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Giustizia: meglio una piuma che un "vano rotear di scimitarra" di Ida Rotano
Aprile on-line, 21 luglio 2009
Meglio usare "la piuma d’oca" nel compito di far rispettare la Costituzione, piuttosto che "un vano rotear di scimitarra", dice Giorgio Napolitano, a proposito delle polemiche sulla promulgazione della legge sulla sicurezza. E aggiunge, a proposito di chi "invoca polemicamente e di continuo poteri e perfino doveri di intervento che non ho", che "mostra di aver compreso poco della Costituzione e della forma di governo, non presidenziale, che essa ha fondato". "Presto attenzione a tutte le osservazioni e le riserve, anche a quelle espresse in modo più sommario e persino aggressivo. Da tutte trarrò beneficio per ulteriore svolgimento del mio mandato". Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, parlando alla cerimonia del Ventaglio delle critiche ricevute quando ha deciso di promulgare il ddl sicurezza accompagnandolo con una lettera al governo. Il capo dello Stato ha ricordato che il suo mandato "consiste nel rispettare la Costituzione, nel contribuire a farla vivere, nel richiamare i suoi valori, i suoi principi e le sue regole. A qualche fiero guerriero - è sembrato implicito il riferimento del presidente della Repubblica al leader dell’Italia dei valori - sembra che io lo faccia con la piuma d’oca: sempre meglio, si potrebbe dire, che un vano rotear di scimitarra". Napolitano si è anche rivolto a quanti nella maggioranza hanno considerato inappropriato il suo intervento attraverso una missiva al governo: "La tesi dell’improprietà o arbitrarietà di ogni espressioni di dubbi, perplessità, preoccupazioni che non avvenga attraverso il solo canale di messaggi formali al Parlamento, non poggia su alcun fondamento costituzionale ed è smentita da un numero tali di precedenti che non può reggere". Poi, riguardo alla legge sulla sicurezza, Giorgio Napolitano ribatte "a qualche fiero guerriero" che lo ha criticato soprattutto dopo la promulgazione del ddl. È stata una promulgazione piena, e chi "invoca polemicamente poteri e doveri di intervento che non ho, mostra di aver compreso poco della Costituzione". Il Capo dello Stato torna a chiedere capacità di autocritica e dialogo da parte di governo e opposizione, e spiega che il dibattito sulle intercettazioni sarà uno dei "banchi di prova" della nuova stagione. "Riconoscere che esiste un problema di revisione di regole e di comportamenti in materia di intercettazioni è la premessa per cercare soluzioni appropriate e il più possibili condivise". È l’auspicio espresso dal presidente delle Repubblica. Soluzioni che, a suo giudizio, si possono raggiungere "cogliendo l’occasione dell’opportuno slittamento delle votazioni in parlamento sulla legge già da tempo in discussione". Per Napolitano, dunque, "occorre spirito di apertura e senso della misura da parte di tutti i soggetti interessati". Anche per questo, sottolinea il Capo dello Stato, "sarà prossimamente questo uno dei banchi di prova di quel confronto più civile e costruttivo tra maggioranza e opposizione che continuo a considerare necessario nell’interesse della democrazia e del paese". Giustizia: Amnesty; la Polizia si assuma proprie responsabilità
www.unimondo.org, 21 luglio 2009
In merito alle recenti sentenze riguardanti le uccisioni di Federico Aldrovandi e Gabriele Sandri, Amnesty International chiede l’assunzione di responsabilità per le violazioni dei diritti umani commesse da pubblici ufficiali, comprese le forze di Polizia. "Le sentenze riguardanti le due uccisioni chiamano in causa la responsabilità delle forze di Polizia italiane circa l’uso delle armi da fuoco e della forza" - afferma Amnesty. "Inserendosi in un contesto più ampio, caratterizzato dalla mancanza di un organismo indipendente di monitoraggio sui diritti umani e sull’operato delle forze di polizia, richiesto dagli standard internazionali e sollecitato da tempo da Amnesty International, le due sentenze devono interrogare le autorità italiane in merito alla formazione e al comportamento degli agenti di polizia e alla loro responsabilità circa la protezione delle persone". Secondo Amnesty International, l’assunzione di responsabilità per le violazioni dei diritti umani commesse da pubblici ufficiali, comprese le forze di polizia, deve essere la norma. "Le autorità italiane devono dare attuazione alle raccomandazioni degli organismi internazionali per prevenire ulteriori tragici casi del genere". Amnesty International ha seguito sin dall’inizio entrambe le vicende, considerandole significative in relazione al tema dell’accertamento delle responsabilità delle forze di polizia per violazioni dei diritti umani. L’organizzazione annuncia che "si esprimerà con maggiore dettaglio nel momento in cui saranno note le motivazioni delle sentenze". Nei giorni scorsi il tribunale di Ferrara ha condannato a tre anni e sei mesi i quattro poliziotti accusati di eccesso colposo nell’omicidio colposo di Federico Aldrovandi, il ragazzo di 18 anni morto il 25 settembre 2005 durante un intervento di Polizia. Il pm Nicola Proto aveva chiesto condanne per tre anni e otto mesi a ciascuno dei quattro agenti. L’accusa è di aver ecceduto nel loro intervento, di non aver raccolto le richieste di aiuto del ragazzo, di aver infierito su di lui in una colluttazione imprudente usando i manganelli che poi si sono rotti. Alcuni giorni fa la corte d’Assise di Arezzo ha condannato a sei anni di reclusione il poliziotto Luigi Spaccarotella, che l’ 11 novembre 2007, nell’area di servizio Badia al Pino, vicino ad Arezzo, uccise con un colpo di pistola il tifoso laziale Gabriele Sandri. Il poliziotto, imputato di omicidio volontario, è stato dichiarato colpevole di omicidio colposo. Il pm aveva chiesto una pena di 14 anni di reclusione. Giustizia: Napolitano; sulle intercettazioni, riforma condivisa di Giorgio Battistini
La Repubblica, 21 luglio 2009
"Eccessi e forzature" sulle intercettazioni telefoniche "in passato, ci sono stati" ammette Giorgio Napolitano parlando ai giornalisti nel giorno dedicato alla tradizionale consegna del ventaglio. E questo riconoscimento "è la conferma che un problema di revisione di regole e di comportamenti in materia d’intercettazioni esiste". Il che rappresenta anche la "premessa" per cercare soluzioni appropriate e il più possibile condivise". Ma la giustizia non può trasformarsi in spettacolo. Nel salone delle Feste del Quirinale, bollente come ogni estate, il capo dello Stato incontra gli Stati generali della stampa italiana. Occasione giusta per una riflessione sulla sua recente firma al decreto sicurezza, con allegate perplessità e riserve dello stesso presidente. In materia, Napolitano conferma e spiega le sue posizioni. Si limita a citare quanto disse giusto un anno fa, in un’analoga occasione istituzionale. "Dissi allora", ricorda oggi, che era necessario impegnarsi per "non indulgere alla spettacolarizzazione delle vicende giudiziarie e dei processi", e quelle "mie parole del luglio ‘88 significano impegno a non farsi condizionare dal timore della concorrenza nello scandalismo, anche il più volgare". La normativa sulle intercettazioni, dice ancora Giorgio Napolitano, è tuttora "oggetto di divergenze e acuti contrasti" dentro e fuori il Parlamento. Certo che non vanno violate "le aree di comprensibile riservatezza dell’indagine giudiziaria", ma rimane un problema di "revisione di regole e di comportamenti" in materia di intercettazioni, che di fatto è la "premessa a cercare soluzioni appropriate il più possibile condivise". In queste riflessioni di mezz’estate Napolitano s’è concesso alcune messe a punto lasciate cadere sul dibattito politico, in vista della ripresa autunnale. Messo da parte il vocabolario degli "appelli", "tregue", "dialoghi" ricorrenti nel lessico politico, il presidente ricorda la sua scelta di "porre esigenze largamente diffuse tra gli italiani lasciando alle forze politiche la libertà e l’onere delle risposte". Essenziale, ricorda a se stesso e a chi ha il dovere di tenere informata l’opinione pubblica, osservare sempre "l’imperativo dell’obiettività, dell’equilibrio, dell’imparzialità. La legge sulla sicurezza appena firmata dallo stesso presidente "non è stata promulgata con riserva, istituto inesistente, ma accompagnata da una lettera" con numerose critiche, "strada imboccata molte volte in passato". Il presidente risponde brusco a taluni suoi critici ("qualche fiero guerriero") che l’accusano di usare la "piuma d’oca" nello stendere le critiche costituzionali. Un riferimento, anche se non esplicito, agli attacchi di Di Pietro. "Sempre meglio", dice il presidente, di "un vano rotear di scimitarra". E li invita a rileggere Einaudi, "Lo scrittoio del presidente". Critici che dimostrano "d’aver compreso poco della Costituzione e della forma di governo, non presidenziale, che essa ha fondato". Una critica, stavolta, che guarda anche a destra, agli attacchi di Marcello Pera. Giustizia: stupri a Roma, si ripete l’esame del Dna di Bianchini
Ansa, 21 luglio 2009
Nuovo esame del Dna a Bianchini. Il presunto violentatore seriale di Roma sarà sottoposto ad una nuova analisi che metterà a confronto gli esiti delle nuove indagini con i risultati ottenuti sulle tre violenze imputate al contabile di Cinecittà. Era dal giorno del suo arresto che il ragioniere di 33 anni chiedeva la ripetizione dell’esame: "Non sono io l’uomo che cercate", ripeteva dalla sua cella a Regina Coeli. "Rifatemi l"esame". E la Procura ha accolto la sua richiesta. Giovedì, la stessa Polizia scientifica che ha fatto i primi rilievi, otterrà l’incarico di ripetere l’indagine. "Non lo facciamo perché non siamo certi dei risultati precedenti - spiegano in Procura - ma per dare un"ulteriore garanzia all’accusato". A differenza del primo esame, l’incidente probatorio, com’è chiamata nel linguaggio giuridico la nuova indagine sul Dna, sarà condotto però anche dai periti della difesa elevando il risultato dell’indagine da livello di indizio a quello di prova da presentare in Tribunale. I tecnici analizzeranno anche una macchia di liquido seminale trovata su un paio di pantaloni sequestrati nei giorni scorsi in casa dell’imputato. Uno dei difensori, Bruno Antoniozzi - il penalista che nel "96 ottenne l’assoluzione di Bianchini in un processo per il tentato stupro di una vicina di casa - ha incontrato Luca Bianchini in carcere: "Abbiamo avuto oggi, copia di tutta l"attività d"indagine compiuta dai magistrati", ha detto l’avvocato. E il suo collega Giorgio Olmi: "Quell’esame del Dna era incompleto. Giusto ripeterlo". Giustizia: Alfano; il Governo, è il primo "garante" dei detenuti
Asca, 21 luglio 2009
"Il primo garante dei detenuti di un Paese è il governo". Lo ha dichiarato, a margine della firma del protocollo per l’informatizzazione dei procedimenti civili presso la Corte d’Appello di Venezia, il ministro della giustizia Angelino Alfano. "Noi siamo garanti del fatto - ha aggiunto il ministro - che con il nuovo piano di edilizia carceraria il detenuto dovrà essere trattato in modo tale che la pena non sia contro il senso dell’umanità e che sia esercitata la funzione rieducativa della pena". Il ministro della giustizia ha infine concluso: "La nostra è una scelta chiara perché abbiamo scelto di dire no alle amnistie, no agli indulti, di non ripetere la strada già battuta in Italia che ha portato a 30 amnistie in 70 anni. Noi abbiamo scelto la strada di costruire nuove carceri e quella seguiremo". Giustizia: Osapp; "no", i primi "garanti" dei detenuti siamo noi
Ansa, 21 luglio 2009
"Con noi il ministro Alfano non ha discusso di alcun piano": lo afferma il segretario dell’Organizzazione Sindacale Autonoma di Polizia Penitenziaria, Leo Beneduci, contestando "su tutta la linea" le dichiarazioni fatte oggi dal Guardasigilli a Venezia. "Se poi il progetto è quello che hanno oramai analizzato un po’ tutti negli ambienti della penitenziaria - osserva Beneduci - il ministro deve sapere che agli attuali ritmi di crescita della popolazione carceraria, questo disegno non è insufficiente. I primi garanti dei detenuti siamo noi della Polizia Penitenziaria". L’Osapp, che ha indetto con altre sigle sindacali una manifestazione a Napoli mercoledì prossimo 22 luglio davanti al carcere di Poggioreale per ribadire i termini della protesta generale, sottolinea che "tra due anni saremo da capo un’altra volta (tra un anno i reclusi saranno più di 70 mila contro gli attuali 47 mila posti letto). Il piano non assicura i posti letto necessari, quindi, e non prevede forza lavoro nuova rispetto gli attuali turni di sorveglianza. Sono cose che diciamo oramai da mesi ma il ministro non vuole proprio sentirne parlare. Oggi, invece, assistiamo a queste dichiarazioni nuove, con le quali il ministro ha l’ardire di collegare il destino di oltre 65 mila detenuti a 42 mila poliziotti penitenziari, e utilizzando l’espediente del problema delle presenze straniere negli istituti, passando la palla all’Unione Europea". Giustizia: Sappe; il Commissario Ionta non fa nulla, vada via
Ansa, 21 luglio 2009
"È giunto il momento che il Governo Berlusconi e il ministro della Giustizia Alfano commissarino il commissario straordinario per le carceri Franco Ionta": Lo chiede il segretario del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), Donato Capece, dopo aver visto "la vergogna penitenziaria del carcere di Favignana". "Ionta vada via - dice Capece - perché "non fa nulla di concreto per tentare di gestire l’emergenza penitenziaria. A Favignana - aggiunge - ogni giorno i nostri poliziotti lavorano in condizioni precarie e inaccettabili. Ma Ionta dimostra ogni giorno di più di non essere in grado di gestire le criticità penitenziarie. I detenuti aumentano a livello esponenziale (siamo a quota 64mila a fronte di circa 42mila posti letto), gli organici del Corpo sono carenti di ben 5mila unità, e lui non fa nulla di concreto per risolvere tali problematiche". "Le aggressioni agli agenti nei penitenziari del Paese sono ormai una consuetudine quotidiana - prosegue -, come anche i tentativi di evasioni (l’ultimo ieri nel carcere di Genova Pontedecimo). Ma Ionta cosa fa? Si chiude nella torre d’avorio di largo Luigi Daga a Roma. Ionta ha redatto un piano carceri che a tutt’oggi non si è degnato neppure di portare a conoscenza dei sindacati". Giustizia: Lazio; criminalità e disoccupazione in cima alle paure
Redattore Sociale - Dire, 21 luglio 2009
Ricerca sulla percezione della sicurezza dei cittadini del Lazio. Seguono crisi dei valori, inquinamento, immigrazione, droga. Due intervistati su tre pensano che la criminalità sia aumentata in Italia, ma non nel loro comune. Sono la criminalità, la delinquenza e la disoccupazione le prime preoccupazioni degli abitanti del Lazio: in particolare, sono le donne e gli anziani a sentirsi più esposti ai rischi. Verso gli immigrati la popolazione risulta aperta e tollerante. Sono i principali risultati dell’indagine sulla percezione della sicurezza dei cittadini del Lazio, realizzata dall’Osservatorio tecnico-scientifico per la sicurezza e la legalità della regione Lazio in collaborazione con la facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza di Roma. I dati sono stati raccolti in collaborazione con l’istituto Eures. La ricerca, realizzata attraverso un questionario telefonico di circa 30 domande a un campione di 1.014 persone fra marzo e aprile 2009, viene presentata oggi. La principale fonte di preoccupazione è costituita dunque da sicurezza, criminalità e delinquenza, 70,9%; la seconda dai temi economici e del lavoro, 57,9%. Seguono crisi di valori, 28,9%; inquinamento, 25,9; immigrazione 25%. Considerando le risposte dal punto di vista del genere si vede che la percentuale sale al 78,4% per le donne e scende al 62,6% per gli uomini. Mentre dal punto di vista dell’età degli intervistati, emerge che gli anziani sono i più preoccupati per la delinquenza: 80,9%. Mentre le fasce più giovani temono l’insicurezza economica: 68,4% tra i 18 e i 34 anni e 64,9% tra i 35 e i 49. La distribuzione delle paure nel territorio è una delle variabili più significative. La percezione di insicurezza dovuta alla delinquenza è più forte nelle province di Viterbo, Frosinone e Rieti, che sono anche le meno popolate, e nei comuni più piccoli (sotto i 15 mila abitanti) mentre la città di Roma mostra dati significativamente più bassi sia in relazione alla criminalità, sia alla preoccupazione per la presenza di persone straniere. La propensione che emerge in generale dalla ricerca a non ricondurre l’immigrazione direttamente a una percezione di ansia - sembra non resistere proprio nelle due province, Viterbo e Frosinone in cui è minore la presenza di stranieri. A Viterbo il 55% del campione dichiara di essere preoccupato per l’immigrazione e a Frosinone il 44,3%. "La preoccupazione per la sicurezza e per la criminalità e poi per l’immigrazione si legge nella ricerca - è più alta nei piccoli comuni, dove l’insicurezza è percepita in modo più netto, anche se è lecito supporre che l’incidenza effettiva della criminalità sia più bassa. Si può ipotizzare che nei piccoli centri la devianza sia più visibile e pertanto percepita come una minaccia più grave per la comunità; oppure che essa, soprattutto quella senza volto, faccia più paura in ambienti meno abituati al passaggio e all’incrocio delle culture. Non a caso Roma, la città incomparabilmente più cosmopolita, presenta rispetto a queste voci valori tutti più bassi delle altre province". La droga è segnalata come il crimine più ricorrente nella propria città da poco meno della metà degli intervistati (46,7%). "L’enfasi sulla droga - osserva la ricerca - meriterebbe senza dubbio un approfondimento: il dato invita a riflettere sul fatto che, nonostante i media abbiano smesso di frequentarla come emergenza sociale, la droga tuttora continua a rappresentare una paura diffusa e radicata nell’immaginario sociale". I dati più alti a Rieti, 54,% e Viterbo 59,5%. Alla domanda "Riguardo alla criminalità, quanto è sicuro il suo comune?" la popolazione del Lazio sembra spaccata a metà, anche se con una prevalenza per coloro che si definiscono complessivamente sicuri il 57,5 % (il 4,9% "molto sicuro"). La provincia di Viterbo è quella in cui è più basso il senso di insicurezza, 18,7%; seguita da quella di Frosinone 28,5%. La città di Roma presenta il senso di insicurezza più alto, 44,4%. Da notare come i dati cambino quando la domanda sulla percezione della sicurezza viene posta in riferimento esplicito al proprio comune di residenza. La percezione di un aumento, nell’ultimo anno, dei tassi di criminalità in Italia è un dato significativo: poco meno dei due terzi (63,6%) degli intervistati si orienta in tal senso, contro un 30,3% che ritiene che l’incidenza della criminalità sia rimasta inalterata. Anche in questo caso, però, l’analisi più approfondita mostra interessanti elementi di complessità. C’è una forte differenza tra gli intervistati di Roma - "solo" il 58,9% stima che la criminalità sia aumentata - e gli abitanti delle altre province, tutte oltre il 73%. È interessante il fatto che questa generale percezione di aumento della criminalità sia mitigata dal riferimento diretto al proprio comune di residenza: infatti, alla stessa domanda riferita non più ad un territorio ampio ma esplicitamente al proprio comune, aumenta sensibilmente il numero di coloro i quali ritengono che la situazione sia simile ai livelli precedenti, anche con una curiosa "inversione" nelle proporzioni, ad esempio, dei rispondenti distinti per provincia. In pratica, molti degli abitanti delle province più piccole e dei residenti nei piccoli centri affermano che nel proprio comune la criminalità è rimasta ai livelli precedenti ma, allo stesso tempo, stimano che in Italia sia decisamente aumentata. In riferimento alle organizzazioni criminali il 55,4% ritiene che siano presenti nella sua provincia. Nello specifico: traffico di droga, 66;9%; appalti pubblici, 40,2 e prostituzione 33,6%. Agli intervistati è stato chiesto se negli ultimi due anni fossero stati vittime di uno o più reati e la risposta è stata positiva solo nel 17% dei casi. In circa i due terzi dei casi la vittima ha sporto denuncia.
Criminalità e immigrati spaventano meno gli italiani
La paura della criminalità e perfino degli immigrati sembrano improvvisamente scendere nelle impietose classifiche dei sondaggi. Almeno questa è la fotografia che si deduce dal secondo Rapporto Demos-Unipolis curato da Ilvo Diamanti, su un campione altamente rappresentativo di 2000 casi. Le paure non solo diminuirebbero di intensità, ma stanno cambiando direzione. Negli ultimi mesi l’opinione pubblica italiana ha subito infatti una velocissima trasformazione e il nesso che sembrava inscindibile tra insicurezza e criminalità sembra modificarsi. Questo il risultato principale del secondo Rapporto Demos-Unipolis. Si tratta di risultati per certi versi sorprendenti, che vengono spiegati così dallo stesso Ilvo Diamanti: "Il primo rapporto realizzato da Demos per Unipolis, un anno fa, aveva messo in luce come il nesso fra criminalità e sicurezza era divenuto tanto stretto da rendere difficile perfino distinguere i piani". Diamanti ricorda infatti che gli incidenti sul lavoro o sulle strade assumono grande rilevanza solo in casi eccezionali, come nel caso dell’incidente della ThyssenKrupp, nel quale morirono tragicamente sette operai. "Comunque, suscitano emozione, ma non ‘paurà e insicurezza. Come se si trattasse di eventi in una certa misura inevitabili". La spirale generata dal circuito fra realtà, opinione pubblica e media negli ultimi anni ha alimentato l’insicurezza, facendola giungere a livelli elevatissimi, come è emerso dal primo rapporto di Demos per Unipolis dell’anno scorso. Il picco è stato raggiunto nell’autunno 2007: in quel mese si è registrato il grado più alto di preoccupazione sociale, di allarme per i crimini contro la persona e la proprietà privata ma anche nei confronti degli immigrati, percepiti come minaccia, molto più che come risorsa. Con l’edizione 2008 del rapporto si cambia registro. I dati dell’indagine quest’anno suggeriscono infatti un cambiamento profondo. "A tal punto - dice ancora Diamanti - che pare quasi di trovarsi di fronte a un altro paese". Che cosa è successo? Come mai questo cambiamento repentino? I risultati del sondaggio Demos-Unipolis sono stati incrociati all’indagine sull’insicurezza nei media, condotta dall’Osservatorio di Pavia attraverso l’analisi dei Tg delle principali reti nazionali, Rai e Mediaset. "Dopo molti anni - dice Diamanti - assistiamo al sensibile ripiegamento delle "paure" legate all’incolumità personale. Si riduce, dunque, la quota (peraltro elevatissima) di persone che ritengono in aumento la criminalità in ambito nazionale. Ma diminuisce in modo ancor più rilevante la componente di persone che considerano aumentata la criminalità a livello locale: dal 53% al 40%". Contemporaneamente, cala il timore di essere vittima di furti, violenze, rapine, truffe. Altra novità rilevante: nell’ultimo anno arretra anche la "paura" degli immigrati, che anzi - per una grossa fetta di cittadini italiani - cominciano ad essere considerati una "risorsa", piuttosto che un problema. Secondo i risultati della ricerca, insomma, l’insicurezza non è affatto un fenomeno neutrale e "oggettivo". Il secondo rapporto Demos-Unipols conferma al contrario che il senso di insicurezza viene in genere alimentato da quattro ordini di ragioni. Il primo è la "perifericità" sociale. L’insicurezza risulta più elevata tra i ceti più bassi, fra le persone con un grado di istruzione meno elevato, tra le donne, nel centro-sud. Il secondo è il "capitale sociale". L’insicurezza cresce fra le persone esterne ai circuiti della partecipazione; mentre si riduce sensibilmente fra coloro che sono inseriti in reti di relazioni amicali e di vicinato molto fitte. Il terzo è "l’esposizione ai media", in particolare alla televisione. Quando il "consumo" televisivo supera le 4 ore al giorno l’angoscia cresce. Il quarto è "politico": il problema della sicurezza è denunciato con maggior forza dagli elettori del centrodestra: Pdl e Lega; mentre è percepito in modo meno drammatico dagli elettori del centrosinistra. In particolare del Pd e della sinistra radicale, mentre gli elettori dell’IdV rivelano un grado di paura piuttosto elevato.
Non più un criminale: l’immigrato è una risorsa per il 42% dei cittadini
Il numero degli italiani che vedono gli immigrati come "fonte" di criminalità, o comunque come "causa" della sua crescita, si riduce sensibilmente, fra il 2007 e il 2008. Si è chiusa una parabola ascendente che durava da ormai cinque anni. Oggi, a vedere l’immigrazione come una insidia per l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone è circa un rispondente su tre (36%). Dall’altra parte, invece, quanti considerano il fenomeno migratorio come sorgente di arricchimento e apertura culturale ammontano a circa il 42%. In questo caso, pur disponendo di una serie storica meno completa, possiamo osservare come l’andamento sia stato, nel corso del tempo, più ondivago, anche se, negli ultimi anni, l’indice appare in leggera (ma costante) flessione. Sono alcuni dei risultati più interessante della seconda ricerca Demos-Unipolis che è stata presentata oggi a Roma, esattamente a un anno di distanza dal primo rapporto. Nella ricerca curata anche quest’anno da Ilvo Diamanti si chiedeva agli intervistati (2000 persone) se gli immigrati possono essere considerati un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone. E nello stesso questionario veniva chiesto se per caso la presenza degli immigrati favorisce la nostra crescita culturale. Ebbene i risultati sono anche in questo caso abbastanza sorprendenti. Nei grafici che illustrano i risultati della ricerca si vede infatti chiaramente che la curva che rappresenta la prima domanda (gli immigrati sono un pericolo per l’ordine pubblico?) ha avuto un picco nell’ottobre-novembre del 2007 per poi cominciare a scendere progressivamente. Si è passati infatti dal 50,7% (ovvero più della metà degli italiani in quel periodo pensavano che gli immigrati fossero solo un rischio per la convivenza civile) al 36,2% del novembre di quest’anno. Contemporaneamente è in discesa anche la curva "positiva", ovvero quella che rappresenta le risposte alla domanda gli immigrati sono una risorsa culturale. Si passa dal 46,3% dell’ottobre-novembre del 2007 al 42,3% di oggi. Come si vede la flessione è più bassa della prima. Sono cioè molti di più gli italiani che ci hanno ripensato a proposito dell’abbinamento tra immigrato e criminale.
Il grado di insicurezza cresce insieme al "consumo" televisivo
Nell’autunno del 2008 gli italiani si sentivano più "sicuri" rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Le paure "economiche" e quelle "globali" restano alte, ma risultavano ancora stazionarie. Quelle "personali", dettate dalle minacce all’incolumità personale e della famiglia, alle proprietà e al domicilio, invece mostravano addirittura un calo. Nello stesso tempo si riduce sensibilmente la percezione che la criminalità stia aumentando: a livello nazionale e, ancor più, locale. Il rapporto tra percezione della insicurezza legata alla criminalità e i media è dimostrato dalla quantità e qualità delle notizie che vengono veicolate in particolare dalla televisione. È uno dei principali risultati del secondo Rapporto Demos-Unipolis sulla percezione della sicurezza tra gli italiani che è stato presentato oggi a Roma al Cnel e che sarà presentato e discusso la prossima settimana durante il Seminario di Redattore Sociale a Capodarco. Nel Rapporto Demos sono state analizzate le risposte di chi vede la televisione e sono state incrociate ai risultati di un’altra ricerca specifica sulla comunicazione della sicurezza realizzata dall’Osservatorio di Pavia. Nonostante la persistenza delle notizie legate alla criminalità, in particolare, nei notiziari televisivi, anzitutto nei Tg di punta (Tg5 e Tg1) e sulle reti private, il calo dell’insicurezza "personale" si rifletterebbe nel calo, assai consistente, dell’attenzione dedicata dall’informazione televisiva a questi argomenti. Anche se si discute molto tra gli esperti quale sia il rapporto vero di causalità fra emozione e televisione, la relazione fra la percezione dell’insicurezza e l’esposizione mediatica appare evidente dall’analisi dei dati dell’indagine. Sembra cioè ormai certo che il grado di insicurezza espresso dai cittadini cresce insieme alle ore di "consumo" televisivo (ad eccezione delle "paure globali"). In questo clima di disgelo emotivo, anche l’atteggiamento verso gli immigrati diventa meno ostile: sul pregiudizio negativo tende spesso a prevalere quello positivo: che costituiscano una risorsa. Nella ricerca Demos si sostiene che il cambiamento del clima d’opinione dipende, in misura significativa, dal cambiamento del clima politico e mediatico. Fra i due ambiti il rapporto è stretto, quasi simbiotico. La campagna elettorale lunga, in qualche modo permanente, che ha caratterizzato l’Italia nei mesi precedenti il voto di aprile, ha certamente avuto forti riflessi sulla comunicazione mediatica. I temi relativi alla sicurezza e alla criminalità, in particolare, hanno ottenuto grande visibilità, perché prioritari nell’agenda degli attori politici in vista del voto. Così, l’insicurezza è divenuta un tema di prima serata, un titolo da posizionare in testa ai notiziari. In controtendenza con l’andamento dei reati. Ora invece le elezioni sono lontane, i rapporti di forza in Parlamento stabili e ben definiti. Per cui non si assiste a battaglie mediatiche e politiche sui temi della criminalità e dell’immigrazione. Lo spazio dedicato dai media a questi temi appare in drastica riduzione, come quello riservato agli immigrati. Anche se il calo dei reati, che pur prosegue, avviene senza strappi. Mentre la crescita dell’immigrazione e gli sbarchi dei clandestini continuano, a ritmo superiore rispetto agli anni precedenti. Fanno "meno" notizia. E, parallelamente, spaventano di meno. È possibile che questa tendenza si consolidi, nel prossimo futuro, perché non sono in vista campagne elettorali critiche quanto quelle che hanno caratterizzato gli ultimi anni. È probabile, invece, che si accentuino ulteriormente le preoccupazioni legate all’economia, al reddito, al lavoro.
La paura della criminalità all’82%. E ha connotazioni politiche
Sebbene persista, nell’opinione pubblica, la diffusa convinzione di una progressione dei fenomeni criminali, su scala nazionale, il dato si ridimensiona, negli ultimi dodici mesi, attestandosi intorno all’82%. Lo scarto rispetto all’ottobre scorso è di circa 6 punti percentuali; dopo anni in cui la "febbre" da timore criminale sembrava non doversi più fermare abbiamo assistito ad un primo raffreddamento nel maggio di quest’anno e poi all’assestamento attuale, in cui l’allarme è tornato sostanzialmente ai livelli del 2005. Sono questi i risultati della seconda indagine Demos-Unipolis presentati oggi a Roma. Nell’indagine - che sarà discussa anche durante il prossimo seminario nazionale dell’agenzia Redattore Sociale a Capodarco di Fermo - è interessante anche la parte relativa al rapporto tra campagne politiche ed elettorali e percezione delle paure. Quanti ritengono che la criminalità sia aumentata in Italia negli ultimi cinque anni sono soprattutto gli elettori dell’Udc (83%), del PdL (84%) e della Lega Nord (92%). Al contrario, gli indicatori di inquietudine si abbassano in modo ancora più sensibile se consideriamo le grandezze riferite al contesto di vita e al "quotidiano" delle persone. Quanti infatti percepiscono un aumento della criminalità nella propria zona di residenza sono tornati ampiamente sotto la maggioranza assoluta, attestandosi intorno al 40%: il calo rispetto all’ottobre del 2007 è di oltre dieci punti percentuali. Anche in questo caso consideriamo l’aspetto "politico" dei dati presentati. Ad essere maggiormente spaventati sono gli elettori della Lega Nord (51%), seguiti da quanti simpatizzano per il PdL (46%). Chi si riconosce nel Partito Democratico, invece, percepisce in misura maggiore una stasi o una diminuzione della criminalità nella propria zona. Si abbassa anche il livello di preoccupazione direttamente riferito a sé, alla propria famiglia, ai propri beni. Tutti i quesiti proposti dal rapporto, infatti, evidenziano un generalizzato (seppur, talvolta, contenuto) arretramento. Tra questi, il timore maggiormente presente negli intervistati rimane la paura di veder violata la propria abitazione: il 21% dichiara di sentirsi frequentemente preoccupato di questo, con una flessione rispetto a un anno fa di circa due punti percentuali. A seguire troviamo invece il timore di subire una truffa legata ai sistemi di pagamento elettronico e la paura del furto del mezzo di trasporto (auto, moto, bicicletta, scooter): per entrambi è il 19% del campione a dichiarasi spesso preoccupato, e anche in questo caso il trend è di leggero calo (rispettivamente: meno uno e meno tre punti percentuali rispetto all’ottobre 2007). La paura di subire scippi o borseggi, invece, inquieta oggi il 15% della popolazione e, in questo caso, osserviamo una diminuzione consistente, di circa sei punti percentuali rispetto alla rilevazione passata. Chiude questo elenco di crimini il timore frequente di subire un’aggressione o una rapina, che coinvolge il 13% del campione. Nella passata rilevazione l’allarme per questo reato si assestava intorno al 19%, quindi anche in questo caso lo scarto è negativo di circa sei punti percentuali. Giustizia: Veneto; con l’informatica, meno carte per i processi di Antonio Trentin
Giornale di Vicenza, 21 luglio 2009
Intesa tra ministeri, tribunali e avvocati per rivoluzionare le pratiche d’archivio in tutto il Veneto a partire dalla Corte d’appello. I dati delle cancellerie e le sentenze dei procedimenti saranno accessibili via computer. E in autunno arrivano in ufficio i marescialli di rinforzo. Giustizia informatizzata in tutto il Veneto, con i file in computer al posto dei faldoni di cancelleria, con la trasmissione elettronica degli atti e la consultabilità immediata, con le notifiche via mail anziché con il messo del tribunale che suona al campanello e chiede la firma per ricevuta. Intanto c’è un protocollo d’intesa, sottoscritto ieri mattina a Venezia. Il resto verrà e sono convinti tutti - ministri, magistrati, dipendenti e avvocati - che verrà presto. A darne la garanzia sono arrivati sul Canal Grande, alla Corte d’appello di palazzo Cavalli, Angelino Alfano e Renato Brunetta, titolari della Giustizia e della Pubblica amministrazione nel governo Berlusconi. Ci mette soldi lo Stato: 100 mila euro per partire. Ce ne mettono gli Ordini degli avvocati delle sette province venete (più Bassano), perché il primo interesse a sveltire l’elefantiaca burocrazia giudiziaria è loro e dei loro clienti. Contenti più di tutto sono i giudici - rappresentanti nell’incontro veneziano dalla "padrona di casa" Manuela Pasetti Romei, presidente della Corte - perché potranno mostrare che le lentezze e le inefficienze del sistema non dipendono da loro (come predica la polemica che dura da anni ed è piena di risvolti politici) ma dall’arretratezza di una macchina che va avanti senza personale e un buco di 1.000 magistrati nell’organico nazionale, con tecnologie vergognosamente in ritardo rispetto al resto d’Europa e con la riqualificazione e l’aggiornamento dei dipendenti ridotti al minimo. La raffica di firme che ha preso un buon quarto d’ora di tempo al maxi-tavolo di palazzo Cavalli - con le penne che passavano di mano in mano tra rappresentanti del governo, presidenti di tribunale, rappresentanti degli avvocati di tutta la regione - sta scritta ora sotto protocolli che riguardano le notifiche delle cause civili di primo e secondo grado (comunicazioni e biglietti di cancelleria, come li classifica la terminologia forense), la digitalizzazione dei fascicoli e l’inserimento in rete delle sentenze di primo grado. "Si agirà progressivamente, partendo dalla Corte d’appello di Venezia che migrerà dal sistema cartaceo a quello elettronico in autunno. Successivamente - è stato spiegato all’incontro con Alfano e Brunetta, prodighi di complimenti alla regione che per prima avvia l’esperimento - il meccanismo sarà esteso a tutti i tribunali del Veneto. Le esperienze a mano a mano maturate saranno messe a disposizione delle amministrazioni giudiziarie di tutto il paese". "La svolta della digitalizzazione - secondo il ministro della giustizia e la sua sottosegretaria Maria Elisabetta Casellati - permetterà di avere servizi più rapidi e trasparenti ed una maggiore efficienza anche nel’utilizzo del personale". Una prospettiva, questa, che piace molto al governo in considerazione del fatto che il blocco del turn-over nelle amministrazioni pubbliche obbliga a migliorare la produttività pro-capite come risposta al calo dei posti di lavoro. Sempre in fatto di personale, è problema serissimo e ben presente quello dell’invecchiamento dei dipendenti amministrativi e del loro progressivo allontanamento per fatto generazionale dalle novità delle tecnologie elettroniche e informatiche. "Servirebbero nuovi dirigenti dell’e-generation..." dice Alfano. Brunetta e Tremonti non gliene danno, ma il ministro veneziano promette che nell’ambito dell’operazione-mobilità anche il settore giustizia beneficerà di utili aggiustamenti del suo organico. Caso citato esplicitamente: quello dei 30 mila sottufficiali delle forze armate - i classici "marescialli da scrivania" - che in tutta Italia sono diventati un super-esubero da quando il loro lavoro di selezionatori e gestori del servizio di leva non esiste più. "Finora non ci sono riuscito per la rigidità delle normative - ha ammesso Brunetta - ma con un’adeguata politica di incentivi spero di poterne spostare molti in altre amministrazioni dello Stato già entro l’autunno. Una parte di loro, che sono persone ben qualificate per la gestione di uffici amministrativi, potrà arrivare anche nei tribunali". Toscana: le carceri sono al collasso c’è il 50% di detenuti in più
La Repubblica, 21 luglio 2009
Carceri al collasso per troppo affollamento. Nelle celle vivono circa il 50 per cento di detenuti in più di quelli che potrebbero contenere. L’allarme sulla situazione dei penitenziari in Toscana lo lancia il direttore del dipartimento regionale per la salute in carcere Francesco Ceraudo, autore di un’indagine sulle condizioni dei detenuti. "Le strutture sono 17, dopo la recente chiusura di Pontremoli ed Empoli e comprese il minorile e lo psichiatrico di Montelupo - spiega - Le carceri sono ormai al collasso: i posti disponibili sono 2.836 ma i reclusi al 30 giugno scorso risultavano 4.284. E sono in costante aumento". Gli effetti del sovraffollamento sono vari. "Rende precarie le strutture edilizie e le più elementari regole di igiene personale ed ambientale - dice sempre Ceraudo - In certi casi nelle celle per due detenuti ce ne stanno anche in sei, e per 22 ore al giorno. Una follia. Questo vuol dire maggiore assistenza medica e più farmaci. Senza tenere conto della difficile convivenza tra detenuti, in gran parte extracomunitari, di etnie diverse, che danno origine a situazioni di violenza. Proteste, scioperi della fame, gesti di autolesionismo sono molto frequenti in questo periodo. Si tratta di espedienti che servono per emergere dalla triste, confusa realtà dei numeri". Umbria: mozione Pdl, sulla emergenza sanitaria per i detenuti
www.spoletonline.com, 21 luglio 2009
Una mozione urgente con cui si chiede alla Regione di dare seguito agli impegni presi con il Ministero di Grazia e Giustizia, quando, nel 2001, ha sottoscritto un protocollo d’intesa per la gestione dei penitenziari. Questa l’iniziativa di Franco Zaffini, che, insieme ai colleghi del Pdl, porterà, in aula, l’atto già nel consiglio di domani. Dopo aver visitato le tre case di reclusione di Perugia, Spoleto e Terni, il capogruppo An-Pdl spiega che "la situazione è piuttosto preoccupante a causa del sovraffollamento carcerario che ha superato i livelli precedenti all’indulto". In particolare, la mozione richiama la Regione affinché si attivi per la tutela degli operatori penitenziari, delle vittime del crimine e per mantenere gli impegni assunti nel 2001, in materia di assistenza sanitaria ai detenuti, e rinsaldati da quanto previsto dall’atto regionale d’indirizzo e coordinamento per le prestazioni socio-sanitarie, deliberato a giugno 2008. "L’urgenza - spiega Zaffini - è quella di ottimizzare e razionalizzare le risorse e l’impiego del personale di Polizia Penitenziaria per garantire un servizio adeguato e condizioni di lavoro accettabili per gli operatori. La Regione, per tramite delle Asl - prosegue il consigliere - ha l’obbligo di provvedere alla gestione dei servizi sanitari da erogare sia all’interno delle strutture che presso i presidi ospedalieri civili. Nello specifico, come previsto dalla legge 296 del 1993, i capoluoghi di provincia avrebbero dovuto allestire nei nosocomi un repartino da destinare alle degenze dei pazienti sottoposti a misure detentive, mentre, per le cure che non necessitano di ricovero, dovrebbero essere funzionanti i centri clinici dei penitenziari". Zaffini sottolinea, inoltre, che a Perugia esiste un doppio problema perché, oltre a non aver creato un repartino, neanche in occasione del trasferimento dell’ex Monteluce al S. Maria della Misericordia, il nuovo centro clinico del carcere di Capanne, sebbene praticamente terminato, è inutilizzato e attende che l’Asl di competenza, quella di Perugia, lo assuma in carico per la sua gestione. "Questa situazione - dice ancora il consigliere - comporta un dispendio di risorse per il trasferimento dei detenuti fuori struttura e un aggravio di turni per la polizia penitenziaria che deve coprire con tre turni da tre agenti l’uno i piantonamenti in ospedale. Se, poi, i detenuti, anziché essere sistemati in un unico reparto, appositamente dedicato, vengono accolti in diversi reparti, il controllo si complica ulteriormente. Senza considerare che con l’arrivo di altri duecento detenuti, gli operatori penitenziari si troveranno in condizioni di vera emergenza". "Con questa mozione - ribadisce Zaffini - chiediamo che la Regione faccia la sua parte, guardando oltre l’orizzonte ideologico del ‘piove governo ladro, e che, accanto alla battaglia epica per l’istituzione del garante dei detenuti, figura, peraltro, già ben rappresentata dal magistrato di garanzia, accanto ai finanziamenti assegnati all’Arci per il sostegno psicologico di chi è sottoposto a reclusione, si occupi di risolvere problemi pratici e ben più allarmanti. Un intervento rapido, da parte dell’esecutivo, nella gestione dei servizi socio sanitari per i detenuti, potrebbe arginare significativamente la situazione di preoccupante emergenzialità, dal canto loro, i consiglieri del Pdl hanno già interessato i parlamentari umbri affinché rappresentino al Governo le esigenze di organico delle strutture presenti nella regione". Calabria: legge per reintegro ex detenuti come operai forestali
www.telereggiocalabria.it, 21 luglio 2009
Il consigliere regionale Giovanni Nucera, in una nota, fa riferimento alla situazione degli operai forestali, chiedendo, in particolare, il reintegro degli operai ex detenuti. "Nel quadro della forestazione regionale - afferma Nucera - le vicende relative alla liquidazione dell’Afor, ente strumentale della Regione, evidenziano gravi distorsioni operative ed organizzative venute a determinarsi a causa della mancata assunzione di una legge regionale ad hoc". "Alla soppressione dell’ente infatti - aggiunge - non ha fatto seguito alcun progetto di riorganizzazione, tantomeno un logico innesto di esso progetto nell’ambito di un dettagliato e concreto disegno riformatore. Ciò ha alimentato una generale confusione determinando, senza soluzione di continuità, stati di agitazione dei lavoratori del comparto, a causa delle condizioni inaccettabili di incertezze relativamente al riconoscimento del loro status e dei diritti-doveri che ne derivano, inficiati dall’adozione di un serie di provvedimenti alquanto discutibili". "E tra le tante problematiche - rileva Nucera - assume un rilievo non secondario il reinserimento lavorativo degli operai idraulico-forestali ex detenuti. Il diritto ad essere riassunti e reintegrati a pieno titolo nel posto di lavoro è stato recentemente riconosciuto da una sentenza della Corte di Cassazione (n. 12721 del 4/6/2009), che afferma un principio importante: "si esclude il licenziamento quando la carcerazione è avvenuta per motivi indipendenti dall’attività lavorativa". Una conferma quindi dell’esigenza di avviare un percorso di reinserimento degli ex detenuti nel mondo del lavoro, che determina precisi obblighi a carico dell’Afor e dell’Ente Regione". "In materia - scrive Nucera - avendo valutato attentamente la posizione dei lavoratori su citati, presentai, nella scorsa legislatura, un progetto di legge riguardante "misure straordinarie per favorire il reinserimento lavorativo degli operai idraulico forestali ex detenuti", prefigurando in largo anticipo l’esigenza di dover definire normativamente la posizione e la tutela dei loro diritti in ambito lavorativo, in considerazione del pieno e legittimo riconoscimento al reintegro nel posto di lavoro, così come oggi è stato confermato dalla sentenza della Corte di Cassazione". "Il progetto di legge - dichiara ancora il consigliere regionale - che ho intenzione di ripresentare nel corso di questa legislatura, pone l’esigenza di adottare misure, nell’ambito delle competenze regionali e nel rispetto della normativa statale, idonee a garantire l’accesso alle politiche generali di reinserimento lavorativo attraverso la realizzazione di progetti finalizzati alla riassunzione di soggetti socialmente svantaggiati, quali appunto gli operai idraulico forestali già detenuti che hanno scontato la pena. Ciò nell’ambito di attuazione del Por 2007 - 2013, consentendo l’attivazione da parte della giunta regionale di tali progetti, peraltro in attinenza ai principi stabiliti dalla politica della riforma carceraria, che in materia di lavoro prevede che si debba favorire, durante la detenzione, la formazione professionale dei detenuti, consentendo loro di svolgere un’attività lavorativa con organizzazione e metodi che riflettano quelli del lavoro nella società libera, al fine di far acquisire ai soggetti, una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale". "Analizzando - aggiunge - la posizione degli operai idraulico- forestali ex detenuti che hanno scontato la pena e che a tutt’oggi non sono potuti rientrare nel posto di lavoro, va evidenziato che essendoci una normativa nazionale che ne riconosce i diritti ai fini del reinserimento; un orientamento della giurisprudenza ben chiaro in tal senso ed una consapevolezza degli enti territoriali di dover attuare modalità di riammissione è opportuno che si giunga all’approvazione di una legge regionale che disciplini dettagliatamente la materia". "Ciò - conclude - eviterebbe percorsi alternativi, di natura giudiziaria, inevitabili a questo punto, a carico dell’ente, che potrebbe andare incontro ad una serie di procedimenti che lo vedrebbero sicuramente soccombere dinanzi alle legittime e riconosciute richieste dei lavoratori tendenti ad ottenere il reintegro nel posto di lavoro". Viterbo: al Mammagialla grave situazione di sovraffollamento
www.tusciaweb.it, 21 luglio 2009
Una delegazione composta da Anna Pizzo, consigliere regionale del Lazio, Luigi Nieri, assessore al Bilancio della Regione Lazio, Mauro Palma Presidente del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura, Giancarlo Torricelli e Sara Bauli dell’Arci Viterbo e da rappresentanti dell’ associazione Antigone, si è recata al carcere "Mammagialla" di Viterbo. Al termine della visita la delegazione ha messo in luce le difficili condizioni di vita nel carcere. "In questo istituto c’è un grave affollamento - ha dichiarato Luigi Nieri - Sono presenti 690 detenuti, più del doppio della capienza regolamentare. Questo determina delle condizioni di vita molto difficili per i detenuti". "All’interno del carcere c’è una situazione di vita complicata - ha aggiunto Anna Pizzo - Anche perché il numero delle ore destinate alla socialità e alle attività formative è ridotto all’osso. In questo modo è difficile proseguire nel percorso di rieducazione dei ristretti. Sono poche anche le attività di studio e formazione". Per Mauro Palma vi è "una preoccupante carenza di personale. È all’attivo solo il 60% di quello previsto. Ai detenuti - aggiunge Palma - è riservato inoltre un trattamento molto duro, come se tutti quelli presenti fossero soggetti ad alto tasso di pericolosità". "A questo si aggiungono altri problemi di carattere strutturale - hanno sottolineato Giancarlo Torricelli e Sara Bauli - Basti pensare alle docce, che versano in una incredibile situazione di fatiscenza. A Viterbo vi è inoltre una concentrazione di situazioni difficili, soprattutto dal punto di vista psichiatrico. Di fronte a queste complessità balza agli occhi la mancanza di strumenti a disposizione degli operatori penitenziari". Trieste: il direttore; piove sul carcere sovraffollato... e io esulto di Enrico Sbriglia (direttore del carcere di Trieste)
Il Piccolo, 21 luglio 2009
L’altra notte a Trieste si è abbattuto un violento fortunale, ha piovuto a dirotto, i fulmini erano fortissimi come lo scroscio della pioggia grossa, insistente; per me, direttore di un carcere sovraffollato, era deliziosa musica, la più dolce che potessi sentire. Vi dico una cosa che vi sorprenderà: i direttori penitenziari amano la pioggia, amano la grandine e le tempeste, amano il cattivo tempo, il freddo specialmente. In celle sovraffollate, dove si riescono a cogliere i suoni del respiro e dei singhiozzi, e dei flati più indecenti, dove il sudore si appiccica sulla pelle, così come intinge i succinti indumenti che i detenuti indossano, e dove l’unico rubinetto presente nella stanza deve placare sete e bisogno di acqua per le abluzioni di tutti gli occupanti e per rinfrescarti, in queste giornate di caldo umido e insolente, l’abbattimento improvviso delle temperature, la pioggia che massaggia con forza i cortili dei passeggi, i tetti del carcere ed i mille percorsi interni di un istituto, è un dono di Dio, come per i beduini nel deserto. Il ritorno a una temperatura sopportabile ti calma, ti consente di parlare con gli altri attenzionando le cose che dici e le tue reazioni, ti consente di guardare con interesse le sbiadite immagini che provengono da vecchi e gracchianti televisori, ti consente di impegnarti nel piccolo lavoro artigianale che stai curando e che donerai non si sa ancora a chi, forse a tuo figlio quando verrà ai colloqui, forse alla tua donna o a tua madre, forse allo stesso direttore perché una volta ha mostrato di ricordarsi il tuo nome. Anche per i poliziotti penitenziari la pioggia è benedetta: lavorano spesso in condizioni pietose, in ambienti privi di aria condizionata e dove la frescura viene ricercata "aprendo" tutte le finestre protette dalle pesanti sbarre, alla continua ricerca dei posti dove si possa vigilare usufruendo di un maggiore circolo d’aria. Quando entrano nel mio ampio ufficio, dove il ventilatore senza mai fermarsi mi dona sprazzi di respiro, leggo e comprendo dai loro occhi una linea di invidia e non li biasimo: forse dovrei spegnerlo per mostrare maggiore solidarietà, ma non lo faccio, so che se dovessi sprofondare nel caldo non riuscirei neanche più a leggere la più semplice delle carte, spero che mi perdonino e comprendano. Intanto aspettiamo di vedere realizzato il "piano straordinario delle carceri" e noi tutti operatori penitenziari voliamo con la fantasia: immagino architetti di grido, Renzo Piano tra tutti, che discetta sulle soluzioni innovative che propone, vedo costruzioni bellissime e dai colori chiari, piene di aree verdi e con fontane sgorganti, con postazioni dignitose per i "baschi blu", con uffici gradevoli per il personale che al loro interno lavora, dove i magistrati ben volentieri si apprestino per compiere i loro atti giudiziari (convalide degli arresti, interrogatori), dove i detenuti barattano soltanto la loro libertà per i torti che hanno causato e non anche la dignità, dove i familiari incolpevoli delle persone detenute siano accolte con l’attenzione che merita ogni cittadino che ha un rapporto con la pubblica amministrazione, dove la pulizia, l’ordine e il valore del rispetto verso ogni persona compaiano in ogni anfratto dell’unico vero posto dove "comanda", solo ed esclusivamente, lo Stato. Nel frattempo mi godo la frescura della pioggia. Sanremo: Sappe; oramai abbiamo più detenuti che materassi
www.riviera24.it, 21 luglio 2009
"Da tempo stiamo denunciando la grave situazione complessa in tutta Italia, la condizione lavorativa dei poliziotti penitenziari è da considerarsi stravolgente dal punto di vista psico-fisico, ogni poliziotto deve sobbarcarsi doppi e tripli compiti...". È allarme sovraffollamento alla casa circondariale di Sanremo, dove i detenuti sono saliti a quota 340, contro i 209 posti previsti, superando la disponibilità dei materassi. A lanciare l’allarme è la segreteria del Sappe Liguria, il sindacato della Polizia Penitenziaria, che definisce il penitenziario di Sanremo al collasso completo. "Da tempo stiamo denunciando la grave situazione complessa in tutta Italia - spiega una nota sindacale - la condizione lavorativa dei poliziotti penitenziari è da considerarsi stravolgente. Dal punto di vista psico-fisico, ogni poliziotto deve sobbarcarsi doppi e tripli compiti, con tutto quello che ne deriva in fatto di sicurezza propria del dipendente. Siamo di fronte a numeri esagerati ed insopportabili per la struttura sanremese. I detenuti sono più della disponibilità dei materassi, un dato questo raccapricciante e preoccupante". Pensare di continuare a stipare carne umana nelle patrie galere, non porterà sicuramente da nessuna parte, anzi , come sindacato autonomo di polizia penitenziaria con maggiore adesione nel settore, riteniamo il particolare momento bisognoso di immediati ed efficaci interventi da porre in essere ragionevolmente dall’esecutivo politico. In Italia la soglia dei detenuti ha superato il limite pre-indulto del 2006, siamo a quota 64mila a fronte dei 42mila previsti, vale a dire un fallimento vero e proprio, dove forse con accorgimenti e leggi appropriate si poteva migliorare tutto il sistema. La Polizia penitenziaria continua imperterrita nella sua opera lavorativa, ma certamente con meno garanzie e soprattutto in assenza di una mera organizzazione lavorativa, anzi , a questo punto si fa prima a chiamarla disorganizzazione lavorativa dove nessuno dei vertici può o sa metterci mano, la dirigenza della Casa Circondariale di Sanremo non ha bisogno del messia o della fata turchina per risolvere il problema in toto. Di questo ne siamo consapevoli, ma deve darsi da fare per ottenere subito una trentina di nuovi agenti prossimi a terminare il corso di formazione presso la scuola di Cairo Montenotte in Savona, magari tralasciando certe velleità poco utili alla causa del momento, dedicandosi con maggiore profitto ad argomenti del genere i quali per ovvio hanno precedenza assoluta. Nel penitenziario sanremese va ricordato che tra pochi giorni andranno via anche una decina di neo Agenti in prova, i quali per alcune settimane hanno rinforzato nel limite del possibile le fila dell’attuale organico al quanto deficitario e carente, dando peraltro prova di ottima collaborazione e grado professionale. Il Sappe da questo momento e con questo comunicato, da l’allarme della situazione anche a tutti i cittadini sanremesi e limitrofi , il carcere della città dei fiori è stracolmo di esseri umani, manca l’essenziale, non ci sono a sufficienza materassi e lenzuola per gli "ospiti", siamo in emergenza, la situazione non è delle migliori e desta forte inquietudine. Faremo appello anche e soprattutto alla classe politica locale neo insediatasi e alle istituzioni Provinciali e Regionali, di quelle amministrative ne conosciamo già la scuola di pensiero , gli atteggiamenti e gli obiettivi che vanno verso un’altra direzione.
Segreteria Sappe Liguria Nuoro: la Commissione Diritti Civili visita Macomer e Mamone
Agi, 21 luglio 2009
La commissione Diritti Civili del Consiglio regionale, presieduta da Silvestro Ladu (PdL) ha effettuato questa mattina un sopralluogo al carcere di Macomer e nel pomeriggio alla colonia penale di Mamone. "I motivi di questo sopralluogo comprendono diversi aspetti del mondo penitenziario - dichiara Silvestro Ladu - e l’iniziativa nasce a seguito delle audizioni fatte in Commissione dei diversi operatori delle carceri i quali hanno lamentato carenze di personale militare e civile che si ripercuote anche sulla condizione vita degli stessi detenuti. Vogliamo verificare lo stato delle strutture carcerarie - prosegue - in particolare quelle di Macomer dove, da tempo, si parla di accogliere terroristi di Al Qaeda provenienti da Guantanamo. È nostro interesse capire se Macomer è in grado di accogliere questi carcerati molto particolari, anche in considerazione del fatto che, da tempo, gli agenti reclamano una forte carenza di personale. Abbiamo avuto informazioni relative anche al sovraffollamento delle strutture, per cui ci interessa, in modo particolare, comprendere come si vive dentro il carcere, sia come reclusi, sia come operatori e se, per entrambi, siano garantiti i diritti umani e personali". "Incontreremo i direttori, i rappresentanti degli operatori e anche i detenuti - conclude Ladu - poi gli esiti di questo sopralluogo saranno oggetto di discussione nelle prossime riunioni di Commissione". Ravenna: protesta dei Sindacati; questo carcere è da chiudere
Romagna Oggi, 21 luglio 2009
Anche il ministero della Giustizia non ha dubbi: a Ravenna c’è un "pauroso sotto organico" delle forze che devono gestire la drammatica situazione del carcere. È quello che un dirigente del dipartimento romano avrebbe ammesso con il prefetto di Ravenna Floriana De Sanctis, che lunedì ha incontrato una delegazione sindacale in occasione del presidio organizzato in piazza del Popolo per protestare contro il sovraffollamento della struttura di via Port’Aurea. Sono in tutto 48 agenti, racconta uno di loro, che al momento devono occuparsi di 177 detenuti (la capienza massima è di 62). Di questi 18 sono ammalati, e nove "per stati di ansia, dovuti certamente anche al lavoro che svolgono". Lavorano quasi 12 ore al giorno, riferisce, e alcuni arrivano a fare anche 71 ore di straordinario in un mese. Nessun riposo settimanale, insomma, nessuna possibilità di programmare le ferie, e a volte vengono anche richiesti altrove, per coprire carenze di personale di altre strutture della regione. "Purtroppo non c’è rimedio - dice Deborah Bruschi, segretario generale della Funzione pubblica per la Cgil di Ravenna - dall’abolizione della leva in poi non c’è altro modo di incrementare gli organici che attraverso concorsi pubblici. Va da sé che se non sono previste le risorse dalle finanziarie non ci si muove di un millimetro". Da Roma il prefetto non ha avuto buone notizie: "Ci ha riferito che per il ministero la situazione carceraria è drammatica in tutta Italia, e che ci sono situazioni in cui i detenuti dormono nei corridoi - riporta la sindacalista - ma questo non ci fa stare meglio". Così come non la consola l’annuncio di un parziale "sfollamento" di 20 detenuti, perché "siamo in estate e si sa che in questo periodo per 20 che escono ne entrano 40". Se non ci sono soldi per i rinforzi, figuriamoci per migliorare la struttura. "Almeno dopo sette anni ci hanno sistemato docce e bagni", scuote la testa chi ci lavora, raccontando di celle non a norma di legge ("in sette metri e mezzo dormono in tre") e infiltrazioni d’acqua nella zona dei semiliberi, "in cui sono ospitati dei detenuti". Ma, malgrado le migliorie (sollecitate anche da un’ordinanza del sindaco), quel carcere "sarebbe da chiudere", commenta cupo. Quando l’ha visto, "anche il deputato radicale Maurizio Turco ha detto che era il più brutto carcere d’Italia, che neanche in Turchia ne ha mai visto uno così", racconta Cesare Sama di Ravenna radicale, avvolto in una bandiera per sostenere la protesta dei sindacati. "Mi chiedo perché nessun dica niente - continua - nonostante le visite periodiche, anche con istituzioni e parlamentari, gli aggiornamenti annuali, perfino un’inchiesta. Non c’è un’altra situazione in Italia come quella del carcere di Ravenna, eppure niente si muove". Oggi, in piazza, Cgil, Cisl e Uil sono riusciti a radunare fino a un centinaio di persone. A loro è arrivata l’adesione di associazioni e partiti e quella del primo cittadino, che parla di protesta "sacrosanta". La situazione è "seria e pericolosa - secondo Fabrizio Matteucci - è a rischio la sicurezza di tutti i cittadini". Ma il Comune più di tanto non può fare: "Ho scritto tre volte al ministro Alfano, a giugno 2008, dopo la mia visita al carcere, il 25 maggio di quest’anno e l’ultima volta il 30 giugno, per chiedergli un incontro. Ma a nessuna delle tre lettere finora ho avuto risposta, spero che l’azione dei sindacati abbia più fortuna". Pesaro: carenza di organico; la Polizia Penitenziaria in piazza
Il Resto del Carlino, 21 luglio 2009
Il prefetto Giuffrida ha ricevuto una delegazione di manifestanti. Individuata la necessità di ottenere dal ministero un provvedimento d’urgenza per avere nel carcere pesarese distaccamenti di personale da altri istituti penitenziari. Ieri mattina piazza del Popolo è stata teatro della manifestazione della polizia penitenziaria di Pesaro. Gli agenti hanno protestato davanti alla prefettura contro la carenza di organico impegnato nella sorveglianza del carcere di Villa Fastiggi. Il prefetto Giuffrida ha ricevuto una delegazione guidata da Di Giacomo, segretario del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria). Erano presenti anche i deputati Paolini della Lega nord, Favia dell’Idv, il consigliere regionale D’Anna (Pdl), il coordinatore delle Marche dell’Idv Borghesi e il vicesindaco Catalano. Tutti d’accordo nel sollecitare al ministero un provvedimento d’urgenza per sopperire alle carenze del personale dislocando, anche temporaneamente, nel carcere di Pesaro agenti provenienti da altri istituti penitenziari. Il prefetto ha poi suggerito di fissare un nuovo incontro il 10 agosto prossimo per valutare ulteriori passi da compiere nei confronti del governo centrale. Il deputato Idv David Favia è intervenuto a sostegno degli agenti: "Il Prefetto ritiene che è possibile distaccare unità, seppure non provenienti dalla regione nel complesso immersa in una situazione assai delicata, per poter colmare la grave lacuna di risorse a Villa Fastiggi. Adesso serve che venga aperto un interpello nazionale presso il Governo". Favia aveva già compiuto insieme ad altri colleghi una visita al carcere traendone riflessioni preoccupanti: "La mancanza di cinquanta unità in pianta organica comporta un rischio enorme nel controllo dei detenuti tra i quali ce ne sono diversi di pericolosi". E ha concluso che la situazione di sovraffollamento e di carenza del personale di polizia penitenziaria, "si riversa sulla sicurezza degli stessi agenti e del carcere". Si attende ora un provvedimento del Governo. Sanremo: nel parco percorso per disabili costruito dai detenuti
Secolo XIX, 21 luglio 2009
Con il lavoro di quattro detenuti - grazie alla collaborazione tra carcere di Sanremo, Scuola edile di Imperia, Comune e Cooperativa sociale "Il Cammino", attorno alla Fattoria degli animali di San Romolo è nato un nuovo percorso attrezzato: un sentiero per disabili e non vedenti, una staccionata, alcuni tavolini, ponticelli e barbecue, fioriere. Quasi tutto realizzato con materiali legnosi riciclati. È un piccolo ma significativo passo, carico di valore sociale, umano ed ambientale, sulla strada del rilancio del parco di San Romolo e monte Bignone, nato una decina di anni fa ma ancora lontano dallo sviluppo da tutti auspicato. Il nuovo intervento è stato presentato e festeggiato ieri dall’assessore ai servizi sociali e ai giardini Gianni Berrino (Pdl), assieme al direttore della casa circondariale di valle Armea, Francesco Frontirré, al direttore del Cammino, Sergio Oderda, e ai vertici della Scuola edile: il presidente Olimpio Lanteri, la vice Costanza Florimonte, il direttore Giorgio Silvano. Presenti anche il botanico Claudio Littardi e Giuliano Torre, che rispettivamente come responsabile e operatore del Servizio beni ambientali di Palazzo Bellevue coordinano le attività nel parco. Hanno partecipato alla festa anche i tanti bambini che seguono i corsi di equitazione (e vita all’aperto) del maneggio gestito dall’istruttore "Bimbo". Il progetto, denominato "Hansel e Gretel", è stato illustrato da Frontirré: "È nato nel 2006 con i fondi ministeriali frutto di sanzioni e ammende, ha dato l’opportunità ai detenuti di lavorare dopo un’adeguata formazione: è una cosa importante per il carcere e la collettività, un investimento che ritorna anche in termini di sicurezza". Concetti ribaditi dall’assessore Berrino, che ha anche annunciato la ripresa delle visite guidate nel parco; mentre l’Associazione Amici di San Romolo, attraverso Carla Gatti, ha presentato un’altra iniziativa, con Legambiente: da giovedì prossimo, per 10 giorni, un gruppo internazionale di volontari lavorerà alla manutenzione del parco. Immigrazione: l’Ue; il reato di "clandestinità" non ci compete di Enrico Brivio
Il Sole 24 Ore, 21 luglio 2009
Resta sotto esame a Bruxelles il decreto sicurezza e la Commissione europea chiede chiarimenti sul pacchetto di misure riguardanti l’immigrazione. Fonti comunitarie rivelano però che si tratta di approfondimenti di tipo "giuridico-legislativo" che, per il momento, non sembrano preludere a procedure d’infrazione o a interventi,’ censori da parte delle autorità comunitarie. Il portavoce del Commissario europeo alla Giustizia Jacques Barrot, Michele Cercone, ha chiarito ieri che le richieste di informazioni al ministro degli Interni Roberto Maroni si muovono su due fronti. Una prima lettera firmata dal direttore generale di Barrot, Jonathan Faull, è stata inviata mercoledì scorso: chiedeva chiarimenti sui respingimenti in Libia dei migranti clandestini raccolti in mare, avvenuti nei mesi scorsi. Al governo italiano viene domandata la garanzia di non aver violato il diritto d’asilo, respingendo i barconi dei clandestini nel Canale di Sicilia, e di aver provveduto ad accertare che non vi fossero persone idonee a ricevere la qualifica di rifugiati e ad essere protette dall’Italia. Già sarebbero comunque arrivate assicurazioni verbali a Bruxelles da parte italiana che l’intercettazione e l’eventuale respingimento delle imbarcazioni con immigrati illegali è ora gestita direttamente dalle navi della marina libica e, pertanto interventi italiani non sono destinati a ripetersi, se non in circostanze eccezionali. Una seconda lettera è in partenza dalla Commissione europea con richieste di delucidazioni sul pacchetto sicurezza. In particolare, l’Esecutivo Ue vuole avere garanzie sulle possibilità dell’iscrizione all’anagrafe dei figli dei clandestini e sui costi relativi al conseguimento del permesso di soggiorno. Si tratta però di dubbi - si spiega nei corridoi di Palazzo Berlaymont - che possono essere diradati, senza arrivare a un muro contro muro tra Bruxelles e Roma. Tanto più in questa fase, in cui una Commissione a fine mandato, con il presidente José Manuel Barroso in cerca di riconferma, non pare particolarmente propensa ad assumere atteggiamenti minacciosi nei confronti dei Governi Ue, ma preferisce la strada del dialogo. Cercone ha ricordato che Barrot e Maroni hanno già avuto occasione di dibattere della questione giovedì a Stoccolma a margine del Consiglio informale dei ministri della Giustizia dell’Ue. "Con l’occasione - ha proseguito il portavoce - il commissario ha spiegato al ministro i punti su cui chiediamo alcuni chiarimenti, e ha già ricevuto dal ministro alcuni elementi di risposta". Maroni ha, per esempio, già offerto garanzie sul fatto che l’iscrizione all’anagrafe di un figlio nato in Italia dia la possibilità al padre e alla madre dì ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Non rientra invece tra le preoccupazioni della Commissione europea l’istituzione del reato di immigrazione clandestina. "La scelta - ha spiegato il portavoce di Barrot - di inserire l’immigrazione illegale tra i reati rientra nella sfera del diritto penale che è di esclusiva competenza degli Stati. Ed è già reato in almeno un paio di Paesi europei, la Commissione europea non ha poteri in materia". L’unica preoccupazione di Bruxelles su questo fronte è semmai ribadire che il reato di immigrazione clandestina non può essere contestato a cittadini di altri Stati comunitari, che beneficiano della libertà di circolazione nell’Unione europea, ma può scattare solo nei confronti di cittadini di Paesi terzi. Droghe: Alfano; alcool è una piaga come tutte le altre droghe
Ansa, 21 luglio 2009
"Bisogna considerare l’alcol una piaga sociale al pari della droga. A breve il governo presenterà una proposta". Lo afferma il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, commentando la questione legata al problema dell’alcol tra i giovanissimi, a margine della presentazione del protocollo di intesa sull’informatizzazione dei procedimenti civili presentato alla Corte d’Appello di Venezia insieme al ministro per l’Innovazione e la Funzione pubblica Renato Brunetta. "Occorre avviare anche per chi viene trovato con un tasso alcolico eccessivo - ha detto Alfano - programmi di rieducazione come avviene per i tossicodipendenti e bisogna assolutamente fare ciò che abbiamo avviato con il disegno di legge sulla sicurezza, un forte attacco a chi guida in stato di ebbrezza". Il ministro della Giustizia ha anche ribadito l’importanza del ruolo della famiglia: "Occorre il coinvolgimento dei genitori - ha spiegato il ministro - perché per i minori che si trovano spesso in stato di ebbrezza serve un progetto di recupero che veda coinvolte anche le famiglie. Su questo il governo è attivo - ha concluso il ministro Alfano - e in breve presenteremo una proposta". Stati Uniti: la criminalità è in calo, ma le gang si riorganizzano
Corriere della Sera, 21 luglio 2009
È una notizia positiva in un orizzonte buio. È uno sviluppo che non ti aspetti in un quadro di crisi e povertà vera. Le statistiche indicano che il crimine è in calo in quasi tutti i grandi centri d’America. E i poliziotti si prendono il merito: se ci sono meno cattivi in città è perché gli sceriffi sono più bravi. Migliori tecnologie, attività in strada che somigliano a quelle di un servizio di intelligence, buon rapporto con le comunità, banche dati che rendono il lavoro investigativo vicino - solo vicino, ricordiamolo - a quello che vediamo nei telefilm alla Csi. E il bollettino della vittoria è ancora più sorprendente se confrontato con le riduzioni al budget imposte da molte municipalità. I sociologi si interrogano sul calo ma non offrono risposte chiare. Rammentano che all’epoca della Grande Depressione fu lo stesso, provano a studiare i vari rapporti. A volte i numeri non dicono tutta la verità o magari vedono solo una fetta della società. È possibile anche che i criminali stiano studiando cosa fare, come adattarsi alla nuova situazione. Con meno ricchezza in giro - si fa per dire, siamo sempre in America - ci sono forse minori bersagli raggiungibili dal predone. Oppure cambia il genere. Tanto è vero che i furti di auto non calano. E se si leggono le cronache della provincia profonda i fatti di nera non mancano. Anzi, a volte sono più raccapriccianti di quelli che avvengono nelle megalopoli ma spesso non conquistano l’attenzione nazionale. Le gang urbane o i cartelli messicani che una volta avevano le loro basi in città da un po’ di tempo cercano rifugio e mercati in aree extraurbane. Si sottraggono all’attenzione di Dipartimenti di polizia più agguerriti e forse possono sfuggire, come dato, agli studi di ricerca. Il crimine, però, è una brutta bestia, abile nel presentarsi sotto forme diverse. Gli sceriffi lo sanno. Per questo si augurano che le cifre si trasformino in una tendenza costante. Stati Uniti: per i detenuti ricchi il carcere sarà a proprie spese
Ansa, 21 luglio 2009
Una tassa "Madoff" sui ricchi newyorkesi che saranno riconosciuti colpevoli di un reato e carcerati, così da non pesare sulle casse pubbliche. È la proposta avanzata dalle autorità di New York che, se sarà convertita in legge, costringerà i ricchi detenuti a pagarsi il soggiorno in prigione senza gravare sui contribuenti. Il nome "Madoff" per la proposta di tassare i ricchi carcerati dello stato di New York prende le mosse dalla condanna a 150 anni di carcere del finanziere che ha messo in atto una truffa da 50-65 miliardi di dollari e che ora sconta i 150 anni di carcere che gli sono stati inflitti nella prigione di Butner, in North Carolina. Prima del suo arresto lo scorso dicembre Madoff risiedeva in un lussuoso appartamento nell’Upper East Side a Manhattan, dal valore di 7 milioni di dollari. Oltre a godere di un tenore di vita agiato, con case in Florida, yacht e circondato da oggetti di elevato valore. "Troppo spesso i contribuenti si trovano a dover pagare il conto di criminali ricchi che, una volta scarcerati, hanno immense fortune ad aspettarli", commenta il repubblicano Jim Tedisco. Come molti altri stati, New York è a caccia di strade che consentano di ridurre i costi dei carcerati. Secondo alcune stime, nel 2007 un detenuto veniva a costare fra gli 80 e i 90 dollari al giorno. In base al progetto presentato coloro che vantano un reddito superiore ai 200.000 dollari dovranno pagarsi interamente il soggiorno in prigione, chi invece guadagna meno di 40.000 avrà il soggiorno gratis. Stati Uniti: rinviato il rapporto su detenzione presunti terroristi
Apcom, 21 luglio 2009
Le conclusioni di un rapporto chiave sulle condizioni di detenzione dei presunti terroristi, commissionato dal presidente degli Stati uniti, saranno rinviate di almeno sei mesi. Anche il rapporto sugli interrogatori dei sospetti terroristi e sul loro trasferimento forzato all’estero sarà rinviato di due mesi. Il presidente Barack Obama ha chiesto la stesura dello studio nel quadro della sua politica volta alla chiusura del centro di detenzione di Guantanamo Bay entro l’inizio del prossimo anno, un obiettivo che ha causato profonde divisioni a Washington, all’interno dello stesso partito democratico. Intanto però alla Casa Bianca è stato inviato un rapporto intermedio che delinea il quadro legale per il trattamento dei presunti terroristi. "Quando si riterrà necessario, i sospetti dovranno essere processati il prima possibile, o da una corte federale o da una commissione militare", sostiene il memo. Giustizia "non potrà essere fatta fin tanto che i sospetti non saranno giudicati colpevoli "da una corte di diritto che dia loro l’opportunità di difendersi dalle accuse a loro carico". Dall’inizio della presidenza Obama sono stati trasferiti solo 20 dei 245 detenuti di Guantanamo.
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