodi preelettorali" (Quagliariello, vicario dei senatori azzurri); "si possono avere punti di vista diversi, ma il confrontarsi ha sempre dato risultati" (sottosegretario all’Interno Mantovano); "ci confronteremo per soluzioni condivise" (senatore leghista Bricolo); Berluosconi e Bossi "troveranno una soluzione anche questa volta" (ministro padano Zaia). Tra tante voci, quella più interessante è del vicepresidente dei deputati Pdl. Secondo cui l’iniziativa della lettera dei cento parlamentari dissidenti "è servita a ridisegnare alla vigilia della sua nascita il profilo del Pdl come partito aperto, democratico ed europeo" ma soprattutto "perfino l’equilibrio tra i due leader fondatori", cioè Fini e Berlusconi, al braccio di ferro tra i quali riconduce, non troppo velatamente, tutta l’affaire sicurezza esploso in queste ore, a ridosso di scioglimenti e nuove nascite partitiche. Giustizia: Alfano; niente benefici premiali per i reati più gravi di Marco Menduni
Il Secolo XIX, 21 marzo 2009
La risposta del ministro della giustizia Angelino Alfano sulla certezza della pena: "Lavoreremo sulle ipotesi più gravi di reato per escludere i benefici premiali, così come abbiamo già fatto con i reati di violenza sessuale". Sconti già cancellati, nel decreto sicurezza, per gli autori degli stupri. Il Guardasigilli risponde alla lunga inchiesta del Secolo XIX sulla concessione delle riduzioni di pena (soprattutto di un terzo) ai responsabili di reati gravissimi: l’omicidio volontario e perfino la strage.
In Austria Josef Fritzl, il padre-mostro, è accusato di omicidio preterintenzionale, riduzione in schiavitù, violenza privata, sequestro di persona, stupro e incesto. Viene condannato all’ergastolo in soli quattro giorni... "Anche in Italia ci sono riti immediati e direttissimi che potrebbero dare un ottimo risultato in termini di rapidità del processo. In realtà quello celebrato in Austria, nei modi e nei tempi, potrebbe essere un processo celebrato in Italia con il rito abbreviato".
Però li si è concluso con una condanna a vita. In Italia la concessione automatica del rito abbreviato, con lo sconto automatico della pena, ha partorito sentenze assurde e soprattutto non comprese dal comune sentire... "Il rito abbreviato nasceva dall’esigenza di comminare una pena rapida e certa. L’idea era giusta, ma si sono verificate delle distorsioni. Poiché anche con il rito abbreviato è possibile infliggere, ad esempio, l’ergastolo, il problema semmai non è quello del rito, bensì del criterio di applicazione della pena, che non può e non deve rappresentare un percorso premiale".
Il problema della rapidità della giustizia è però il cruccio che affligge non solo il Guardasigilli, ma tutti gli italiani... "Da quando mi sono seduto nel mio ufficio da ministro, un ufficio abbastanza grande, che non ha bisogno di un ampliamento del venti per cento, la mia principale preoccupazione sono stati i tempi della giustizia. Perché una decisione, una sentenza che arriva in tempi troppo lunghi è di per se stessa ingiusta".
Per ora avete affrontato, in prima battuta, il tema della giustizia civile… "Facciamo i conti: visto che in ogni causa ci sono almeno due cittadini che si contrappongono, un arretrato di cinque milioni di cause civili vuol dire frustrare le esigenze e aumentare la disillusione verso lo Stato di dieci milioni di persone. Noi abbiamo inserito la riforma della giustizia civile in un collegato alla Finanziaria. Per questo ci hanno contestato, dicendo che avremmo dovuto seguire una via più lunga e istituzionale".
Le commissioni, gli esperti... "Io obietto due cose. La prima: se il problema è la rapidità, i tempi lunghi sono un lusso che questo Paese non può più permettersi. Poi un altro evento mi ha convinto".
Qual è stato, ministro? "Girando per l’Italia sono stato assalito da centinaia di persone che volevano entrare nella nuova commissione di riforma della giustizia. Per dare il loro contributo, certo, ma con un giorno alla settimana a Roma con vitto e alloggio pagati. Perché è sempre andata così. Ogni ministro ha insediato la sua commissione. Quando ottimi giuristi avevano finito e offerto un buon lavoro, il ministro di solito decadeva. Il successivo aveva la sua sensibilità: ringraziava tutti... e formava una nuova commissione. Ebbene, io non ne ho fatte. Ho detto: tiriamo fuori dai cassetti le proposte già elaborate e con la "nostra" sensibilità prendiamone il meglio".
Le lentezze della giustizia derivano però anche da meccanismi assolutamente medievali. Un’altra nostra inchiesta ha messo in luce come buona parte dei rinvii delle udienze derivano, ad esempio, dal meccanismo assurdo delle notifiche: per posta. "I tempi lenti e i rinvii: nella mia esperienza di ministro ho già avviato disciplinari per gli errori e il cattivo utilizzo fatto delle norme sulle notifiche. Penso però che i buchi neri della normativa potranno essere illuminati dal processo telematico, sia nel civile ma anche nel penale. Le notifiche, ad esempio, potranno essere fatte agli studi legali attraverso e-mail con firma certificata e non per posta. Però occorre la piena collaborazione sia dei magistrati, sia degli avvocati. Ogni arroccamento su rendite di posizione non sarà appoggiato dal governo".
Nell’informatica lei vede la possibilità di sveltire tutto questo apparato elefantiaco. "Per i magistrati ci sarà l’obbligo di formazione informatica. Ma nell’era di internet anche i nostri studi legali non possono certo fare a meno della rete. E comunque anche per una parte dell’avvocatura non potrà più valere il vecchio detto "processo che attende, processo che rende".
Il ministro era ieri a Genova proprio per l’avvio del processo telematico al palazzo di giustizia, ospite dell’Ordine degli avvocati "e convinto anche da quel vecchio amico e collega che è Roberto Cassinelli". Lei è avvocato e l’avvocatura da lei si attende buone cose. "Il nostro progetto prevede la definitiva "costituzionalizzazione" del ruolo di avvocato. Noi vogliamo un sistema di assoluta parità. Da una parte il pm, dall’altra la difesa. E in mezzo, assolutamente equidistante, un giudice terzo e imparziale".
Eppure, sul versante dell’opposizione, c’è chi dice che il vostro agire di governo sposi troppo la linea della difesa, con l’effetto finale di favorire i colpevoli. "Vuole un esempio del contrario? Questo governo ha fatto leggi contro la Mafia durissime. Fino a poco tempo fa il boss che si dichiarava nullatenente aveva diritto al gratuito patrocinio. Insomma: l’avvocato glielo pagavamo noi. Oggi noi abbiamo recuperato quei fondi e li abbiamo destinati alle vittime delle violenze sessuali".
Ancora una nostra inchiesta: le carceri. Nel distretto della Liguria abbiamo evidenziato realtà disagiate e fatiscenti, ma anche qualche nota di speranza. Il problema è che il dislivello tra gli istituti appare macroscopico. "I nostri istituti sono troppo vecchi e anche le nuove costruzioni non hanno sempre corrisposto alle aspettative. I detenuti sono, per il 40 per cento, extracomunitari e bisogna trovare il modo perché scontino la pena nel loro Paese d’origine. Più della metà della popolazione carceraria è composta da persone in attesa di giudizio, cioè da presunti innocenti. L’indulto ha esaurito ogni suo effetto e spesso nelle carceri si vive in condizioni in cui non viene rispettata la Costituzione. A chi ha sbagliato possiamo chiedere di saldare il suo debito con la società e con le vittime, ma non di dimettersi da uomo".
Quali le soluzioni? "Ai primi di maggio presenteremo il piano delle carceri, un check preciso della situazione e degli interventi da compiere. Il censimento è già stato fatto. Ma spesso ci sono istituti nuovi, da inaugurare, che già da subito potrebbero essere aperti, sostituendo quelli più antichi e fatiscenti. Ma questo non accade e l’unico motivo è la lentezza delle procedure burocratiche. Noi cercheremo di sveltirle al massimo. Mi prendo un impegno: tornerò a Genova appositamente per visitare il carcere di Marassi. Oggi avrei voluto fare una visita più lunga e non di fretta; avendo un calendario fitto, tornerò appositamente per visitare le carceri". Giustizia: al Nord il 66% delle ordinanze comunali su sicurezza di Paolo Silvestrelli
Italia Oggi, 21 marzo 2009
I sindaci dei comuni del Nord Italia risultano i più attivi in materia di sicurezza urbana. Il 66,7% delle ordinanza emanate, a seguito dei maggiori poteri conferiti agli amministratori comunali dal decreto Maroni, sono state infatti emesse nel 40,3% dei casi nel Nord-Est e nel Nord-Ovest per il 26,4%, in particolar modo in comuni con una popolazione che oscilla tra i 5 mila e i 50 mila abitanti. Secondo un’indagine che l’Anci ha eseguito analizzando più di 600 provvedimenti, è infatti emerso una sostanziale differenza di atteggiamento dei comuni del Centro e del Sud, dove rispetto al Nord si registrano un numero di ordinanze inferiori rispettivamente quantificate nella misura dell’11,7 % e del 14,9%. Il tema maggiormente regolato con le ordinanze sindacali è il divieto di prostituzione 16%, seguito dal divieto di consumo e di somministrazione di bevande alcoliche 13,6% mentre il 10% dei provvedimenti prevede interventi contro il fenomeno del vandalismo e del danneggiamento del patrimonio pubblico e privato. La Lombardia è la regione prima in classifica per numero di ordinanze. In ben 82 comuni, infatti, sono state firmate 144 provvedimenti. A seguire c’è il Veneto con 77, l’Emilia Romagna con 52 e il Piemonte 35. Fanalino di coda per Basilicata, Molise ma anche Trentino Alto Adige con solo 2 ordinanze emesse. Ma per Emilia Romagna, Toscana e Veneto pur essendo state emesse un numero inferiore di ordinanze della Lombardia si registrano però percentuali più elevate di coinvolgimento dei comuni. Tra le prime cause alle quale i cittadini attribuiscono l’aumento dell’insicurezza, al primo posto in tutte le città c’è la scarsa efficacia della giustizia 37% a cui fa seguito la mancanza e la precarietà del lavoro 36% e l’aumento della disuguaglianza e la crisi economica mentre solo per il 24% delle opinioni rilevate il problema principale è quello dell’immigrazione. Dall’indagine dell’Anci emerge anche un rafforzamento del ruolo del sindaco che da "rappresentante dell’ente della comunità locale", si evolve in un vero e proprio "ufficiale di governo", che porta ad interpretare questo nuovo impianto del nuovo articolo 54 del d.legisl. 267/2000 modificato dal di n. 92/2008 e convertito in legge n. 125/2008, consente di inquadrare il tema della sicurezza urbana in una prospettiva in cui le ordinanze dei sindaci costituiscono il modo migliore per affrontare il problema della sicurezza ma costituendo allo stesso modo una "deroga permanente al riparto di competenze tra i diversi livelli di governo territoriale" ponendo il ruolo del sindaco in una prospettiva di livello statale. Ma i sindaci chiedono anche interventi di supporto alle loro ordinanze : primo fra tutti è il sostegno alla polizia locale, attraverso sistemi di video sorveglianza, presidi fissi in luoghi specifici della città. Poi la riqualificazione urbana e il contrasto al degrado con progetti di riqualificazione e potenziamento dell’illuminazione oltre al sostegno alle vittime e prevenzione sociale. Da segnalare che i cittadini chiedono sempre più potere per i sindaci anche se come rovescio della medaglia non vi è una totale fiducia per come vengono gestite le ordinanze. Da segnale infine l’attivismo del sindaco di Novara Massimo Giordano, che proprio ieri ha firmato sette ordinanze per contrastare il degrado e favorire il decoro della città. Giustizia: stupro in parco della Caffarella; ecco i veri colpevoli di Massimo Lugli
La Repubblica, 21 marzo 2009
La "prova regina", stavolta, non lascia spazio a dubbi. Il dna coincide, al cento per cento, con quello degli stupratori della Caffarella. Volta pagina a sorpresa, con un finale che nessuno si aspettava, l´indagine sull´aggressione ai due fidanzatini nel parco della Caffarella. In manette sono finiti due volti nuovi, mai sfiorati dall´inchiesta prima d´ora e, secondo il gip Guglielmo Muntoni, che ha convalidato il fermo, inchiodati con certezza alla "criminale violenza sessuale perpetrata ai danni della giovanissima vittima". Gli arrestati si chiamano Alexandru Jean Ionut, 18 anni e due mesi, incensurato, in Italia da anni, e Gavrila Oltean, 27 anni. Il primo è stato ammanettato il 15 marzo scorso nell´ex Fiera di Roma, dove il Comune ha allestito un ricovero per gli sfollati dei vecchi campi demoliti dalle ruspe, il secondo era stato bloccato tre giorni dopo a Udine, dai carabinieri, su un furgone Volkswagen carico di motori rubati, per un vecchio ordine di custodia per ricettazione. Fino a ieri pomeriggio nessuno dei due sapeva di essere sotto tiro anche per lo stupro della quattordicenne. Entrambi saranno interrogati entro cinque giorni dal magistrato ma, secondo il pool investigativo di Vittorio Rizzi, stavolta non ci saranno sorprese: "Alla luce delle prove acquisite, risulta provato con certezza che gli autori materiali dei reati sono i due indagati - aggiunge il gip Muntoni - i quali hanno programmato una serie di rapine in danno di adolescenti nei parchi di quella zona di Roma e il 14 febbraio scorso hanno ritenuto di procedere anche alla disgustosa e davvero criminale violenza sessuale". I campioni di saliva dei due romeni coincidono con quelli rilevati sui mozziconi di sigaretta trovati sul posto, sul fazzolettino recuperato dalla scientifica e sulla gonna e sul giaccone della ragazza. Il test, disposto dal pm Vincenzo Barba è stato effettuato dalla genetista Carla Vecchiotti, dell´istituto di medicina legale della Sapienza. I due sono stati anche riconosciuti dai due fidanzatini e hanno una vaga somiglianza con Alexandru Istzoika e Karol Racz, i primi arrestati che restano in carcere. Istzoika è accusato di calunnia nei confronti della polizia romena, Racz dello stupro di Primavalle. Da San Vitale, nessuna foto dei due nuovi arrestati. "Ci hanno accusato di aver sbattuto il mostro in prima pagina, non lo faremo più" commenta asciutto il questore Giuseppe Caruso in un clima da squadra che ha vinto lo scudetto. Un´indagine "capovolta" che ha escluso, momentaneamente, i test sul dna effettuati in Romania e la pista dei ricettatori per concentrarsi su una serie di rapine in fotocopia messe a segno nella zona. Il 13 febbraio, nella zona del Parco Scott, due romeni aggrediscono quattro ragazzini, minacciandoli con un bastone. Bottino: cellulari e scarpe sportive (che finiscono in Marocco dopo una serie di passaggi e vengono pagate molto bene). Il giorno successivo scatta l´aggressione e lo stupro dei fidanzatini, alla Caffarella, anche loro derubati dei cellulari. Il 15 febbraio, in via Lemonia, parco degli Acquedotti, tocca a una coppia di sedicenni. "Dammi il telefonino o ti violento" intima uno dei rapinatori alla ragazza. È quest´ultimo colpo il filo che porterà a Ionut e Oltean. Il cellulare del ragazzo si accende il 18 marzo scorso ma con una scheda intestata a un romeno. Il telefonino verrà rivenduto al mercatino di viale Castrense, lo stesso dove due marocchini hanno tentato di smerciare il cellulare del ragazzo della Caffarella. Da un controllo delle "celle", la stessa scheda telefonica viene localizzata nelle rapine precedenti: ce n´è abbastanza per il test del Dna. Che stavolta fa centro. Nel frattempo, il Tribunale del riesame ha reso note le motivazioni per cui Alexandru Istzoika e Karol Racz sono stati scagionati. La confessione del biondino è definita "radicalmente mendace" e il riconoscimento dei due fidanzati inattendibile e contraddittorio. Resta da chiedersi quali sono le prove che li tengono ancora dietro le sbarre. Giustizia: stupro della Caffarella; un pasticcio imbarazzante
La Repubblica, 21 marzo 2009
Il coro unanime di complimenti alle forze dell’ordine per l’arresto dei due nuovi presunti responsabili dello stupro della Caffarella sono un insulto all’intelligenza dei cittadini. Ieri è stata data notizia che due persone, di nazionalità rumena, sono state arrestate perché ritenute responsabili di quello che fino a poche ore fa ed "oltre ogni ragionevole dubbio" era stato imputato al "biondino" ed a "faccia da pugile", ovvero Alexandru Isztoika Loyos e Karol Racz. La superficialità di magistrati, inquirenti e media dovrebbe indurre non applausi, ma scuse, autocritica ed anche sanzioni per chi ha sbagliato. Secondo fonti di stampa gli investigatori avrebbero definito come "molto somiglianti" ai due primi "ex colpevoli certi" i due nuovi imputati. La logica dovrebbe indurre i giornalisti a chiedersi come mai Loyos abbia confessato un reato non commesso e abbia tirato in ballo un’altra persona. Il magistrato dovrebbe spiegare come mai fosse certo che i due arrestati nel primo round di questa vicenda fossero almeno "presenti sul luogo", mentre oggi, sempre per quanto trapela dalla Questura tra i quattro non esisterebbe rapporto alcuno. Magistrato ed inquirenti dovrebbero far capire ai cittadini come mai la vittima della violenza e il suo fidanzato abbiano indicato Loyos e Racz e perché, secondo le parole capo della squadra mobile, Vittorio Rizzi, ieri "c’è stato un riconoscimento", diverso. Sempre il capo della mobile dovrebbe far comprendere perché ieri ha detto "indagheremo per accertare i perché della confessione di Loyos, che seppure per pochi giorni ha rallentato le indagini", invece di dire che saranno cercate le responsabilità per possibili vessazioni ai danni di un cittadino probabilmente innocente. La cronaca ha descritto il modo in cui si è arrivati ad individuare i due nuovi presunti colpevoli. Gli stupratori, pare, fossero già in carcere: uno era detenuto a Roma e l’altro a Trieste. Entrambi erano in prigione per rapine e furti avvenuti in zone isolate e parchi. Sembra che indagando su questi episodi gli investigatori li abbiano collegati al crimine della Caffarella. Quindi l’analisi sul Dna e la compatibilità con quello trovato sugli indumenti della ragazza violentata. Una domanda: gli investigatori che hanno individuato i nuovi presunti colpevoli sono gli stessi che avevano "trovato" i primi? Perché, se si trattasse di gruppi differenti sarebbero possibili molte riflessioni. Poi i giornali ed i giornalisti che hanno scritto fiumi di parole dando per certo quello che non era, assumendo ancora una volta il ruolo di sceriffi, invece di conservare quello di fedeli narratori della realtà. Per loro non sarebbe sbagliato cercare un diverso modo di affrontare la cronaca. In questa vicenda nessuno merita complimenti, perché è l’ulteriore testimonianza di quanto gli astrusi teoremi prevalgano sulla logica degli avvenimenti. Per chi dovesse dire "ecco, anche questi sono rumeni" la risposta è scontata: sono stupratori e basta, come ce ne sono per disgrazia tanti e la stragrande maggioranza di loro è italiano. Giustizia: Ghedini; liberate quelli accusati da "indagini-show" di Virginia Piccolino
Corriere della Sera, 21 marzo 2009
Il primo auspicio che formula è: "Speriamo che siano quelli giusti". Il secondo è che "gli altri due ancora in carcere anche se la prova del Dna li ha scagionati, se innocenti, siano rimessi subito in libertà". Niccolò Ghedini, avvocato e consigliere più fidato del premier in materia di giustizia, alla notizia dell’arresto di altri due ragazzi romeni, accusati dello stupro della Caffarella, punta il dito contro i "gravi danni" che può provocare la "spettacolarizzazione delle indagini".
Spettacolarizzazione? "Ma certo. Io non conosco le carte di questo processo. Ma mi risulta che ci siano due persone in carcere che erano state subito presentate come colpevoli. E che nonostante le prove contrarie, quelle del test del Dna, sono ancora lì".
Per altri reati già compiuti. "Già. Ma uno è per calunnia e autocalunnia, reati minori rispetto all’accusa iniziale. L’altro per un secondo stupro. Ma sembra non abbia commesso nemmeno quello...".
Dunque? "Dunque esiste un problema: le procure e le autorità giudiziarie tendono a dare le notizie delle inchieste in tempo reale. E questo può causare danni gravi alle indagini ma anche agli indagati".
Intende a Racz e Loyos? "Sicuramente questo vale per l’ingegner Zornitta. La gente ora ha quasi dimenticato il suo nome, ma è la persona accusata di essere Unabomber. Per mesi e mesi è stato massacrato prima di essere scagionato da ogni accusa. I due romeni non lo so… però".
Però? "Però la custodia cautelare dovrebbe essere davvero l’estrema ratio. Io preferirei processi molto rapidi con soggetti non detenuti. Per i detenuti il processo dovrebbe essere immediato. Come accade in altri Paesi, dove non succede quello che abbiamo visto con questa vicenda".
Ovvero? "Devo dire che questa vicenda è stata trattata in maniera anomala. Abbiamo addirittura visto il video della confessione (che poi abbiamo scoperto non essere una confessione) trasmesso dalle reti Rai".
La pressione non era anche politica oltreché mediatica? "La politica deve rispondere alle richieste della gente. Ma ogni qual volta si varano provvedimenti sulla spinta dell’onda emotiva, successiva a gravi fatti di cronaca, si rischia di fare peggio anziché meglio".
Su questo caso è stato costruito un decreto. La sua perplessità vale anche per quel provvedimento? "Io condivido il provvedimento del governo. C’era la necessità di spegnere un forte allarme sociale. Però non bisogna essere mai troppo frettolosi". Padova: detenuto tunisino di 30 anni si è impiccato in carcere
Il Mattino di Padova, 21 marzo 2009
Un tunisino di 30 anni, Jed Zarog, si è suicidato in cella martedì scorso. Il corpo del giovane è stato trovato nella sua cella della Casa Circondariale di via Due Palazzi ormai privo di vita da una delle guardie penitenziarie. Che ha immediatamente avvertito il magistrato. L’uomo era finito in carcere la settimana precedente per la prima volta. È possibile che lo spettro di una detenzione in carcere lo abbia convinto alla scelta drastica di togliersi la vita. Padova: in Casa di Reclusione inaugurata la nuova biblioteca
Il Mattino di Padova, 21 marzo 2009
Entrare in un carcere non è mai piacevole: le lunghe attese tra una porta sbarrata e l’altra scandiscono i tempi della detenzione, le porte che si chiudono ad ogni passaggio con scatto metallico la mancanza della libertà. Tuttavia entrare nella biblioteca Tommaso Campanella, appena inaugurata all’interno del Due Palazzi, non mozza il fiato: le sedie sono colorate, gli scaffali chiari, una lampada orientale e qualche pianta danno un tocco di raffinatezza. Per un attimo le sbarre non sono protagoniste. Così rappresenta una boccata d’ossigeno, un tentativo di evasione attraverso 9.000 volumi. Di questi circa un migliaio sono stranieri e i prestiti interni si aggirano sui 2.500 all’anno. La Campanella è stata ufficialmente dichiarata il fiore all’occhiello del Centro Documentazione Due Palazzi con la rassegna stampa, la redazione Ristretti Orizzonti, il Tg (sabato pomeriggio su Tele Chiara) e la legatoria. Inoltre è entrata a pieno diritto nella rete del Consorzio delle biblioteche della provincia. "Il prossimo obiettivo - assicura il direttore del carcere Salvatore Pirruccio - è creare un centro di lettura permanente". Ad oggi infatti i detenuti possono accedere alla biblioteca solo un giorno a settimana. A gestire i turni Bruno Pappone, detenuto bibliotecario. "Dobbiamo ringraziare la disponibilità delle istituzioni - ammette Rossella Favero, della cooperativa Altra Città - Tanto il Comune quanto la Provincia". Tuttavia la strada è ancora lunga. "Le idee non ci mancano - conferma Marinella Bolletti, la professoressa del corso di bibliotecari - le risorse si". Modena: bracciale anti-aggressioni, al via la sperimentazione
La Gazzetta di Modena, 21 marzo 2009
Un braccialetto che si allaccia al polso come un orologio e che sfruttando il sistema Gps segnala la propria posizione. Questa volta però non si tratta di un oggetto di sorveglianza di detenuti in permesso o ex detenuti da tenere sotto controllo, ma del contrario. Il braccialetto infatti servirà per la protezione personale dei cittadini. Sul quadrante non vi sono le lancette né la corona per metterle in punto, ma quattro pulsanti colorati ad ognuno dei quali corrisponde una precisa richiesta di soccorso. Da ogni pulsante parte, infatti, un impulso che arriva immediatamente al 112, al 113 o anche ai telefonini amici. Il bracciale hi-tech, com’è stata chiamato, sta per essere sperimentato dall’amministrazione di Genova, ma non è escluso sia adottato anche dal Comune di Modena. "Già qualche settimana fa, venuti a conoscenza di questo oggetto e dell’avvio della sperimentazione, abbiamo chiesto al Comune ligure informazioni su questo interessante progetto. Non è detto che lo adotteremo, ma a fine sperimentazione, anche tenendo conto dei risultati che otterrà, valuteremo se importarlo e metterlo a disposizione dei cittadini che ne faranno richiesta", spiegano dal nostro palazzo municipale. Ma in cosa consistente questo nuovo sistema hi-tech? Si tratta di un bracciale che s’ispira alla tecnologia militare israeliana e nel nostro paese e stato adottato in sede civile da Telecom Italia. Il bracciale sembra un vecchio orologio digitale di quelli che andavano di moda negli anni 80. Semplice il funzionamento. Sul quadrante vi sono quattro tasti: uno rosso per la richiesta d’aiuto urgente alla centrale operativa delle forze dell’ordine e tre più piccoli programmati per contattare altrettanti numeri di cellulare a scelta. Inoltre, se chi chiama non può parlare, il trasmettitore Gps del bracciale indicherà direttamente ai soccorritori, la posizione della persona in difficoltà, permettendo così comunque un intervento veloce ed efficace. Il braccialetto elettronico vuole essere la risposta all’insicurezza dei cittadini ed è senza dubbio un nuovo strumento di protezione per donne, anziani e anche turisti. Per quanto riguarda la nostra città viene subito da pensare alle recenti aggressioni di donne - tra cui anche un consigliere comunale - avvenute in centro storico o ai tanti anziani truffati da falsi dipendenti delle varie aziende o delle forze dell’ordine. A Genova il sofisticato sistema sarà messo alla prova prima di Pasqua su 35 volontari. La sperimentazione durerà tre mesi e servirà a testare l’efficacia del progetto. Se la prova darà esito positivo, il bracciale sarà quindi consegnato a pagamento a tutti i cittadini che ne faranno richiesta. A Modena si attendono gli esiti di questa fase sperimentale e poi, come è stato detto dal Comune, si valuterà se acquisire o meno il bracciale hi-tech. Caserta: Comune e Uepe; convegno "Insieme oltre il carcere"
Caserta News, 21 marzo 2009
L’evento segue il protocollo di intesa stilato per l’apertura di uno sportello di orientamento e informazione per i detenuti. Si terrà il prossimo 27 marzo, alle ore 9, presso il teatro "Giuseppe Garibaldi" di Santa Maria Capua Vetere un convegno dal titolo "Insieme oltre il carcere". L’evento è stato organizzato dal Settore dei Servizi sociali del Comune di Santa Maria Capua Vetere per presentare il progetto del primo "Sportello di orientamento e informazione" della provincia di Caserta per i detenuti. Relatori dell’incontro il sindaco, Giancarlo Giudicianni, la dirigente del Settore, Erminia Cecere, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Campania, Tommaso Contestabile, e Paola Tarsitano, presidente della commissione Pari Opportunità del Comune di Santa Maria Capua Vetere. Questo convegno segue il protocollo d’intesa siglato il 19 febbraio scorso tra l’amministrazione comunale e l’Ufficio di esecuzione penale Esterna di Caserta. La finalità è favorire una maggiore conoscenza delle opportunità lavorative e di integrazione per promuovere l’integrazione e l’inclusione sociale di soggetti in difficoltà. In particolare i destinatari di questa iniziativa sono ex detenuti e loro familiari, persone sottoposte a misura alternativa, ma anche coloro che per motivi di studio o lavoro necessitino di informazioni inerenti l’esecuzione penale esterna. Le risorse umane saranno messe a disposizione dall’Ufficio di esecuzione penale che assicurerà la presenza di un assistente sociale una volta alla settimana. Lo sportello informativo interprofessionale di "primo livello" sarà ubicato presso la sede dei Servizi sociali. Immigrazione: per "senza volto" nessun diritto, nessuna pietà di Vinicio Albanesi (Presidente Cnca)
Liberazione, 21 marzo 2009
È morto al Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, con il titolo generico di immigrato algerino di quarant’anni, senza nome: pure tossicodipendente. È una delle storie ricorrenti nelle nostre strutture di ammasso di esseri umani che non hanno volto. Non l’hanno perché non hanno identità, né diritti. Intromessi, senza permesso, nel nostro territorio nazionale, non hanno acquisito rispetto. Che ringrazino Dio per non essere stati bombardati, qualcuno commenterà. Per carità: la magistratura farà le sue indagini, compresa l’autopsia. Resterà una vita vissuta per nulla. Bruciata dagli eventi, dalle sue responsabilità, dalla sua migrazione, dalla sua incapacità a ritagliarsi uno spazio nella storia. A differenza di altre vite, il suo malore non ha avuto considerazione, né ha destato allarme: i suoi dolori sono stati confusi con quelli simbolici che esprimono comunque malessere e sofferenza. Succede nelle nostre carceri, nei nostri manicomi, nei nostri ricoveri. Non occorre essere scienziati per capire che un allarme lanciato è comunque sintomo di malessere: il ricorso al sentirsi male è l’unico richiamo possibile per destare pietà. Nella disumanità delle strutture globali nemmeno la pietà funziona. La vita continua nella distinzione che esiste da sempre: tra chi ha e chi non ha. Si dice spesso che la vita è indisponibile. Bisognerebbe aggiungere: per chi se lo può permettere. Perché altrimenti la vita diventa disponibilissima: per fare le guerre, per essere incarcerati, ammassati, trascurati, vilipesi, abbandonati. Non esistono scale che misurino tolleranza, attenzione, dignità. Al contrario si ergono coloro che giustificano, ammiccano, dimostrano che tutto è regolare. Regolarissimo. Abbiamo già assistito a scenari simili: tutto in ordine. L’intervento, la fatalità, la normalità: gli stessi che non hanno avuto pietà sono giudicati da altrettanti che non avranno pietà. Appartengono alla stessa specie. Non ci saranno avvocati di grido in contraddittorio; non ci sarà risarcimento a nessuno; la vicenda non farà notizia. Nessuno sarà condannato perché la legge non prevede il reato di disumanità. Non saranno chiusi i centri di identificazione ed espulsione; non saranno resi umani, perché chi vi è rinchiuso è un non-cittadino. Sono stati inventati per garantire i più contro le orde di barbari che si permettono di disturbare identità nazionali, portando disordine e altre sub culture. Anzi saranno confermati per garantire più umanità a chi ne ha già abbondante. Esistono storie e non storie. Immigrazione: oggi la "Giornata mondiale contro il razzismo"
www.unimondo.org, 21 marzo 2009
"In questi anni il mondo ha assistito ad un preoccupante aumento di casi di odio e fanatismo, legati in parte al terrorismo e alla crescente migrazione". Lo afferma il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon nel suo messaggio per l’odierna "Giornata mondiale per l’eliminazione della discriminazione razziale". "Il 21 marzo del 1960, 69 manifestanti furono abbattuti dalla polizia nella città sud-africana di Sharpeville mentre dimostravano contro le leggi dell’apartheid" - ha ricordato Ban. "Molti altri - compresi donne e bambini - furono feriti. Un’ondata di repulsione dilagò in tutto il mondo. Proclamando il 21 marzo come Giornata mondiale per l’eliminazione della discriminazione razziale, l’Assemblea Generale intese onorare la memoria di quanti furono massacrati e, allo stesso tempo, combattere il razzismo". "Questa Giornata - conclude Ban Ki-moon - ci ricorda la nostra responsabilità collettiva per la promozione e la tutela di questo ideale. Insieme, dobbiamo rafforzare il nostro impegno comune per porre fine a discriminazione razziale e xenofobia, ovunque si manifestino". La preoccupazione per l’aumento di episodi di razzismo e xenofobia è al centro anche di un documento congiunto dei tre principali organi di difesa dei diritti umani in Europa: la Fra (Agenzia europea per i diritti fondamentali), l’Odihr (Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell’Osce) ed Ecri (Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza, collegata al Consiglio d’Europa). "Siamo preoccupati - scrivono le tre agenzie europee - del fatto che l’attuale crisi economica sta cominciando ad alimentare razzismo, xenofobia e intolleranza nella regione". Le tre agenzie si dichiarano allarmate dalla "crescita del numero di attacchi violenti contro migranti, rifugiati e richiedenti asilo, e verso minoranze come i rom". "La storia europea - afferma la nota congiunta delle tre agenzie - ha già dimostrato come le fasi di depressione economica possano tragicamente portare a un aumento dell’esclusione sociale e delle persecuzioni: temiamo quindi che anche per la crisi corrente i migranti, le minoranze e altri gruppi vulnerabili diventino i capri espiatori per politici populisti e per i media". Le tre organizzazioni chiedono alla classe politica di essere "estremamente cauta e evitare ogni discorso che possa essere d’incitamento all’odio etnico, religioso o razziale". Li invita piuttosto a "pronunciarsi chiaramente condannando ogni tipo di violenza a sfondo razziale ed evitando di dare spiegazioni semplicistiche e a connotazione xenofoba a problemi sociali complessi". Le tre organizzazioni ricordano infine che è estremamente importante "proseguire con il monitoraggio di questi crimini e con la formazione degli ufficiali di pubblica sicurezza, sempre in stretta collaborazione con le organizzazioni della società civile". Nei giorni scorsi un rapporto del Comitato di esperti dell’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro ha denunciato come "evidente e crescente l’incidenza della discriminazione e delle violazioni dei diritti umani fondamentali nei confronti degli immigrati in Italia". "Nel paese persistono razzismo e xenofobia anche verso richiedenti asilo e rifugiati, compresi i Rom" - continua il documento dell’agenzia Onu che chiede al Governo di "intervenire efficacemente per contrastare il clima di intolleranza e per garantire la tutela ai migranti, a prescindere dal loro status". L’agenzia Onu denuncia inoltre che l’Italia contravviene alla convenzione 143, quella sulla "promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti", ratificata dal nostro paese nel 1981. Il Comitato dell’Ilo, formato da venti giuslavoristi provenienti da tutto il mondo, verifica costantemente l’osservazione delle norme da parte dei governi e ha richiamato l’esecutivo italiano all’applicazione dei primi articoli della convenzione 143, cioè al "rispetto dei diritti umani di tutti gli immigrati, senza alcuna distinzione di status". Proprio per denunciare che in Italia milioni di immigrati stanno diventando le vittime dell’insicurezza economica e del disagio sociale di vere e proprie campagne di criminalizzazione contro immigrati e rom, 26 organizzazioni della società civile italiana hanno lanciato nei giorni scorsi la campagna nazionale contro il razzismo, l’indifferenza e la paura dell’altro dal titolo "Non avere paura, apriti agli altri, apri ai diritti". La campagna propone, tra l’altro, una raccolta di firme da presentare al Presidente della Repubblica ed intende chiedere a tutti - dal mondo politico agli amministratori locali, dai mass media ai cittadini di ogni età un’assunzione di responsabilità per combattere il razzismo e la xenofobia creando una rete che "colleghi e dia energia all’indignazione e ai sentimenti di solidarietà che, benché siano già presenti nelle realtà sensibili al tema, faticano ad emergere". Immigrazione: lascia l’Italia solo un "clandestino" espulso su 5 di Michele Focarete
Corriere della Sera, 21 marzo 2009
Decreti di espulsione: storia di un fallimento. I mille modi per aggirare la legge sugli irregolari. Milano: su 3.332 "fogli di via" 2.800 non sono stati rispettati. Henry Jose Villarroel Centellas, boliviano di 32 anni, è alla guida di un camion su una grande arteria milanese. In tasca ha una patente falsa e un decreto di espulsione del 2005 che il questore di Bergamo gli aveva notificato, ma che il Sudamericano si era ben guardato da prendere in considerazione. Di più. Centellas era già stato rimpatriato, scortato da due agenti e consegnato alla polizia di Cochabamba. E, l’altro giorno, quando i vigili urbani lo hanno fermato, hanno scoperto che era ancora qui. A guidare con una patente falsa. E, come lui, tre giorni più tardi, anche Arie Sharon, 60 anni, israeliano di origini romene, in auto senza patente né assicurazione, era stato pizzicato a Milano. Dopo le verifiche di prassi, la sorpresa: l’extracomunitario era clandestino ed era già stato espulso il 30 ottobre 2008 e rimpatriato. Non casi isolati, ma quasi la norma. Come un marocchino di 31 anni arrestato dalla polizia locale di Milano lo scorso 13 settembre per non avere rispettato due provvedimenti di espulsione. Non solo: era già stato fermato per identificazione o per reati vari 34 volte in diverse città d’Italia. Tra le motivazioni: spaccio di droga, furto aggravato, occupazione abusiva, resistenza a pubblico ufficiale, guida senza patente. Ma c’è dell’altro: nel novembre 2005 era stato fisicamente messo su un aereo con volo diretto per Casablanca. Tre dei tanti episodi che avevano fatto tuonare il vicesindaco e assessore alla sicurezza, Riccardo De Corato, Pdl. "Uno sperpero delle risorse dello Stato. Nonostante i decreti di espulsione e i rimpatri coatti, ce li ritroviamo a circolare per la città. Così come stanno le cose lo Stato paga solo gite turistiche a migliaia di clandestini". I numeri - E snocciola i numeri. "Gli agenti della polizia locale, solo lo scorso anno, hanno fotosegnalato 1.013 clandestini, di cui 90 avevano già ricevuto il foglio di espulsione. Uno su dieci". Sempre a Milano, nel 2007 l’espulsione è scattata per 3.088 stranieri, ma solo 653 erano stati imbarcati su un aereo e rimpatriati: uno su cinque. Tutti gli altri sono rimasti in Italia. Nel 2008 il questore Vincenzo Indolfi ha firmato 3.332 decreti di espulsione e la polizia ha arrestato un migliaio di clandestini, perché non avevano rispettato il decreto. Anche i carabinieri, sempre lo scorso anno, hanno arrestato 2.800 stranieri che non avevano rispettato il decreto di espulsione e ne avevano denunciati 2.900 senza documenti. Numeri importanti anche a Roma. Sempre nel 2008, 6.216 cittadini extracomunitari sono stati raggiunti dal provvedimento di espulsione, 1.026 arrestati per non aver lasciato l’Italia, il 16 per cento. Mentre 1.197 sono stati trattenuti presso il Cie (centro di identificazione ed espulsione) di Ponte Galeria. E più di mille cittadini comunitari sono stati allontanati per motivi di sicurezza. Bulgari e romeni espulsi sono ritornati automaticamente grazie all’adesione dei loro rispettivi Paesi all’Unione europea. Perché le cose non vanno? Bizze legislative, un numero insufficiente di centri di identificazione, scarsa collaborazione da parte dei consolati stranieri, giudici buonisti. Al decreto di espulsione segue un ordine di "soggiorno" in un Cie in attesa che sia eseguito il decreto di espulsione, cioè di essere identificati tramite ambasciata e riportati al proprio Paese. L’iter - Nell’impossibilità di trattenere lo straniero e rimpatriarlo (spesso capita che i centri siano pieni o che non ci sia la disponibilità di aerei nelle settimane seguenti) al decreto di espulsione fa seguito un invito a lasciare l’Italia entro 5 giorni. Nessuno lo rispetta. Se rimane e viene ricontrollato dalle forze dell’ordine, c’è l’arresto: però al massimo è condannato a qualche mese e rilasciato a piede libero. Se viene ripreso, non può essere giudicato due volte per lo stesso reato. Così il clandestino rimane in Italia, nell’illegalità, senza potersi regolarizzare per 10 anni, in quanto schedato: sarà preda di caporali e compromessi per sopravvivere. Chi deve far rispettare la legge, allarga le braccia. Non se la sente di esternare in pubblico, ma il coro è pressoché unanime: "Vengono espulsi e non se ne vanno. Li arrestiamo e non stanno dentro. Li riprendiamo e non possiamo più farci niente". L’ultimo esempio, in ordine cronologico, è quello dei fratelli albanesi di 25 e 27 anni. Entrambi clandestini e con una sfilza di precedenti. Già espulsi e arrestati, sono stati di nuovo trovati per strada, ammanettati, condannati, espulsi e, alla fine, rimessi in libertà perché non c’era posto nel centro di identificazione di Milano. I due - e questo è il paradosso - erano stati arrestati di venerdì sera, condannati sabato e rilasciati subito dopo per la sospensione della pena. Ritornati all’ufficio immigrazione sono stati liberati per mancanza di posti al Cie. Se il clandestino non viene riconosciuto entro 60 giorni dal fermo, torna libero. Addirittura, per i brasiliani, è necessario il consenso dell’espulso. Le riammissioni - "Così - sottolinea un poliziotto dell’ufficio immigrazione di Roma - riusciamo a rimpatriarli solo a Natale e a carnevale, quando sono contenti di ritornare in famiglia. A spese nostre". Allora ci si può chiedere: è valida la Bossi-Fini? Spiega Saturno Carbone, segretario generale provinciale di Roma del Siulp, il sindacato di polizia: "Dobbiamo ragionare sulle cifre che si conoscono. Ad esempio le espulsioni in Italia nel 2008 sono state oltre 6.000, il 28 per cento in più rispetto all’anno prima. Ma le riammissioni per vari motivi sono state 6.424. Altro dato sconfortante è quello relativo agli sbarchi: 67.000 nei paesi Ue, 36.952 in Italia, più del 50 per cento". E va giù duro anche il segretario nazionale del Siulp, Giuseppe De Matteis: "La soluzione va oltre gli slogan. Quando uno straniero riceve il decreto di espulsione, non se ne va. E quando viene espulso, accompagnato alla frontiera e consegnato alle polizie locali, il più delle volte, dopo appena 48 ore, è già rientrato in Italia. Quando qualche tempo fa si è scatenata l’indignazione pubblica dopo il barbaro omicidio a Roma della signora Reggiani, la politica ha promesso migliaia di espulsioni. A tutt’oggi posso dirvi che le espulsioni reali sono state trentuno, a fronte degli oltre 6.000 decreti di espulsione, dal periodo 1 dicembre 2007 al 20 marzo 2008. E dei trentuno espulsi, quasi tutti sono già rientrati in Italia".
La storia: otto anni senza permesso
Sono scappato dalla miseria e dal grigio del mio paese". Dergiy Shumeyko ha 38 anni. È ucraino di Uzhgorod, capoluogo della Transcarpazia, ai confini con l’Ungheria e la Slovacchia. In Italia è arrivato nella notte del suo trentesimo compleanno. Alto, magro, il viso scavato. Lo sguardo a volte perso. Non abbandona mai la sigaretta che fuma nervosamente. Una dietro l’altra. Stretta tra le dita di una mano immensa, piena di calli. Il suo italiano è buono: sa farsi capire, intercalando diversi dòbre (va bene). "Ho lasciato mio figlio Igor di due anni e da allora non l’ho più visto. È già un ometto, lo sento dalla voce al telefono". E estrae dalla tasca posteriore una foto del ragazzo, mostrandola con orgoglio. "Mi dicono tutti che mi assomigli. Gli occhi e la bocca sono i miei. Dalla madre ha preso i capelli neri, folti. È anche per lui che sono venuto in Italia, per dargli un avvenire. Ogni domenica gli invio soldi, scarpe, vestiti". Una pesante boccata e lo sguardo che fissa il marciapiede. Quasi a voler cercare la forza per raccontare ciò che stenta a pronunciare. "Mia moglie ha trovato un altro uomo. Neanche bello e col vizio della vodka. Ma penso sia normale. Sa, la lontananza. Però ne ho fatto ugualmente una malattia. Forse avrei dovuto portarla con me, ma chi curava Igor? È andata come è andata. Anche se ancora faccio fatica a capire". Getta la sigaretta. E ha una lunga pausa. Per poi parlare di botto di "questa benedetta Italia" e di Milano. "Beh, Milano resta sempre Milano, nel bene e nel male. Mi ha dato modo di campare e di conoscere persone di cuore. Ci ho vissuto tre anni. Le espulsioni - Nel 2002, però, ho ricevuto il primo foglio di espulsione per un furto in un supermercato. Avevo nascosto sotto il giubbotto del formaggio, una scatola di fagioli e una bottiglia di vino. Non avevo mai soldi. Lavoravo nei cantieri saltuariamente e sempre in nero. Sottopagato. Al freddo e al caldo. Tante umiliazioni dai capi e, soprattutto, dagli stranieri come me, ma in regola. Vivevo con la speranza di un permesso di soggiorno e di un lavoro continuo. Un’esistenza da clandestino. All’inizio avevo paura, ora è la mia normalità. Siccome sono schedato, per dieci anni non ho la possibilità di regolarizzarmi. A Milano adesso abita mia sorella Nina. Fa la badante ed è senza permesso di soggiorno, ma per lei è sicuramente più facile". Non riesce a non fumare. "Un’abitudine brutta, ma la sigaretta mi infonde un certo coraggio". E arriva al secondo decreto di espulsione. "Quando mi hanno ripreso, l’anno dopo, avrei dovuto essere arrestato, ma non riuscirono a trattenermi per via del processo per direttissima che venne fissato dopo un sacco di tempo, così il giudice mi lasciò andare. Sta di fatto che nel 2004 mi hanno "pizzicato" di nuovo, ma non poterono giudicarmi per lo stesso reato e così ricevetti il secondo decreto di espulsione. Allora fu del tutto occasionale: condividevo la stanza con altri ucraini, uomini e donne sempre diversi, di passaggio. Ti potevano sparire persino le scarpe e gli indumenti intimi, senza neanche capire chi fosse stato". Lavoro nero per sopravvivere - E ricorda come è andata: "Una notte è entrato il padrone di casa con la polizia. L’intestatario del contratto non pagava da tempo l’affitto, così hanno controllato i documenti a tutti. Allora mi sono detto, basta Milano e ho seguito un mio amico a Settimo Torinese. Ho lavorato per circa un anno in nero, per una grossa ristrutturazione. E lì, mi hanno beccato i carabinieri e mi sono trovato con il terzo foglio di via e senza lavoro". Ennesima sigaretta. Anche per camuffare con un colpo di tosse il nodo che ha in gola: "Sinceramente non so per quanto tempo ancora rimarrò in Italia. Speravo di fare più soldi, ma non è stato così. In fondo non ho più niente da perdere. Ho solo mio figlio. Dòbre". Thailandia: arrestato un italiano, è accusato di abusi su minori
Ansa, 21 marzo 2009
Un turista italiano, D.C.R., accusato di abusi su minori è stato arrestato ieri nella località marittima di Pattaya da una squadra speciale della Polizia thailandese. Sospettato di aver tentato di avere rapporti sessuali con un bambino thailandese, l’italiano è stato fermato dagli agenti della Divisione per la lotta ai crimini contro l’infanzia e le donne. Interrogato presso la centrale di polizia locale, l’italiano è stato poi trasferito sotto scorta dalla località di villeggiatura alla capitale Bangkok, dove verrà processato per direttissima con l’accusa di pedofilia. Un mese fa, in un’operazione della Polizia italiana denominata "Thai", che aveva portato a 5 arresti, 110 indagati e 116 perquisizioni in tutta Italia, era stato bloccato a Fiumicino, mentre sbarcava da un volo da Bangkok, un professore universitario di 55 anni. Nella sua casa erano stati sequestrati video pedo-pornografici girati in Thailandia.
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