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Giustizia: Antigone; per carceri servono tre riforme immediate
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Riduzione dei tempi di custodia cautelare per i reati meno gravi, rivitalizzazione delle misure alternative al carcere e riduzione delle pene per chi commette reati di lieve entità nel campo delle tossicodipendenze: l’agenda delle priorità. "Vi è un tasso di incoscienza politica molto alto. Non solo per via del piano di edilizia penitenziaria non coperto dai finanziamenti, ma anche a causa della produzione di leggi che mandano in galera decine di migliaia di persone senza alcuna progettualità". Così Patrizio Gonnella a margine della presentazione del sesto Rapporto sulle carceri di Antigone, l’associazione per i diritti dei detenuti di cui è presidente, che oggi ha lanciato l’allarme a Roma per il sovraffollamento nelle carceri italiane, le quali con 63.460 detenuti presenti hanno raggiunto la cifra record dai tempi dell’amnistia di Togliatti nel 1946. Sono tre invece le riforme urgenti che secondo Gonnella potrebbero essere attuate per migliorare la condizione negli istituti di pena con buon senso e pragmatismo: "La riduzione dei tempi di custodia cautelare per i reati meno gravi, la rivitalizzazione delle misure alternative al carcere e la riduzione delle pene per chi commette reati di lieve entità nel campo delle tossicodipendenze", mettendo mano all’articolo 73 della legge sulle droghe, che oggi prevede un quinto comma che, a causa dell’ex Cirielli, azzera l’attenuante nei casi di recidiva. Tre sono poi le "lacune normative non tollerabili" che "si perpetuano da troppi anni" e che andrebbero colmate: la mancata introduzione nel codice penale italiano del crimine di tortura, obbligo per l’Italia dal 1987, secondo quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura; la non attuazione della sentenza n.26 emessa nel 1999 dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità degli articoli dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell’amministrazione penitenziaria lesivi dei diritti di coloro che sono sottoposti alla restrizione della libertà personale; la non attuazione dei contenuti del protocollo opzionale alla Convezione Onu contro la tortura che prevede l’istituzione di organismi indipendenti di controllo e monitoraggio di tutti i luoghi di privazione di libertà. Giustizia: Antigone; 63.500 detenuti… mai così tanti dal 1946
Ansa, 30 giugno 2009
In Italia i detenuti hanno raggiunto quota 63.460, ben 20 mila in più rispetto alla capienza regolamentare e oltre anche alla cosiddetta capienza tollerabile, l’indice che individua il limite massimo per la stessa amministrazione penitenziaria. È quanto emerge dal sesto rapporto sulle carceri, presentato a Roma, e realizzato dall’associazione Antigone, che opera per la difesa dei diritti negli istituti di pena. Si tratta di una cifra record - sottolinea il rapporto - che non si era mai registrata dai tempi dall’amnistia di Togliatti del 1946. Solo tra il primo maggio e il 15 giugno di quest’anno i detenuti sono cresciuti di 1.340 unità. A partire dal primo gennaio 2009, l’aumento è stato di 5.500 detenuto. Il tasso di crescita è di poco inferiore alle 1.000 unità al mese. Se il trend dovesse continuare, a fine anno la popolazione carceraria raggiungerebbe quota 70 mila detenuti. E nel giugno del 2012 si arriverebbe a 100 mila unità. Ci sono regioni dove il numero di detenuti è quasi il doppio di quello consentito: in Emilia Romagna il tasso di affollamento è del 193%. In Lombardia, Sicilia, Veneto e Friuli è intorno al 160%. Guardando alla tipologia di reato, il 40% dei detenuti, e la metà dei detenuti stranieri, è in carcere per reati legati alla droga. L’analisi dei dati sulla popolazione carceraria riferiti all’intero 2008 indica che oltre 21 mila persone sono entrate in carcere per violazione delle leggi sugli stupefacenti. Sono 2.482 gli stranieri in carcere per non aver ottemperato all’obbligo di espulsione. Dal rapporto di Antigone si evince che, rispetto al totale delle persone detenute, gli ergastolani sono 1.434 (25 le donne). Sono 600 i detenuti sottoposti al 41 bis, ossia il regime di carcere duro, e 8 mila quelli nelle sezioni di alta sicurezza. La detenzione speciale riguarda quindi oggi tra un quinto e un sesto dell’intera popolazione reclusa. Un terzo dei decessi che si verificano in carcere sono dovuti a suicidio e in 9 anni sono stati 500 i detenuti che si sono tolti la vita dietro le sbarre. Lo riferisce il rapporto Antigone, citando dati raccolti dall’associazione "Ristretti Orizzonti". Nel primo trimestre 2009 - si legge nell’indagine - su 36 morti, i suicidi sono stati 13: tutti uomini, 4 stranieri e 9 italiani. A questi si affiancano 6 casi da accertare. In tutto il 2008, a fronte di 121 decessi complessivi, 42 sono stati per suicidio. Di questi, 4 erano donne e 38 uomini; e 35 erano italiani e 7 stranieri. In nove anni, dal 2000 al marzo 2009, all’interno delle strutture penitenziarie dislocate su tutto il territorio nazionale, sono morte 1.365 persone. Di queste, 501, oltre un terzo, per suicidio. Nel 1990 i suicidi furono solo 23. La punta si raggiunse nel 2001 con ben 69 suicidi. Il 52,2% delle persone oggi detenute in Italia è in carcere in custodia cautelare. Lo denuncia l’associazione Antigone, sottolineando che si tratta di una delle percentuali più alte d’Europa che fotografa "un’anomalia tutta italiana". Guardando alla nazionalità dei detenuti: sono 23.530 gli stranieri presenti nelle carceri italiane, il 58,75% dei quali é in custodia cautelare; gli italiani in carcerazione preventiva sono invece il 43,77% del totale dei connazionali detenuti, ossia circa il 15% in meno degli stranieri. Sul totale della popolazione carceraria, sono invece 30.186 i detenuti con sentenza passata in giudicato. E guardando a dati relativi ai soli residui di pena, emerge che tra quanti in Italia scontano una condanna definitiva, il 32,4% ha un residuo di pena inferiore a un anno, e addirittura il 64,9%, pari a 19.000 detenuti, ha un residuo di pena inferiore ai tre anni, soglia che rappresenta il limite di pena per l’accesso alle misure alternative della semilibertà (prima dell’espiazione di metà pena) e dell’affidamento in prova. Antigone sottolinea come questo dimostri che "il sistema delle misure alternative i Italia si è sostanzialmente inceppato". Giustizia: Antigone; in 2012 ci saranno circa 100mila detenuti
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
I numeri della "intollerabilità" nel nuovo rapporto: 63.460 persone ristrette, 20 mila in più della capienza regolamentare. Sovraffollamento, sta peggio l’Emilia Romagna. Per 19 mila meno di 3 anni da scontare. Negli Opg 1.313 persone. I detenuti nelle carceri italiane sono ad oggi 63.460, ben 20 mila in più rispetto alla capienza regolamentare e a quella "tollerabile": in alcune regioni il numero è quasi il doppio di quello consentito, come in Emilia Romagna, dove il tasso di affollamento è del 193%, o in Lombardia, Sicilia, Veneto e Friuli, dove raggiunge il 160%. Numeri e condizioni di vita "oltre il tollerabile": è questa la denuncia dell’associazione Antigone che ha presentato oggi un nuovo rapporto sulla situazione dei penitenziari italiani, frutto del primo anno di lavoro del difensore civico e dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione, giunto ormai alla pubblicazione del sesto rapporto. L’organizzazione stima che a fine anno ci saranno 70 mila detenuti e 100 mila nel giugno del 2012, "con tassi di detenzione paragonabili ai paesi dell’est europeo": tra il primo maggio e il 15 giugno le persone ristrette sono cresciute di 1.340 unità e dal primo gennaio 2009 di 5.500, poco meno di 1.000 al mese. In 19 anni i numeri, sia percentuali che assoluti, sono raddoppiati: nel 1990 erano poco più di 30 mila, nel 2008 gli ingressi in carcere sono stati 92.900, ossia 15 mila in più nel giro di dieci anni. "Eppure - sottolinea Antigone - siamo ben lontani oggi dai 3.909 omicidi denunciati nel 1991 o dai quasi 2 milioni di furti del 1999. Sono cresciute invece le rapine". La crescita, dunque, "sta tutta nella maggiore repressione penale del consumo e del traffico di sostanze stupefacenti, nella criminalizzazione degli immigrati senza permesso di soggiorno e nella punizione di quelli che non ottemperano all’obbligo di espulsione (2.482 stranieri, ndr), nella maggiore severità nel trattamento dei recidivi". "Anomalia italiana". Il 52,2% dei 63.460 detenuti è in carcere in custodia cautelare, "un’anomalia tipicamente italiana" secondo Antigone. La percentuale delle persone ristrette in attesa di una condanna definitiva è "a livelli inaccettabili e difficilmente tornerà a scendere a breve, complici la crescente percentuale di stranieri tra i detenuti (per cui il ricorso alla custodia cautelare è molto più frequente che per gli italiani) e il numero crescente delle condanne brevi", si legge nel rapporto. In carcere 30.186 con sentenza passata in giudicato (al 15 giugno 2009). Per oltre 19 mila detenuti meno di 3 anni da scontare. L’accesso alle misure alternative è "fermo a un quinto di quello che era prima dell’indulto". Al 31 dicembre 2005 le persone detenute sottoposte a una condanna definitiva inferiore ai 3 anni erano il 30,7% dei definitivi (9,1% inferiore a un anno); alla stessa data del 2007, nonostante alla metà del 2006 l’indulto abbia azzerato le condanne brevi, erano il 31,9% e 37,2% al 2008. Oltre 19 mila detenuti scontano un residuo di pena inferiore ai tre anni e potrebbero accedere a una misura alternativa. Ne beneficiano invece 9.406 detenuti; significativo che solo 42 (ossia lo 0,45%) abbiano commesso reati durante l’esecuzione della misura. Quello che Antigone definisce "l’unica alternativa all’odierno sovraffollamento compatibile con le finalità della pena e con i valori espressi dalla Carta Costituzionale" è, dopo l’indulto, un sistema "sostanzialmente inceppato". Sotto accusa la "miope e disinformata campagna a favore della certezza della pena" e i "mirati interventi normativi (leggi ex Cirielli, Fini-Giovanardi e Bossi-Fini)". A Caltanisetta la magistratura di sorveglianza più severa nel concedere la semilibertà, a Bari quella più disponibile. Gli ergastolani. Sono 1.434 (25 donne), reclusi in circa 50 istituti e sottoposti a regimi penitenziari differenziati: dalle sezioni ordinarie delle case di reclusione alle sezioni di 41 bis, passando dall’alta sorveglianza. Solo la metà accede alle misure alternative alla detenzione, che per molti sono giuridicamente precluse (i cosiddetti "reati ostativi") e la condizionale è concessa in casi rarissimi. "Si ha la negazione del principio costituzionale della funzione rieducativa della pena, - commenta Antigone - un’insanabile negazione dei diritti umani, un annullamento della speranza, con gravi conseguenze anche sul piano fisico e psicologico". I "pericolosi". La detenzione speciale riguarda tra un quinto e un sesto dell’intera popolazione reclusa: 600 sottoposti al regime duro (41 bis) e 8 mila nelle sezioni di alta sicurezza. Gli Opg. Al 31 dicembre 2008 negli ospedali psichiatrici giudiziari erano detenute 1.313 persone (1.230 uomini) per una capienza regolamentare di 955. Fermi invece al 2004 i dati relativi al numero di misure coercitive (515 casi). In base ai dati disponibili almeno un internato su sei ha conosciuto questa esperienza, ma secondo Antigone si tratta di un valore sottostimato, poiché non sono disponibili dati certi relativi a Napoli e Aversa. Sono 195 le persone coercite: a Reggio Emilia sono 84, a Castiglione 47, a Barcellona e a Montelupo 32. Tra le segnalazioni del rapporto il sovraffollamento dell’Opg di Montelupo Fiorentino, dove le celle da tre ospitano almeno sei detenuti, il numero degli internati supera il limite consentito e la polizia penitenziaria non ha l’adeguata preparazione. Ad Aversa, invece, dal 2007 ad oggi sono almeno 13 i decessi, tra suicidi e malattia, avvenuti nella struttura. Giustizia: la "classifica" delle prigioni, tra peggiori Favignana
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Bocciati gli istituti di Napoli, il carcere più affollato d’Europa con 2.700 detenuti, e di Sassari dove "topi e detenuti restano chiusi in cella per 22 ore". All’Ucciardone di Palermo si dorme a turno. Nella casa di reclusione di Bollate (Milano) 450 detenuti seguono un programma lavorativo interno ed esterno al carcere, le celle sono aperte dalle 8 alle 20 e ogni detenuto, munito di un badge, si può muovere per seguire il programma concordato con l’equipe multidisciplinare del suo reparto. Attenzione anche alla sfera affettiva: alcuni colloqui si tengono nella "Stanza dell’affettività", una specie di piccolo appartamento dove, sorvegliati da telecamere, i detenuti incontrano moglie e figli. Sono alcuni dei requisiti che rendono vivibile un carcere, secondo il giudizio di Antigone, che ha stilato insieme a "Ristretti Orizzonti" una sorta di classifica degli istituti in base ad alcuni criteri, tra cui affollamento, struttura edilizia, spazi per attività e colloqui, formazione professionale, attività scolastiche e culturali, progetti "trattamentali" e accesso alla misure alternative. Positivo il giudizio per il carcere di Padova "Due Palazzi", dove circa 80 detenuti lavorano alle dipendenze di cooperative, che gestiscono le cucine e un laboratorio di pasticceria con una produzione di elevatissimo livello. Circa 40 detenuti sono ammessi al lavoro esterno o alla semilibertà. Nell’istituto anche un Centro di Documentazione composto dal gruppo rassegna stampa, legatoria e biblioteca, gestiti dalla cooperativa AltraCittà, e dalla redazione del TG2Palazzi e della rivista "Ristretti Orizzonti". Circa 100 volontari, che garantiscono una serie di servizi, tra i quali i Gruppi di ascolto e lo Sportello di orientamento giuridico e segretariato sociale. Inoltre il Polo Universitario che conta attualmente circa 25 iscritti ai corsi universitari. Promossi anche la casa circondariale "Lorusso e Cutugno" di Torino, Rebibbia Nuovo Complesso a Roma e l’istituto di pena femminile della Giudecca, Venezia. In fondo alla classifica la Casa di Reclusione di Favignana (Trapani), una piccola struttura con una "capienza tollerabile" per 148 detenuti. È tutto sotto terra: gli uffici, l’infermeria, le celle. "Bocciata" anche la Casa Circondariale di Poggioreale (Na), il carcere più affollato d’Europa con 2.700 detenuti a fronte di 1.300 posti-detenuto. 4 i suicidi nel solo 2009, dall’inizio dell’anno al primo maggio. Sempre in fondo alla classifica della vivibilità la casa circondariale di Brescia, "un vecchio carcere afflitto da sovraffollamento". "Le persone detenute restano chiuse in cella per 22 ore al giorno". Tra i detenuti 180 sono tossicodipendenti, ma solo una decina vengono trattati col metadone; una sessantina sono i sieropositivi, 30 sono alcoolisti e un centinaio sono malati di epatite. Al carcere di Sassari detenuti "in cella i topi, che uscivano dal cesso alla turca", racconta un recluso. "Noi e i topi restavamo chiusi in quella cella per 22 ore al giorno". Non superano l’esame per l’alto tasso di affollamento la casa circondariale di Belluno (circa il 200%) e quella di Bolzano, dove "dodici uomini stipati in un’unica cella" . A Regina Coeli (Roma) gli "ingressi" si moltiplicano, si dorme per terra su materassi di fortuna; l’acqua calda è un optional e all’ultimo piano i rubinetti sono totalmente a secco. A fine 2008 è stato lanciato l’allarme sifilide. Infine l’Ucciardone di Palermo: i posti letto sono 378, ma i detenuti nel 2008 sono arrivati ad essere anche 718, quasi il doppio. In alcune celle da quattro dormono anche in 12, in grappoli di quattro letti a castello. Per dormire si fanno i turni tra il giorno e la notte. E i bagni alla turca sono spesso tappati con bottiglioni di vetro per evitare che i topi che escono dalle fognature fatiscenti invadano le celle. Giustizia: un detenuto costa 157 € al giorno, 8 per salute e cibo
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Rapporto Antigone. Oltre 42.200 poliziotti penitenziari in organico, ma solo 16 mila "si sobbarcano" la responsabilità di garantire la sicurezza. Un educatore ogni 157 detenuti. La "intollerabilità" denunciata dal rapporto di Antigone, presentato oggi, riguarda anche le condizioni di lavoro degli operatori penitenziari "costretti a turni massacranti" e le risorse. Un detenuto costa allo stato italiano 157 euro al giorno, ma di questa somma poco più di 3 euro sono destinati ai tre pasti giornalieri e circa 5 euro alla salute. Tutto il resto va in spese fisse: manutenzione dei fabbricati, personale e gestione ordinaria. Il personale. Sono 42.268 i poliziotti penitenziari in organico, 39.482 quelli che lavorano effettivamente (al netto di distacchi e assenze di vario tipo). Ma solo 16 mila "si sobbarcano" la responsabilità di garantire la sicurezza complessiva nelle carceri. E se al sud non ci sono carenze di organico (a Bari l’organico amministrato è superiore di 30 unità a quello previsto dalla pianta organica, mentre Lazio e Campania sono in sovrannumero), al nord "la situazione è drammatica": a Padova nuovo complesso mancano 78 persone, a Tolmezzo 38, a Torino 187, a Brescia 155. I dirigenti in servizio effettivo sono invece 512, ossia uno ogni 123 detenuti. Gli educatori 777 di cui più o meno 400 lavorano effettivamente nelle carceri (ma è in corso una assunzione di altri 80 educatori) ossia uno ogni 157 detenuti, mentre gli assistenti sociali sono 1140 di cui circa 900 lavorano negli Uepe (Uffici per l’esecuzione penale esterna), ossia un assistente sociale ogni 70 detenuti. La salute. Dal 2000 al 2008, denuncia Antigone sono stati destinati 34 milioni di euro in meno alla sanità penitenziaria. La situazione fotografata dal rapporto parla di: 36 detenuti su 100 con forme di disagio psichico, 1 detenuto su 2 soggetto - seppur occasionalmente - a trattamento con psicofarmaci, i decessi per cause naturali riguardano 2 detenuti ogni 1000, l’ipertensione arteriosa è presente in circa 5 detenuti su 100, 2 detenuti su 100 sono diabetici, 1 detenuto su 100 è portatore di patologia di pertinenza cardiovascolare (circa 400 sono i cardiopatici presenti nei penitenziari), 1 su 100 è affetto da patologie gastrointestinali croniche, 3 su 100 sono affetti da malattie bronco-polmonari, il 2,7% è affetto da Hiv. Suicidi in carcere. Secondo "Ristretti Orizzonti" nel 2008, a fronte di 121 decessi complessivi, 42 sono stati per suicidio. Di questi, 4 erano donne e 38 uomini. Di tutti i suicidi, 35 erano italiani e 7 stranieri. Nel primo trimestre 2009, su 36 morti, 13 i suicidi e 6 casi da accertare: 4 erano stranieri, 9 italiani. Tutti uomini. In nove anni, dal 2000 al marzo 2009, all’interno delle strutture penitenziarie dislocate su tutto il territorio, sono morte 1.365 persone. Di queste, 501, oltre un terzo, per suicidio. Nel 1990 i suicidi furono solo 23. La punta si raggiunse nel 2001 con ben 69 suicidi. Giustizia: in carcere 23.530 stranieri, 1 su 10 per la "Bossi-Fini"
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Rapporto Antigone. Sono soprattutto marocchini, romeni e albanesi e tunisini. 43.099 gli ingressi (il 46% del totale). Prevalgono reati contro la persona, violazione della legge sulle armi e sulle droghe. Lombardia la primo posto. I detenuti stranieri al 31 dicembre 2008 sono 23.530; 43.099 gli ingressi (il 46% del totale, in diminuzione rispetto al 48% del 2007). 13.825 sono in custodia cautelare (gli italiani sono il 43,77%, circa il 15% in meno degli stranieri), il 58,75% è in carcerazione preventiva. Il rapporto di Antigone fotografa una lieve flessione del numero di ingressi degli immigrati, a fronte di un aumento della percentuale di presenze tra la popolazione detenuta. Un fenomeno riconducibile secondo l’organizzazione al turn-over continuo e al fatto che "molti degli stranieri inopinatamente arrestati perché privi di documenti siano poi rilasciati". Molti degli arrestati stanno per pochi giorni in carcere, "sempre più utilizzato come luogo di fermo per le identificazioni". Inoltre,s i legge nel rapporto c’è "una maggiore propensione all’uso del carcere anche durante la fase processuale", per assenza di riferimenti significativi esterni dove poter essere messi agli arresti domiciliari; minore capacità di difesa tecnica adeguata; cautela giudiziaria contro il rischio di irreperibilità. Sta di fatto che esiste una palese discriminazione nell’uso degli strumenti cautelari. Le etnie. Conta il numero più alto di presenze il Marocco (4.714), seguono Romania (2.670), Albania (2.610), Tunisia (2.499), mentre, nonostante la grande presenza delle loro comunità in Italia, i peruviani in carcere sono solo 182, i filippini 52, quelli del Bangladesh 32, gli etiopi 15. Tra le detenute più numerose le nigeriane (196) e le rumene (195). I reati. Il 16,4% ha commesso reati contro la persona (reato commesso dal 15,5% degli italiani), il 14,8% per violazione della legge sulle armi (contro il 18,4% degli italiani), il 15,9% delle violazioni della legge sulle droghe (contro il 12,4% degli italiani). In carcere 2.482 stranieri per non avere ottemperato all’obbligo di espulsione e solo lo 0,2% ha commesso crimini di associazione a delinquere di stampo mafioso, contro il 3,9% degli italiani. Le regioni. La Lombardia (3.525) è la regione che conta più detenuti stranieri, seguono il Piemonte (2.376), l’Emilia Romagna (2.116) e il Lazio (2.064). Il Molise (82) e la Valle d’Aosta (98) hanno meno stranieri tra tutte le regioni nelle loro carceri. Giustizia: tossicodipendenti, più nel carcere che nelle comunità
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Rapporto Antigone. Oltre 21 mila detenuti nel 2008 per aver violato la legge sugli stupefacenti, il 38,2% (49,5% degli stranieri) per una sola fattispecie di reato (art. 73). "Dato macroscopico e impressionante". Sono oltre 21 mila le persone entrate in carcere nel 2008 per non aver rispettato la normativa italiana sugli stupefacenti. Aumenta la percentuale dei tossicodipendenti tra i detenuti rispetto a prima dell’indulto (+8,4%): rappresentano il 26,8% del totale. Il 38,2% dei detenuti e ben il 49,5% di quelli stranieri è in carcere per un’unica fattispecie di reato: la violazione dell’art. 73 del Testo unico sulle droghe. Un "dato macroscopico e impressionante" secondo Antigone. Nel rapporto presentato stamani l’organizzazione denuncia "l’approccio repressivo" della legge Fini-Giovanardi che, pur non sanzionando penalmente il consumo, con introduzione del comma 1-bis all’art. 73, persegue chi importa, esporta, acquista, ricetta a qualsiasi titolo e detiene sostanze stupefacenti, lasciando di fatto al giudice l’obbligo di stabilire se si tratti di uso personale o si configuri il reato di spaccio. Pesa, secondo Antigone, anche "l’abolizione di ogni distinzione tra droghe leggere, come la cannabis, e droghe pesanti, come eroina o cocaina". Il rapporto segnala l’aumento delle segnalazioni all’autorità giudiziaria per reati previsti dal Testo Unico sugli stupefacenti; crescono il numero delle sanzioni amministrative e la loro durata e le condanne ex art. 73. Aumentano "in maniera impressionante" i procedimenti pendenti per l’art. 73: +31,5% tra il 2007 e il 2008, +93,6% per i minorenni. Inoltre il numero di tossicodipendenti che annualmente transitano dalle carceri italiane (24.646 nel 2006, 24.371 nel 2007) supera quello di coloro che transitano dalle comunità terapeutiche (17.042 nel 2006, 16.433 nel 2007). "Un simile dato - sottolinea Antigone - la dice lunga sulla scelta tra approccio repressivo e approccio terapeutico fatta dal nostro legislatore". "Al sistema penitenziario viene affidata la maggiore responsabilità nel contrasto al fenomeno delle tossicodipendenze, quando è ormai noto che i tassi di recidiva per chi esce dal carcere sono estremamente elevati, assai più di quelli di chi sconta la propria pena in misura alternativa, e che il gruppo con il maggior tasso di recidiva è proprio quello dei tossicodipendenti", conclude Antigone. Giustizia: 70 bambini sotto 3 anni in cella con le madri detenute
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Rapporto Antigone. Sei carceri femminili, circa 60 sezioni femminili, 16 asili nido funzionanti. La legge Finocchiaro "non ha prodotto i risultati sperati". Sono poco meno di 70 i bambini sotto i 3 anni che vivono in carcere con le madri detenute (poco più di 60), circa lo stesso numero che si registrava prima dell’indulto. Circa 20-30 le donne in stato di gravidanza che vivono in carcere. Sono sei gli istituti penitenziari interamente femminili e circa 60 le sezioni femminili ospitate all’interno di carceri maschili; 16 gli asili nido funzionanti, il più grande a Rebibbia (Roma), che ospita di media una ventina di bambini. I numeri del rapporto di Antigone, presentato stamattina, denunciano un sostanziale fallimento della cosiddetta legge Finocchiaro, malgrado la normativa abbia segnato secondo l’associazione "il primo cambiamento culturale" in materia. "Non ha prodotto i risultati sperati sul piano pratico. - sottolineano gli osservatori - Troppe le limitazioni che impone alla concessione dei benefici previsti". Dai 24 casi di detenzione domiciliare complessivi (dalla libertà e dalla detenzione) concessi nel 2004 (19 nel 2005, 15 nel 2006, 16 nel 2007) si è passati a 31 nel 2008: un "aumento importante", ma che "non è intervenuto in maniera significativa sulle presenze in carcere di madri con minori". E non è andata meglio con la possibilità di assistere all’esterno i figli minori (altro istituto introdotto dalla legge), concessa a non più di due madri dal 2004 al 2008. Antigone ricorda i rischi che può portare lo stato di reclusione per i minori, come ha dimostrato il primo studio italiano sulla condizione dei bambini in carcere (2008) condotto su 150 bambini presenti nella casa di reclusione femminile di Rebibbia: il 20% è nato prematuro (la media in Italia e del 5%) e sono stati svezzati precocemente, con rischi di predisposizione a ipertensione e obesità. Antigone auspica che possano essere discusse le proposte di modifica della legge 40, depositate da Rita Bernardini alla Camera e da Donatella Poretti al Senato, che mirano a ridurre i requisiti necessari a ottenere i benefici di legge e a istituire le cosiddette "case famiglia protette", cui assegnare le detenute madri "quando non sia possibile applicare misure più favorevoli", ovvero non detentive. Giustizia: le richieste dei detenuti a Difensore civico di Antigone
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Più di un terzo di chi si è rivolti al servizio chiede il riavvicinamento alla famiglia, oltre il 20% lamenta insufficiente assistenza sanitaria. Una richiesta su cinque da stranieri. Alcune riguardano gli Opg. I dati della prima Relazione. Una richiesta su cinque avanzata al Difensore civico per la tutela dei diritti dei detenuti, voluto e nominato da Antigone, proviene da stranieri. Le segnalazioni arrivano da 15 regioni e da tre stati esteri (dove sono detenuti italiani), ma un terzo dei casi presi in carico riguarda il Lazio. La maggioranza proviene da uomini (4,7% da donne). Sono alcuni dei dati contenuti nella prima Relazione dell’ombudsman, relativa a dieci mesi di lavoro, parte del rapporto presentato oggi da Antigone sulla condizione dei detenuti in Italia. Nominato un anno fa, questo nuovo organismo ha cominciato a lavorare a pieno regime nel settembre 2008 e in meno di un anno ha preso in carico 85 casi, di cui 80 individuali e 5 relativi a condizioni generali o problemi di istituti o sezioni, per una media di circa 8-9 casi nuovi al mese. Al 16 giugno 2009 il 43% dei casi seguiti risulta ancora aperto, a causa della "pesantezza burocratica dell’amministrazione penitenziaria e delle altre amministrazioni pubbliche", il 16% concluso "con la piena soddisfazione degli interessati" e il resto in "stand-by", cioè in attesa di risposte dall’ente competente, o trasferito all’autorità giudiziaria competente, perché fatti di rilevanza penale. Assistenza sanitaria e della territorializzazione della pena, i problemi più sentiti. Più di un terzo di coloro che scrivono chiedono di poter essere avvicinati alla famiglia e alla zona di residenza, come previsto dalla legge (art. 42 dell’ordinamento penitenziario e art. 30 del regolamento di esecuzione). "Trattandosi di espresse previsioni normative funzionali alla finalità rieducativa della pena e al reinserimento sociale dei detenuti, non si capisce perché la loro applicazione debba essere tanto controversa, nonostante la irrazionale distribuzione geografica degli istituti di pena sul territorio", scrive il Difensore. Più del 20% delle istanze denuncia un’insufficiente assistenza sanitaria o la fatiscenza delle strutture e delle strumentazioni relative e in alcuni casi si tratta specificamente delle condizioni di detenzione negli Opg, o del trattamento dei tossicodipendenti. "Si tratta - sottolinea - di un tema particolarmente sensibile, alla luce del recente trasferimento delle competenze nell’assistenza sanitaria ai detenuti. Il sacrosanto principio della universalizzazione delle prestazioni del Servizio sanitario necessita oggi di una compiuta responsabilizzazione delle regioni e delle Asl". In 5 casi segnalate violenze o abusi sui detenuti. In un caso in fase d’arresto, e quindi fuori dall’istituto penitenziario, in due casi tra detenuti e in altri due ai danni di detenuti da parte di operatori penitenziari. Tra le altre richieste dei detenuti, l’accesso alle misure alternative e rapporti con la magistratura di sorveglianza, problemi strutturali degli istituti penitenziari e le condizioni di detenzione, diritti in carcere e in regime di 41bis, relazioni affettive, colloqui e applicazioni post-penitenziaria della normativa sull’immigrazione. Si sono rivolti al Difensore anche i familiari di un detenuto per sapere che fine avesse fatto il loro congiunto, trasferito senza che ne fosse dato avviso e senza che l’istituto fosse autorizzato a dare informazioni sulla sede di destinazione. "È l’ennesima testimonianza di una mancanza di trasparenza dell’istituzione penitenziaria che vorremmo superata una volta per sempre, cui si aggiunge una incapacità comunicativa che è spesso all’origine di legittime sospensioni di giudizio sul suo operato". Secondo il Difensore civico sarebbe opportuno aprire anche negli istituti di pena gli Urp, per distinguere le funzioni di relazioni con il pubblico da quelle di centralino interne. Giustizia: ddl sicurezza; parte in aula del Senato il "rush finale"
Ansa, 30 giugno 2009
Dovrebbe essere questa la settimana del varo completo del Ddl sicurezza del governo ormai giunto, non senza intoppi e tra mille polemiche, all’ultima lettura di Palazzo Madama. A dirsene certo, anche negli ultimi giorni, è stato lo stesso Ministro dell’Interno, Roberto Maroni che, una volta dato il via libera definitivo al cosiddetto "Pacchetto sicurezza", si è già posto come nuovo traguardo quello della revisione del dispositivo di legge che regola le forze di polizia. È quasi scontato, anche in questa occasione, da parte del Governo, il ricorso al voto di fiducia se i tempi di approvazione del provvedimento si dovessero allungare per la già esplicita contrarietà delle opposizioni ma anche per prevenire possibili "mal di pancia" da parte delle forze di maggioranza. Un provvedimento articolato, quello del Ddl 733-b che, tra i punti più critici, prevede nuove norme in tema di immigrazione come l’introduzione del reato di immigrazione clandestina e l’allungamento del periodo di trattenimento nei Centri di espulsione fino a diciotto mesi. In tema, invece, di sicurezza urbana certamente torneranno a far discutere norme quali l’introduzione delle cosiddette "ronde", le pene per i graffitari e la creazione di un registro per i senza fissa dimora. Ma le parti più rilevanti dell’azione di contrasto della illegalità sono contenute nel Ddl 733 e, infatti, su questo provvedimento si è innestato il lungo braccio di ferro attuato dall’opposizione che aveva ottenuto significative modifiche al Senato - soprattutto per i termini di permanenza nei Cie e per la istituzione delle cosiddette "ronde" - ripristinate alla Camera per espressa richiesta del Ministro Maroni che aveva prospettato un’aperta protesta della Lega Nord. La discussione a Palazzo Madama da oggi si incentra proprio sulle variazioni apportate dai deputati rispetto alla prima lettura fatta dai senatori. Il definitivo via libera si innesta in un quadro di reazioni critiche da parte di alcuni settori della magistratura, di vari docenti di diritto e, soprattutto, dei sindacati della polizia penitenziaria che rilevano il rischio di un forte impatto delle nuove norme sulla già quasi esplosiva situazione del sovraffollamento delle carceri. Già oggi c’e un record - secondo i dati forniti dalla Uilpa - di 63.741 presenze rispetto ai 63.702 posti disponibili (con una potenzialità di poco più di 43.000 posti senza sovraffollamento) nei 206 istituti penitenziari esistenti in Italia e, soprattutto, tenendo presente che lo scorso anno su 92.000 persone che - per brevi o lunghe permanenze sono passate nelle carceri - oltre il 45% era di origine straniera. Preoccupazioni alle quali il Ministro della Giustizia, Angelino Alfano ha già più volte replicato sottolineando l’impegno dell’Esecutivo per ampliare, con ristrutturazioni e nuove costruzioni, la capacità ricettiva degli istituti penitenziari italiani. Il Viminale e i relatori di maggioranza nell’iter svoltosi alla Camera e al Senato hanno criticamente rilevato che l’attenzione dei media si sia concentrata soprattutto sulle cosiddette "ronde" e sul reato di immigrazione clandestina, mentre il Ddl 733 ha ben più ampia portata di contrasto alla "illegalità diffusa" con il rafforzamento delle tutele nei confronti di quei comportamenti che ledono il rispetto verso lo spazio pubblico e le cose altrui, la tutela dei soggetti più deboli, il più forte contrasto della criminalità. Un primo nucleo di norme è, infatti, diretto ad aggravare o a costituire nuove fattispecie di reato, per ipotesi quali il danneggiamento, il deturpamento e l’imbrattamento delle cose altrui, il decoro delle pubbliche vie e l’occupazione di suolo pubblico. Un secondo gruppo di disposizioni punta ad assicurare una maggiore protezione ad anziani, i minori e i disabili. In questo campo, oltre alla costituzione di aggravanti specifiche per reati compiuti ai danni di questi soggetti, è inserita una serie di aggravanti per reati compiuti in luoghi o situazioni particolarmente esposti o significativi, dagli istituti di credito e bancomat agli istituti scolastici per i reati compiuti a danno di minori. In questa ottica viene anche rafforzata la tutela nei confronti dei furti e delle rapine, prevedendo l’allargamento delle ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza e di arresto facoltativo per la violazione del domicilio privato. Altre norme rafforzano il contrasto al fenomeno dell’impiego dei minori nell’accattonaggio e la tutela delle libertà delle donne straniere, sostanzialmente musulmane, in Italia, in relazione alla scelta di contrarre matrimonio. Di particolare rilievo è anche la norma relativa alla sottrazione di minori e di incapaci e alla sottrazione di minori all’estero. Oltre alle misure ricordate occorre ricordare, più in dettaglio, altri punti salienti del Ddl che hanno alimentato i più forti contrasti tra maggioranza ed opposizione. Immigrazione illegale: obiettivo prioritario del provvedimento, per il relatore, è distinguere il fenomeno dell’immigrazione clandestina da quello dell’immigrazione regolare e, all’interno di quella regolare, di costituire un sistema premiale nei confronti degli stranieri che vivono e operano nella legalità nel nostro Paese e, al contrario, un sistema di rigore nei confronti di chi, invece, infrange la legge. Il Ddl afferma - hanno rilevato i relatori di maggioranza nel dibattito parlamentare - "una scelta definitiva in merito all’immigrazione clandestina, adeguandosi con ciò alla normativa vigente in molti Paesi europei, e cioè quella dell’istituzione del reato di immigrazione clandestina, sebbene sotto forma di contravvenzione non oblabile". Altre norme di particolare rilievo sono quelle volte a contrastare il fenomeno dei matrimoni di comodo, sia al fine di ottenere la cittadinanza sia al fine di ottenere il permesso di soggiorno, le nuove condizioni ostative per il rilascio del visto d’ingresso. L’associazione per delinquere per determinati reati è stata integrata con un’ipotesi aggravata in caso di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Permanenza nei Cie: per i casi espressamente previsti dal Ddl è stabilito l’allungamento dei periodi di permanenza nei Centri di identificazione ed espulsione. Il termine di centottanta giorni è previsto da una recente direttiva europea e, soprattutto, è considerato - come hanno più volte sottolineato il Ministro Maroni e il Capo della Polizia - il periodo minimo utile per ottenere dei regolari procedimenti di espulsione nei confronti di alcuni Paesi. Di rilievo anche l’introduzione di test di conoscenza della lingua italiana per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno di lungo periodo e, soprattutto, l’introduzione dell’accordo di integrazione. Sicurezza partecipata: il provvedimento ha il suo punto più discusso nelle cosiddette "ronde" che verrebbero introdotte nel disegno di legge per regolamentare, si afferma, due fenomeni già diffusi quali le associazioni dei volontari della sicurezza e quello dei cosiddetti bodyguard delle discoteche. Il Ddl contiene, dunque, disposizioni per "regolamentare" entrambi gli istituti, che, allo stato, risulterebbero privi - come ha più volte voluto rilevare il responsabile del Viminale - di qualsiasi controllo dei requisiti nonostante le cosiddette associazioni dei volontari siano addirittura finanziate da alcune leggi regionali e da alcune amministrazioni locali. Contrasto alla mafia: altro punto essenziale della nuova normativa è il rafforzamento della lotta alla criminalità organizzata sviluppando iniziative già assunte dal Governo con provvedimenti varati in questa legislatura su due aspetti: quello dell’aggressione ai patrimoni mafiosi e quello, più generale, di ordine preventivo. In particolare vengono potenziati alcuni aspetti relativi al sequestro e alla confisca dei beni provenienti da reati di tipo mafioso sia per depotenziare la capacità economica della criminalità, sia per acquisire al patrimonio della collettività i proventi delle attività illecite e di dare a ciò un significato simbolico di lotta dello Stato verso queste forme di criminalità. Rispetto alla prevenzione varie norme regolamentano i poteri di accesso dei prefetti sui cantieri e altre disposizioni riguardano lo scioglimento dei consigli comunali per mafia. Oltraggio a pubblico ufficiale: una new entry, o meglio una vecchia new entry, è quella dell’articolo 341-bis del codice penale, cioè il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale. Si tratta di una fattispecie che è rientrata nell’ambito del penalmente rilevante. Queste condotte erano già protette, ma con una diversa fattispecie, punibile a querela. Si è ripristinata la procedibilità di ufficio, e la reclusione è fino a tre anni. È stata poi introdotta una duplice novità nell’ambito del tessuto connettivo della norma, cioè la causa di non punibilità, o meglio di estinzione del reato, derivante dal risarcimento del danno duplice, sia nei confronti dell’ente, di particolare significazione premiale, sia nei confronti della persona fisica. Sanzioni per i writers: gli articoli che vanno dal 7 al 10 si occupano di un fenomeno considerato "di illegalità diffusa, che incide sia sulla vivibilità dei centri urbani, sia sulle condizioni minime di cura del territorio". Viene, infatti, preso in considerazione il fenomeno dei cosiddetti writers o graffitari, che trovano una specifica sanzione, anche di carattere penale, prevedendo la necessità che la sospensione condizionale sia condizionata al ripristino della situazione quo ante e, quindi, al venir meno dei danni che sono stati creati con quelle condotte. Accattonaggio minori: l’articolo 11 ribadisce, invece, la responsabilità del correo maggiorenne con i minorenni, mentre l’articolo 12 fornisce nuovi poteri ai sindaci e ai prefetti. L’articolo 600-octies del codice penale, introdotto all’articolo 13, che prevede il delitto di impiego di minori nell’accattonaggio. Aggravanti per rapine: il Ddl introduce nuove circostanze aggravanti del delitto di rapina soprattutto per quelle che avvengono in case, in abitazioni, in ville. In queste situazioni la pena si deve ritenere aggravata ma soprattutto non bilanciabile, nel senso che non si potrà usufruire di quel giudizio di bilanciamento che spesso consente di elidere le conseguenze particolarmente incisive di queste condotte. Altra aggravanti per il delitto di truffa è prevista per il sequestro di persona ai danni di un minore. Con l’articolo 19 viene modificata, con aggravanti, la disciplina del porto illegale di armi. Sequestro preventivo: il Ddl contiene norme sul sequestro preventivo, mentre l’articolo 34 disciplina la possibilità che vi sia un’esclusione della partecipazione a gare di appalto, forniture e servizi, affidamento, concessioni e sub-appalto per quei soggetti resisi imputati (cioè con almeno una richiesta di rinvio a giudizio) di reati di turbamento dell’attività di indagine afferente ad estorsioni o, comunque, a reati che coartano ai fini di ingiusto profitto la volontà del committente. Giustizia: sul ddl per la sicurezza il "fuoco amico" di Gasparri di Francesco Scommi
Aprile on-line, 30 giugno 2009
Il capogruppo del Pdl a Palazzo Madama, in vista dell’approvazione definitiva da parte del Senato del ddl sicurezza, canta vittoria: "La considero anche una vittoria personale". Ma attacca il Guardasigilli Alfano: "Siamo in ritardo con il piano carceri e serve una guida migliore al Dipartimento amministrazione penitenziaria". Il Pd lo mette in guardia: "Gasparri non esulti, servirebbero più risorse per le forze dell’ordine". "Entro quarantotto ore l’immigrazione clandestina diventerà reato. È un obiettivo che abbiamo indicato come prioritario da tempo. E considero l’imminente voto del Senato anche una vittoria personale". Non ha dubbi Maurizio Gasparri, capogruppo del Popolo della libertà al Senato, sull’ approvazione in tempi brevissimi, al più tardi nella giornata di mercoledì, del disegno di legge sicurezza che approda nell’ Aula di Palazzo Madama domani pomeriggio, in terza lettura. Gasparri ricorda di "aver sostenuto nel passato, con An unanime la tesi del reato di clandestinità, di averla sostenuta nel Pdl e nel programma di governo". "Le nuove norme sulla sicurezza - sottolinea Gasparri chiamando in causa un altro punto del provvedimento - sono fondamentali e rappresentano il rispetto del patto con gli elettori. Renderemo più severe le norme sul carcere duro dei mafiosi, evitando decisioni assurde di magistrati perdonisti. C’è da augurarsi che di fronte a queste norme il ministero della Giustizia e il Dipartimento amministrazione penitenziaria siano all’altezza del compito". Sembra un’insinuazione, che difatti è confermata dalla chiusura di Gasparri, un nemmeno troppo velato attacco al ministro della Giustizia Angelino Alfano: "Purtroppo le giuste proteste della polizia penitenziaria confermano che siamo in ritardo sul piano carceri e che serve una guida migliore al Dap". Quella del ddl sicurezza è forse la vera spina del fianco del governo: su questo provvedimento - che assieme al decreto parallelo porta il forte timbro leghista - si sono manifestate più volti i malumori interni al perimetro del maggioranza. È diventata, la sicurezza, la valvola di sfogo dei dissapori che covano nella coalizione di governo. Di settori "meridionalisti", e di Alleanza nazionale, nei confronti della Lega nord. L’ultimo caso, clamoroso, fu la bocciatura della norma voluta dal ministro dell’Interno Roberto Maroni dell’allungamento della permanenza nei Cie dei clandestini. Si recuperò con un altro passaggio, ma l’incidente di percorso fu significativo. Non l’ha dimenticato Felice Casson, capogruppo del Partito democratico in Commissione giustizia al Senato: "È passato oltre un anno dall’inizio della legislatura e il Governo e la maggioranza hanno cambiato ripetutamente idea, modificando già molte volte il testo di legge ora all’esame del Senato sia in materia di immigrazione che di ronde. Su questi punti il governo, nell’Aula di Palazzo Madama, è già andato sotto tre volte nei mesi scorsi. Prima di cantare vittoria, ritenendo risolto il problema della sicurezza, bisognerebbe innanzitutto investire finanziariamente per dare adeguati mezzi alle Forze dell’ordine per svolgere al meglio il proprio lavoro". Proprio su quest’ultimo il Pd ha battuto molto negli ultimi mesi contestando - al fianco dei sindacati delle forze dell’ordine - la studiata schizofrenia governativa: da un lato proclami e norme manifesto sulla sicurezza (come il reato di immigrazione clandestina, le ronde, i soldati nelle città), dall’altro, ingenti tagli di risorse in Finanziaria. Giustizia: per il G8 Italia spende di più che per lotta alla povertà
www.unimondo.org, 30 giugno 2009
"Incredibile, ma vero. Il G8 costa più dell’intero bilancio che l’Italia dedica alla lotta alla povertà. 400 milioni di euro contro i miseri 321,8 milioni stanziati quest’anno dal Governo italiano per lottare contro la morte per fame e la miseria nel mondo". Lo denuncia Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace, che commenta: "Una vergogna che getta un’ombra inquietante sul vertice che si sta per aprire a L’Aquila". Come ripetutamente hanno denunciato numerose Ong, la Finanziaria di Tremonti per il 2009 ha ridotto a poco più di 320 milioni di euro le risorse stanziate dal Governo per gli Aiuti Pubblici allo Sviluppo (Aps) destinati alla lotta alla povertà nei Paesi più poveri del Sud del mondo, facendo dell’Italia il fanalino di coda dei cosiddetti "Paesi sviluppati" per stanziamenti alla cooperazione tanto che già dallo scorso anno Ong e organismi internazionali hanno ripetutamente chiesto al Governo italiano di allinearsi agli standard richiesti. "Nonostante il fumo mediatico che è stato innalzato attorno a questo evento, lo scandalo non può essere cancellato" - prosegue Lotti. "Quest’anno ci sono cento milioni di persone in più che muoiono di fame e il nostro Governo butta 400 milioni di euro o forse più per organizzare un vertice. Salvo poi dire che la crisi gli impedisce di mantenere gli impegni internazionali contro la povertà. O, peggio ancora, fare, come accadrà all’Aquila, nuovi annunci e distribuire nuove promesse. Tutto questo è intollerabile" - afferma Lotti. "È noto che i problemi dell’umanità non si risolvono con i vertici. Ma con un lavoro quotidiano sistematico e coerente in istituzioni internazionali democratiche ed efficienti. E tuttavia, se davvero fosse necessario riunire gli otto paesi più industrializzati, si potrebbe fare, senza troppi costi aggiuntivi, in una delle tante sedi istituzionali esistenti nel mondo. Il problema è ancora più serio, perché in un mondo che cambia rapidamente, la formula (G8) è ormai palesemente obsoleta. Tant’é che dal G8 si sta rapidamente passando al G20 e ogni anno gli organizzatori di turno sono costretti ad allungare la lista degli invitati". "Per questo - continua il coordinatore della Tavola della Pace - al primo punto dell’Agenda del G8 dell’Aquila ci dovrebbe essere un obiettivo ragionevole: abolire queste costosissime parate annuali inconcludenti e investire sulle istituzioni internazionali (democratiche o da democratizzare) come l’Onu che possono davvero fare la differenza. In attesa che il sogno si avveri, la Tavola della Pace ricorda che: 1. i "grandi" che s’incontreranno in Italia detengono potere, risorse e mezzi in grado di determinare, nel bene e nel male, le condizioni di vita e il futuro di tanta parte dell’umanità. Su di loro pesa come un macigno la responsabilità di aver fatto tante promesse e di non averle ancora mantenute. Non basterà una foto sulle macerie del terremoto per liberarsene; 2. nei prossimi giorni, all’Aquila, si consumerà una grande messa in scena mediatica sulla pelle dei terremotati che forse riceveranno in dono il restauro di qualche monumento, ma non quello che più desiderano: una ricostruzione certa e condivisa. Se dopo il terremoto, Berlusconi avesse annullato il G8 e versato la somma risparmiata agli sfollati dell’Abruzzo i benefici sarebbero stati più grandi ed efficaci; 3. nessuno conosce davvero i conti di questo G8. Bertolaso ha detto che sono stati impegnati 500 milioni di euro. Poi si è parlato di risparmi ma la confusione delle cifre è totale. Una gran parte è stata spesa in Sardegna. Qualche decina di milioni sono stati spesi per le riunioni preparatorie. Altri sono stati spesi all’Aquila per accogliere e proteggere i leader mondiali. Altri ancora ne verranno spesi in questi giorni. Possibile che nel nostro paese non si possa sapere realmente quanto ci è costato questo G8? Da dove sono stati presi i fondi? A quali altre attività sono stati sottratti? Il Parlamento dovrebbe esigere un bilancio completo e dettagliato. Indovinate un po’ chi pagherà il conto?" - conclude Lotti. Già all’indomani del terremoto in Abruzzo, la Tavola della Pace aveva chiesto di annullare il G8 in Italia, ricordando che "il G8 ha mai deciso qualcosa di realmente importante". "L’unica cosa che produce è un comunicato finale, una foto ricordo e una montagna di promesse che, regolarmente, non vengono mantenute". Giustizia: caso Madoff; 150 anni di carcere a "re" di Wall Street di Arturo Zampaglione
La Repubblica, 30 giugno 2009
"Spero che la sua cella si trasformi in una bara", gli dice Michael Schwartz, chiamato assieme ad altre vittime della supertruffa a parlare nell’aula del tribunale di Pearl Street, a Manhattan, poco prima della sentenza. E il macabro augurio sarà esaudito: tra gli applausi del pubblico, Bernard Madoff viene condannato dal giudice distrettuale Denny Chin a 150 anni di carcere, cioè il massimo della pena prevista. Il più grande truffatore della storia di Wall Street morirà dunque in una prigione federale. Una sentenza "assurda"? Una "vendetta", come ha cercato di insinuare l’avvocato difensore di Madoff, Ira Sorkin, che chiedeva invece solo 12 anni di carcere? No, ha risposto il giudice Chin, ricordando non solo che l’imbroglio - per durata, dimensioni "sbalorditive" e carattere "diabolico" - meritava una pena esemplare, ma anche il comportamento ambiguo del finanziere: che non avrebbe collaborato sufficientemente all’identificazione dei complici e al recupero di decine di miliardi di dollari dispersi. Un "messaggio forte e chiaro a tutti coloro che investono soldi per conto di altri" ha commentato il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs. Per almeno 15 anni, e addirittura di più a sentire gli inquirenti, Madoff ha gestito la sua finanziaria come una catena di Sant’Antonio. Prometteva, a chi gli affidava i risparmi - e tra questi pensionati, associazioni ebraiche e lo stesso premio Nobel Elie Wiesel - tassi sicuri ed elevati (circa il 10% all’anno). In realtà si serviva segretamente dei soldi ricevuti dagli ultimi clienti per pagare gli interessi e perpetuare una "catena" che gli permetteva di vivere lussuosamente tra ville, barche e gioielli. Emersa a dicembre al momento del suo arresto, la maxi-truffa da 65 miliardi di dollari ha colto di sorpresa Wall Street, dove Madoff, che ha 71 anni, era molto rispettato, anche per essere stato presidente del Nasdaq. I tempi giudiziari sono stati molto veloci. A marzo "Bernie", come lo chiamano i pochi amici rimastigli, ha ammesso le sue colpe in undici reati. Ha poi rinunciato a ogni pretesa su 171 miliardi di dollari che sarebbero transitati attraverso la sua società. Nelle prossime settimane saranno venduti all’asta i suoi immobili, tra cui un appartamento da 7 milioni di dollari su Park avenue e una villa a Palm Beach. Anche la moglie Ruth ha restituito 80 milioni in buoni del Tesoro e dovrà vivere d’ora in poi con soli 2,5 milioni di dollari. Seduto in prima fila, nel suo completo grigio-fumo e cravatta, Madoff ha ascoltato le parole rabbiose di una decina di vittime che avevano perso tutto: i soldi per la vecchiaia, per curare parenti disabili, per gli studi universitari. Poi Madoff, guardando in faccia i suoi accusatori, ha chiesto scusa. "Mi dispiace - ha detto - per il dolore e le sofferenze che vi ho procurato". Il mea culpa non ha commosso né il giudice Chin, né tanto meno le vittime: le quali, mentre Madoff veniva riportato nel carcere di New York, in attesa di conoscere in quale penitenziario federale finirà i suoi giorni, hanno continuato fuori dal tribunale, a ringhiare contro il truffatore. Sperano di ricevere una parte delle somme recuperate dagli inquirenti: per ora solo 1,2 miliardi di dollari. Giustizia: ma in Italia i criminali finanziari restano tutti impuniti di Carlo Federico Grosso
La Stampa, 30 giugno 2009
Bernard Madoff, il finanziere americano accusato di avere frodato i suoi clienti per un totale di oltre sessantacinque miliardi di dollari con una sorta di colossale catena di sant’Antonio, è stato condannato da un tribunale di New York a 150 anni di galera. Una condanna indubbiamente esemplare, che segue ad altre condanne altrettanto esemplari pronunciate negli anni scorsi dalla giustizia americana nei confronti di altri finanzieri malfattori (si pensi, per tutti, al caso Enron). Al di là della entità della pena irrogata, colpisce d’altronde la rapidità del giudizio: Madoff era stato arrestato nel dicembre scorso, non appena erano emerse le sue malefatte. In poco più di sei mesi si è arrivati alla sua condanna penale. Anche sotto questo profilo la sentenza americana costituisce un esempio di incisività ed efficienza. Si potrà discutere se la decisione, a fronte del comportamento processuale dell’imputato, che aveva confessato di avere commesso tutti i delitti dei quali era stato accusato (ben undici imputazioni), ed almeno apparentemente aveva mostrato contrizione ed aveva cercato di collaborare con il giudice chiamato a giudicarlo, sia stata giusta od eccessivamente pesante. Un dato è comunque indiscutibile: che una volta di più la giustizia americana ha dimostrato di non avere difficoltà a colpire con rapidità e durezza chi, chiamato ad operare in una economia di mercato nel rispetto delle regole, tali regole ha violato e calpestato con l’obbiettivo dell’arricchimento selvaggio a danno dei cittadini truffati. Anche in Italia si sono verificati, in questi ultimi anni, scandali finanziari di grandissima entità: Parmalat, Cirio, bond argentini, per citare soltanto i casi più eclatanti. Anche in Italia, come negli Stati Uniti, si sono aperti processi penali. Quanta differenza, tuttavia, nelle giustizie dei due Paesi. Mentre i giudici americani hanno, bene o male, fatto giustizia, e sono riusciti a farla in tempi rapidissimi, i giudici italiani, per fatti ormai risalenti a cinque o sei anni fa, stanno ancora rincorrendo gli imputati in processi lenti, complessi e faticosi, destinati, in larga misura, ad estinguersi per stanchezza e prescrizione. Si consideri, per tutte, la vicenda Parmalat. Gli autori della colossale truffa e ruberia a danno di azionisti e risparmiatori sono stati incriminati da ben due procure della Repubblica, da quella di Milano, che ha proceduto per i delitti di aggiotaggio, e da quella di Parma, che ha proceduto a sua volta per le bancarotte. Data la difficoltà di gestire, per la loro complessità, le vicende processuali, la tratta milanese si è sfrangiata a sua volta in due processi distinti, quella parmense in una decina di filoni separati. Di tutti questi processi, uno soltanto è giunto, fino ad ora, alla sentenza di primo grado: il primo processo per aggiotaggio contro Tanzi (e altri) celebrato davanti alla prima sezione del Tribunale di Milano, nel quale la maggior parte dei responsabili è riuscita a patteggiare con la Procura pene irrisorie, mentre il solo Tanzi, alla fine del dibattimento, è stato condannato ad una pena di dieci anni di reclusione. Un risultato deludente. Tanto più deludente se si considera che, dati i tempi dei giudizi di appello e di cassazione, è ragionevole pensare che i delitti contestati risulteranno in ogni caso prescritti prima della sentenza definitiva. Se si valuta che negli Stati Uniti Madoff, raggiunto, come era naturale, da custodia cautelare, ha affrontato il processo agli arresti domiciliari, e si appresta a passare in carcere quanto gli rimane da vivere, mentre in Italia, dopo una breve custodia, lo stesso Tanzi è stato subito scarcerato ed eviterà sicuramente il carcere quand’anche taluna delle pene alle quali fosse definitivamente condannato non dovesse risultare prescritta, la differenza fra la giustizia americana e quella italiana appare, anche sotto questo profilo, enorme. Le vicende parallele della giustizia americana e di quella italiana in materia di criminalità economica dovrebbero pertanto indurre a riflettere chi ha responsabilità di governo: non è tollerabile che in Italia criminali economici e colletti bianchi, sotto la copertura di una giustizia penale complessivamente malfunzionante, siano, comunque sostanzialmente certi della loro impunità, qualunque delitto abbiano commesso. Non a caso il giudice americano che ha condannato Madoff, a commento della sua decisione, ha dichiarato che le sentenze, al di là delle conseguenze che cagionano al condannato, hanno un importante "valore simbolico", in quanto costituiscono un "monito importante" per quanti vorrebbero allo stesso modo delinquere. È ciò che noi chiamiamo "efficacia preventiva" della pena, un principio mai così negletto come di questi tempi. Giustizia: il processo a Madoff con velocità impensabile in Italia di Ettore Livini
La Repubblica, 30 giugno 2009
Il confronto è impietoso: a sei mesi dalla scoperta del "buco" da 65 miliardi nei suoi fondi, una corte americana ha già emesso una sentenza contro Bernard Madoff. A sei anni dalla bancarotta di Parmalat e Cirio, invece, i 150mila risparmiatori italiani coinvolti nei due crac tricolori sono ancora in attesa di uno straccio di verdetto che dica chi sono responsabili del crac. Con poche speranze di averlo in tempi brevi. Il processo sul fallimento di Collecchio sta muovendo in questi mesi i suoi primi timidi passi a Parma. Calisto Tanzi, l’ex numero uno del gruppo, è stato già condannato a 10 anni in primo grado a Milano. Ma "solo" per il reato di aggiotaggio e ostacolo alla Consob. E in ogni caso avendo più di 70 anni di età (è del 1938, come Madoff) non farà più un giorno in cella dopo i tre mesi di carcerazione preventiva del 2004. Al ralenti si muove pure il procedimento contro Sergio Cragnotti, Cesare Geronzi e i 32 banchieri e manager rinviati a giudizio per il caso Cirio. I giudici di Roma hanno appena finito di sbrogliare le prime procedure burocratiche. E solo dal 6 luglio, a sette anni dal crac, il dibattimento entrerà nel vivo. In attesa di sentenze che - comunque vada - saranno annacquate da prescrizioni, depenalizzazioni di reati societari, indulto e Cirielli. La giustizia, in Italia, può attendere. E non è un caso. La reazione del sistema paese agli scandali di inizio millennio è stata molto diversa al di qua e al di là dell’Atlantico. Dopo i casi Enron, Worldcom e Tyco tra il 2002 e il 2003, gli anticorpi a stelle e strisce hanno partorito una durissima legge, la Sarbanes-Oxley, per inasprire le pene per gli illeciti societari. E i risparmiatori statunitensi hanno avuto perlomeno la magra soddisfazione di veder puniti subito i responsabili: Jeffrey Skilling - ex presidente della Enron - è dal 2006 nel carcere di Littleton, Colorado, dove sconterà una pena di 24 anni. Bernie Ebbers (Worldcom) è stato condannato a 25 anni. L’iter giudiziario di Parmalat e Cirio è invece ancora in alto mare. I due scandali di casa nostra sono scoppiati in un paese fresco di depenalizzazione del falso in bilancio. E non sono bastati a scuotere la politica sul fronte dei reati societari: la Sarbanes-Oxley all’italiana si è tradotta in una riforma del risparmio all’acqua di rose, depotenziata dal rosario di provvedimenti (ultimo quello sulle intercettazioni) che hanno spuntato le armi della giustizia tricolore. "Solo la Cirielli ha derubato di sette anni di processo gli obbligazionisti Parmalat", ha sottolineato Francesco Greco, pm del processo milanese su Collecchio. La Procura di Parma ha "spezzato" la ricostruzione del buco dei Tanzi in un processo a diversi tronconi. C’è quello principale sulla bancarotta (iniziato, sentenza prevista a inizio 2010). In fase dibattimentale sono i filoni Ciappazzi, Parmatour e Citigroup mentre quelli che coinvolgono le banche estere sono o approdati al rinvio a giudizio (a cinque anni dal crac) o alla chiusura indagini. Il caso Eurolat - a cavallo tra Collecchio e il crac di Cragnotti - potrebbe venir invece incardinato nel processo Cirio. Il dossier del fallimento dell’ex patron della Lazio - che risale a fine 2002 - ha ripreso a muoversi solo da qualche mese, dopo anni di paralisi. Tra una settimana la deposizione dei commissari dovrebbe far decollare, si fa per dire, l’accertamento della verità. L’America è molto lontana. Roma: giornali e laboratori informatici, l’altra vita di Rebibbia di Giorgia Gazzetti
Roma Sette, 30 giugno 2009
Le redazioni di due periodici, i corsi di informatica e tante altre attività per i detenuti del carcere romano: per iniziare a riconciliarsi con il mondo esterno e prepararsi al reinserimento. On-line, cartacei, femminili, maschili, italiani, stranieri, informativi, provocatori: sono queste alcune delle caratteristiche dei circa 70 giornali dal e sul carcere presenti sul territorio nazionale. Spesso i loro titoli sono curiosi e allusivi come "Carte Bollate", "Altre Prospettive", "Ristretti Orizzonti", "Altrove", "Sosta Forzata". Come emerge dal Rapporto Italia 2009 realizzato dall’Eurispes - Istituto di Studi politici economici e sociali, ogni giornale si caratterizza per una storia e una fisionomia particolare, ma tutti ospitano notizie e inchieste per dare voce a chi è recluso. E per far conoscere la vita in carcere di chi, detenuto, sta espiando la propria pena per avere una seconda possibilità e riconciliarsi con la società esterna. "Nonsolochiacchiere" dell’associazione di volontariato Il Gruppo Libero e "Roma dentro" dell’Associazione Ora d’Aria - spiega Francesco Morelli, responsabile del Centro Studi di Ristretti Orizzonti - sono i due periodici romani nati, rispettivamente, nella sezione di Alta Sicurezza della Casa di Reclusione di Rebibbia nel 1999 e nella Casa Circondariale Nuovo Complesso Rebibbia nel 2007. Quest’ultimo si avvale, inoltre, della collaborazione di 5 detenute della Casa Circondariale Femminile di Rebibbia e di alcuni detenuti dell’istituto Regina Coeli". Ma quali sono gli argomenti trattati? "Le tematiche affrontate - rispondono il direttore di "Roma dentro", Carmen Bertolazzi, e di "Nonsolochiacchiere", Giancarlo Trovato - riguardano la vita dentro e fuori il carcere, il punto di vista di chi il mondo lo vede attraverso le sbarre e sente il bisogno di esprimere la propria opinione, di dimostrare a se stesso e agli altri che esiste, che pensa, che è in grado di raccontare la realtà in cui è relegato". Insomma, lo scopo di ogni giornale che nasce all’interno di una realtà carceraria è quello di costruire un ponte di linguaggi e di esperienze comuni tra chi è dentro e chi è fuori, dando voce a tutti coloro che, tra detenuti e volontari, hanno il merito, in un modo tutto particolare, di portare fuori dal pianeta carcere storie, vite, racconti, esperienze, problemi e persone. "Nonsolochiacchiere", finanziato dalla sottoscrizione dei soci dell’associazione Il Gruppo Libero - racconta il direttore - è un bimestrale con una tiratura variabile dalle 10 alle 20mila copie e si rivolge ad un pubblico di lettori formato da detenuti, addetti ai lavori, politici e pubblico esterno, a cui il periodico viene distribuito gratuitamente in tutto il Lazio". Invece, ""Roma dentro" - spiega la Bertolazzi - ha una tiratura media di 2mila copie grazie ai finanziamenti del Comune di Roma, V Dipartimento. Il giornale, rivolto alla popolazione detenuta e diffuso tra chi opera nel settore, ha il pregio di raccontare il mondo del carcere attraverso le sbarre affrontando tutte quelle tematiche utili a restituire una dignità a chi l’ha persa". Certo le cifre non sono esaltanti: infatti, sono solo due i giornali dal e sul carcere presenti a Roma e davvero esiguo è il numero di detenuti-redattori che collabora alla realizzazione dei due periodici. Ma è pur vero che tutte le attività che nascono all’interno degli ambienti carcerari rappresentano, per la popolazione detenuta, la possibilità di una seconda rinascita, uno strumento di riscatto per sentirsi utili, vivi e meno emarginati. Lo sottolinea anche don Sandro Spriano, uno dei fondatori dell’associazione Volontari in carcere. "Vic nasce nel 1994 grazie ad un gruppo di volontari della Caritas diocesana di Roma per favorire il reinserimento sociale delle persone detenute. Per tale ragione - prosegue don Spiano - abbiamo inventato e costruito progetti organici e continuativi di sostegno alla persona che espia la pena, sensibilizzando l’ambiente esterno, favorendo la cultura dell’accoglienza e promuovendo attività legislative finalizzate alla salvaguardia dei diritti e della dignità dei detenuti". Tra le attività svolte dai circa 100 volontari operanti nelle quattro strutture di Rebibbia, fiore all’occhiello dell’associazione sono "il centro d’ascolto per i detenuti, il laboratorio di informatica che rilascia la patente europea del computer (Ecdl) e tutte quelle iniziative di carattere informatico, edilizio, di ristorazione, di editing audio e video e di archiviazione dati organizzate all’interno del progetto della Cooperativa E-Team". Tanti modi diversi, insomma, dai giornali ai laboratori in carcere, per favorire il reinserimento nel mondo del lavoro dei reclusi durante e dopo l’espiazione della pena. Parma: per i detenuti, laboratori musica, pittura e giornalismo di Marco Severo
La Repubblica, 30 giugno 2009
Quelli del "Fine-pena-mai" applaudono e sghignazzano come studenti in gita. Stanno seduti sul lato sinistro del salone, divisi dai "Giudicabili" e dai "Breve termine". Se la spassano per un’ora buona, nel teatro dell’istituto penitenziario di Parma. Dalle 13 alle 14,15 è ricreazione in via Burla. Con tre giorni di ritardo sulla data ufficiale, si celebra la Giornata mondiale per la lotta alla droga. Nella platea-bunker si sono raccolti per questo una sessantina di detenuti, molti con condanne legate a storie di spaccio e tossicodipendenza. Con loro anche medici, personale del Sert, operatori sociali. L’occasione è di quelle rare, specie per un carcere di massima sicurezza come quello parmigiano: dopo un anno di preparazione, è ora di presentare al pubblico il lavoro svolto con l’Ausl su musica, pittura e giornalismo. Sul palco allora si recita, si canta, si proiettano le slides dei disegni realizzati in cella. Sulle seggiole del teatro ci sono invece le copie di "Punto e a capo", il giornalino neonato in via Burla. "Si tratta di tre laboratori - spiega la vicedirettrice del penitenziario, Lucia Monastero - inseriti in un percorso terapeutico e pensati per offrire ai detenuti un’opportunità di riflessione e per progettare consapevolmente il futuro". Anche chi è condannato a vedere il cielo a scacchi ha qualcosa da dire: "Ogni giorno è lo stesso, lo passiamo combattendo qui noi siamo liberi, liberi dentro" ritma per esempio Andrea, autore di un rap sulla condizione di vita dietro alle sbarre. C’è disillusione, rabbia ma anche un filo di ottimismo nascosto tra i suoi versi: "Cerco ma non trovo la speranza - canta al microfono - che un giorno fuori mi dia l’indipendenza, l’indipendenza da questo sistema che dopo uno sbaglio in una cella ti incatena". Applauso, ovazione. Andrea, un tatuaggio tribale sul braccio destro e scarpe Nike appena spacchettate, s’inchina e ringrazia. Con lui sul palco altri suoi compagni. In braccio hanno tamburi africani, triangoli, strumenti etnici. Partono con una rivisitazione della "Cavalcata delle valchirie", finiscono con Jovanotti e la sua struggente - se cantata in questo teatro-gabbia - "Io lo so che non sono solo". Ancora un battimano mentre, sul tendone che si chiude, un raggio di sole beffardo disegna l’ombra delle sbarre finora nascoste dal telo rosso. "Abbiamo scelto la musicoterapica - dice in quel momento Antonietta Mazzeo, insegnante e operatrice in carcere - per migliorare la qualità della vita attraverso l’utilizzo dell’espressione non verbale". E pare che i risultati ci siano stati: "Un giorno - racconta Licia Caroselli, operatrice del Sert che proprio oggi, dopo 12 anni di carriera, lascia l’attività nei penitenziari - un detenuto mi ha detto ‘ caspita, ho scoperto che oltre alle rapine so anche fare bene il percussionista". Sembrano scemenze. Ma non lo sono. "Imparare a fare cose nuove - dice Rocco Caccavari, ex deputato ed esperto di tossicodipendenze - serve prima di tutto a liberare la mente". A volare e a sfondare muri con l’immaginazione. Così hanno fatto i detenuti impegnati nel laboratorio di pittura "trompe l’oeil": insieme ai loro insegnanti hanno realizzato disegni di prospettiva sulle pareti dei corridoi che portano alle celle, aprendo varchi di fantasia verso il mondo di fuori. Idem per i redattori di "Punto e a capo", il giornalino appena nato in via Burla. Facile intuire il perché del nome: "Perché - si legge nell’editoriale di presentazione - ogni volta che si esce dal carcere dobbiamo iniziare tutto daccapo: sistemare questioni sospese, fare pace con le persone che amiamo, creare nuovi legami. E poi perché vogliamo mettere un punto tra noi e il nostro passato". C’è persino una notizia sul periodico: "Giorni fa - dice un articolo - un agente di custodia e un detenuto si sono picchiati. Il primo è finito in ospedale, il secondo è stato trasferito". Il problema, però, sono ora i soldi. "Non abbiamo i fondi per portare avanti il giornalino, di cui abbiamo appena realizzato il numero zero" lamentano gli stessi detenuti. Dal palco intanto parte l’ultima canzone, "Aicha". Il pubblico ritma i versi col battimano. Anche le guardie carcerarie, impassibili tutto intorno, accennano un sorriso. Poi via, tutti di nuovo dentro ben in fila. Prima i "Breve termine" e poi i "Fine-pena-mai". Trieste: Oltre il Muro; al via proiezione documentari in carcere di Federica Gregori
Il Piccolo, 30 giugno 2009
L’avevano annunciato, che sarebbe stata un’edizione volta a varcare confini, geografici ma non solo. E da questa mattina Maremetraggio andrà "Oltre il Muro" , titolo della rassegna di documentari che, da oggi a giovedì, saranno proiettati alle 10 al Maremetraggio Village di piazza Sant’Antonio e, in contemporanea, alla Casa Circondariale di Trieste dove un nutrito gruppo di ospiti della struttura li valuterà quotidianamente. "Volevamo portare il cinema anche all’interno delle carceri - spiega la direttrice del festival Chiara Omero - e, grazie alla collaborazione del direttore Enrico Sbriglia, siamo riuscite a realizzare il progetto: ogni mattina i detenuti che hanno dato la loro adesione visioneranno una serie di sette documentari e, coordinati dal regista Giovanni Piperno, sceglieranno l’opera migliore giovedì alle 17, in una premiazione aperta al pubblico e alla presenza dei registi". Per chi sia interessato ad assistervi occorre inviare il proprio nominativo via mail a info@maremetraggio.com o chiamare lo 0403/224428. A inaugurare il ciclo di sette film "Solo Amore" di Volfango De Biasi. "Recupereremo - segnala ancora la Omero - due titoli particolarmente importanti della "prospettiva" su Alba Rohrwacher, saltati a causa delle avverse condizioni atmosferiche: il pubblico avrà occasione di vedere "Mio fratello è figlio unico" lunedì 6 luglio, mentre il giorno seguente sarà proposto "Il papà di Giovanna", sempre al Giardino Pubblico alle 21.30". Continuano, sul versante corti, le proiezioni, introdotte dalle presentazioni di Giovanni Ianesich e momentaneamente trasferite al Miela in attesa che il meteo si stabilizzi. Tra le migliori opere sinora, il lisergico "Bicycle Trip" , che gioca sapientemente con gli effetti dell’Lsd, mentre l’ipercelebrato "Oktapodi", che ha mancato l’Oscar 2009 per i corti d’animazione, mette in scena un’irresistibile storia d’amore tra due polipi inseparabili. Originariamente in 3D, il film è un saggio di studenti dalla prestigiosa scuola di animazione francese Gobelins. Film di diploma, stavolta del Centro Sperimentale di Cinematografia, è anche "Il Naturalista" , realizzato in animazione classica 2D, compositing, riprese dal vero e stop motion mentre è deludente "Treni strettamente riservati" , targato Fandango, irritante nel suo finale intriso di retorica. La crisi economica globale emerge sotto l’ironia del tedesco "BankenKrise" e dell’italiano "Men at Work": due "uomini al lavoro" che, sentendosi via telefono, si fanno vedere reciprocamente in carriera fingendosi impegnatissimi, uno sfinito tra una riunione e un briefing, l’altro in attesa dell’aereo. Ma il primo ha perso il posto ed è a casa sotto le coperte, l’altro non è al gate ma in macchina, dove ormai è costretto a vivere. Entrambi disperati, entrambi alla deriva, uniti in una grottesca quanto tragica finzione. Droghe: in Italia 385 mila tossicodipendenti; solo metà è in cura
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Relazione annuale al Parlamento. I Sert raggiungono il 45% dei "soggetti eleggibili a trattamento". Indagine Espad: per cocaina e cannabis consumi sopra le medie europee: ha fumato spinelli il 32% dei giovani tra 15 e 19 anni. Sono circa 385 mila i tossicodipendenti stimati in Italia, pari ad un tasso di 9,8 soggetti su mille residenti, nella fascia di età compresa tra i 15 e i 64 anni. I soggetti in carico ai Ser.T. con bisogno di trattamento per uso di oppiacei e cocaina sono invece 174.000. Sono questi i dati principali che fotografano la dimensione del fenomeno droga emersi dalla annuale Relazione al Parlamento sullo stato delle Tossicodipendenze, presentata questa mattina dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega alle politiche della prevenzione della Droga Carlo Giovanardi e dal direttore del Dipartimento politiche antidroga Giovanni Serpelloni. Dall’indagine, eseguita elaborando i dati stimati sulla base delle informazioni fornite dai Ser.T, si comprende come "nel corso del 2008 le persone trattate presso i Servizi per le tossicodipendenze costituiscono una percentuale inferiore al 45% rispetto al contingente di utilizzatori con bisogno di cure". Secondo i dati che emergono dalla relazione quindi "i soggetti eleggibili al trattamento per l’uso di oppiacei o cocaina sono circa 385.000. Di questi i consumatori di oppiacei con bisogno di trattamento si stimano attorno a 210.000 persone a fronte di circa 123.800 in trattamento, corrispondenti a circa il 59% del totale delle persone che avrebbero bisogno di trattamento". Il consumo problematico di cocaina è invece stimato "in circa 172.000 persone a fronte di circa 27.900 soggetti in trattamento, pari al 16,2%". Secondo l’indagine a campione condotta dal Cnr-Ifc e da Espad Italia eseguita nel biennio 2007-2008 invece si rileva che le percentuali di persone che nella popolazione generale (15-64 anni) hanno dichiarato di aver usato almeno una volta nella vita stupefacenti sono risultate rispettivamente di 1,6% per l’eroina, 7% per la cocaina e di 32% per la cannabis. La fascia di età compresa tra i 15 e i 19 anni ha provato almeno una volta l’eroina nel 2,1% dei casi, la cocaina nel 5,9% dei casi e la cannabis nel 31,5%. Dall’indagine Cnr-Ifc e Espad Italia emerge anche che lo 0,72% della popolazione esaminata ha usato cocaina negli ultimi 30 giorni e questo, secondo la relazione, "connota un più alto consumo nella popolazione generale rispetto alla media europea". L’uso di cocaina nel genere femminile inoltre è risultato più alto rispetto all’uso di eroina. La valutazione dell’andamento temporale nella ricerca ha mostrato un trend dei consumi in aumento dal 2001; la maggior prevalenza tra i soggetti consumatori di cocaina si riscontra nella fascia d’età 15-34 anni, l’uso di tale stupefacente è prevalentemente occasionale. Boom invece per l’uso della cannabis, il cui consumo nella popolazione generale risulta più alto rispetto alla media europea (come per la cocaina): se il 32% della popolazione ha usato cannabis almeno una volta nella vita il 6,9% l’ha utilizzata negli ultimi 30 giorni e l’1,34% la usa frequentemente. Come per la cocaina anche la cannabis, in una valutazione dell’andamento temporale dimostra un trend in aumento. La maggior prevalenza tra i soggetti consumatori di cannabis si riscontra nella fascia d’età 15-24 anni, evidenziando l’uso "giovane" di tale stupefacente. Da segnalare la forte presenza del genere femminile e una doppia valenza nell’uso: accanto al consumo occasionale c’è anche una forte presenza di uso frequente. Basso invece il consumo di stimolanti e allucinogeni: secondo i dati dell’indagine Cnr-Ifc e Espad Italia e lo 0,24% ha utilizzato stimolanti negli ultimi 30 giorni mentre lo 0,04% della popolazione li utilizza frequentemente, dimostrando, nel consumo italiano, dati più bassi rispetto alla media europea. Parametri molto simili anche per gli allucinogeni: secondo il rapporto sulle tossicodipendenze lo 0,18% della popolazione ha usato allucinogeni negli ultimi 30 giorni e lo 0,04% li usa frequentemente. Droghe: Giovanardi; vincolare parte spesa sanitaria per i Ser.T.
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
L’annuncio del sottosegretario: "In tempi brevi la presentazione di una proposta di legge. Così eviteremo che ci siano zone del territorio con buoni investimenti e altre totalmente abbandonate". Vincolare una parte della spesa sanitaria delle regioni al miglioramento dei servizi che operano nel campo della lotta alle tossicodipendenze. È la proposta che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi ha dato mandato di elaborare per poter giungere - in tempi brevi - alla presentazione di una proposta di legge in materia. L’idea, espressa durante la conferenza stampa di presentazione del Rapporto annuale sullo stato delle tossicodipendenze, mira a stabilire che fra l’1% e l’1,5% della spesa sanitaria regionale debba essere spesa obbligatoriamente nel rafforzamento dei servizi rivolti ai tossicodipendenti. "Il come poi tale risorse verranno spese dipenderà dalle regioni, perché la materia è di stretta competenza regionale". In effetti - ammette Giovanardi - è dubbio che sia una competenza statale quella di poter vincolare una parte della spesa sanitaria regionale, e infatti la nostra proposta dovrà passare al vaglio della Corte Costituzionale". La misura si rende necessaria, secondo il sottosegretario con delega alle politiche di prevenzione della droga - per il fatto che "esiste non un solo modello, ma ben venti modelli di intervento nel campo dei servizi delle tossicodipendenze, dal momento che ogni regione si muove come meglio crede: per evitare che vi siano zone del territorio con buoni investimenti e altre totalmente abbandonate, proveremo a muoverci su questa strada, sapendo che si tratta di una forzatura". Il provvedimento andrebbe naturalmente "concordato con le regioni", mentre ha già - secondo il racconto di Giovanardi - l’ok dell’opposizione: "Ne ho parlato con Livia Turco, che si è mostrata d’accordo con noi".
Proseguire la battaglia che ha fatto calare il consumo
La relazione presentata al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze segnala "la forte tendenza al policonsumo, con uso contemporaneo di più droghe e quasi costantemente di alcol, e il fatto che le persone tossicodipendenti trascorrono un lungo periodo dal momento del primo utilizzo della sostanza a quello in cui accedono ai servizi per chiedere aiuto". Sono questi, secondo il sottosegretario Carlo Giovanardi gli aspetti più importanti del testo presentato alla Camera. Si tratta di fenomeni di fronte ai quali "non si può assolutamente restare inerti e passivi" ma occorre proseguire nella "battaglia" che ha condotto a registrare un calo dei consumi fra i giovanissimi di eroina e cocaina. Un calo che non si verifica invece per il consumo della cannabis, che secondo Giovanardi rappresenta un problema costante e da considerare attentamente: "C’è una maggiore consapevolezza fra i giovani della pericolosità di eroina e cocaina che non si registra invece nei confronti della cannabis, anche a causa di un dibattito culturale che negli anni scorsi ha visto molte voci minimizzare il fatto che l’assunzione di cannabis porta a danni cerebrali devastanti. Questo fatto - precisa Giovanardi - è invece stato ampiamente dimostrato e occorre dunque continuare nella lotta, informando i giovani dei rischi ai quali vanno incontro". "La strada per riuscire a vincere questa battaglia - conclude Giovanardi - è dura e va percorsa insieme: sono molte più le cose che ci uniscono di quelle che ci dividono". Droghe: sono tossicodipendenti 33% di nuovi ingressi in carcere
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Relazione al Parlamento. Sono state oltre 30.500 le persone entrate con problemi legati all’uso di droghe contro le 24.371 del 2007, con un incremento del 25%. L’identikit del detenuto tossicodipendente. Nel 2008 gli ingressi in carcere di persone con problemi legati al consumo di sostanze stupefacenti sono stati di 30.528, il 33% del totale degli ingressi (27% nel 2007). È quanto emerge dalla annuale Relazione al Parlamento sullo stato delle Tossicodipendenze, presentata questa mattina dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega alle politiche della prevenzione della Droga Carlo Giovanardi e dal direttore del Dipartimento politiche antidroga Giovanni Serpelloni. Tra il 2007 (24.371 ingressi su un totale di 90.441) e il 2008 l’incremento è stato del 25,3%; il dato è abbastanza stabile negli ultimi 4 anni: 28% nel 2005, 27% nel 2006 e 2007 e 33% nel 2008. Ma quali sono le caratteristiche principali dei detenuti tossicodipendenti? Secondo i dati del ministero tra circa 3.700 soggetti, per i quali è possibile definire un profilo dal punto di vista demografico ed epidemiologico sull’uso di sostanze e clinico per quanto riguarda la presenza di malattie infettive, si parla di una sostanziale omogeneità tra italiani e stranieri, in prevalenza poliassuntori (49,9% dei 1.980 detenuti che hanno indicato la sostanza d’abuso), seguiti da consumatori di oppiacei (27,6%) e da cocainomani (23,0%). Per quanto concerne il monitoraggio della diffusione di malattie infettive sulla popolazione ristretta in carcere con uso problematico di sostanze, secondo le informazioni rilevate sul campione di 3.713 detenuti per i quali è stata compilata la scheda infettivologica, circa un 10% è stato sottoposto a test clinico, valore che oscilla tra l’8% per il test dell’epatite B all’11% per il test Hiv. Gli esiti dei test confermano la presenza di infezione da epatite C in oltre il 60% dei soggetti italiani testati e attorno al 22% dei detenuti stranieri, la presenza del virus dell’epatite B nella metà circa degli italiani testati e circa il 20% per gli stranieri e valori sensibilmente più bassi per l’infezione da Hiv (17,8% degli italiani testati contro l’8,2% degli stranieri). Dal 2007 si è registrato inoltre anche un incremento del 38% degli ingressi di minori in carcere per reati legati al Dpr 309/90: la reclusione di minori in violazione alla normativa sugli stupefacenti ha riguardato quasi esclusivamente il genere maschile (96%), con lieve prevalenza di soggetti italiani (54,2%), mediamente 17enni, senza apprezzabili differenze tra i minori di diversa nazionalità. Le strutture di accoglienza per i minori che hanno commesso un reato sono di diverse tipologie: secondo il Dipartimento della giustizia minorile, nel 2008 i minorenni assuntori di sostanze stupefacenti transitati nei servizi di giustizia minorile sono stati circa un migliaio (1.081), con un incremento rispetto al 2007 dell’8%. Oltre il 95% degli ingressi è caratterizzato da minori di genere maschile, per l’80% italiani, poco meno che 17enni. La cocaina viene usata da questa popolazione con più frequenza rispetto all’eroina. Tra i minori italiani si registra un maggior uso di cannabis rispetto agli stranieri che, invece, fanno maggior uso di cocaina e oppiacei. Droghe: 35mila persone segnalate per "uso personale" nel 2008
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Relazione al parlamento. Erano stati quasi 43.800 nel 2007 i soggetti colti in violazione dell’articolo 75 della legge sulla droga. 32 mila i colloqui effettuati, poco più di mille persone inviate al Sert, contro le quasi 6 mila del 2006. Nel 2008 sono stati quasi 35.632 le persone segnalate al prefetto per possesso di sostanze stupefacenti ad uso personale (art.75 del testo unico sulla droga), con un calo sensibile rispetto ai 43.791 dell’anno precedente (anche se bisognerà attendere per l’aggiornamento definitivo dovuto al ritardo nelle notifiche). I colloqui svolti dal prefetto sono stati 32.225, 20.133 dei quali si sono conclusi con l’invito a non fare più uso di sostanze stupefacenti, mentre 1.078 persone (il 3% circa del totale delle persone segnalate) sono state invitate a recarsi al Servizio per le Tossicodipendenze o in comunità e per 2.993 persone è stato archiviato il procedimento amministrativo per conclusione del programma terapeutico. Sono questi i dati relativi alle misure di contrasto all’uso di stupefacenti emersi dalla annuale Relazione al Parlamento sullo stato delle Tossicodipendenze, presentata questa mattina a Roma. Anche il dato relativo all’invio al programma terapeutico risulta in diminuzione, sia rispetto all’anno precedente, in cui la richiesta di programma terapeutico era stata effettuata per 2.705 persone segnalate, sia rispetto al dato rilevato nel 2006 (5.913) e negli anni precedenti. In questo quadro i minorenni rappresentano l’8,5% del totale ed oltre il 60% delle persone segnalate ha un’età compresa tra i 18 ed i 25 anni. In relazione alle azioni di contrasto in violazione della normativa generale sugli stupefacenti, oltre 22.000 sono state le operazioni antidroga, oltre 35.000 le denunce, oltre 28.000 gli arresti per reati in violazione del DPR 309/90. Il 67,5% delle segnalazioni deferite all’Autorità Giudiziaria nel 2008 erano a carico di italiani ed un 9% riguardava la popolazione di genere femminile. L’età media dei soggetti segnalati è di poco superiore a trent’anni con lievi differenze per nazionalità (31 anni per gli italiani e 30 anni per gli stranieri), mentre risultano più marcate in relazione al tipo di reato commesso. Il 38% delle segnalazioni all’Autorità Giudiziaria per violazioni della normativa sugli stupefacenti riguardava il traffico di cocaina, seguite dalla cannabis (37%) ed in percentuale minore da eroina (18%). Tra i denunciati di nazionalità italiana, circa il 90% era di genere maschile ad eccezione delle denunce per traffico di eroina, per le quali la percentuale scende all’84%; percentuali più elevate si osservano per la popolazione maschile straniera (oltre 90% per tutte le sostanze). I denunciati per traffico di droghe sintetiche risultano mediamente più giovani rispetto i deferiti per altre sostanze ed in genere l’età media delle donne risulta più elevata rispetto i maschi, con differenze più marcate nella popolazione straniera. Negli ultimi sedici anni il profilo del traffico di sostanze illecite si è notevolmente evoluto: la percentuale di denunce per il commercio di eroina è passata dal 48,03% nel 1993 al 17,59% nel 2008, a fronte di un forte incremento di spaccio di cocaina (14% delle denunce per traffico di sostanze illecite nel 1993 contro il 42% nel 2008. I reati più frequentemente registrati sono quelli di traffico e spaccio. In particolare, negli ultimi 8 anni è stato rilevato un trend in aumento per i reati commessi in violazione del DPR 309/90. Per contro, risultano in diminuzione i reati per furto e rapina. Il traffico di stupefacenti rimane il reato più diffuso tra i minori nei servizi, costituendo oltre il 60% degli ingressi nei centri di prima accoglienza. Droghe: nel 2008 le operazioni di polizia sono diminuite del 20%
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Relazione al Parlamento. Lo scorso anno 22.470 interventi delle forze dell’ordine, quasi 6 mila in meno del 2007. Intercettate 34 tonnellate di hashish (+70,2%) e 1,3 tonnellate di eroina (-30%). Lieve aumento per la cocaina (4%). Nel 2008 le operazioni antidroga condotte dalle forze dell’ordine sono state 22.470 registrando un calo di oltre il 20% rispetto all’anno precedente. È la Lombardia la regione con il maggior quantitativo di cocaina ed eroina sequestrata, per la cannabis Puglia, Calabria e Sicilia. Sono i dati principali sulle attività al contrasto degli stupefacenti effettuate dalle Forze dell’ordine emersi dalla annuale Relazione al Parlamento sullo stato delle Tossicodipendenze, presentata questa mattina a Roma. Le operazioni antidroga effettuate dalle forze dell’ordine hanno portato al sequestro di sostanze illecite nell’84% dei casi, alla scoperta di reato nel 9% delle operazioni ed al rinvenimento di quantitativi di droga in un ulteriore 7% delle attività di contrasto. La distribuzione geografica delle azioni antidroga evidenzia una maggiore concentrazione di operazioni, oltre l’8% del totale, nelle regioni della Lombardia (19%), Lazio (13%), Campania (9%) ed Emilia Romagna (8,3%). Meno interessate dal fenomeno (quote inferiori al 4% del totale operazioni) sembrano le regioni settentrionali a statuto speciale (Valle d’Aosta, Alto Adige e Friuli Venezia Giulia), le regioni centrali che si affacciano sull’adriatico (Marche, Abruzzo e Molise) e l’Umbria nell’entroterra e alcune regioni meridionali ed insulari (Calabria, Basilicata e Sardegna). Gli interventi delle Forze dell’ordine nel 2008 hanno consentito il sequestro di grandi quantitativi di cannabinoidi, in particolare hashish (oltre 34 tonnellate, con un aumento del 70,2%), principalmente in Lombardia (28% del volume complessivo), Lazio (16%) e Sicilia (13%). Più contenuti i quantitativi di cocaina ed eroina sequestrati (rispettivamente 4,0 e 1,3 tonnellate), corrispondenti ad un aumento del 4% rispetto al 2007 per la cocaina e a una riduzione del 30% nei quantitativi sequestrati di eroina. Le quantità più consistenti di cocaina ed eroina sono state sequestrate ancora una volta in Lombardia (rispettivamente 39% e 37%), seguita dalla Liguria (16%) e dal Lazio (15%) per i sequestri di cocaina (Figura I.5.2) e più diffusamente dall’Emilia Romagna (10%), Lazio, Abruzzo e Puglia (8%), Veneto (7%) e Toscana (6%), per i sequestri di eroina. Come per le altre sostanze, capofila delle regioni è la Lombardia con il 39% della quantità complessiva di sostanze sequestrate, seguita da Toscana /14%) e Veneto (11%). Diametralmente opposto il profilo delineato dalle attività di sequestro delle piante di cannabis a conferma dell’allarme lanciato dalla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga rispetto alla diffusione della produzione in proprio di sostanze illecite da parte della criminalità organizzata. I sequestri di piante di cannabis, infatti, sono stati effettuati principalmente nelle regioni meridionali della Calabria (41%), Sicilia (19%) e Puglia (17%). Droghe: il "ritorno" dell’eroina... e 3 su 4 la fumano o la sniffano
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Relazione al Parlamento. Si arresta il calo del consumo della sostanza più diffusa tra gli utenti Sert. Gli eroinomani più giovani hanno abbandonato il "buco". Cresce l’uso integrato di più droghe. In aumento le donne consumatrici problematiche. Cresce fra i giovani il consumo dell’eroina assunta per via respiratoria o vaporizzata e aumenta l’uso del consumo integrato di più sostanze stupefacenti; in calo il consumo di cocaina. Sono questi i dati principali sulla popolazione tra 15 e 19 anni che emergono dalla Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle Tossicodipendenze, presentata questa mattina a Roma dal sottosegretario Carlo Giovanardi. La relazione, che riferisce i dati raccolti da un’indagine a campione svolta nel 2008, da Cnr-Ifc e Espad Italia, mostra come il 2,1% dei giovani ha dichiarato l’uso di eroina almeno una volta nella vita mentre lo 0,3% dichiara di usarla frequentemente. L’analisi a posteriori delle vie di assunzione, ricavata dai pazienti effettivamente in trattamento, ha confermato una variazione nella modalità di assunzione passando dalla via iniettiva a quella respiratoria attraverso la pratica della vaporizzazione dell’eroina. A tale proposito, la relazione riporta i risultati di una ricerca su oltre 28 mila utenti dei Sert del centro-nord, per oltre due terzi eroinomani, dalla quale è risultato che, dei nuovi arrivati al servizio (oltre 5.000), circa il 50% fuma o inala la sostanza mediante vaporizzazione, mentre un ulteriore 21% la sniffa. Abitudini invece meno diffuse tra i vecchi utenti dei Sert (nel 25% la sostanza è fumata o inalata e nel 13% sniffata), a conferma di come l’eroina stia vivendo una seconda giovinezza secondo una modalità di consumo che è il "buco" solo nella minoranza dei casi. Il trend in aumento nel consumo di tale sostanza non riguarda solo il sesso maschile, dalla ricerca si è rilevato un maggior interessamento del genere femminile nelle fasce più giovani rispetto a quelle a maggiore età, indicando, indirettamente, che il fenomeno sta investendo sempre più precocemente il sesso femminile a fronte di un precedente trend che dimostrava una diminuzione dell’uso di eroina soprattutto nelle femmine. Per questo genere di sostanza prevale il consumo occasionale. Per la cocaina invece l’indagine mostra come ci sia, secondo l’analisi dell’andamento temporale, una riduzione dei consumi nel 2008 su valori simili a quelli del 2000: il 5,8% degli intervistati ha usato cocaina almeno una volta nella vita; lo 0,5% la usa frequentemente. Anche in questo caso, si riscontra una forte presenza del consumo occasionale. Per gli stimolanti e gli allucinogeni le cifre relative alla fascia di età 15-19 confermano il trend complessivo: il 4,7% degli studenti ha usato stimolanti almeno una volta nella vita; lo 0,9% li usa frequentemente e il maggior consumo si riscontra tra la popolazione maschile 19enne (6%). Dopo tre anni di incremento, l’andamento temporale ha mostrato una diminuzione dei consumi di stimolanti nel 2008. Per gli allucinogeni invece il 4,7% ne ha fatto uso almeno una volta nella vita e lo 0,5% li usa frequentemente. Il maggior consumo è stato evidenziato, come per gli stimolanti, tra studenti maschi 19enni con una percentuale del 5,8%. Da segnalare, secondo il rapporto il costante aumento dei consumi di allucinogeni dal 2005, confermato anche nel 2008. La cannabis resta lo stupefacente più consumato dai giovani: il 31,5% degli studenti 15-19 anni dichiara di aver usato cannabis almeno una volta nella vita e il 2,7% di consumarla quotidianamente. Il maggior consumo si è osservato tra gli studenti 19enni (40,1%). L’uso precoce in particolare si è registrato nel 20% dei maschi con 16 anni di età. Da segnalare un lieve aumento dei consumi di cannabis nel 2008 soprattutto nel genere femminile. Cresce infine il consumo integrato tra alcol e tabacco e sostanze stupefacenti. In particolare, i consumatori di cannabis nel 12,7% dei casi usano anche cocaina, e nel 3,1% dei casi associano eroina. Coloro che assumono cocaina nell’84,8% dei casi usano anche cannabis e nel 14,6% anche eroina. I consumatori di eroina nel 76,8% dei casi assumono anche cannabis e nel 51,8% consumano contemporaneamente anche cocaina. Fra coloro che assumono cocaina ed eroina l’associazione tra le due droghe raggiunge addirittura il 91,9% nei consumatori di cocaina e raggiunge l’82,3% in quelli che usano eroina. Droghe: fino a 14 anni tra primo consumo e la richiesta di aiuto
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Relazione al Parlamento. Analisi degli utenti dei Sert: tra l’approccio alle droghe e l’arrivo al servizio per un programma terapeutico trascorrono in media 5 anni e mezzo, che possono arrivare a 8 per la cocaina e a 14 per l’eroina. È di 5 anni e mezzo il tempo medio che trascorre tra il primo utilizzo di una sostanza e la richiesta del tossicodipendente di accedere ai servizi per chiedere un trattamento terapeutico. In particolare la metà delle persone si rivolge ai servizi per le tossicodipendenze entro 4 anni dall’inizio di utilizzo della sostanza, mentre il 75% richiede il primo trattamento entro 8 anni (cannabis). Ma per alcune sostanze la latenza può essere anche tra i 12 (cocaina) e i 14 anni (eroina). Questo è quanto emerge dalla Relazione al Parlamento sullo stato delle Tossicodipendenze, presentata questa mattina dal sottosegretario Giovanardi e dal direttore del Dpa Serpelloni. I dati sono stati raccolti con un indicatore epidemiologico per l’analisi della dinamica del fenomeno della tossicodipendenza, che si chiama "incidenza di uso problematico" ed è costituito dal numero di soggetti che ogni anno iniziano ad assumere sostanze psicoattive illegali e che, negli anni seguenti, sviluppando problemi di salute, richiederanno un trattamento ai servizi per le tossicodipendenze. L’indicatore misura il numero di nuovi casi di consumo in un periodo di tempo fissato, in genere un anno, che evolveranno in richiesta di trattamento e non di tutti i nuovi casi di consumo. Le nuove richieste di trattamento per uso di eroina, secondo la relazione "sono in lieve diminuzione dal 1996 ad oggi, questo - si legge - anche in relazione al fatto che i dati di terapia per uso primario di eroina sono in continuo calo. Per il 2008 si stima che i nuovi utenti potrebbero essere circa 18.600". Ma chi sono coloro che sono in trattamento per l’uso di stupefacenti? Secondo i dati della relazione continua il trend di crescita degli utenti in trattamento, con un aumento in particolare dei nuovi utenti ed una maggiore prevalenza di utenti maschi. Minore è la presenza del genere femminile, soprattutto nelle regioni del Sud. Ad un confronto con il dato europeo, si evidenzia che i nuovi casi europei sono più giovani rispetto a quelli italiani mentre si registrano un abbassamento dell’età di inizio, un contemporaneo aumento dell’età media di primo accesso ai servizi ed un aumento del tempo fuori trattamento. La sostanze maggiormente utilizzate dai soggetti in trattamento sono risultate l’eroina, la cocaina, la cannabis. Dal rapporto emerge anche una caratteristica condivisa tra i Paesi mediterranei: il maggior uso di eroina e il minor uso di cannabis e di amfetamine. Da segnalare poi l’importante uso secondario di cocaina, anche per via iniettiva, che dal 2007 risulta essere la sostanza secondaria più usata. Per quanto riguarda l’uso di eroina, si è notata una tendenza alla stabilizzazione negli ultimi 3 anni e ad un contemporaneo aumento dell’uso di cocaina, dopo il boom di consumo tra il 1985 e il 1992, in cui l’incidenza di uso problematico è arrivata ad un massimo di 34 mila soggetti, le regioni maggiormente interessate dal consumo di eroina sono l’Umbria, la provincia di Trento - Bolzano, la Basilicata e la Calabria. Droghe: per utenti dei Ser.T., aumento del supporto psicologico
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Relazione al Parlamento. Nei Sert meno Naltrexone e più metadone a lungo termine. Ma per i nuovi utenti eroinomani si registra un’inversione di tendenza: più trattamenti psicosociali. Sert in aumento, comunità in calo e meno residenziali. Si consolida la cronicizzazione nella cura per i casi di tossicodipendenti da eroina, ma aumentano gli interventi di supporto psicologico. Questo è quanto emerge sotto il profilo del trattamento agli assuntori di sostanze stupefacenti dall’annuale Relazione al Parlamento sullo stato delle Tossicodipendenze, presentata questa mattina dal sottosegretario con delega alle politiche sulla Droga Giovanardi e dal direttore del Dipartimento politiche antidroga Serpelloni. Relativamente ai trattamenti erogati dai Servizi pubblici per le tossicodipendenze (in crescita), si legge nella relazione "oltre 150.000 sono state le persone trattate nell’anno 2008 e, dal profilo della distribuzione percentuale dei trattamenti erogati nel biennio 2007, si può notare una riduzione di oltre il 35% nell’erogazione di trattamenti farmacologici di Clonidina e Naltrexone e un relativo progressivo aumento dei trattamenti farmacologici sostitutivi a base di metadone". Uguale la situazione nelle carceri dove tra i trattamenti erogati nelle strutture penitenziarie si registra una riduzione delle terapie a breve termine a base di metadone e un aumento delle stesse nel medio termine. Di contro si rileva che nello in trattamento per eroina, segnando una netta inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti. Tra le comunità del privato sociale, diminuiscono le strutture socio-riabilitative, pari al 3,3% (38 strutture) rispetto al 2007, percentuale più marcata per le strutture semiresidenziali ed ambulatoriali (rispettivamente 5,8% e 5,1%). La distribuzione delle strutture socio-sanitarie sul territorio nazionale evidenzia una maggior concentrazione nelle regioni del Nord. Una maggior presenza di queste strutture si osserva in Provincia Autonoma di Trento, Liguria, Marche, Veneto, Emilia Romagna e Lombardia. L’andamento della numerosità delle strutture pubbliche in quasi vent’anni evidenzia un incremento contenuto dei Sert attivi, passati da 518 nel 1991 a 555 nel 2008, pari ad un aumento del 7%. Molto più variabile appare il trend delle strutture socio-riabilitative: da una rilevazione condotta nel corso del primo quadrimestre del 2009 presso gli Assessorati regionali riguardante la ricognizione delle strutture del privato sociale di tipo diagnostico terapeutico riabilitativo, emerge che le strutture diagnostico-terapeutico-riabilitative residenziali e semiresidenziali non inserite o inseribili nella casistica prevista dall’Atto d’intesa Stato-Regioni sono complessivamente 194, 2 in meno rispetto all’anno precedente. Dato questo, rileva il rapporto, interessante se si considera che per la prevenzione delle emergenze droga-correlate e la riduzione dei decessi droga correlati, sono stati spesi dalle Regioni e dalle Provincie Autonome oltre 4 milioni di euro. Per le strutture si osserva in ogni modo una parziale conversione del tipo di struttura, da residenziale (-7,1% rispetto al 2007) a semiresidenziale (+78,6%). Nettamente superiore è il numero di strutture afferenti all’area terapeutico-riabilitativa (332), in calo rispetto al 2007 (-10%) e una riduzione di oltre il 40% si registra anche per le strutture pedagogico-riabilitative. Dal 1997 al 2008, l’andamento del personale addetto ai servizi per le tossicodipendenze è aumentato dell’8,3% a fronte di un aumento dell’utenza, nello stesso periodo del 26,2%. Problemi comuni di tutte le risposte riabilitative avviate, secondo i dati emersi da un questionario strutturato predisposto dall’Osservatorio Europeo nell’ambito delle attività di monitoraggio delle varie azioni attivate dagli stati membri dell’Ue in materia di tossicodipendenze, sono una scarsità di interventi e una certa sottovalutazione dei soggetti che usano cannabis, rispetto al forte incremento registrato di tale uso. Droghe: nei Servizi pubblici crollano i "test" per l’Hiv e le epatiti
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Relazione al Parlamento. Si conferma la tendenza pluriennale a non effettuare più l’esame per il virus Hiv agli utenti dei Sert: nel 2008 è stato fatto a poco più di 4 su 10 e il 12% è risultato positivo. Guardia abbassata sul fronte Hiv per i tossicodipendenti: c’è un trend in costante diminuzione per l’utilizzo del test Hiv tra gli utenti dei servizi pubblici, e quando viene fatto a farlo sono prevalentemente donne. Le situazioni critiche per maggior positività per Hiv e contemporaneo minor uso del test sono emerse in Emilia Romagna, Bolzano, Sardegna, Liguria, Toscana, Umbria ma la stessa diminuzione di controlli riguarda anche i malati di epatite virale B e C. Questo è quanto emerge dalla annuale Relazione al Parlamento sullo stato delle Tossicodipendenze, presentata questa mattina a Roma. Secondo il rapporto sono circa 174 mila i soggetti presi in carico nel 2008 nei Servizi per le tossicodipendenze, fra questi ne sono stati esaminati più di 60 mila per individuare la presenza di infezione da Hiv e circa il 12% è risultato essere positivo. Per la relazione pubblicata dalla Presidenza del Consiglio, il resto della popolazione che usufruisce dei servizi del Ser.T. (ovvero circa il 58,7% del totale) non è stata esaminata nel corso dell’anno perché sono soggetti già diagnosticati come Hiv positivi negli anni precedenti (6.932 che rappresenta circa il 4,7% del totale) oppure sono utenti per i quali effettivamente il test non è stato effettuato. La verifica della presenza di patologie infettive correlate all’uso di sostanze stupefacenti nelle persone assistite dai Ser.T. ha interessato negli ultimi 17 anni, dal 1991 al 2008, una percentuale di soggetti costantemente decrescente. Relativamente alla presenza dell’infezione da Hiv la percentuale di soggetti sottoposti a test sierologico è diminuita di oltre il 20%, passando da un valore del 60% circa rilevato nel 1994 al 39% circa osservato nel 2008. Lo studio delle patologie infettive correlate ha potuto determinare che vi è una tendenza ormai pluriennale a non testare gli utenti in trattamento per le principali infezioni quali quella da Hiv, Epatite C e B. La scarsità di utilizzo del test si conferma anche per l’epatite B ed in questo contesto le Regioni con minore uso del test per Hbv sono Liguria, Toscana, Emilia Romagna, Basilicata. Per contro, le Regioni con maggior positività all’Hbv sono Bolzano, Abruzzo, Sardegna, Emilia Romagna. Da segnalare è la riduzione dei ricoveri per epatite B. Un aspetto da evidenziare è il rilevamento di ricoveri per uso di barbiturici, particolarmente osservati in soggetti in età avanzata, oltre i 65 anni. Si registrano anche ricoveri per cannabis, con particolare rilevanza dei ricoveri per psicofarmaci nelle femmine. Le classi di età più frequenti nei ricoveri per le diverse sostanze sono state: cannabis 20-24 anni, cocaina 30-39 anni, oppiacei 35- 44 anni, psicofarmaci 40-44 anni. Droghe: nel 2008, raddoppiati gli incidenti causati dallo "sballo"
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Relazione al Parlamento. Dal 2006 cresciuti del 50% i feriti sulla strada a causa di droga e alcol; più 34% di morti in un anno. 502 overdose letali nel 2008 (in calo), per l’8,3% causate dalla coca (era il 2% nel 1999). L’uso di sostanze stupefacenti fa registrare un’impennata nel numero degli incidenti stradali dal 2006 al 2007 ed è la cocaina la sostanza maggiormente responsabile di morte per overdose nel terzo millennio. Sono alcuni dati relativi alla mortalità dei soggetti che assumono sostanze emersi dalla annuale Relazione al Parlamento sullo stato delle Tossicodipendenze, presentata questa mattina a Roma. Secondo la relazione gli incidenti stradali e i feriti causati da assunzione di droghe e alcol nel 2008 sono raddoppiati rispetto al 2006, presentando un aumento di quasi il 34% dei decessi, pari a 237 nel 2007 (189 per alcool e 48 per droga). I feriti sono stati invece 10.716 (9.292 per alcool e 1.424 per droga). "Per quanto concerne gli incidenti del fine settimana - si legge nel rapporto - di cui 1.459 il sabato e 1.582 la domenica, dovuti al concorso di alcol, essi rappresentano poco più della metà (50,42%) del totale, dato in aumento rispetto al 2006 (quasi il 49%)". La fascia oraria nella quale si rileva il maggior numero di incidenti è quella tra l’una di notte e le quatto del mattino e questo dato, si legge nel rapporto, "rende particolarmente interessante una disanima della fascia oraria notturna, dalle ore 22 alle ore 6 in cui si sono registrati 3.417 incidenti pari al 56,7% del totale nell’arco delle 24 ore". Durante le notti del weekend, in particolare il venerdì (851) e il sabato (1.050) gli incidenti per assunzione multipla di alcol e sostanze stupefacenti rappresentano il 55,63% della fascia notturna. Ma chi usa alcol e sostanze stupefacenti alla guida? Secondo la relazione del ministero "per quel che concerne l’alcol nel 2007 sono stati accertati 6.152 casi, il 43,7% in più del 2006, dei quali poco più del 90% di sesso maschile, dato in crescita rispetto all’89,6% del 2006". Per le donne la fascia maggiormente interessata al fenomeno è quello tra i 14 e i 18 anni e fra i 19- e i 24, mentre cala poi fino alla fascia 35-39, dove si registra un picco per scendere definitivamente in maniera costante dai 40 anni in su. Per i maschi l’età maggiormente critica è fino ai 34 anni con valore massimo tra il 25° ed il 27° anno di età nel quale si riscontrano i tre valori assoluti maggiori. I soggetti in cui è stato accertato lo stato psico-fisico alterato per droga nell’anno 2007 sono 879 di cui 753 di sesso maschile (85,7%). Gli anni tra il 19° ed il 21° sono quelli che presentano i valori più alti e conseguentemente la fascia più critica è quella fino ai 24 anni, seguita da quelle anagraficamente successive. Per quanto riguarda il decesso per overdose si nota come "dal 1997 il trend della mortalità segue un andamento progressivamente decrescente in Italia fino al 2002, per stabilizzarsi - si legge nel rapporto - a valori lievemente superiori nel triennio successivo, contrariamente all’andamento medio europeo che si stabilizza a valori più elevati". Nell’ultimo decennio l’età al decesso per overdose è progressivamente aumentata: l’età media passa dai 32 anni circa del 1999 ai 35 del 2008; se all’inizio del periodo considerato circa il 31% dei decessi era costituito da persone con più di 35 anni. Nel 2008 si sono registrati 502 decessi per overdose (in calo di alcune unità rispetto all’anno precedente, anche se occorrerà attendere il dato definitivo delle notifiche), che sembrano aver colpito con modalità particolarmente intensa la popolazione dell’Umbria con oltre 4 decessi ogni 100.000 residenti, quasi il doppio rispetto ad Abruzzo e Lazio, le regioni che seguono il triste primato dell’Umbria . Dal 1999 la quota di morti attribuite ad intossicazione da eroina rimane sostanzialmente stabile, mentre quella riconducibile alla cocaina è passata, da poco più del 2% nel 1999 all’8,3% del 2006, per attestarsi al 7,4% del 2008. Droghe: prezzi di cocaina ed eroina in calo, aumenta la cannabis
Redattore Sociale - Dire, 30 giugno 2009
Relazione al Parlamento. La cocaina è passata da 96 a 78 euro al grammo; l’eroina da 84-64 a 60-47 euro; hashish a 8-9 euro, in crescita dal 2003, con un principio attivo in calo. Rilevata la produzione nostrana della temibile cannabis sintetica. Aumenta il prezzo dei cannabinoidi mentre prosegue il trend di discesa dei prezzi massimi e minimi sia dell’eroina che della cocaina. Stabile il prezzo dell’acido lisergico (Lsd). Dal 2001 al 2008 la percentuale media di principio attivo rilevata nei campioni analizzati è diminuita per la cocaina, passando dal 66% al 47%; si conferma sostanzialmente stabile la percentuale di principio attivo presente nei cannabinoidi (Thc) che dopo un picco rilevato nel 2005, è diminuita fino ad assestarsi intorno al 6% circa (5,8% nel 2008). È questo il "listino" dei prezzi e della purezza delle principali sostanze stupefacenti analizzati nella Relazione al Parlamento sullo stato delle Tossicodipendenze, presentata questa mattina a Roma. Nel periodo considerato dalla relazione la media dei prezzi massimi e minimi è quindi passata da 96 euro a poco più di 78 euro per grammo per la cocaina, da circa 64 euro a meno di 47 per l’eroina nera e da 84 euro a meno di 60 euro per quella bianca; una forte diminuzione della media dei prezzi si osserva per una singola pasticca di ecstasy acquistabile a circa 24 euro nel 2006 ed a meno di 19 nell’ultimo biennio. L’Hashish si mantiene su un prezzo medio di 8-9 euro al grammo confermando la crescita continua registrata dal 2002. Per quanto riguarda la percentuale di purezza delle sostanze dopo l’incremento registrato nel 2007 (dal 21% al 33%), è tornata, nel 2008, a livelli più bassi rilevati anche negli anni precedenti (circa 25%). La percentuale di eroina è aumentata nel 2008, passando dal 17 al 21%. La variabilità per le principali sostanze tossiche è tuttavia molto elevata: il principio attivo per i cannabinoidi può andare dallo 0,08% al 17%, mentre per la cocaina (dallo 0,77% all’88%). Nel corso del 2008 si sono registrati grandi investimenti della malavita organizzata nel mercato della droga. Tali investimenti, spiega la relazione sono stati accompagnati da un aumento dell’offerta di droga sia in Italia che all’estero. Soprattutto nelle Regioni del Sud si registra un forte coinvolgimento di organizzazioni criminali strutturate. Nelle Regioni del Centro-Nord, invece, si è assistito ad un sempre maggior consolidamento di gruppi criminali stranieri. Nel 2008 si è evidenziato un forte aumento dell’offerta e dei sequestri, delle coltivazioni autoctone nel sud del paese, ed è emersa anche la nuova produzione italiana di "super skunk", una cannabis sintetica molto potente "inventata" in Gran Bretagna. Leader nel mercato della droga italiana è la ‘ndrangheta, che risulta l’organizzazione criminale che negli ultimi 20 anni ha reso l’Italia il centro strategico del mercato globale di cocaina; la camorra svolge un’ampia parte della propria attività in Campania e, sui mercati europei, continua l’insediamento in Spagna e nei Paesi dell’Est mentre Cosa nostra si sta ampliando attraverso la riattivazione di intese con altre cosche. Le organizzazioni criminali, in generale, stanno assumendo sempre più carattere transnazionale, favorendo la creazione di "consorzi" criminali per far fronte ai grandi acquisti, i luoghi in cui queste organizzazioni sono più radicate sono Milano, Roma e Brescia. Per quanto riguarda le vie di traffico, la cannabis risulta arrivare dalla Spagna e dall’Albania; la cocaina, per la quale si è registrato un aumento del traffico, ha punti di arrivo soprattutto al sud Italia; l’eroina, per cui si è registrata una riduzione della diffusione in Europa ma un aumento nei paesi balcanici, arriva dall’Afghanistan, proprio attraverso i Balcani. Olanda: nel carcere c’è solo il "vitto islamico", detenuto protesta
Ansa, 30 giugno 2009
Vorrebbe gustare carne di maiale, ma è costretto a un menù a base di carne halal, ovvero preparata secondo i dettami alimentari della religione islamica. Per questo un detenuto olandese del carcere di Sittard, in Olanda, ha chiesto una compensazione dallo Stato di 25 euro al giorno. "Il mio cliente - ha spiegato il legale - non vuole che una religione gli sia imposta, vuole solo poter mangiare polpette di maiale". Per tagliare sulle spese il ministero della Giustizia ha sottoscritto un accordo coi fornitori perché consegnino solo alimenti halal, racconta il quotidiano Telegraaf. Negli istituti di reclusione, infatti, degli oltre 14mila detenuti, oltre uno su due sono di origine straniera (55%) e i gruppi etnici più rappresentati sono quelli delle persone che provengono dal Marocco e dai territori della ex Jugoslavia. Fornire un doppio menù, per i musulmani e i non è troppo costoso. E allora via il maiale, animale più che rappresentato nella cucina tradizionale olandese, e sulla tavola solo manzo e pecora. "La libertà di religione è una gran cosa - ha commentato l’avvocato del detenuto - ma il mio cliente non vuole che una religione gli sia imposta".
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