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Giustizia: gli appelli per la riforma condivisa e il rischio bidone di Davide Giacalone
L’Opinione, 14 gennaio 2009
Come erano surreali i titoloni che annunciavano l’imminente e condivisa riforma della giustizia. Siccome sono sospettoso e faccio fatica a credere che tutti i protagonisti, per giunta in poche ore, abbiano cambiato pelle, ho sentito puzza di bruciato. Di perdita di tempo. Il presidente della Camera ha elencato sei punti, riscuotendo consensi, ma a leggerli non sembrano così significativi. Dire, ad esempio, che le intercettazioni si devono fare, ma non abusando e rispettando la legge, sembra un programma alla Crozza. Difatti Walter Veltroni ci si riconosce. Accenna alla separazione delle carriere, poi la definisce "scissione dei ruoli", ma senza intaccare l’autonomia dei pm. Parole, mentre si deve avere il coraggio della chiarezza: non possono essere tutti autonomi, devono dipendere dal superiore gerarchico. L’obbligatorietà dell’azione penale non tutela i cittadini, neanche come principio, è sconosciuta nel sistema accusatorio, quindi che senso ha sospenderla solo per un poco? Insomma, sono cose discutibili, ma non particolarmente significative. Perché tanti entusiasmi? Per capirlo si devono ricordare le parole di Nicola Mancino, vice presidente del Csm che, con scarsissimo senso del proprio ruolo, dice che l’attuale Consiglio Superiore non funziona e si deve depoliticizzare la presenza dei magistrati. Giusto, ma arriva dalla bocca sbagliata, che non può essersi svegliata una mattina ed avere scoperto quel che scriviamo da lustri. E allora? Allora dietro c’è il Quirinale, che fa pressioni per cambiare le norme, ma vede il pericolo di una maggioranza autosufficiente, che approfitti del conservatorismo della sinistra e del corporativismo cieco dei magistrati. Non servirà a fare le riforme. Perché la sinistra sarà condizionata dall’azione delle procure, dai ricatti interni e dalla cultura giustizialista nella quale ha sguazzato. Mentre a destra la gnagnera del "dialogo" serve solo a fermare chi intende procedere. Il Quirinale lo teme, e si muove. Violante lo ha capito, e si agita. Lo ha capito anche chi vuole far pesare i propri seggi, all’interno della maggioranza. C’è una sola cosa che sembra non entrare nella zucca di tanti: la giustizia italiana è già oltre il collasso e la bancarotta. I temporeggiatori sono solo degli incoscienti, ed i punti "condivisi", talora, i peggiori. Giustizia: impossibile riforma a costo zero, serve investire di più
L’Opinione, 14 gennaio 2009
Cosimo Maria Ferri è un magistrato. Come lo era il padre che fu anche il ministro socialdemocratico che introdusse il limite di velocità a 110 all’ora. Oggi è membro togato del Csm e come tale ha dato a "L’opinione" questa intervista in cui ci spiega la sua ricetta per i mali della giustizia italiana e i suoi suggerimenti per le riforme.
Si parla di riforme della giustizia perlomeno dai tempi di Craxi ma nulla si riesce a fare per un’evidente resistenza corporativa dei magistrati. Come è possibile a suo avviso sbloccare una simile situazione? In verità gli interventi di riforma non sono mancati nel corso degli anni, anche se è pur vero che hanno interessato, il più delle volte, aspetti specifici, senza affrontare in modo organico le problematiche inerenti la "Giustizia". Non sono del tutto d’accordo nel ritenere che questa difficoltà sia da attribuire alla "resistenza corporativa" dei magistrati. Pur non essendo mancati atteggiamenti sbagliati sia da parte di settori della magistratura che della politica, mi preme ricordare che l’Anm non ha fatto mai mancare una seria interlocuzione istituzionale evidenziando però sempre, questo sì, la necessità di raggiungere una maggiore efficienza nello svolgimento del processo, salvaguardando i principi dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario. Anche in questa fase, penso che sia fuorviante concentrare quasi esclusivamente l’attenzione - come pare i più facciano - sugli interventi rivolti all’organizzazione dell’ufficio del pubblico ministero in rapporto alla magistratura giudicante, sulla disciplina dell’azione penale, sulla composizione ed il funzionamento del Csm. Urge in particolare, a mio parere, per cominciare dal settore della giustizia civile, una razionalizzazione dei troppi modelli processuali esistenti, nonché l’incentivazione di forme stragiudiziali di definizione delle controversie. È arrivato, inoltre, il momento di affrontare, con pragmatismo, il problema nascente dalla previsione della generalizzata appellabilità di tutte le sentenze di primo grado. Non diversamente, anche nel settore penale appare necessario incrementare il novero degli istituti con scopi deflattivi del processo. Per questi motivi desidero evidenziare la necessità di una riforma della giustizia che parta dalle riforme processuali e che preveda investimenti per la fornitura ai magistrati di strumenti essenziali per il lavoro nonché il concreto impegno a garantire adeguati aumenti numerici del personale amministrativo. Non si deve più ripetere l’errore di voler fare riforme a costo zero. Bisogna rendersi conto che investire nel sistema giustizia è essenziale anche per garantire la competitività del Paese a livello di economia internazionale.
L’articolo 111 della Costituzione porterebbe come logica conseguenza la separazione di carriere e funzioni tra chi giudica e chi indaga. Perché questa cosa sembra una bestemmia per l’Anm? La carriera "unica" è per l’Anm quella più idonea ad offrire maggiori garanzie per i cittadini. Infatti, l’appartenenza del pm e del giudice al medesimo ordine assicura che anche il primo sia partecipe della cultura della giurisdizione. Ciò dovrebbe evitare che il magistrato requirente si trasformi in un avvocato della Polizia, intento a raccogliere solo elementi a sostegno di ipotesi accusatorie o, peggio ancora, in un super poliziotto. Non è un caso del resto che lo stesso codice di procedura penale, pur ispirato ad una netta distinzione di funzioni tra magistrati requirenti e giudicanti, faccia carico al Pm di ricercare anche elementi a favore dell’indagato. Sul perché qualche volta si registrino invece eccessi e/o disfunzioni nello svolgere questo compito è dovere di tutti riflettere e discutere per individuare rimedi, ma è riduttivo continuare a parlare di separazione delle carriere, di riforma del Csm, nel pieno di una paralisi del processo penale che dipende principalmente da altri fattori, a volte anche banali, e certamente più facili da risolvere.
Altro tabù di cui neanche si discute è l’obbligatorietà dell’azione penale che in realtà è discrezionale ad avviso del singolo pm. Non sarebbe più logico stabilire priorità parlamentari e di maggioranza? In verità se ne discute eccome. Io ritengo che non sia possibile rinunciare al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale correttamente previsto nell’art. 112 della nostra Carta Costituzionale. La stessa Corte Costituzionale ha infatti in più occasioni sottolineato come il principio di obbligatorietà dell’azione penale sia un baluardo del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e di legalità. Ritengo invece che ci si possa confrontare sui correttivi da attuare e che rendano effettivo tale principio. Penso, per esempio, che si possa discutere circa l’indicazione di criteri di priorità, che a mio parere dovrebbero però essere fissati dal Csm sentiti il ministro ed il procuratore generale della Corte di Cassazione e non quindi dal Parlamento. Occorre inoltre che il legislatore, prima di pensare a modificare il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, provi a renderlo effettivo nel senso di organizzare un servizio Giustizia in grado di rispondere alla domanda e alla situazione criminale esistente nel nostro Paese. Penso, ad esempio, alla necessità di dare vita ad un ampio processo di depenalizzazione: invece, assistiamo, sempre più frequentemente, all’utilizzo dello strumento penale anche per la tutela di situazioni che ben potrebbero essere affrontate a livello amministrativo. Appare peraltro contraddittorio da una parte lamentare l’eccessivo numero di procedimenti penali, dall’altra introdurre continuamente nuove ipotesi di reato.
Magistrati, intercettazioni, fughe di notizie, protagonismi, ipocrisie. Tutti questi concetti li vediamo ogni giorno nel pianeta giustizia. Sembra che chi ha l’inchiesta più alla moda, si tratti di vallette o di calciatori piuttosto che di politici o ex reali, faccia più carriera. Le inchieste sembra che l’importante sia aprirle e non arrivare a un processo e si spendono milioni di euro per reati non poi così importanti, distraendo soldi dalla lotta alla criminalità organizzata. Questo è concepibile all’infinito? Il tema delle intercettazioni è importante e delicato. È necessario contemperare l’esigenza dei pubblici ministeri di perseguire efficacemente reati che destano allarme sociale e l’esigenza della libertà di informazione con le altrettanto legittime esigenze di tutela della privacy, specie dei soggetti estranei alle indagini. Quanto alla prima, è essenziale richiamarsi al doveroso impiego di questo rilevantissimo strumento investigativo nel rigoroso rispetto dei presupposti previsti dal codice per il suo utilizzo (gravi indizi di reato, assoluta indispensabilità del mezzo per la prosecuzione delle indagini), anche nei casi di richieste di proroghe dello stesso. Quanto alle altre esigenze penso che il vero problema sia legato da una parte alla necessità di impedire la costante violazione del segreto istruttorio, dall’altra alla pubblicazione delle conversazioni non rilevanti, la quale deve essere arginata al massimo. Da anni l’organo disciplinare del Csm, peraltro, interviene anche a sanzionare quelli che potremmo definire dei peccati di sovraesposizione dei magistrati, quando questi - sbagliando - derogano a quel sano insegnamento dei magistrati di un tempo che volevano l’attività di ognuno di noi, nel delicato compito di amministrare giustizia, improntato ad un assoluto riserbo.
In tutti i mestieri chi rompe paga. Da noi invece la responsabilità civile del giudice non esiste o viene collettivizzata sotto la egida statale, quindi a spese del contribuente. Non sarebbe logico un cambiamento radicale? Come si valuta la professionalità di un pm o di un giudice sennò? Occorre fare attenzione perché la realtà è un’altra. Sotto il profilo della responsabilità civile il magistrato oggi risponde allo Stato per i comportamenti professionali viziati da dolo o colpa grave. Mi preme peraltro sottolineare che i limiti dell’attuale sistema sono a mio avviso correttamente finalizzati a garantire i cittadini circa la possibilità che il giudice si senta libero di svolgere quell’attività interpretativa che spesso contribuisce all’evoluzione del diritto, talvolta anche coprendo vuoti legislativi. È un punto molto delicato questo: bisogna evitare impropri condizionamenti del magistrato per il timore di essere soggetto ad ipotesi di responsabilità nell’attività di interpretazione delle norme o di valutazione delle prove.
Oggi il presidente della Camera Fini propone sei punti, in realtà abbastanza generici, per uscire dalla palude della riforma nella giustizia. Cosa condivide e perché? Il fatto che il potere politico avverta la necessità di procedere ad una riforma della giustizia condivisa dai partiti e dagli operatori è di per sé molto positivo. Ho apprezzato molto infatti che il presidente Fini abbia indicato come prima riflessione "l’auspicio che le modifiche normative scaturiscano da un ampio confronto parlamentare tra le forze politiche e tutti gli operatori del settore". Mi piace anche evidenziare la pacatezza istituzionale ed il tono propositivo dell’intervento del Presidente Fini. È importante che il presidente abbia riconosciuto la necessità di restituire efficienza al sistema valutando lo stanziamento di risorse finanziarie adeguate come valore determinante almeno quanto l’impegno dei magistrati. È un aspetto delicatissimo ed essenziale sul quale spesso l’Anm si è fatta sentire, spesso senza esito. Condivisibili inoltre sono le riflessioni in tema di intercettazioni. Infatti, come ho già avuto modo di dire, esse sono e devono restare uno strumento indispensabile di ricerca della prova dei reati, anche di quelli contro la pubblica amministrazione. Sull’obbligatorietà dell’azione penale è apprezzabile che il presidente Fini, nel rivendicare la prerogativa del Parlamento di dettare criteri, la limiti all’insistenza di una specifica emergenza: resto però convinto che sia più opportuno che tali priorità debbano anche in questo caso essere dettate dal Csm. Sulla necessità e sulle modalità di riforma del Csm, così come sul tema della separazione delle carriere credo che le posizioni espresse dal presidente Fini possano e debbano essere meglio dettagliate e sviluppate all’interno di quel confronto che egli stesso ha con chiarezza e forza auspicato, tenendo in ogni caso fermo il principio, peraltro già affermato con altrettanta autorevolezza dal ministro Alfano, della necessaria salvaguardia dell’autonomia e dell’indipendenza del pm.
Il vicepresidente del Csm Nicola Mancino ha aperto a possibili riforme del sistema Csm e subito è stato accusato di alto tradimento. Non sarà che anche questi magistrati sono una casta? Ho condiviso l’analisi di fondo che il vicepresidente Mancino ha fatto circa la necessità di limitare al massimo gli effetti non positivi che si determinano attraverso il correntismo. È un obiettivo da raggiungere, però, senza disperdere il senso dell’associazionismo, che è invece una risorsa importante, direi essenziale, per contribuire a dare soluzione ai problemi della giustizia. Credo, altresì, che gli eccessi del correntismo debbano essere combattuti e superati non già attraverso una diversa rappresentanza quantitativa dei togati all’interno del Csm (quella di oggi mi pare correttamente finalizzata a consentire al Csm di svolgere con competenza ed autorevolezza il ruolo di autogoverno della magistratura), ma piuttosto attraverso un revisione delle regole dell’Anm e dei sistemi di elezioni dei suoi organi rappresentativi, in modo da rendere davvero aperta a tutti la partecipazione alla sua attività, anche a prescindere dall’appartenenza alle correnti. In tal senso occorre pensare anche a modifiche dell’attuale sistema elettorale del Csm per ridurre il legame tra gli eletti e le correnti di riferimento o di appartenenza. Su un punto specifico delle proposte del presidente Mancino mi permetto di evidenziare un grave rischio: attribuire al Presidente della Repubblica la nomina di un terzo dei componenti del Csm porterebbe alla configurazione di un unicum nel nostro sistema istituzionale. Avremmo un organo di rilevanza costituzionale presieduto da un soggetto che nomina anche parte dei suoi componenti. È molto facile prevedere che qualcuno proponga poi di sottrarre al Presidente della Repubblica la presidenza del Csm con quel che ne consegue in termini di sicura perdita di prestigio e di autorevolezza del Consiglio Superiore. È essenziale, invece, che il Presidente della Repubblica continui a svolgere la sua funzione di presidente anche del Csm, ruolo finora interpretato sempre con massima correttezza e con altissimo senso istituzionale. Ogni ipotesi di cambiamento numerico della componente togata rappresenterebbe un "vulnus" al concetto di governo autonomo della magistratura. Giustizia: riforma non sia una rappresaglia contro i magistrati di Pino Pisicchio
Europa, 14 gennaio 2009
Come sta la democrazia italiana all’inizio del 2009? La domanda ha senso se si tengono sott’occhio le cronache della politica nelle assemblee rappresentative che continuano a manifestare una sinistra tendenza ad intrecciarsi con le cronache giudiziarie. Ma non eravamo noi quelli della rivoluzione "dolce" di "Mani Pulite", che fece registrare quella cesura storica tra un "prima" intriso di pratiche amorali e un "dopo" virtuoso a motivo del "salutare" rinnovamento nello schema maggioritario-bipolare, testimoniando al mondo intero la superiorità della democrazia italiana che, in modo incruento e affidandosi solo al ruolo "salvifico" della magistratura, portò il Belpaese all’approdo della modernità, cioè del berlusconismo? E adesso che succede? Succede che l’agenda allestita dai media ci ricorda che siamo il piena emergenza "morale", e che la politica, invece di prendere atto delle sue insufficienze (che sono morali, certamente, ma perché è sicuramente immorale una classe dirigente incapace di recitare un ruolo di guida del paese, a destra come a sinistra), si esercita a prendere le misure nei confronti dei magistrati "cattivi". Siamo chiari: non è poi così normale un paese in cui il potere magistratuale è totalmente legibus solutus, titillato ed esaltato dal potere mediatico, giudicato da se stesso e proiettato in carriera sulla base di automatismi che non si rintracciano in nessun altro ambito della società italiana: un potere che spesso interpreta il principio costituzionale dell’indipendenza non come garanzia posta in favore del cittadino, ma come strumento di autotutela. Ma l’ultima cosa che può e deve fare la politica oggi è reagire con logiche da rappresaglia nei confronti dell’ordine magistratuale. La cosa che invece può e deve fare è intervenire con efficacia per eliminare le distorsioni più macroscopiche che la caratterizzano, a cominciare da una legge che regolamenti il partito, obbligandolo ad una pratica di democrazia interna, oggi inesistente, e ad una trasparenza, oggi assai effimera, sull’uso dei finanziamenti pubblici, e procedendo ad approvare una seria legge sulle lobby. In fondo i tardi epigoni tangentopoli di queste ultime settimane aiutano a capire come il buco nero del malaffare combinato con la politica possa nutrirsi essenzialmente di quell’oscurità, di quell’assenza di trasparenza che l’intermediazione di qualche furbo, fatta un po’ di millantato credito, un po’ di detto e non detto (le telefonate sibilline…), insieme ad un sempre più lasco sistema di controlli, può loscamente utilizzare. Proviamo a rovesciare lo schema: a rendere tutto trasparente promuovendo i comportamenti virtuosi da parte dell’imprenditore-lobbysta, incoraggiamo i finanziamenti privati ai partiti, eliminando o riducendo all’essenziale quelli pubblici, facciamo che ogni cittadino possa verificare il vero stato delle finanze di un partito o di un candidato, come avviene in America. Abituiamoci all’etica nuova della politica-casa di vetro, superando la visione arcaica (figlia di due vecchi integralismi: cattolico e comunista) del denaro "sterco del demonio". Occupiamoci subito di queste cose. Poi avremo forse più autorevolezza e credibilità nel mettere mano alla riforma della magistratura. Giustizia: il "Lodo Alfano"… per i costituzionalisti è un rebus! di Alessandro Calvi
Il Riformista, 14 gennaio 2009
La successione al premier per via giudiziaria è difficile. Ma non da escludere. Per questo, si attendono le decisioni della Corte costituzionale. E si ragiona di prescrizione. Il Lodo Alfano è incostituzionale. Ne è convinto Stefano Ceccanti, costituzionalista e parlamentare del Pd, che confida in una pronuncia di questo tenore dalla Corte Costituzionale. Cauto appare invece Nicolò Zanon, nel comitato scientifico della Fondazione Magna Charta e ordinario di diritto costituzionale alla Statale di Milano. E cauto è anche Andrea Manzella, costituzionalista e parlamentare di lungo corso, che, piuttosto, si chiede quanto la diversa composizione della Consulta rispetto a quella che si pronunciò nel 2004 sul lodo Maccanico influirà sulla decisione che la Corte dovrà prendere sul lodo Alfano. Non sarà facile la successione a Silvio Berlusconi per via giudiziaria. Ma non si può neppure escludere. E così, si comincia a fare qualche ragionamento sulle conseguenze che potrebbe avere la pronuncia della Consulta sul Lodo Alfano. Berlusconi, infatti, potrebbe anche essere costretto a tornare a sedersi sul banco degli imputati. E, allora, il Fini che, tra gli applausi delle opposizioni, sbotta in un "cose mai viste" dopo l’annuncio della fiducia posta dal governo sul decreto anticrisi "per rispetto del Parlamento", potrebbe essere qualcosa di più di un episodio. Il nodo da sciogliere è uno: per mettere le alte cariche dello Stato al riparo dalle inchieste della magistratura, è sufficiente una legge ordinaria o invece sarebbe stata necessaria una norma di rango costituzionale? Questo, soprattutto, ha chiesto alla Consulta il Tribunale di Milano che, nel corso del processo Mills, ha sollevato per due volte - ma dal tribunale di Roma è in arrivo una terza richiesta - la questione di costituzionalità: il 26 settembre e il 4 ottobre. Non c’è naturalmente soltanto questo. Nel primo caso alla asserita violazione dell’articolo 138 della Costituzione si affianca l’ipotesi di elusione di un precedente giudicato costituzionale (la decisione sul Lodo Maccanico del 2004), nel secondo caso si aggiunge la presunta violazione del principio di uguaglianza e della ragionevole durata del processo. E altro ancora. Ma, dice Zanon, è "difficile fare previsioni. 1 precedenti hanno un peso, certo. E la sentenza del 2004 sollevava obiezioni puntuali al lodo Maccanico. Ma col nuovo testo si è cercato di rispondere proprio a quelle obiezioni, adeguando la norma alle valutazioni della Corte". Ad esempio, "si è prevista una durata determinata nel tempo o che non si possa fruire più di una volta della sospensione". Naturalmente, "questo potrebbe anche non bastare". Del resto, osserva ancora Zanon, allora la Corte "discusse molto sul punto ma non disse che ci voleva una legge costituzionale". Dunque, il problema di fondo, quello della utilizzabilità della legge ordinaria, resta aperto. "Ritengo probabile - spiega invece Ceccanti - che la Corte si pronunci per la incostituzionalità. Una normativa di questo tipo, infatti, non può che essere fatta con legge costituzionale, considerando che si stabilisce che la sovranità popolare prevale sull’articolo 3 della Costituzione. Difficile immaginare di poterlo fare con una legge ordinaria". Manzella sul punto è piuttosto cauto. Nota però che, pur essendo "una materia già trattata dalla Corte, la stessa Corte si è da allora in parte rinnovata". E sarà interessante anche capire quanto vi sia in questa "nuova" Corte la volontà di andare oltre quanto la "vecchia" aveva già affermato. Quanto alle conseguenze della decisione, spiega Ceccanti che "i casi sono due: la legge è incostituzionale, si fanno i processi e non si fa il referendum; oppure: la legge è costituzionale, si fa il referendum e i processi sono sospesi". Immaginare una pronuncia di incostituzionalità parziale, invece, non si può. E su questo è d’accordo anche Zanon. C’è infine una questione relativa al calcolo dei tempi della prescrizione. Osserva Ceccanti che nel Lodo c’è una norma che la blocca. "Se salta il Lodo salta anche quella norma". Sì, risponde Zanon, ma sulla prescrizione con tutta probabilità "decideranno i giudici di merito, trattandosi di una questione di interpretazione di norme processuali". Giustizia: Ministero; nessuna ipotesi di una "cancelleria unica"
Agi, 14 gennaio 2009
Non esiste alcuna ipotesi di creare una cancelleria unica virtuale. Lo sostengono con forza autorevoli fonti del ministero della Giustizia, in merito alle notizie di stampa relative al contenuto del protocollo d’intesa sull’informatizzazione nel settore giudiziario firmato nello scorso novembre dai ministri Alfano e Brunetta. L’obiettivo, si fa notare a via Arenula, è quello di "garantire l’indipendenza e l’autonomia delle toghe e di far funzionare con efficienza il sistema". L’attenzione dei tecnici del dicastero, dunque, è in primo luogo, quella di garantire la sicurezza (a tale scopo si sono svolte anche riunioni con i capi delle maggiori procure italiane, che non hanno, dicono le stesse fonti, espresso alcuna preoccupazione in merito). Il Re.Ge.Web, dunque, progetto che informatizzerà il registro generale di notizie di reato, "non sarà affatto gestito dal ministero", si spiega a via Arenula, ma sarà, se possibile, organizzato a livello distrettuale, assicurando che gli atti riservati restino nella piena ed esclusiva disponibilità del procuratore della Repubblica. Per quanto riguarda i provvedimenti non più coperti da segreto, invece, al ministero si sta studiando l’ipotesi di creare una banca dati anche sul web affinché gli avvocati possano avere subito copia degli atti divenuti pubblici. Giustizia: Ucpi; inaugurazione alternativa dell'anno giudiziario di Mauro W. Giannini
www.osservatoriosullalegalita.org, 14 gennaio 2009
Inaugurazione alternativa dell’anno giudiziario per gli avvocati penalisti italiani. La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane, ha confermato infatti il 15 dicembre 2008 la propria delibera dell’8 dicembre 2008 con cui è stata indetta l’astensione dalle udienze e dall’attività giudiziaria penale per i giorni 27 e 28 gennaio 2009 ed è stata fissata la seconda "Inaugurazione dell’Anno Giudiziario degli Avvocati penalisti italiani" per il giorno 28 gennaio 2009, in Milano, presso il "Salone Valente" (Via San Barnaba 29, angolo via Freguglia), alle ore 9,30. Secondo i penalisti "La situazione politica in cui versa la riforma organica della giustizia suscita gravi preoccupazioni. Dopo annunci reiterati e autorevoli circa la sua impellente necessità, accompagnati da generiche indicazioni dei suoi contenuti, e dopo prese di posizione di contrarietà alla stessa, la politica sembra arenata in tatticismi giocati sui più diversi versanti, che non tengono conto che l’urgenza del Paese è di avere nei tempi doverosi un rinnovamento profondo dell’amministrazione della giustizia, a tutela dei singoli e della collettività". Per questo, secondo l’Ucpi "È indispensabile che, senza ulteriori indugi, si dia immediato avvio ai lavori parlamentari che, coltivando anche le consultazioni di quanti operano nel mondo della giustizia, diano luogo al più ampio confronto istituzionale fra gli schieramenti politici, valutino tutte le proposte in campo in modo che su queste basi si costruisca il consenso necessario ad adottare le decisioni che competono alla politica e che ne rappresentano doveri indefettibili, secondo le regole stabilite dalla Costituzione". A giudizio dell’Ucpi, "La riforma organica oggi necessaria deve riguardare l’intero panorama della giustizia" e occorre "attuare la separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri", "riformare il Csm per due essenziali ragioni: due Csm, l’uno per i giudici e l’altro per i pubblici ministeri, sono conseguenti alla separazione delle carriere; la modifica della composizione e delle funzioni del Csm è richiesta dalla necessità di ripristinare l’autonomia e l’indipendenza dei singoli magistrati, veri depositari delle guarentigie costituzionali", "ridurre drasticamente il fenomeno dei magistrati fuori ruolo", "una disciplina dell’azione penale che ne assicuri in concreto l’obbligatorietà, superando la discrezionalità libera, e cioè l’arbitrio, con cui oggi le Procure esercitano il potere d’azione" (in pratica il parlamento deve individuare le priorità dei reati da perseguire, ndr), "un nuovo codice penale e una riforma sistematica del codice di procedura penale del 1988 per recuperare l’autenticità di processo di parti", "occuparsi della gravissima situazione del carcere, recuperando condizioni di vita dei detenuti rispettosi della dignità delle persone e la funzione rieducativa della pena", "approvare tempestivamente la nuova legge di ordinamento forense che promuove la riqualificazione dell’Avvocatura agendo sugli aspetti fondamentali: un meccanismo di accesso all’avvocatura imperniato sulla verifica del merito; la formazione continua; l’istituzione delle specializzazioni forensi; l’elevazione della deontologia". Perciò la Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane ritiene necessario promuovere la mobilitazione dell’Avvocatura penale perché siano valorizzate le proprie proposte di riforma organica della giustizia e siano contrastate con determinazione politiche contrarie al rinnovamento profondo dell’amministrazione della giustizia e invita tutti gli avvocati italiani, i magistrati, gli esponenti della politica, i cittadini, i direttivi e gli iscritti di tutte le Camere Penali Italiane a partecipare alla manifestazione del 28 gennaio prossimo, nel corso della quale, secondo il programma che sarà quanto prima reso noto, saranno forniti i reali dati sul funzionamento della giustizia, si discuterà con politici ed altri ospiti dei percorsi sulle riforme, sarà fatto il punto sulle battaglie dei penalisti italiani per le riforme liberali e democratiche per la giustizia. All’incontro saranno presenti il Prof. Oreste Dominioni, presidente Ucpi, il Dott. Giuseppe Grechi, Presidente della Corte di Appello di Milano, il Prof. Guido Alpa, Presidente del Consiglio Nazionale Forense, l’Avv. Vinicio Nardo, Presidente della Camera Penale di Milano ed interverranno gli avv. Gian Domenico Caiazza, Domenico Battista, Valerio Spigarelli, Renato Borzone, Robert Finzi, Paolo Giuggioli e Michele Cerabona. Presiederà l’incontro Luigi Ferrarella, giornalista del Corriere della Sera. Fra i politici, presenzieranno Emma Bonino, Niccolò Ghedini, Lanfranco Tenaglia e Luciano Violante. È previsto l’intervento del Ministro della Giustizia. Giustizia: ddl sicurezza; no a patente per i delinquenti abituali
Ansa, 14 gennaio 2009
I delinquenti abituali, che sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o di prevenzione, non potranno avere la patente di guida. Non potranno conseguire neanche il patentino per i motorini. È quanto prevede un emendamento presentato dal governo al disegno di legge Sicurezza da domani al voto dell’aula di palazzo Madama. Se la patente, invece, è già stata concessa questa potrà essere revocata dal prefetto, così come il patentino. Giustizia: la Regione Toscana vota mozione contro l’ergastolo
In Toscana, 14 gennaio 2009
La mozione, presentata da consiglieri di Pdci, Prc e Verdi, impegna la Giunta regionale a farsi carico presso il Parlamento nazionale affinché venga "recuperata" la proposta di abolizione della massima pena vigente in Italia, contrario il centrodestra Firenze - Approvata a maggioranza la mozione contro l’ergastolo presentata dai consiglieri regionali Paolo Marini del Pdci, Monica Sgherri del Prc e Fabio Roggiolani dei Verdi. La mozione, che ha avuto il voto contrario del centrodestra, impegna la Giunta regionale "a farsi carico, presso il Governo e il Parlamento italiano, affinché venga iscritto con urgenza all’ordine del giorno dei lavori la proposta di legge presentata da un gruppo di senatori, nel corso della passata legislatura, per la soppressione della pena dell’ergastolo". Nella mozione si rileva che "dal 1° dicembre 2008 centinaia di ergastolani e di altri reclusi nelle carceri italiane stanno conducendo uno sciopero della fame che andrà avanti a staffetta fino alla metà di marzo 2009 per chiedere che la pena dell’ergastolo sia abolita per sempre". L’ergastolo, massima pena prevista in Italia, viene definito nel testo della mozione "inumano, incostituzionale" e si aggiunge che "non serve". I tre firmatari, inoltre, sottolineano che "attorno allo sciopero degli ergastolani si sta formando una rete di solidarietà su tutto il territorio nazionale". Il capogruppo di An-Pdl, Roberto Giuseppe Benedetti, ha annunciato il voto contrario affermando che "per alcuni reati gravi va prevista la pena dell’ergastolo". Giustizia: Caligaris (Ps); norma su gratuito patrocinio è iniqua
Agi, 14 gennaio 2009
"La legge è uguale per tutti: questo principio fondamentale con cui si sintetizzano i contenuti dell’art. 3 della Costituzione rischia di non essere rispettato a danno dei più deboli. A mettere in dubbio il diritto alla difesa dei meno abbienti sono le modifiche introdotte con la legge 24 luglio 2008, n. 125 alla normativa che disciplina il gratuito patrocinio". Lo afferma il consigliere regionale socialista Maria Grazia Caligaris (Ps), componente della Commissione Diritti Civili, che ha ricevuto dai parenti di alcuni detenuti segnalazioni relative ai "decreti di rigetto di istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato da parte dei Tribunali". Secondo la modifica introdotta alcuni mesi fa, il tribunale - precisa Caligaris - nell’esaminare l’istanza di ammissione al gratuito patrocinio deve valutare "oltre al tenore di vita, alle condizioni personali e familiari e alle attività economiche eventualmente svolte dall’interessato, anche le risultanze del suo casellario giudiziale". Proprio quest’ultimo aspetto - precisa l’esponente del Ps - "le risultanze del casellario giudiziale" quando viene utilizzato senza tenere conto delle condizioni economiche - rischia di danneggiare i cittadini più deboli e privi di mezzi di sostentamento. È gravissimo - sottolinea il consigliere socialista - che l’esclusione così motivata costringa l’imputato a non potersi adeguatamente difendere per il nuovo reato di cui viene accusato e per il quale è innocente fino a sentenza definitiva della Corte di Cassazione. Lo Stato non può infatti consentire che, per conseguire dei risparmi, alcuni cittadini siano condannati ancor prima di essere giudicati negando loro il gratuito patrocinio. È opportuno, in attesa di una modifica della legge o di un ricorso alla Corte Costituzionale che sancisca l’incostituzionalità della norma, che i decreti di rigetto del gratuito patrocino vengano riesaminati e non siano più emessi tenendo conto delle "risultanze del casellario giudiziale". Giustizia: Bernardini (Pd); 41-bis resti nei limiti costituzionali
Apcom, 14 gennaio 2009
Con la revoca del 41 bis al boss Domenico Ganci il Tribunale di sorveglianza di Roma ha riportato il ‘carcere durò entro i limiti imposti dalla Carta costituzionale. Lo sottolinea Rita Bernardini, parlamentare radicale eletta nelle liste del Pd, membro della commissione Giustizia della Camera. "Revocando il carcere duro a Mimmo Ganci, il Tribunale di Sorveglianza di Roma - osserva Bernardini in una nota - ha esercitato il proprio potere giurisdizionale attenendosi al rispetto rigoroso sia della legge 279/2002 sia dei criteri interpretativi più volte enunciati nelle sentenze della Corte Costituzionale e nei provvedimenti di annullamento della Corte di Cassazione, in base ai quali la persistenza di collegamenti del detenuto con l’associazione criminale di appartenenza non può mai presumersi ma semmai affermarsi sulla scorta di positivi elementi e concrete circostanze". Da questo punto di vista, spiega la parlamentare radicale, la circostanza che "Ganci, detenuto sottoposto al 41bis da ben 15 anni, abbia tenuto in tutti questi anni un comportamento intramurario corretto e che lo stesso ha oramai rapporti assai rarefatti con la sua stessa famiglia, essendo ristretto in località lontana dal luogo d’origine, è la rappresentazione più eloquente di un suo progressivo e totale isolamento e della conseguente mancanza di contatti criminali del medesimo con il suo ambiente di provenienza". Ciò che desta "sconcerto - argomenta ancora Bernardini - non è pertanto la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma, sotto questo profilo ineccepibile, quanto la scomposta reazione di chi in queste ore si sta scagliando contro gli estensori del citato provvedimento di revoca, evidentemente non sapendo, o facendo finta di non sapere, che a legittimare il regime carcerario speciale di cui all’art. 41bis non è la permanenza del reato associativo (che peraltro cessa con la sentenza di primo grado), ma la sussistenza attuale di collegamenti del detenuto con l’associazione di provenienza, elemento che evidentemente nel caso di Mimmo Ganci non è stato dimostrato da circostanze recenti o fatti concreti". Giustizia: il sistema informatico in tilt, tribunali e carceri isolati
La Repubblica, 14 gennaio 2009
Il sistema informatico che collega tutti gli uffici dei tribunali italiani è rimasto bloccato da ieri mattina fino alle 17.30. Il Rug (rete unica della giustizia) ha sede a Napoli. Paralizzata l’attività dell’amministrazione giudiziaria sulla rete informatica. Uffici scollegati, impossibilitati a dialogare fra loro. Impossibile accedere ai registri degli indagati e stampare certificati penali. Indisponibili, quindi, gli accessi a internet e il servizio di posta elettronica degli uffici. Bloccato anche il collegamento con il casellario giudiziale e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Già nella giornata di ieri si erano avute le prime avvisaglie, poi da ieri mattina il blocco totale. Dal ministero della Giustizia fanno sapere di aver risentito delle disfunzioni della rete, ma di non sapere ancora quali siano le cause del problema "ancora da accertare". Venezia: tre detenuti tentano l'evasione, con un buco nel muro
Ansa, 14 gennaio 2009
Hanno tentato la fuga calandosi in cortile con delle lenzuola annodate dopo aver fatto un buco sul muro della cella, ma fatti pochi passi sono stati bloccati dagli agenti della Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale di Venezia. È durata così solo pochi minuti la speranza di libertà per tre giovani detenuti extracomunitari - un moldavo accusato di omicidio e due albanesi - in attesa di giudizio, da mesi rinchiusi in una cella al secondo piano dell’antico edificio che ospita il carcere Santa Maria Maggiore. E che come tutte le carceri soffre di troppe presenze. Le storie dei tre sono diverse, ma da qualche settimana pare avessero fatto squadra per realizzare il più classico dei piani di fuga: un buco sul muro della cella. Per scavare, secondo i primi accertamenti, avrebbero usato degli oggetti metallici appuntiti, forse i manici di forchette o cucchiai. Un lavoro certosino, compiuto senza far rumore, facendo sparire le tracce dei calcinacci. Un’opera che verso le 5 di stamane si è trasformata nell’illusione di uno spiraglio di libertà. Gheorge Vacaru, 25 anni, moldavo, assieme ai due albanesi, di 27 e 24 anni, si è calato per alcuni metri fino al cortile. In pochi attimi, però, ancor prima di poter pensare a come superare l’ostacolo del muro di cinta, i tre si sono trovati circondati dagli agenti della polizia penitenziaria. Sembra che il loro tentativo di muoversi in silenzio sia stato piuttosto maldestro; più probabile che siano stati subito individuati dalle sentinelle. Adesso, sarà da chiarire quali sono le singole responsabilità, se si è trattato veramente di un disegno comune o se qualcuno dei tre si è aggregato all’ultimo momento. Uno degli albanesi, infatti, in carcere per furto, pare fosse in procinto di uscire. Certo è che gli altri due detenuti compagni di cella sono rimasti nelle loro brande; certo è che il più pericoloso dei tre appare il moldavo. Vacaru, infatti, è ritenuto l’assassino di Giampaolo Granzo, un fruttivendolo ucciso all’interno del suo magazzino a Venezia, il 22 marzo 2007. Il moldavo, ex dipendente del fruttivendolo, lo avrebbe colpito alla testa con una mazza e poi legato convinto che Granzo nascondesse una montagna di soldi tra casa e magazzino. A trovare il corpo del fruttivendolo era stato il fratello di Vacaru. Il presunto omicida era fuggito in Moldavia da dove è rientrato in Italia nel luglio scorso. Ad attenderlo, a Monza, ha trovato gli uomini della squadra mobile di Venezia e un ordine di custodia cautelare per omicidio a scopo di rapina. Enna: detenuti di Piazza Armerina imparano arte del mosaico
La Sicilia, 14 gennaio 2009
L’Arte del Mosaico all’istituto penitenziario di Piazza Armerina. Il Ctp (istruzione permanente degli adulti) della città, con sede nella scuola media "Cascino" proseguendo nella ormai consolidata collaborazione con la casa circondariale armerina e presente sul territorio, anche in questo anno scolastico, oltre alle consuete attività didattiche per il conseguimento di diploma di licenza elementare e media, ha destinato percorsi extracurriculari ai detenuti ospiti dell’Istituto. Ancora una volta il lavoro di progettualità concertuale tra il direttore dell’Istituto, Gabriella Di Franco, del responsabile dell’area educativa Concetta Rampello nonché del dirigente scolastico della "Cascino", Elio Avanzato, ha permesso di poter realizzare interventi educativi specifici e percorsi formativi in ambienti con realtà di condizione sfavorevole. "Ho sempre creduto - dice il referente del Ctp, Rosario Piazza - che la scuola nella realtà carceraria ha caratteristiche specifiche rivolte a persone con esperienze di vita diverse e particolari. L’intervento educativo deve tendere alla ricomposizione di una personalità provata dalla devianza e dalla carcerazione e aiutare a ridefinire un nuovo progetto di vita verso se stessi e verso la società". Il progetto "Laboratorio di mosaico: reintegrazione sociale del detenuto" curato dal tutor Ilenia Perspicace e dagli esperti del settore Rosario Tornetta e Barbara Limuti, ha visto una grande partecipazione di detenuti di età e nazionalità diversa, mossi dal fine comune di sperimentarsi, di esprimere la propria fantasia, di socializzare lavorando in gruppo, di migliorare la propria autostima e non ultimo di apprendere un’arte e anche un possibile mestiere. Andando aldilà di ogni auspicabile previsione il dato oggettivo è stata l’esecuzione, da parte dei detenuti, di una serie di lavori ispirati prevalentemente alle decorazioni romane e culminati nella realizzazione di un mosaico che poi è stato donato alla scuola "Cascino" a suggello di un proficuo contatto tra territorio e istituto penitenziario. "I percorsi formativi vogliono essere non solo momenti di incontro e di confronto tra i detenuti di nazionalità diverse e il mondo esterno - afferma la dott. Rampello - ma ciascuno dei percorsi ha obiettivi e finalità specifici che tendono comunque ad offrire opportunità di riscatto, di recupero e di inserimento sociale". Milano: in città 5mila homeless; 40enni, diplomati e informati
Redattore Sociale - Dire, 14 gennaio 2009
3.300 vivono nelle baraccopoli, aree dismesse e campi nomadi, 1.152 trascorrono la notte nei dormitori, 400 in strada. Il 50% è italiano. Il volto meno noto dei senza dimora nella ricerca di università e associazioni. Diplomato, quarantenne, trova solo lavori precari e legge i giornali: è l’identikit di un senza dimora su tre a Milano. Svela un volto poco conosciuto dei clochard il censimento condotto nel gennaio 2008 da Michela Braga e Lucia Corno, due ricercatrici dell’università Bocconi, insieme ad una decina di associazioni che si occupano di grave emarginazione. Questa mattina all’incontro "Expo senza barriere", organizzato dalla Provincia di Milano, sono stati resi noti nuovi dati. Sui circa 5mila senza dimora censiti, il 30% è diplomato mentre il 7% è laureato. L’età media è di 39 anni e il 30% dichiara di lavorare, anche se ha un’occupazione precaria o in nero. Anche se sono ai margini della società, si tengono informati: il 70% legge i giornali. "Occorre ribaltare i punti di vista - afferma Michela Braga -, vedere le persone senza fissa dimora non come costo, ma come risorsa per far crescere la città. Non sono persone inattive, ma hanno bisogno di una possibilità, in particolare di un lavoro che gli permetta di uscire dalla condizione di emarginazione". La maggior parte dei senza dimora, 3.300, vivono nelle baraccopoli, in aree dismesse e nei campi nomadi, altri 1.152 trascorrono la notte nei dormitori e nei centri di accoglienza e circa 400 in strada. Oltre il 50% dei senza fissa dimora è italiano (seguito da un 9% di algerini/marocchini, egiziani, romeni e sudamericani) e sono quasi tutti uomini mentre le donne rappresentano poco più del 5% del campione analizzato. Immigrazione: tassa sul permesso di soggiorno, vince la Lega di Liana Milella
La Repubblica, 14 gennaio 2009
Sulle norme ostili contro gli immigrati la Lega e Maroni vanno avanti. La tassa sui permessi di soggiorni non sarà né di 50 né di 200 euro (come aveva chiesto il gruppo del Carroccio al Senato), si chiamerà "contributo", ma comunque ci sarà. Cambia il provvedimento, il decreto legge anti-crisi lascia il posto al disegno di legge sulla sicurezza che riprende da oggi la sua faticosa marcia al Senato (si dovrebbe concludere il 3 febbraio dopo il sì al federalismo). Il Carroccio la spunta, anche se il Cavaliere, facendo shopping, dice ai giornalisti che "non ne sa nulla", che è "contrario", che ne ha parlato con Bossi e "lui è d’accordo". Da Maroni tutt’altra lettura: "Ci sarà un contributo deciso dal ministero dell’Interno e da quello dell’Economia" conferma il titolare del Viminale, alle 17 giusto in contemporanea con il premier, uscendo da un vertice al Senato con il collega della Giustizia Alfano, i rispettivi sottosegretari Mantovano e Caliendo, i presidenti della prima e seconda commissione Vizzini e Berselli. Il Pd di Anna Finocchiaro attacca una maggioranza che "continua a giocare un balletto sgradevole" e su "questioni importanti" si contraddice. Maroni però nega che "ci siano contrasti" e, a sera, parla al telefono con Berlusconi. Al Viminale il colloquio viene definito "cordiale", i due chiariscono che "tassa" e "contributo" sono due cose diverse. Il secondo, come spiega Maroni, sarà come quello che viene pagato in tutta Europa, "da un minimo di 10 euro fino alle 700 sterline della Gran Bretagna". La Lega sfuma parole e contenuti, ma non cede. Lascia a una futura nuova proposta (lo assicura il capogruppo alla camera Cota) il versamento di 10mila euro come fideiussione per ottenere una partita Iva, ma tiene il punto sul contributo per il soggiorno, che pure il presidente della Camera Fini, appena venerdì scorso, aveva contestato, seguito da Berlusconi. Per evitare uno scontro nel governo in aula e riequilibrare le richieste leghiste, al Senato serve un vertice tra Maroni e Alfano. C’è anche Bricolo, autore con i colleghi del gruppo leghista di palazzo Madama, delle richieste più dure. Si comincia a limare. La sospensione del decreto flussi per due anni si trasforma da emendamento a ordine del giorno al governo. Lo stesso avviene per l’obbligo di vietare il burka in qualsiasi contesto. Solo un Odg anche per questo. Via l’obbligo per i medici di denunciare alla polizia l’immigrato che va a farsi curare: i sanitari saranno liberi di regolarsi come vogliono. Dalla Farnesina, con un articolato parere che spiega i rischi di una diatriba diplomatica, arriva il no sui matrimoni misti da registrarsi solo ed esclusivamente se rispettano le regole italiane. Il governo, comunque, non vuole perdere l’occasione del ddl sicurezza per introdurre norme severe. Come le due, firmate dal sottosegretario Mantovano, presentate ieri. La prima riguarda la possibilità prima di sospendere l’attività e successivamente sciogliere, con tanto di sequestro dei beni, "organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi quando si procede per un delitto consumato o tentato con finalità di terrorismo". Per il ministero basta la segnalazione della magistratura, ma il Pd, con Felice Casson, è decisamente contrario: "Così si rischia solo di radicalizzare lo scontro. È un testo che mescola malamente norme sul terrorismo con la legge Mancino sulla P2. Si bypassano i magistrati, mentre al contrario tutto deve svolgersi nell’ambito dell’accertamento dei reati". Di sicuro sarà scontro in aula e il Pd si appresta a chiedere ben 48 voti segreti su 219 emendamenti presentati. Negativo anche il giudizio (Casson: "È solo un’angheria propagandistica") sulla proposta di obbligare gli studenti, che abbiano conseguito il dottorato o il master di secondo livello, "alla scadenza del permesso di soggiorno per motivi di studio", di chiederne la conversione in uno per motivi di lavoro. E se, come tanti giovani italiani neolaureati, sarà disoccupato? Peggio per lui. Immigrazione: Maroni conferma; chi entra in Italia pagherà di Francesca Angeli
Il Giornale, 14 gennaio 2009
"La tassa sul permesso di soggiorno resta". Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, conferma quanto già annunciato nei giorni scorsi da altri esponenti della Lega: gli extracomunitari dovranno pagare una tassa per ottenere il diritto a entrare e lavorare legalmente nel nostro Paese. Maroni assicura che sulla nuova formulazione dell’emendamento al ddl sulla sicurezza che prevede la tassa (già bocciato alla Camera e che ora verrà ripresentato al Senato) "c’è il pieno accordo della maggioranza". Eppure si sono chiaramente espressi contro questa ipotesi sia Silvio Berlusconi (che oltretutto sostiene di avere il sostegno del leader della Lega, Umberto Bossi), sia il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Maroni però spiega che sarebbe stato raggiunto una sorta di compromesso: nel nuovo emendamento non è precisata alcuna cifra e il contributo sarà stabilito successivamente con un decreto concertato fra Interno ed Economia. "Ma il principio viene affermato così come previsto", insiste Maroni. E in serata, nel corso di "un cordiale colloquio telefonico" c’è anche il chiarimento con il premier. Il titolare del Viminale spiega a Berlusconi che il contributo per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno sarà cosa diversa rispetto alla cosiddetta "tassa di soggiorno" già presentata dalla Lega. Si tratterà di un contributo, come quello già previsto nella maggior parte dei Paesi europei, per il rilascio dei permessi di importo variabile tra i 10 e i 400 euro. Una soluzione che permetterebbe al Carroccio di ottenere l’appoggio del resto della maggioranza. Altre precisazioni sul fronte immigrazione sono poi arrivate da Maroni al termine di un incontro sul ddl con Alfano. Non sarà più un emendamento ma resterà come ordine del giorno la richiesta di dare uno stop temporaneo ai flussi di ingresso. A sostegno della tesi per cui il fabbisogno di nuova immigrazione andrebbe calando, Maroni segnala che, a fronte dei 150mila ingressi previsti dal decreto flussi, sono state registrate "soltanto 127mila domande", dunque 13mila in meno rispetto alle previsioni". Maroni è convinto che si tratti dei primi segnali di quella crisi economica che si farà sentire in modo pesante lungo tutto il 2009. Nel ddl sicurezza resterà comunque "il reato di immigrazione clandestina punito con una multa e con la sanzione accessoria dell’espulsione decisa dal giudice di pace che si somma all’eventuale espulsione ordinata dal questore", spiega Maroni. Tra le novità anche l’intenzione del governo di costruire i nuovi Cie, i centri di identificazione ed espulsione, presso gli aeroporti in modo "da rendere più facili e immediati i rimpatri". Immigrazione: Cei; tassa di soggiorno, un balzello inaccettabile
Redattore Sociale - Dire, 14 gennaio 2009
Alla presentazione della giornata delle migrazione 2009 Gnesotto (Fondazione Migrante) accusa i politici: "Un passo da gambero rispetto a una politica di immigrazione che deve avere, invece, una mentalità aperta". "È inaccettabile una tassa, che è meglio definire balzello, nei confronti di una categoria già poco tutelata". Così padre Gianromano Gnesotto, direttore dell’ufficio per la pastorale dei profughi e degli stranieri in Italia della Fondazione Migrantes, commenta l’idea del governo Berlusconi di fissare un "contributo" per il rinnovo del permesso di soggiorno dei migranti. Gnesotto è intervenuto durante la conferenza stampa di presentazione della giornata mondiale delle migrazioni 2009, che ci celebra domenica 18 gennaio in tutte le chiese del mondo, parlando a nome della Cei, rappresentata dal moderato della conferenza stampa don Domenico Pompili, direttore dell’ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei. Gnesotto ha aggiunto: "Una fantasia di questo genere penalizza una categoria già poco tutelata che con impegno e notevoli sforzi cerca di integrarsi in Italia". "Questa - conclude - ci sembra una caduta e un passo indietro, un passo da gambero rispetto a una politica di immigrazione che deve avere, invece, una mentalità aperta e un’intelligenza per porre in atto politiche adeguate". Immigrazione: l’Ue chiede chiarimenti sul Centro di Cassibile
Redattore Sociale - Dire, 14 gennaio 2009
La Commissione europea, interrogata nelle scorse settimane dagli eurodeputati radicali Marco Pannella e Marco Cappato per avere "chiarimenti" sul Centro di Cassibile e suo rispetto delle norme internazionali nei confronti di richiedenti asilo, minori e i nuclei familiari, ha garantito, tramite il Commissario europeo per la Giustizia e gli Affari interni, Jacques Barrot, che la Commissione "ha già preso contatto con le autorità italiane per ottenere i necessari chiarimenti sulla situazione del centro di accoglienza in questione e per sapere anche di quali salvaguardie possano disporre nello specifico i richiedenti asilo". Ne dà notizia l’esponente radicale del Pd, Rita Bernardini, secondo la quale le condizioni igieniche del centro "sono a dir poco precarie, il numero di letti insufficiente, l’assistenza legale e la presenza di mediatori culturali pressoché inesistente, senza considerare che ai richiedenti asilo non vengono minimamente fornite le informazioni a cui gli stessi hanno diritto relativamente alle procedure da attivare per richiedere la protezione internazionale nonché alle modalità per ricevere le prestazioni sanitarie e di accoglienza loro dovute". La risposta della Ue, dunque, per l’esponente radicale "costituisce pertanto un primo, importante e significativo passo in avanti affinché anche a livello europeo venga fatta finalmente chiarezza sulle pesanti irregolarità riscontrate nella conduzione del Cara di Cassibile, in modo che gli organi competenti possano poi prendere, se del caso, gli opportuni provvedimenti". Peraltro, conclude Bernardini, "su tutta questa vicenda ho già sollecitato il ministro degli Interni ad avviare una indagine amministrativa per verificare la sicurezza della struttura nonché la presenza di eventuali inadempienze imputabili all’ente gestore del Centro di accoglienza in questione". Droghe: Giovanardi; recupero tossicodipendenti, è un dovere
Notiziario Aduc, 14 gennaio 2009
"Non c’è un diritto a drogarsi, ma esiste il dovere da parte delle istituzioni di porre in essere una pluralità di interventi finalizzati al recupero del tossicodipendente". Lo ha detto il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla droga, Carlo Giovanardi, che ieri ha presieduto a Palazzo Chigi la prima riunione annuale della nuova Consulta di esperti e di operatori sociali sulle tossicodipendenze, coordinata dal Capo del Dipartimento per le Politiche Antidroga, Giovanni Serpelloni. Giovanardi ha tenuto a precisare che il Dipartimento appena ricostituito "fungerà da raccordo fra Istituzioni centrali e regionali, strutture pubbliche e del privato sociale che si occupano di tossicodipendenza, comunità scientifiche e Università", per avere un "raffronto globale ed esaustivo" del problema droga e, creare così, contestualmente, una struttura istituzionale che possa operare autonomamente nel tempo. La Consulta di esperti, prevista dall’articolo 132 del dpr 9 ottobre 1990 n. 309, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche antidroga, ha il compito di esaminare le problematiche connesse alla prevenzione ed al recupero delle tossicodipendenze, formulando indirizzi di carattere tecnico operativo. Rappresenta inoltre un tavolo di confronto e concertazione tra le Istituzioni e gli Enti locali per la definizione delle strategie relative alle politiche antidroga. Serpelloni, da parte sua, ha sottolineato il carattere innovativo della Consulta, composta da 70 operatori sociali, esperti e rappresentanti delle neuroscienze che conferiscono a questo organismo una strategica capacità di collaborazione tra i diversi settori d’interesse. All’incontro sono intervenuti 79 partecipanti, di cui 60 esperti, 11 Amministratori centrali e 8 rappresentanti regionali. Brasile: status rifugiato politico a ex-terrorista Cesare Battisti
Ansa, 14 gennaio 2009
Il ministro della giustizia Tarso Genro ha concesso lo status di rifugiato politico a Cesare Battisti che, condannato per omicidio In Italia, non verrà estradato nel nostro paese . L’ex-terrorista, militante del gruppo di estrema sinistra Proletari Armati per il comunismo, rimarrà pertanto in Brasile, dove è detenuto. La decisione, come spiegato sul sito del Ministero, è stata presa poiché "è tradizione del Brasile considerare di concedere lo status di rifugiato politico ogni volta che riteniamo che esiste un fondato timore di persecuzione politica contro un cittadino". Immediate le reazioni dall’Italia: il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri ha dichiarato: "Sconcerta e addolora che le autorità brasiliane considerino il terrorista assassino Battisti un rifugiato politico da non estradare in Italia, sottraendolo cosi ad una giusta condanna dalla quale fugge da un tempo immemorabile". Anche Piero Fassino si è schierato contro la decisione del governo brasiliano e, ospite di Maurizio Belpietro a Panorama del giorno, su Canale 5, ha dichiarato: "è una decisione sbagliata perché il processo di Battisti in Italia è per reati di sangue molto gravi". Brasile: Sappe; su Battisti decisione gravissima, è pagina buia
Apcom, 14 gennaio 2009
"Riteniamo gravissima la decisione del ministro brasiliano della Giustizia Tarso Genro che ha concesso lo status di prigioniero politico a Cesare Battisti, leader dei proletari armati per il comunismo condannato in Italia all’ergastolo per quattro omicidi, per il quale l’Italia aveva chiesto l’estradizione". Così Donato Capece, presidente della Consulta sicurezza (l’organismo interforze che raggruppa i poliziotti del Sap, i penitenziari del Sappe ed i forestali del Sapaf) e segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, la più rappresentativa organizzazione della categoria con 12mila iscritti. "Se è vero che la decisione di Genro si basa "sul fondato timore di persecuzione per opinioni politiche" - continua Capece - il ministro brasiliano è proprio fuori strada: Battisti è stato riconosciuto colpevole e condannato all’ergastolo perché è un assassino, è l’esecutore materiale di diversi omicidi. Tra questi, vorrei ricordare quello del 6 giugno 1978 a Udine, nel Nord Italia, quanto ammazzò il povero maresciallo degli allora Agenti di custodia Antonio Santoro, comandante del carcere udinese di via Spalato, freddato all’età di 52 anni sotto casa, mentre andava al lavoro. Santoro lasciò una moglie e tre figli. Gli spararono alle spalle, gli assassini vigliacchi". "L’assassino Cesare Battisti è stato riconosciuto autore materiale di quel delitto e condannato all’ergastolo. Altro che timore di persecuzione per opinioni politiche! Dopo essere stati svillaneggiati dalla Francia nel caso Petrella - attacca il segretario Sappe - ora è il caso del Brasile, che concedendo a Battisti lo status di rifugiato politica identifica indirettamente l’Italia come una tirannia. Una offesa che il Paese non può accettare e che merita una forte presa di posizione del Governo". "Una vita spezzata, quella del povero maresciallo Santoro da chi non si è mai costituito, si è rifugiato molti anni all’estero e oggi, anziché essere estradato in Italia per scontare l’ergastolo al quale è stato condannato, per la decisione odierna del ministro brasiliano della Giustizia Tarso Genro addirittura rifugiato politico. Si è tentato di farlo passare prima (quanto era latitante in Francia) per uno scrittore raffinato e oggi, in Brasile, per un rifugiato politico. Ma Battisti - conclude Capece - altro non è che un assassino, come hanno riconosciuto diverse sentenze passate in giudicato: riteniamo quindi quella odierna sia una pagina buia per le istituzioni brasiliane". Filippine: detenuti evadono attraverso un tunnel lungo 10 metri
Ansa, 14 gennaio 2009
Una dozzina di detenuti sono evasi ieri da una prigione nel sud delle Filippine attraverso un tunnel lungo 10 metri e largo un metro, che era sfuggito ai controlli dei responsabili del carcere. Lo riferiscono oggi fonti di polizia. Gli evasi erano quasi tutti condannati a scontare pene per omicidio e possesso illecito di armi da fuoco, mentre alcuni risultano essere militanti islamici per il gruppo integralista Abu Sayyaf. "Era ormai troppo tardi quando le guardie carcerarie si sono accorte del varco usato per fuggire", ha detto Bensali Jabarani, capo della polizia nella regione di Mindanao, il quale ha riferito inoltre che un agente, accortosi della fuga di massa, è riuscito ad aprire il fuoco contro uno dei detenuti mentre questo si dava alla fuga. "Avranno pianificato la fuga per mesi", ha aggiunto Jabarani affermando che probabilmente gli evasi hanno ricevuto aiuto dall’esterno. È la quinta evasione registrata nelle Filippine dall’inizio dell’anno, in tutto 19 detenuti erano riusciti a fuggire nei precedenti episodi del 2009.
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