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Giustizia: riforma solo mediatica, il parlamento pensa ad altro di Fulvio Conti
www.radiocarcere.com, 16 gennaio 2009
Giustizia: tematica che occupa quotidianamente gli spazi di carta stampata e video. Politici, tecnici e meno tecnici segnalano, constatano lo stato catatonico in cui versa la nostra macchina giudiziaria. Un malato terminale il cui capezzale è affollato di individui che non lesinano consigli. Ognuno individua il male e comunica la cura agli organi di stampa. La conseguenza: un dibattito mediatico superficiale che non conduce ad eventi positivi. Tra gli ultimi avventori sono stati segnalati il Ministro ombra della giustizia e il Presidente della Camera dei deputati. Il primo ha proposto che il potere d’incarcerare sia attribuito a tre giudici e non ad uno solo. L’attenzione calata solo sul carcere preventivo e non sul processo penale nella sua interezza lascia perplessi. Quasi che primo e secondo non siano inscindibilmente connessi. Un’attenzione parziale dovuta forse a fatti contingenti, che ricorda un modus operandi proprio della fazione opposta. Più complesso l’intervento di colui che presiede la Camera dei deputati. Uno scritto diviso in più punti, che affrontano tematiche importanti quali: intercettazioni telefoniche, autogoverno della magistratura, obbligatorietà dell’azione penale e separazione delle carriere. Problemi e soluzioni vengono tratteggiati con sapienza. Diversificati sono i consensi. Gli interventi si differenziano per la fattura, ma hanno il comune denominatore di non essere pronunciati nelle aule legislative, ma sugli organi di stampa, segnando il passaggio dalla democrazia parlamentare a quella mediatica. Giustizia: Berlusconi accelera. Bossi: non c’è nessun accordo!
La Repubblica, 16 gennaio 2009
Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha annunciato che il prossimo 23 gennaio il Consiglio dei ministri inizierà l’esame della riforma della Giustizia, "e nel giro di due, tre giorni ritengo che potremo presentare la riforma complessiva". Anche "con il contributo dell’opposizione", aggiunge il premier, visto che "mi risulta che ci sono larghe condivisioni con loro". Quanto ai rapporti con la Lega, "non ho registrato alcun problema sul tema della giustizia, non mi risultano punti in discussione, eccetto la questione che riguarda le sanzioni per chi imbratta i muri visto che Bossi li considera ‘i libri del popolò". Ma il Senatur precisa: "Per adesso non c’è stato alcun accordo tra il premier e il Carroccio sull’argomento". Parole che provocano la replica di La Russa, reggente di An in vista del congresso del Pdl: "Siamo d’accordo sulle grandi linee, ma ancora non ho avuto un testo. Diciamo che non mi risulta che non ci sia un accordo, ma nemmeno mi risulta che un accordo sia stato cristallizzato". "Il nostro obiettivo - spiega Berlusconi - è di fare la riforma della giustizia anche perché ce lo chiedono i cittadini e dobbiamo rispondere alle loro attese". "Saremmo lieti - conclude - che ci possa essere una condivisione con l’opposizione, ma poi ho il dovere di dire che gli elettori ci hanno dato i voti, per cui le riforme le pretendono da noi anche soltanto con il nostro voto e per questo mi accusano di porre dei diktat". "Non possiamo condividere proposte che non conosciamo": così il Pd, con Donatella Ferranti, replica a Berlusconi. "Fino a ieri - osserva la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera - autorevoli esponenti del governo, il ministro La Russa in testa, cercavano di far cadere sull’opposizione la responsabilità del mancato avvio del dibattito parlamentare sulla riforma della giustizia, arrivando anche a minacciare l’approvazione a colpi di maggioranza. Oggi apprendiamo da Bossi e dallo stesso La Russa che non c’è ancora un testo nel quale la maggioranza si riconosce. Anzi, che non c’è ancora un testo conosciuto dalla maggioranza. E allora, a Berlusconi, che maliziosamente dichiara che il Pd condivide le proposte del governo, diciamo che noi quelle proposte non le possiamo condividere perché non le conosciamo. Aspettiamo la presentazione del testo per verificarlo in Parlamento". Giustizia: intercettazioni; sanzioni per evitarne pubblicazione di Gaetano Pecorella
www.radiocarcere.com, 16 gennaio 2009
Tre sono le questioni che una nuova legge sulle intercettazioni telefoniche dovrà risolvere: 1) evitare il dispendio di mezzi che vi è stato in questi anni così da ottimizzare le risorse per altre indagini, soprattutto di natura tecnico scientifica; 2) creare una serie di controspinte tali da dissuadere la stampa dal pubblicare intercettazioni che non abbiano rilevanza penale o che siano comunque coperte da segreto; 3) prevedere la responsabilità degli inquirenti, ed in particolare dei magistrati, in caso di pubblicazioni arbitrarie del contenute delle intercettazioni. È risultato con chiarezza che, laddove il soggetto inquisito sia un politico, si fa larghissimo uso delle intercettazioni che vengono poi diffuse in modo da degradarne la figura anche se il contenuto delle stesse nulla ha a che fare con fatti di rilevanza penale. Poiché il più delle volte i delitti per cui si indaga riguardano la pubblica amministrazione, si comprende la ragione per cui sia stata avanzata la proposta di escludere le intercettazioni per i reati di corruzione e concussione. Spesso però tali reati avvengono proprio per il tramite del telefono o comunque nei colloqui privati tra corrotto e corruttore. È difficilmente proponibile la totale esclusione delle intercettazioni per tali delitti, ma si dovranno introdurre criteri di particolare rigore perché il giudice le autorizzi. Perciò, conclusivamente, perché sia consentita una intercettazione la pena prevista per il reato deve essere particolarmente elevata e, per i reati contro la pubblica amministrazione, sono necessarie prove già acquisite e non soltanto indizi. Non sembra, viceversa, possibile ricorrere a un tribunale per le autorizzazioni, posto che non solo nelle piccole sedi giudiziarie ciò creerebbe troppe incompatibilità, ma, e soprattutto, perché l’urgenza della decisione renderebbe una pura formalità la presenza di tre magistrati: uno soltanto, è ragionevole pensarlo, leggerebbe gli atti. Per quel che riguarda la stampa le sanzioni penali tendono ad essere sempre poco compatibili con la libertà di informazione. È allora necessario individuare chi sono i soggetti che traggono profitto dalla pubblicazione di notizie riservate, soprattutto a carattere scandalistico. Questi sono inevitabilmente il giornalista, il direttore e l’editore. Perciò dovranno essere egualmente soggetti di rilevanti sanzioni economiche, proporzionate alla diffusione che ha il quotidiano o il settimanale. La sanzione penale, invece, potrà prevedersi nei casi in cui la pubblicazione non riproduca fedelmente il testo della intercettazione o comunque sia presentata in modo da alterarne il senso compiuto. Infine, per quel che riguarda gli inquirenti, è certamente efficace la soluzione di istituire un archivio riservato sotto la responsabilità del pubblico ministero, al quale potrà accedere soltanto il difensore, del quale dovrà risultare il nominativo e che non potrà in ogni caso estrarne copia. Se, ciò nonostante, le intercettazioni saranno diffuse, ne avrà la responsabilità disciplinare il pubblico ministero che è custode dell’archivio. Per l’eccesso nell’uso di questo strumento, varrà la responsabilità contabile dei pubblici amministratori. Giustizia: Fleres (Pdl) chiede dibattito sul sistema penitenziario
Ristretti Orizzonti, 16 gennaio 2009
Ieri in Senato l’On. Salvo Fleres (Pdl), Garante dei diritti dei detenuti della Regione Sicilia, ha richiamato l’attenzione dell’Aula sull’opportunità di svolgere una riflessione approfondita sulle condizioni e sul funzionamento del sistema penitenziario italiano, sul processo di reale rieducazione dei detenuti e sul rischio, tutt’altro che astratto, che nelle carceri vengano perpetrati comportamenti scorretti o ingiustizie a danno dei reclusi, ricollegandosi su quest’ultimo punto alla recente proposta di introdurre il reato di tortura nell’ordinamento italiano. Giustizia: pedopornografia; nel 2008 identificati 2.850 siti web
Redattore Sociale - Dire, 16 gennaio 2009
Sono stati 2.850 i siti pedopornografici segnalati nel 2008 (compresi quelli direttamente indicati all’Interpool) dall’associazione Meter, presieduta da don Fortunato di Noto, che da anni si batte contro la pedofilia. Segnalazioni da cui è emersa una constatazione: i server su cui sono allocate le pagine denunciate sono fisicamente, per la maggior parte, negli Stati Uniti e in Russia. In particolare, il 29% dei server si trova negli Usa, il 27% in Russia. Seguono Olanda (6%), Inghilterra (5%), Cina (4%). In Germania e Polonia si trova il 3% dei server, in Italia, Spagna, Francia, Belgio, Austria, Svezia, Liechtenstein, Giappone, Corea del Sud, Turchia il 2%. Non restano fuori dal terribile elenco Israele (1%), Svizzera (1%), Iran (1%), Iraq (1%). È quanto segnala il Rapporto 2008 (nella sezione sul monitoraggio della Rete internet) presentato oggi da Meter nella sua sede Nazionale alla presenza di don Fortunato Di Noto. Per quanto riguarda il nostro Paese, è sceso il numero di server italiani, segno però che i pedofili scelgono di utilizzare e connettersi a siti stranieri. Nel corso del 2008, Meter ha segnalato 27 riferimenti italiani (siti, email, dialoghi, chat). Il 20% delle segnalazioni di Meter riguarda siti bloccati dal Cncpo (Centro nazionale per il contrasto alla pedofilia online). Sono 15 le reti sociali pedofili denunciate da Meter nel 2008 frequentate da italiani. I pedofili di tutto il mondo (compresi gli italiani) stanno costantemente e in maniera esponenziale utilizzando le "reti sociali", utilissimo strumento che però impone da parte dei responsabili del servizio un maggiore controllo e una costante collaborazione con le forze dell’ordine. Nel monitoraggio di circa 42 social network sono risultati positivi, con la presenza di comunità pedofile, solo 5. Approfittando di questi sistemi di rete, i pedofili si linkano fra loro con divulgazione di video, foto, link e notizie di riferimento e scambio collezioni private prodotte dagli stessi con bambini. La "rete sociale pedofila" viene pubblicizzata nelle maggiori Bbs dedicate alla pedopornografia, e che sono costantemente monitorate. In Italia i social network risultano essere utilizzati. Dal report di Meter emerge, inoltre, che i pedofili, ben organizzati, producono e vendono gioielli, bigiotteria, imprimono nelle monete i loro loghi e simboli. Continua anche la piaga della pedofilia culturale, con i siti dedicati alla "giustificazione" da un presunto punto di vista storico-sociale della violenza sessuale sui minori. Sempre nel 2008 è stato scoperto un portale spagnolo di donne pedofile, molto attente alla giustificazione "culturale" del loro "amore" per le bambine; sono stati bloccati, su segnalazione, 10 portali nella Giornata del Boylove day (orgoglio pedofilo). La proposta di legge contro la pedofilia culturale, presentata da Alessandro Pagano (Pdl) e sottoscritta da 120 parlamentari di tutti gli schieramenti, è in attesa di essere discussa alla commissione Giustizia e la sua approvazione sbloccherebbe tantissime indagini su altrettanti soggetti che istigano alla pedofilia. Giustizia: Carfagna; Ddl stalking, in Aula prossima settimana
Adnkronos, 16 gennaio 2009
Il ddl che introduce il reato di stalking approderà in aula alla Camera la prossima settimana. Ad annunciarlo è stato il Ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna, in una conferenza stampa a palazzo Chigi. Il provvedimento, preparato dalla Carfagna, è stato varato dal Cdm dello scorso giugno ed è stato licenziato dalla commissione Giustizia della Camera. Carfagna e il Ministro della Difesa, Ignazio La Russa, hanno firmato un protocollo d’intesa con il Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Gianfranco Siazzu per contrastare il fenomeno dello stalking, cioè gli atti persecutori, che vedono come vittime soprattutto le donne. "In questa iniziativa - spiega il ministro per le Pari opportunità - i carabinieri hanno messo a disposizione un’unità di 11 persone fra uomini e donne. È un modo per assicurare alle vittime per assicurare che lo Stato c’è e che è dalla loro parte". Giustizia: Napoli; il figlio di Di Pietro indagato per corruzione di Guido Ruotolo
La Stampa, 16 gennaio 2009
È indagato, Cristiano Di Pietro. La Procura di Napoli lo ha iscritto per corruzione, turbativa d’asta e abuso d’ufficio nell’ambito della inchiesta "madre" (il cui esito è allo stato imprevedibile) che riguarda il malaffare gestito dall’ex provveditore alle opere pubbliche della Campania e del Molise, Mario Mautone. È indagato da tempo il figlio di Tonino, l’ex pm oggi leader di Italia dei Valori, che proprio ieri è stato interrogato per tre ore dal procuratore aggiunto Franco Roberti e dai sostituti D’Onofrio, Falcone e Filippelli. Ai giornalisti, il leader di IdV ha assicurato che nulla sa (o ha chiesto) della posizione del figlio, dichiarandosi "orgoglioso", come cittadino, politico, leader di IdV, di aver dato il suo contributo per "individuare le responsabilità", portando "fatti e circostanze" utili alla lotta "alla corruzione". È vero, anche per la procura le dichiarazioni di Di Pietro senior sono state utili a dissipare i dubbi sulla "fuga di notizia" pilotata che lo portò, da ministro per le Infrastrutture (è il luglio del 2007) alla sostituzione di Mautone, richiamato a Roma. Antonio Di Pietro ha spiegato che quando si insediò al ministero istituì una commissione amministrativa che produsse una istruttoria che si concluse con una serie di cambi di poltrone interne. E, dunque, che Mautone finì in quella "lista nera" sulla base della sua inchiesta. Di Pietro ha convinto la Procura che lui non si è fatto ricattare e che, se solo avesse avuto sentore di questo ricatto, avrebbe fatto arrestare i suoi protagonisti. Resta il fatto che Cristiano Di Pietro è indagato, come lo sono altri esponenti politici dell’IdV e di altri partiti, come il senatore di An Gennaro Coronella, nell’ambito della inchiesta "madre" della Procura di Napoli. I reati ipotizzati vanno dalla corruzione all’abuso d’ufficio e alla turbativa d’asta. È indagato anche il senatore IdV Nello Di Nardo, che quando Di Pietro era ministro faceva parte della sua segreteria politica. Nel rapporto della Dia, depositato nell’ambito del filone "Global Service", quello di Alfredo Romeo, vi sono accenni a decine di intercettazioni telefoniche e ambientali. Non tutte quelle agli atti dell’inchiesta, naturalmente. Di Nardo parla con Mautone e sponsorizza l’affidamento di incarichi a due architetti: "Mi raccomando, sono due amici di Cristiano ai quali non bisogna far prendere collera...". E già, le raccomandazioni. E non solo. Per esempio l’allora capogruppo al Senato di IdV, Nello Formisano - Mautone ad altri confida: "Il senatore è amico mio" - anche dopo che Di Pietro lo ha fatto fuori, il 3 novembre del 2007 parla con l’ex provveditore di Napoli. Mautone gli ricorda "di non dimenticarsi della situazione di Russo (un dirigente del Provveditorato di Napoli da promuovere, ndr)". Non sono solo le "raccomandazioni" a mettere in difficoltà Cristiano Di Pietro perché, secondo il rapporto degli investigatori, "vi sono suoi interessi anche in alcuni appalti e su alcune forniture". Quando Mautone gli dice che per i lavori per la Chiesa "è arrivata la richiesta dell’impresa "Gentile"", Cristiano commenta: "Perfetto!". Di Pietro junior, il senatore Di Nardo. E poi il sindaco di Recale, Caserta, parlamentare di IdV, Americo Porfidia. Che si scopre essere indagato per camorra. Sembra una maledizione, quella che si è abbattuta sul partito campano di Di Pietro. Molto effervescente e dilaniato da guerre intestine. Che, per esempio, il parlamentare Franco Barbato ha denunciato pubblicamente, chiamando in causa due consiglieri regionali di IdV in odore di contiguità con la camorra. Colpisce, nella lettura delle "carte" della Procura anche l’utilizzazione di Mautone in chiave politica interna. C’è un consigliere regionale della Campania, Francesco Manzi, che scalpita, forse vuole uscire dal gruppo parlamentare regionale. Il cugino del senatore Nello Formisano spiega al provveditore Mautone che proprio il senatore "vuole dare un segnale a quello scemo di Manzi", e dunque che Mautone deve promuovere un sopralluogo nei cantieri per due chiese "i cui lavori stanno a cuore di Manzi". Giustizia: "Così fan tutti?" storia di tangenti e di moralizzatori di Riccardo Barenghi
La Stampa, 16 gennaio 2009
Ha chiesto giustamente che i magistrati indaghino a tutto campo, senza guardare in faccia parenti e amici. Così Antonio Di Pietro ha reagito ieri sera a quella che sembra una dura vendetta della Dea greca Nemesi, che compensava la gioia col dolore. O se vogliamo prenderla meno alla lontana, possiamo citare Bettino Craxi quando, nel suo famoso discorso in Parlamento nel 1992, disse una frase che fu allora molto contestata, ovviamente dalla sinistra: "Così fan tutti". Ora si scopre che fra quei "tutti" potrebbero finirci anche parenti e collaboratori di quel personaggio che allora mise Craxi, il suo Psi, la Dc, molti imprenditori italiani, insomma tutta la Prima Repubblica, sotto lo schiaffo di Mani pulite. Uno schiaffo sacrosanto, ci mancherebbe altro. E che però oggi ha un sapore paradossale vista la situazione giudiziaria in cui sono coinvolti il figlio del leader e altre persone che hanno gestito negli ultimi anni il partito di Di Pietro in Campania e in Molise, magari provenendo da altre forze politiche meno, diciamo così, cristalline dal punto di vista dell’etica pubblica. È ovvio, ma bisogna ribadirlo, che siamo solo all’inizio di un’inchiesta, ben lontani anche da una sentenza di primo grado. Ma politicamente parlando, se uno costruisce una carriera, un movimento, una forza politica, un’immagine personale sulla moralità, sulla trasparenza, sulla assoluta estraneità a qualsiasi rapporto con gli affari e gli affaristi, con la corruzione e le tangenti, insomma con tutto quello che ha devastato l’immagine e la credibilità dei nostri dirigenti politici da vent’anni a oggi (ultimo caso, il Pd), allora non può, anzi non deve assolutamente rischiare di scivolare su quel piano inclinato. Altrimenti perde tutto, il consenso, la fiducia e la sua capacità di parlare "pane al pane" alla gente che non ne può più della Casta. Diventa anche lui uno della Casta, invischiato come tutti gli altri in quel meccanismo perverso che ha combattuto da magistrato, ha contrastato da politico e che adesso rischia di divorarlo. Di Pietro lo sa bene come sa bene che da domani gli sarà più difficile presentarsi in una qualche tribuna televisiva (magari da Santoro in compagnia dei suoi amici Travaglio e Beppe Grillo) e tuonare contro il malaffare della politica. Come farà a convincere i suoi elettori, attuali e potenziali, che lui non è "uno di loro" quando suo figlio e un suo stretto collaboratore vengono indagati? Cosa dirà a quel milione di persone che hanno firmato il referendum contro il Lodo Alfano? Quali spiegazioni darà a quei milioni di cittadini che hanno creduto nel suo antiberlusconismo inteso come lotta contro chi è l’emblema dell’intreccio perverso tra affari e politica? E anche se Di Pietro ne uscisse personalmente pulito, come ovviamente ci auguriamo, la sua immagine subirebbe comunque un colpo. Chi potrebbe più fidarsi di lui nel caso i magistrati appurassero che anche la sua Italia dei Valori (un nome che oggi suona stonato) si è comportata come tutti gli altri? Così fan tutti, appunto. E la tragedia è proprio questa, al di là di Di Pietro. La sensazione netta che l’opinione pubblica ha ormai maturato è che non ci si può fidare più di nessuno, neanche di quelli che si sono presentati alla ribalta come i grandi moralizzatori. Significa che crescerà ancora il distacco dalla politica, aumenteranno coloro che non voteranno per nessun partito, si moltiplicherà il qualunquismo oggi denominato antipolitica. E la colpa non sarà certo dei cittadini disgustati ma di chi quel disgusto ha provocato, alla faccia dei tanto propagandati valori, questione morale, diversità, gente perbene e via dicendo. Ma se questo sarà il probabile esito, resta la domanda di fondo: è possibile fare politica, a livello nazionale e locale, ossia gestire la cosa pubblica, amministrare il Paese, le Regioni e le città, senza sporcarsi le mani con gli affari? Il che non vuole certo dire senza avere rapporti con costruttori, imprenditori, mediatori e quant’altro. Ma averli senza che, appunto, queste relazioni, assolutamente indispensabili in una società moderna, finiscano in bustarelle, raccomandazioni, favori, carriere personali. Insomma nella corruzione. Al momento, viste anche le vicende che riguardano il Partito democratico di Veltroni e la famiglia politica di Di Pietro, la risposta purtroppo è un secco no. Giustizia: "l’Abu Ghraib" di noi altri; una vergogna italiana! di Michele Brambilla
Il Giornale, 16 gennaio 2009
Anche noi abbiamo la nostra Abu Ghraib, come vedete nella foto qui sopra: mostra uno dei quattro vigili di Parma arrestati l’altro ieri per il pestaggio del ventiduenne ghanese Emmanuel Bonsu, scambiato la sera del 29 settembre per uno spacciatore, e quindi portato al comando, picchiato, insultato ("scimmia", "negro"), sottoposto a ispezioni corporali, infine mostrato come trofeo. Al termine di una notte di torture Emmanuel era stato rilasciato perché non è uno spacciatore, anzi fa il volontario in una comunità antidroga; non ha precedenti penali, studia, i suoi genitori lavorano regolarmente da anni in Italia, suo padre è un operaio, sua mamma una donna delle pulizie. La Procura di Parma ha lavorato per mesi, ben sapendo della delicatezza dell’inchiesta e delle possibili trappole. I vigili indagati sono dieci, gli arrestati quattro, uno è appunto quello che si è fatto fotografare, a futura memoria, con il pericoloso nemico arrestato al termine di un’intrepida operazione. Una foto che a indagini in corso i vigili s’illudevano di aver cancellato dal computer, e che invece i periti informatici hanno resuscitato, consegnando ai giudici un indizio determinante e alla cronaca un’immagine simbolo così come quella di Abu Ghraib è diventata simbolo della vergogna di Stati Uniti e Gran Bretagna. Ma l’Abu Ghraib de noantri è ancora più squallida e vigliacca di quella dei soldati americani e inglesi, i quali almeno erano soldati veri che combattevano una guerra vera contro un esercito vero, ed erano in territorio nemico, con qualche dubbio sulle effettive possibilità di tornare a casa. Gli aguzzini di casa nostra invece non erano in Irak ma a Parma, non circolavano in mezzo ad autobombe ma in una delle città più belle e goderecce d’Italia, torta fritta e culatello, tortelli alle erbette e parmigiano. Non sto dicendo che i torturatori di Abu Ghraib avevano un’attenuante. Sto dicendo che quelli di Parma hanno un’aggravante. E poi, il razzismo. Proprio perché questo giornale è ben attento a non gridare al razzismo quando non c’è, siamo inflessibili nel denunciarlo quando c’è. Non sembrano esserci dubbi: gli insulti razzisti i vigili li hanno messi perfino per iscritto. Spesso ci si chiede: ma gli italiani sono razzisti? Credo che non lo siano nel senso di sentirsi un popolo superiore, per il semplice motivo che gli italiani non si sentono un popolo. Non si sentono neppure una nazione, ma l’insieme di tanti campanili le cui particolarità sono ricchezze, ma anche odi e diffidenze meschine. C’è rivalità fra comuni confinanti, a volte fra rione e rione: figuriamoci quando arriva uno che ha pure la pelle scura. Noi italiani siamo capaci di grandi accoglienze e grandi generosità, ma pure di queste miserie, e negarle non giova a nessuno. E poi molto italiana è la sindrome della divisa, con il suo delirio di onnipotenza. Chi non ha i numeri per entrare nei Nocs può accontentarsi di una paletta bianca e rossa per giocare a Rambo contro un ragazzetto indifeso. È da questo mix di razzismo di provincia e di frustrazioni che è nata la nostra Abu Ghraib, così piccola da essere più grande di quella vera. Lettere: sto in carcere da 16 anni tra poco finirò la mia pena
www.radiocarcere.com, 16 gennaio 2009
Ciao Riccardo, sono 16 anni che sto in carcere e tra poco finirò la mia pena. Ti scrivo dalla mia cella. Un piccolo ambiente che divido con altri 3 detenuti. Noi quattro dobbiamo dividerci questo poco spazio e il bagno, che altro non è che un buco messo in bella vista in un angolo della cella. Ci inventiamo di tutto per avere un po’ di riservatezza quando dobbiamo fare i bisogni, ma puoi immaginare quanto sia inutile. Come se non bastasse la nostra cella è gelata. Il freddo si fa sentire anche qui a Nuoro e chiaramente i termosifoni non funzionano. Inoltre la finestra della cella si chiude male e da lì entra di tutto: vento e pioggia. La notte ti assicuro che è un incubo, anche perché i letti a castello sono proprio all’altezza delle finestre e così, dopo una notte passata al gelo, ci svegliamo sempre raffreddati. Seguo con interesse l’iniziativa di Radio Carcere che vuole far interessare i magistrati al rispetto della legge in carcere. Ecco a questo proposito mi permetto sommessamente di dire la mia. In 16 anni di detenzione, fatti in tante carceri italiane, ho visto assai raramente un Magistrato di Sorveglianza adoperarsi per ripristinare la legalità in un carcere dopo una nostra segnalazione. Ma non solo. Io sono qui nel carcere di Nuoro da 3 anni e ho inviato al magistrato di sorveglianza ben 15 reclami sulle violazioni di legge presenti qui nel carcere di Nuoro e ancora aspetto una risposta. La domanda è: a chi dobbiamo rivolgerci per fare rispettare i nostri diritti e per far rispettare la legge in carcere?
Mimmo, dal carcere di Nuoro Sicilia: Garante dei detenuti; relazione attività svolta in 2008
Ristretti Orizzonti, 16 gennaio 2009
La figura del Garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e per il loro reinserimento sociale è stata istituita in Sicilia a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 33 della legge regionale 19 maggio 2005, n. 5. La normativa ha subito modifiche con l’approvazione dell’articolo 23, comma 5, dalla legge regionale 22 dicembre 2005, n.19 e con l’articolo 16, comma 1, lettera a), dalla legge regionale 6 febbraio 2008, n.1. Tali integrazioni non hanno modificato le competenze, né l’organico, bensì la durata del mandato del Garante, inizialmente previsto in cinque anni e poi modificato in sette e la struttura dell’Ufficio. Con Decreto del Presidente della Regione siciliana n. 480/Serv.1°/S.G., del 3 agosto 2006, è stato nominato Garante per i diritti dei detenuti l’allora deputato regionale, On. Salvo Fleres, con successivo Decreto del Presidente della Regione n. 169/Serv.1°/S.G., del 26 aprile 2007, è stato istituito l’ufficio del Garante ed indicata la struttura il Dirigente e tutto il personale già interno alla Regione. Ai sensi del comma 4, dell’articolo 33, della legge regionale 19 maggio 2005, n. 5, il Garante è tenuto a presentare, al Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana ed al Presidente della Regione, una relazione sull’attività svolta. Al di là della previsione normativa, la presente relazione, però, non vuole rappresentare soltanto un obbligo di legge, ma vuole, invece, essere un contributo alla conoscenza della condizione penitenziaria nel nostro Paese, con particolare riferimento alla Sicilia, ed è formulata, non tanto e non solo su quelle che sono le prescrizioni normative, che disciplinano questo delicato settore, quanto sulla loro reale e concreta attuazione nei 25 Istituti di pena per adulti, 4 Istituti per minori e un Ospedale Psichiatrico Giudiziario, presenti in Sicilia, che il Garante ha visitato più volte. Un dato ulteriore riguarda l’attuale numero complessivo di reclusi, che sono circa 6.750, a fronte di circa 4.700 agenti e personale di Polizia Penitenziaria. Il contenuto di questa relazione, mette pertanto in evidenza la situazione carceraria siciliana, la realtà che vivono i soggetti ristretti, i loro familiari, il personale ministeriale e dell’Amministrazione penitenziaria ed i volontari. Il tutto, quindi, è frutto di incontri con quanti, a vario titolo, vivono direttamente o indirettamente all’interno del carcere e delle considerazioni che ne sono scaturite, nonché dei dati strutturali rilevati. La figura del Garante dei diritti dei detenuti, nell’attuale contesto sociale e giudiziario, ha uno scopo fondamentale, che è quello di affermare il rispetto della nostra Costituzione, in materia di modalità di esecuzione della pena e di concreta funzione riabilitante della stessa. La situazione carceraria necessita di una particolare attenzione. Infatti, non è pensabile che, in un Paese civile, le strutture carcerarie non siano in grado, per problemi organizzativi e, soprattutto, per il sovraffollamento, di garantire l’attuazione del terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione, secondo cui: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato", tuttavia la realtà è quella che descriveremo e non è certamente la migliore possibile. La situazione siciliana, in particolare, si presenta assai problematica. Come precedentemente detto, nella nostra Regione hanno sede 30 Istituti di pena di varia natura, molti dei quali strutturalmente inadeguati, tant’è che in alcuni di essi mancano persino i requisiti minimi stabiliti dalla Commissione europea contro la tortura ed i trattamenti inumani e degradanti. Inoltre, senza voler negare o sottovalutare il ruolo che svolgono sia l’Amministrazione penitenziaria, sia i Magistrati di Sorveglianza, è bene dire che è necessario individuare nuove forme di controllo della legalità nei luoghi di detenzione e pensare ad una diversa formulazione del concetto stesso di pena, che in ogni caso non può essere afflittiva. Infine, occorre ricordare che, secondo il dettato costituzionale, il detenuto perde la libertà di movimento ma non i propri diritti fondamentali, come il diritto alla salute o all’istruzione, quindi, in tale ambito, è necessario pensare, come in parte è già stato fatto, ad interventi del Garante volti ad assicurare la partecipazione alla vita civile dei soggetti detenuti. Sommariamente sono questi i compiti del Garante siciliano e di quelli istituiti nel territorio della Repubblica, (solo quattro grandi regioni su venti, alcune province e comuni) i quali, ogni giorno, si scontrano con tutta una serie di problematiche non sempre di facile soluzione ma che, comunque, è necessario affrontare e risolvere. Quanto detto sia per rispettare il dettato costituzionale e l’Ordinamento Penitenziario, sia per adempiere ai trattati internazionali in materia di detenzione, sia per migliorare la sicurezza della nostra società, che deve assolutamente puntare al recupero, sia per motivi umanitari, sia per motivi economici. Proprio in virtù delle numerose questioni da prendere in considerazione, i Garanti regionali hanno recentemente intensificato contatti e collaborazioni ed a tal fine è stata istituita la Conferenza nazionale dei Garanti regionali dei diritti dei detenuti. L’organismo è nato a gennaio di quest’anno, per volontà degli allora unici due Garanti regionali, cioè quello del Lazio e quello della Sicilia, ma successivamente è stata integrata dalla partecipazione del Garante della Campania e, ultimamente, da quello delle Marche. Lazio: Garante dei detenuti; istituire Osservatorio sulla salute
Ristretti Orizzonti, 16 gennaio 2009
Il Garante regionale dei detenuti Angiolo Marroni chiede al Presidente della Regione Piero Marrazzo di istituire l’Osservatorio regionale permanente sullo stato di salute dei detenuti. Dopo il passaggio della Sanità Penitenziaria alle dipendenze delle Asl, molte disfunzioni segnalate nelle strutture mediche di numerose carceri del Lazio. Istituire immediatamente l’Osservatorio Regionale Permanente sulla salute di detenuti ed internati, a tutela e garanzia del pieno diritto alla salute anche di questa categoria sociale. È questa la proposta che il Garante regionale dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni ha presentato, al presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo. Alla base della richiesta del Garante, le notizie giunte da diverse carceri del Lazio che evidenziano numerose disfunzioni nel funzionamento delle strutture e dei servizi sanitari per i detenuti. A Velletri, il gabinetto odontoiatrico non funziona da quattro mesi perché manca una autoclave: il dentista c’è ma non può lavorare. Le cure odontoiatriche sono tra le più richieste in carcere, e la mancanza comporta importanti ripercussioni nell’insorgere di altre patologie. A Frosinone si registrano lunghi tempi di attesa per i ricoveri esterni in ospedali; a Rebibbia Penale, la radiologia è da tempo chiusa. A Viterbo, il personale medici ed infermieristico non recepisce lo stipendio dal mese di ottobre e mancano numerosi ed importanti farmaci. Le disfunzioni sono in parte legate al passaggio, dal 1 ottobre scorso, delle competenze sanitarie delle carceri (rapporti di lavoro, risorse finanziare, attrezzature e beni strumentali), in base al D. Lgs. 30/99, dal Ministero della Giustizia ai Servizi Sanitari Regionali e da questi alle Asl. In virtù di ciò, le Asl devono occuparsi dell’erogazione dei servizi sanitari anche ai detenuti. La delibera della Giunta regionale del Lazio n. 470 del 4 luglio 2008 ha fissato le competenze di Asl e Regione. Nel passaggio di competenze, sono sorti numerosi problemi: uno, ad esempio, riguarda la gestione dei farmaci per cui mancano linee comuni tra le Asl nella fornitura di alcune medicine. Questo come altri tipi di problemi tipici di questa fase di transito, secondo il Garante potrebbero essere gestiti attraverso l’Osservatorio Regionale Permanente sulla salute di detenuti ed internati. "L’Osservatorio - ha detto Marroni - potrebbe, diventare il luogo naturalmente preposto a ricevere indicazioni in ordine alle criticità che di volta in volta si presentano nel territorio - carcere, ma anche per delineare le azioni programmatiche necessarie e gli interventi prioritari, per prevedere modalità di verifica e monitoraggio dei risultati". Dell’Osservatorio - previsto peraltro nel Dpcm del 1 aprile 2008 - potrebbero far parte rappresentanti dei vari soggetti istituzionali che a vario titolo, concorrono alla tutela della salute, della popolazione degli istituti penitenziari. "Il quadro delle sanità regionale - scrive Marroni - è abbastanza problematico, anche per le note vicende che tutti sappiamo. Ritengo quindi, che il lavoro fin qui svolto insieme all’Assessorato regionale alla Sanità possa continuare con l’istituzione di un Osservatorio Regionale Permanente sullo stato di salute dei detenuti e degli internati, come parte integrante del più generale sistema sulla salute dei cittadini italiani e sul Sistema Sanitario Regionale". Roma: a Rebibbia 68 detenuti esperti falegnami e informatici
Agi, 16 gennaio 2009
Esperti in falegnameria, infissi in alluminio, informatica e recitazione. A 68 detenuti della casa di reclusione di Rebibbia l’assessore all’Istruzione della Regione Lazio, Silvia Costa, ha consegnato oggi gli attestati di qualifica professionale e di frequenza dei corsi di formazione sostenuti e finanziati attraverso il Fondo sociale europeo dall’Assessorato regionale nell’ambito del progetto Sfide. Il progetto "Sistema Integrato di Formazione per Detenuti" (Sfide), che è stato ideato e realizzato dall’Associazione temporanea di scopo il cui ente capofila è Enaip Lazio e che ha visto coinvolti oltre 700 allievi in corsi professionalizzanti, è parte del progetto Chance, promosso e finanziato dall’Assessorato Istruzione e messo a punto in collaborazione con l’Ufficio del Garante dei Detenuti e i Direttori di tutti i penitenziari della Regione, nonché con la rete delle scuole del Lazio presenti nelle carceri (in particolare i Centri territoriali permanenti) e con l’Università Tor Vergata. Tre sono le linee di azione del progetto Chance, in via di conclusione nei 14 istituti di pena della Regione. Innanzitutto l’attività di formazione, promossa dall’Ats capeggiata da Enaip Lazio, che ha attivato 68 tirocini presso le imprese. Ulteriori laboratori sono stati messi a punto dalla stessa Ats nei penitenziari della regione, per attività di pasticcere, pizzaiolo, piastrellista, imbianchino, grafico, esperto di produzioni vegetali e di riparazioni radio-tv. Inoltre, la formazione universitaria, realizzata nel nuovo edificio di Rebibbia (in collaborazione con l’Ufficio del Garante e con l’Università Tor Vergata). Infine, l’istruzione scolastica, con attività integrative dell’azione dei Centri territoriali permanenti del Lazio e della sezione scolastica presso Rebibbia, coordinata da Tils, capofila del partenariato che ha vinto questa parte del bando. "Questa sfida ha portato ad un risultato davvero importante: persone in stato di detenzione hanno ottenuto una qualifica professionale grazie al proprio impegno ed al sostegno della Regione, che ha creduto in questo progetto - ha detto l’assessore Costa - soprattutto è importante il collegamento tra la formazione professionale e le concrete prospettive lavorative. Due detenuti che hanno ottenuto la qualifica di falegname sono stati assunti da una cooperativa di falegnameria di Rieti, in collaborazione con Rebibbia, che presenterà domani alla stampa, a Rieti, il risultato del loro lavoro". Questa esperienza, ha proseguito l’assessore, "rappresenta una buona pratica che intendiamo proseguire mediante lo stanziamento di ulteriori fondi regionali (in collaborazione con l’assessorato regionale alla Sicurezza), la prosecuzione dei corsi e l’implementazione di nuovi laboratori, in settori che ci saranno indicati dai Direttori dei penitenziari della Regione". Bologna: Fp - Cgil; il carcere minorile è in stato di abbandono
Ansa, 16 gennaio 2009
"Siamo estremamente preoccupati per lo stato di abbandono in cui versa il carcere minorile di Bologna, aggravato dal taglio del 40 per cento sui fondi deciso dal governo in carica". A dirlo è il segretario della Fp Cgil di Bologna, Salvatore Bianco: "Ben comprendiamo - afferma il sindacalista - i toni e gli argomenti adoperati dalla direttrice del carcere Ziccone, per questo rilanciamo e facciamo nostri i suoi dubbi sulla tenuta igienico-sanitaria dell’ intera struttura, così come è doveroso chiedere alle istituzioni cittadine competenti un sussulto di orgoglio cittadino per intraprendere un’azione straordinaria e correre rapidamente ai ripari". Così conclude la nota: "Ci sentiamo particolarmente vicini agli operatori che continuano a lavorare in condizione proibitive. Allo stesso modo non possiamo non registrare il fallimento del progetto formativo e rieducativo per le altre vittime di questa vicenda, i giovani detenuti. Il Dipartimento della giustizia minorile di Roma deve prendere in mano con urgenza la situazione e dare quelle risposte che a questo punto l’intera comunità cittadina reclama". Torino: convegno; il Pd si confronta su ricostruzione giustizia
Il Velino, 16 gennaio 2009
Sabato 17 gennaio dalle 9.30 alle 13.00 presso la fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Via Modane, 16 a Torino) il governo ombra del Pd e il Partito democratico del Piemonte organizzano il convegno "Ricostruire la giustizia. Dalle norme del privilegio al diritto delle uguaglianze. Il Partito democratico si confronta con i cittadini e con gli operatori di giustizia". Introduce i lavori Anna Rossomando (vicesegretario regionale Pd Piemonte, componente commissione Giustizia della Camera). Presiede Sandro Favi (coordinatore Affari interni del governo ombra del Pd). Intervengono: Maurizio Basile, Paolo Borgna, Luigi Chiappero, Andrea Giorgis, Carlo Federico Grosso, Maurizio Laudi, Pietro Marcenaro, Gianfranco Morgando, Mario Napoli, Guido Neppi Modona, Rita Sanlorenzo, Michele Vietti e Luciano Violante. L’intervento conclusivo sarà tenuto da Lanfranco Tenaglia ministro della Giustizia del governo ombra del Pd. "Vogliamo che il Parlamento - dichiara la Rossomando - passi dall’attenzione ai pochi a quella verso tutti i cittadini. Certamente auspichiamo riforme condivise e siamo disponibili ad un’ampia discussione e questo è lo spirito del convegno che vede una pluralità di voci a confronto. Pensiamo che alcuni punti debbano essere in particolare condivisi: priorità assoluta ad interventi urgenti per una maggiore efficacia ed efficienza della giustizia. Solo così i diritti tanto sovente proclamati possono trovare concreta attuazione. Disponibilità a discutere progetti di riforma che abbiano come punto fermo e di riferimento i principi fondamentali contenuti nella Costituzione". Nella crisi che - conclude il deputato del Pd - sta attraversando il Paese anche il servizio giustizia deve fare la sua parte: perché l’inefficienza della giustizia comporta costi economici per tutto il sistema Italia e perché proprio nei momenti di difficoltà e di crisi economica i diritti rischiano di essere messi in discussione". Media e carcere: www.innocentievasioni.net da oggi è on-line di Stefano Arduini
Vita, 16 gennaio 2009
Si chiama www.innocentievasioni.net il nuovo sito di informazione sul carcere on-line da oggi e diretto da luigi Manconi e Patrizio Gonnella, a cui collabora anche il vignettista Staino. Si tratta, di fatto, di uno spin-off, delle due associazioni di provenienza dei due direttori: A buon diritto e Antigone. Questi gli obiettivi dichiarati della nuova iniziativa: "Un sito che sappia affrontare la questione della detenzione nella sua complessità e nei suoi diversi e articolati aspetti, evitando due possibili rischi: quello di un approccio solo ed esclusivamente umanitaristico, concentrato sulle "condizioni di vita" (in genere pessime) dei detenuti e sulle carenze del sistema; una interpretazione che enfatizzi esclusivamente tutte le miserie (che sono tantissime) e ignori tutte le "ricchezze" che pure il carcere esprime. Si tenterà di sottrarre l’informazione e la discussione sul carcere a quella che sembra sia una condanna (un’altra!): ovvero un clima sempre cupo, un linguaggio talvolta tetro, un’impostazione comunque disperata. Ma la prigione è il luogo d’Italia in cui è più alta la percentuale di analfabetismo e, insieme, dove si tengono 95 corsi di scrittura creativa e si pubblicano 42 giornali. Esattamente di ciò vorremmo parlare : dell’assoluta penuria e delle grandi opportunità che la detenzione rivela. E si cercherà di affrontare, contemporaneamente, i problemi dei "custoditi" e dei "custodi" e dei tanti che occupano uno spazio intermedio tra le due figure principali. La presenza di varie sezioni e rubriche all’interno del sito dà la possibilità di trattare diverse tematiche e di evidenziare i differenti aspetti del circuito penitenziario. Il sito è indirizzato a quanti, a vario titolo, si interessano di questa realtà (associazioni umanitarie e giornalisti, giuristi e docenti universitari, sindacati di polizia penitenziaria e operatori sociali, educatori e psicologi, direttori penitenziari, familiari di detenuti ...). Resta il problema - totalmente irrisolto oggi - dei detenuti stessi, interdetti all’uso di internet. Qualcosa può essere fatto in questa direzione. Innanzitutto realizzeremo un’edizione mensile, a stampa, dei contenuti principali del sito che faremo pervenire a tutte le carceri italiane. Poi, lavoreremo perché sia possibile un uso controllato della rete e l’accesso al nostro e ad altri siti, da parte della popolazione reclusa in alcuni istituti, in via sperimentale. Questo lavoro ha un costo, che si ritiene di poter sostenere in parte attraverso le nostre associazioni, e in parte attraverso l’aiuto di quanti decidano di contribuire a questa opera. Ciò sarà possibile attraverso un sostegno di € 50,00 a trimestre per diciotto mesi, che si potrà rinnovare nel 2010". Immigrazione: Ue; in Italia le "aree per i nomadi" sono incivili di Danilo Paolini
Avvenire, 16 gennaio 2009
Il Commissario ai diritti civili del Consiglio d’Europa accusa: inciviltà nelle aree per i nomadi. Il Ministero degli Esteri: dichiarazioni gravemente offensive, la nostra storia non è in discussione. Sul tema delicato dell’immigrazione, con una mano l’Europa boccia l’Italia e con l’altra la indica a modello. La mano severa è quella del Consiglio d’Europa, il cui commissario per i Diritti umani Thomas Hammarberg, dopo aver visitato il campo nomadi Casilino 900 di Roma, ha accusato il nostro Paese di tenere comportamenti "incivili" e di darsi leggi "discriminatorie", provocando l’irritata reazione ufficiale della Farnesina. La mano amica è quella dell’Unione europea, che ha piazzato la proposta del governo di Roma sulla lotta all’immigrazione clandestina in cima all’agenda dei lavori del prossimo Consiglio dei ministri dell’Interno dei 27, fissato per il mese prossimo. A fare da sfondo restano le polemiche relative al disegno di legge sulla sicurezza, che il Senato riprenderà a esaminare il 3 febbraio per poi passare al voto finale, probabilmente nella stessa giornata o in quella successiva. Ieri l’aula di Palazzo Madama è arrivata fino all’articolo 33 (in tutto sono 55), quello che rende più snelle le procedure per la confisca dei patrimoni ai mafiosi. Ma le norme del provvedimento che più fanno discutere riguardano l’immigrazione, in particolare l’istituzione del contributo (il cui importo è da definire) per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno e del reato di immigrazione clandestina. Un reato che tra l’altro, secondo il senatore dell’Italia dei valori Luigi Li Gotti, farebbe impennare le previsioni di spesa per il sistema giudiziario da 33 milioni a 400 milioni di euro. I rilievi di Li Gotti sono stati giudicati "fondati" dal presidente del Senato Renato Schifani, che ha chiesto alla commissione Bilancio di rifare i conti, ponendo la questione della copertura finanziaria prevista dalla Costituzione. Ma, si diceva, ieri il dibattito ha varcato i confini nazionali. Il commissario del Consiglio d’Europa Hammarberg (organismo con 47 Stati membri che non ha niente a che vedere con l’Ue), dopo aver visitato il Casilino 900, ha rilasciato a la Repubblica dichiarazioni sull’Italia che il nostro ministero degli Esteri ha definito "gravemente offensive dei sentimenti degli italiani" per essersi rivolto "in modo inaccettabile a un Paese europeo la cui storia e tradizione dei diritti umani non possono essere messe in discussione". Il "disappunto" del governo italiano è stato poi espresso personalmente ad Hammarberg dal sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano. Le "leggi discriminatorie in via di approvazione", alle quali ha fatto riferimento il commissario svedese, sarebbero proprio le norme sull’immigrazione contenute nel ddl sulla sicurezza. Ma nel corso di un’audizione svoltasi alla commissione straordinaria per la tutela dei Diritti umani del Senato, incalzato dai rappresentanti della Lega, Hammarberg ha cercato di ridimensionare la portata delle sue affermazioni e più tardi, "per non gettare benzina sul fuoco", ha preferito sottolineare "le aperture del governo italiano e le promesse fatte, soprattutto in materia di politiche per i nomadi". Nel frattempo a Praga, dove si riuniva il Consiglio dei ministri dell’Interno dell’Ue, Roberto Maroni si è preso a nome di tutto il governo di Roma una bella rivincita: ha portato il documento sottoscritto appena tre giorni fa con i colleghi di Grecia, Malta e Cipro, in cui si chiede a tutti i governi dell’Unione un maggiore sforzo comune per il contrasto all’immigrazione clandestina, e la presidenza ceca lo ha subito inserito tra le priorità del prossimo Consiglio. "È una proposta molto importante e vogliamo arrivare preparati alla discussione di febbraio", ha detto il ministro dell’Interno della Repubblica ceca Ivan Langer. Maroni si è detto "soddisfatto" dell’"ottima accoglienza" ricevuta, anche perché fin da ora sa di poter contare sull’appoggio della Francia. "Siamo pronti a sostenere tutto ciò che va verso il rafforzamento del contrasto ai flussi di clandestini", ha fatto sapere il ministro dell’Interno di Parigi Michele Alliot-Marie. Immigrazione: Ue; bene chiarimento Italia reato clandestinità
Apcom, 16 gennaio 2009
La Commissione Europea è soddisfatta del fatto che il governo italiano si sia impegnato a presentare in Parlamento una interpretazione autentica della norma sul reato di immigrazione clandestina che chiarisce che questa non riguarda i cittadini comunitari. "Sappiamo che il governo ieri ci ha inviato una lettera nella quale annuncia questa decisione - ha detto ai giornalisti il portavoce per la Giustizia della Commissione Michele Cercone -. Quello che noi chiediamo è che sia scritto nero su bianco nella normativa che il reato non riguarda i cittadini comunitari, se così sarà, e nella forma di interpretazione autentica per noi va benissimo, alla fine dell’iter saremo soddisfatti". Il governo italiano aveva annunciato già prima di Natale questa decisione e ieri, ha detto oggi il ministro degli Interni Roberto Maroni, è stata inviata al commissario alla Giustizia Jacques Barrot una lettera che informa che il governo ha presentato in Parlamento l’interpretazione autentica della norma. Il ministro oggi ha spiegato che "questo ci chiedeva la Commissione e questo abbiamo fatto. Per me la questione con la Ue è chiusa", aggiungendo che Barrot si era "complimentato" per la scelta. Il commissario però in serata ha smentito di aver parlato della questione con il ministro italiano: "lo giuro sui miei figli, di questo oggi non abbiamo parlato". Immigrazione: "clandestino", o altrimenti detto "delinquente" di Nadia Redoglia
www.peacelink.it, 16 gennaio 2009
Viene chiamato dalla parte entusiasta "il disegno della legge e dell’ordine, il deterrente per chi vorrà entrare illegalmente nel nostro Paese, il semplificatore d’espulsione perché non richiederà più il nulla osta dell’autorità competente" e dalla parte indignata "atto odioso, dannoso, inutile e ipocrita" Tutto questo e anche di più per l’art. 19 del ddl S. 773 col quale si legifera che per lo stato italiano l’immigrazione clandestina è reato. Nella precedente stesura per il reo veniva prevista la reclusione, ma probabilmente quando si è ricordato che da un bel pezzo abbiamo le carceri intasate, si è pensato bene di commutare la pena in multa da 5mila a 10mila euro e già qui non si capisce bene il senso del ridicolo: per ottenere il pagamento si richiederà il pignoramento presso terzi, nella fattispecie allo scafista che ha condotto in patria nostra i clandestini? Ci pare evidente l’assurdità della pretesa e dunque limitiamoci a prendere atto che processando il reo non sarà più necessaria la trafila per la sua espulsione e l’osservanza di tutte le sentenze della corte costituzionale basate sul rispetto della libertà personale dello straniero. In attesa che il disegno sia poi convertito in legge ci chiediamo, come anche il sen. D’Alia, con che criterio verrà dichiarato reo il clandestino non colto in flagranza, ossia scoperto per lo più in acque territoriali, ma già presente sul territorio: a che procedura verrà sottoposto il reo ante legge? Basterà beccarne uno senza il permesso in regola, dunque sarà sufficiente la sua permanenza al momento, per imputarlo di reato? Dottrina e giurisprudenza saranno versate a fiumi nelle aule di giustizia e ci costerà assai il nuovo impatto sul sistema, infatti il sen. Li Gotti ha sollevato la questione che a quanto pare non era stata presa in considerazione: la copertura finanziaria dai 33milioni di euro previsti per i circa 50.000 ingressi in Italia nell’ultimo anno ai 400 che si misurano sulle circa 700mila presenze illegali. Il sen. Schifani l’ha ritenuta fondata e ha così richiesto alla commissione bilanci di riunirsi per riconsiderare la questione della copertura. Nessuna eccezione per i "diversamente clandestini", ossia coloro che nel mondo civile si chiamano rifugiati. Qualche dubbio lo nutriamo sulla caccia alle badanti, quelle signore che accudiscono i nostri parenti anziani e ammalati per consentire a figli, nuore e nipoti di lavorare fuori casa senza troppi rimorsi nell’abbandonarli, ché tali sarebbero ove fossero affidati alle nostre carenti coperture socio-assistenziali. I nostri dell’operazione "vittoria di legge e ordine" su queste clandestine forse chiuderanno convenientemente un occhio o due? Sempre in onore della sicurezza apprendiamo che è stato approvato l’uso dell’oleosina capsicum (olio di peperoncino) nelle bombolette spray anti aggressione e violenza, come da emendamento della sen. Bonfrisco che, a suo dire, se la signora reggiani avesse avuto lo spray nella borsetta forse non sarebbe andata così. In compenso gli emendamenti proposti dalla sen. Franco sull’inasprimento delle pene per maltrattamenti e vessazioni familiari sono stati bocciati perché non prioritari, come se la violenza sulle donne, specie quella che si consuma ad opera di uomini conviventi o meno, fosse un fatto di sicurezza privata anziché pubblica. Vorrà dire che quelle donne si attiveranno a prepararsi in casa l’olio di peperoncino da nebulizzare alla bisogna. La senatrice ricorda che nel frattempo il fondo per il piano di contrasto da cui dipendono le risorse per i centri antiviolenza, finanziato dal governo Prodi con 20 milioni di euro, è stato cancellato. Forse perché quei soldi verranno convertiti in quantitativi industriali di peperoncino? Immigrazione: la "tassa" sul soggiorno diventa un contributo
Avvenire, 16 gennaio 2009
La tassa sul permesso di soggiorno per gli immigrati si trasforma in "contributo". Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi aveva ribadito ieri di essere "contrario" a una forma di tassazione, commentando la decisione (scaturita da una riunione dei ministri dell’Interno e della Giustizia con i gruppi di maggioranza al Senato) di lasciare nel disegno di legge sulla sicurezza, di cui oggi comincia l’esame in aula per arrivare al voto finale il 3 febbraio, l’emendamento leghista. "Quando mi è stato presentato quell’emendamento, ho subito detto che ero contrario - aveva spiegato il premier - ne ho parlato ieri (lunedì, ndr) con Bossi e lui non ha fatto obiezioni particolari". Ma in serata quello che il Viminale ha definito "un cordiale colloquio telefonico" tra il capo del governo e il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha chiarito la vicenda: il contributo sarà simile a quello già previsto nella maggior parte dei Paesi dell’Ue e potrà variare tra i 10 e i 400 euro, ma non si configurerà come la "tassa di soggiorno" che la Lega aveva cercato d’inserire nel decreto legge anti-crisi. Insomma, la contrarietà del premier avrebbe riguardato questo secondo emendamento, poi eliminato. Il Carroccio non ha invece ritirato la sua proposta dal ddl sicurezza, però l’ha modificata: la somma di 200 euro prevista in origine per il rilascio del permesso di soggiorno (e di 50 per il rinnovo) sarà sostituita con "un contributo da definire con decreto del ministero dell’Interno e di quello dell’Economia ". Altra concessione della Lega, la revoca dell’emendamento che avrebbe obbligato gli extracomunitari irregolari a pagare l’assistenza medica di base e l’obbligo per i medici di denunciarli. Resterà, invece, il reato di "immigrazione clandestina", punito con un’ammenda e con l’eventuale sanzione accessoria dell’espulsione dall’Italia decisa dal giudice di pace. I blocco degli ingressi, chiesto anche questo dalla Lega, è stato infine derubricato da emendamento a ordine del giorno. Il ministro leghista Maroni non vede discrepanze tra le forze politiche che sostengono il governo: la tassa sull’immigrazione - ha detto - "è assolutamente condivisa da tutta la maggioranza". Resta da vedere che cosa accadrà, effettivamente, a Palazzo Madama. Nel frattempo, ha sottolineato Maroni, la crisi economica ha determinato un calo delle richieste di ingresso in Italia per lavoro da parte di extracomunitari. "A fronte dei 150mila ingressi previsti dal decreto flussi - ha spiegato il titolare del Viminale - sono arrivate 127mila domande, 13mila in meno del tetto stabilito, che per qualcuno era troppo severo". Gli sbarchi illegali, al contrario, sono aumentati e il ministro ritiene sempre "fondamentale" l’attuazione degli accordi sottoscritti l’estate scorsa con la Libia. In ogni caso, ha annunciato, i nuovi Centri di identificazione ed espulsione sorgeranno vicini ad aeroporti per consentire un più rapido rimpatrio degli espulsi. Ma la questione del contributo sul permesso di soggiorno fa insorgere le opposizioni, che in più sottolineano la diversità tra le parole di Berlusconi e quelle di Maroni. Da Anna Finocchiaro (Pd) a Savino Pezzotta (Udc), a Leoluca Orlando (Idv), tutti hanno battuto su questo tasto. Anche il ministro dell’Interno ombra del Pd Marco Minniti, al quale ha replicato il capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri: "Sul pagamento di una cifra per il permesso di soggiorno il centrodestra è sempre stato favorevole perché, come per una serie di pratiche amministrative i cittadini sono tenuti al pagamento, è plausibile che anche lo straniero paghi una modica cifra". Immigrati in fila per il permesso di soggiorno. Immigrazione: Termoli; inchiesta su presunte violenze di vigili
Agi, 16 gennaio 2009
La procura della Repubblica di Larino ha chiuso l’inchiesta sulle presunte violenze ai danni di un ambulante del Bangladesh, fermato ad agosto scorso dalla Polizia Municipale di Termoli (Cb). Tre agenti sono stati indagati per violenza privata e abuso d’ufficio. Secondo il racconto del Abdul Zainal (confermato da alcuni testimoni) i vigili lo avevano trascinato a terra per alcuni metri, fino all’auto di servizio, e poi costretto a piegare la testa dentro il bagagliaio. Secondo la ricostruzione della polizia municipale, invece, l’ambulante (uscito dal carcere grazie all’indulto, dopo la condanna per estorsione, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e associazione per delinquere) era stato fermato per un controllo e, nel tentativo di scappare, era finito a terra. Versione supportata anche da una dichiarazione firmata dalla stesso Zainal, con la quale negava di essere stato "strattonato, malmenato e messo con forza nel portabagagli dell’auto". "Anzi - aggiungeva - preciso che sono stato accompagnato negli uffici di Polizia stando seduto sul sedile posteriore dell’auto di servizio". Il contenuto della dichiarazione era stato poi messo in discussione dallo stesso ambulante. "Non so leggere e scrivere - aveva sostenuto -. Mi hanno colpito con un calcio alla pancia". A distanza di pochi mesi il giudice inquirente ha ricostruito la vicenda, giungendo alle conclusioni che depositerà al Gip nei prossimi giorni. Droghe: pubblicato studio del Ministero dell’Interno anno 2007
Comunicato stampa, 16 gennaio 2009
Uno studio sulla realtà del fenomeno "droga" nell’anno 2007 attraverso il raffronto dei dati emersi dall’analisi sulle tossicodipendenze e dei relativi sistemi di supporto (strutture socio-riabilitative pubbliche e private), nonché dall’attività di prevenzione e repressione svolta dalle Forze dell’ordine. È la fotografia che emerge in una pubblicazione curata dalla Direzione centrale per la documentazione e la statistica destinata a fornire un’informazione dettagliata sull’andamento del fenomeno attraverso la raccolta dei dati provenienti dagli Uffici centrali e periferici dell’Amministrazione dell’Interno. Un’analisi svolta sia con riferimento alle varie realtà presenti a livello locale, minuziosamente documentate dalle Prefetture - Uffici Territoriali del Governo, sia per quanto riguarda l’impegno delle Forze di Polizia nell’attività di prevenzione e repressione del traffico illecito di stupefacenti, condotta anche a livello internazionale, per fronteggiare il crescente incremento dell’offerta di sostanze provenienti dall’Estero. La pubblicazione è stata così articolata: nella parte prima sono riportati i dati relativi al numero dei tossicodipendenti che, alle date del 31 marzo - 30 giugno - 30 settembre - 31 dicembre 2007, risultano in corso di trattamento presso le Strutture private, nonché quelli attinenti al numero ed alla distribuzione territoriale delle Strutture socio-riabilitative operanti nel settore della cura e del recupero dei tossicodipendenti. La rilevazione e la raccolta dei dati relativi ai tossicodipendenti in trattamento presso i Servizi Sanitari Pubblici è curata dal 1998 direttamente dal Ministero della Salute; nella parte seconda vengono presi in esame i casi di decesso a seguito di assunzione di stupefacenti avvenuti nell’anno 2007, sulla base dei dati raccolti dalle Forze di Polizia e forniti dalla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga; infine, nella parte terza, sono riportati i dati nazionali forniti dalla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga relativi all’attività di prevenzione e repressione svolta nell’anno 2007 dalle Forze di Polizia nel settore degli stupefacenti. Francia: già 11 i detenuti suicidi in carcere dall’inizio del 2009
Ansa, 16 gennaio 2009
Un dato preoccupante anche in un paese, come la Francia, in cui il tasso dei suicidi in carcere è tra i più elevati d’Europa, il doppio di quello italiano o tedesco, il triplo di quello spagnolo. Per questo il direttore dell’amministrazione penitenziaria ha raccomandato alle direzioni delle carceri una serie di misure di vigilanza per arginare il fenomeno. Tra queste, l’aumento della frequenza delle ronde e la riduzione dei tempi in cui i detenuti restano da soli. Cinque degli undici suicidi del 2009 riguardano, inoltre, persone arrestate per crimini di carattere sessuale, e quindi verrà intensificato il controllo sui detenuti arrestati per questo tipo di reato. Usa: svolta del Guardasigilli; il "water-boarding" è una tortura
Apcom, 16 gennaio 2009
Il taglio con il passato non potrebbe essere più netto: il governo americano, quando Barack Obama sarà presidente, non ricorrerà all’uso di torture negli interrogatori dei sospetti terroristi e ai prigionieri di Guantanamo saranno processati in tribunali americani, con il diritto a essere difesi da un avvocato. A vigilare sul bando alle torture ci sarà Eric Holder, il prossimo ministro di Giustizia americano, oggi al Senato per l’udienza di conferma del suo incarico di governo. Holder non si nasconde dietro un dito, gli strumenti utilizzati dal governo di George W. Bush nelle prigioni segrete della Cia "erano torture" a tutti gli effetti, soprattutto il "waterboarding", l’annegamento simulato, che avrebbe fatto confessare l’architetto delle stragi dell’11 settembre, Khalid Sheikh Mohamed. Ancora la settimana scorsa il vice presidente repubblicano Dick Cheney aveva difeso il ricorso al waterboarding, ricordando come avesse consentito agli 007 americani di ottenere preziose informazioni di intelligence. Obamam, convinto che le torture rappresentino un pericolo per la sicurezza americana e non un asset, metterà al bando la pratica con un ordine esecutivo già martedì prossimo, con lo stesso provvedimento che inizierà il lungo processo per la chiusura della base di Guantanamo. Ad autorizzare quelle che l’ex direttore della Cia Porter Goss ha definito "tecniche creative, non torture" è stato l’ex ministro alla Giustizia di Bush, Alberto Gonzales, in qualità di consulente legale della Casa Bianca, dopo l’offensiva americana in Afghanistan. Il ricorso alla violenza fisica e psicologica durante gli interrogatori, inclusi schiaffi alla testa, simulazione di annegamento e periodi di permanenza in temperature rigide, è stato denunciato con drammatica crudezza dalle immagini scattate da soldati americani nel carcere di Abu Ghraib, a Baghdad, la pagina più nera della guerra americana contro l’Iraq. Con il "waterboarding" il prigioniero viene legato a una tavola inclinata, i piedi più in alto della testa. Il volto viene quindi coperto da cellophane e inondato di acqua. Inevitabilmente il prigioniero viene assalito dalla paura di morire annegato e questo induce a confessioni volontarie nella speranza di interrompere il trattamento. Questa tecnica avrebbe una media di sopportazione di 14 secondi. Il più tenace dei prigionieri di al Qaida fu Khalid Sheikh Mohammed che si guadagnò l’ammirazione dei suoi carcerieri per aver resistito tra i due e i due minuti e mezzo prima di implorare gli agenti americani offrendosi di confessare. Holder, il vice ministro alla giustizia durante la presidenza di Bill Clinton, è finito nel mirino dei repubblicani della commissione giustizia per avere raccomandato la grazia del finanziare Marc Rich, alla vigilia del giuramento di Bush. La grazia a Rich, condannato per truffa e in esilio in Svizzera, fu una delle grandi controversie della presidenza Clinton. Holder ha ammesso di avere commesso un errore raccomandando la grazia a Rich, processato per evasione fiscale e per avere fatto affari illegalmente con l’Iran durante la crisi degli ostaggi. Belgio: 2 detenuti evadono da Palazzo di giustizia a Bruxelles
Apcom, 16 gennaio 2009
Spettacolare evasione ieri mattina al Palazzo di Giustizia di Bruxelles. Intorno alle 9 un uomo girava, all’apparenza incerto sul suo cammino nel seminterrato del tribunale di Bruxelles. Voleva andare alla Camera delle incriminazioni. Una volta arrivato lì davanti ha spinto la porta e gettato una pistola a due uomini, che erano lì in attesa del loro giudizio, che si svolge a porte chiuse. Con l’aiuto delle armi i due hanno minacciato tutti: giudici, avvocati, cancellieri, i funzionari della sicurezza. Uno dei due ha poi puntato la pistola alla tempia di un usciere e con la minaccia di ucciderlo ha costretto tutti a stendersi a terra. Gli uomini, accusati di rapina, e il loro complice sono poi fuggiti a piedi, attraverso i lunghi corridoi del palazzo, sotto la sguardo stupito degli avvocati presenti. Da notare che in Belgio gli agenti delle forze di sicurezza che accompagnano i prigionieri al palazzo non sono armati.
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