Rassegna stampa 26 gennaio

 

Giustizia: Berlusconi e la campagna contro l’esercito del male

di Dino Greco

 

Liberazione, 26 gennaio 2009

 

Era nell’aria. Che è mefitica. Berlusconi usa gli episodi di violenza sulle donne per scatenare una vera e propria campagna liberticida, che con l’obiettivo di mettere argine alle aggressioni a sfondo sessuale c’entra come i cavoli a merenda. Per il presidente del Consiglio è in corso una vera e propria guerra, alla quale rispondere con strumenti coerenti.

Ad un non meglio definito "esercito del male" che minaccia mortalmente la civile convivenza serve opporre l’esercito vero, quello di Stato. Dunque, non più tre, ma trentamila uomini armati a presidiare le città italiane. Coordinati - aggiunge un La Russa in preda ad esaltazione mistico-bellica - dalla Guardia di Finanza, dalla Polizia penitenziaria, dalla Polizia locale. Tanto da suscitare la reazione del ministro degli Interni che chiede (udite! udite!) di unire alla presenza militare anche misure capaci di affrontare il tema del degrado ambientale nel cui brodo si producono situazioni di pericolosità sociale.

La fabbrica della paura, sapientemente alimentata, marcia a pieni giri. È la paranoia di stampo bushista in versione nostrana. Ricordate la crociata contro gli "Stati canaglia?". Quella fu propedeutica alla teorizzazione della guerra preventiva e di una politica di aggressione che sta provocando lutti e catastrofi sociali immani su scala planetaria; questa - con identica intenzione fraudolenta - prova ad instaurare un clima di infondato terrore per giustificare una militarizzazione della società. Non vi è persona talmente avara di buon senso da non capire che non sarà mai l’esercito a contrastare "la criminalità diffusa" o la violenza, in particolare quella sulle donne, che oltre tutto si consuma - non lo si dimentichi - in massima parte tra le mura domestiche.

E allora, perché questo forsennato accanimento? Perché questa scoppiettante prosopopea con cui si annuncia la lotta dura del governo contro il crimine, in un paese surrealmente dipinto come la Gotham City batmaniana? Con tutta evidenza, il battage ha altri e diversi obiettivi.

Il primo è la collaudata opera di depistaggio dell’opinione pubblica, dei cittadini, ai quali si propinano emergenze immaginarie per occultare quelle reali, che hanno a che fare, più ruvidamente, con la precarietà materiale ed esistenziale in cui la crisi sta precipitando milioni di persone senza trovare nelle misure del governo risposte adeguate.

Il secondo ha ben altra gravità, perché rivela la filigrana della politica governativa in materia di sicurezza: vis persecutoria contro i migranti, reato di immigrazione clandestina, limitazione degli spazi pubblici alle manifestazioni, contrasto all’esercizio del diritto di culto. E poi, il pacchetto giustizia del governo, che mentre ingessa le prerogative e gli strumenti di indagine della magistratura inquirente, lancia un piano edilizio per la proliferazione degli istituti di pena (da privatizzare!), più per moltiplicare (per dieci, anche in questo caso?) il numero dei reclusi che non per affrontare il drammatico problema del disumano sovraffollamento delle carceri.

La verità è che siamo di fronte ad un salto di qualità nell’escalation autoritaria, nella torsione antidemocratica, nella compressione dei diritti e delle libertà costituzionali. Si guardi a quel che sta accadendo, nelle parti e nell’insieme, e se ne avrà per intero l’inquietante percezione. Una (piccola?) chiosa finale: il giorno dopo un accordo contro i lavoratori e contro il più grande sindacato italiano il governo militarizza le piazze. Coincidenze?

Giustizia: perché l’allarme sicurezza non è più arma politica

di Enzo Costa

 

L’Unità, 26 gennaio 2009

 

Ma che combinazione: in tivù siamo tornati ad una cronaca nera non brandita politicamente. Restano le saghe catodiche alla Cogne, ma è sparito l’uso politico dei fatti di violenza: vedi, a Roma, il massacro all’autosalone e gli atroci stupri, a Milano lo scippo di un’anziana in bicicletta, ridotta in fin di vita, e l’omicidio della discoteca. Se ne parla senza speculazioni politiche. Adesso. Ma figuriamoci se vicende simili fossero avvenute quando il centrosinistra stava al governo e al Campidoglio.

Allora la cronaca nera era manna per berlusconidi col pelo sullo stomaco e le mani sui palinsesti che dettavano questo format vincente: la sinistra "buonista" "dei salotti" se ne fregava della sicurezza e agevolava i delinquenti; la destra aveva a cuore la sicurezza della povera gente, voleva tolleranza zero e i criminali in galera (in barba all’indulto votato anche da Forza Italia ma spacciato come esclusiva di Prodi).

Il sindaco Moratti marciava contro il governo colpevole dell’insicurezza della sua città. Per quella di Roma, la colpa era di Veltroni: l’omicidio della signora Reggiani fu il viatico per strumentalizzazioni, condite di razzismo, propedeutiche al trionfo di Alemanno.

Col controllo dell’informazione si controllavano ed alimentavano le paure delle persone. Ma se allora per un paio di colpi di pistola non andati a segno il Tg2 titolò "A Roma si spara come nel Far West", com’è che per il recente omicidio nell’autosalone non ha titolato "Roma è più insicura dell’Iraq"? Ed i fattacci di Milano sono scivolati via senza cortei di protesta dell’opposizione (che non ha voce e faccia tosta per speculare).

A tutto vantaggio di chi, a suo tempo, speculò senza ritegno. Difatti adesso, malgrado questi ed altri episodi, per i sondaggi cala l’allarme sicurezza. L’importante, oggi come prima, è non disturbare il manovratore dell’opinione pubblica.

Giustizia: abbiamo 1 poliziotto su 134 italiani; serve l’esercito?

 

Redattore Sociale - Dire, 26 gennaio 2009

 

"Nel nostro paese c’è un poliziotto ogni 134 abitanti, neonati e novantenni compresi. Unificare i numeri d’emergenza delle forze dell’ordine semplificherebbe la vita ai cittadini, renderebbe disponibile numerosi addetti e diminuirebbe i costi. Invece si preferisce chiamare l’esercito che non ha compiti di polizia". Lo afferma Primo Mastrantoni, segretario Aduc, preannunciando in tal senso una interrogazione parlamentare della senatrice Donatella Poretti. I corpi di polizia, spiega il segretario, "sono composti dalla polizia di Stato, dall’arma dei carabinieri, dalla guardia di finanza, dalla polizia penitenziaria e dal corpo forestale per un totale di 331mila addetti ai quali vanno aggiunti quelli della polizia provinciale e municipale che ammontano a circa 60 mila unità".

Il totale, calcola Mastrantoni, "fa 391 mila poliziotti cui aggiungere il personale della vigilanza privata che sono circa 50 mila. L’Italia è quindi protetta da ben 441 mila poliziotti, tra pubblici e privati, il che significa, appunto, 1 poliziotto ogni 134 abitanti, neonati e ottantenni compresi".

Sono tanti, aggiunge Mastrantoni, "il che, rispetto al sistema sicurezza che non funziona, significa che c’è un problema di coordinamento delle attività". Caso esemplare sottolinea il presidente Aduc, "è quello del numero unico di emergenza europeo 112, in merito al quale la nostra associazione è intervenuta fin dal 2001, e che ha visto una recente condanna dell’Italia per inadempienza da parte della Corte di Giustizia europea".

E conclude Primo Mastrantoni, segretario Aduc: "Da noi esistono un numero impressionante di numeri di emergenza: il 112 per i Carabinieri, il 113 della Polizia, il 117 della Guardia di Finanza, il 1515 della Forestale, il 115 dei Vigili del Fuoco, il 1530 della Guardia costiera. Ci sono poi i numeri delle Polizie municipali degli 8.101 comuni italiani e quelli della Polizia Provinciale delle 107 province". Unificarle, conclude Mastrantoni, "semplificherebbe la vita ai cittadini, renderebbe disponibile numerosi addetti e diminuirebbe i costi".

Giustizia: soldati nelle città, Berlusconi ne parla a Napolitano

 

La Stampa, 26 gennaio 2009

 

"Sì all’aumento dei militari nelle città ma prima ne dovrò parlare con Napolitano". Silvio Berlusconi precisa così la posizione del governo dopo l’annuncio di ieri con il quale il premier aveva sottolineato la necessità di 30 mila militari per garantire la sicurezza sul territorio.

"Aumentare la presenza dei militari sarebbe un modo per dare agli stessi militari un sentimento di utilità e per non essere soli a fare i guardiani del deserto dei Tartari", rimarca Berlusconi che poi avverte che "l’argomento si dovrà approfondire perché il capo delle Forze armate è il presidente della Repubblica e non ne abbiamo ancora parlato". A chi gli chiede se la vicenda degli stupri abbia accelerato l’intenzione del Governo e spinto l’esecutivo ad utilizzare un numero maggiore di militari, Berlusconi (a Sassari per un comizio elettorale) ha replicato: "Sì, l’ha accelerato ma era una cosa in itinere".

Commentando l’aggressione avvenuta due giorni fa a Guidonia Berlusconi ha affermato che "anche in uno Stato il più militarizzato e poliziesco possibile, una cosa del genere può sempre capitare". "Non è che si può pensare di mettere in campo una forza tale, dovremmo avere tanti soldati quante sono le belle ragazze, credo che non ce la faremo mai", ha aggiunto il premier. Berlusconi non ha poi risparmiato una frecciata all’opposizione: "La sinistra critica sempre tutto quello che noi proponiamo non ha altro da fare. Quello è il mestiere che si sono dati e lo sappiamo", ha detto il premier.

Giustizia: Bernardini; Alfano stravolge fini di Cassa Ammende

 

Il Velino, 26 gennaio 2009

 

"Con un emendamento al Disegno di legge 1305, il ministro Alfano si appresta a stravolgere le finalità della Cassa delle ammende, aggiungendo fra le finalità la costruzione di nuove carceri. Si sa, le carceri sono sovraffollate e i detenuti vivono in condizioni indegne e illegali; i soldi non ci sono e il governo che fa?".

Lo dichiara Rita Bernardini deputata radicale eletta nelle liste del Pd. "Intanto - prosegue -, ha fatto tagli proprio nel settore carcerario cosicché i direttori dei 205 penitenziari già esistenti, fra qualche mese, dovranno scegliere fra tagliare sui pasti ai detenuti, o sul vestiario, o sull’intervento degli psicologi.

Agenti ed educatori, del resto, sono già sotto organico tanto che devono essere fortemente ridimensionate le già insufficienti attività trattamentali. I soldi non ci sono, e il ministro della Giustizia, dopo i tagli sui bilanci delle carceri esistenti, decide di saccheggiare la cassa delle ammende non "per il finanziamento di programmi che attuano interventi di assistenza economica in favore delle famiglie di detenuti ed internati, nonché di programmi che tendono a favorire il reinserimento sociale di detenuti ed internati anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione", come prevedono l’ordinamento penitenziario e l’art. 27 della Costituzione, ma per costruire nuove galere".

"Ora comprendo perché il ministro - aggiunge Bernardini - non abbia risposto alla mia interrogazione del 16 settembre dello scorso anno sull’inattività e le incongruenze denunciate da un’indagine della Corte dei Conti proprio sulla Cassa delle ammende.

Oltre a non fare alcuna riflessione sulla decarcerizzazione, che prevede pene più efficaci della permanenza in galera ai fini della riduzione della recidiva, nulla ci fa sapere il ministro sui motivi che lo spingono a costruire nuove carceri mentre ce ne sono decine costruite in passato e mai aperte per mancanza di personale; nulla ci dice su dove prenderà i soldi per gli addetti alle nuove galere; nulla ci dice il ministro sul fatto che il 50 per cento dei detenuti vengono scarcerati entro i primi 11 giorni.

Il ministro - conclude - mi delude: mi aspettavo più correttezza, saggezza e ragionevolezza. Invece, rischiamo di assistere all’ennesimo scandalo di sperpero del denaro pubblico senza riportare legalità nel sistema penitenziario italiano".

Giustizia: Gonnella; Piano carceri di Alfano inutile e dannoso

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

Comunicato stampa, 26 gennaio 2009

 

"Il piano carceri - per quel che si capisce - è inutile e dannoso. Inutile perché non si è mai visto in Italia che in sei mesi si costruisce un carcere. A Gela ci sono voluti cinquant’anni. Dannoso perché alimenterà nuove ondate di affollamento penitenziario. Che senso ha spendere soldi pubblici per mandare in galera: prostitute, clienti, delle prostitute, consumatori di droghe leggere, immigrati irregolari che hanno la sola colpa di non avere il permesso di soggiorno. Siamo inoltre contrari a ogni forma di presenza di privati nel management penitenziario. In Italia crescono i detenuti in modo inversamente proporzionale alla cultura giuridica di questo Paese. Oggi sono 58 mila. I posti letto sono solo 43 mila.

Ogni mese entrano nelle prigioni italiane circa mille nuovi detenuti. Sino a poco tempo fa, la popolazione reclusa cresceva di mille unità l’anno. Erano 61 mila qualche giorno prima dell’approvazione del provvedimento di indulto. Lo saranno nuovamente tra tre mesi. È stato nominato il capo del Dap commissario straordinario all’edilizia penitenziaria. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano si riaffida quindi all’edilizia penitenziaria e c’è chi mormora al bluff del coinvolgimento dei privati. Una cronistoria del passato può essere utile.

Era il 30 gennaio 2001 quando con decreto il ministro Fassino dispose la dismissione di 21 carceri, incaricando il direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) di reperire le aree ove localizzare nuovi istituti penitenziari da costruire in sostituzione di quelli che sarebbero stati dismessi. Furono stanziati 400 milioni di euro. Fu bandito un concorso di architettura per idee avente a oggetto l’elaborazione di un prototipo originale e inedito di istituto penitenziario di media sicurezza a trattamento penitenziario qualificato. Era la primavera del 2001.

L’istituto-modello avrebbe dovuto prevedere duecento posti letto con celle a due posti dotate di servizi igienici oppure a quattro posti con spazi per il pernottamento e il soggiorno. Di quel concorso non è rimasta traccia. Nel 2002 ci provarono il nuovo Guardasigilli Roberto Castelli e il premier Silvio Berlusconi a lanciare il tema della privatizzazione. Quest’ultimo al rientro da una visita in Cile elogiò "l’ottimo" modello penitenziario privato cileno. Reagirono malamente i sindacati autonomi di polizia penitenziaria. Giovanni Tinebra, allora capo del Dap, al rientro da una visita-studio negli Stati Uniti affermò pubblicamente: "I primi nove carceri saranno realizzati con fondi dello Stato, messi a disposizione dal ministero delle Infrastrutture. Per tutti gli altri, invece, le risorse verranno raccolte attraverso la Patrimonio S.p.A.. Saranno fondi messi insieme grazie alla dismissione della vecchie carceri".

Non successe nulla anche quella volta. Nessun privato fu disponibile a mettere un centesimo. Nessuna dismissione di carceri vecchie fu realizzata. O meglio qualcosa successe. Fu costituita da Roberto Castelli e Giulio Tremonti - allora, ma anche oggi, ministro dell’Economia - una società, la Dike Aedifica, il cui operato ha interessato non tanto i privati quanto la magistratura. Uno dei suoi consulenti, Giuseppe Magni, già sindaco leghista di Calco in provincia di Lecco, fu indagato per concorso in corruzione e istigazione alla corruzione. Alcune immagini lo riprendevano mentre si vantava di decidere lui i vincitori delle gare d’appalto. L’Espresso definì l’inchiesta come la seconda tangentopoli carceraria.

La prima tangentopoli risaliva agli anni ottanta. Protagonista fu il ministro dei Lavori Pubblici Nicolazzi. Era lo scandalo delle carceri d’oro. I soldi finivano prima che finisse la costruzione di un carcere. La Dike Aedifica, partecipata al 95% dalla Patrimonio S.p.A. (controllata dal governo), era amministrata da Vico Valassi, anche lui lombardo e amico del ministro. La Corte dei Conti il 28 giugno 2005 sostenne ufficialmente che "la costruzione di nuove carceri, la ristrutturazione e l’ampliamento di quelle esistenti assorbono ingenti risorse finanziarie, ma non riescono a migliorare in modo tangibile le condizioni di vita dei detenuti, a causa del continuo aumento del loro numero. Gli stanziamenti del 1986, per complessivi 2.600 miliardi di lire, sono stati diluiti fino al 2000 vale a dire in un arco temporale di ben 13 anni, pari a più di tre volte quello originariamente previsto".

In realtà la Convenzione non fu mai formalmente approvata. Del project financing prima e del leasing immobiliare dopo non se ne fece nulla. Un privato di buon senso è disponibile a mettere i soldi per costruire un carcere solo se può guadagnare dalla successiva gestione, oggi chiaramente preclusa dalle leggi dello Stato e dalla Costituzione. In quegli anni provarono a privatizzare il carcere di Castelfranco Emilia affidandolo alla Comunità di San Patrignano. Fortunatamente anche quella volta il progetto fallì".

Giustizia: Corleone; Piano carceri inutile, serve nuovo Codice

 

La Repubblica, 26 gennaio 2009

 

"Il piano carceri del governo è una misura inutile, serve invece un nuovo codice penale". Lo dice Franco Corleone, garante dei detenuti di Firenze, parlando in un dibattito organizzato dall’associazione dei radicali "Andrea Tamburi" a cui hanno partecipato anche il deputato pannelliano Matteo Mecacci e Alessandro Margara, presidente della Fondazione Michelucci.

La situazione nelle carceri sovraffollate come Sollicciano è sempre più esplosiva. "E pare che per il decreto carceri, che è comunque una misura inutile, non ci sia un euro", spiega Corleone. "Comunque quand’ anche si ottenessero 2 o 3 mila di posti in più, rimane il fatto che il sovraffollamento non era mai arrivato a questi livelli".

Secondo Corleone bisogna partire dalla riforma del codice penale e rimediare i danni prodotti dalle leggi speciali come quelle sulla droga. "Gli stranieri", osserva Mecacci, "rappresentano il 40 per cento circa della popolazione carceraria. Nel 2005, secondo le ultime stime ufficiali pre-indulto, il numero dei detenuti italiani è addirittura diminuito, mentre quello degli stranieri è cresciuto di 10 mila unità". Corleone denuncia anche "la mancanza in Toscana di un Garante regionale dei detenuti".

Giustizia: Burani (Pdl); cambiare la Gozzini, favorisce i furbi

 

Ansa, 26 gennaio 2009

 

"La legge Gozzini va rivista perché, com’è oggi, consente a chi non dà fastidio, e non a chi si riabilita, di usufruire di 45 giorni di sconto di pena ogni sei mesi". Lo sostiene, in una nota, l’ex senatrice Maria Burani Procaccini, del Pdl. "Tre mesi l’anno - aggiunge - che spesso fanno comodo a criminali e stupratori per uscire prima dal carcere. Vogliamo che la pena sia certa e sia riabilitativa e che i premi ed i permessi vadano veramente a coloro che affrontano con consapevolezza il percorso della rinascita interiore e che si emendano dal crimine".

Secondo l’ex parlamentare, "non è possibile che permessi premio e sconti siano concessi a persone che dimostrano solo di essere furbe e che stanno in silenzio in carcere, magari per pochi mesi, allo scopo di uscirne presto. Siamo per un carcere riabilitativo, ma la Gozzini va riformata profondamente".

Giustizia: proposta di riforma D’Alema-Casini è impraticabile

di Bruno Tinti (Procuratore Aggiunto a Torino)

 

La Stampa, 26 gennaio 2009

 

I progetti di riforma della giustizia D’Alema-Casini presentano proposte veramente sorprendenti; ne tratto tre aspetti. Sarebbero comunque impraticabili per carenza di risorse. Affidare a un collegio di 3 giudici le decisioni in materia di cattura e intercettazioni (oggi il lavoro lo fa un solo giudice) significa paralizzare tutti i Tribunali medio-piccoli e pregiudicare gravemente quelli più grandi.

Sembra che i promotori dei progetti ignorino le incompatibilità: un giudice che si sia pronunciato per una cattura o per un’intercettazione non potrà più occuparsi di quel processo né all’udienza preliminare né al dibattimento; e di catture e intercettazioni durante un’indagine ce ne possono essere decine. Già oggi non si riesce a trovare i giudici necessari nei Tribunali con meno di 20 giudici; figuriamoci che accadrà quando le incompatibilità dovranno essere moltiplicate per 3.

Ma, dicono i nostri, noi abbiamo previsto di abolire i piccoli tribunali e l’udienza preliminare; il che permetterà di recuperare un sacco di giudici. Di buone intenzioni è lastricato l’inferno: chiudere i piccoli tribunali si dice da oltre 40 anni; nel frattempo ne sono stati inaugurati un certo numero e chiuso nessuno; l’abolizione dell’udienza preliminare farà ululare di sdegno decine di migliaia di avvocati e tutti i loro supporter in Parlamento.

Sicché, che il prospettato recupero di risorse possa esservi davvero chiunque abbia un minimo di competenza giudiziaria non può che dubitarne. Ma se davvero si tratta di proposte concrete, allora prima le si realizzi; si recuperino i giudici necessari e poi si proceda con la collegialità per le catture e le intercettazioni. Non credo che qualcuno ci scommetterebbe un euro.

Della proposta di affidare a ogni Procura un budget destinato a pagare le intercettazioni, finito il quale non se ne fanno più, si può dire solo che è allucinante. Immaginate una Procura che si spende il suo gruzzolo per intercettazioni in tema di omicidi e traffico di droga tra gennaio e novembre; poi sta con le dita incrociate: speriamo che non succeda niente. Invece, a dicembre, rapiscono una bambina a scopo di riscatto. Ci vanno D’Alema e compagni a dire ai genitori che le intercettazioni non si possono fare perché i soldi sono finiti?

Infine la cattura solo dopo il contraddittorio con il catturando e il suo difensore. L’idea sarebbe questa: il Pm decide di catturare un imputato (che, in quanto tale, non dovrebbe essere uno stinco di santo); lo chiede a tre giudici i quali avvisano l’imputato che il Pm lo vuole catturare, che deve scegliersi un avvocato e che si dovranno trovare tutti il giorno tale all’ora tale davanti a loro per discutere di questa cosa; dopo di che, se i giudici penseranno che il Pm ha ragione, da lì l’imputato sarà portato in prigione. Difficile non restare annichiliti.

In passato di questa bella trovata si è già parlato; e molti hanno osservato che non c’è da aspettarsi di catturare molta gente con questo sistema. Allora si è ipotizzato un pre-arresto seguito dalla procedura di cui sopra: tutti davanti ai giudici che decidono se tenerlo dentro o buttarlo fuori. Peccato che ciò già esista: si chiama fermo d’indiziato di delitto (art. 384 codice di procedura penale). Il Pm arresta e poi chiede al giudice entro 48 ore di convalidare l’arresto; il giudice dispone un’udienza nella quale tutti debbono comparire, Pm, imputato e difesa. Se non convalida, l’arrestato viene liberato. L’unica differenza rispetto alla proposta D’Alema etc. è che il fermo oggi si può fare solo se c’è pericolo di fuga; basterebbe eliminare questa condizione ed ecco fatto.

Pensate a cosa ci vorrebbe per mettere uno in prigione (non solo gli imputati "speciali" a cui pensano gli onorevoli riformatori, anche gli assassini, stupratori e trafficanti di droga): il Pm chiede al Gip di pre-arrestare, poi 3 Gip tengono udienza e decidono, in contraddittorio con l’imputato, se tenerlo dentro o no; poi il Tribunale della Libertà, sempre con avvocati in contraddittorio con il Pm, decide se i 3 Gip hanno fatto bene; e poi la Cassazione decide se il Tribunale della Libertà ha fatto bene anche lui. E poi dicono che il processo penale deve essere rapido.

Giustizia: Ugl; ok a nuove carceri, ma adeguamento personale

 

Sesto Potere, 26 gennaio 2009

 

"È una buona idea creare un canale preferenziale per affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri entro tempi contingentati, ma sarebbe altrettanto importante prevedere conseguenti adeguamenti del personale". Lo ha dichiarato il segretario nazionale Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, per il quale "la costruzione di nuove carceri, che certamente rappresenta una soluzione più utile di amnistie o indulti, richiede necessariamente una adeguata dotazione organica, ad oggi già insufficiente e in merito abbiamo un incontro urgente con il ministro Alfano".

"Ad oggi - spiega il sindacalista - il personale è costretto a svolgere turni massacranti, con una limitazione dei propri diritti contrattuali senza peraltro ricevere incrementi dell’organico da oltre 10 anni. L’assunzione del servizio di traduzione e piantonamento ha consentito il recupero di circa 10.000 carabinieri, ma a fronte del raddoppio negli ultimi venti anni della popolazione detenuta, il personale della polizia penitenziaria è rimasto sempre lo stesso assumendo nel corso del tempo sempre maggiori compiti. Ecco perché riteniamo che la rieducazione del reo resti l’unica speranza per ridurre la recidiva di reati che tra l’altro creano allarme sociale".

Giustizia: Consolo (Pdl); accordi espulsione detenuti stranieri

 

Adnkronos, 26 gennaio 2009

 

"Costruire nuove carceri è condizione necessaria ma non sufficiente per applicare in concreto la norma di cui all’art. 27 della Costituzione in cui si parla di pena anche rieducativa. Ritengo che il ministro della Giustizia, ma questo Alfano lo sa bene, debba cercare anche di stipulare nuovi accordi internazionali ricordando che dei 21.562 stranieri detenuti, ben 17.742 sono extracomunitari". Lo sottolinea Giuseppe Consolo (Pdl), vice presidente per la Giunta delle Autorizzazioni di Montecitorio e componente della Commissione Giustizia.

"Ciò significa che, con tutta la buona volontà e le procedure straordinarie adottate, innalzare da 43.000 a 60.000 i posti disponibili è certo un notevole passo avanti, tuttavia non risolutivo. Se la sinistra, invece di battersi per lo sciagurato provvedimento di indulto - rileva Consolo - avesse pensato per tempo a quanto oggi proposto dal Guardasigilli, la situazione non sarebbe ora così drammatica. Ben vengano, comunque, per considerare la parte piena del bicchiere, i 17.000 posti in più, ma non basta". "Mi auguro - conclude l’esponente del Pdl - che Franco Ionta, responsabile delle carceri, pensi anche a soluzioni complementari tipo quella del braccialetto elettronico, per risolvere questo indifferibile problema".

Sicilia: Gucciardi (Pd) incontra sindacati Polizia penitenziaria

 

La Sicilia, 26 gennaio 2009

 

Una delegazione delle segreterie provinciali di Cgil, Cisl, Uil, Sappe, Osapp, Uspp/Ugl e Cnpp, rappresentanti sindacali del personale di polizia penitenziaria, hanno incontrato il deputato regionale del Partito Democratico, onorevole Baldo Gucciardi, per affrontare i delicatissimi temi che riguardano la precaria situazione che ormai da tempo affligge le carceri siciliane.

Nel corso dell’incontro, è stata manifestata la gravità di alcuni tra i problemi che affliggono il personale di polizia penitenziaria, in particolare: il sovraffollamento delle carceri e la insopportabile carenza di organici. L’onorevole Baldo Gucciardi, ha assunto l’impegno di sollecitare ancora le istituzioni preposte affinché si scongiuri il rischio che la pesante situazione degli istituti di pena si riverberi ulteriormente sulla salute degli operatori e degli stessi detenuti.

"Non mi pare - sottolinea il deputato regionale - che possa essere ancora ritardata la soluzione ai drammatici problemi segnalati ancora una volta dagli operatori di polizia penitenziaria. Credo che sia ormai davvero intollerabile - continua Gucciardi - lo stato di stress psico-fisico, cui tanti seri lavoratori sono quotidianamente sottoposti. È urgentissimo - conclude il deputato regionale - intervenire con ogni soluzione utile a migliorare la difficile condizione delle nostre carceri". Gucciardi in mattinata, ha scritto al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, sollecitando le istanza delle organizzazioni sindacali ed invitando lo stesso a visitare le carceri trapanesi per rendersi direttamente conto del gravissimo stato di disagio di lavoratori e detenuti.

Le organizzazioni sindacali, chiedono una temporanea chiusura del reparto Tirreno, per carenza di condizioni igienico-sanitarie, lo stanziamento dei fondi per la ristrutturazione del muro di cinta esterno delle carceri di San Giuliano e l’installazione di sistemi di sicurezza in alternativa all’attuale impiego di personale per la sorveglianza esterna, con il recupero stabile di almeno 15 unità.

"Le suddette questioni - affermano i segretari provinciali delle sigle sindacali, Privitera (Cgil-fp), Madone (Cisl-Fp), Patti (Osapp), Galbano (Uspp-Lisiapp), Sole (Siappe) - comporteranno una scarsa qualità dei servizi, il conseguente abbassamento delle minime condizioni di sicurezza ed una gestione incontrollata del personale con le seguenti disfunzioni: Continuo impiego giornaliero Ntp del personale addetto ai servizi interni dell’istituto creando notevoli disagi per mancanza di programmazione, spostamenti del personale da un posto di servizio all’altro dell’istituto con accorpamenti di più posti di servizio creando disservizio, inefficienza e scarsa sicurezza, distribuzione in maniera inidonea delle prestazioni straordinarie in maniera tale da non finalizzare tale risorsa, come prescritto nel contratto nazionale comparto sicurezza, aumento tra i reclusi di autolesionismo, liti, risse, aumento sensibile delle patologie che investono il personale di polizia penitenziaria, mancata fruizione dei diritti soggettivi del personale".

Friuli: Sbriglia (Sidipe); nelle carceri servono 400 posti in più

 

Ansa, 26 gennaio 2009

 

Sono circa 400 i posti ancora necessari al sistema carcerario in Friuli Venezia Giulia per soddisfare le esigenze di ospitalità: lo ha stimato Enrico Sbriglia, segretario nazionale del Sidipe (Sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari). Commentando la nomina del commissario straordinario all’emergenza carceri da parte del Consiglio dei Ministri, Sbriglia ha osservato che i cinque penitenziari della regione - a Trieste, Gorizia, Udine, Tolmezzo (Udine) e Pordenone - "ospitano già oggi un numero di detenuti maggiore di quanto previsto". Complessivamente, ha precisato Sbriglia, i detenuti presenti nelle cinque strutture detentive "sono circa 800, dei quali circa 200 a Trieste, 30 a Gorizia, 180 a Udine, 250 a Tolmezzo e 40 a Pordenone".

"Le situazioni di emergenza sono quelle di Pordenone e Gorizia - ha aggiunto - alle quali si potrebbe dare risposta non necessariamente con la costruzione ex novo di nuove strutture, ma anche con il recupero di edifici già esistenti, come le caserme. Si tratta - ha concluso Sbriglia - di strutture dismesse che, una volta riadattate, potrebbero rispondere alle esigenze locali, che non necessitano di carceri di massima sicurezza".

Vibo Valentia: tre strutture carcerarie, nuove e mai utilizzate

 

Ansa, 26 gennaio 2009

 

Nella sola provincia di Vibo Valentia, una tra le più giovani e le più piccole, meno di 200.000 abitanti, vi sono tre strutture carcerarie nuove di zecca, mai utilizzate, senza contare quelle dismesse. Costruite ad iniziare dagli anni 80: una nel comune di Soriano, l’altra in quello di Arena e un’altra ancora a Mileto, a suon di miliardi non sono entrate appunto mai in funzione a causa della soppressione delle preture.

A denunciarlo è l’associazione antimafia "Libera", tramite il suo presidente provinciale, il sacerdote Giuseppe Fiorillo. "Adesso che il problema della popolazione carceraria è nuovamente scoppiato in tutta la sua drammaticità - si legge in una nota - a causa del sovraffollamento ed il ministro Alfano non sa come affrontarlo, i sindaci di quei comuni interessati che si sono visti appioppare sulle spalle quegli inutili fardelli, si chiedono perché quelle strutture debbono marcire quando invece potrebbero essere utilizzati per snellire l’affollamento del sistema penitenziario".

Verona: protesta detenuti; il giudice non dà permessi premio!

 

L’Arena, 26 gennaio 2009

 

"Intravediamo una valutazione strumentale per evitare scomode responsabilità nell’offrire un diritto". Una lettera al Magistrato di Sorveglianza, toni pacati, ma termini incisivi per rappresentare a loro dire un diritto violato e a lungo, quello di ottenere permessi premio.

L’hanno scritta i detenuti della quarta e quinta sezione del carcere di Verona per chiedere al giudice di "riformare le proprie decisioni con un occhio più benevolo dando quindi più permessi, nel rispetto delle cautele previste dal regolamento". I detenuti di Montorio sottolineano che molti di loro rientrano in quella categoria di carcerati che potrebbero godere dei benefici previsti dalla legge. Ma nella quasi totalità si vedono rifiutata la concessione.

"Tanti di noi hanno il parere favorevole del direttore del carcere, hanno ovviamente una condanna definitiva, le informazioni del personale sono positive, e abbiamo assenza di pericolosità sociale, anche in riferimento alla natura del reato commesso", dicono i detenuti, "nessun reato commesso durante la detenzione, espiazione del minimo previsto", nonostante questo continuano i detenuti che si sono fatti promotori di una raccolta di firme che è stata inviata al magistrato di sorveglianza i detenuti si sono visti rigettare o dichiarare inammissibile la loro richiesta.

"L’esperienza dei permessi premio è parte integrante del programma di trattamento. Noi potremmo impugnare le risposte del tribunale di sorveglianza e rivolgerci a Venezia. ma significa spendere denaro che non abbiamo e anche subire lungaggini burocratiche in un sistema che non è già privo di difficoltà", sottolineano i detenuti che auspicano che il magistrato di sorveglianza del tribunale veronese possa riformare le proprie decisioni con un occhio più benevolo.

Abbiamo la sensazione che non ci sia la volontà politica di applicare la legge, o meglio siamo costretti a pensare che la magistratura subisca pressioni politiche mirate ad una certezza della pena alternativa mai. Diciamo questo perché riteniamo precostituito l’attuale parere negativo delle istanze, intravediamo una valutazione strumentale atta a negare sui generis l’uscita dei detenuti dalle mura carcerarie per evitare la scomoda responsabilità di offrire ai detenuti quello che è un diritto sacrosanto".

La conclusione dei carcerati è amara poiché ipotizzano che la mancata concessione del beneficio nasconda, a loro dire, l’incapacità e il fallimento di utilizzare gli strumenti per indagare e valutare il comportamento e l’eventuale processo di reinserimento del detenuto.

Sulmona: 22enne tenta di sgozzarsi, ma poi ferisce tre agenti

 

Il Centro, 26 gennaio 2009

 

Tentare di sgozzarsi in carcere con una lametta. Per la rabbia, dopo un diverbio con il compagno di cella. A 22 anni, con problemi mentali, in un paese straniero ed ostile. Accade a nel supercarcere di Sulmona. È accaduto ieri alle 19 circa nella casa circondariale di Sulmona e al detenuto, un 22enne algerino, che già lo stesso pomeriggio aveva tentato di suicidarsi ingerendo un disinfettante chimico, sono stati applicati 45 punti di sutura sulla ferita che si è procurato.

I tre agenti feriti hanno avuto una prognosi tra i 3 e gli 8 giorni per ferite agli arti, con uno di loro che è stato letteralmente malmenato, mentre un quarto poliziotto è rimasto illeso riportando solo ecchimosi e graffi. Si tratta della seconda aggressione in 24 ore, dopo quella di sabato mattina. Il personale in forza al carcere di Sulmona si riunirà nei prossimi giorni per chiedere formalmente un incontro con il ministro della Giustizia, Angelino Alfano.

A determinare l’escalation di aggressioni è il sovraffollamento del carcere, condizione che sottopone a forte stress sia i detenuti che gli agenti penitenziari. Ha avuto un diverbio con il compagno di cella, poi ha tentato il suicidio tagliandosi con una lametta alla base del collo, sotto la regione occipitale e ha aggredito i tre agenti arrivati per soccorrerlo.

Un medico e un infermiere del carcere di Sulmona si sono dimessi dal loro incarico scegliendo di andare a lavorare da un’altra parte. Da tre mesi tutto il personale medico del carcere non riceve lo stipendio e il continuo sovraffollamento della struttura penitenziaria che ospita detenuti affetti da malattie psichiche sta creando una pericolosa situazione anche in questo particolare settore.

Attualmente sono in forza nel carcere peligno 8 medici e 10 infermieri che devono assicurare le cure a una popolazione carceraria di oltre 450 detenuti: 120 hanno problemi psichici, 130 detenuti sono tossicodipendenti in carico al Sert e altre decine sono affetti da patologie diverse.

Il penitenziario di Sulmona viene considerato un carcere di secondo livello, a metà tra una struttura sanitaria e un supercarcere. Nel carcere di Sulmona oltre ai detenuti comuni ci sono reclusi sottoposti a regime di alta sorveglianza, pentiti di mafia e di camorra e internati. Secondo il personale medico in servizio al carcere i ritardi sui pagamenti si sono verificati dopo il trasferimento del servizio e delle relative competenza alla Asl Avezzano-Sulmona, che dal mese di ottobre non paga gli stipendi.

Vicenza: i detenuti sono il triplo della norma, agenti in rivolta

di Chiara Roverotto

 

Il Giornale di Vicenza, 26 gennaio 2009

 

"Sono entrato in polizia penitenziaria più di vent’anni fa. E in questo periodo ho visto carceri affollate, detenuti tranquilli ma anche esagitati, stranieri. Volontari che entravano per far sì che anche una piccola attività potesse diventare non solo una forma di svago ma anche un’ancora di salvezza. Ma quello che sta accadendo ora a Vicenza e, credo in tante altre strutture del Veneto, non l’ho mai visto". Chi parla fornisce solo le iniziali, non per paura, ma perché non è concesso agli agenti rilasciare dichiarazioni.

Attualmente - secondo i dati forniti da Sergio Merendino della Funzione pubblica della Cgil - ci sono 350 detenuti all’interno di S. Pio X, un record quasi storico. Non più tardi di due mesi fa - quando partì l’ennesimo allarme - in via Della Scola c’erano 333 carcerati a fronte dei 125 posti previsti dal Ministero. Già allora si diceva che la casa circondariale stava scoppiando e lo stesso direttore, Fabrizio Cacciabue ammetteva che le operazioni di polizia giudiziaria si susseguivano con una certa intensità, per cui era normale che gli istituti di pena si riempissero e ammise che la gestione era diventata difficile perché le tensioni all’interno crescevano.

"Tensione, ansia, stress, pressione sono parole che rendono bene come si sta respirando all’interno di S. Pio X: gli agenti fanno turni massacranti - riprende l’interlocutore - spesso, per almeno due settimane, non si riesce a guadagnare un giorno di riposo con tutto quello che comporta a livello professionale, umano e psicologico. Ci sono sezioni in cui c’è un solo agente che deve accompagnare i detenuti da una parte all’altra della struttura per le varie attività. Poi, ci sono gli appelli, la distribuzione dei pasti e tutti i controlli. Lavorare in condizioni tranquille ci permette di avere più tempo, disponibilità. Ma così saltano tutte le regole, perché non solo i detenuti sono triplicati rispetto alla capienza della struttura, ma noi continuiamo a diminuire, i pensionamenti non vengono sostituiti e lo stesso vale per i trasferimenti".

"Siamo all’incirca 145 agenti, una ventina distaccati - continua - quando la pianta organica ne prevede almeno 191. Già questi numeri servono a far capire la natura del nostro disagio. È inutile che ci mandino dallo psicologo se poi dobbiamo lavorare in queste condizioni. Meglio qualche colloquio in meno e qualche agente in più. Senza contare che la maggior parte dei detenuti è straniera e questo spesso rende i rapporti ancora più difficili, solleva tensioni, magari normali se i numeri fossero meno importanti. Ci rendiamo conto di non essere ben visti e di svolgere un lavoro difficile. Ma si tratta di una professione che non può e non deve diventare una forma di schiavitù, né per noi né per chi viene rinchiuso all’interno".

"I rapporti umani credo siamo importanti. Ci rendiamo conto - prosegue l’agente - che la situazione non cambia. Ci rimbocchiamo le maniche per un innato senso di dovere nei confronti delle istituzioni, ma ormai anche questa molla sta cedendo. Soprattutto se ci sono colleghi che vivono in alloggi di servizio dove, da anni, sono stati promessi lavori di ristrutturazione che non vengono finanziati e anche farsi solo una doccia è un’impresa".

"La situazione - insiste - diventa pesante per questi motivi: manca rispetto per il lavoro e per le condizioni in cui si opera, sostenere turni di otto ore, pensare di staccare e invece all’ultimo momento essere chiamati in un’altra sezione per sostituire il collega, non è umano. O meglio può rappresentare un fatto straordinario, non certo la regola ed è su questo che vogliamo risposte. Che possono arrivare solo da Roma".

Sergio Merendino ormai non ha più voce per denunciare quanto avviene all’interno di S. Pio X. "Non ci ascolta più nessuno - dice - il ministero continua a non pensare che la situazione è grave e pesante: per gli agenti penitenziari e anche per i carcerati. E poi vediamo con il prossimo bilancio quante attività verranno riconfermate anche a S. Pio X".

"Alla sera quando vado a casa, diventa sempre più difficile staccare il pensiero, perché la maggior parte del tempo trascorre anche per noi , dietro le sbarre. E nessuno quando ha iniziato questa professione immaginava di arrivare a tanto. Il nostro senso di appartenenza ci porta a fare sacrifici. Ma per quanto ancora.?".

Napoli: a Secondigliano per colorare il carcere con la fantasia

di Fabrizio Valletti

 

Il Mattino, 26 gennaio 2009

 

Sembra un’idea un po’ folle, fuori dalla realtà, non aderente alle necessità più urgenti di un mondo così complesso e bisognoso di interventi concreti come quello delle carceri. Ma quando il direttore del Centro Penitenziario di Secondigliano, Liberato Guerriero, accompagnato dal comandante Gaetano Diglio e dal responsabile dell’area pedagogica Nicola Caruso, mi ha lanciato l’idea, ho pensato che si può iniziare da ciò che rende gioia allo spirito per scendere poi a scelte di vita quotidiana e a soluzioni che possono cambiare la stessa vita: "Coloriamo il carcere".

Diamo spazio al colore ed alla fantasia. Quando si percorrono i lunghi corridoi del Centro penitenziario, c’è l’impressione di perdersi, ma quello che è peggio è la solitudine di spazi grigi e deserti, tutti pensati con l’intento di arrivare alle sezioni dove vivono ristrette centinaia di persone. È il lungo cammino degli agenti e degli addetti ai lavori, con qualche visitatore volontario e troppo di rado qualche rappresentante delle istituzioni o della società civile.

I luoghi di incontro sono altrettanto squallidi e riproducono comunque lo spazio, la luce, l’aria delle celle dove risiedono uno o più ristretti. Forse lo spazio della chiesa offre più luce e possibilità di incontro, con una atmosfera che fa dimenticare per qualche minuto di essere lontani dalla libertà. È certo che tale libertà dipende dalla ricerca di una pace e di una consolazione che offre la preghiera e la fede. Ma per troppo pochi e senza continuità ciò è possibile. Dare colore al carcere può essere un passo che affida all’arte, alla manualità e alla presenza di volontari artisti il desiderio di liberare il cuore.

E ciò attraverso la visione di quelle forme e di quei colori che quasi sono sconosciuti e dimenticati da chi è recluso. Rompere gli spazi, inventare figure e riferimenti alla natura, scoprire il ritmo delle forme e dei colori, sono tutti mezzi per aiutare chi vive nel carcere ad aprire il cuore alla speranza. Non solo chi è dentro deve conquistare il senso della giusta libertà, soprattutto è la società che è fuori a dover costruire i percorsi di libertà per rendere possibile e realistico il cammino del recupero e del nuovo diritto di cittadinanza perduto dal delinquere. Vuol dire portare dentro il carcere i migliori colori di un mondo che crede alla riabilitazione e alla giustizia.

È un’idea aperta a quegli artisti che vogliono collaborare gratuitamente a quelle imprese e a commercianti che vogliono offrire strumenti e colori, perché chi è dentro possa sentire che c’è un desiderio di pace, che non c’è solo paura e bisogno di sicurezza. Si potrà partecipare mettendosi in contatto con il Centro Hurtado di Scampia. Si tratta di cominciare dal colore, che può essere l’avvio ad esprimere calore a chi vuole uscire dal sistema, a chi vuole scoprire il senso del lavoro onesto, ammesso che ci sia qualcuno che lo possa offrire, a chi vuole ricongiungersi con la famiglia in condizioni di serena e onesta collaborazione.

La società civile non può sottrarsi a tale responsabilità, non può disconoscere lo spirito della stessa Costituzione che vuole garantire il recupero di chi ha sbagliato; deve altresì organizzarsi per dare risposte di civiltà e di solidarietà, previste dalle stesse leggi. La legalità è un bisogno e un dovere da attuare e adempiere, con la dolorosa constatazione che troppe leggi non sono rispettate da chi si sente nel giusto, con la palese contraddizione di non renderle praticabili. Così è per il diritto del lavoro, della salute, della casa, dello studio. E allora diamo colore ai nostri ai desideri.

Cagliari: Quartucciu; nuovo laboratorio voluto dalla provincia

 

Adnkronos, 26 gennaio 2009

 

Lunedì alle ore 11, presso l’Istituto penale minorile di Quartucciu (Località Su Pezzu Mannu), si terrà l’inaugurazione di un Laboratorio di falegnameria e di orientamento professionale finalizzato all’acquisizione delle competenze minime del mestiere di falegname con eventuale rilascio del credito formativo per i minori stranieri in detenzione penale.

La realizzazione dello strumento di recupero e orientamento professionale dei minori è stata possibile grazie ad un progetto della Provincia di Cagliari finanziato dal ministero dell’Interno (Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione) per l’importo di 49.506 euro, a fronte di un cofinanziamento della Provincia di 55mila euro. La Provincia di Cagliari è quindi riuscita ad acquistare tutti i nuovi e necessari macchinari (con relativo materiale per i lavori che verranno realizzati all’interno dell’Istituto penale minorile), ma anche ad assicurare il rifacimento dell’impianto elettrico e di sicurezza della struttura e a convenzionare un esperto artigiano (attraverso la Scuola Edile) che insegnerà ai ragazzi il mestiere del falegname.

All’inaugurazione prenderanno parte il presidente della Provincia di Cagliari, Graziano Milia, l’assessore alle politiche sociali della Provincia di Cagliari, Angela Maria Quaquero, il Direttore dell’Istituto Penale Minorile, Giuseppe Zoccheddu e il responsabile dell’Ufficio Giustizia Minorile Sandro Marilotti.

Pescara: la Polizia Penitenziaria in protesta davanti a Istituto

 

Agi, 26 gennaio 2009

 

Il personale della Polizia penitenziaria di Pescara ha protestato venerdì scorso davanti al carcere del capoluogo adriatico per richiamare l’attenzione sulle condizioni di lavoro all’interno della struttura e denunciare il comportamento del provveditore regionale.

I rappresentanti sindacali dei lavoratori hanno spiegato che la forza effettiva in servizio al carcere di Pescara è di 128 persone, a fronte di 260 detenuti, e ogni giorno gli agenti effettuano due turni, anziché uno solo, per un totale di 12 ore. In queste condizioni, hanno spiegato i sindacalisti, diminuiscono le condizioni di sicurezza, non può essere assicurata la vigilanza esterna e ogni agente deve coprire in contemporanea due posti di servizio.

A peggiorare la situazione c’è il fatto che molti agenti vengono mandati in missione in altre case circondariali, per coprire carenze di organico, senza che venga neppure assicurato il trattamento per questi spostamenti. Di tutto questo si vorrebbe discutere con il provveditore, che fino a ora ha convocato i sindacati per la contrattazione, se non in via informale. I sindacati sono pronti ad altre azioni di protesta, dopo aver già promosso l’astensione dal servizio mensa.

Pordenone: sul nuovo carcere una doppia ipotesi al Ministro

 

Il Gazzettino, 26 gennaio 2009

 

Sul tavolo del ministro della Giustizia è tornata la questione del futuro carcere. E all’attenzione del neocommissario Franco Ionta - nominato venerdì scorso dal ministro Angelino Alfano - che dovrà realizzare in due mesi un piano di emergenza per l’edilizia carceraria ci saranno entrambe i fascicoli dell’infinita storia del penitenziario mai realizzato nel Friuli occidentale: quello relativo al progetto del carcere di Pordenone nell’area della Comina e quello che riguarda invece l’ipotesi dell’ex caserma "Dall’Armi" messa a disposizione dal Comune di San Vito al Tagliamento.

"Entrambe le ipotesi - spiega Manlio Contento, parlamentare del Pdl che da tempo sta seguendo l’iter del futuro carcere - restano in ballo. Non appena entrerà in vigore la norma che farà scattare il piano si cominceranno a esaminare le diverse possibilità sulla base di una serie dei requisiti che riguarderanno le priorità, le disponibilità finanziarie, i costi, lo stato progettuale e le possibilità di finanziamento. Grazie a questo piano Pordenone potrà approfittare per ripartire da capo, sempre facendo però i conti con le disponibilità finanziarie". La norma che darà i superpoteri al commissario governativo entrerà in vigore a fine febbraio.

È da quel momento che scatteranno i sessanta giorni entro i quali il piano che prevede ristrutturazioni e nuove costruzioni dovrà individuare siti e sistemi di finanziamento. Una risposta definitiva - sono in molti a credere che sia l’ultima occasione per dare un carcere alla provincia - arriverà, dunque, solo a fine aprile. Allo stato di certo - come conferma Manlio Contento - c’è solo che entrambe le proposte pordenonesi (quindi anche l’ipotesi di San Vito) saranno prese in considerazione.

Ma su questo fronte c’è da registrare una spaccatura nel centrodestra: il consigliere regionale "forzista" Antonio Pedicini (che con il collega Franco Dal Mas nei mesi scorsi si era impegnato per l’avvio di un tavolo regionale con l’assessore Vanni Lenna sulla vicenda del carcere) insiste sulla necessità di supportare il progetto che veda il nuovo carcere a Pordenone.

"C’è già un’area individuata - sottolinea Pedicini - con la previsione urbanistica a nord della città, nella zona in cui sorgerà il nuovo ospedale. Proprio per questo l’area sarà dotata di una serie di nuove infrastrutture viarie, riguardanti anche la grande viabilità. Senza contare poi che l’ipotesi di San Vito non è certo spendibile in tempi brevi visto che il Comune, da quanto mi consta, non ha l’immediata disponibilità della ex struttura militare". Il sindaco sanvitese Gino Gregoris insiste: "Il progetto nella ex caserma costerebbe circa 25 milioni, la metà di quello pordenonese. La nostra disponibilità resta, anche se non all’infinito poiché sull’area ci sono anche altre idee".

E sulla vicenda interviene anche il parlamentare Pdl Isidoro Gottardo che media: "Ho avuto modo di parlare con il ministro Alfano che conosce benissimo la questione del carcere di Pordenone e che ci ha dato assicurazioni rispetto alla volontà di risolvere una situazione che si trascina da troppo tempo".

Savona: il Corano più richiesto della Bibbia; aiuto dall’Imam

 

Secolo XIX, 26 gennaio 2009

 

È il sorprendente dato che emerge dall’istituto penitenziario di piazza Monticello. Un dato che trova una spiegazione anzitutto nei numeri: percentualmente i detenuti di origine musulmana superano quasi sempre quelli occidentali e comunque i musulmani sono spesso (sempre percentualmente parlando) più osservanti e "praticanti" dei cristiani.

Di fatto questa situazione provoca un problema: nel carcere c’è spesso il problema di riuscire a reperire i libri del Corano a sufficienza per chi ne fa richiesta. "Quelli che ci sono spesso non bastano, anche perché capita talvolta che i libri consegnati non tornino indietro ma spariscano" è la conferma che filtra dall’istituto penitenziario.

E così da qualche tempo il personale che opera al Sant’Agostino - mediatori culturali in primis - deve fare sovente i salti mortali per riuscire a reperire i libri delle sacre scritture dell’Islam e risolvere l’intoppo. In genere la richiesta viene fatta direttamente alla moschea di Savona, in via Aglietto, dove di libri ma anche riviste arabe non ne mancano e le mettono sempre a disposizione per i "fratelli detenuti".

"È così - conferma il responsabile della moschea, Zahoor Zargar, nella vita commerciante di via Pia - i mediatori culturali vengono sempre da me in moschea per chiedere sia testi sacri, il Corano, sia riviste in lingua araba. Ovviamente non abbiamo difficoltà a prestarli. Su come mai ci sia questa esigenza di leggere il Corano da parte di chi finisce in carcere non credo ci sia una spiegazione unica. La fede è qualcosa che ciascuno vive a suo modo e anche se è vero che chi finisce in carcere in teoria non ha vissuto secondo i dettami del Corano questo non significa che non abbia diritto di pregare e leggere le sacre scritture. Tra l’altro in carcere si può finire anche per fatti di piccola rilevanza..".

Proprio per semplificare la vita ai musulmani del Sant’Agostino nei mesi scorsi il personale del carcere aveva già valutato la possibilità di organizzare l’ingresso di un Imam che celebrasse qualche funzione a giorni prestabiliti. Ma l’ipotesi è poi naufragata.

"Di questo non so nulla - riprende Zargar - nei carceri più grossi, come ad esempio a Marassi, l’Imam ci va al venerdì ed è un incontro molto sentito e partecipato. Ma a Genova ci sono numeri maggiori che giustificano questa decisione. Qui a Savona il carcere è piccolo ed i detenuti sono quasi sempre di passaggio e quindi non credo si possa pensare ad una cosa analoga".

I detenuti musulmani ad oggi pregano così in una sala o nelle rispettive celle quando gli altri detenuti sono fuori per l’ora d’aria. Tutto ciò è possibile perché extracomunitari ed occidentali sono di norma divisi per celle e non si creano mai incompatibilità. E sempre per non creare problemi ai musulmani da tempo il carcere si è persino adoperato per diversificare la cucina proponendo piatti rispettosi della tradizione, e addirittura consentendo il digiuno durante il mese di Ramadam.

Immigrazione: Naga e Cospe; in Italia è razzismo "quotidiano"

 

Redattore Sociale - Dire, 26 gennaio 2009

 

Intervistati 580 stranieri e monitorati i media per oltre un mese: registrata una media di 1,3 atti di discriminazione al giorno. Massarotto: "Una sorta di normalizzazione".

A un immigrato su cinque è capitato di essere trattato male dalle forze dell’ordine. A tre su dieci di essere offese su mezzi pubblici, ad altrettanti di non essere pagati per un lavoro svolto. E, a più della metà, è capitato di perdere all’improvviso il lavoro. Per il 65% degli stranieri intervistati dal Naga e dal Cospe (Cooperazione per lo sviluppo dei paesi emergenti) la vita in Italia è cambiata negli ultimi anni e, per la grande maggioranza di questi, si è trattato di un cambiamento negativo. È quanto emerge dall’indagine "Razzismi quotidiani" presentata oggi a Milano: le due associazioni hanno intervistato, nell’arco di un mese, 580 cittadini stranieri e monitorato i mezzi d’informazione riscontrando una media di 1,3 episodi di razzismo al giorno.

"I dati evidenziano una situazione odiosa, una sorta di normalizzazione degli atti di discriminazione e di razzismo - commenta Pietro Massarotto, presidente del Naga -. Inoltre, in un contesto di criminalizzazione continua, i cittadini stranieri sembrano aver alzato il livello di sopportazione degli abusi". Il monitoraggio dei media è durato 33 giorni, durante i quali sono stati censiti 48 episodi di violenza o comportamenti razzisti.

Nel 71% dei casi le vittime erano immigrati, soprattutto cittadini romeni, nel 13% cittadini rom e sinti, nel 6% ebrei. Tra gli autori di questi episodi di discriminazione si segnala il ruolo svolto dalle istituzioni: protagonisti in negativo in 11 casi. In molti casi si tratta di amministrazioni comunali che, attraverso circolari e disposizioni specifiche, discriminano i cittadini immigrati attraverso la negazione di diritti o di benefici; in due casi però la discriminazione è stata attribuita alle forze di polizia.

Immigrazione: Trento; non hanno soldi per rimpatrio, assolti

 

La Stampa, 26 gennaio 2009

 

Nell’Italia che si divide sulle misure da prendere per fermare gli sbarchi irregolari, succede anche questo: la polizia ferma un gruppo di stranieri, li porta in carcere, e il giudice li rimette in libertà. Motivo: "Non hanno rispettato l’ordine di espulsione perché sono poveri.

E, senza soldi, non possono acquistare il biglietto aereo per tornare nel loro paese". Sentenza destinata a far discutere, quella emessa a Trento dal giudice Enrico Borrelli. I nove stranieri irregolari in Italia, sono tutti originari dell’Africa del Nord. Due giorni fa erano stati arrestati dalla polizia in piazza Dante a Trento nel corso dei controlli intensificati

per la sicurezza della zona. Nulla di grave nei loro confronti, né spaccio di droga né altri reati penali. Ma la legge è la legge, e così era scattata nei loro confronti l’accusa di aver violato la legge Boss-Fini: già fermati in passato, nessuno di loro aveva rispettato il foglio di via che li obbligava a lasciare il Paese. E dunque: ordinanza di custodia, trasferimento in carcere, processo. In Tribunale, ecco il colpo di scena. Con un lungo e articolato provvedimento, il giudice argomenta che i nove non avrebbe, neanche volendo, potuto tornare al loro Paese d’origine per ragioni economiche. Sono stati tutti rimessi in libertà.

Immigrazione: Manconi; la vergogna del Centro di Cassibile!

 

www.innocentievasioni.net, 26 gennaio 2009

 

Luigi Manconi, direttore di Innocentievasioni.net: "Il nostro sito pubblica un lungo e dettagliato resoconto del parlamentare Rita Bernardini sulle disumane condizioni in cui si trovano i richiedenti asilo del centro di Cassibile (Siracusa).

Una vecchia fabbrica circondata da sbarre altissime e vigilata da militari con mitra, pavimenti dissestati, muri cadenti, priva d’acqua potabile e impianti antincendio, che non ha mai ottenuto i certificati di variazione d’uso. Enormi camerate dove centinaia di richiedenti asilo - schedati, designati e appellati per numero: 5725 marito eritreo, 5726 moglie eritrea incinta… - dormono su letti a castello o per terra, su stuoie improvvisate.

Un ente gestore del centro, l’Alma Mater, che nonostante non abbia mai adeguato la struttura agli standard minimi, ha ottenuto per ben due volte la convenzione con la Prefettura senza gara d’appalto. Rita Bernardini ha ottenuto dal Commissario europeo per la Giustizia e gli Affari Interni, Jaques Barrot, l’impegno a sollecitare risposte adeguate dal governo italiano su condizioni di accoglienza vergognose, che violano tutte le garanzie previste dal nostro ordinamento e dalle convenzioni internazionali e segnala che le prossime settimane saranno decisive.

Martedì 27 gennaio, infatti, si terrà l’udienza preliminare per la richiesta di rinvio a giudizio di don Arcangelo Ragazzi e Marco Bianca, presidente e vice-presidente dell’Alma Mater e di tre imprenditori, tutti accusati di aver gonfiato fatture per arredi, lavori di ristrutturazione e forniture di pasti. Inoltre, è imminente il rinnovo della convenzione del centro che, ci auguriamo, dovrà avvenire in modo serio e attraverso regolare bando".

Droghe: aumenta consumo sostanze tra gli ultrasessantenni

 

Notiziario Aduc, 26 gennaio 2009

 

Arriva in Italia la tendenza al consumo di droga tra i non più giovani. Quattro mesi fa, un’indagine giunta dagli Stati Uniti, raccontava il dilagare del fenomeno tra gli over 60. Un fenomeno che sembra prendere piede ora anche nel nostro Paese, da un capo all’altro della Penisola.

L’ultimo caso risale a qualche giorno fa. Un’anziana di 81 anni, Vita Lippolis, di Perinaldo, nell’entroterra di Bordighera (Genova), è stata arrestata dai carabinieri; doveva scontare un definitivo di pena a 6 mesi circa di reclusione per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Ma vista l’età non più verde della donna, le sono stati concessi gli arresti domiciliari. La nonna genovese era rimasta coinvolta in un’inchiesta partita tra il 2004 ed il 2005 che riguardava un traffico di droga.

Qualche giorno prima, nella Capitale, nei pressi della stazione Termini due anziani, 76 anni lei, 74 lui, sono stati sorpresi a spacciare e sono stati arrestati dalla polizia ferroviaria. Stavano rifornendo di cocaina una giovane. Gli agenti della Polfer, a casa dei due anziani hanno trovato 65 panetti di coca e diecimila euro, provento dell’attività illecita. Due mesi fa, l’episodio di un pensionato 67enne di Catania arrestato, in casa del quale sono state trovate due piante di cannabis sativa e 38 grammi di marijuana poi sequestrate dalla Guardia di Finanza. Ai militari l’anziano ha detto di essere un tossicodipendente e che la droga era detenuta a scopo personale.

Quattro mesi fa, la diffusione dell’indagine Usa, portata all’attenzione dall’Associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori (Aduc), che raccontava come l’uso di droghe è diventato un vizio dei 60enni.

Se nel 2007 è diminuito l’interesse delle persone sotto i 24 anni per cocaina, amfetamina e marijuana, il consumo di sostanze stupefacenti è invece raddoppiato nella fascia che va dai 55 ai 65 anni (al 4,1%), che è la generazione dei loro genitori e nonni. Un incremento, si sottolinea nella ricerca, dovuto al fatto che molti dei cosiddetti baby boomer nati tra il 1946 e il 1964 e cresciuti in epoca di rock and roll ed emancipazione sessuale, hanno continuato a fare uso di stupefacenti. Il ministero della Sanità statunitense di recente ha sottolineato che la sua preoccupazione che i baby boomer continuassero a usare droghe aveva avuto conferme.

In Italia comunque, la politica di contrasto del fenomeno riguarda ancora molti giovanissimi, anche perché le statistiche continuano a indicare i ragazzi tra i 16 e i 30 anni come i maggiori consumatori. Il fenomeno statunitense è però curioso e di certo i baby boomer saranno i candidati ideali per una ricerca sulla guida, di portata europea, e che in Germania è condotta dall’Università di Wuerzburg.

Il progetto Druid "Driving under the influence of drugs, alcohol and medicines", cui partecipano 30 istituti di ricerca di 19 Paesi, è finalizzato a misurare l’effetto dell’uso di droghe sugli automobilisti, e sarà utile nell’elaborazione di nuove norme stradali valide in tutta l’Unione Europea.

L’ateneo di Wuerzburg cerca nella zona di Monaco consumatori abituali di cannabis e altre sostanze; 170 volontari si sono già annunciati per l’esperimento. Per quattro settimane dovranno girare con un BlackBerry (il computer portatile) e riempire un questionario ogni giorno, in cambio di 300 euro. Ai ricercatori interessa scoprire se c’è chi si mette alla guida sotto gli effetti della droga; l’eventuale quantità assunta; in quali circostanze e la frequenza.

Dall’Ateneo fanno sapere che questo non è un invito a consumare droghe, ma chiede solo l’apporto di chi ne fa già uso. Nessun problema legale per i partecipanti, assicurano le Procure di Monaco e Wuerzburg, perché non verrà effettuato alcun accesso ai dati personali dei volontari, e questi non potranno essere ceduti a terzi. Il progetto è stato studiato anche dal punto di vista giuridico ed è stata esclusa l’istituzione di una commissione etica, giacché l’esperimento non comporta la cessione di sostanze stupefacenti.

Molte ricerche sottolineano come l’Europa stia registrando un notevole invecchiamento della sua popolazione. Nel corso del ventesimo secolo il numero di europei di 65 anni o di età superiore è triplicato e l’aspettativa di vita è più che raddoppiata. Nel 2028 più di un quarto della popolazione europea avrà raggiunto o superato i 65 anni di età e, secondo le previsioni, il numero di anziani con problemi legati all’abuso di sostanze o che necessitano di una cura a causa di tale consumo, aumenterà più del doppio fino al 2020.

Questo è in parte dovuto al numero di nati durante il baby boom e al tasso superiore di consumo di sostanze in questa fascia generazionale. Gli anziani che fanno uso di sostanze possono essere classificati in due categorie: quella di coloro che hanno iniziato a consumare tali sostanze da giovani (precoci) oppure in età più avanzata (tardive).

Chi ha iniziato precocemente di solito ha fatto uso di sostanze per molto tempo fino a tarda età. Chi le consuma in età avanzata, invece, secondo le più recenti ricerche, inizia nella maggior parte dei casi a causa di eventi di vita stressanti, come per esempio il pensionamento, la separazione dal coniuge, l’isolamento sociale o un lutto.

Iraq: carcere di Abu Ghraib riaprirà, ma con un nuovo nome

 

Ansa, 26 gennaio 2009

 

Simbolo delle torture inflitte ai prigionieri dagli uomini di Saddam Hussein, ma anche dai soldati americani, il carcere di Abu Ghraib riaprirà i battenti il mese prossimo.

Lo ha annunciato il vice ministro iracheno della Giustizia, Busho Ibrahim, secondo il quale il penitenziario - situato alla periferia occidentale di Baghdad e chiuso dal 2006 - è stato ristrutturato e adeguato agli standard internazionali. Ma l’operazione di rinnovamento non ha interessato solo le mura del carcere. Gli iracheni vogliono tagliare i ponti col passato e hanno deciso che il nome Abu Ghraib è troppo legato agli scandali e alle violenze degli anni scorsi e che, quindi, il nuovo penitenziario si chiamerà Prigione centrale di Baghdad. "Lo abbiamo chiamato così", ha spiegato Ibrahim, "per la cattiva reputazione di Abu Ghraib, causata non solo da quello che fecero lì gli americani, ma anche per quello che fece il regime di Saddam".

Durante gli anni della dittatura, infatti, Saddam fece imprigionare ad Abu Ghraib tra i 40mila e i 60mila detenuti in condizioni disumane e spesso sottoposti a tortura. Ma la prigione alla porte di Baghdad divenne nota alle cronache di tutto il mondo nel 2004, a meno di un anno dall’invasione statunitense dell’Iraq, quando la stampa internazionale pubblicò le foto dei militari americani che commettevano abusi sui prigionieri iracheni.

Usa: mobilitazione per salvare un 37enne condannato a morte

 

Corriere della Sera, 26 gennaio 2009

 

Il 27 gennaio potrebbe essere l’ultimo giorno di vita di Larry Swearingen. Quel giorno Larry avrà 37 anni. Fa sensazione conoscere la data della propria morte. Uno stillicidio: prima di giorni, poi di ore, infine di minuti e un’iniezione letale lo manderà all’altro mondo. Larry, che si è sempre proclamato innocente, è rinchiuso nel braccio della morte in Texas da dieci anni ed è stato condannato a morte nel dicembre del 2000 per aver strangolato Melissa Trotter, nipote di un senatore.

Melissa Trotter, 19 anni, sparì l’8 dicembre del 1988 da un college nei pressi della città di Conroe in Texas. Il corpo della ragazza fu trovato 25 giorni dopo in un bosco da alcuni cacciatori. Larry era un elettricista che conosceva la ragazza e aveva un piccolo precedente penale. Inoltre, fu una delle ultime persone a vederla in vita. Subito sospettato e dopo tre giorni incarcerato con la scusa di aver violato il codice della strada.

La giuria lo ha condannato dopo aver sentito la testimonianza della dottoressa Joye M. Carter che nel referto dell’autopsia scrisse che il corpo della ragazza era stato abbandonato 25 giorni prima del ritrovamento. La storia dei 25 giorni è stata fatale a Larry. L’accusa è riuscita a farlo condannare utilizzando prove indiziarie. Dopo nuove perizie, eseguite da tre esperti, si è scoperto che gli organi interni della povera ragazza erano in perfetto stato di conservazione. Ciò significa che il corpo poteva essere stato abbandonato dai 10 ai 14 giorni prima del ritrovamento e non 25 come è stato detto. Una differenza di circa 10-15 giorni che scagionerebbe Larry Swearingen in quanto in quei giorni era già in carcere.

Il 31 ottobre del 2007 la dottoressa Carter, in una dichiarazione sotto giuramento, concordava con le risultanze delle nuove perizie. Un’ammissione quindi che quanto da lei dichiarato nel 2000 era errato. A cascata dopo questo nuovo elemento fondamentale si è anche saputo, solo a processo chiuso, che la vittima, qualche giorno prima della sparizione, aveva ricevuto minacce telefoniche da parte un sadico che le preannunciava una morte simile a quella che ha fatto. Come se non bastasse sulla ragazza sono stati trovati peli pubici di un uomo il cui "Dna" non è quello di Larry. Sotto le unghie della ragazza sono state trovate tracce di sangue. Anche questo è risultato non essere di Larry .

Tutti questi elementi non sono stati sufficienti al giudice Fred Edwards, presidente del processo, per riaprire il caso: "Inopportune" le ha definite. Lo scorso 26 dicembre , come un regalo di Natale, è stata stabilita la nuova data dell’esecuzione: il 27 gennaio. Larry in Italia ha un amico: Gianluca Ferrara, direttore editoriale di una casa editrice. Ferrara ha organizzato una colletta e inviato 3500 dollari per pagare uno speciale test per dimostrare l’innocenza dell’amico. E ha organizzato anche una petizione su un sito internet: www.congliultimi.it. Larry e Gianluca giocano a scacchi attraverso delle lettere. Per corrispondenza, disegnando i movimenti delle pedine. Ma l’ultima mossa potrebbe essere quella del boia.

 

 

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