Rassegna stampa 6 giugno

 

Giustizia: in difesa del "lodo Alfano", patto Bossi - Berlusconi

 

Corriere della Sera, 6 giugno 2009

 

Anche solo l’annuncio di poter cedere Kakà al Real e il Veneto alla Lega, alla vigilia delle elezioni, sembrerebbe un errore. Comunque non da Berlusconi. Ma se il premier si è esposto fino a questo punto c’è un motivo.

L’idea di prospettare con un anno d’anticipo la candidatura in Veneto di un governatore leghista è stata una mossa calcolata. Meglio, obbligata. L’apertura del Cavaliere al Carroccio è una mossa difensiva, su questo non c’è dubbio, è il primo passo di una strategia che mira intanto a chiudere rapidamente le vertenze aperte.

Non è un caso se Berlusconi ha annunciato di voler risolvere subito la crisi siciliana, rinnovando l’alleanza con Lombardo. E poco gli importa dei mal di pancia dei dirigenti locali. Il premier vuol rinforzare gli ormeggi della maggioranza senza perder tempo, come avvertisse l’approssimarsi di una tempesta.

È stato Bossi a indicare da dove arriva il tempo, ma in pochi l’hanno inteso giovedì sera, mentre comiziava a Milano insieme al premier per conquistare voti: "Il lodo Alfano non si tocca, cara sinistra". Che c’entra il "lodo Alfano" con la provincia di Milano e le Europee?

E che c’entra la sinistra? È vero, la prossima settimana alla Camera - a urne appena chiuse - si voterà la mozione del Pd che propone di abolire la legge con cui si sospendono i procedimenti giudiziari contro le alte cariche dello Stato. Ma l’opposizione non ha i numeri per battere il centrodestra, e poi Casini si è astenuto quando il provvedimento è stato varato.

In realtà il Senatùr parlava a Franceschini perché altri intendessero, perché è dal palazzo della Consulta che giungono sinistri scricchiolii, è lì che - raccontano nel governo - la maggioranza dei giudici della Corte sarebbe orientata a bocciare il lodo per incostituzionalità.

Personalità molto accreditate ne hanno discusso riservatamente, e attraverso autorevolissimi esponenti dell’esecutivo le voci sono giunte a Berlusconi. La partita è ancora in corso, non è chiaro se si concluderà in autunno o prima dell’estate, così come non è chiaro se le perplessità si concentreranno su tutta la legge o solo su una parte. Ma dietro i nodi giuridici è evidente l’impatto politico se la Corte decretasse il pollice verso. È evidente - spiegano nella maggioranza - che il premier non resterebbe passivo dinnanzi all’ennesimo tentativo di logorare la sua immagine.

Ecco spiegata la mossa di Berlusconi con la Lega. L’arrocco tra il Cavaliere e Bossi, come negli scacchi, è insieme un tratto di difesa e di minaccia, che può preludere persino al precipitare della legislatura se precipitassero gli eventi. Certo Berlusconi non si tirerebbe indietro, "io non mollo" ha ripetuto in questi giorni, evocando "il ‘94", un "nuovo tentativo di ribaltare la sovranità del voto".

E senza il Cavaliere a palazzo Chigi non ci sarebbe spazio per altre soluzioni, "non c’è spazio per governi tecnici", ha detto giovedì Tremonti dopo un’intervista a Sky Tg24 economia, nel corso della quale aveva attaccato "i santoni che sono diventati vecchi illudendosi di mandare Berlusconi a casa". Secondo il ministro dell’Economia "la Lega non ci starebbe mai. Perciò in Parlamento non ci sono nemmeno i numeri per votare una Finanziaria e poi andare al voto". Più chiaro di così.

"Umberto" non mollerà "Silvio", "anch’io ho vissuto sulla mia pelle la giustizia a fini politici". Ma il dato delle urne sarà una variabile importante: dopo che il premier ha forzato sui sondaggi, un risultato del Pdl sotto il 40% non avrebbe solo il sapore di una vittoria mutilata. Anche perché il "nodo" Alfano è appena uno dei fronti sui quali Berlusconi dovrà combattere: l’impressione nel governo è che altri se ne aggiungeranno di qui a breve.

E già gli eserciti serrano le file: in Parlamento, insieme alla mozione del Pd sullo scudo giudiziario, si calendarizzerà la legge sulle intercettazioni e si inizierà a votare la riforma penale. "Preparatevi ad allacciare le cinture", ha detto il Guardasigilli congedandosi dal suo staff per l’ultimo giro di campagna elettorale. Da martedì riparte l’ottovolante, altro che dialogo.

Giustizia: quando lo Stato di diritto passa dal Pianeta carcere

di Donatella Poretti (Senatore Radicale-Pd)

 

www.imgpress.it, 6 giugno 2009

 

Ieri al Castello di Gargonza (Arezzo), sono intervenuta al XXXII Congresso Nazionale di medicina penitenziaria organizzato da Amapi e Simpe. A seguire il testo dell’intervento.

Il diritto alla salute è compatibile con la detenzione? Salute e carcere, due principi costituzionali da rispettare: diritto alla salute e funzione della pena. Se il grado di civiltà di un Paese si misura dalle condizioni delle sue carceri, il nostro sistema penitenziario è l’ideale cartina al tornasole dell’Italia.

Lo Stato che detta le leggi è quello che non le rispetta, neppure nel momento in cui impone una pena per chi ha violato le leggi. Può apparire paradossale, ma se la pena ha anche una funzione rieducativa e riabilitativa, in queste condizioni la pena in Italia è solo punitiva.

63 mila detenuti per una capienza di 43 mila, carceri sovraffollate, carceri completate ma mai aperte, carceri aperte ma senza detenuti, carceri che non possono aprire perché non ci sono gli agenti penitenziari, carceri con la pianta organica apparentemente perfetta, ma nella pratica senza agenti a causa dell’uso distorto e dell’abuso dei distaccamenti. Agenti che figurano in un carcere ma che poi svolgono le loro mansioni in altri luoghi, perfino a fare la scorta a qualche ministro o ministero.

Un sistema giudiziario al collasso: 10 milioni di processi pendenti, 140 mila processi che vanno in prescrizione ogni anno (un’amnistia di classe), l’obbligatorietà dell’azione penale che si trasforma nel suo esatto opposto, nella discrezionalità senza controllo e senza responsabilità dei magistrati, neppure quella civile voluta dai cittadini italiani con il referendum radicale, scaturita dal caso Enzo Tortora e annullata da una legge del Parlamento.

In queste condizioni straordinarie di assoluta illegalità, per poter fare delle riforme occorre azzerare la situazione con l’unica misura che la politica ha a disposizione: l’amnistia. Una classe politica che non si è voluta assumere le proprie responsabilità che ha nascosto la testa sotto la sabbia, ha varato nella scorsa legislatura l’indulto, che - come cassandre - avevamo avvertito che, senza essere seguito dall’amnistia, avrebbe solo fatto respirare per qualche mese le nostre carceri, ma poi sarebbe tornato tutto come prima. E così è stato.

La risposta che arriva dal Governo e dal ministero della Giustizia con il Piano carceri, è inadeguata: una goccia nel mare, riassorbita subito in alcuni casi. Un esempio per tutti. A Sollicciano, il carcere fiorentino, alla fine di maggio i detenuti erano 933, la struttura ne può "ospitare" 630. I detenuti crescono con un trend di oltre 100 detenuti ogni 6 mesi.

Il piano del ministro Angelino Alfano prevede di stanziare 10 milioni di euro e di avere 200 posti in più per il 2012. Ossia 100 in meno di quelli che servono oggi! Ironico e grottesco al tempo stesso. Se non fosse per le vite di persone in carne ed ossa, ci sarebbe da ridere.

Insieme all’amnistia occorrerebbe avere i numeri e le cifre del nostro pianeta carceri e per questo proponiamo l’anagrafe pubblica digitale degli istituti penitenziari. Abbiamo depositato un disegno di legge fatto con la collaborazione dell’associazione "Il Detenuto Ignoto" e che potrebbe essere il primo passo per aprire uno squarcio nel muro di silenzio che circonda le carceri.

Scambiando delle battute con delle detenute che ho incontrato nei giorni scorsi durante una visita in carcere, una mi ha detto: se facessero un "grande fratello" nella nostra cella forse ci si renderebbe conto cosa succede davvero qua dentro! Il nostro disegno di legge è esattamente questo: sapere tutto degli istituti di pena.

Così a esempio si verrebbe a conoscenza dei numeri, non solo complessivi, ma anche scorporati per ciascun carcere. Così si verrebbe a sapere dell’esistenza dei manicomi criminali e forse ci si chiederebbe il perché dell’esistenza di strutture in cui finiscono persone ritenute talmente malate che in alcuni casi non vengono neppure condannate ad una pena perché incapaci di intendere o di volere: viene comminata loro "solo" una misura di sicurezza collegata alla pericolosità sociale di 2, 5 o 10 anni, che in alcuni casi diventa un ergastolo bianco che perde il legame sia con il reato da cui ha avuto origine sia con l’effettiva pericolosità, ma legata invece al grado di riassorbimento del disagio mentale nella nostra società e nelle strutture che nel territorio dovrebbero accoglierle.

L’Opg di Montelupo Fiorentino è l’esempio da cui ripartire. Dopo denunce, ordinanze e altre misure l’Asl ha ordinato di non internare più di 169 persone per poter garantire delle cure, una struttura che ha una capienza di 110 persone. A dicembre i detenuti erano 186, hanno toccato punte di 196, sfollamenti vari, subito annientati dai nuovi invii del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che con giri di partita interni trasferisce detenuti.

Ha senso allora parlare di diritto alla salute in carcere, quando si internano persone malate che hanno a che fare non con medici o infermieri, ma soprattutto con agenti penitenziari che non solo non hanno alcuna preparazione ma neppure assistenza psicologica?

Un appello conclusivo ai medici: in carcere avvengono dei pestaggi, i medici lo sanno, non denunciarli è connivenza che in alcuni casi può portare alla complicità. Il passaggio dei manicomi criminali al Servizio Sanitario Nazionale riporta il medico alla sua funzione originale, rimette al centro la relazione medico paziente, poco, anzi nulla, importa se detenuto.

Giustizia: troppi detenuti morti, tra suicidi e sovraffollamento

di Paolo Persichetti

 

Liberazione, 6 giugno 2009

 

C’è un rapporto diretto tra sovraffollamento e incremento dei suicidi. Da gennaio a maggio 2009 sono trentatré le persone che hanno perso la vita.

Aziz aveva 34 anni. Di lui le cronache non hanno registrato il cognome. Era marocchino, quanto basta. Si è impiccato nel carcere di Spoleto all’inizio dell’anno. Il 26 gennaio, invece, si è tolto la vita allo stesso modo, in una cella del reparto di elevata vigilanza del carcere di Poggioreale, un croato di 37 anni. Di lui non si conosce nemmeno il nome. Leonardo Di Modugno aveva 25 anni, si è appeso con una corda di fortuna l’8 marzo alla Casermette, la casa circondariale di Foggia, dove era seguito da uno psichiatra. Giancarlo Monni, detenuto al Buoncammino di Cagliari, è morto per un attacco di broncopolmonite. Aveva 35 anni ed era sieropositivo. Antonio Saladino è deceduto al Mammagialla di Viterbo. Aveva 57 anni, anche lui con problemi psichici. Per togliersi la vita ha scelto un sistema diverso. Ha infilato la testa dentro una busta di plastica che poi ha riempito con il gas del fornellino da campeggio usato in cella per cucinare. Chissà, forse non voleva morire.

Aspirare il gas è uno dei modi per sballarsi. Lo stordimento è una forma di evasione che aiuta i più fragili a tirare avanti. Ma ogni volta la "pippata" (come si dice in gergo) si fa sempre più lunga fino a diventare letale. E poi c’è lei, Mabruka Mimuni, 42 anni, trovata esanime con una corda al collo la mattina del 7 maggio nel Cei di Ponte Galeria, a Roma. La sera prima le avevano comunicato l’espulsione.

Non voleva tornare in nessun modo in Tunisia. Aveva scontato alcuni anni di carcere, poi era uscita in misura alternativa per lavorare con una cooperativa. Allo scadere della pena è stata rinchiusa nel Centro di detenzione. Era finalmente riuscita a rifarsi una vita. L’espulsione spezzava di nuovo la sua vita. Ritornare indietro dopo tanta fatica sarebbe stata la sconfitta più umiliante. Non lo ha permesso.

Dai primi mesi dell’anno sono morti nelle carceri, o nei Cie italiani, 33 persone. Di queste ben 28 per suicidio; il numero più alto registrato nello stesso periodo da quando Ristretti Orizzonti ha dato vita ad un osservatorio specifico sulla questione. Gli altri decessi sono dovuti a cause non accertate oppure a patologie aggravate dalla condizione detentiva.

Dei suicidati, 16 erano italiani e 12 stranieri. Si tolgono la vita soprattutto i più giovani, 10 avevano tra i 20 e i 29 anni, 9 tra i 30 e i 39. Nei primi mesi del 2005, i suicidi sono stati 25, 23 nel 2006. Solo 13 nel 2007, grazie all’indulto, già 18 l’hanno dopo.

Ma diamo un po’ di luce a questi nomi, almeno quelli noti: Salvatore Mignone, Rocco Lo Presti, Francesco Lo Bianco, M.B., Gaetano Sorice, Vincenzo Sepe, Mohammed, Giuliano D., senza nome, Jed Zarog, senza nome, Marcello Russo, Francesco Esposito, Carmelo Castro, Gianclaudio Arbola, senza nome, Andrei Zgonnikov, Daniele Topi, Ihssane Fakhreddine, Franco Fuschi, Graziano Iorio, Ion Vassiliu, L.P., senza nome, senza nome, Samir Mesbah, senza nome.

C’è un rapporto diretto tra sovraffollamento e incremento dei suicidi. Le carceri hanno ormai oltrepassato il tetto dei 63 mila detenuti, cioè 20 mila in più della capienza "regolamentare". In realtà quella realmente fruibile è ancora più bassa, non arriva ai 38 mila posti. 5 mila in meno di quella indicata ufficialmente. Tra la capienza fruibile (quella che corrisponde ai posti letto reali), e la capienza "tollerabile", criterio amministrativo introdotto dal ministero per estendere virtualmente la capacità di accoglienza delle prigioni, c’è un divario di 30 mila posti. L’affollamento carcerario è già strutturalmente insostenibile. Condizioni di vita bestiali e promiscuità forzata caratterizzano l’attuale "trattamento penitenziario". Le norme previste nell’ordinamento e nel regolamento del 2000 sono lettera morta.

Questa lista di scomparsi ricorda quella dei morti per lavoro. Strage silenziosa. In un’epoca in cui la figura della vittima è stata eletta a modello ideale, queste morti si consumano nell’indifferenza generale. Cosa manca loro per suscitare almeno un po’ d’empatia umana?

Forse il fatto che lo statuto privilegiato della "vittima" è caratterizzato da un accesso fortemente limitato e diseguale, riconosciuto sulla base di ben selezionati requisiti di ordine politico, sociale, economico, culturale e etnico. Per i gruppi stigmatizzati in partenza, non vi è alcuna possibilità di accedere alla santità vittimaria. Più della vittima in se è la nozione di "vittima meritevole" che trova affermazione e legittimazione. Si è vittime solo dopo aver ottenuto il sigillo dei forti. Per le altre si preparano carceri galleggianti.

Giustizia: progetto ProTest; per fiducia tra medico e detenuto

 

Redattore Sociale - Dire, 6 giugno 2009

 

Presentato, in anteprima nazionale a Napoli, il programma elaborato da Società Italiana di medicina e sanità penitenziaria e Pharma Group: sarà sperimentato in 18 istituti della Lombardia e in seguito esteso a tutta Italia.

"L’Agorà Penitenziaria. La salute: presupposto del recupero sociale": questo il titolo scelto per il X Convegno nazionale della S.I.M.S.Pe. (Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria), che è in corso a Napoli. Nel corso del convegno è stato presentato, in anteprima nazionale, il progetto ProTest, elaborato da S.I.M.S.Pe e Pharma Group per la prevenzione, la diagnosi e la cura delle malattie infettive in ambiente carcerario.

"Con i detenuti - ha spiegato Raffaele Pempinello, presidente del Convegno e primario della V divisione del Reparto Detentivo dell’ospedale Cotugno - è tutto più difficile: l’uomo ammalato avverte subito il disagio di doversi fidare di un medico che non ha scelto, inoltre per lui la sofferenza psichica della conoscenza non può essere condivisa con i propri familiari e impone scelte e decisioni vissute da solo".

Il momento più importante è senz’altro quello della prevenzione, per evitare che le malattie si propaghino anche fuori dagli istituti penitenziari, dato che sono oltre centomila in Italia le persone che entrano ed escono dal carcere ogni anno. In effetti il problema della diffusione nelle carceri di Aids, epatite, tubercolosi e malattie sessuali non riguarda solo i detenuti e coloro che lavorano negli istituti; "Dobbiamo convincerci - spiega Giulio Starnini, responsabile dell’unità operativa protetta di malattie infettive dell’ospedale di Viterbo - che Secondigliano e Poggioreale non sono fuori dalla realtà, e che il problema salute nelle carceri è un problema di sanità pubblica".

"I rischi di contagio delle malattie infettive - così Sergio Babudieri, docente di malattie infettive presso l’università di Sassari - nelle nostre carceri sovraffollate dove regna la promiscuità è altissimo. Del resto il carcere è concentratore di malattie in quanto riunisce tante persone accomunate da una vita esterna vissuta in condizioni di estremo degrado".

Per cercare di arginare questa situazione nei 18 istituti penitenziari della Lombardia è partita la campagna ProTest, presentata a Napoli in anteprima. Il progetto è stato spiegato dal coordinatore nazionale Roberto Monarca: "Bisogna partire dal presupposto - ha chiarito - che il recluso è una persona e un cittadino privato solo momentaneamente della libertà.

Il medico deve conquistare la sua fiducia, "fidelizzarlo", prendendolo in carico già al momento del suo ingresso in carcere e ripetendo periodicamente gli incontri con lui". Medici, psicologi, direttore del carcere, guardie penitenziarie, devono tutti fare lavoro di squadra.

Sono necessari incontri frequenti con i detenuti, screening periodici che portino a stabilire efficaci piani di prevenzione o di cura, piani di comunicazione che diffondano la conoscenza di pratiche adeguate. Inoltre i detenuti devono essere motivati alla terapia, e l’opinione pubblica deve essere sensibilizzata, affinché, come dice Giulio Starnini, "Nessuno si chiami fuori!".

Dopo questa prima fase di sperimentazione e ricerca si passerà a studi clinici specifici e a formare infettivologi, psicologi, medici e operatori penitenziari preparati ad affrontare nel miglior modo possibile questa sfida. L’idea è di estendere al più presto a tutte le regioni italiane il progetto che per il momento sarà sperimentato solo in Lombardia.

Giustizia: 20mila detenuti con diritto al voto, pochi voteranno

 

Ansa, 6 giugno 2009

 

Sono circa 20mila i detenuti che tra oggi e domani possono votare, su un totale di oltre 63 mila reclusi nelle sovraffollate carceri italiane. Hanno diritto a mettere la propria scheda nelle urne coloro che sono in attesa di giudizio (circa il 55-60 per cento della popolazione carceraria) e quelli che, pur condannati, hanno conservato i diritti civili. L’Amministrazione penitenziaria si è attrezzata per istituire appositi seggi elettorali speciali nelle carceri.

A disciplinare la materia sono gli articoli 8 e 9 della legge 23 aprile 1976, secondo la quale i detenuti possono esercitare il diritto di voto nel luogo di reclusione. Un esercizio subordinato però ad alcuni adempimenti: il detenuto deve presentare, entro il terzo giorno precedente la votazione, al sindaco del Comune nelle cui liste elettorali è iscritto una dichiarazione della propria volontà di esprimere il voto nel luogo in cui si trova, con in calce l’attestazione del direttore del carcere comprovante la sua detenzione; solo così può ottenere l’iscrizione in un apposito elenco speciale e può ricevere la tessera elettorale.

Adempimenti che non tutti sanno di dover compiere, come hanno più volte denunciato i radicali. Tant’è che nei giorni scorsi Franco Corleone, garante dei detenuti del Comune di Firenze ed ex sottosegretario alla Giustizia, in una lettera al presidente della Rai, Paolo Garimberti, ha posto il problema della scarsa informazione sulle procedure che i detenuti devono seguire per essere messi in condizione di esercitare il diritto di voto.

Giustizia: i Garanti; i detenuti poco informati sul diritto al voto

 

Redattore Sociale - Dire, 6 giugno 2009

 

Una decina nel carcere di Secondigliano di Napoli, più o meno altrettanti a San Vittore a Milano, circa una ventina al Sollicciano di Firenze, 150 a Rebibbia. E i garanti proseguono la battaglia per informare sul diritto di voto.

Sarà per la "poca informazione sia in carcere sia da parte dei mass media", come denuncia il garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone, ma finora le persone recluse che hanno chiesto e ottenuto di votare alle prossime elezioni sono veramente poche.

Tanto per fare qualche esempio, sono una decina nel carcere Secondigliano di Napoli, più o meno altrettante a San Vittore a Milano, circa una ventina al Sollicciano di Firenze. Fanno eccezione il carcere romano di Rebibbia, con 150 richieste pervenute su un migliaio di detenuti, anche se non è ancora ufficiale il dato su quanti saranno gli ammessi al voto, e i detenuti che hanno fatto "campagna elettorale" per Radicali e Sinistra e libertà.

In base alla legge n. 136 del 1976, i detenuti possono esercitare il diritto di voto in carcere attraverso un seggio elettorale speciale, ma devono far pervenire al sindaco del Comune nelle cui liste elettorali sono iscritti una dichiarazione della propria volontà di votare da dietro le sbarre.

"Purtroppo il servizio radiotelevisivo non ha corrisposto in alcun modo alle esigenze di informazione per facilitare l’esercizio di un diritto costituzionale fondamentale - dice Corleone -. Gli spot sulle reti pubbliche ignorano la questione, che mette in discussione la stessa legittimità delle elezioni, determinando un’obiettiva discriminazione".

E il presidente della Rai Paolo Garimberti "non si è ancora degnato di dare una risposta all’appello che gli ho inviato poco tempo fa", commenta il garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze. Una lettera per sollecitare i direttori delle carceri italiane a istituire gli appositi seggi elettorali l’ha scritta anche Salvo Fleres, garante per i diritti dei detenuti della Sicilia nonché senatore del Pdl.

Ma non tutti i detenuti si asterranno: alcuni hanno pure fatto campagna elettorale per le europee. A Rebibbia e nel carcere di Spoleto alcuni reclusi si sono fatti promotori di un appello per votare Mauro Palma, candidato indipendente nelle liste di Sinistra e libertà nel collegio Lazio - Marche - Toscana - Umbria nonché presidente del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa e tra i fondatori dell’associazione Antigone, un’associazione politico-culturale a cui aderiscono prevalentemente magistrati, avvocati, operatori penitenziari, studiosi di diritto e parlamentari attiva nel garantire i diritti all’interno del sistema penale. Altra iniziativa, sempre su legalità, informazione e diritto al voto delle persone detenute, è stata lanciata dai Radicali di Marco Pannella attraverso Radio Carcere, la trasmissione di Radio Radicale dedicata alla giustizia: hanno aderito alcuni detenuti del carcere Montorio di Verona e di Rebibbia, e altri da Cagliari e Napoli.

Giustizia: Bruno; serve una nuova legge, per il voto nel carcere

 

Redattore Sociale - Dire, 6 giugno 2009

 

Secondo Desi Bruno, del comune di Bologna, il problema è che "i detenuti devono fare richiesta al sindaco del comune in cui risiedono e non a quello della città in cui sono stati incarcerati". Una quarantina le richieste.

"Serve una nuova legge per incentivare il voto in carcere, dal momento che i detenuti devono fare richiesta al sindaco del comune in cui risiedono" e non a quello della città in cui sono stati incarcerati. Secondo Desi Bruno, garante dei diritti dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna, è questa la ragione principale che determina il fallimento del voto per chi si trova a dover scontare una pena detentiva. Un fallimento che si verifica "a ogni consultazione elettorale e non solo a questa tornata", precisa l’avvocato Bruno. Inoltre, sui numeri esigui incide anche il fatto che "il 50% dei detenuti sono stranieri mentre altri hanno perso il diritto di elettorato attivo in seguito alla condanna". Sono una quarantina quelli che hanno fatto richiesta a Bologna.

La legge (la n. 136 del 1976), "così come è strutturata non aiuta certo i detenuti a godere del diritto di voto: il meccanismo è lungo e complesso, per cui bisognerebbe trovare una soluzione normativa alternativa che evitasse di passare attraverso la richiesta al comune in cui il detenuto è iscritto nelle liste elettorali", dice la garante. L’associazione Antigone, invece, tempo fa aveva avanzato una proposta di legge per eliminare la perdita del diritto di elettorato attivo dall’elenco delle pene accessorie.

Giustizia: Pannella (Ri) va a votare nel carcere di Regina Coeli

 

Asca, 6 giugno 2009

 

In occasione del voto per le elezioni europee, Marco Pannella voterà oggi, sabato 6 giugno, presso il Carcere di Regina Coeli (Via della Lungara - Roma) alle ore 15.30 in qualità di candidato Capolista della Lista Bonino-Pannella. Pannella sarà accompagnato da Sergio Rovasio che voterà anche lui nel Carcere in qualità di Candidato della Circoscrizione Centro.

Giustizia: il magistrato da record, 66 processi in un solo giorno

 

Ansa, 6 giugno 2009

 

Il Tribunale di Latina nel caos: un giudice si è trovato, in una sola giornata, a gestire 66 processi. All’anomalia si è giunti a causa della disorganizzazione dovuta alla gestione dei ruoli. Sono stati fissati tre collegi con magistrati impegnati contemporaneamente in più aule. Una situazione che l’Ordine degli Avvocati insieme agli stessi magistrati hanno segnalato più volte al ministero della Giustizia senza avere una risposta.

La notizia è stata resa nota dal quotidiano di Latina "La Provincia". Il giudice Raffaele Toselli, per esempio, si è trovato a presiedere uno dei collegi penali dove c’erano diversi imputati detenuti e, allo stesso orario, a dover svolgere una udienza monocratica con, appunto 66 processi, con testimoni al seguito, periti e imputati.

Il magistrato è stato così costretto a rinviare i processi monocratici proprio perché bisognava sentire i testimoni, concluso in parte la causa collegiale con i detenuti e continuato nel pomeriggio i procedimenti dove c’era solo la discussione. Come se non bastasse, contemporaneamente, sono arrivati anche un paio di processi per direttissima.

Lettere: "misure alternative"; la soluzione al sovraffollamento

 

Il Piccolo, 6 giugno 2009

 

Siamo un gruppo di volontari e operatori della Comunità di San Martino al Campo che regolarmente, un paio di volte alla settimana, entrano nella Casa Circondariale di via Coroneo per incontrare le persone ivi detenute.

Desideriamo portare un contributo alla riflessione iniziata dal vostro giornale con la pubblicazione di alcuni articoli sulla situazione del carcere di Trieste, sperando possa stimolare e arricchire il dibattito su un argomento così importante e urgente che riteniamo non debba essere trattato in modo occasionale. Considerare i problemi solo nella loro manifestazione più acuta e drammatica non permette certo di cercare e trovare soluzioni strutturali e durature. Il rischio infatti è quello di parlarne solo quando le "alte temperature" creano delle condizioni di reale invivibilità all’interno delle celle.

Tenere acceso il dibattito significa tenere viva nelle nostre coscienze di cittadini la consapevolezza che il carcere ed i suoi abitanti sono parte integrante della nostra città. Crediamo - in pieno accordo con quanto dichiarato recentemente dal direttore della Casa Circondariale Enrico Sbriglia - che il sovraffollamento che interessa in questo momento l’Istituto di pena triestino (e non solo) alimenti un acuto malessere tra i reclusi con il rischio di sfociare in situazioni di tensione difficilmente gestibili. Non vanno trascurate nemmeno le possibili ripercussioni sul piano della salute psicofisica e dell’igiene.

Pensiamo che - ribadito il dovere/diritto di una pena certa - si debbano cercare delle strade affinché l’esecuzione della pena comminata possa rispondere in modo più pieno ad esigenze riabilitative ed educative finalizzate ad un effettivo reinserimento sociale di coloro che hanno commesso dei reati. Tale reinserimento andrebbe sicuramente a vantaggio anche della collettività.

A tal fine perché non immaginare un utilizzo più diffuso delle misure alternative, tenendo anche conto del fatto che nella casa circondariale di Trieste sono ospitate persone che hanno commesso dei reati non particolarmente gravi, per i quali è previsto un percorso penale inferiore ai cinque anni?

Favorendo il reale e duraturo reinserimento della persona nel tessuto sociale si potrebbe soprattutto ridurre il fenomeno di reiterazione dei reati. Questo risultato però diventa realisticamente raggiungibile solo quando la persona oltre a scontare la sua pena, è messa nelle condizioni di intraprendere un percorso emancipativo rispetto alla sua condizione di emarginazione e di devianza.

In che modo il volontariato, le istituzioni, le cooperative sociali, le comunità di accoglienza, gli imprenditori e - in generale - la città potrebbero collaborare maggiormente affinché l’uso delle misure alternative possa essere incrementato (considerati anche gli incoraggianti risultati di questa buona pratica giuridica a livello statistico)?

Si contano già alcune esperienze positive consolidate - sia nell’ambito dell’accoglienza residenziale che dell’inserimento lavorativo - ma esistono anche strumenti scarsamente utilizzati. Tra questi la "Legge Smuraglia", ad esempio, che prevede delle agevolazioni fiscali per le aziende che assumono detenuti ed ex detenuti, facendosi carico di un percorso realmente riabilitativo ed inclusivo.

Vorremmo concludere confermando la nostra disponibilità sia come singoli cittadini, sia come operatori e volontari della Comunità di San Martino al Campo, a lavorare in rete con altri e ad avviare nuove iniziative insieme a tutti coloro che desiderano operare a sostegno di questi nostri concittadini che, avendo sbagliato, hanno il dovere di pagare, ma hanno anche il diritto di riprendere un cammino di normalità e di legalità.

 

Il Gruppo Carcere della Comunità di San Martino al Campo: Franca Agio, Elvio Barbieri, Antonio Frijo, Miriam Kornfeind, Nevia Paliaga, Andrea Pertot, Riccardo Taddei, Margherita Vascotto

Lettere: dov’è il personale per far funzionare le nuove carceri?

 

Il Messaggero, 6 giugno 2009

 

Gent. Direttore, Le scriviamo per dare un’autorevole voce al Co.I.ViceCo., un Comitato sorto al termine di una lunga procedura concorsuale, durata complessivamente oltre 3 anni, al termine della quale circa 300 giovani laureati sono risultati idonei vice commissari di Polizia Penitenziaria.

Tale idoneità, al momento, permetterebbe solo a 142 vincitori di ricoprire il ruolo di vice commissario. Pertanto, vorremmo rivolgere al Ministro della Giustizia e al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria due domande:

1) Com’è possibile pubblicizzare l’apertura di nuovi istituti di pena senza aver cura di prevedere un contestuale ampliamento del personale in servizio? Chi sarà chiamato a ricoprire le funzioni di comandante di reparto? Perché non assumere tutti noi, giovani laureati, giudicati idonei dalla stessa amministrazione penitenziaria?

2) Qual è l’ostacolo che ancora oggi impedisce al Governo di realizzare il riallineamento dei funzionari del ruolo direttivo della Polizia Penitenziaria con quello delle altre forze di polizia? È attualmente in discussione un interessante progetto che prevede la possibilità di realizzare il riallineamento a "costo zero", ma quanto ancora dovremo aspettare?

 

Dott.ssa Dominga Di Noia

Lettere: nell’Ipm "Malaspina" di Palermo ho scoperto la scuola

 

Sicilia Live, 6 giugno 2009

 

In questo periodo passato qua dentro ho fatto molte cose che ora spiego. Per prima cosa racconto tutte le attività che ho frequentato e quelle che frequento, allora da quando sono entrato frequento la scuola superiore il primo anno di professionale e mi piace molto andare a scuola, mi passo il tempo e pure imparo cose nuove che prima non sapevo.

Dopo, ho frequentato un corso di cucina, venivano gli chef di cucina e ci imparavano come muoverci in cucina. È stata una bella esperienza che sicuramente vorrei rifare, perché mi è piaciuto molto e fra qualche settimana mi dovrebbe arrivare l’attestato.

Poi ho frequentato nuovamente la scuola superiore il primo anno perché sono stato bocciato, e tuttora frequento. Dopo frequento un corso di artistica, il lunedì e il mercoledì, cioè che dobbiamo disegnare sui muri della sala colloquio per renderlo un po’ più vivace e diciamo che questo corso mi piace, pure se non è il mio forte disegnare ma li vedo e mi passo il tempo.

Poi frequento un altro corso di scrittura cioè insieme a due operatori dell’Ansa e mi piace perché scrivendo racconto un po’ di ciò che faccio e di ciò che ho fatto in passato. Comunque adesso racconto come si svolgono le mie giornate dal lunedì alla domenica: lunedì alle otto scendo e faccio la colazione e vado a scuola, di pomeriggio vado al corso di artistica e alle 19.00 salgo. Il martedì vado a scuola dopo salgo e mi riposo un po’ e alle 17.00 scendo all’aria e passeggio un po’ e alle 19.00 salgo in stanza e mi vedo la televisione. Il mercoledì vado a scuola, a volte c’è il colloquio e di pomeriggio vado al corso di artistica.

Il giovedì mattina vado a scuola e di pomeriggio il corso di scrittura. Il venerdì mattina vado a scuola e di pomeriggio mi riposo, alle 17.00 scendo all’aria e alle 19.00 salgo, mi faccio la barba e mi vedo la televisione. Il sabato mattina finalmente dopo una settimana vedo la famiglia, dopo salgo faccio la pulizia nella stanza e dopo scendo.

La domenica mattina alle 11.00 scendo all’aria e alle 13.00 salgo mi seguo le partite, poi scendo all’aria mangio e salgo. È così che si svolgono le mie giornate con tutto ciò che ho raccontato voglio fare capire alla gente che non sa com’è qua dentro e pensa male di noi, e voglio fare capire che qua ci sono solo ragazzi non delinquenti, e con questo chiudo.

 

A.R., detenuto al Malaspina

Trieste: sei detenuti in una cella per due, 4 in branda e 2 a terra

 

Il Piccolo, 6 giugno 2009

 

"Ho visto sei persone in una cella per due, due letti a castello e materassi in terra, però nel complesso il carcere fa di tutto per mantenere pulizia e dignità ai detenuti, la pareti sono tinteggiate, ho visto laboratori per le attività, ho incontrato insegnanti e operatori e assistito alla discussione di una tesi di laurea".

Tamara Blazina, senatrice del Pd, ha visitato ieri il carcere del Coroneo, col diritto speciale di cui godono i rappresentanti politici eletti, dopo aver appreso della grave situazione di sovraffollamento che rende allarmante la situazione anche a Trieste. I detenuti sono costretti a dormire su materassi stesi per terra, non bastano i letti, e per distribuire equamente il disagio il direttore Enrico Sbriglia ha deciso per la turnazione delle celle.

"Molti detenuti sono giovani, moltissimi gli extracomunitari - descrive la senatrice -, molti i tossicodipendenti e c’è anche qualche persona con problemi di salute mentale, ma mi aspettavo di vedere una situazione perfino più difficile, i guai arriveranno adesso con il caldo estivo, aria condizionata non ce n’è, e la coabitazione forzata può provocare situazioni esplosive". I detenuti costretti in sei al posto di due hanno un solo servizio igienico. E un solo tavolino per i pasti: "Immagino - dice Blazina - che mangino a turno".

E mentre dalla visita e dal lungo colloquio con Sbriglia scaturisce anche una proposta concreta per risolvere la situazione logistica, la parlamentare triestina si diffonde assai nel descrivere quanto di positivo ha riscontrato (senza in realtà attenderselo) nella gestione complessiva del Coroneo.

"Nei reparti femminili le condizioni umane sono molto migliori, in giro c’è molta cura e attenzione perché le cose non vadano in degrado, il senso della funzione rieducativa del carcere è molto ben rispettato, e anche se gli organici del personale sono molto ridotti ho sentito dai detenuti stessi parole di lode per come la situazione viene gestita".

Blazina ha scoperto che in carcere ci sono medici, insegnanti, operatori, che per comprare attrezzi ai laboratori si ottengono soldi dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste, ha visto la biblioteca, la saletta per fitness, un tavolo da ping pong, i lavori artistici prodotti dalla sezione femminile oltre a quelli di cucito, e anche menù che tengono conto delle tradizioni culturali e religiose delle tantissime nazionalità che s’incrociano nelle celle.

"Il direttore del Coroneo va aiutato - aggiunge Tamara Blazina -, o si trova una sistemazione alternativa per chi ha pene minori, oppure bisogna che siano coinvolti sul problema tutti gli enti locali, dalla Regione al Comune". Una prima proposta sarebbe quella di creare un "garante" esterno che rappresenti l’amministrazione comunale, ma più concretamente Blazina lancia l’idea che del Coroneo si facciano responsabilmente carico coloro che guidano la cosa pubblica: "Bisognerebbe formare un tavolo di concertazione fra gli enti - afferma - e riuscire a concedere al carcere alcuni spazi nella varie caserme dismesse che ci sono a Trieste. È noto che i finanziamenti sono insufficienti, però lo stesso Sbriglia nota che con l’indulto molti detenuti sono usciti e poi sono rientrati, o si fa un provvedimento di amnistia, o si trovano spazi nuovi".

Trieste: gruppo attivisti protesta di fronte al carcere, "liberateli"

 

Il Piccolo, 6 giugno 2009

 

Hanno manifestato davanti al Coroneo per segnalare il disagio del carcere "ormai al collasso" ma anche per dire no al cosiddetto "pacchetto sicurezza". Così giovedì pomeriggio una quarantina di attivisti dell’Altra Trieste, con striscioni e slogan, hanno urlato il loro dissenso guardati a vista dagli agenti della penitenziaria ma anche da polizia e carabinieri.

"Il Coroneo ospita 250 persone a fronte di una capienza massima di 130. Si dorme in dieci in celle che possono ospitare quattro persone. Non esiste la detenzione attenuata e nemmeno i laboratori. Nel dicembre del 2008 c’è stata l’ennesima morte. Si chiamava Nicola Milic, è stato suicidato, morto di galera", dice Luciano Capaldo, il portavoce del movimento sorto dalla rete sociale che aveva manifestato nel corso del convegno sulle tossicodipendenze. "Vogliamo chiedere alla Provincia di aprire una convenzione con l’amministrazione penitenziaria per garantire i lavori socialmente utili, come sta già facendo il Comune. Chiediamo l’istituzione di un garante per i detenuti".

Poi aggiunge: "Il ministro Alfano dopo aver scongiurato i problemi giudiziari del premier, annuncia di dotare il sistema penitenziario di strutture di detenzione privata o addirittura di navi in mezzo al mare. Andando avanti così verranno colpiti i soggetti più deboli della società" Secondo l’Altra Trieste "il pacchetto sicurezza ha segnato un passaggio importante nel tempo della crisi. Ha aperto una nuova stagione di controllo sociale limitando soprattutto gli spazi di agibilità politica, sociale e democratica".

"Per mezzo del pugno duro mostrato ai migranti - sono sempre parole di Capaldo - sono state introdotte norme stringenti che riguardano non solo gli stranieri. Queste leggi si arrogano il diritto di regolare i meccanismi di vita sociale e di conflittualità che esistono in tutti i paesi democratici con l’utilizzo del carcere, delle sanzioni e delle punizioni.

Viene introdotto il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, le scritte sui muri sono sanzionate pesantemente e l’iscrizione all’anagrafe sta diventando sempre più resistente. È chiaro che i diritti essenziali sono stati cancellati per chi una casa nel tempo della crisi non se la può permettere. Questi sono gli unici provvedimenti anticrisi che il governo vuole adottare aldilà del regalo di ingenti somme di denaro pubblico alle banche senza nemmeno mettere paletti di garanzia per chi lavora.

Napoli: 70enne detenuta, le due figlie minacciano di darsi fuoco

 

Il Mattino, 6 giugno 2009

 

Pozzuoli. Salgono sul tetto della loro auto, fermata al centro della strada, poi le due donne - la 40enne C.T. e la 16enne C.T., entrambe di Melito - si cospargono di benzina e minacciano di darsi fuoco. Un gesto compiuto per chiedere la scarcerazione della madre le cui condizioni di salute vengono ritenute "incompatibili con il regime detentivo".

La donna - A.S., 70 anni - è rinchiusa nel penitenziario puteolano dal 15 maggio per scontare una condanna per truffa di 4 anni e 4 mesi. Secondo il legale e i familiari, la settantenne è totalmente invalida, con disturbi cerebrali, visivi e uditivi, reduce da tre ischemie e con difficoltà di movimento.

"Ma proprio per questo - replica la direttrice del carcere Stella Scialpi - nei giorni scorsi la signora è stata ricoverata per un controllo all’ospedale cittadino, venendo dimessa dopo due giorni. Ancora questa mattina è stata visitata da un medico dell’Asl che ha confermato che le sue condizioni di salute sono compatibili col carcere". Dopo due ore di blocco della circolazione e tensione le due donne si sono allontanate mentre il legale annuncia comunque un ricorso contro la detenzione.

Bologna: ai detenuti manca anche l’essenziale, colletta in città

 

La Repubblica, 6 giugno 2009

 

È stato un piccolo gesto. Un euro, o poco più, per comprare l’essenziale, l’indispensabile, finito anch’esso sotto la scure dei tagli ministeriali. Roberto Morgantini (Cgil) non fa nemmeno i conti: quando la vigilia di Natale e l’Epifania è andato in Piazza Nettuno con Mattia Fontanella per aiutare i carcerati della Dozza non ha raccolto cifre da capogiro, ma ha sicuramente sollevato il velo su problema dimenticato: che non ci sono i soldi nemmeno per dentifrici, saponi e pentole per chi sta dietro le sbarre.

Dopo quell’iniziativa i carcerati hanno scritto una lettera per ringraziare tutti coloro che si sono dimostrati prodighi. "Con riconoscenza sincera - si legge sul foglio scritto a mano e firmato dai detenuti della sezione 3C - sì, riconoscenza per un tal nobile e generoso gesto.

Ci vengono in mente i tanti soldi malamente spesi da amministratori e governi in malafede. Questi, invece, sono soldi spesi bene a soddisfazione dei bisogni più basilari di chi semplicemente, per anni rinchiuso, spesso da tutti dimenticato, nulla può per essere autosufficiente".

All’appello, lanciato appunto alla fine del 2008 da Morgantini e da Desi Bruno, Garante per i diritti delle persone private della libertà, hanno risposto non solo tanti cittadini, ma anche delle aziende, come la Gd, che ha versato una somma consistente, e Coop Adriatica, che invece ha fornito decine di scatoloni di prodotti per l’igiene, dagli spazzolini alle saponette.

"Con i soldi raccolti a Natale ora compreremo le pentole; mancano anche quelle ai detenuti", spiega Morgantini. Piccole iniziative come i corsi di italiano per stranieri, o anche la raccolta di libri in lingua per regalare momenti di svago e di cultura. "Chiunque preferisca una donazione concreta piuttosto che un’offerta in denaro, può pensare di regalare pentolame oppure libri stranieri, soprattutto in lingua araba, quelli più difficili da trovare".

Piacenza: "Arrestiamo un libro", la letteratura entra in carcere

 

Piacenza Sera, 6 giugno 2009

 

Inizia oggi l’iniziativa "Arrestiamo un libro", promossa dai volontari dell’associazione "Oltre il muro" nell’ambito di un progetto sociale sostenuto da Svep. "L"obiettivo è quello di creare un "ponte culturale" tra i cittadini liberi e quelli reclusi, attraverso il regalo di un libro da persona fuori a persona dentro - scrivono gli organizzatori su Facebook.

Le librerie che hanno aderito sono Tutto Libri, Berti, Fahrenheit. All’interno della libreria potrete trovare l’elenco dei libri richiesti dai detenuti e scegliere quale preferite regalare, in base al contenuto, gusto personale, prezzo! Non mi interessa se cliccate su parteciperò o non parteciperò... provate a pensarci... e fate girare la voce!". Il termine "ultimo" per dare il proprio contributo è il 5 ottobre.

Siracusa: i detenuti chiedono una tettoia per i famigliari in visita

 

La Sicilia, 6 giugno 2009

 

Lamentele dal carcere siracusano di Cavadonna: in una lettera firmata da oltre cento detenuti vengono denunciate, tra l’altro, il sovraffollamento ("undici persone in una stanza prevista per quattro") e la mancanza di servizi ("niente acqua calda e di conseguenza niente doccia").

Ma la lamentela più pressante riguarda i disagi delle famiglie in visita "che vengono alle 4 del mattino per poter farci un colloquio alle ore 14. E spesso ci sono bambini in tenera età, sotto il sole o sotto la pioggia".

Secondo i detenuti, questo problema è dovuto alla carenza di personale e al fatto che il carcere si trova fuori città. I detenuti si sono dichiarati pronti a rinunciare all’ora d’aria "per dare spazio alle nostre famiglie e poter fare un buon colloquio".

"Abbiamo fiducia - prosegue la lettera - che l’istituzione possa accogliere il nostro messaggio e siamo certi che la direttrice capirà la nostra situazione disastrosa. Le nostre sofferenze possiamo anche tenerle, ma non possiamo più sopportare questo disagio alle nostre famiglie, tralasciando il sovraffollamento che ha reso la nostra vita carceraria invivibile fisicamente, moralmente e psicologicamente".

"Questa protesta - proseguono i detenuti - è la conseguenza della mancanza di personale e della carenza delle strutture carcerarie che producono il sovraffollamento. Attendiamo di sapere quando partirà il "piano carceri" annunciato dal ministro della Giustizia, Alfano, con la realizzazione di luoghi di pena più vivibili, e nel frattempo è il caso di cercare di alleviare il disagio delle famiglie dei detenuti, che non solo soffrono per l’espiazione della pena, ma anche per il disagio dei propri cari".

Torino: ricattava un detenuto minorenne, finanziere arrestato

 

La Repubblica, 6 giugno 2009

 

L’hanno arrestato alle nove e mezza di mattina, e quando ha visto i colleghi ha capito che era stato scoperto. È accusato di aver approfittato di un detenuto minorenne, chiedendogli del denaro e minacciandolo che altrimenti avrebbe scontato un periodo più lungo di carcere.

In manette, per il reato di concussione, è finito un maresciallo della guardia di Finanza, Mattia Roncone, che svolgeva funzioni di polizia giudiziaria presso il Centro di Giustizia Minorile. "In realtà non sarebbe stato possibile che si verificasse una cosa del genere - hanno spiegato in Procura - perché è il magistrato che decide se eventualmente prolungare il periodo di detenzione, ma questa era la motivazione per ottenere del denaro".

L’arresto è stato eseguito dalla Squadra Mobile e dal nucleo di Polizia Tributaria della Finanza: il maresciallo è stato colto in flagranza, mentre aveva appena ricevuto i soldi dal detenuto, una prima tranche di una somma consistente. Contro il finanziere gli inquirenti avrebbero raccolto prove schiaccianti, con intercettazioni e registrazioni audio e video. Il maresciallo è stato portato subito in carcere, e nei prossimi giorni sarà interrogato dal gip per la convalida dell’arresto.

Immigrazione: Comune di Milano chiede nuovo Cie a Malpensa

 

Corriere della Sera, 6 giugno 2009

 

Una città come Brescia. Anzi, come Firenze, se si considera il territorio provinciale. Milano l’africana", il giorno dopo fa i conti: gli immigrati sono più di 220 mila, dicono i dati Ismu, 185 mila dei quali regolari. Gli altri, i clandestini, sono quasi 40 mila.

"Troppi", dice il vicesindaco Riccardo De Corato che punta il dito contro il lassismo del governo Prodi accusato di aver spalancato frontiere e mari. "Ma entro la fine di giugno avremo uno strumento in più di contrasto. Perché il ddl sicurezza introduce il reato di clandestinità e allunga i tempi di permanenza nei centri di identificazione ed espulsione".

La nuova necessità, dice il vicesindaco, è quella di realizzare altri Cie (i Centri di Identificazione ed Espulsione) nel nord Italia. "Quelli di Milano, Torino e Gorizia possono accogliere al massimo 500 persone", a fronte di una presenza di clandestini almeno 30 volte superiore. Un Cie in ogni provincia, chiede allora De Corato.

E per l’area milanese spunta una proposta-choc: Malpensa: "Sì, bisognerebbe trovare un’area immediatamente a ridosso dell’aeroporto. In modo da garantire l’immediato espatrio del clandestino". Non una mega struttura, "ingovernabile e pericolosa", ma un centro di medie dimensioni, capace di ospitare non più di trecento persone per volta. L’ex capitale morale trasformata in città africana?

Il prefetto Gian Valerio Lombardi ammette che "il problema esiste": "L’immigrazione è un fenomeno cresciuto troppo in fretta negli ultimi vent’anni. E a pagare di più sono state le zone più ricche del paese, quelle economicamente più forti". Milano, appunto. "Io che sono milanese, e non brianzolo, dico che l’Africa non c’entra proprio nulla.

Questa è una città che accoglie i suoi stranieri che lavorano e producono", sbotta Don Gino Rigoldi, cappellano del Beccaria. "È da almeno quindici anni che Milano è cambiata, ma Berlusconi, forse venendoci sempre in elicottero, se ne è accorto solo ora", attacca Onorio Rosati, segretario metropolitano Cgil: "Il problema semmai è che in tutti questi anni di amministrazioni di centrodestra sono mancate le politiche d’integrazione".

Droghe: con l’affidamento meno recidiva dei tossicodipendenti 

 

Redattore Sociale - Dire, 6 giugno 2009

 

Una ricerca della Asl Varese fa luce sulle misure alternative. Le regioni che le concedono poco hanno la più alta percentuale di revoche, mentre chi le usa di più ha esiti positivi. I detenuti soggetti a cure fuori dal carcere sono meno recidivi.

L’affidamento in prova ai servizi sociali determina un minore tasso di recidiva, soprattutto se concesso prima dell’ingresso in carcere. Tuttavia le applicazioni delle misure alternative alla reclusione e i loro esiti sono disomogenei sul territorio nazionale, perché mancano criteri condivisi per la loro applicazione e conduzione. La popolazione tossicodipendente detenuta è quella che più necessita la definizione di regole univoche. Sono i risultati di una ricerca sulle problematiche sanitarie dei detenuti consumatori di droghe, finanziato dall’ex ministero della Salute, cui hanno aderito 13 regioni, di cui le capofila Lombardia e Toscana e la provincia autonoma di Bolzano, con la finalità di dare linee guida sull’affidamento in prova ai servizi sociali. L’indagine è stata coordinata dalla asl di Varese, con rilevazioni fatte da ottobre 2006 a gennaio 2007.

L’affidamento in prova può essere richiesto dal detenuto tossicodipendente e concesso quando la pena non è superiore a sei anni. Riguarda circa 8mila soggetti l’anno. Si tratta di una misura alternativa al carcere, applicata in modo diverso nelle varie regioni italiane e scarsamente monitorata, nonostante i consumatori di droghe siano una parte rilevante della popolazione carceraria e presentino forte tendenza a reiterare i reati, non costituendo per questa tipologia di detenuti la pena di per sé un deterrente efficace.

"Complice il sovraffollamento, inoltre, il carcere rischia di diventare un pericoloso serbatoio di patologie infettive", spiega Vincenzo Marino di Federserd, che ha presentato la ricerca nell’ambito della consultazione su "Carcere e droghe", organizzata dal dipartimento delle Politiche Antidroga presso la presidenza del Consiglio. Secondo le statistiche ufficiali, elaborate sulla base delle diagnosi di tossicodipendenza fatte dal ministero della Giustizia, i reclusi tossicodipendenti sono quasi per la totalità uomini (oltre 14.000), di cui il 17% in trattamento metadonico. Solo 532 sarebbero le donne, sempre secondo i dati del 2008, sono alcolisti altri 1250 detenuti maschi e circa 200 donne.

Varia notevolmente da regione a regione la percentuale di tossicomani affidati ai servizi sociali dal carcere, passando dal 22% dell’Emilia Romagna, al 3,1% di Abruzzo e Molise, dove peraltro l’incidenza dei tossicodipendenti sul totale dei detenuti è in percentuale maggiore (29,7%) rispetto all’Emilia Romagna (28,1%), secondo i dati 2006-2007. Le misure alternative sono applicate dunque con criteri molto diversi da una regione all’altra.

Come indicatori per valutare l’efficacia dell’affidamento in prova sono stati considerati la revoca delle misure alternative e la recidiva del reato. Il primo dato che emerge da questa analisi è che la revoca dell’affidamento ai servizi sociali ha una percentuale bassa per i non tossicomani (2,3%), mentre si attesta attorno al 10% per i consumatori di stupefacenti (dati 2007). Tuttavia, tra i tossicodipendenti, la revoca per andamento negativo diminuisce della metà, fermandosi a circa il 5% quando l’affidamento è fatto prima della detenzione in carcere, vale a dire dallo stato di libertà.

Un altro dato significativo è che le regioni con più bassa percentuale di concessione di misure alternative, Abruzzo e Molise, hanno avuto la più alta percentuale di revoche pari a oltre il 15%, mentre l’Emilia Romagna, che fa il più largo uso di questo strumento alternativo, ha anche la più bassa percentuale di revoche a livello nazionale, pari al 4,89%, secondo dati del 2006.

Per quanto riguarda la recidiva, facendo un confronto sui dati post-indulto nel periodo dal 1 agosto 2006 al16 febbraio 2007, se tra i detenuti scarcerati la percentuale di rientro in carcere per reiterazione di reati è pari al 10%, questa scende al 6% quando si tratta di soggetti in misura alternativa. La ricerca verrà pubblicata da McGraw-Hill con il titolo "L’uomo colpevole e l’uomo tragico", a cura di Vincenzo Marino, Marco Tosi e Adolfo Francia e da settembre sarà scaricabile anche da internet.

Droghe: ma l’iper-proibizionismo porta l’Italia fuori dall’Europa

 

Redattore Sociale - Dire, 6 giugno 2009

 

In primo piano la decisione del Sottosegretario Carlo Giovanardi di dire no alla riduzione del danno.

"Con l’insediamento del governo di centrodestra, si ripristina anche il modello iperproibizionista nella lotta alla droga, le dipendenze escono dal Welfare e tornano al Dipartimento antidroga del Consiglio dei ministri". Lo sostiene il "Rapporto sui diritti globali 2009", a cura di Associazione Società InFormazione e promosso da Cgil, Arci, ActionAid, Antigone, Cnca, Forum Ambientalista, Gruppo Abele e Legambiente.

"Nulla di nuovo sulla legge - si legge nel rapporto -. La novità sta nel fatto che la Fini-Giovanardi, ha davvero cominciato a fare il suo lavoro, dopo due anni di rodaggio. Aumentano le sanzioni amministrative per i consumatori, dal 2004 addirittura del 62,6%; aumenta anche il carcere, prima dell’indulto i tossicodipendenti in carcere erano il 26,4% dei detenuti, con l’indulto la percentuale è scesa al 21,4%, alla fine del 2007 risale al 27,6%, una crescita con una velocità inedita; alla metà del 2008 il 38,2% dei detenuti è in carcere per l’articolo 73 del Dpr 309/90, che punisce vendita e produzione ma anche la sola detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, percentuale che sale al 49,5% per i detenuti stranieri.

"Il governo di centrodestra - osserva ancora il rapporto - riesce anche a portare l’Italia fuori dalla Ue: in occasione infatti dell’appuntamento a Vienna nel marzo 2009 per ratificare o viceversa innovare la politica Onu sulle droghe varata nel 1998, l’Italia si schiera con il fronte iper-proibizionista. Quando un compatto numero di Paesi - 27, di cui la gran parte europei - critica il testo finale Onu, chiedendo l’introduzione della riduzione del danno nelle politiche globali, l’Italia, con il sottosegretario Carlo Giovanardi, rompe il fronte Ue e si allea con i vertici Onu. Così mettendosi contro anche alle ragionevoli critiche di agenzie mondiali come l’agenzia Onu dell’Aids (Unaids), il Fondo mondiale per l’Aids, e la stessa Oms.

Droghe: Giovanardi; valuteremo uso dei narco-test nelle scuole

 

Vita, 6 giugno 2009

 

Pro e contro dei drug test "fai da te". Si sono pronunciati il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle droghe, Carlo Giovanardi e il capo del Dipartimento politiche antidroga Giovanni Serpelloni.

"Dobbiamo dare una risposta alle famiglie che ci chiedono se sia giusto e utile effettuare "drug test" sui propri figli, o se non sia il caso di evitare il "fai da te" che molti nuclei familiari hanno preso a sperimentare. Dobbiamo valutare se è opportuno introdurli nelle scuole e se costituiscono una reale e, soprattutto, necessaria forma di prevenzione".

Così il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle droghe, Carlo Giovanardi, a margine della sessione di lavoro "Uso del drug test professionale nei programmi di prevenzione precoce: risorsa o rischio?", svoltasi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

"Sempre più spesso i media parlano di drug test a cui sottoporre i giovani", continua Giovanardi, "ma, che si sia d’accordo o meno sul loro impiego come forma di prevenzione, resto dell’idea che solo esami professionali danno le necessarie garanzie e possono essere oggetto di discussione. La loro importanza sta nella reale possibilità di individuare in anticipo le persone più vulnerabili e fornire loro aiuto con tempestività", spiega.

"Infatti", fa notare Giovanni Serpelloni, capo del Dipartimento politiche antidroga, "dal primo uso di sostanze stupefacenti all’accesso ai Sert (servizi tossicodipendenze) trascorrono in media 8 anni, e questo ritardo nella diagnosi provoca un radicarsi dei comportamenti di assunzione, un aumento del rischio di abuso, la possibilità di contrarre patologie correlate, come epatite e Hiv, e rischi neurologici e di incidenti".

"L’early detection, cioè l’identificazione precoce", prosegue Serpelloni, "riduce, invece, i tempi di esposizione alle sostanze e a rischi correlati al loro impiego. Consente, inoltre, un intervento con maggiori prospettive di successo in quanto anticipato ad una fase dello sviluppo psichico del giovane caratterizzato da una maggiore disponibilità ad ascoltare i propri genitori ed educatori", precisa.

"Naturalmente", conclude Giovanardi, "bisogna lavorare affinché le famiglie ricevano un supporto psicologico ed educativo e siano in grado di gestire anche un esito positivo del test. Quest’ultimo deve rimanere uno strumento a cui ricorrere con il consenso esplicito e consapevole e liberamente formato dei figli, e non come atto punitivo.

Stati Uniti: l'influenza suina in carcere, colpiti detenuti e guardie

 

Ansa, 6 giugno 2009

 

Decine di detenuti del carcere di Rykers Island a New York si sono ammalati di febbre suina e il virus della nuova influenza ha mietuto venerdì l’ottava vittima in città, il primo morto sopra i 63 anni di età. Dieci prigionieri sono stati diagnosticati venerdì, con altri 12 casi sospetti che si aggiungono ai 64 detenuti per i quali il contagio è stato accertato, ha detto alla Fox un portavoce del carcere. Si sono ammalati anche tre agenti di custodia e altri due addetti alla prigione. Jessica Scaperotti, una portavoce dell’assessorato alla salute, non ha dato altri particolari sulla persona morta per influenza se non per precisare che la vittima aveva altri problemi di salute che hanno contribuito al decesso. Un portavoce della procura del Bronx ha annunciato che sono stati colpiti dalla nuova influenza almeno quattro sostituti procuratori, nessuno dei quali è stato ricoverato in ospedale.

Olanda: la crisi economica sta alimentando le "paure xenofobe"

 

Aprile on-line, 6 giugno 2009

 

L’Olanda del dopo voto scopre di essere un Paese con due facce. La tradizionale tolleranza olandese si è incrinata dopo la diffusione dei risultati elettorali definitivi: il Partito per la Libertà (Pvv) del discusso politico xenofobo, anti-islamico ed euroscettico Geert Wilders ha ottenuto il 17% dei voti, quasi il triplo di quanti ne aveva raccolti alle politiche del 2006. Cosa accadrà nel resto d’Europa? La domanda si fa seria. Alla vigilia dell’apertura delle urne nella stragrande maggioranza dei Paesi Ue, continuano quindi a moltiplicarsi gli appelli ad andare a votare. Perché, come ha sottolineato il presidente uscente del Parlamento europeo, "se la gente non vota, il pericolo è che questo vada a vantaggio dei partiti estremisti"

Dopo il travolgente successo registrato dal Partito per la libertà (Pvv) in Olanda, quelle che fino a ieri erano solo previsioni cominciano infatti a trovare conferme: uno dei principali risultati delle prossime elezioni europee potrebbe essere la decisa avanzata delle formazioni di estrema destra xenofobe, anti-islamiche ed antieuropeiste, espressione di una crescente intolleranza verso gli immigrati.

L’exploit del partito di Geert Wilders, balzato dal 5,9% dei consensi raccolti nelle elezioni politiche olandesi del 2006 a un impressionante 17% che ne ha fatto la seconda formazione del Paese, sarà difficile da ripetere in altri Stati dell’Unione.

Ma è sicuramente un’indicazione non trascurabile di un fenomeno in atto non solo in Olanda, Paese massicciamente multietnico finora caratterizzato da una grande tolleranza verso gli stranieri.

Ed anche i timori di un astensionismo dilagante, che sembravano smentiti dalle prime indicazioni sull’affluenza alle urne, hanno poi trovato nuovi riscontri nei dati definitivi diffusi dall’Aja. In base ai quali la percentuale dei votanti si è attestata sul 36,5% contro il già scarso 39,3% della consultazione europea del 2004.

Alla vigilia dell’apertura delle urne nella stragrande maggioranza dei Paesi Ue, continuano quindi a moltiplicarsi gli appelli ad andare a votare. Perché, come ha sottolineato il presidente uscente del Parlamento europeo, "se la gente non vota, il pericolo è che questo vada a vantaggio dei partiti estremisti".

Un appello lanciato dopo che l’Europarlamento, in una delle sue ultime sessioni, aveva modificato il proprio regolamento interno per impedire che Jean Marie Le Pen, leader del partito di estrema destra francese Front National, potesse presiedere la seduta inaugurale del nuovo Parlamento.

Ora però, come già successo in Olanda, anche in molti altri Paesi - tra i quali la Danimarca, l’Austria, l’Ungheria, la Bulgaria e la Repubblica ceca - l’estrema destra e i movimenti euroscettici potrebbero mettere a segno risultati importanti.

Cavalcando l’onda di un palpabile malcontento popolare alimentato dalla crescente immigrazione, dall’incapacità della Ue di mostrare una forza di reazione propria alla crisi economica e del diffondersi di nazionalismi sempre più esasperati.

L’Olanda del dopo voto scopre di essere un Paese con due facce. La tradizionale tolleranza olandese si è incrinata dopo la diffusione dei risultati elettorali definitivi: la formazione politica di estrema destra guidata da quello che molti osservatori indicano come l’erede di Pim Fortuyn - il leader populista di estrema destra assassinato nel 2002 da un attivista animalista - è diventata il secondo partito del Paese e si è assicurata 4 seggi a Strasburgo.

Le vere vincitrici delle elezioni europee, nelle quali ha votato il 36,5% degli elettori, in calo rispetto al 39,3% a quelle del 2004, sono le posizioni più estreme: la destra islamofoba e nazionalista da un lato, e i partiti dichiaratamente a favore dell’Ue dall’altro.

I grandi sconfitti invece sono stati i due principali partiti al governo, i Cristiano democratici (Cda) del premier, Jan Peter Balkenende, e i laburisti (PvdA), che hanno pagato a caro prezzo la loro indecisione e le continue tensioni. Il Cda si è confermato il primo partito, ma è sceso dal 24,4% delle europee del 2004 al 19,9% (passando da 7 a 5 seggi). Mentre il PvdA è crollato al 12,1% dal 23,6% del 2004 (da 7 a 3 seggi).

Specchio di questa divisione sono le più grandi città del Paese, Rotterdam e Amsterdam. Il distretto industriale contro la piazza finanziaria. La città degli operai e del porto più grande d’Europa contro la città dei professionisti, del turismo, della cultura e aperta al mondo.

E proprio a Rotterdam, già ribattezzata "Eurabia" per l’alta densità di stranieri e governata da un sindaco di origine marocchina, il Pvv ha ottenuto il suo massimo risultato diventando il primo partito. È stato qui che Wilders ha concentrato la sua campagna elettorale, candidandosi anche a sindaco per le comunali dell’anno prossimo. Qui ha cavalcato le paure della gente, delle tensioni sociali tra olandesi e stranieri, forte di un dato eloquente: tra i giovani marocchini uno su due è già stato fermato almeno una volta dalla polizia.

A meno di cento chilometri di distanza c’è un altro mondo aperto all’Europa e l’ultima roccaforte della tolleranza olandese. Ad Amsterdam a raccogliere voti in massa sono stati i liberali del D66 e i Verdi di sinistra (Groenlinks), gli unici apertamente schierati in favore dell’Unione europea: a livello nazionale hanno avuto ciascuno tre seggi con l’11,3% e l’8,9% delle preferenze. Ma qui, nella città della borsa e del quartiere a luci rosse, sono arrivati al 21,2% e al 20%. Segno che almeno un pezzo di Olanda filoeuropea non è stata travolta dall’ondata di intolleranza e xenofobia.

 

 

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