Rassegna stampa 30 gennaio

 

Giustizia: anno giudiziario; processi lenti, 32 mln di indennizzi

 

Ansa, 30 gennaio 2009

 

Nel 2008 sono costati 32 milioni e 103.163 euro all’erario dello Stato gli indennizzi pagati ai cittadini per la lentezza dei processi, in base a quanto stabilito dalla legge Pinto. Lo sottolinea il Procuratore generale della Cassazione, Vitaliano Esposito, nella sua relazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Le richieste di indennizzo e i decreti di accoglimento sono aumentate del 19% rispetto all’anno precedente. Le richieste accolte sono state 6.177 nel 2008, mentre erano 5.014 nel 2007. I Supremi giudici hanno aumentato del 9% il numero delle procedure definite - per l’attribuzione dei benefici della legge Pinto - decidendo 5.517 richieste a fronte delle 4.959 del 2007. Il trend è dunque crescente sia per quanto riguarda i costi per lo Stato sia per quanto riguarda le domande presentate.

Le intercettazioni, anche se sono un mezzo di indagine "di per sé costoso", sono "essenziali". Lo sottolinea il procuratore generale della Cassazione. Il Pg sottolinea che le intercettazioni telefoniche ed ambientali sono "strumenti utili per il contrasto a diversi fenomeni criminali e vieppiù necessari per le indagini sulla criminalità organizzata o finalizzate alla cattura di latitanti, specie in un periodo storico in cui il contributo dei collaboratori di giustizia è estremamente ridotto". Per quanto riguarda i costi delle intercettazioni, il Pg annota che la nuova sensibilità alla gestione delle risorse ha spinto le procure a stipulare "contratti che hanno notevolmente ridotto i costi unitari delle intercettazioni e spesso, pure a fronte di un aumento dell’impiego di tale strumento investigativo, anche i costi complessivi".

No alla politicizzazione dei magistrati e attenzione al rischio che le toghe cerchino "il consenso dei cittadini, se non addirittura quello del popolo, con conseguente sua politicizzazione e susseguente radicalizzazione dello scontro con le parti politiche". Lo sottolinea Esposito. "L’incontro-scontro tra il mondo giuridico e quello politico - prosegue il pg - genera sconcerto nell’opinione pubblica. E la credibilità della giustizia si dissolve laddove questo scontro si incunei all’interno della stessa magistratura". Per questo é necessario - spiega Esposito - "dare una risposta adeguata a questa crisi, elaborando nuove strategie di ruolo, miranti a recuperare una coesione culturale all’interno della magistratura".

 

Mancino: serve una riforma condivisa

 

La giustizia è un settore che "esige, dopo la stagione delle polemiche, una praticabile riforma condivisa". È quanto sottolinea il vice-presidente del Csm Nicola Mancino, rivolgendosi al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al ministro della Giustizia Angelino Alfano nel suo intervento per l’inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione.

"Quella che stiamo vivendo - ha detto Mancino rivolgendo a Napolitano - è una fase interessante per affrontare le riforme necessarie nel settore giustizia, come Lei, con grande equilibrio e riconosciuto senso delle istituzioni, puntalmente sottolinea auspicando capacità di ascolto e di dialogo fra le forze politiche e la magistratura". Il Csm, aggiunge Mancino "è pronto a fare la sua parte, a dare il suo contributo, convinto che il corretto puntuale funzionamento della macchina giudiziaria richiede intese capaci di innovazione profonde ma durature". Al guardasigilli, poi, Mancino rivolge "un indirizzo di saluto che accompagno con l’augurio di portare a compimento un lavoro di primaria importanza". Il vice-presidente del Csm ricorda come l’organo di autogoverno della magistratura, in particolare la VI commissione, "ha espresso molti pareri al ministro su disegni di leggi trasmessi alle Camere. Condivido la necessità e i pareri vadano indirizzati al ministro perché ne possa tener conto nel rapporto Governo-parlamento in tempo utile perché non appaiano interferire nell’attività legislativa delle Camere".

Giustizia: Anm; sentenze in tempi ragionevoli è diritto cittadini

 

Asca, 30 gennaio 2009

 

"I cittadini italiani hanno diritto di ottenere sentenze in tempi ragionevoli: la riforma della giustizia è possibile, con alcune riforme necessarie e urgenti dirette ad assicurare funzionalità ed efficacia al sistema giudiziario, nell’interesse della collettività".

Lo afferma l’Associazione Nazionale Magistrati (Anm) che ha diffuso un documento, per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, oggi in Cassazione e domani nei distretti di Corte d’appello.

In particolare, le riforme indicate riguardano: - la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, con l’accorpamento degli uffici più piccoli, sulla base di dati e parametri oggettivi, e tenendo conto delle peculiarità del territorio; - la riforma del processo civile, strumento fondamentale di tutela dei diritti lesi dei cittadini, e punto chiave per lo sviluppo economico e gli investimenti, anche dall’estero. Il ddl in discussione al Senato accoglie alcune proposte dell’Anm, che tuttavia ritiene necessari interventi più coraggiosi e incisivi: sfoltimento e razionalizzazione dei riti, abrogazione del rito societario, tempestiva adozione dei decreti legislativi sulla mediazione e conciliazione in ambito civile e commerciale; - attuazione del processo civile telematico, con investimenti adeguati (dotazioni informatiche, costruzione dei software, adeguamenti normativi, formazione degli operatori coinvolti), inconciliabili con i tagli effettuati alle risorse della giustizia; - riforma del processo penale, attraverso alcuni interventi prioritari: notificazione atti con posta elettronica certificata; depenalizzazione dei reati minori e archiviazione per irrilevanza del fatto; abolizione dell’avviso di conclusione delle indagini; revisione del processo in contumacia; riforma della prescrizione e della recidiva; - adeguamento delle strutture, organici e risorse, recuperando le risorse tagliate dall’ultima legislazione finanziaria.

È in gioco la dignità della funzione, intesa non come valore autoreferenziale dei magistrati ma come contrassegno della giurisdizione; - abolizione del divieto, per i magistrati di prima nomina, di assumere le funzioni monocratiche e requirenti di primo grado, per evitare un disastro imminente, ampiamente preannunciato dall’Anm: la desertificazione di alcune sedi giudiziarie del meridione (e non solo), anche a seguito della messa a concorso di numerosi posti di Procura. Il decreto legge 143/2008 sugli incentivi per le sedi disagiate rappresenta un rimedio insufficiente".

"Non sarebbero utili ne’ al funzionamento della giustizia, né all’interesse dei cittadini ad ottenere decisioni rapide, riforme - conclude il documento - che alterino i principi di indipendenza e autonomia della magistratura, come delineati nell’attuale assetto costituzionale.

L’Associazione nazionale magistrati ribadisce, invece, l’allarme per le proposte di modifica della disciplina delle intercettazioni, che indebolirebbero uno strumento investigativo indispensabile per individuare i responsabili di gravi delitti, e rafforzerebbero forme di illegalità sempre più diffuse nel paese. Né possono dirsi incoraggianti le proposte per sottrarre poteri investigativi all’ufficio del pubblico ministero, per affidarli all’iniziativa autonoma della polizia giudiziaria".

Giustizia: Eurispes; pene più severe, per l’omicidio e lo stupro

 

Apcom, 30 gennaio 2009

 

La maggioranza degli italiani vuole pene più severe per l’omicidio, molti le chiedono per lo stupro, pochi invece quelli che vorrebbero punite più severamente l’immigrazione clandestina, il consumo di droga e la prostituzione, è la conclusione del Rapporto Italia 2009 dell’Eurispes.

Secondo il rapporto Eurispes, riguardo alle pene da inasprire, la maggioranza degli italiani (20,4%) pensa che debbano essere cambiate principalmente le sanzioni previste per l’omicidio; significativa inoltre è la percentuale di quanti ritengono opportuno un inasprimento delle pene per i reati di violenza sessuale (18,5%), di guida in stato di ebbrezza (14,8%), e per quelli di natura finanziaria o economica, (13,7 per cento).

Più bassa invece - secondo i dati raccolti dall’Eurispes - la percentuale di italiani che considera l’immigrazione clandestina e le truffe reati che meriterebbero condanne più dure: rispettivamente il 5% e il 4,5%, così come per il consumo di stupefacenti (3,7%), la rapina (2,6%), il furto (2,5%) e la prostituzione (2%). Il 7,9% dei cittadini, infine, crede che l’inasprimento delle pene dovrebbe riguardare indistintamente tutti i reati sopra elencati.

Giustizia: Eurispes; italiani temono furti in casa e aggressioni

 

Adnkronos, 30 gennaio 2009

 

È del 24,2%, in calo rispetto al 2008 (38,3%), la percentuale dei cittadini che teme il furto nella propria abitazione, reato comunque in cima ai timori degli italiani. È quanto si legge nel "Rapporto Italia 2009 dell’Eurispes". È del 17,1% la percentuale di quanti dichiarano di avere paura di un’aggressione fisica, +9% rispetto all’anno precedente. Segue chi teme le truffe (14,6% contro il 9% del 2008) e chi teme il furto dell’automobile o del motorino (10,6% contro l’11,4% del 2006).

Sfiorano percentuali al di sotto del 10%, la paura dello scippo o del borseggio (9,6% contro 13,2% del 2008), la paura della violenza sessuale (8,4% contro 6,1% del 2008) e la paura della rapina (8,1% contro 7,4% del 2008). L’Eurispes, "per rispondere a risonanze mediatiche spesso non realistiche", ha voluto indagare quale tipologia di reati è stata "realmente" subita dai cittadini nell’ultimo anno. La maggior parte dei cittadini (una media nazionale dell’80%), afferma di non aver subìto nessuno di questi reati.

D’altra parte, l’elevato timore nei confronti del furto nella propria abitazione è confermato da un italiano su dieci (10,9%) che dichiara di esserne stato vittima. Seguono le truffe e/o i raggiri (denunciati dal 9,3% dei cittadini) e le minacce (9,1%). Meno frequenti i casi di scippo (7,3%), le truffe su Internet (7,3%) e il furto dell’automobile (7,1%); ancora meno, le aggressioni fisiche subite (4,9%) e le truffe e i raggiri nel campo del lavoro, o meglio, nella ricerca dello stesso (4,7%). L’1,7%, infine, confessa di essere stato vittima, nell’ultimo anno, di violenza sessuale.

Giustizia: Eurispes; il 10% dei reati è commesso da minorenni

 

Asca, 30 gennaio 2009

 

In Italia, ci sono all’incirca 12 milioni di persone sotto i diciotto anni d’età, ovvero un quinto della popolazione: circa il 10-11% dei reati denunciati, secondo il Rapporto 2009 dell’Eurispes, sono commessi da minorenni, molti da infraquattordicenni, con una percentuale in costante aumento.

Dal 1990 al 1999, il numero dei minorenni denunciati si è mantenuto superiore alle 40mila unità con un valore massimo di 46.051 nel 1996. Nel 2000, si è registrato il livello minimo di minorenni denunciati (38.963 unità), con una diminuzione dell’11% rispetto all’anno precedente. Fino al 2004, si sono registrati dei graduali aumenti, mentre nel 2006 il numero dei minorenni denunciati è diminuito del 2% rispetto al 2005, risultando pari a 39.626. Distinguendo i minorenni denunciati secondo l’età, emerge che la componente imputabile è quella prevalente (84% del totale delle denunce). Nella prevalenza dei reati contro il patrimonio (21.508) è evidente in modo particolare il reato di furto (12.670).

Seguono, in ordine di frequenza, i reati contro la persona (9.487), i reati contro l’incolumità e la libertà individuale (7.788), costituiti in particolare dalle lesioni personali volontarie (3.602); i reati contro l’economia e la fede pubblica (5.729); contro lo Stato e altre istituzioni sociali e di ordine pubblico (1.922) Invece, registrano minore frequenza i reati contro la vita (198) e quelli contro la famiglia, la moralità pubblica e il buon costume (177).

Al Nord le denunce più frequenti. Il 44% dei minorenni denunciati alle Procure della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni nell’anno 2006 ha commesso il reato nelle regioni del Nord, il 18% nelle regioni del Centro, il 23% al Sud e il restante 15% nelle Isole.

Inoltre, la componente straniera più consistente è al Centro (47%) e al Nord (41%); per il Sud e le Isole, la percentuale di stranieri è pari rispettivamente all’8% ed al 4%. Rispetto al 2005, è diminuito il numero dei denunciati stranieri al Centro (-12%), al Sud (-5%) e nelle Isole (-22%), mentre al Nord si registra un aumento del 2%.

Giustizia: Eurispes; l'86,3% non vuole l’immunità per i politici

 

Apcom, 30 gennaio 2009

 

Ben l’86,3% dei cittadini si dice contrario al lodo Alfano, che garantisce l’immunità alle alte cariche dello Stato, a fronte del 9,4% (abbastanza, 6,7% e molto 2,7%) di coloro i quali sono, invece, favorevoli. La disapprovazione nei confronti di tale provvedimento è un sentimento che accomuna indistintamente tutte le aree politiche rappresentate, seppur a livelli differenti: sono, infatti, contrari gli elettori di centro-sinistra (90,7%, di cui per nulla favorevoli 79,6% e poco 11,1%), di centro (84,4%, di cui per nulla 61,5% e poco 22,9%), di destra (79,7%, di cui per nulla 41,9% e poco 37,8%) e di centro-destra (76,9%, di cui per nulla 51,9% e poco 25%). È quanto emerge dal Rapporto Italia 2009 dell’Eurispes.

Giustizia: disegno di legge rende più duro... il "carcere duro"

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

Italia Oggi, 30 gennaio 2009

 

L’irrigidimento del regime penitenziario per mafiosi e terroristi è nuovamente al centro della discussione parlamentare. Ciò accade nonostante poche settimane fa il Comitato europeo per la prevenzione della tortura è venuto in visita in Italia per accertare le condizioni di detenzione dei circa seicento reclusi sottoposti a tale regime. Riprende infatti agli inizi della prossima settimana in Senato la discussione del disegno di legge n. 733 sulla sicurezza. L’interruzione del dibattito parlamentare era avvenuta per lasciare spazio alla votazione del disegno di legge anti-crisi. Una parte del testo è stata già votata, in particolare quella riguardante le norme che intervengono sull’immigrazione irregolare.

La discussione parlamentare andrà a riprendere da un punto che vede maggioranza e opposizione compatti nel chiedere l’indurimento del trattamento previsto per i detenuti sottoposti al regime di cui all’articolo 41 bis, secondo comma, dell’ordinamento penitenziario. L’unica eccezione è costituita dai radicali eletti nel gruppo del Partito Democratico i quali hanno presentato un emendamento abrogativo della norma presente nella proposta. La norma, assente nel testo originario del ddl, è stata inserita successivamente dalle Commissioni Giustizia e Affari costituzionali, con il consenso bi-partisan di maggioranza e opposizione.

In questa norma si prevede: 1) l’allungamento dei tempi della durata del regime duro sino a quattro anni prorogabili nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni, senza un limite massimo predefinito; 2) l’inversione dell’onere della prova, ossia da ora in poi dovrà essere l’interessato a dimostrare che non ha più legami con la criminalità organizzata; si specifica esplicitamente che il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione o dimostrare il venir meno dell’operatività della stessa; 3) la competenza sui reclami viene affidata al solo tribunale di sorveglianza di Roma (va ricordato però che è lo stesso che ha cancellato il regime per il boss siciliano Ganci, sollevando molte polemiche); 4) la riduzione dei colloqui visivi e telefonici con i familiari dei detenuti; le telefonate saranno video-registrate; 5) la collocazione dei detenuti preferibilmete in aree insulari; è questa una disposizione che in soldoni significa la riapertura delle carceri speciali di Pianosa e l’Asinara chiuse nel 1998; 6) una stretta ai colloqui con i difensori con i quali il detenuto potrà effettuare, fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari; 7) una sanzione penale sino a quattro anni di carcere per chi favorisce la comunicazione con l’esterno dei detenuti.

Inoltre, se il fatto è commesso da chi esercita la professione forense la pena della reclusione può arrivare sino a cinque anni. Gli ultimi due punti, in particolare, non potevano che determinare una reazione dura da parte dell’Unione delle Camere penali Italiane (Ucpi). A proposito della competenza esclusiva data al tribunale di sorveglianza di Roma viene denunciata la violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge. Viene altresì stigmatizzato il tentativo di criminalizzare la figura dell’avvocato difensore, il quale viene visto e temuto come contatto del detenuto con l’esterno.

Il 41 bis è un regime penitenziario pesantissimo che, proprio a causa della sua estrema durezza, è andato sotto la lente investigativa della Corte Costituzionale che ha affermato che tale regime debba essere necessariamente temporaneo. I vetri divisori ai colloqui, la negazione di ogni forma di socialità, la chiusura di ogni rapporto con l’esterno sono giuridicamente e costituzionalmente tollerabili, a dire della Consulta, solo se limitati nel tempo. Va ricordato che il 41 bis fu pensato dal legislatore all’indomani delle uccisioni dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Fu ideato come regime provvisorio che avrebbe dovuto sostituire il vecchio carcere speciale regolamentato dall’articolo 90 dell’ordinamento penitenziario abrogato con la legge Gozzini del 1986. Con una legge del 2002, quello che doveva essere un regime temporaneo - ogni anno veniva confermato con apposita legge - è stato stabilizzato ed esteso nella sua applicazione. Ora si attendono le valutazioni formali del Comitato europeo per la prevenzione della tortura che dovrebbero arrivare da un momento all’altro.

Va ricordato che giusto l’anno scorso un giudice californiano, D.D. Sitgraves, nel negare l’estradizione nel nostro Paese a un componente della famiglia Gambino, in una sentenza che fece scalpore, affermò che in Italia c’era il rischio di tortura proprio a causa della esistenza del 41 bis. E non è detto che nel provvedimento del ministro brasiliano della Giustizia Tarso Genro che ha negato l’estradizione per Cesare Battisti non si faccia riferimento al 41 bis.

Giustizia: Corte Strasburgo; 4.200 procedimenti contro Italia

di Patrizia Maciocchi

 

Il Sole 24 Ore, 30 gennaio 2009

 

Italia sempre più in alto nella classifica degli Stati meno virtuosi, stilata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: è quinta per numero di procedimenti pendenti davanti ai giudici di Strasburgo. Un trend negativo se si tiene conto, che a fine 2007 era in sesta posizione con 2.907 casi mentre al 31 dicembre 2008 i procedimenti a carico sono saliti a circa 4.200, il 4,3% del totale trattato dalla Corte. Peggio solo la Russia - 27.250 casi pendenti - la Turchia, che ha il record di condanne, e tra i nuovi Romania e Ucraina.

Sempre uguali le ragioni che portano l’Italia alla sbarra: dei circa 4.200 procedimenti in attesa di giudizio, 2.600 per la durata eccessiva dei processi (999 condanne negli ultimi dieci anni per il nostro Paese). Delle 82 sentenze emesse nel 2008 su ricorsi che hanno coinvolto l’Italia, 72 si sono concluse con almeno una violazione: in 51 casi è stata individuata, ancora una volta, nella lunghezza dei procedimenti. Il secondo articolo della Convenzione meno rispettato è sul diritto alla vita privata e familiare. Significative le violazioni della tutela delle proprietà privata, che hanno fatto sborsare all’Italia nel 2008, circa 4 milioni di euro per espropriazioni indirette avvenute negli anni ‘80.

Una cifra destinata a raggiungere quota 11 milioni di euro se l’Italia perdesse i ricorsi pendenti alla Grande Chambre. Risultati di cui si è rammaricato il presidente della Corte Jean Paul Costa durante la conferenza stampa di ieri: "L’Italia, pur avendo la stessa demografia di Francia e Inghilterra, produce un numero molto più elevato di ricorsi" ha detto. Dopo aver constatato l’inefficacia della legge Pinto a decongestionare il lavoro della Corte, Costa ha invitato ad applicare il principio di sussidiarietà.

Malgrado un lieve aumento delle decisioni rese, 1.543 (3% in più rispetto al 2007) la Corte di Strasburgo soffre un carico di lavoro aumentato nel 2008 del 23% rispetto allo stesso periodo del 2007. Le richieste pendenti passano da 79.400 a 97.300.

Giustizia: intercettazioni solo per "gravi indizi di colpevolezza"

 

Corriere della Sera, 30 gennaio 2009

 

Sul ddl Alfano che mette un forte limite alle intercettazioni telefoniche, anche nella versione riveduta e corretta dal governo con gli 8 emendamenti presentati ieri alla Camera, si profila un voto già la prossima settimana in commissione con una maggioranza più ampia che comprenderà quanto meno il via libera dell’Udc e probabilmente anche quello dei radicali.

L’operazione di ricucitura con centristi e radicali, tessuta dal Guardasigilli, mette ora il Pd nelle condizioni di correre da solo per affermare che Pdl e Lega non hanno voluto il dialogo: "Senza marcia indietro del governo il voto resterà contrario" ha detto Lanfranco Tenaglia al termine della riunione del governo ombra. E Walter Veltroni ha parlato di "distanze molto forti ": "La nostra posizione è per la massima libertà di intercettare evitando però che il contenuto delle telefonate finisca impropriamente sui giornali e questa è una posizione del Pd e anche, vorrei ricordarlo, dell’Italia dei valori". Lo spiraglio aperto con l’ipotesi di un’astensione del Pd, dunque, si è richiuso perché uno degli emendamenti presentati dal sottosegretario Giacomo Caliendo propone i "gravi indizi di colpevolezza" come presupposto per le intercettazioni, l’acquisizione dei tabulati e le riprese visive per tutte le indagini escluse quelle di mafia e terrorismo.

Gravi indizi di colpevolezza (oggi "gravi indizi di reato") vuol dire un dimezzamento degli strumenti della polizia giudiziaria nel perseguire i reati anche gravi che non sono di mafia e terrorismo. Le intercettazioni scatteranno solo se ci sarà un "quasi colpevole" che, a quel punto, potrebbe incappare anche nella custodia cautelare visto che i requisiti saranno gli stessi. E quando scatteranno (su autorizzazione di un gip collegiale nel capoluogo di distretto), gli ascolti dureranno meno: 45 giorni con una proroga di altri 15 solo se saranno "emersi nuovi elementi". In caso di procedimenti contro ignoti l’intercettazione ci sarà solo su richiesta della parte lesa sulle sue utenze e per il resto il controllo si limiterà all’acquisizione dei tabulati. Sarà impossibile intercettare due detenuti se uno dei due non è in carcere per mafia o terrorismo. La Digos dovrà chiedere l’autorizzazione al gip collegiale per puntare le telecamere sui cortei e sulle curve degli stadi. E ancora: le intercettazioni ambientali si potranno fare solo se "nei luoghi ove è disposta si stia svolgendo l’attività criminosa". Stop, poi, alle udienze in tv senza consenso delle parti.

Il giro di vite è forte nonostante Giulia Bongiorno (An) e la Lega abbiano puntato i piedi: forse per questo il governo ha detto che è solo colpa di un refuso la cancellazione dell’aggiotaggio e dell’insider trading dal ddl: "Il testo corretto è già stato spedito alla Camera" ha recuperato Caliendo. Il ddl così articolato, dunque, non dispiace all’Udc: "Non faremo barricate, anzi abbiamo contribuito a rimuovere quelle erette dalla maggioranza " dice Michele Vietti al quale fa subito da sponda Enrico Costa (Pdl) che auspica "un intenso dialogo con l’Udc". E Rita Bernardini (Radicali) ricorda che "la riforma della giustizia andrebbe fatta tutta insieme: "Se c’è questa condizione noi vogliamo solo collaborare". Infine la Fieg, gli editori, penalizzati in caso di pubblicazione delle intercettazioni: "No agli abusi ma bisogna salvaguardare il diritto di cronaca" dice il presidente Carlo Malinconico.

Giustizia: ddl stalking; ok dalla Camera a grande maggioranza

 

Redattore Sociale - Dire, 30 gennaio 2009

 

L’aula di Montecitorio, a stragrande maggioranza, ha dato il via libera al ddl Carfagna su "Misure contro gli atti persecutori" (stalking). Ora il ddl passa all’esame del Senato. "Certo, si poteva fare qualcosa di più, dispiace che non sia passato per due voti il patrocinio gratuito, ma nel complesso siamo contenti perché questo provvedimento l’abbiamo voluto noi" commenta l’onorevole Emilia De Biasi, del Pd, che aggiunge: "Adesso il provvedimento passa al Senato, lì ci aspettiamo qualche modifica sul versante della formazione professionale delle forze dell’ordine, molte volte impreparate sul come rapportarsi con le vittime". Per De Biasi inoltre, non bisogna dimenticare che il passo successivo "è quello di una legge organica contro la violenza sessuale", dove completare "il provvedimento approvato oggi".

 

Reclusione da 6 mesi a 4 anni per i persecutori

 

Da sei mesi a quattro anni di reclusione. È quanto rischia chi "molesta o minaccia" qualcuno (uomo o donna che sia) "con atti reiterati" tali da provocare "un perdurante e grave stato di ansia o di paura", oppure determinare "un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto" o costringere il perseguitato "ad alterare le proprie scelte o abitudini di vita". Lo prevede il disegno di legge sullo stalking del governo approvato oggi alla Camera dei deputati, (ora va all’esame del Senato), alla presenza del ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna, firmataria del provvedimento che introduce il reato di stalking nell’ordinamento italiano.

Nel corso della discussione sono emerse, nelle commissioni, perplessità proprio sulla reclusione da 6 mesi a 4 anni: anche esponenti della maggioranza avrebbero sottolineato come la norma in questione potrebbe creare uno squilibrio all’interno del codice penale rispetto alle pene previste per reati più gravi. Si prevede, inoltre, che la pena aumenti "se il fatto è commesso dal coniuge anche se separato o divorziato o da persona che sia o sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa".

Stessa musica se "il fatto è commesso a danno di un minore o di un soggetto diversamente abile". Il delitto di stalking è punito sempre a querela di parte, spiega il testo della commissione, ma si può procedere d’ufficio se il reato è commesso nei confronti di un minore o di un disabile e anche quando il molestatore sia stato già ‘ammonitò dal magistrato. Prima di presentare querela, infatti, la persona perseguitata può chiedere al Questore di ammonire l’accusato che viene invitato dalla pubblica autorità a tenere una "condotta conforme alla legge".

Il testo, inoltre, prevede che il giudice possa intimare all’imputato di non avvicinarsi (per un periodo che può arrivare fino ad un anno) ai luoghi frequentati dalla vittima. Infine le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia di reato di atti persecutori "hanno l’obbligo di fornire alla vittima stessa tutte le informazioni relative ai Centri antiviolenza presenti sul territorio". Tra le modifiche apportate in aula, l’aumento della pena se a commettere molestie è un recidivo o se si compie lo stalking nei confronti di una donna incinta.

 

Carfagna: grande giorno per paese e per donne

 

"Oggi è un grande giorno per il Paese, per la politica, per le donne". Così il ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna, saluta l’ok bipartisan al ddl sullo stalking da parte della Camera. Ora la palla passa al Senato, che "spero vorrà approvarlo celermente. Dal giorno dopo- osserva il ministro- le donne avranno uno strumento in più per potersi difendere contro quegli atti persecutori, quei comportamenti invasivi, intrusivi, ossessivi che rendono la vita delle donne un inferno dal punto di vista psicologico e spesso anche fisico". Carfagna, parlando con i cronisti a Montecitorio, appare soddisfatta anche per l’appoggio incassato dal provvedimento da parte di tutte le forze politiche, "di maggioranza e opposizione". Sul capitolo risorse, il ministro assicura che "c’è un fondo di 20 milioni di euro a disposizione del Dipartimento delle Pari opportunità". E poi "sarà mia cura cercare di ottenere altri fondi". Sui recenti casi di stupri, "il governo ha dimostrato di avere non solo grande sensibilità, ma anche consapevolezza che si tratta di una priorità da affrontare subito e con determinazione".

 

Alemanno: equiparare stupro al tentato omicidio

 

"Siamo profondamente offesi dalla concessione degli arresti domiciliari al ragazzo che ha confessato di essere l’autore dello stupro di Capodanno alla Nuova Fiera di Roma. Per questo voteremo un ordine del giorno in cui chiediamo inasprimento e certezza delle pene per questi reati e come misura cautelare sempre la custodia cautelare in carcere". Così il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, durante il consiglio comunale straordinario sulla violenza contro le donne. La violenza sessuale dovrebbe, per il sindaco, essere "equiparata al tentato omicidio". Quanto all’episodio dello stupro al veglione Amore 09, Alemanno torna a dire che "abbiamo già deciso di rendere più strette le maglie per la concessione dei patrocini. Dobbiamo concederli solo quando siamo certi del valore culturale ed etico della manifestazione".

 

Melchiorre (Ld): non tutela le donne, voteremo contro

 

"Il nuovo reato di atti persecutori, cosiddetto stalking, non va nella direzione auspicata di tutelare le donne dalle molestie e dalle violenze, essendo a rischio la sua stessa applicabilità. Pertanto, noi Liberal Democratici voteremo contro". È quanto afferma la presidente del Gruppo dei Liberal Democratici, Daniela Melchiorre, in sede di dichiarazione di voto finale alla Camera dei Deputati sul ddl 1440 che introduce il reato di atti persecutori. "Il nuovo reato - spiega Melchiorre - è a rischio di censura incostituzionale in quanto difetta della sufficiente determinatezza che, come anche registrato dalla commissione Affari costituzionali e dal sottosegretario alla Giustizia, rappresenta, come noto, espressione del fondamentale principio di legalità previsto dalla nostra Costituzione".

Per Melchiorre "si tratta di un provvedimento illiberale perché lascia al magistrato una eccessiva discrezionalità e introduce delle pene che non sono proporzionate rispetto al fatto che costituisce reato". Conclude la parlamentare: "Non avevamo bisogno di una nuova norma, ma si sarebbe dovuto invece lavorare affinché le norme già contenute nel nostro codice penale potessero trovare una più puntuale e corretta applicazione".

 

Rao (Udc): bene la legge, ma è migliorabile al Senato

 

"Lo stalking è una piaga sociale che le tecnologie moderne hanno reso ancora più odiosa, senza contare che il 5% degli omicidi in Italia è preceduto da atti persecutori". Lo afferma il deputato dell’Unione di Centro Roberto Rao, componente della commissione Giustizia della Camera, durante la dichiarazione di voto finale sul disegno di legge per contrastare gli atti persecutori.

"L’Unione di Centro - prosegue - ha condiviso la necessità di fornire alle vittime di molestie una tutela e un sostegno maggiori e, al contempo, uno strumento più efficace alla magistratura e alle Forze di Polizia per contrastare il fenomeno". Ma prosegue Rao: "Favorire la prevenzione e perfezionare le sanzioni restano punti fondamentali. Per questo al Senato ripresenteremo le nostre proposte per migliorare il testo del disegno di legge approvato oggi dalla Camera al fine di chiarire con maggiore nettezza gli ambiti di applicazione della norma, per evitare qualsiasi dubbio interpretativo".

 

Consigliera parità: approvazione è una vittoria per le donne

 

"Il voto della Camera sul disegno di legge sullo stalking approvato quasi all’unanimità è una vittoria delle donne e rappresenta un importante passo in avanti dell’ordinamento civile della Repubblica". Lo afferma in una nota Alessandra Servidori, Consigliera nazionale di Parità. "Gran parte del merito - aggiunge - va al ministro Mara Carfagna che ha fortissimamente voluto questa legge".

Altrettanto significativo "è stato il contributo delle parlamentari di tutti i gruppi, che, al di là delle differenze politiche, hanno saputo realizzare delle importanti convergenze, come già era avvenuto sulle mozioni sulla violenza sessuale". Conclude Servidori: "In un momento in cui le donne continuano ad essere violate, la risposta della Camera è un segnale forte e chiaro che fa onore alle massime Istituzioni della Repubblica".

Giustizia: Ionta (Dap); 330mila traduzioni, giudici dai detenuti

 

Ansa, 30 gennaio 2009

 

Il Capo del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), Franco Ionta, ha stigmatizzato l’eccessivo numero delle traduzioni dei detenuti nei vari Tribunali anche perché spesso l’autorità giudiziaria svolge gli interrogatori nei propri uffici e, invece, non va in carcere a farli. Ionta ha spiegato che, l’anno scorso, le traduzioni sono state "330 mila", "20-25% per convalida di fermi e arresti". "Questo perché - ha spiegato - l’autorità giudiziaria preferisce non andare in carcere e farsi portare i detenuti nei propri uffici per gli interrogatori". I detenuti, per Ionta, dovrebbero infine essere portati nelle celle di sicurezza della polizia che ha operato gli arresti e non, invece, come accade ora direttamente in carcere prima della convalida.

Lettere: Palermo; i volontari, all’Ucciardone non sono graditi?

 

Ristretti Orizzonti, 30 gennaio 2009

 

Il dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria direzione Generale dei Detenuti e del trattamento, il 18.12.08 ha inviato una Circolare dove sollecita i provveditori dell’amministrazione penitenziaria regionali e gli assessorati alla salute di attuare tutti gli atti necessari per la prevenzione dei suicidi e tutela della vita e della salute delle persone detenute e/o internate. Nella stessa circolare si indicava di coinvolgere anche il mondo del volontariato per tale problematica.

Il 28.12.08 lo stesso Dipartimento convoca una riunione per comunicare l’istituzione di 6 giornate nazionali (dal 9 al 14 Febbraio) sul tema della prevenzione dei suicidi dei detenuti.

A tale sollecitazione, la Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Sicilia ed il Centro Padre Nostro, fanno presentare a 3 volontari la domanda per svolgere attività di ascolto dei detenuti all’interno dell’Ucciardone, ma per tutta risposta il direttore Maurizio Veneziano ci comunicava che i volontari potevano svolgere il loro servizio nell’ambito delle attività istituzionali del Uepe ex Cssa, cioè all’esterno del carcere.

Oggi apprendo dalla stampa, solo Repubblica, il Giornale di Sicilia non ne parla, che c’è stato un caso, ancora dubbio di suicidio nel carcere dell’Ucciardone. Sino a quando dovremo continuare a mettere panni caldi su questioni così delicate e drammatiche come quella sulle problematiche carcerarie, in particolar modo sui suicidi che si consumano all’interno delle carceri italiane? Non c’è più bisogno di tavoli, convegni o giornate per sensibilizzare la gente su questo tema, già sanno qual è il problema e quali le soluzioni.

Il problema, come sempre, è fare rispettare le leggi ed i vari accordi di programma firmati dalle istituzioni e dalle associazioni di volontariato. Non vorrei che con quella Circolare e quella riunione il Dap si fosse messo a posto la coscienza. So che il volontariato non deve prendere il posto delle istituzioni, ma in mancanza d’altro, visto i fondi tagliati ai Prap regionali, converrebbe collaborare per il bene di chi, per un motivo o per un altro, è stato privato della libertà personale.

 

Maurizio Artale

Presidente della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Sicilia

e del Centro di Accoglienza Padre Nostro

Lettere: il caso Battisti, l’ergastolo e i diritti violati nelle carceri

 

Carta, 30 gennaio 2009

 

Sulla mancata estradizione di Cesare Battisti dal Brasile e sull’intenzione del ministro della giustizia brasiliano di concedergli l’asilo politico il presidente della repubblica Giorgio Napolitano si è dichiarato: "Stupito e rammaricato". Difende l’Italia dall’accusa implicita nella decisione del Brasile, che i detenuti in Italia vedono violati i propri diritti. [Fonte il Manifesto del 18 gennaio 2009].

La decisione del governo brasiliano dimostra, invece, che le massime cariche dello Stato o non conoscono la realtà italiana o che la retorica dei loro discorsi ufficiali non basta a nascondere la realtà, peraltro ben nota, ormai, al di fuori dei confini nazionali.

Infatti, anche un giudice americano nel 2007 ha negato l’espulsione di un italiano accusato di mafia, avvalendosi della testimonianza di un agente F.B.I., il quale a proposito del 41 bis in Italia ha riferito al giudice: "Lo useranno per ottenere informazioni".

Il giudice ha motivato la negazione dell’estradizione: "C’è il rischio che venga sottoposto al regime di carcere duro, previsto dall’art. 41 bis del codice italiano, un trattamento che equivale alla tortura". Il premio Nobel Bassiouni ha condiviso la sentenza, per le pressioni psicologiche attuate nel regime del 41 bis italiano. [Corsera 16.10.07].

Ricordiamo al presidente Giorgio Napolitano che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per il regime di tortura del 41 bis.

Non a caso il presidente dell’Alta corte americana, mister Scalia - di origine italiana - alla domanda come giudica la giustizia italiana, qualche anno fa, rispondeva: "Da tutti i giudici mi farei giudicare, ma non da quelli italiani", dimostra di saperne di più dei nostri governanti. Ricordiamo al nostro presidente che la retorica dei discorsi ufficiali non cancella il fatto che l’Italia, unico paese al mondo, ha una pena ostativa come l’ergastolo che a tutti gli effetti si estingue solo con la morte. Non cancella il fatto che quello che sta avvenendo attualmente nelle carceri italiane non è aderente ai principi costituzionali su cui è stato fondato questo Stato.

In Italia in otto anni sono morti all’interno delle carceri 1.200 detenuti, un terzo dei quali per suicidio. Quello che si consuma all’interno delle carceri italiane, non è lontanamente paragonabile al passato della storia penitenziaria italiana, né della storia irachena, né a quella statunitense dove è pur in vigore la pena di morte. In Cina, in Iran, in Iraq, ammazzano in un colpo solo, in Italia gli ergastolani che non possono ottenere i benefici penitenziari vengono psicologicamente uccisi ogni giorno e ogni giorno sempre di più. Ricordiamo al nostro presidente che Pianosa non è stata diversa da Abu Graib e Guantanamo, solo perché si sono insabbiate le inchieste o perché è stato occultato alla gente cosa è avvenuto in quei luoghi.

La retorica dei discorsi ufficiali o le amnesie non cancellano il fatto che oggi nelle sezioni del 41 bis vegetano da decenni esseri umani che hanno figli anche ventenni che non hanno mai avuto la possibilità di conoscere o semplicemente abbracciare, mentre persino il regime fascista raccomandava gli operatori penitenziari: "Le relazioni tra le famiglie e i detenuti si mantengano affettuose, esortando le famiglie a dare ai detenuti frequenti notizie e buoni consigli".

Non cancellano il fatto che in Italia vi sono detenuti entrati in carcere diciottenni/ventenni che dopo 20/30 e più anni di detenzione, ormai cambiati, non hanno possibilità di rifarsi una vita, solo perché rientrano nel comma 1 dell’art. 4 bis, per effetto del quale gli ergastolani italiani con l’ergastolo ostativo non possono coltivare alcuna speranza di reinserimento nella società. Non possono e non devono essere reinseriti, non per provare, personali e contingenti esigenze di sicurezza, ma per il reato per il quale sono stati condannati.

Condannati molte volte solo perché accusati di quel reato e non per le specifiche, personali e provate colpe. Come gli ebrei nella Germania nazista, attraverso il reato d’autore gli ergastolani non devono essere restituiti alla vita, perché, nel paese patria del diritto romano occidentale, ormai è regola che dal momento dell’arresto, il titolo del reato fa perdere all’individuo ogni diritto e ogni uguaglianza di giustizia nel processo prima e durante l’espiazione della pena.

 

Carmelo Musumeci, Sebastiano Milazzo, Giovanni Spada, Ivano Rapisarda

Ergastolani in lotta per la vita di Spoleto

Lettere: i detenuti scrivono a Riccardo Arena, di Radio Carcere

 

www.radiocarcere.com, 30 gennaio 2009

 

Anche a Pesaro si dorme per terra. Cara Radiocarcere, ti scriviamo per denunciare le condizione in cui siamo costretti a scontare le nostre condanne. Prima di tutto il sovraffollamento. Spesso le celle del carcere di Pesaro sono talmente piene che diversi detenuti sono costretti a dormire per terra su materassi vecchi e sporchi. Così passiamo circa 21 ore chiusi, senza poter uscire o fare attività rieducativa.

Infatti qui nel carcere di Pesaro non c’è nulla per noi detenuti, tantomeno la possibilità di imparare un lavoro, lavoro utile per non tornare a delinquere una volta liberi. Le nostre celle inoltre sono sporche, con i muri scrostati, e le finestre sono rovinate, tanto che non si chiudono bene, con la conseguenza che la nostra cella è piena di spifferi di vento.

Il panorama dei detenuti nelle celle è poi sconfortante. C’è chi ha livelli elevatissimi di diabete e non viene curato, c’è chi ha il femore rotto ed è costretto sempre a stare a letto, oppure c’è chi si riempie di psicofarmaci. Ovviamente tutti questi detenuti sono ammassati nella stessa cella. È un panorama disumano. Educatori e assistenti sociali qui nel carcere di Pesaro non si vedono mai e gli altri ci trattano come delle bestie. Per queste ragioni diversi di noi hanno già iniziato lo sciopero della fame e chiediamo che qualcuno ci venga ad aiutare.

 

Mario ed altre 46 persone detenute nel carcere di Pesaro

 

Noi ergastolani senza la nostra educatrice. Caro dottor Arena, siamo un gruppo di detenuti del carcere di Carinola, in provincia di Caserta. Siamo tutti del circuito di altissima sicurezza e proveniamo da diverse regioni, come la Sicilia, la Puglia e la Calabria. Sarà quindi facile immaginare i reati per cui siamo stati condannati. Tutti noi abbiamo pene altissime. I più fortunati devono scontare 20 o 30 anni, gli altri: uno o più ergastoli. Per noi non ci sono speranze per il futuro, ma tanti momenti di crisi ripensando al nostro passato, alle nostre tragiche scelte che hanno causato tanto dolore alle nostre vittime.

Le scriviamo non per lamentarci della nostra pena, ma perché in questo carcere punitivo abbiamo avuto fino a poco tempo fa uno spiraglio di luce. E questo spiraglio di luce era la nostra educatrice, che è stata trasferita all’improvviso. Un trasferimento che ha riportato il buio nelle nostre vite. Abbiamo perso chi sapeva ascoltarci, chi sapeva farci riflettere sul nostro passato, e in un posto come questo è una grande perdita. Abbiamo protestato per questo trasferimento, ma è stato inutile. Ci piacerebbe dire al Ministro Brunetta che non è vero che tutti i dipendenti dello Stato sono fannulloni. È invece vero che in Italia chi lavora seriamente non viene apprezzato. Fino ad ora nessuno ci ha dato voce, ma siamo certi che Radiocarcere del Riformista non ci deluderà.

 

Giovanni, Giuseppe Domenico Antonio e altre persone detenute a Carinola.

 

Magistrati & Carcere. Ciao Riccardo, sono 16 anni che sto in carcere e tra poco finirò la mia pena. Ti scrivo dalla mia cella. Un piccolo ambiente che divido con altri 3 detenuti. Noi quattro dobbiamo dividerci questo poco spazio e il bagno, che altro non è che un buco messo in bella vista in un angolo della cella. Ci inventiamo di tutto per avere un pò di riservatezza quando dobbiamo fare i bisogni…ma puoi immaginare quanto sia inutile. Come se non bastasse la nostra cella è gelata. Il freddo si fa sentire anche qui a Nuoro e chiaramente i termosifoni non funzionano. Inoltre la finestra della cella si chiude male e da lì entra di tutto: vento e pioggia. La notte ti assicuro che è un incubo, anche perché i letti a castello sono proprio all’altezza delle finestre e così, dopo una notte passata al gelo, ci svegliamo sempre raffreddati.

Seguo con interesse l’iniziativa di Radiocarcere che vuole far interessare i magistrati al rispetto della legge in carcere. Ecco a questo proposito mi permetto sommessamente di dire la mia. In 16 anni di detenzione, fatti in tante carceri italiane, ho visto assai raramente un magistrato di sorveglianza adoperarsi per ripristinare la legalità in un carcere dopo una nostra segnalazione.

Ma non solo. Io sono qui nel carcere di Nuoro da 3 anni e ho inviato al magistrato di sorveglianza ben 15 reclami sulle violazioni di legge presenti qui nel carcere di Nuoro e ancora aspetto una risposta. La domanda è: a chi dobbiamo rivolgerci per fare rispettare i nostri diritti e per far rispettare la legge in carcere?

 

Mimmo dal carcere di Nuoro

Veneto: pochi giudici e regione a rischio malavita organizzata

 

Il Gazzettino, 30 gennaio 2009

 

Il distretto giudiziario di Venezia, che fa riferimento alla Corte d’Appello lagunare, dispone di un solo magistrato ogni 95.892 abitanti, ponendo il Veneto tra le ultime realtà del Paese. È quanto emerge da una rilevazione statistica fatta dalla Corte stessa ed anticipata oggi in vista dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario di sabato prossimo.

I dati sono stati raccolti in un volume di oltre 400 pagine dal Presidente della Corte d’Appello Manuela Romei Pasetti che ha sottolineato come "il Veneto, sul fronte giustizia, è dimenticato; con molti posti vacanti per magistrati ed addetti e un organico strutturato esattamente come quando la regione era agricola e non industrializzata come oggi". Per Romei Pasetti - concorde anche il Procuratore generale Ennio Fortuna - "non servono più magistrati ma una redistribuzione sul territorio nazionale che tenga conto delle esigenze del nuovo contesto storico". Emblematico il caso di Vicenza con 27 magistrati per 626 mila abitanti, a fronte di una media nazionale di un magistrato ogni 15 mila: tutto questo sta a significare, per Romei Pasetti, "16 magistrati in meno".

Il Veneto "ricco" è a rischio delinquenza. Secondo Romei Pasetti il Veneto, regione ricca, è potenzialmente appetibile per la delinquenza, in particolare quella organizzata. Per il presidente della Corte d’Appello il Pil pro capite in Veneto - con il 9% delle imprese del sistema Paese - si attesta intorno a 30 mila euro. Una ricchezza - secondo il magistrato - che può diventare interessante per chi delinque. Per far fronte a ciò, a giudizio di Romei Pasetti, è indispensabile una giustizia certa, veloce ed efficace, che però "non può essere garantita - avverte - con gli organici attuali, ridotti al minimo per vuoti e per organico strutturale. Per personale intendo magistrati e addetti, indispensabili a fronte del crescente numero di procedimenti "sopravvenuti" che si sommano a quelli "definiti" per migliaia di fascicoli".

Il personale amministrativo nei Tribunali del Veneto è in grande sofferenza, con vuoti d’organico che superano in alcuni casi il 30%. È quanto emerge dalla rilevazione statistica fatta dal presidente della Corte d’Appello di Venezia. Per gli uffici giudicanti il vuoto complessivo è del 28% con un 35% per il Tribunale dei minorenni e del 34% per la Corte d’Appello. Per gli uffici requirenti i vuoti sono al 17% con il picco di Belluno che supera il 33%. Infine è stato registrato un buco del 27% per quanto riguarda il numero degli ufficiali giudiziari.

Carenze d’organico che incidono, per Romei Pasetti, in modo determinante sui tempi della giustizia e cui va aggiunto il mancato adeguamento temporale delle qualifiche e strutture poco idonee, con centinaia di faldoni accatastati lungo scale, corridoi e "anfratti" dei Palazzi di giustizia. In particolare per la giustizia minorile, l’organico del Tribunale dei minori di Venezia pone il Veneto come fanalino di coda del Paese. L’ufficio veneziano, che copre l’intero territorio regionale, può contare su un Presidente e sei giudici togati ogni 692.261 abitanti a fronte di realtà come Torino, che ha un giudice ogni 435.282 abitanti, Milano (un giudice ogni 394.685 abitanti) e Roma (un giudice ogni 351.164 abitanti). Per Romei Pasetti si tratta di "dati eloquenti di disparità soprattutto se si pensa che il Veneto ha il 24,4% di minori stranieri residenti, la più alta percentuale d’Italia".

Veneto: 3mila detenuti, è record storico; più del 60% stranieri

 

Nelle carceri del Veneto sono detenute 3.019 persone, di cui 1.404 condannate e 1.603 in attesa di giudizio. Il 61% del totale sono stranieri, per lo più marocchini (21%), tunisini (18%), albanesi (11%) e romeni (10%). È quanto emerge dalla rilevazione statistica di oltre 400 pagine realizzata dalla Presidente della Corte d’Appello di Venezia, Manuela Romei Pasetti, in vista dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario.

In pratica l’effetto dell’indulto è stato ampiamente superato, con carceri sovraffollate a cominciare da quello di Venezia che ospita un centinaio di detenuti di troppo, e con gli stranieri che tra il 2006 e il 2008 sono cresciuti del 25%. Per Romei Pasetti, inoltre, è preoccupante che in carcere aumentino quanti sono in attesa di giudizio rispetto ai condannati. Per questo il magistrato auspica il ricorso ad accordi internazionali affinché i carcerati scontino la detenzione nel Paese d’origine, con sgravio dei costi per la giustizia italiana, così come, specie per quanti escono dal carcere vengano avviati percorsi di reinserimento per evitare "come accaduto con l’applicazione dell’indulto - ha detto - che ricadano nel delinquere".

Milano: non siamo aguzzini... ma San Vittore ormai è un Cpt!

di Oriana Liso

 

La Repubblica, 30 gennaio 2009

 

"A San Vittore si esercita la tortura? Che devo dire, siamo amareggiati e indignati, perché noi - e intendo tutti gli operatori - non siamo torturatori. La struttura ha un problema oggettivo, ma certo non è Guantanamo. Per le risorse che abbiamo e per le emergenze continue che dobbiamo affrontare, facciamo tutto quello che possiamo e che la legge ci chiede di fare".

Allarga le braccia, sconsolato, il provveditore regionale alle carceri Luigi Pagano, che di San Vittore è stato carismatico direttore e che lavora ancora a pochi metri dall’ingresso di piazza Filangieri 2. Vuole evitare polemiche con il presidente della corte d’Appello Grechi, "ma resto perplesso davanti al fatto che quando si parla del sovraffollamento di San Vittore sembra sempre una novità, quando invece ci facciamo i conti da sempre".

 

Dottor Pagano, le celle scoppiano davvero?

"Succede, e succede ogni giorno. Oggi ci sono quasi 1.300 uomini, i posti ufficiali sono settecento. Ma se ci si scandalizza per questo vuol dire non considerare che ogni mattina a San Vittore possono arrivare venti, trenta, cinquanta detenuti. E non si possono rimandare indietro, né altrove. Qui arrivano e qui devono stare, perché questa è una casa circondariale, non puoi programmare gli ingressi. A Bollate, che è una casa di reclusione, se decidiamo che i detenuti devono essere 800, tanti ce ne stanno. A San Vittore ci sta chi arriva, ogni giorno. Non si sceglie la sua capienza: ci si organizza per gestirla".

 

Qual è il problema? Aumentano i detenuti, aumentano i reati?

"Dopo quasi tre anni stiamo tornando ai numeri pre-indulto, ma non è un problema di aumenti, quanto di trasformazioni. La popolazione di San Vittore è radicalmente cambiata in dieci anni. I detenuti stranieri erano il cinque per cento, oggi sono il 75. Nella maggioranza dei casi senza un domicilio fisso, una residenza, clandestini, con più alias. Persone che non puoi mettere ai domiciliari: per loro non si possono usare quelle misure alternative che servono a non far scoppiare le carceri. Devono stare qui. Lo dico senza timore di passare per razzista: siamo diventati un grande Cpt. Ecco perché spero negli accordi bilaterali, sarebbero un modo per rimandare in patria i detenuti stranieri".

 

Una popolazione carceraria più difficile da gestire?

"Una popolazione che costa, su cui non si possono fare progetti a lungo termine, visto che ogni anno cambiano tutti i detenuti - salvo poi rientrare ciclicamente - e viste anche le difficoltà di far quadrare i conti. Però non posso dimenticare che su sei, settemila detenuti che entrano ogni anno, non c’è mai stato un caso di tubercolosi, che l’attenzione che ci mettiamo - da professionisti, non da volontari - è così alta che l’anno scorso gli ispettori mandati dal ministero della Giustizia hanno scritto nella loro relazione: "è particolarmente presente in tutti gli operatori una attenzione, che potrebbe definirsi maniacale, alla prevenzione di eventi critici e allo stato di salute mentale dei detenuto, specie dei nuovi giunti". Per questo trovo ingeneroso dire che qui si pratica la tortura, confondendo i problemi di una struttura con l’impegno di chi ci lavora".

 

Quando era detenuto a San Vittore Fabrizio Corona scattò di nascosto foto della sua cella: c’erano gli scarafaggi, tutto sembrava cadere a pezzi.

"Corona era al sesto raggio, che deve essere ancora ristrutturato e che in effetti è messo male: abbiamo chiesto i fondi per ristrutturarlo, ma nel frattempo dovremmo anche liberarlo. Ora una parte dei detenuti protetti che sono lì - più altri di Opera, per un totale di duecento persone almeno, selezionate in base a criteri di affidabilità e autocoscienza - li trasferiremo nel nuovo settore di Bollate. L’obiettivo è scendere a mille detenuti a San Vittore. C’è un problema di sovraffollamento? Vivaddio se ne stanno accorgendo tutti: ma non possiamo risolverlo noi dall’interno".

 

Quanto servirà la cittadella della giustizia?

"Tanto, di sicuro, perché almeno eviterà le costose traduzioni dalle carceri ai tribunali. Ma la cittadella non verrà costruita prima di sei anni. E nel frattempo che si fa? Io il problema delle celle piene ce l’ho oggi. E poi non basta pensare a costruire nuove carceri. Devono prima cambiare le leggi - deve esserci uno sforzo comune di rendere armonici il codice penale, il codice di procedura penale, l’ordinamento carcerario - altrimenti gli istituti, anche quelli peggio di San Vittore, e ce ne sono, saranno sempre pieni".

Milano: Ionta (Dap); parole di Grechi sono forti e inaccettabili

 

La Repubblica, 30 gennaio 2009

 

"Sono parole forti e inaccettabili. Le parole hanno un peso e non possono essere utilizzate impropriamente". Così il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), Franco Ionta, ha commentato quanto detto dal presidente della Corte d’appello, Giuseppe Grechi, sulla "tortura" a San Vittore

Il Capo del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), Franco Ionta, nel corso della presentazione di Agenzia 27, destinata alla formazione e all’inserimento dei detenuti nel mondo del lavoro, ha risposto indirettamente al presidente della corte d’Appello di Milano, Giuseppe Grechi, che sul sovraffollamento nel carcere di San Vittore aveva detto: "In una cella ci sono otto detenuti quando ce ne devono essere tre". E ancora: "Si esercita la tortura a pochi metri da piazza Duomo".

Ionta, pur senza citare le parole dell’alto magistrato, le ha giudicate "inaccettabili perché le parole hanno un peso". "Mi auguro - ha detto - che servano a sollevare un problema: è vero che degli istituti soffrono di sovraffollamento e abbiano delle difficoltà, ma certe parole rischiano di essere percepite come un’offesa per uomini e donne che, in divisa o senza divisa, compiono grandi sacrifici all’interno degli istituti di pena".

Milano: Osapp; Ionta pensi a dei rimedi... invece di indignarsi

 

Il Velino, 30 gennaio 2009

 

Invitiamo il Capo del Dipartimento delle carceri italiane, più che a indignarsi per le parole dette ieri dal presidente Grechi sulle condizioni degli istituti milanesi, a prendere i provvedimenti necessari quale nuovo Commissario straordinario all’edilizia penitenziaria".

Lo afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp) a proposito delle parole di risposta a Grechi che Ionta ha voluto oggi pronunciare in occasione della presentazione a Milano dell’Agenzia 27, il progetto pilota destinato al recupero dei detenuti.

"Certamente il termine tortura utilizzato dal presidente della Corte d’appello di Milano è comunque forte, e non rispecchia assolutamente lo stato in cui versano i condannati, a Milano e in Italia. Ancora ieri, in occasione del dibattito organizzato dal Tempo per chiedere l’estradizione di Battisti, sottolineavamo come in Italia non si sia ma respirato quel regime di oppressione e di persecuzione che ha convinto le autorità brasiliane a ospitare, invece, il terrorista italiano.

Oggi ribadiamo con forza quel concetto, ma non possiamo negare che il sovraffollamento renda sempre più grave la vita per i detenuti, che a fine febbraio supereranno quota 59.000, e per gli agenti di Polizia penitenziaria votati al sacrificio quotidiano. Se certe cose si dicono è perché in fondo ci sono motivi ben precisi, legati forse al fatto che la cittadella è sempre più lontana dall’essere realizzata.

Il commissario straordinario non dovrebbe lamentarsi troppo, in fondo è sua specifica e diretta responsabilità operare affinché certe condizioni migliorino, soprattutto dopo l’attribuzione di quei poteri che il governo gli ha dato, e proprio perché non ci sia più la necessità di parlare di condizioni disumane dei reclusi".

Milano: Sappe; bene i detenuti al lavoro, ma servono riforme

 

Il Velino, 30 gennaio 2009

 

"È certamente positivo il progetto dell’amministrazione penitenziaria che prevede la costituzione di agenzie di collocamento presso i provveditorati regionali con il compito di raccogliere richieste di lavoro dalle regioni, province, comuni e imprese e al contempo mettere a disposizione forza lavoro costituita da soggetti in espiazione di pena. Da sempre sosteniamo che è proprio il lavoro l’elemento cardine per un vero trattamento rieducativo del condannato".

Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia penitenziaria (Sappe) alla presentazione a Milano San Vittore dell’Agenzia 27, destinata alla formazione e all’inserimento nel mondo del lavoro dei detenuti. "È però altrettanto vero che - prosegue - alla generale crescita della popolazione detenuta avvenuta a partire dall’anno 1991 (e oggi ben oltre le 58 mila unità) non ha fatto riscontro un corrispondente aumento del numero dei detenuti ammessi al lavoro. Dare un senso alla pena vuol dire anche far lavorare i detenuti.

E per fare efficacemente tutto questo si dovrebbe potenziare maggiormente l’area penale esterna per quei detenuti con pene brevi da scontare e avvalersi di innovative forme di controllo come il braccialetto elettronico da affidare in gestione al corpo di Polizia penitenziaria".

"Il nostro auspicio è che - aggiunge Capece - ora l’amministrazione penitenziaria, guidata da un capo dipartimento, Franco Ionta, che è stato recentemente nominato anche commissario straordinario per le carceri, compia le importanti riforme strutturali che riguardano il corpo di Polizia penitenziaria. Mi riferisco, in particolare, ai progetti che prevedono l’affidamento al corpo dei controlli sulle misure alternative alla detenzione e sull’esecuzione penale esterna, le riforme del gruppo operativo mobile e dell’Ufficio per la sicurezza personale e per la vigilanza (Uspev) oltre a una serie di interventi mirati per quanto concerne il potenziamento degli organici del corpo e per arrivare a istituire finalmente la direzione generale del corpo di Polizia penitenziaria nell’ambito del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. È su queste priorità che, a nostro avviso - conclude il segretario generale Sappe -, dovrebbe ora muoversi l’Amministrazione penitenziaria".

Palermo: detenuto impiccato in cella, un indagato per omicidio

 

Ansa, 30 gennaio 2009

 

È indagato per omicidio uno dei compagni di cella di Francesco Lo Bianco, il detenuto di 28 anni che era stato trovato impiccato tre giorni fa nel carcere palermitano dell’Ucciardone. Si tratta di un albanese di 36 anni al quale questa sera la squadra mobile ha notificato un avviso di garanzia in cui si ipotizza appunto il reato di omicidio.

L’albanese sarà interrogato probabilmente domani. Secondo quanto si apprende, l’impiccagione di Lo Bianco sarebbe stata inscenata dopo la sua morte per far pensare a un suicidio. Questa ricostruzione però non aveva convinto la famiglia della vittima, che aveva presentato un esposto alla Procura della Repubblica. Non è ancora chiaro in quale contesto sia maturato il delitto, se una lite oppure una punizione. Lo Bianco, che era in carcere per una vicenda di reati sessuali, era recluso assieme ad altre sei persone, tra le quali l’albanese ora indagato.

 

Famiglia presenta esposto

 

I familiari di un detenuto, Francesco Lo Bianco di 28 anni, trovato impiccato tre giorni fa nel carcere palermitano dell’Ucciardone, hanno presentato un esposto alla magistratura perché non credono alla tesi del suicidio. Per i parenti del recluso, che era stato arrestato il mese scorso per una vicenda di reati sessuali, Lo Bianco sarebbe stato picchiato nel corso di una "spedizione punitiva". L’autopsia, però, non ha rilevato segni di violenza sul cadavere. "Al di là delle ipotesi riguardanti le motivazioni e le modalità che avrebbero determinato il fatto, su cui auspico la tempestiva apertura di un’accurata inchiesta - ha detto il garante regionale dei detenuti, Salvo Fleres - un giovane di appena 27 anni ha perso la vita, ed è necessario porre in essere i dovuti accertamenti ed il mio ufficio, in tal senso, ha già avviato le relative procedure".

Bologna: Garante; Ipm non è conforme a principi Costituzione

 

Il Domani, 30 gennaio 2009

 

Nelle ultime settimane l’Istituto penale minorile di Via del Pratello è stato oggetto di crescenti attenzioni da parte dei soggetti istituzionali del territorio bolognese, anche attraverso sopralluoghi, in relazione alla precarietà delle condizioni di vivibilità all’interno della struttura da più parti denunciata.

Anche a seguito della certificazione da parte del Dipartimento di sanità pubblica dell’Ausl competente circa la fatiscenza, l’inadeguatezza e l’insicurezza dei locali, da anni definiti provvisori, del carcere minorile, interventi nel senso di una messa a norma degli ambienti, per rendere accettabili le condizioni di vita per chi vi è ospitato e per chi vi opera, paiono, ora, ineludibili.

Un’evidente conseguenza di tale situazione è che il trattamento dei minori ospitati non sia conforme ai principi costituzionali e che le finalità istituzionali che il servizio si pone, tra le altre la garanzia dei diritti soggettivi quale quello della salute e del rispetto della dignità umana, declinabile anche nel senso di una sicurezza igienico-sanitaria degli ambienti nei quali si consuma la permanenza, siano, per questa via, disattese.

Lo stesso primo cittadino, preso atto delle risultanze e degli elementi acquisiti, sta valutando l’opportunità di avvalersi dello strumento dell’ordinanza, nella sua veste di massima autorità sanitaria della città, per la messa in mora dell’amministrazione penitenziaria a fronte delle diverse carenze rilevate, secondo lo schema già utilizzato per affrontare le condizioni del carcere della Dozza.

Le stesse parlamentari bolognesi, dopo che hanno visitato la struttura degradata, hanno annunciato la richiesta di un’audizione del Ministro della Giustizia nella Commissione bicamerale Infanzia e la proposta di interpellanze nella sede parlamentare. Una soluzione a portata di mano della questione, che stante questo scenario, a dire il vero, pare profilarsi come necessaria, ed anche in questa direzione sono orientate le sollecitazioni degli attori istituzionali coinvolti, potrebbe essere il trasferimento, o quanto meno l’accelerazione dei tempi, nella nuova struttura, i cui lavori di ristrutturazione ebbero inizio nel 2002 ed ancora non hanno trovato ultimazione.

A questa vicenda, già di per sé drammatica, vengono ad aggiungersi i tagli operati dalla programmazione generale per l’anno 2009 da parte del Dipartimento della Giustizia minorile, il che contribuisce a rendere ancor più fosco l’orizzonte del carcere del Pratello. Le linee guida, contenute nella Circolare del Ministero della Giustizia, sanciscono, per i penitenziari che interessano quel particolare tipo di utenza che è quella dei soggetti minorenni devianti, un taglio ai finanziamenti nell’ordine del 40 per cento.

Il tutto si somma ai summenzionati problemi ambientali, alle carenze di organico degli agenti di polizia penitenziaria, al sovraffollamento nell’attuale struttura (il trasferimento nella nuova struttura consentirebbe di ovviare a questa criticità), alle poche offerte formative, alla mancanza di mediatori culturali per i ragazzi stranieri e di psicologi.

In uno scenario di questo genere l’unico servizio certo che si potrebbe riuscire a garantire è quello del vitto e dell’alloggio, contribuendo tali tagli a vanificare quelle stesse finalità istituzionali che sono a fondamento del mandato dell’amministrazione penitenziaria che, tra le altre cose, dovrebbe offrire opportunità di cambiamento per favorire la socializzazione del ragazzo in un’ottica di fuoriuscita dal circuito penale.

È la stessa circolare ad ammettere, senza giri di parole, che la funzionalità minima delle strutture del Dipartimento possa essere garantita solo attraverso l’ottenimento di adeguate risorse finanziarie la cui attuale esiguità può seriamente condizionare il conseguimento degli obiettivi e l’operatività del sistema. Il Dipartimento è ben conscio del fatto che la soluzione a tale impasse passi attraverso un sempre più importante coinvolgimento del territorio ed in questo senso confida nel rafforzamento delle sinergie e delle collaborazioni avviate in questi anni con gli attori sociali, istituzionali e non, del territorio per acquisire risorse che permettano di offrire maggiori opportunità per una compiuta realizzazione di politiche attive di reinserimento e di diffusione della cultura della legalità.

Pescara: inserimento di 4 detenuti in lavoro di pubblica utilità

 

Adnkronos, 30 gennaio 2009

 

È stato firmato oggi il Protocollo d’intesa tra provincia, Casa Circondariale di Pescara e Fondazione Caritas, per l’attuazione del progetto denominato Giustizia Riparativa, volto all’inserimento di soggetti detenuti in attività di pubblica utilità, promosso dall’assessorato alla Tutela sociale del cittadino, in concorso con l’amministrazione penitenziaria di Pescara. Il progetto mira alla realizzazione della cosiddetta riparazione con azioni diverse dalla custodia detentiva, e cioè attraverso prestazioni lavorative di pubblica utilità da parte di quei detenuti in esecuzione penale esterna (affidamento e semilibertà) oppure in permesso premio o ammissione al lavoro esterno. Dal 16 febbraio i primi 4 detenuti del carcere di Pescara, già in condizione di semilibertà (requisito necessario per beneficiare di questa misura) potranno scontare la pena rendendo un servizio alla comunità: lavorando dal lunedì al venerdì al parco fluviale, affiancati dal personale già in servizio della provincia.

Parma: detenuto per omicidio, pestato in carcere dagli agenti

 

Asca, 30 gennaio 2009

 

Lo avrebbero picchiato brutalmente in carcere a Parma sino a procurargli un trauma cranio-facciale ed ecchimosi varie. La vittima è Aldo Cagna, 30 anni, l’assassino di Silvia Mantovani, la giovane uccisa a Parma con 21 coltellate la sera del 12 settembre del 2006. Gli autori della brutale aggressione, secondo il pubblico ministero Giorgio Grandinetti, che ne ha richiesto il rinvio a giudizio, sono due guardie carcerarie e un assistente capo.

L’11 marzo l’udienza - V.C, 34 anni, e A.M., 36 anni, sono accusati di concorso in violenza privata, lesioni personali aggravate e maltrattamenti. A carico dell’ispettore capo, G.T. Di 56 anni, l’accusa è invece di favoreggiamento. L’udienza preliminare di fronte al giudice Pietro Rogato è fissata per il prossimo 11 marzo.

Picchiato sulle scale del carcere - Il pestaggio risalirebbe all’1 febbraio del 2007. Gli agenti avrebbero spintonato Cagna, buttato a terra, trascinato per la scale del carcere di via Burla e poi colpito a calci e pugni. "I due entrarono in cella, mi prelevarono e ci dirigemmo verso l’ ufficio del capoposto, ha raccontato ai magistrati Aldo Cagna. Io camminavo avanti e gli agenti dietro di me; subito fuori dalla sezione, mentre mi accingevo a scendere il primo gradino della rampa di scale che conduce al piano inferiore, i due agenti mi afferrarono, mi buttarono a terra e contemporaneamente iniziarono a colpirmi a schiaffi, pugni e calci".

Costretto a non dire la verità - In serata Aldo Cagna venne trasferito per essere medicato al pronto soccorso dell’Ospedale Maggiore e, per paura di ritorsioni, sarebbe stato costretto inizialmente a raccontare di avere avuto una lite con altri detenuti. "Il capo scorta mi disse di riflettere bene sulla versione da rendere ai medici, ha raccontato ancora Cagna, mi fece anche attendere un attimo sul furgone prima di farmi scendere, affinché io potessi pensare bene alla versione da rendere. Nella notte firmai un verbale nel quale dichiaravo di essere stato percosso da personale penitenziario, ma nel contempo rinunciavo a proporre querela".

Decise di fare denuncia - La fece alcuni giorni dopo, dando il via a un’indagine. L’inchiesta, grazie anche alla collaborazione della direzione del carcere che subito dopo l’episodio ha predisposto un’alta sorveglianza per Cagna, ha portato ad individuare i due agenti e, in un secondo tempo, ad iscrivere l’assistente capo nel registro degli indagati per favoreggiamento. I due agenti V.C. e A.M., sospesi per alcune settimane dal servizio con provvedimento del Gip, poi revocato, sono stati trasferiti nel carcere di Bologna. Aldo Cagna, da alcuni mesi, è stato invece trasferito nel penitenziario di Ferrara dove sta scontando una condanna di 30 anni, già confermata in appello.

Messina: anno giudiziario si inaugura con le carceri al collasso

 

Img Press, 30 gennaio 2009

 

Mancanza di personale, turni di lavoro estenuanti e gravissime carenza strutturali. Sembra essere questo il comune denominatore che distingue gli istituti di pena della provincia di Messina alla luce di una indagine svolta dalla Uil e dalla Uil-Pa Penitenziari.

"Alla vigilia dell’inaugurazione dell’anno giudiziario - spiega il segretario generale della Uil Costantino Amato - abbiamo voluto fotografare da vicino una delle più pericolose, quanto sottaciute derive della giustizia italiana: il collasso del sistema carcerario. Un mondo complesso caratterizzato da gravi problematiche rispetto alle quali la provincia di Messina non fa certo eccezione".

Tre le strutture presenti sul territorio, la Casa Circondariale di Gazzi, la Casa Circondariale di Mistretta e l’Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona. Tre realtà molto diverse tra loro che pure, secondo i dati raccolti dalla Uil mostrano analoghe problematiche. "La prima vera piaga - spiega Francesco Barresi, responsabile della Uil-Pa Penitenziari è la grave carenza di personale. A fronte di servizi che continuano a crescere restano bloccati gli arruolamenti con il risultato che il personale è costretto a turni di lavoro estenuanti. Dalle 6 ore previste dal contratto nazionale si passa ad 8, 16, per gli agenti in servizio presso il nucleo traduzioni, ed anche 30 per il servizio di piantonamento, con un accumulo notevole di lavoro straordinario".

Un fatto incredibile se si considera che l’amministrazione penitenziaria retribuisce fino a 40 ore di straordinario per attribuire poi riposi compensativi che però il personale non riesce a fruire perché, per carenza di organico, deve ancora godere dei giorni di congedo ordinario (all’ufficio matricola del carcere di Gazzi, per esempio, su 10 unità di personale restano ancora 700 giorni di congedo dell’anno passato da fruire). Una situazione catastrofica che si lega a doppio filo con il tema della sicurezza del personale, costretto a ricoprire più servizi contemporaneamente a rischio della propria incolumità e a dispetto della stessa normativa che prevede, ad esempio che, in mancanza di sicurezza vadano soppresse tutte le attività trattamentali.

"Una responsabilità - spiega Barresi - che nessun dirigente si assumerebbe mai, salvo poi addossare la colpa di eventuali incidenti sul personale in servizio, tenuto sotto scacco con la minaccia dei rapporti disciplinari. Un atteggiamento questo contro il quale - sottolinea Amato - si è pronunciato con una circolare ad hoc anche il Capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che, affrontando il dramma dell’aumento esponenziale di suicidi nel personale di polizia penitenziaria, 64 casi nel decennio 1997/2007, parla di umanizzazione dei rapporti gerarchici e riduzione dei carichi di lavoro. Parole che appaiono prive di ogni significato se si guarda solo per un momento ai dati relativi alle piante organiche e alla carenza di personale negli istituti messinesi.

Casa Circondariale di Gazzi: la pianta organica, risalente al 2001 prevede 293 unità di personale su 283 detenuti. Oggi, con almeno 20 servizi in più effettuati dalla polizia penitenziaria, le unità di personale sono 260 per 441 detenuti.

Casa Circondariale di Mistretta: 27 unità di personale su 50 detenuti (su una capienza di 16), personale non sufficiente a garantire la rotazione in turno.

Opg di Barcellona: 131 agenti per più di 300 internati e per una struttura creata per contenerne 216. Dati allarmanti - prosegue il segretario generale della Uil - che vanno integrati con una ulteriore riflessione. Tutte le strutture infatti sono affette da un ormai cronico sovraffollamento (a nulla infatti è servito il pericolosissimo provvedimento dell’indulto) figlio spesso delle lungaggini del sistema giudiziario. Secondo i dati forniti dal dipartimento di amministrazione penitenziaria, infatti, su 394 detenuti presenti al carcere di Gazzi, al 30 giugno 2008, 240 erano ancora in attesa di giudizio definitivo.

Lo stesso dicasi per l’Opg di Barcellona, dove su 263 internati gli imputati erano 14, e su Mistretta dove il numero di imputati era di 21 su 28 detenuti presenti nella struttura. A questo - sottolineano Amato e Barresi - devono poi aggiungersi le carenze strutturali degli istituti di pena messinesi. Il reparto cellulare del carcere di Gazzi risulta fatiscente al punto da costringere lo stesso personale a richiedere l’intervento dei vigili del fuoco e persino il reparto camerotti, da poco ristrutturato, presenta infiltrazioni d’acqua.

Situazione analoga si registra all’Opg di Barcellona e alla Casa Circondariale di Mistretta che, per sua stessa natura, essendo molto vecchia come costruzione, soffre non solo di carenze strutturali ma anche di frequenti interruzioni dell’acqua corrente e di guasti all’impianto di riscaldamento." Condizioni di lavoro ai limiti della tollerabilità quindi per il personale di polizia penitenziaria che a partire da lunedì 2 febbraio sarà impegnato in una protesta ad oltranza davanti all’Opg di Barcellona per chiedere di essere ascoltato sia a livello regionale che a livello nazionale, dove nonostante le ripetute richieste il Ministro Alfano non convoca le organizzazioni sindacali.

"La Uil - conclude il segretario Generale Costantino Amato - si prefigge l’impegno di chiedere in tutte le sedi istituzionali interessate l’adeguamento delle piante organiche sia in relazione al sovraffollamento degli istituti, sia in rapporto all’aumentato carico di servizi affidati alla polizia penitenziaria che hanno prodotto negli ultimi anni un aumento esponenziale della mole di lavoro".

Palermo: ragazzi del carcere minorile fanno controllori sui bus

 

Redattore Sociale - Dire, 30 gennaio 2009

 

Parte per il secondo anno consecutivo, il "Progetto Ticket", protocollo d’intesa della durata di un anno firmato tra l’azienda del trasporto pubblico e il Centro per la giustizia minorile.

I giovani dell’istituto penale minorile Malaspina di Palermo controlleranno i biglietti all’interno degli autobus cittadini. L’iniziativa è il risultato di un laboratorio informatico con i ragazzi del carcere minorile per controllare l’autenticità dei biglietti Amat, l’azienda di trasporto pubblico. Parte per il secondo anno consecutivo, il ‘Progetto Ticket’, il protocollo d’intesa della durata di un anno firmato tra l’azienda del trasporto pubblico e il Centro per la Giustizia minorile per la Sicilia. Destinatari del progetto sono minori e giovani adulti (dai 14 ai 21 anni) con procedimenti penali in corso, in area penale esterna (cioè non detenuti), in particolare, sottoposti all’istituto della "sospensione del processo e messa alla prova", seguiti dagli assistenti sociali della giustizia minorile e sottoposti a ordinanza dell’autorità giudiziaria minorile.

L’obiettivo è il reinserimento dei ragazzi nella società e la lotta contro i ticket contraffatti. L’intento è pure quello di frenare il fenomeno, rilevato nel recente passato, di contraffazione di titoli di viaggio del trasporto pubblico locale che è risultato essere molto diffuso nella fascia adolescenziale della popolazione. Per arginare il fenomeno l’Amat, nel quadro della lotta alla falsificazione dei titoli di viaggio, ha già introdotto una nuova tipologia di biglietto che consente, tramite un tagliando di controllo "a strappo", di effettuare analisi sulla autenticità dei titoli di viaggio presenti sul mercato. La verifica viene effettuata attraverso un programma elaborato dall’azienda che consente la tracciabilità della filiera di produzione, distribuzione e vendita dei biglietti e di verificare attraverso i tagliandi di controllo l’autenticità de biglietti stessi.

"Il rispetto delle regole civili è in linea con gli impegni che ho preso da quando mi sono insediato in azienda - dice il presidente dell’Amat, Mario Bellavista -. Sono lieto del prosieguo del programma tra l’Amat e il Centro, anche perché, da avvocato penalista, vivo queste vicende e sono sicuro che i ragazzi devono poter sperare in un reinserimento sociale, che è poi uno degli obiettivi di questo progetto". "Stiamo studiando la possibilità di coinvolgere questi ragazzi - conclude - nella divulgazione delle regole civili a bordo dei bus, come il pagamento del biglietto e contro l’imbrattamento dei mezzi. Proveremo ad affiancarli al nostro personale in servizio". In futuro si ipotizza, quindi, anche il coinvolgimento di questi giovani, affiancati dal personale Amat, nell’iniziativa di diffondere le regole civili sui mezzi pubblici.

Immigrazione: Acli; il permesso di soggiorno per cercare lavoro

di Maurizio Regosa

 

Vita, 30 gennaio 2009

 

Affiancare al permesso di soggiorno per ragioni lavoro, una carta (della durata di un anno) che consenta di stare in Italia per cercarlo un impiego. "Non per aprire le frontiere", spiega l’onorevole Luigi Bobba, primo firmatario del progetto di legge presentato stamani in una conferenza stampa (presenti altri proponenti: Cesare Damiano, Franco Narducci, Savino Pezzotta, Paola Binetti, Jean Leonard Touadi), "ma per affrontare in modo normale e al di là dell’emergenza il fenomeno migratorio".

In effetti il progetto di legge (che sarà presentato come emendamento al Ddl sicurezza che è al vaglio delle Camere) prevede che un cittadino extracomunitario possa, dando precise garanzie, legalmente entrare nel nostro paese con un permesso di lavoro specifico (evitando così che entri come turista e poi si inabissi nella clandestinità).

Avrebbe così a disposizione un periodo definito di tempo per trovare un impiego del tutto regolarmente e in caso di successo otterrebbe la stabilizzazione come soggiornante per lavoro; viceversa nel caso in cui non trovasse lavoro dovrebbe rimpatriare. Tale visto di ingresso per ricerca di lavoro sarà rilasciato se l’aspirante lavoratore straniero potrà soddisfare alcune condizioni, fra cui una idonea sistemazione alloggiativa, risorse sufficienti a coprire le spese per l’eventuale rimpatrio; mezzi di sostentamento (in misura mensile non inferiore al corrispettivo dell’assegno sociale).

Inoltre dovrà disporre della somma necessaria per il pagamento del contributo previsto per l’iscrizione al Ssn. In tal modo, come ha sottolineato anche Savino Pezzotta, il fenomeno migratorio (che non è destinato a scomparire) diviene "un fatto normale, governato nonostante la sua complessità e sottratto alla logica dell’emergenza". Abbiamo intervistato il primo firmatario del progetto di legge, Luigi Bobba.

 

Onorevole Bobba, voi proponete di superare una prassi di inclusione che passa attraverso la clandestinità, iniettando una logica di legalità.

La filosofia è esattamente questa. La realtà si incarica di smentire le leggi e le procedure amministrative, noi vorremmo che leggi e procedure fossero in qualche modo al servizio della realtà. Ovvero lavorare per non avere, o ridurre al minimo, la clandestinità e l’illegalità. Il che un lato potrebbe ridurre il rischio delinquenza, dall’altro consentirebbe di tutelare meglio le persone. Che quando sono in una condizione di sfavore vedono i loro diritti sicuramente conculcati. Può essere un duplice vantaggio: per la società ospitante e per il cittadino extracomunitario che viene a lavorare nel nostro paese.

 

Con questa proposta si riconosce il diritto a perseguire una vita migliore…

Certo. Si riconosce il diritto a cercare un lavoro. Il migrante ha a disposizione un preciso arco temporale, deve dare delle garanzie. Quindi non è una falla per far passare qualsiasi cosa, ma un modo per tentare di riavvicinare domanda e offerta di lavoro. Questo meccanismo è essenziale, ad esempio, per tutto il lavoro di cura e assistenza. Evidentemente uno non si porta a casa un badante che non ha mai visto in faccia. Penso ai risultati di una ricerca delle Acli secondo la quale i lavoratori migranti che si occupano di cura e assistenza, per i due terzi, hanno alle spalle esperienza di clandestinità.

 

Le Acli hanno contribuito alla stesura del progetto di legge?

Il contributo delle Acli è stato determinante. La loro è un’esperienza sul campo che ha fornito osservazioni mirate, dalle quali siamo partiti per elaborare una norma che fosse in grado di affrontare questo tema.

Unione Europea: i cittadini preoccupati dal crimine organizzato

di Paolo Bozzacchi

 

Italia Oggi, 30 gennaio 2009

 

Lotta al crimine organizzato e tutela dei diritti fondamentali. Queste le due principali preoccupazioni dei cittadini europei, secondo un sondaggio reso noto in settimana dalla Commissione e condotto per approfondire l’opinione pubblica Ue sulle priorità del settore libertà, sicurezza e giustizia per gli anni 2010-2014.

Il vicepresidente della Commissione europea, Jacques Barrot (Commissario Ue alla giustizia), ha dichiarato: "Le politiche nei settori Libertà, Sicurezza e Giustizia sono al centro degli interessi dei cittadini. Perciò la Commissione dà grande importanza all’opinione dei cittadini su queste tematiche. Le discussioni e riflessioni sul futuro della giustizia europea e degli affari interni continueranno ad essere arricchite dal prezioso contributo degli Stati membri, degli stake-holder e dei cittadini".

La Commissione ha ricevuto 770 risposte a un questionario online e l’opinione di 47 diversi stake-holder. Tutti questi contributi insieme ai rapporti che redigeranno i due gruppi di lavoro sul futuro della giustizia e degli affari interni (cui partecipano diversi Stati membri), saranno presi in adeguata considerazione. I risultati del sondaggio Eurobarometro, basato sui contributi di 27mila cittadini, mostrano come la maggioranza degli intervistati sono preoccupati dalle politiche nel campo della giustizia e degli affari interni, in particolare nelle lotte al crimine organizzato, al terrorismo e all’abuso di droghe (80%).

La promozione e la protezione dei diritti fondamentali, inclusi i diritti dei bambini, preoccupano circa i tre quarti dei cittadini comunitari (78%). Per ciascuna delle aree politiche osservate, la maggioranza dei cittadini sentono la necessità che le azioni Ue abbiano un valore aggiunto rispetto a quelle condotte a livello nazionale. I cittadini Ue hanno sottolineato come il maggiore valore aggiunto andrebbe apportato nella lotta al crimine organizzato e al terrorismo (72%), mentre solo il 18% ritiene che dalle azioni comunitarie non dovrebbe scaturire alcun beneficio extra.

In questa classifica seguono le azioni di lotta contro l’abuso di droghe e la promozione e protezione dei diritti fondamentali, inclusi di diritti dei bambini (entrambi al 65%). Due i settori, invece, nei quali i cittadini Ue non hanno dimostrato un alto livello di preoccupazione, ma rispetto ai quali hanno ritenuto che l’azione Ue dovrebbe essere supportata: lo scambio di informazioni giudiziarie e di polizia tra Stati membri e il controllo delle frontiere comunitarie.

In questi due campi, un cittadino su cinque ha preso questa posizione. Ciò potrebbe essere interpretato come un via libera dei cittadini al proseguo del cammino europeo già avviato in queste materie. La Commissione sta attualmente lavorando a una proposta per il prossimo programma pluriennale nei settori libertà, sicurezza e giustizia, che scaturisce dal Programma dell’Aja 2010. In questo contesto la Commissione ha condotto una consultazione pubblica sulle future priorità per questi settori, condotta tra lo scorso 25 settembre e il 4 dicembre 2008.

Il recente sondaggio della Commissione segue un sondaggio Eurobarometro condotto sulla percezione della giustizia civile, dal quale era emerso che in cima alle preoccupazioni dei cittadini Ue in materia c’è l’accesso alla giustizia. Quasi tre europei su quattro, infatti, credono che andrebbero prese a livello comunitario "misure che aiutino i cittadini nell’accesso alla giustizia in Paesi membri diversi da quello di abituale residenza". Specificando che "sarebbero preferibili misure adottate a livello di regole comuni europee". Più di 8 su 10 interpellati credono che l’Unione europea debba fornire assistenza in materia di "sentenze giudiziarie che prevedono pagamenti o risarcimenti in Paesi diversi da quello della sentenza".

L’idea portante è quella di una giustizia civile europea armonizzata e accessibile. Tra i cittadini europei che considerano più urgenti le misure da adottare a livello comunitario in questo senso, in testa alla classifica delle risposte "molto importante" c’è Cipro (76%), seguito dalla Slovenia (54%), dal Belgio (50%), dalla Germania (45%) e dall’Italia (43%). Tra gli scettici ("per nulla importante") guidano alla pari gli Estoni (6%) e gli Slovacchi (6%), seguiti da Danesi (5%), Ucraini (5%) e Maltesi (5%).

Usa: uccise compagno di cella con iniezione eroina, giustiziato

 

Associated Press, 30 gennaio 2009

 

Il Texas ha giustiziato un membro di una gang di detenuti che aveva iniettato undici anni fa una dose mortale di eroina a un compagno di cella. La vittima, Gerardo Garcia, 22 anni, avrebbe potuto testimoniare contro di lui a proposito di rapine a banche compiute insieme. Ricardo Ortiz è morto ieri sera dopo aver subito un’iniezione letale, L’uomo di 46 anni è il quinto condannato a morte giustiziato quest’anno in Texas.

 

 

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