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Giustizia: ricetta dei penalisti; misure alternative da rilanciare di Marco Iasevoli
Avvenire, 30 luglio 2009
I numeri dicono tutto quel che c’è da dire. In questo preciso istante sono in carcere quasi 64mila detenuti. Non solo è stata sforata la capienza regolamentare (poco più di 43mila posti-letto), ma anche - seppur di poche unità - quella "tollerabile", che indica il punto di massimo stress a cui possono essere sottoposte persone e strutture. Come se non bastasse, la situazione peggiorerà entro la fine dell’anno, quando si prevede di sfondare la soglia dei 70mila. Addirittura, in assenza di interventi immediati e organici, si stima, in tre anni, un salto verso le 150-200mila unità. Dati a dir poco preoccupanti, che Avvenire fornisce da giorni. Ieri sono stati rilanciati in un’unanime grido d’allarme da penalisti, sindacati e associazioni umanitarie. Fianco a fianco, a Palazzo Grazioli, si sono seduti l’Unione Camere Penali, Sappe e Andap in rappresentanza di chi lavora nei penitenziari, l’associazione Antigone e il Garante dei detenuti del Lazio a esprimere le esigenze di chi sta in cella. Insieme, hanno deciso che è arrivato il momento di fare pressing sul governo: "Così non si può andare avanti. Vogliamo incontrare il ministro Alfano subito". In tasca hanno una lunga lista di proposte, anch’esse anticipate in più battute su questo giornale: tra tutte, si chiede di "riaprire il dibattito" sulle misure alternative alla detenzione (su cui c’è stata una stretta nel 2008, dicono i penalisti) e di limitare l’uso della custodia cautelare in carcere (oggi - sono ancora gli avvocati a parlare - le persone in attesa di giudizio sono più delle metà dei carcerati). Il Piano Ionta, invece, che prevede la realizzazione di nuovi edifici e ampliamenti a quelli esistenti, non soddisfa gli addetti ai lavori: arriverà troppo tardi, dicono, mentre gli interventi servono subito. Inoltre, le organizzazioni si chiedono perché non abbia ancora fatto il suo ingresso in Consiglio dei Ministri. Convincono di più le aperture dell’esecutivo sui rimpatri dei carcerati stranieri, una eventuale stretta sulle espulsioni dei condannati e le proposte della consulta Giustizia del Pdl (in particolare l’utilizzo di militari per la sorveglianza esterna). "La situazione è inaccettabile, drammatica, e non è governata dalla politica", attacca Roberto D’Errico, responsabile dell’osservatorio sul carcere dei penalisti. Gli avvocati ne hanno per tutti: "L’opposizione è silenziosa e per certi versi complice. La magistratura si adagia. Dobbiamo protestare". I penalisti ricordano anche recenti condanne a Strasburgo per le condizioni detentive, e criticano le norme sulla sicurezza e sui clandestini, che aumenterebbero la carcerizzazione. Le proiezioni per il futuro (70mila detenuti per il 2009, sino a 100mila per il 2012) le fornisce invece Donato Capece, segretario generale del Sappe, il sindacato delle guardie penitenziarie. A fronte di questa escalation, ricorda, "abbiamo 5.500 uomini in meno rispetto al 2001". Non è un caso che il comunicato congiunto delle associazioni contenga, tra le proposte, anche "l’aumento di organico" della polizia carceraria. Una misura ancora più necessaria, dicono le guardie, se davvero il governo si metterà a costruire altri padiglioni e istituti. Il più netto sulla "via edile" scelta dall’esecutivo è Patrizio Gonnella, leader di Antigone: "È un bluff. Creiamo piuttosto liste per l’ingresso nei penitenziari". Altra proposta è quella di assumere nuovo personale educativo, "necessario per il recupero del detenuto". Intanto, anche ieri segnalate aggressioni e liti nei penitenziari di Benevento, Torino e Lecce. Il sovraffollamento negli istituti di pena ha raggiunto cifre da record: al 20 luglio i detenuti presenti erano 63.661 a fronte di una capienza regolamentare di 43mila posti e di una capienza "tollerabile" di 64.111 unità. Giustizia: "piano Ionta" un bluff; il Governo neanche l’ha visto
Redattore Sociale - Dire, 30 luglio 2009
A causa del sovraffollamento, suicidi ed emergenza senza fine. Discriminati gli stranieri che finiscono più facilmente dietro le sbarre. Gonnella: "Il piano Ionta è un bluff". Bernardini: "È il delirio, serve dibattito in aula". Un carcere discarica sociale, con l’aumento esponenziale del numero dei detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria sotto-organico di 5.500 unità. Nel carcere di Bollate, a Milano, ogni agente ha in custodia 150 detenuti. Spesso, educatori ed operatori sociali sono presenze rare, ed è sul personale penitenziario che si scaricano tutte le tensioni delle celle sovraffollate, con i detenuti privati anche dello spazio di muoversi. Si verificano così episodi piccoli ma allarmanti, come una mini-rivolta nel carcere di Bergamo, subito sedata con alcuni agenti finiti in ospedale. La sommossa era scoppiata perché le uniche salette di socializzazione dei detenuti erano state sacrificate per mettere a dormire altri nuovi arrivati. A Poggioreale, che è forse il penitenziario più sovraffollato d’Europa, con 3mila detenuti contro 1.300 posti e 4 suicidi nei primi sei mesi dell’anno, si dorme sul materasso direttamente sul pavimento o in celle con 4 piani di letti a castello. A Regina Coeli è emergenza continua, a Torino i detenuti hanno il posto letto in palestra, a Favignana si sta come i "sepolti vivi" con le celle-tuguri sotto il livello del mare e tutto il penitenziario sotto terra, compreso il cortile per l’ora d’aria. È il racconto a tinte fosche dei penitenziari italiani fatto dai sindacati di Polizia Penitenziaria, dall’associazione Antigone, dall’Associazione nazionale dei dirigenti dell’amministrazione penitenziaria (Andap) e dall’Unione camere penali italiane, che hanno voluto lanciare un comune grido d’allarme sull’emergenza dietro le sbarre. "La drammaticità rispetto a prima è che oggi non c’è una presa in carico del problema da parte del governo", afferma Patrizio Gonnella di Antigone, che arricchisce il quadro già così cupo di altri particolari allarmanti. "Per costruire il carcere di Gela ci sono voluti 50 anni, per quello di Reggio Calabria i lavori sono iniziati nel 1988. La Corte dei Conti dice che la media per costruire un nuovo penitenziario è di 13 anni con i costi che triplicano - continua Gonnella - abbiamo 70 bambini al di sotto dei tre anni in cella con le loro madri; tra coloro che sono in prigione per custodia cautelare, il 60% sono immigrati, sintomo di una discriminazione giudiziaria nei confronti degli stranieri che, più degli italiani, attendono il processo in carcere". Secondo Gonnella siamo di fronte a una "carcerazione di massa", di cui sono responsabili alcune decisioni legislative, come la legge Bossi-Fini che punisce con l’arresto l’inottemperanza all’obbligo di espulsione o la legge sulle droghe, con 21mila detenuti per averla violata. Si parla anche del piano Ionta per la costruzione di 15 nuove strutture per un costo complessivo di un miliardo e mezzo di euro, per il quale però mancano ben 900 milioni di fondi. " È tutto un grande bluff - commenta Gonnella - nemmeno si parla di assunzione di nuovo personale per queste nuove carceri". Scettica anche Rita Bernardini, deputata dei Radicali: "il ministro Alfano non ha neanche presentato il piano al governo". Secondo l’onorevole, si è registrata una recidiva del 20% tra chi ha usufruito dell’indulto, contro l’80% di chi non ha beneficiato del provvedimento del governo Prodi. "Serve un dibattito parlamentare in aula, perché il delirio è all’ordine del giorno, con le carceri del sud usate per sfollare quelle del nord. Il risultato è una violazione dei diritti perché ci sono persone che non vedono i figli per mesi e mesi, ma anche un aumento dei costi per trasportare i detenuti in occasione dei processi". Giustizia: detenuti stipati come bestie, qui si scherza col fuoco
www.cronacaqui.it, 30 luglio 2009
Detenuti che dormono per terra, altri stipati come bestie tra quattro mura di cemento senza bagno né finestra, altri ancora sistemati in cellette che non permettono neanche il più naturale dei movimenti. Detenuti senza coperte, costretti a mangiare in piedi, spalle al muro, mentre stringono tra le mani piatti, posate e bicchieri usa e getta. Detenuti di etnie diverse, che parlano lingue differenti e pregano divinità che non si assomigliano affatto. Le carceri italiane sono un piccolo mondo sull’orlo del collasso. Sovraffollate, fatiscenti, completamente da rifare. Servirebbero nuove strutture, altri penitenziari pronti ad accogliere una popolazione carceraria destinata a crescere con gli anni, destinata ad aumentare in maniera preoccupante. Non c’è altra soluzione. L’ultimo dato ufficiale giunto dal "Lorusso e Cutugno" parla di 1.578 detenuti a fronte di una capienza di 920 unità. "La situazione - denunciano i sindacati della polizia penitenziaria - rischia di diventare ogni giorno più esplosiva". Una situazione che i secondini vivono sulla propria pelle. L’ultima vittima di questa folle emergenza è un’agente della sezione femminile delle Vallette, aggredita ieri a pugni e morsi da una detenuta nigeriana durante le quotidiane operazioni di perquisizione. L’agente è stata ricoverata in ospedale e sottoposta alla prima profilassi per l’Hiv: ne avrà per venti giorni e vivrà con l’incubo di aver contratto la malattia. Prima di lei, cinque giorni fa, era toccato a un secondino del carcere di Benevento, pestato selvaggiamente da un recluso per reati legati al terrorismo internazionale. Fino a quando dovremo sopportare tutto questo, fino a quando gli agenti di polizia penitenziaria dovranno rischiare la vita sul posto di lavoro? "Vorremmo più sicurezza e orari meno massacranti", chiedono da ormai troppo tempo. Non pretendono mica la luna, sperano solo in condizioni più umane. È così difficile accontentarli? Giustizia: in carcere per un filone di pane e le celle scoppiano!
www.informazione.it, 30 luglio 2009
Il presidente dell’Italia dei Diritti De Pierro: "Quel pane è stato abbondantemente ripagato al supermercato dai clienti a cui viene imposto il pagamento delle buste. Ma quanto costa allo Stato un detenuto per tre mesi?". "Rimango sconcertato davanti a notizie di questo tipo. Chi ruba oggetti per un valore di uno o due euro, si ritrova in carcere, com’e successo già qualche tempo fa, quando una persona è stata condannata a tre anni di reclusione per avere rubato un pacco di biscotti". Queste le parole con le quali, Antonello De Pierro, presidente dell’Italia dei Diritti, ha commentato la notizia di un barbone arrestato, mentre era ricoverato all’ospedale Santo Spirito, per fargli scontare una pena residua di tre mesi perché aveva rubato un filone di pane in un supermercato romano, nel quartiere di Monte Mario. "Per fortuna non sono situazioni molto diffuse - continua De Pierro - e trattandosi di notizie eccezionali trovano ampio spazio sulle prime pagine dei quotidiani nazionali. Nulla da eccepire per quanto riguarda il livello giuridico, perché il giudice applica alla lettera il codice, ma sicuramente a livello logico si percepisce chiaramente che c’è qualcosa che non va, se poi chi ruba miliardi, o si sottrae al fisco per cifre molto più consistenti, grazie a sotterfugi, leggi ad hoc e cavilli giudiziari, riesce spesso a farla franca. Un’iniquità di trattamento, indubbiamente preoccupante, anche perché spesso per la pena relativa ai reati di poco conto si va a determinare un sovraffollamento delle carceri, che sta portando le strutture al collasso. Se il reo è responsabile di un reato più o meno lieve è lo Stato che poi si trova nella posizione incredibile e imbarazzante di violare la legge. Ad esempio spesso non viene rispettato il principio di territorialità della pena. Per ritornare al barbone che sta scontando i tre mesi di reclusione, a quanto pare nel braccio infermeria del penitenziario, ci sono da fare alcune riflessioni. Non dimentichiamo che il valore di quel filone di pane viene abbondantemente ripagato al supermarket dai cittadini, con l’imposizione del pagamento della busta, che reca tra l’altro la pubblicità del supermercato stesso, contro cui noi dell’Italia dei Diritti stiamo portando avanti una battaglia da diverso tempo. Secondo i nostri calcoli questo stratagemma farebbe incassare circa 60.000 euro in più all’anno ad ogni esercizio. L’altra faccia della vicenda ha dell’incredibile. Per un furto di una oggetto dal valore inferiore ai due euro lo Stato si ritrova a spendere un cifra molto più sostanziosa per la detenzione del barbone. È probabile che al termine della pena - conclude il presidente del movimento - l’uomo esprima la volontà di rimanere in carcere, con un letto e un pasto caldo assicurato, per non essere di nuovo costretto a rubare un tozzo di pane per mangiare". Giustizia: Maroni; presto ronde vere, saranno ben disciplinate
Avvenire, 30 luglio 2009
Ronde, badanti, immigrati. Maroni a tutto campo sui tre temi più caldi dell’estate. Il ministro dell’Interno difende in Aula il provvedimento che permetterà ai sindaci di farsi aiutare da associazioni di cittadini nel controllo del territorio, e spazza via le polemiche seguite ai fatti di Massa, dove due gruppi estremisti si sono scontrati: il fatto, dice, "non ha nulla a che fare con le ronde, si tratta di un episodio di intolleranza, anzi di vera e propria violenza politica stile anni 70". Le ronde vere, spiega, sono un’altra cosa, e saranno ben disciplinate. Una versione dei fatti contestata da Marco Minniti, responsabile sicurezza Pd: "È grave che Maroni abbia parlato di uno scontro tra fazioni politiche anziché ammettere che a Massa c’è stato uno scontro fra ronde che si contendevano il controllo del territorio". In ogni caso, il Viminale ha ammesso che in una delle due formazioni, le Sss di estrema destra, era attivo un maresciallo dei carabinieri fuori servizio. Quanto alla lettera con cui Napolitano ha accompagnato la promulgazione del pacchetto-sicurezza, in cui rivelava "criticità" anche circa le ronde, puntualizza: "Tengo conto delle sue sagge parole - assicura il ministro leghista -. Napolitano non stigmatizza le ronde, ma chiede solo l’urgente definizione del decreto attuativo in termini di rigorosa aderenza ai limiti fissati dalla legge. È quello che faremo l’8 agosto". Maroni viene poi placcato dai cronisti su un altro presunto terreno di scontro con il Quirinale, ovvero la sanatoria su colf e badanti introdotta nel di anticrisi. Il presidente della Repubblica ha dei dubbi su questa misura? "Non devo smentire le indiscrezioni di qualche giornale -risponde il ministro -. lo questi dubbi non li ho sentiti". Guai, in ogni caso, a parlare di sanatoria: "È una misura che fa emergere il lavoro nero". Per quanto riguarda gli immigrati, ci si chiede che fine faranno i centri per immigrati di Lampedusa. "Prenderemo una decisione a fine anno. Le cose stanno andando benissimo sul fronte degli sbarchi, l’accordo con la Libia funziona bene, se le cose proseguiranno così per tutta l’estate e ci sarà una vera svolta, allora potremo pensare ad una diversa destinazione delle strutture". Giustizia: gratuito patrocinio, gravi problemi per i pagamenti di Antonio G. Paladino
Italia Oggi, 30 luglio 2009
In aumento del 20% gli importi liquidati per patrocinio a spese dello stato in materia civile. E questo anche se moltissimi uffici giudiziari non hanno fornito risposta in merito ovvero hanno fornito dati parziali. Restano tuttora irrisolti i gravi problemi relativi al mancato o ritardato pagamento dei compensi liquidati agli avvocati, derivanti principalmente dalla carenza di fondi che ha interessato gli stanziamenti del relativo capitolo sul bilancio del ministero della giustizia. È quanto si desume dalla lettura della relazione sull’applicazione della normativa in materia di patrocinio a spese dello stato, con esclusivo riguardo ai procedimenti civili, che il ministro della giustizia, Angelino Alfano, ha consegnato in parlamento nei giorni scorsi. Una relazione che ha analizzato i dati pervenuti dalla maggior parte degli uffici giudiziari considerando il periodo 1° gennaio 2007-31 dicembre 2008, come rilevati dalla direzione generale della statistica del dicastero di via Arenula. Sul tavolo restano comunque irrisolte delle problematiche. Su tutte, scrive Alfano, il grave problema del mancato o ritardato pagamento dei compensi liquidati agli avvocati, per le prestazioni rese nell’esercizio del mandato difensivo in favore degli assistiti, ammessi al beneficio a spese dello stato. Disservizio, questo, che deriva principalmente dalla carenza di fondi che ha interessato gli stanziamenti del capitolo "spese di giustizia". Un debito che, allo stato attuale, può essere quantificato in circa 270 milioni di euro e che "desta particolare preoccupazione e forti proteste da parte dei creditori". Tuttavia, cerca di tranquillizzare il ministro, si sta cercando di ripianare l’esposizione attraverso la richiesta (al ministero dell’economia e finanze) di uno stanziamento straordinario di pari importo. Vediamo i dati rilevati sul patrocinio in materia civile. Dall’anno 2007 al 2008, si legge nella relazione in esame, il dato nazionale (aggiornato al 20 maggio 2009) evidenzia un aumento del venti per cento della spesa complessiva, un aumento del venti percento delle somme liquidate per gli onorari ai difensori e un aumento (sempre del 20%), delle istanze di ammissione al patrocinio presentate ai consigli dell’Ordine degli avvocati. A precisazione, il documento di Alfano segnala che in questa rilevazione "non sono stati presi in esame gli uffici giudiziari che non hanno fornito risposta o hanno comunicato dati parziali". A dire il vero, quest’ultima non è una precisazione di secondaria importanza. Infatti, basti pensare che a tal proposito non hanno risposto alla richiesta di fornire i dati il 28,5% dei tribunali, il 27,7% delle sezioni distaccate, il 20,7% dei tribunali per i minorenni, il 20,1% dei giudici di pace e il 3,4% delle Corti d’appello. Dall’esame dei dati rilevati, ai consigli dell’ordine degli avvocati sono state iscritte ben 32.885 istanze nel 2007 e 40.916 nel 2008. Di queste ultime, 36.875 sono state accolte, 2.272 rigettate e 838 sono state dichiarate inammissibili, mentre ne risultano pendenti 1.053. Invece, il dato proveniente dagli uffici giudiziari rileva una tendenza inversa (ma mancano molti uffici che non hanno dato risposta). Infatti, nel 2007 il totale nazionale registra un numero pari a 2.172 istanze presentate, numero che diminuisce l’anno successivo a 1.534. Buona parte di queste sono state accolte (1.323), mentre le rigettate e le inammissibili sono poche (93 e 24). Gli importi liquidati, invece, segnano un trend in ascesa quantificato nell’ordine del 20%. Essi, infatti, ammontano a 18,7 milioni di euro nel 2007 e a 23,4 milioni di euro nel 2008. È soprattutto nelle aule di tribunale che si concentra il maggior importo (il 79% del totale nel 2007 e il 78% nel 2008), mentre le Corti d’appello registrano un costante 7% in entrambi gli anni considerati dalla rilevazione. Sul versante degli onorari ai difensori, invece, a fronte di 13,8 milioni di euro del 2007, l’importo complessivo del 2008 si attesta a 17,3 milioni di euro. Giustizia: Tribunale Milano; debito 3 mln € con professionisti di Giovanna Stumpo
Italia Oggi, 30 luglio 2009
Tempi duri per tutti, anche per avvocati ammessi al gratuito patrocinio, interpreti, consulenti, testimoni e got (giudici onorari togati) in credito nei confronti del ministero della giustizia, per prestazioni di servizi contabilizzate nell’anno 2008. Solo a Milano, le posizioni pendenti presso gli uffici dei funzionari delegati al pagamento delle spese di giustizia (del Tribunale ordinario e di quello dei minori, della procura della repubblica, e della procura generale, oltreché della Corte d’appello) e in attesa di pagamento da almeno un anno, sono migliaia. Per un valore che si aggira sui 3 milioni di euro. Ma si tratta solo di una goccia nell’oceano. Non ci sono fondi a copertura dei crediti maturati dai malcapitati professionisti. E gli operatori di giustizia degli Uffici giudiziari territorialmente competenti sono impotenti. È così per la Lombardia, come per tutti gli analoghi Uffici giudiziari d’Italia. Ma andiamo con ordine. E cerchiamo di capire, almeno in via esemplificativa, quale è il problema. Milano, Corte d’appello presso il Palazzo di giustizia, VII piano, stanza 14. È qui che si trova l’ufficio del funzionario delegato per le spese di giustizia, competente per la liquidazione delle parcelle afferenti, ad es. le pratiche di gratuito patrocinio degli avvocati di Milano e provincia. L’ufficio c’è, ma i soldi non bastano per tutti. E per saperlo, l’avvocato che con la nota già liquidata da quasi un anno, o con fattura già emessa da altrettanto tempo nei confronti del cliente, desideri avere notizie del relativo pagamento può anche evitare di bussare. Viene messo davanti al fatto compiuto da alcune comunicazioni affisse sulla porta. "Avviso importante: si comunica che sono stati pagati mandati di pagamento pervenuti dai singoli ex Modello 12 del circondario, entro il 23 febbraio 2008". E fin qui, tutto sommato, niente di nuovo. Perché si sa. Almeno per quanto riguarda Milano, i tempi per ottenere il pagamento, tra gli altri, anche per i difensori ammessi al gratuito patrocinio, sono già di norma di circa un anno, dalla data della nota/fattura. Saranno un po’ in ritardo con i tempi e le procedure, avranno il solito problema telematico, di personale in maternità, viene da pensare. E invece no. La novità è ben bella scritta sul più recente avviso del 18 maggio 2009. "Si avvisano i beneficiari che, in relazione agli emolumenti spettanti per atti del 2008, pervenuti a quest’ufficio (dal 23 febbraio 2008 al 31 dicembre 2008) da tutto il distretto, per il capitolo di spesa 1360 (gratuito patrocinio, interpreti, consulenti, testimoni e giudici che prendono indennità) nonostante il sollecito di accredito, a tutt’oggi non sono stati accreditati fondi e il ministero della giustizia non dà indicazioni sul quando ciò sarà possibile. Sarà nostra premura provvedere al pagamento di tali specifici emolumenti appena il ministero della giustizia e delle finanze metterà a disposizione i fondi relativi". Varcando la soglia, chi volesse chiarimenti resterebbe comunque "a bocca asciutta". Questa volta non si tratta di intoppi tecnologici, di carenze di personale o ritardi di procedura. Gli operatori di giustizia territoriali non c’entrano. Hanno sollecitato il ministero competente più volte per iscritto senza mai ottenere risposta; e non sanno neppure loro cosa dire all’utenza. Effettivamente, nei confronti dei predetti funzionari delegati, c’è ben poco da dire. Nell’Ufficio di Milano chiunque può infatti constatare anche solo visivamente che le pratiche ci sono, tutte impilate in modo ordinato sulle scrivanie. Sono state anche correttamente istruite; a sinistra la pila 2008-2009, con le posizioni da pagare. A destra quelle già pagate, che aspettano di andare alla Ragioneria territoriale dello stato per i controlli di procedura. Quale è allora il problema segnalato nel cartello? Viene spiegato che i pochi soldi accreditati negli ultimi tempi, riguardano l’esercizio 2009 (in regola con i pagamenti fino al mese di aprile), nulla essendoci nelle casse del ministero, per coprire le numerose richieste di pagamento che, in tutta Italia, contabilmente afferiscono all’esercizio 2008. Di soluzioni, gli operatori di giustizia dell’Ufficio di Milano, non ne hanno. Per poter pagare i professionisti creditori bisogna acquisire i dati (fatture e documentazione di supporto) provenienti, solo per Milano, da 85 uffici del distretto. Quindi devono essere inseriti tali dati e riferimenti personali e contabili nel sistema informativo, in modo che la Banca d’Italia li possa a sua volta acquisire con i relativi ordinativi di pagamento. Devono quindi essere inviati alla Banca d’Italia, per l’approvazione e la firma. Segue l’invio degli avvisi via posta ordinaria o mail a ciascun destinatario, circa l’avvenuta messa a disposizione delle somme da incassare presso la stessa Banca d’Italia o direttamente presso la propria banca. Per giungere infine alla comunicazione alla Banca d’Italia dell’avvenuto incasso, con contestuale autorizzazione al pagamento di contributi, imposte e tasse di legge, sempre a favore del predetto destinatario. Che fare per superare "il muro di gomma" di uffici e funzionari impotenti loro malgrado? Non resta che rivolgersi direttamente a Roma. All’Ufficio della contabilità del bilancio del ministero di via Arenula 70. O, meglio sollecitare gli ordini. Affinché si organizzino per farsi promotori degli interessi (creditori) dei professionisti iscritti, da loro rappresentati. E magari, con l’occasione, chiedere a loro direttamente, di fare presente al ministro competente, che nel calderone del progetto di riforma della giustizia, c’è anche questa patata bollente. Che ormai da tempo attende di essere presa in giusta considerazione. Friuli: 8 detenuti semiliberi a scuola di formazione ambientale
Asca, 30 luglio 2009
Domani alle ore 11.30, si terrà al municipio di Tolmezzo, alla presenza del sindaco Dario Zearo, del direttore della Casa Circondariale Silvia Della Branca e dell’assessore regionale Claudio Violino, la presentazione dei risultati del progetto di formazione e tirocinio nel settore della manutenzione ambientale promosso dalla Casa circondariale di Tolmezzo in collaborazione con la direzione centrale Risorse agricole naturali e forestali della Regione, il Comune di Tolmezzo e l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Udine. Il progetto, che ha coinvolto otto detenuti in regime di semilibertà, aveva lo scopo di incoraggiare il loro reinserimento socio-lavorativo grazie ad attività che costituissero un servizio di pubblica utilità: l’iniziativa ha riguardato una prima fase di formazione teorico-pratica presso il Centro servizi per le Foreste e le Attività della montagna (Cesfam) di Paluzza dove gli allievi hanno ricevuto le principali nozioni in tema di normativa antinfortunistica e sicurezza in cantiere, di utilizzo delle attrezzature per le manutenzioni ambientali e tecniche di taglio. Lecce: scontri fra clan rivali, agenti feriti e celle sovraffollate
Gazzetta del Mezzogiorno, 30 luglio 2009
Scontri fra clan, agenti feriti, celle sovraffollate. È la fotografia che arriva dal carcere di Lecce. Nei giorni scorsi, scontri fra detenuti stranieri e italiani. In giornata, un agente finisce in ospedale. Celle sovraccariche rispetto al personale. Guerriglia tra detenuti e aggressioni nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria, una situazione a dir poco ribollente nel penitenziario leccese pronta ed esplodere. Bande criminali multietniche sono sempre pronte a imbastire veri e propri combattimenti. Nel periodo estivo, le criticità del carcere di Borgo San Nicola riaffiorano, alimentate dalle condizioni di estremo disagio con cui i carcerati sono costretti a convivere. Giorni or sono, è scoppiata una rissa tra reclusi per questioni legate al "controllo e al comando interno". Su un fronte, compatti i detenuti extracomunitari, dall’altra gli italiani. A mani nude, senza impugnare armi o bastoni, i facinorosi hanno suonato la carica e la "tenzone" è stata sedata a fatica dagli agenti di polizia. Il gruppo di ribelli è stato identificato e l’intera sezione di detenuti è stata trasferita, smistando i vari detenuti in zone diverse per evitare ritorsioni o nuovi incroci. Il clima nelle celle si è nuovamente arroventato in mattinata. Durante l’ora di passeggio, un detenuto leccese si è scagliato contro un agente dopo un banale litigio. Quest’ultimo ha dovuto fare ricorso alle cure dei sanitari per le varie ferite riportate. "Preoccupa il notevole e fastidioso sovraffollamento in luoghi dove sicurezza, salubrità, igiene e sanità sembrno rappresentare la fiaba dei tre porcellini", comunica con una nota l’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria, che va sotto l’acronimo di Osapp. "Ciò che destabilizza la situazione nel supercarcere di Lecce è il numero elevatissimo di reclusi che ha raggiunto le 1350 utenze, tra cui moltissimi cittadini extracomunitari e di colore che si scontrano con gli italiani dei clan avversi probabilmente per gestirsi il territorio carcere". E in questa situazione di degrado, rimarca il sindacato di polizia "gli agenti, quei pochi rimasti in turni di 40/45 in tutto il sistema leccese, deve fronteggiare vere e proprie guerriglie urbane, senza armi e senza sistemi di autotutela di polizia che i colleghi dei restanti corpi utilizzano negli stadi e nelle manifestazioni esterne pubbliche". "Circa 300 reclusi sono stati ammassati un due sezioni detentive, altri 310 in sezione opposte, dai pochi poliziotti penitenziari costretti a lavorare 12 e 15 ore al giorno tanto che solo nelle giornate scorse sono state utilizzate oltre il normale orario di servizio circa 600/700 ore di straordinario non pagato". Il sindacato di polizia penitenziaria insiste "sulla ricerca delle istituzioni anche attraverso un disegno di legge". Sul tavolo la chiamata diretta di circa settemila uomini e mille donne da destinare urgentemente a compiti istituzionali del corpo così come nei precedenti mesi è stato parzialmente offerto all’intero comparto di polizia e alle forze armate dello Stato". "In quest’ottica", l’Osapp invita il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Franco Ionta e il ministro della Giustizia ad avviare in via sperimentale la "zattera galleggiante" per l’utenza detenuta extracomunitaria e di colore chiarendo con quale personale specializzato vigilarla". "Sarebbe interessante", segnala Domenico Mastrulli, vicesegretario generale dell’Osapp, "capire poi con quali mezzi e con quali risorse economiche il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria vorrà far fronte ai 16mila utenti tossicodipendenti di cui 2167 in trattamento metadonico, gli oltre 21mila e 400 extracomunitari delle varie etnie, i circa 5mila e 200 affetti da epatite virale cronica (Hbv e Hcv), i 2mila e 500 sieropositivi Hiv e le 6mila e 500 persone disturbate mentalmente". "Attendiamo un chiaro segnale di apertura di un tavolo di concertazione con i neo parlamentari europei sulla questione sicurezza" scrive Mastrulli nella circostanzia nota, perché è arrivata l’ora di concreti interventi e soluzione immediate". Per Mastrulli sarebbe necessario "bloccare le traduzioni e le assegnazioni per la Puglia e per Lecce in particolare da fuori regione e l’invio urgente di 100 uomini nel carcere di Borgo San Nicola ulteriori 100 del Gruppo operativo mobile", ossia i superagenti che si occupano della custodia e del controllo dei detenuti appartenenti alla criminalità organizzata. Milano: Bollate; sezioni semivuote, perché mancano gli agenti
Redattore Sociale - Dire, 30 luglio 2009
Giorgio Bertazzini, garante dei detenuti della provincia di Milano: "La sezione femminile ospita 40 detenute ma è stata costruita per 100. E nel recente padiglione maschile "protetti", con una capienza di 340 posti, ci sono 120 reclusi". I posti ci sarebbero, ma mancano gli agenti. È la situazione di due sezioni del carcere di Bollate, alle porte di Milano, un istituto di pena per molti aspetti ritenuto un modello. "La sezione femminile ospita 40 detenute ma è stata costruita per 100 persone. E nel recente padiglione maschile "protetti", con una capienza di 340 posti, ci sono 120 reclusi", dice Giorgio Bertazzini, Garante dei detenuti della Provincia di Milano. Una situazione paradossale, in un’epoca in cui la situazione carceraria è caratterizzata da un sovraffollamento pressoché insostenibile negli istituti di tutta Italia. Eppure le due sezioni non potranno essere "riempite" finché non arriveranno altri agenti di Polizia penitenziaria: 17 per la sezione femminile, almeno 20 per la sezione maschile "protetti". "La direttrice Lucia Castellano vorrebbe riempire queste sezioni ma non può farlo a causa della carenza di personale e dei tagli all’amministrazione della giustizia - dice Bertazzini, che aggiunge. La mancanza di agenti si fa sentire particolarmente anche in questi giorni estivi, in cui ci dovrebbe essere la cosiddetta "ora d’aria aggiuntiva" ogni pomeriggio. In alcune sezioni non ci sono agenti sufficienti per portare i detenuti in ora d’aria, così viene saltata. Poi ci sono le ferie degli agenti, alcuni che si ammalano". E se da un lato c’è Bollate, in cui vivono attualmente 902 persone recluse ma potrebbe ospitarne altre 280, dall’altro c’è un sistema penitenziario italiano ormai al collasso con quasi 64mila persone, a fronte di una capienza regolamentare di poco superiore alle 43mila. "Dalla parte dei detenuti ci sono anche tutte le sigle dei sindacati di Polizia, che stanno denunciando questa situazione: gli agenti dicono che nelle carceri c’è un "accatastamento di carne umana" e lamentano straordinari non pagati, mancanza di organico e altri problemi. Senza considerare che per molti agenti c’è anche un problema di mobilità territoriale: non pochi infatti sono di origine meridionale e hanno l’interesse, la necessità e il bisogno, spesso per un problema di costi, di essere vicini a casa. La carenza di agenti è quindi maggiore nelle carceri del Nord: se spalmassimo il personale in modo meno squilibrato ci sarebbe un po’ meno sofferenza". Torino: un’agente aggredita a morsi da detenuta, teme l’Aids di Raphaël Zanotti
La Stampa, 30 luglio 2009
Un’assistente capo della polizia penitenziaria, madre di due bambini di 9 e 10 anni, è stata azzannata a un braccio e presa a calci e pugni da una donna nigeriana appena arrivata al carcere di Torino. Nel parapiglia, la donna africana si è ferita le mani e, perdendo sangue, ha infilato le dita in bocca all’agente. La poliziotta è sotto shock. "Sono molto preoccupata - dice la donna che in 17 anni di carriera non era mai stata aggredita -. Non è tanto per i lividi e gli insulti, quelli passano. Ma quando quella donna mi ha infilato le dita in bocca non avevo dispositivi di protezione. Stamattina sono dovuta andare all’Amedeo di Savoia per farmi vaccinare contro il tetano, l’epatite B e sono sotto profilassi per l’Hiv". Il che significa prelievi di sangue regolari a un mese dall’episodio, tre mesi e sei mesi. "Sono preoccupata, molto preoccupata: ho pur sempre due figli". L’aggressione è avvenuta intorno alle 16.30. La nigeriana era stata arrestata dal commissariato di Madonna di Campagna perché clandestina. Non aveva ottemperato al provvedimento del questore che l’aveva espulsa dal territorio italiano. "Una volta arrivata in carcere - racconta la poliziotta - come qualsiasi detenuta, la donna doveva essere sottoposta a una perquisizione. Purtroppo, però, nella sala delle perquisizioni non ci sono né mascherine né guanti. E nemmeno un telefono o un pulsante con allarme". La nigeriana fino a quel momento era tranquilla. È esplosa quando la poliziotta le ha comunicato che il medico del carcere, dopo la visita obbligatoria, aveva stabilito che non fosse necessario che la nigeriana portasse in cella i farmaci con cui era entrata in carcere. "Si trattava di un semplice inalatore - spiega la poliziotta - diceva di aver avuto la tubercolosi". L’aggressione è stata rapida quanto violenta. La nigeriana prima ha insultato la poliziotta, poi le ha augurato che il padre morisse, dopodiché si è avventata sulla poliziotta. "Sembrava impazzita - racconta ancora l’assistente capo - è dovuta intervenire una collega per staccarmela letteralmente dal corpo". La poliziotta, dopo la colluttazione, si è fatta visitare dal medico del carcere che le ha dato venti giorni di prognosi. "Si tratta di un episodio molto grave - denuncia Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, sindacato autonomo della polizia penitenziaria -. Purtroppo il problema della carenza di organico e del sovraffollamento delle carceri sta facendo crescere la tensione in molti istituti penitenziari. Basti dire che nei primi sei mesi dell’anno, il numero di aggressioni a poliziotti penitenziari nelle carceri da parte di detenuti è stato di 600. Significa 100 episodi al mese, 3-4 al giorno". Il padiglione F del carcere torinese del Lorusso e Cutugno non è sovraffollato. L’altro ieri, al momento dell’aggressione, le detenute erano circa 110. Un numero tutto sommato contenuto rispetto alla struttura. Discorso diverso è quello del personale. "Per controllare quelle 110 detenute e sei bambini - spiega la poliziotta aggredita - in quel momento eravamo solo in tre". Se si guardano i dati del ministero della Giustizia, le donne in forza alla polizia penitenziaria nella casa circondariale di Torino erano 64 al 31 maggio scorso. Dovrebbero essere 75 secondo una pianta organica mai cambiata dal 1992. "Questa carenza di personale non fa altro che aumentare il numero delle ore di straordinario che, unita alla scarsità di tutele sul luogo di lavoro, non fa che aumentare i pericoli - dichiara il segretario regionale dell’Osapp, Gerardo Romano - Tutto questo avviene senza che nemmeno vengano pagate le indennità e gli arretrati". Pesaro: detenuto "altamente pericoloso" scarcerato per sbaglio
Il Messaggero, 30 luglio 2009
Il segretario del Sappe Di Giacomo ha confermato che il fatto è accaduto una ventina di giorni fa e ha imputato la responsabilità alla mancanza di organico: "L’ufficio rilascio detenuti ha carenze del 50%, solo 5 agenti per 305 detenuti". Libero per errore e, a questo punto, evaso a tutti gli effetti. Un detenuto campano ospite nella Casa Circondariale di Villa Fastiggi, in cella per gravi reati, è stato rilasciato una ventina di giorni fa per sbaglio. L’uomo era trattenuto in carcere per via di due ordini di custodia cautelare, emessi nei suoi confronti per due procedimenti giudiziari distinti, quando solo per uno dei due procedimenti in corso è giunta la scarcerazione per scadenza dei termini. Rilasciato erroneamente dagli agenti di polizia penitenziaria, dell’uomo non si hanno più notizie. Il Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria ha svolto ieri mattina un’ispezione interna per verificare l’accaduto, ma il sindacalista del Sappe, Aldo Di Giacomo si augura "che non vengano presi provvedimenti punitivi nei confronti dell’agente che tra l’altro era assegnato ad un’altra mansione al momento della scarcerazione". Secondo il sindacato, infatti, il fatto è dovuto alla carenza organica con cui da tempo convive il Corpo di Polizia Penitenziaria del carcere di Pesaro. "Lo andiamo denunciando da tempo ormai - continua Di Giacomo - la situazione a Pesaro è esplosiva e non si possono imputare colpe all’agente". In sostegno del sindacalista anche l’onorevole David Favia e il coordinatore regionale dell’Idv, Gianfranco Borghesi. "Un fatto di una gravità assoluta - spiegano i due dipietristi - un episodio dovuto solo alla carenza di personale. Non siamo cassandre, sappiamo semplicemente osservare la realtà e proviamo a trarre le conseguenze. Abbiamo denunciato la situazione compromessa per tempo, abbiamo rilevato grazie al Sappe condizioni di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria assolutamente inadeguate e abbiamo sollevato il caso in parlamento ma siamo stati completamente inascoltati". A conferma della situazione incandescente nella casa circondariale gli scorsi giorni è scoppiata una rissa tra due detenuti sedata da un agente che, nella colluttazione, ha rimediato uno sgabello in faccia e quindici giorni di prognosi. "Altro esempio che purtroppo conferma le nostre riflessioni e le nostre previsioni - concludono Favia e Borghesi. Ovviamente l’impegno dell’Italia dei Valori dopo questi fatti continuerà serrato, senza soste, sia attraverso l’attività sul territorio sia a Roma. Lo stallo di Villa Fastiggi va risolto con provvedimenti tampone subito e con una strutturale immissione di personale nel breve periodo. Gli agenti del penitenziario non possono più aspettare". San Gimignano (Si): il Comune chiede l’intervento del Governo
Ansa, 30 luglio 2009
Unanimità in Consiglio Comunale per la delicata questione del carcere di Ranza alle prese con la carenza di personale e la rivolta dei detenuti. Tutte le forze politiche hanno votato favorevolmente l’ordine del giorno presentato dal "Centrosinistra per San Gimignano" con la richiesta di una decisa presa di posizione della Giunta e del Sindaco di fronte al Governo nazionale. "Un atto di indirizzo che condividiamo e a cui seguiranno azioni nei confronti del Governo e del Ministero di Grazia e Giustizia, come hanno fatto i parlamentari senesi Susanna Cenni e Franco Ceccuzzi nei giorni scorsi affinché la questione di Ranza entri quanto prima nell’agenda politica del Governo che non può più attendere nella risoluzione di un problema diventato insostenibile - ha detto il sindaco di San Gimignano Giacomo Bassi -. Si tratta di una struttura sensibile in cui diversi fattori mettono a rischio la sicurezza: dalle carenze strutturali e di personale, alla dirigenza che negli anni passati è cambiata continuamente. L’atto presentato in Consiglio vuole essere un modo per stigmatizzare l’attuale assenza a livello nazionale di azioni concrete per affrontare e risolvere una situazione tanto delicata". "A Ranza c’è una situazione cronica che si inserisce in una dinamica nazionale più complessa - ha dichiarato Andrea Marrucci, capogruppo del "Centrosinistra per San Gimignano" - È un mix di fattori micidiali che favorisce la confusione e l’autolesionismo dei detenuti con ripercussioni su chi a Ranza lavora e generando insicurezza tra i cittadini. E le risposte del Governo sono tardive e generiche". "Siamo favorevoli a questa mozione perché il Sindaco e la Giunta sollecitino il Governo a intervenire - ha detto Claudio Sanciolo della Lista Civica "Cittadini per San Gimignano" - per risolvere una situazione che non è solo del carcere di Ranza ma che si vive nei carceri di tutta la Toscana". A condividere l’ordine del giorno anche Brunello Bertelli del Popolo delle Libertà secondo cui "questa crisi viene da lontano. Sono anni che c’è questa situazione e c’è chi si è incatenato davanti al portone del carcere, chi ha organizzato cortei e ciclicamente la crisi si ripropone". Favorevole anche Silvia Pietroni di Rifondazione Comunisti Italiani secondo cui "mentre il Governo parla di politiche per la sicurezza,a Ranza la situazione è invivibile. Molte risorse impiegate per le ronde, potrebbero essere meglio spese". S. Maria Capua Vetere (Ce): questo carcere "sopra il vulcano"
Comunicato stampa, 30 luglio 2009
Oltre alla motivata rabbia non può che destare ilare stupore che si possano concepire "spostamenti" provvisori di Personale di Polizia Penitenziaria dalla Campania e da altre regioni del Sud verso sedi del Nord, benché in forma volontaria e con pagamento del servizio di missione in misura forfetaria come concepito dalla Direzione Generale del Personale e della Formazione del Dap. Non mancano, infatti, in numerosi istituti della Campania condizioni in cui il Personale di Polizia Penitenziaria è impiegato in continuo e quotidiano rischio per la propria incolumità fisica. Uno di questi istituti, sicuramente il peggiore in ambito campano ed uno dei peggiori in ambito nazionale è la Casa Circondariale di S. Maria Capua Vetere che noi definiamo assai prossima al cratere di un vulcano che può esplodere da un momento all’altro. Collocato nella zona di uno dei principali clan camorristici qual è quello dei "Casalesi" è l’istituto presso cui affluiscono la maggior parte dei soggetti protagonisti delle iniziative e dei blitz dell’Autorità Giudiziaria e delle Forze di Polizia nella provincia di Caserta. Nonostante una capienza tollerabile di 750 detenuti (la regolamentare è di 549) ne sono attualmente presenti 900 di tipologia assolutamente eterogenea quali 380 A.S. di cui 51 di sesso femminile ed i restanti almeno di Media Sicurezza quali alcuni nella prima fase di c.d. "collaborazione" e 58 classificati "sex offenders". La carenza di Personale, che oggi assomma a non meno di 60 unità rispetto alle tabelle ministeriali, è ancora più aggravata dai continui ingressi in istituto dei soggetti arrestati in flagranza di reato e sottoposti a rito per direttissima, dall’oramai eccessivo numero dei colloqui, dalle continue traduzioni e trasporti verso le aule di giustizia e per ricoveri ospedalieri e dalla presenza nella struttura di un’aula bunker, con continui accessi di personale, avvocati, addetti e familiari che devono essere controllati e registrati. È anche in realizzazione all’interno dell’istituto una nuova sezione con betoniere per il calcestruzzo, autocarri ed operai che accedono continuamente dal lunedì al venerdì. Da tempo, si segnala per quanto riguarda i servizi interni e di sezione, che nelle ore serali non esiste neanche la possibilità per il Personale di ricevere il cambio per la consumazione della cena. L’istituto che pure trova collocazione in un ambito di così rilevante attualità criminale non dispone di intercinta muraria né di "sentinelle" ed è sovrastato a pochissima distanza da una strada ad alta percorrenza di autoveicoli. Sono attualmente 8.000 per il 2008 e 17.000 per il 2009 le giornate di congedo di cui il Personale di Polizia Penitenziaria deve ancora fruire.
La Segreteria Generale Osapp Spoleto (Pg): troppi detenuti nel carcere di massima sicurezza
Ansa, 30 luglio 2009
Di fronte alle ultime decisioni prese dall’Amministrazione Penitenziaria e dal Ministero della Giustizia, che prevedono il trasferimento nel carcere di massima sicurezza di Maiano, di un notevole numero di detenuti, in aggiunta a quelli già ospitati e senza adeguamento degli organici, nell’esprimere la propria preoccupazione per la situazione di grave insicurezza che si verrebbe a determinare, sia per gli operatori che per i detenuti e di cui gli ultimi episodi non sono che un segnale allarmante, il Consiglio Comunale esprime il proprio sostegno alle azioni di protesta intraprese dalle Organizzazioni Sindacali, che sottolineano l’unilateralità delle scelte da parte del Ministero della Giustizia e dall’Amministrazione Penitenziaria che, in assenza di un progetto complessivo per l’Istituto di Spoleto non si pongono nemmeno il problema di un adeguamento del personale già carente di 63 unità. Il Consiglio Comunale esprime la propria preoccupazione per la situazione che si sta creando in Umbria e a Spoleto, dove le scelte che il Ministero sta compiendo rischiano di mettere in discussione un modello di integrazione tra la realtà carceraria e il territorio, che è stata di esempio per importanti innovazioni in quanto, il rapporto fin qui costruito con il contributo delle Istituzioni tra la struttura "concepita con la logica del nuovo regolamento che prevede la massima sicurezza, ma nel rispetto della dignità delle singole persone" e la città, ha garantito un’importante clima di coesione sociale. Premesso tutto ciò, il Consiglio Comunale invita il Sindaco del Comune di Spoleto ad attivarsi coinvolgendo le Organizzazioni Sindacali, le Istituzioni Locali e Regionali, per chiedere all’Amministrazione Penitenziaria e al Ministero della Giustizia un’immediata integrazione degli Organici e i finanziamenti necessari per l’adeguamento delle infrastrutture e migliorare, sia gli stessi standard di sicurezza che la possibilità di continuare un rapporto positivo tra le istituzioni Carcerarie e il Territorio.
Martellini (Pd) solidale con la Polizia Penitenziaria
Il vice Presidente del Consiglio Comunale Paolo Martellini esprime il proprio sostegno alle azioni di protesta degli agenti penitenziari in relazione al mancato adeguamento del personale, già carente di 63 unità, da parte del Ministro della Giustizia e dell’Amministrazione Penitenziaria. "Le condizioni lavorative degli agenti" - afferma il consigliere del Pd - "rischiano di diventare insostenibili, con gravi rischi non solo per la loro sicurezza ma per quella di tutti i cittadini. A far scattare l’emergenza è la conferma dell’arrivo di 300 nuovi detenuti comuni da due penitenziari del sud, che prenderebbero il posto dei boss trasferiti dal carcere dell’Aquila in seguito al terremoto e ora rientrati in Abruzzo. Gli agenti di polizia penitenziaria hanno già ripetutamente espresso i loro timori, perché questi detenuti comuni creerebbero maggiori problemi di ordine pubblico". "La situazione" - prosegue il vice Presidente - "è al collasso, e per far fronte a questa emergenza sono necessarie più risorse e un incremento di uomini e mezzi". Il capogruppo del Pd in Consiglio comunale Patrizia Cristofori, a nome del gruppo consiliare, ha presentato ieri una mozione per esprimere la preoccupazione per la situazione che si sta determinando in Umbria e a Spoleto, dove le scelte che il ministero sta compiendo rischiano di mettere in discussione un modello di integrazione tra la realtà carceraria e il territorio. Potenza: 34enne detenuto da 10 anni si laurea giurisprudenza
Ansa, 30 luglio 2009
Nonostante si trovi in carcere a Melfi (Potenza) da dieci anni per detenzione e spaccio di stupefacenti, un uomo di 34 anni, originario della provincia di Matera, che terminerà di scontare la sua pena nel 2011, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Foggia discutendo una tesi in "Storia del diritto italiano" dal titolo "Potere giudiziario nel 700 francese". Lo ha reso noto oggi l’ufficio stampa dell’ambito territoriale di Venosa (Potenza) dell’Azienda sanitaria di Potenza. Il neolaureato - che ha intenzione di iniziare il praticantato per diventare avvocato - era seguito dai Servizi per il recupero dalle tossicodipendenze di Melfi (che operano anche all’interno dei luoghi di detenzione): "Una volta iscritto all’università, nel 2002 - ha detto all’Ansa l’assistente sociale del Sert di Melfi, Antonio Fasano - il giovane veniva di volta in volta autorizzato dal magistrato e veniva trasferito presso il carcere di Foggia, dove sosteneva gli esami". Anche la discussione della tesi di laurea è avvenuta nel carcere di Foggia ed il presidente della commissione è stato il preside della facoltà di Giurisprudenza, Marco Miletti: "Il merito del giovane - ha sottolineato il direttore del Sert, Piero Fundone - è di aver dimostrato che il carcere può diventare occasione di riabilitazione". Piacenza: il Sindaco; le ronde? sono "onerose ed inapplicabili"
Corriere della Sera, 30 luglio 2009
"Il decreto attuativo sulle disposizioni in materia di sicurezza pubblica non offre un’opportunità effettiva ai Comuni, ma è il risultato di una politica degli annunci che comporta oneri per gli enti locali, senza fornire le risorse e i mezzi necessari per rendere operative, nel rispetto della legge, le associazioni di osservatori volontari". È durissimo lo sfogo del sindaco di Piacenza Roberto Reggi il quale affida ad un comunicato stampa la sua forte perplessità riguardo all’impiego delle ronde, alla vigilia della conferenza Stato-città prevista per domani e che prenderà in esame il documento del governo. Secondo Reggi, ad una attenta analisi degli articoli, "emergono diversi punti poco chiari e numerose contraddizioni in merito al rapporto tra costi, impegno burocratico e benefici che deriverebbero per i territori dall’attuazione del provvedimento": si parte dall’iscrizione delle associazioni di osservatori volontari all’albo provinciale in Prefettura "le cui richieste dovrebbero essere raccolte dal sindaco, con tutte le responsabilità di verifica che ne conseguono, senza chiarire se queste spettino al Comune o alla Prefettura stessa". Il primo cittadino lamenta anche l’eventuale competenza per l’organizzazione di corsi di formazione obbligatori per i volontari, "ma anche in questo caso non si precisa - si legge nel comunicato di Reggi - sebbene sia facilmente deducibile, a carico di chi siano le risorse economiche e umane necessarie". Il sindaco del Pd affronta poi la questione delle ricetrasmittenti omologate - ed identificate dalla Polizia municipale - e con cui i volontari dovrebbero dialogare con le forze dell’ordine: "Chi sostiene i costi per questi mezzi - si domanda Reggi - e poi, poiché le segnalazioni possono essere inoltrate sia ai Vigili urbani, sia alla Polizia di Stato, è evidente la confusione di ruoli e competenze". Il primo cittadino di Piacenza, approfondendo i singoli elementi del decreto attuativo, rileva poi come i sindaci siano tenuti, in base all’articolo 3, "a stipulare convenzioni con le associazioni iscritte nell’elenco, ancora una volta senza specificare la ripartizione dei costi. Infine, appare fumoso e facilmente soggetto a fraintendimenti l’elenco dei requisiti fisici e attitudinali richiesti agli osservatori volontari e esplicitati dall’articolo 4: a chi spetta il compito delle verifiche? Ci si potrà affidare a uno strumento di autocertificazione o occorreranno certificati emessi dall’Ausl locale, con conseguenti oneri per la sanità pubblica?". Il comunicato di Reggi si conclude quindi con un duro giudizio sul decreto: "Sono iniziative onerose e di fatto inapplicabili, che non rispondono ai reali problemi dei cittadini, determinando obblighi e costi aggiuntivi per le amministrazioni locali" auspicando, invece, un "aumento del sostegno finanziario alle forze di polizia che versano in condizioni di reale disagio e difficoltà". Immigrazione: in Lombardia tre sentenze a difesa di migranti di Anna Avitabile
www.rassegna.it, 30 luglio 2009
Arrivano in risposta ai ricorsi promossi dagli stessi cittadini stranieri, dalla Camera del lavoro di Milano, di Brescia e da diverse associazioni. Un passo avanti sulla strada delle pari opportunità in controcorrente rispetto al pacchetto sicurezza. Il Comune di Brescia ha dovuto riconoscere che non è legittimo discriminare le persone in base alla loro nazionalità e per questo è stato obbligato a riaprire i termini per la richiesta del "bonus bebè" del 2008 (ordinanza del Giudice del lavoro del 12 marzo 2009 che ha considerato illegittimo il requisito della cittadinanza italiana per almeno uno dei due genitori richiedenti il "bonus"). Ma la vicenda giudiziaria non è terminata perché la Giunta comunale, pur essendo stata obbligata a chiudere la graduatoria il 30 giugno scorso, è intenzionata ad opporsi fino in Cassazione prima di erogare i benefici economici. La Regione Lombardia si è vista bocciare una propria delibera sul "bonus famiglie numerose" che escludeva dal beneficio gli stranieri con permesso di soggiorno della durata di un anno e rinnovabile, e ugualmente dovrà stilare una nuova graduatoria sulla base dei nuovi criteri (Tar della Lombardia, sentenza del 9 giugno 2009, che per i cittadini stranieri elimina il requisito del possesso della carta di soggiorno o del permesso di lungo periodo). L’azienda dei trasporti di Milano non può più escludere a priori i cittadini extracomunitari tra i suoi potenziali dipendenti (sentenza del Tribunale di Milano, 21 luglio 2009, su ricorso di un cittadino marocchino, Hailoua, assistito da "Avvocati per niente onlus" e dalla "Associazione studi giuridici sull’immigrazione", che impone all’azienda Atm di rimuovere il requisito della cittadinanza per le offerte di assunzione). Tre sentenze in risposta ai ricorsi promossi dagli stessi cittadini stranieri, dalla Camera del lavoro di Milano e di Brescia e da diverse associazioni, che segnano un piccolo passo in avanti sulla strada dei diritti e delle pari opportunità. Tre sentenze controcorrente rispetto al clima di intolleranza recepito nel "pacchetto sicurezza". Da notare che il Tar, nel respingere la delibera della Lombardia in tema di famiglie numerose, si è richiamato anche ai principi sanciti dalla stessa normativa regionale. "La Lombardia ha buone leggi, non discriminatorie, che devono essere applicate concretamente soprattutto nei contenuti delle delibere amministrative - osservano Nino Baseotto, Onorio Rosati e Marco Fenaroli, rispettivamente segretari generali delle Cgil Lombardia e delle Camere del lavoro di Milano e di Brescia -. Ci auguriamo che il presidente Formigoni si convinca finalmente di quanto inutile e dannoso sia per sé e per la propria giunta inseguire le spinte più estremiste e venate di xenofobia presenti nella maggioranza che lo sostiene". Immigrazione: Torino; bambini al nido ma genitori denunciati
La Repubblica, 30 luglio 2009
La legge sulla sicurezza, "contraddittoria e di non facile applicazione", "priva dei diritti fondamentali i bambini più piccoli e va contro principi costituzionali e convenzioni internazionali". Lo sostengono l’assessore comunale torinese alle Risorse educative, Giuseppe Borgogno, e il capogruppo Pd Andrea Giorgis, professore di diritto costituzionale. Un passaggio della norma, denunciano, "prescrive alla pubblica amministrazione di iscrivere i bimbi stranieri a nidi e materne e, contemporaneamente, di denunciare i genitori irregolari, con il rischio di far diventare "invisibili" i più piccoli". Il sindaco e presidente dell’Anci Sergio Chiamparino, investito della questione con una lettera, si è detto d’accordo con le analisi argomentate nella missiva e "pronto ad impegnarsi". Droghe: Secondigliano-Scampia, viaggio in girone dei dannati di Simone di Meo
Terra, 30 luglio 2009
A Secondigliano e Scampia si può acquistare ogni genere conosciuto di sostanza stupefacente a prezzi stracciati. Kobrett, speed ball e "shaboo" rappresentano la nuova frontiera della tossicodipendenza: sono mix micidiali che mandano subito in overdose. Le statistiche e le indagini antimafia dicono che i quartieri napoletani di Secondigliano e Scampia sono i più grandi market della droga in Europa: ogni giorno, centinaia di spacciatori offrono ai clienti provenienti da ogni parte della regione e del Sud Italia - tutte le specie di stupefacenti conosciute. Il successo di questo commercio è dovuto alla politica dei prezzi stracciati, che consente, con appena venti, trenta euro, di acquistare una dose di cocaina e, con poco più della metà, eroina o hashish da fumare o inalare. I rioni-dormitorio, nati per offrire un tetto agli sfollati del terremoto del 1980, sono controllati dal potente clan camorristico degli Amato-Pagato, noti anche come "scissionisti " o "spagnoli", protagonisti di una furibonda faida, tra il 2004 e il 2005, con la cosca avversaria dei Di Lauro per il controllo del mercato; e, col passare degli anni, si sono trasformati in "fortini" inespugnabili con tanto di dissuasori di velocità (per impedire gli inseguimenti tra le pattuglie delle forze dell’ordine e i motorini degli spacciatori) e di ingressi blindati ai tristi palazzoni di cemento armato che ospitano fino a 150 famiglie.
Le piazze dello spaccio
Ogni singola piazza di spaccio riesce ad assicurare introiti per oltre 50mila euro al giorno. Secondo alcune informative, ce ne sono almeno venti attive in tutto il circondario nord. Le più importanti della zona sono: Rione Monterosa (cocaina, eroina, kobrett, hashish e marijuana) e i lotti "Ta" e "Tb"; corso Secondigliano (kobrett e cocaina); Vela gialla e Vela rossa (cocaina, eroina, kobrett, hashish e marijuana); rione Berlingieri (cocaina, eroina, kobrett, hashish e marijuana) e Oasi del Buon Pastore (kobrett, ecstasy, hashish e marijuana). Altri giganteschi punti di smercio delle sostanze stupefacenti sono: il quadrivio di Secondigliano, via Bakù, via Roma verso Scampia e via Ghisleri. Ma, con la polverizzazione del mercato degli stupefacenti, è facile trovare aree di vendita al dettaglio quasi in ogni strada di Scampia.
Le tecniche di difesa
Le tecniche di difesa dalle indagini, elaborate dai camorristi, si sono particolarmente evolute negli ultimi tempi. Al passo, insomma, con quelle escogitate dalle forze dell’ordine per arrestarli: ogni piazza è controllata da due o più vedette (alcune sono fisse, altre mobili e girano tutt’attorno all’area a piedi e in motorino), che urlano nomi in codice per segnalare la presenza di estranei. I soprannomi più comuni sono: Maria (per i carabinieri) e Tonino (per i poliziotti). La droga, solitamente, viene conservata nelle aiuole dei giardinetti pubblici, nelle edicole votive o tra le auto in sosta. Per trasportarla alla base vengono utilizzati vari stratagemmi: il più sicuro è nascondere i pacchetti sotto il sedile di uno scooter, oppure sistemarli in una carrozzina per neonati. A nessuno verrebbe in mente di andare a controllare tra bavetti e copertine, eppure è così che ogni giorno vengono riforniti i pusher delle venti piazze di spaccio.
Le tipologie di droga
Dai sequestri effettuati dalle forze dell’ordine, emerge che le percentuali di vendita più alte appartengono alla cocaina, che ormai si è affermata come leader del mercato, mentre cresce la quota di "apprezzamento " della nuova droga dei poveri, il kobrett, ottenuto dagli scarti dell’eroina. Solitamente, il kobrett ha la forma di una pallina e si inala, dopo averla sciolta con un accendino sulla carta stagnola. Basta una cannuccia per poterla aspirare. Ha un potere di dipendenza fisica enorme ed effetti devastanti su polmoni e fegato. Recentemente, è apparsa nei quartieri di Secondigliano e Scampia anche la famigerata "speed ball" (palla veloce), un mix micidiale di cocaina ed eroina, che si vende a circa 40 euro. Spesso, si accompagna con l’alcool per allungarne gli effetti allucinogeni. È a questo miscuglio che si deve la maggior parte delle morti per overdose che si verificano nel Napoletano. Lo "shaboo", invece, ha un effetto cinquanta volte superiore a quello della cocaina ed è prodotto, in laboratorio, attraverso una mistura a base di anfetamine. Fino a qualche anno fa, si importava esclusivamente dalle Filippine e dalla Birmania e costava, all’ingrosso, fino a 700 euro al grammo. La globalizzazione del narcotraffico ha abbattuto i prezzi e oggi è possibile acquistarne una dose a Secondigliano a poco meno di ottanta euro.
Le ultime inchieste
Le inchieste della Direzione distrettuale antimafia hanno dimostrato il grado di fidelizzazione dei "clienti" di specifiche piazze di spaccio e i perfetti meccanismi di organizzazione e di vendita. In un recente blitz, ad esempio, è stato accertato dagli uomini del commissariato di Scampia che, per regolare l’afflusso dei tossici, erano state predisposte vere e proprie squadre di supporto logistico all’attività degli spacciatori: c’era chi, come le mamme, distribuiva panini e bibite ai pusher e chi, invece, si occupava di tenere in ordine la fila dei "visitors" - come in gergo si chiamano i tossici all’ultimo stadio - incanalandola in appositi percorsi delimitati da transenne, che sfociavano a ridosso di un fortino, blindato da spranghe alle porte e alle finestre, da cui tramite apposite feritoie veniva passata la dose di stupefacente agli acquirenti. A rendere sicuro il "bunker" dalle incursioni delle forze dell’ordine c’erano squadre di giovanissime "vedette", cinque o sei in tutto, che riuscivano a guadagnare fino a duecento euro al giorno con turni di sei ore. I minori, addetti al servizio d’ordine, avevano il compito di lanciare l’allarme all’arrivo della polizia, o dei carabinieri e in pochi istanti l’affollata piazza di spaccio si sarebbe trasformata in un rione deserto, al centro del quale sarebbero rimaste soltanto le cartacce dei panini e le lattine vuote di Coca Cola, frettolosamente abbandonate dagli spacciatori affamati e assetati. Le prove accumulate in mesi di indagini hanno comunque consentito agli agenti del commissariato di Scampia (guidati da Michele Maria Spina) di arrestare diciassette persone, una delle quali minorenne.
I narcos adottano un bambino nigeriano
E ancora: in un altro caso, è stato accertato che il patto di sangue e droga tra la mafia africana, insediata a Castelvolturno e lungo tutto il litorale domizio, e il famigerato cartello degli "scissionisti", che ormai monopolizza il traffico di stupefacenti in entrata e in uscita in Campania, aveva un "garante" davvero speciale: non uno spregiudicato assassino dalla pelle nera, né un temibile capo camorra, tantomeno un anziano e carismatico padrino alla Marlon Brando. Il "garante" del patto era un bambino. Un bambino innocente, originario della Nigeria, adottato da una famiglia di narcos di Scampia, finita nel mirino dei carabinieri del comando provinciale di Napoli, che hanno portato in galera i capi di una cellula criminale specializzata nello smercio dell’eroina turca e afgana. Trattato come un figlio, come uno di casa: il bimbo, di circa sei anni, ha lasciato la famiglia originaria che abita a Varcaturo, e si è trasferito nella zona dei Sette Palazzi, la piazza di spaccio che - raccontano le carte degli inquirenti - impiega fino a trenta uomini, tra spacciatori, custodi, contabili e vedette, per un volume d’affari quantificato in circa 40mila euro al giorno. Non si tratta, evidentemente, di un’adozione violenta o dettata da contorte strategie malavitose, ma "della chiara dimostrazione che le alleanze commerciali, nel campo degli stupefacenti, tra i gruppi nigeriani e quelli partenopei si sono a tal punto consolidate da rendere possibile il trasferimento di un giovanissimo membro della comunità nigeriana in una famiglia napoletana", come suggerisce la lettura di un esperto investigatore. Raccontano le vecchie inchieste sul clan Di Lauro che il primo trafficante a intuire le potenzialità del canale estero per l’acquisto dell’eroina fu Tonino Leonardi, il quale si serviva di un emissario della criminalità organizzata turca per entrare in contatto con i produttori di eroina e hashish in Afghanistan e in Uzbekistan e trasportare in Italia tonnellate e tonnellate di droga. Con il passare del tempo - e con gli arresti a ripetizione che hanno smembrato il network mafioso di Ciruzzo ‘o milionario - sono scomparsi gli intermediari e i clan di Secondigliano sono entrati direttamente in affari con la mafia nigeriana, che è ben presto diventata titolare unica nel settore dell’eroina così come i colombiani in quello della cocaina. India: Farnesina; massima attenzione, per gli italiani detenuti
Ansa, 30 luglio 2009
Il ministero degli Esteri sta seguendo "fin dal suo inizio, con la massima attenzione", la vicenda di Angelo Falcone e Simone Nobili, i due italiani - il primo di Rotondella (Matera), l’altro di Piacenza - detenuti in India dal 9 marzo 2007 con l’accusa, sempre respinta, di traffico di droga. Lo ha scritto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, in una lettera al presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, il cui testo è stato reso noto stamani dall’ufficio stampa della giunta regionale lucana. Frattini ha spiegato che l’ambasciata italiana a Nuova Delhi ha prestato a Falcone "ogni possibile assistenza" e vi sono state finora "sei visite consolari in carcere, allo scopo di monitorare le condizioni di salute e di detenzione". Sono continuati, inoltre, i contatti con le autorità indiane - anche durante il G8 svoltosi a Trieste nel giugno scorso - affinché sia permesso a Falcone di telefonare in Italia, in particolare al padre. Il ministro degli Esteri, infine, ha detto di essere in attesa di una risposta del ministero della Giustizia sulla possibilità di concludere un’intesa con l’India per permettere il trasferimento in Italia delle persone condannate nel Paese asiatico. Lo si apprende dall’Ansa. Belgio: nuova evasione, fuggono 6 detenuti, quattro già ripresi
Ansa, 30 luglio 2009
A pochi giorni da una spettacolare evasione in elicottero di tre detenuti dal carcere di massima sicurezza di Bruges, stamani altri sei reclusi sono riusciti a fuggire, questa volta da Merkplas, nel nord del Belgio. Quattro detenuti sono stati immediatamente ripresi, ma altri due, un belga e uno originario della ex Jugoslavia, condannati per furto e violenze, sono tuttora ricercati. I detenuti avrebbero saltato il muro di cinta del carcere, dopo aver utilizzato la scala di un cantiere all'interno della prigione. Anche gli evasi da Bruges non sono stati ancora ritrovati. Malta: Msf riprende attività in Centro detenzione per migranti
www.confinionline.it, 30 luglio 2009
MSF fornisce assistenza sanitaria ai migranti irregolari e ai richiedenti asilo nel centro di detenzione a Malta e in quelli aperti ma resta l’allarme per l’interruzione degli sbarchi. Dopo aver sospeso le attività mediche, lo scorso marzo, nei centri di detenzione per migranti irregolari e richiedenti asilo a Malta, Medici Senza Frontiere (MSF) ha ripreso le attività all’interno del centro di detenzione a Tàkandja. La decisione segue l’impegno preso dalle autorità maltesi volto a consentire l’efficace attività medica e ad assicurare adeguate condizioni di vita per i detenuti. "Lo scorso marzo abbiamo sospeso le nostre attività nei centri di detenzione perché era per noi impossibile offrire un’assistenza medica adeguata e di qualità in quelle circostanze. Non potevamo distribuire medicinali ai pazienti per curarli o isolare i pazienti colpiti da malattie infettive. A causa delle terribili condizioni di vita, spesso gli immigrati necessitavano di più visite per lo stesso disturbo, poiché i sintomi persistevano", ha spiegato Gabriele Santi, coordinatore del progetto di MSF a Malta. MSF ha ripreso le attività nel centro di detenzione a Tàkandja durante la prima settimana di luglio, dopo aver raggiunto un accordo con le autorità maltesi e dopo aver ricevuto risposta ad alcune delle richieste avanzate. "Le attuali condizioni di vita e igieniche a Tàkandja rendono i nostri interventi medici efficaci e non rappresentano più una minaccia per la salute degli immigrati. Inoltre, in seguito alle nostre richieste, è stata predisposta un’area di isolamento adeguata per i pazienti affetti da malattie infettive", ha aggiunto Philippa Farruggia, dottoressa di MSF a Malta. Durante la prima settimana di attività a Tàkandja, MSF ha eseguito più di 100 visite mediche. Per identificare i pazienti in condizioni più gravi, un team di MSF esegue la prima valutazione medica (triage) all’interno delle aree in cui vivono i detenuti. MSF svolge inoltre attività di promozione della salute e presto avvierà interventi di salute mentale. Molti detenuti, soprattutto quelli che hanno affrontato viaggi terribili per raggiungere Malta e si scontrano con l’incertezza del loro futuro nei centri di detenzione, hanno estremo bisogno di assistenza per la salute mentale. Da febbraio, quando il centro di detenzione è stato costruito per rispondere al crescente flusso di immigrati sull’isola, i migranti irregolari e i richiedenti asilo a Tàkandja hanno avuto un accesso alle cure limitato. "Stiamo fornendo cure mediche a questo gruppo di immigrati che per mesi ha ricevuto un’assistenza ridotta. Allo stesso tempo, nel caso di ulteriori arrivi di migranti a Malta, la nostra presenza a Tàkandja ci consente di eseguire triage medico, di identificare chi necessita di un intervento medico d’urgenza dopo aver affrontato il viaggio terribile attraverso il Mediterraneo e di fornire l’assistenza medica umanitaria di cui hanno bisogno," ha continuato Gabriele Santi.
La nostra vita qui è sprecata, ma non possiamo tornare indietro
Nei primi due mesi del 2009 più di 700 nuovi migranti e richiedenti asilo hanno raggiunto Malta su barche di fortuna, ma dalla fine di aprile gli sbarchi si sono fermati. Anche il team di MSF a Lampedusa, isola italiana a 220 km da Malta dove migliaia di migranti sbarcano ogni estate, dal mese di aprile non ha registrato sbarchi. "Questa situazione è preoccupante per MSF. Se i migranti vengono rimandati in Libia direttamente dal mare, senza avere la possibilità di sbarcare in Italia o a Malta, di fatto viene loro negata l’assistenza umanitaria e anche la possibilità di richiedere asilo", ha affermato Antonio Virgilio, capo missione per i progetti di MSF in Italia e a Malta. "Poiché i controlli al confine stanno diventando sempre più rigidi, i migranti si espongono a sempre maggiori rischi e viaggi in condizioni sempre più pericolose". A Malta, il 60% dei migranti assistiti da MSF, tra agosto 2008 e febbraio 2009, era di origine somala. Attraversano il deserto e il mar Mediterraneo alla ricerca di un rifugio e di pace. A., 24 anni, arrivato da Mogadiscio, è stato trasferito a settembre 2008 dal centro di detenzione di Malta a uno dei quattro centri aperti a Hal Far, dove divide una tenda con altri immigrati. Insieme alla sua fidanzata, è ripartito tre volte dalla Libia prima che il loro viaggio andasse a buon fine e si concludesse a Malta. "Abbiamo tentato due volte ma appena partivamo dalla Libia la nostra barca veniva intercettata e rimandata indietro. Siamo quindi stati messi in prigione. Non avevamo cibo né acqua a sufficienza e sembrava che essere picchiati ripetutamente fosse una regola," ha raccontato. Tra i tentativi falliti di attraversare il mare, A. ha trascorso più di sei mesi in differenti prigioni libiche. Ad ogni modo, la vita a Malta non è come si aspettava. "A Malta non ho futuro, nessuna vita, nessuna opportunità di migliorare le mie condizioni. Siamo tutti bloccati. La nostra vita qui è sprecata. Ma non possiamo tornare indietro", ha concluso. MSF offre assistenza medica e supporto psicologico ai migranti irregolari e ai richiedenti asilo a Malta dall’agosto del 2008. Oggi, MSF fornisce assistenza medica, segue programmi di salute mentale e svolge attività di promozione della salute tra i migranti e i richiedenti asilo che vivono nei centri aperti a Hal Far e nel centro di detenzione a Tàkandja.
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