Rassegna stampa 5 febbraio

 

Giustizia: ddl sulla sicurezza approvato oggi, punto per punto

 

Ansa, 5 febbraio 2009

 

Lo straniero che entra in Italia o vi soggiorna clandestinamente commette reato, ma non rischia il carcere. Per avere o rinnovare il permesso di soggiorno si dovrà pagare una tassa. Le cosiddette "ronde padane" diventano legali. I medici potranno denunciare i clandestini che si sottoporranno alle loro cure. Sono queste alcune delle misure principali contenute nel ddl Sicurezza approvato dal Senato.

Tassa sul permesso di soggiorno. Per averlo o rinnovarlo si dovrà pagare una tassa che dovrà essere fissata dal governo tra un minimo di 80 ad un massimo di 200 euro. Si istituisce il "Fondo rimpatri" per far tornare stranieri a paesi di origine. Se lo straniero vuole il permesso di soggiorno dovrà sottoscrivere un Accordo di integrazione che impone crediti e obiettivi da raggiungere.

Registro dei clochard. Tutti i senza fissa dimora dovranno essere iscritti in un apposito registro istituito presso il ministero dell’Interno.

Sì alle ronde, ma non armate. Associazioni di cittadini potranno segnalare alle forze dell’ordine situazioni di grave disagio sociale o di pericolo per la sicurezza pubblica. In base ad un emendamento di Felice Casson (Pd) non potranno però girare armate e cooperare fattivamente con la polizia.

Denuncia degli irregolari dai parte dei medici. Soppressa la norma che vietava ai medici di segnalare la presenza di irregolari. Ora il medico potrà comportarsi secondo coscienza. Il Pd, con Daniele Bosone, avverte "che si creerà una sanità parallela" e che i clandestini non avranno "più controlli sanitari". Ma se la Lega la spunta su questo, trasformerà in ordine del giorno tre suoi emendamenti caldi: quello che faceva pagare l’assistenza sanitaria agli stranieri; il "no" all’uso di burka e chador in luoghi pubblici; lo stop ai flussi migratori.

Carcere fino a tre anni se si oltraggia pubblico ufficiale. Ritorna la norma depenalizzata aumentando la pena. Chi insulta ora un pubblico ufficiale rischia fino a tre anni di carcere.

No carcere per i writers. Il governo l’aveva chiesta, ma la Lega si è opposta e l’ha spuntata. Niente più carcere per chi imbratta i muri, solo multe per un massimo di 2.500 euro. Multa di 1.000 euro per chi vende a minori vernice non biodegradabile.

Inasprito il 41 bis. Detenzione più lunga di altri 4 anni. Si prevedono carceri "ad hoc" per i boss preferibilmente sulle isole. Più difficile per loro comunicare anche con l’esterno.

Niente arresti domiciliari per gli stupratori. Pugno di ferro contro gli stupratori che non godranno più di alcuni benefici, tra cui gli arresti domiciliari. Per loro arresto in flagranza. Mentre per gli assassini e gli stragisti, critica l’opposizione, no.

Sì a spray anti-stupro al peperoncino. Si liberalizza la vendita di spray urticanti non chimici.

Niente tasse su beni confiscati a mafia. In caso di confisca di beni e aziende non ci si dovranno più pagare le tasse sopra.

Giro di vite per baby-gang e pedofili. Si aggiunge un’aggravante: se lesione od omicidio preterintenzionale vengono commessi con armi o sostanze corrosive o in gruppo. Condanne più dure se reati anti-minori avvengono vicino asili e scuole.

Più difficili nozze con badanti. Lo straniero che sposa un cittadino italiano dovrà rimanere in Italia per almeno due anni prima di ottenere la cittadinanza.

Sì a norma anti-moschee e centri sociali. Se c’è il sospetto che associazioni, gruppi od organizzazioni non riconosciute (vi rientrano anche quelle religiose di matrice islamica) svolgano attività con finalità terroristiche, il Viminale può disporne lo scioglimento e ordinarne la confisca dei beni.

No ad apologia o incitamento a delinquere via internet. Il ministero dell’Interno potrà ordinare l’oscuramento dei siti Internet sui quali si commette il reato di apologia o si istiga a delinquere. O potrà chiedere che vi vengano apposti filtri adeguati. I siti "disobbedienti" dovranno pagare una sanzione dai 50mila a 250mila euro.

Giustizia: il Senato approva fra le polemiche ddl il su sicurezza

di Nicoletta Cottone

 

Il Sole 24 Ore, 5 febbraio 2009

 

Primo via libera fra le polemiche al ddl sicurezza. L’aula del Senato ha acceso semaforo verde al provvedimento con 154 sì e 114 no.

Il provvedimento, che ora passa a Montecitorio, è stato approvato da Pdl, Lega e Mpa tra le critiche dell’opposizione. Pd, Idv e Udc si sono schierati contro norme ritenute "ingiuste" e "discriminatorie". Ecco le novità.

Gli immigrati clandestini potranno essere denunciati se si recheranno al pronto soccorso. I clochard saranno schedati. Fissata anche una tassa per il permesso di soggiorno da 80 a 200 euro. sarà un decreto Economia a stabilire l’entità della tassa, che si pagherà per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno ma per asilo, per la richiesta di asilo, per la protezione sussidiaria e per motivi umanitari. Previsto il carcere fino a quattro anni per i clandestini che rimangono sul territorio nazionale nonostante l’espulsione.

Autorizzate inoltre le cosiddette ronde padane, ma non saranno armate: gli enti locali sono legittimati ad avvalersi della collaborazione delle associazioni tra cittadini al fine di segnalare agli organi di polizia locale eventi che possono arrecare danno alla sicurezza urbana o situazioni di disagio ambientale. A disarmare le ronde padane ha provveduto un emendamento del senatore del Pd ed ex pm Felice Casson: le ronde non potranno girare armate e non potranno affiancare le forze dell’ordine per il controllo del territorio.

Lo straniero che si trova illegalmente in Italia non rischia la reclusione, ma un’ammenda da 5 mila a 10 mila euro e l’espulsione. Su questo punto hanno pesato i rilievi dell’Unione europea e il rischio di una nuova emergenza carceri. In aula il Pd aveva provato ad abolire l’istituzione del reato di clandestinità, ma invano.

Vietata, poi, l’apologia o l’incitamento via Internet o telematica in genere dell’attività della criminalità organizzata, delle associazioni eversive, della violenza sessuale, dell’odio etnico, razziale e religioso. Fenomeni come quelli dei gruppi pro-Riina apparsi su Facebook, quindi, non saranno più ammessi. Non è più previsto il carcere per i writers, dimezzate le multe. È stato anche stabilito che chiunque venda bombolette spray a minorenni con vernici non biodegradabili venga punito con una sanzione amministrativa fino a 1.000 euro.

Dopo che il Governo ieri era stato battuto tre volte sulla stretta sui centri di permanenza e sui ricongiungimenti familiari, oggi il Senato ha chiuso rapidamente le votazioni degli ultimi dei 55 articoli del ddl sicurezza. A cominciare dall’emendamento della Lega che cancella la norma per cui il medico non deve denunciare lo straniero che si rivolge a strutture sanitarie pubbliche. L’emendamento del Carroccio all’articolo 39 del ddl sicurezza stabilisce che sia soppresso il comma 5 dell’articolo 35 del decreto legislativo 286/1988 che recita: "L’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano".

Il Pd aveva chiesto il voto segreto sull’emendamento, ma presidente del Senato, Renato Schifani, ha motivato il rifiuto a concedere il voto segreto spiegando che l’emendamento non inibisce "la possibilità di accedere al servizio sanitario nazionale". L’opposizione ha votato contro. Sconcerto hanno espresso i vertici di Medici senza frontiere, che nei giorni scorsi avevano lanciato un grido di allarme sull’emendamento del Carroccio. Il concreto rischio di segnalazione o denuncia contestuale alla prestazione sanitaria potrebbe provocare, secondo l’associazione, una pericolosa "marginalizzazione sanitaria" di una fetta della popolazione straniera presente sul territorio.

Giustizia: Pdl "cattivo" sulla sicurezza; passa anche la tortura!

 

L’Unita, 5 febbraio 2009

 

Prima per due volte manca il numero legale, poi quando a votare sono arrivati, una delle prime cose che hanno fatto è bocciare l’emendamento che avrebbe introdotto nel nostro codice penale il reato di tortura. Con 123 sì, 129 no e 15 astenuti, la proposta dei senatori radicali, che fanno parte del gruppo Pd, Marco Perduca e Donatella Poretti è stata respinta. Insomma, sicurezza sì, ma come pare a noi, sembra dire la maggioranza.

Il crimine di tortura, evidentemente, non rientra nelle prerogative del governo. Anche perché raramente a compierlo sono lavavetri, immigrati clandestini o prostitute. Peccato che introdurre questo reato nel codice penale sia un obbligo: ce lo impone l’Onu da 22 anni a questa parte. Per questo, l’associazione Antigone, per voce del suo presidente Patrizio Gonnella, annuncia che "denunceremo il governo italiano agli organismi internazionali".

Quella di mercoledì in Senato è una giornata da ricordare. La discussione sul decreto sicurezza sarebbe dovuta cominciare alle 9 e mezza. Ma al centrodestra, sempre pronto a sbandierare belle parole sulla sicurezza, non deve premere troppo passare dagli intenti ai fatti. Per ben due volte, infatti, è mancato il numero legale. Prima sulla lettura del processo verbale, poi addirittura al voto.

A chiedere la verifica dei presenti in Aula sono stati i senatori del Pd, insospettiti da tutti quegli scranni vuoti. Indignata la capogruppo Anna Finocchiaro: "Sulla questione della sicurezza hanno fatto una campagna mediatica straordinaria e poi non vengono neanche a votare. La domanda a questo punto è: ma di che cosa stiamo a parlare se per due volte manca il numero legale? Il tema della sicurezza - prosegue la Finocchiaro - è stato usato in tutti i modi, elettorale, strumentale, propagandistico. È stato predisposto dal governo e dalla maggioranza come se fosse la panacea di tutti i mali. Ci hanno messo dentro il più puro distillato di ideologia in particolare sulla questione dell’immigrazione".

Oltre a non votare, comunque, i senatori della maggioranza non sanno fare bene nemmeno i conti. Partito Democratico e Italia dei Valori in Aula hanno di nuovo denunciato la mancanza di copertura finanziaria al decreto. Secondo il senatore Idv, Luigi Li Gotti, infatti, i costi inizialmente previsti nel testo del ddl "lieviteranno a causa della riformulazione del reato di clandestinità", che ora riguarda anche tutti quelli che soggiornano illegalmente in Italia. Non ha dubbi nemmeno il senatore Pd Giovanni Legnini: "Ieri - ha spiegato Legnini - la commissione Bilancio aveva dato parere favorevole con il no di Pd e Idv ma il dato fornito dalla Ragioneria dello Stato è palesemente falso. Non ho timore a dirlo - ha aggiunto - perché i soggiornanti vengono indicati in 3.660 unità. Poiché il dato è chiaramente sottostimato si pone un problema serio".

Il giudizio del Pd sulle misure della maggioranza in materia di sicurezza è perentorio: "È un provvedimento che noi non condividiamo - spiega il vicepresidente dei senatori Pd Luigi Zanda - non stanzia le risorse necessarie e poi è molto ideologico come dimostrano le norme sull’immigrazione che non prevengono il fenomeno, ma aggravano soltanto le pene". Unico terreno su cui si è trovato l’accordo è l’antimafia: è passato infatti l’emendamento che inasprisce il carcere del 41bis. "All’interno di un ddl che riteniamo sbagliato e al quale daremo il nostro voto contrario - spiega Anna Finocchiaro - come Pd abbiamo contribuito a migliorare l’articolo 34 che inasprisce il carcere duro per i mafiosi".

Giustizia: Alfano; il 41-bis più duro, segna nuovo passo avanti

 

www.giustizia.it, 5 febbraio 2009

 

"Le nuove restrizioni del carcere duro del 41bis rappresentano un altro elemento nella strategia del Governo di contrasto a tutte le mafie." Lo afferma, in una nota, il ministro della Giustizia, Angelino Alfano.

"Con l’approvazione da parte dell’Aula del Senato, quasi all’unanimità, delle misure che inaspriscono il regime speciale di detenzione per i mafiosi, inserite del ddl sulla Sicurezza, il Parlamento ha, infatti, dato oggi una formidabile prova di compattezza in materia di lotta alla mafia. Dopo il varo delle norme che hanno agevolato il sequestro e la successiva confisca dei beni anche al mafioso deceduto - prosegue il guardasigilli - un altro importantissimo passo è stato compiuto nell’opera di disintegrazione dell’apparato mafioso, pericoloso e perverso paradigma di un vero e proprio anti-sistema."

"È motivo di grande soddisfazione constatare che la bontà e l’efficacia delle azioni di contrasto alla mafia, portate avanti da questo Governo, siano state condivise e avvertite anche dai banchi dell’opposizione. La quasi unanimità del voto d’Aula sull’inasprimento del 41bis - sottolinea Alfano - è l’emblema di una società che cambia e di una politica responsabile che diventa garante di questo cambiamento, nel nome della legalità di cui lo Stato si fregia nella lotta alla criminalità organizzata."

"Questo è il migliore omaggio alla memoria di quanti hanno portato alle estreme conseguenze l’impegno su questo fronte ed è anche uno straordinario successo poiché consegna uno strumento potenziato, sotto il profilo restrittivo e sanzionatorio, che reciderà drasticamente ogni contatto del condannato con l’esterno, relegandolo a una condizione di isolamento in cui sconterà la sua pena."

"La omogeneità di giudizio per i ricorsi, le ulteriori restrizioni nei colloqui con i familiari e con gli avvocati difensori, le maggiori limitazioni del tempo consentito da trascorrere all’aperto, evitando le formazioni di gruppi, e le aggravanti per chiunque aiuti il condannato al 41 bis a comunicare, in qualsiasi modo, con l’esterno, introducono - conclude il ministro - un sistema di controllo capillare, mirato a tutelare la società dal ripristino di pericolosi meccanismi criminali, rafforzando così la fiducia dei cittadini nello Stato."

Giustizia: niente "benefici" per i responsabili di violenze sessuali

 

Ansa, 5 febbraio 2009

 

L’aula del Senato ha approvato l’emendamento della Lega che prevede che agli stupratori non siano concessi gli arresti domiciliari, né i benefici di pena. L’emendamento stabilisce anche l’arresto in flagranza per chi compie violenza sessuale, violenza sui minori e violenza sessuale di gruppo. I violentatori saranno quindi tenuti in carcere e non potranno usufruire di altri benefici della legge Gozzini come l’affidamento in prova ai servizi sociali, il regime di semilibertà, i permessi premio e la liberazione anticipata. In pratica, come già è previsto per i reati di mafia, anche per chi stupra ci sarà l’obbligo della custodia cautelare in carcere.

La votazione si è svolta per alzata di mano. Il Pd (con alcuni dissensi interni) ha votato a favore pur sottolineando che il parlamento non può legiferare "sull’onda dell’emotività". L’Udc si è astenuta perché chiedeva che tra i reati per cui prevedere la custodia in carcere obbligatoria fosse inserito anche l’omicidio. Prima della votazione l’aula si è infatti intrattenuta in un lungo dibattito sul fatto che non viene prevista la stessa esclusione dagli arresti domiciliari per chi si macchia di reati altrettanto gravi come l’omicidio o la strage.

 

Bricolo: grazie alla Lega gli stupratori restano in carcere

 

"Da oggi si volta pagina: con la legge sulla sicurezza diciamo basta al buonismo e contrastiamo duramente l’immigrazione clandestina e la criminalità". È quanto dice il presidente della Lega al Senato, Federico Bricolo, a proposito del ddl sicurezza all’esame dell’aula di Palazzo Madama. "Gli immigrati irregolari che vivono di criminalità saranno finalmente espulsi - prosegue Bricolo - e grazie a un emendamento della Lega Nord gli stupratori non potranno più avere gli arresti domiciliari e dovranno scontare la loro penna in carcere fino all’ultimo giorno".

Giustizia: La Russa; la "Gozzini" va rivista, meno sconti di pena!

 

Asca, 5 febbraio 2009

 

Certezza della pena e in questo senso anche una revisione della legge Gozzini. "La Gozzini è la legge in base alla quale chi sconta una pena può ottenere delle riduzioni: la più assurda di queste riduzioni di pena è diventata (non lo era nelle intenzioni del legislatore) il fatto che con il solo passare del tempo, se tu non ammazzi il secondino, o non scappi, automaticamente ogni sei mesi ti vengono sottratti dei giorni da scontare" Ignazio La Russa, in un’intervista a "Radio anch’io" parla della riforma della giustizia.

"La certezza della pena, prima di tutto, ha bisogno di carceri" spiega il ministro della Difesa. "Inutile parlare di certezza della pena se poi quelli che condanniamo non possiamo tenerli in carcere perché le carceri scoppiano. E a questo stiamo cercando di porre fine con un provvedimento che dovrebbe consentire la costruzione di nuove carceri" conclude il reggente di An.

Giustizia: Finocchiaro; il ddl sicurezza? un manifesto ideologico

 

Asca, 5 febbraio 2009

 

Il ddl sicurezza? "È un manifesto ideologico che ha caratteri persecutori". Boccia senza appello il disegno di legge sulla sicurezza Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato nel corso delle dichiarazioni di voto. "Ora, al di là del fatto che ieri la maggioranza sia andata sotto tre volte su tre punti sensibili di questa disciplina - ha sottolineato la senatrice Finocchiaro - io trovo che si sia varcato il limite che sta tra la legge e la persecuzione. Una cosa è una normativa molto rigorosa, seria che valga a governare il complessissimo problema dell’immigrazione e un altro è un manifesto ideologico che ha caratteri persecutori".

La senatrice ha ricordato che non solo Galan, governatore del Veneto, ma anche tantissimi altri hanno denunciato la possibile "catastrofe sanitaria" che può essere causata dalla possibilità del medico di denunciare l’immigrato irregolare che si presenta per le cure.

"È ovvio - ha detto la senatrice Finocchiaro - che se un immigrato che ha la tubercolosi non va dal medico, perché è possibile che il medico lo denunci, rischiamo che si accendano diversi focolai di questa malattia nel nostro Paese. Una donna che deve partorire o che ha un bambino piccolo malato non andrà dal medico temendo di essere denunciata. Siamo all’inciviltà. Io mi chiedo cosa questo abbia a che fare con una regolazione seria dell’immigrazione".

Giustizia: la Cassa delle Ammende... una cassa che non spende

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

Italia Oggi, 5 febbraio 2009

 

I soldi per costruire nuove carceri dovrebbero essere in parte attinti dai circa 150 milioni depositati presso la Cassa delle ammende. Lo ha recentemente confermato il ministro della Giustizia Angelino Alfano rispondendo ad alcune osservazioni critiche del deputato Pdl Renato Farina. Su come usare quei soldi c’è sempre stata polemica. Un dato è inequivocabile: la Cassa delle Ammende non ha mai elargito i fondi come avrebbe dovuto.

È un vecchio istituto giuridico risalente agli anni 30 (legge 547/32). La Cassa è dotata di un ampio fondo costituito dalle ammende pagate dai condannati. Per legge deve essere utilizzato dall’amministrazione penitenziaria per l’assistenza ai detenuti. Ha sempre funzionato male, quasi l’amministrazione fosse poco propensa a spendere i soldi per le finalità previste dalla legge. Nella scorsa legislatura fu tentata una riforma ulteriore per snellirne il funzionamento e consentire a rappresentanti del mondo associativo di essere parte del cda della Cassa.

Non si fece in tempo a realizzare la riforma a causa dell’interruzione anticipata della legislatura. Tre milioni di euro furono però indirizzati nell’estate del 2006 al reinserimento sociale degli indultati, attraverso i provveditorati regionali dell’amministrazione penitenziaria. Il funzionamento della Cassa delle ammende è oggi disciplinato dal decreto attuativo dell’ordinamento penitenziario (dpr 230/2000, art. 121-130).

Il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, o un suo delegato, assume le funzioni di presidente della Cassa delle ammende e ne ha la rappresentanza legale. Si tratta quindi dello stesso Franco Ionta, nominato anche dal Governo commissario straordinario all’edilizia penitenziaria.

I fondi per legge devono essere erogati per finanziare prioritariamente progetti dell’amministrazione penitenziaria che utilizzano le disponibilità finanziarie dei fondi strutturali europei, nonché programmi che attuano interventi di assistenza economica in favore delle famiglie di detenuti e internati e programmi che tendono a favorire il reinserimento sociale di detenuti ed internati anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione.

Le prime polemiche relative all’inerzia del Consiglio di Amministrazione della Cassa delle Ammende risalgono al maggio del 2003. Una interrogazione parlamentare dell’allora senatore di Forza Italia Antonio Del Pennino chiedeva conto delle mancate attività finanziate. Il ministro della Giustizia Roberto Castelli ammise che nei tre anni precedenti il Cda non aveva finanziato alcun progetto.

Il 26 febbraio 2004 fu allora emanato dall’allora capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tinebra un nuovo Regolamento di funzionamento della Cassa delle Ammende. Pochissimi furono i progetti approvati tant’è che iniziarono a essere sollevati dubbi sul fatto stesso che questi soldi esistessero ancora.

Giustizia; morì in carcere; il Ministero è condannato a risarcire

di Luigi Ferrarella

 

Corriere della Sera, 5 febbraio 2009

 

"L’amministrazione penitenziaria, titolare del potere sul corpo del detenuto affidatole" dallo Stato "per ragioni di giustizia", deve però assumersi il corrispondente "obbligo giuridico di prendersi cura (quantomeno) del corpo della persona soggetta al potere stesso": e questi "obblighi di protezione " consistono nel "salvaguardare l’incolumità della persona detenuta" non soltanto "da violenze di terzi (altri detenuti, guardie carcerarie, inquirenti)", ma "anche da eventuali gesti auto soppressivi o auto lesivi".

Per questo il Tribunale civile di Milano ha condannato il Ministero della Giustizia a risarcire con 150.000 euro la madre e le due sorelle di un giovane che, arrestato per il furto di uno scooter il 26 maggio 2002, nel carcere di Pavia si era ucciso respirando il gas di una bomboletta acquistata il giorno dopo allo spaccio del carcere.

M.B., tossicodipendente, aveva 30 anni. Già al suo ingresso nella Casa Circondariale pavese di Torre del Gallo aveva cercato di strangolarsi con un laccio prima che lo fermassero un agente e un infermiere, aveva tentato di comprare allo spaccio del carcere varechina o candeggina rifiutategli da chi, vedendolo troppo agitato, temeva le ingerisse, ed era stato valutato dal medico come soggetto al quale prestare "alta sorveglianza " in quanto esposto a un rischio "medio" di suicidio.

La mattina dopo, il compagno di cella lo trovò esanime in bagno, ucciso dal gas che si era inalato da una delle bombolette di gas da cucina acquistabili presso lo spaccio del carcere.

"Nessuno del personale penitenziario - osserva la sentenza - si era preoccupato di verificare che il detenuto non si procurasse la disponibilità della bomboletta di gas, nonostante essa fosse un bene che, secondo le regole del carcere stesso, era sottoposto a un regime particolare di registrazione, di custodia e di utilizzo": una "omissione di vigilanza che costituisce grave colpa sotto i profili di imprudenza e negligenza ", perché per il giudice Andrea Borrelli "l’amministrazione penitenziaria ha l’obbligo di vigilare affinché il detenuto non compia (neanche) quei gesti autolesionistici" ai quali "non di rado la privazione della libertà personale può indurre soggetti magari segnati da limiti cognitivi o semplicemente culturali"; e questo "specie nei primi momenti della carcerazione, nel frangente in cui il proprio stato e sistema di vita possono apparire inemendabili al soggetto dell’auto riflessione".

Una volta ammesso il diritto al risarcimento, non era però ancora scontato che la madre e le sorelle dell’arrestato suicida in carcere fossero i soggetti legittimati a vederselo riconoscere. Così è, secondo il Tribunale, alla luce anche delle quattro sentenze sul danno non patrimoniale pronunciate dalle Sezioni Unite della Cassazione l’11 novembre scorso, perché "appare inviolabile il diritto alla conservazione del legame familiare, costituzionalmente riconosciuto" dall’articolo 29.

Giustizia: caso Ganci; dignità persona e "differenza" del diritto

di Stefano Anastasia (Associazione Antigone)

 

www.innocentievasioni.net, 5 febbraio 2009

 

Qualche settimana fa, per mezzo del Ministro della Giustizia, il Governo è intervenuto con un proprio decreto a impedire che una pronuncia della magistratura avesse il suo corso; peraltro senza che Marco Travaglio se ne adontasse, come fa abitualmente e legittimamente in casi del genere.

No, non si tratta del triste caso di Eluana Englaro (nel quale l’intervento censorio del Ministro Sacconi risale un po’ più indietro nel tempo), ma del terribilmente indigesto "caso Ganci", così indigesto che neanche il principale paladino della magistratura italiana ha avuto il coraggio di spendere qualche parola in difesa della decisione giudiziaria che lo ha sottratto (per qualche ora) al regime detentivo speciale del 41-bis, il famoso (benedetto o famigerato che sia) "carcere duro".

A onor del vero non conosciamo gli elementi nuovi che il Ministro Alfano ha potuto acquisire nelle ventiquattrore che sono passate tra la decisione del tribunale di Roma e il nuovo decreto di applicazione del carcere duro a Ganci. Nella presunzione della buona fede, immaginiamo che vi fossero, che fossero rilevanti, e fossero stati acquisiti proprio in quelle ventiquattrore. Al contrario, assai grave sarebbe stato il comportamento del Ministro se quegli elementi "tali da far ritenere la perdurante sussistenza di collegamenti" con l’organizzazione criminale di appartenenza fossero stati più vecchi e tenuti nel cassetto per una settimana, un mese, o fosse anche per un giorno solo, mentre il Tribunale di Roma veniva chiamato a decidere su una questione così delicata.

Dunque, presumendo la buona fede, possiamo dire che non c’è stata una invasione di campo del Governo nella giurisdizione, e dunque possiamo rassicurare Travaglio e potremmo chiudere qui la questione. Se non fosse che, ancora una volta, le reazioni alla decisione del Tribunale di sorveglianza di Roma sono andate un po’ sopra le righe, prefigurando il regime detentivo speciale previsto dall’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario come il regime detentivo ordinario dei condannati per fatti di criminalità organizzata, cosa inaccettabile anche se lo scrivono fior di professori sui più diffusi quotidiani nazionali.

Da qualche secolo in qua, per fortuna, abbiamo smesso di torturare e smembrare i corpi dei criminali e ci contentiamo (salvo chi mantenga l’inumana pratica della pena di morte) di imprigionarli per un periodo di tempo variabile a seconda della gravità del reato. Dunque, a reato più grave, corrisponde pena più lunga. E certamente Ganci e i suoi correi meritano la pena della durata più lunga, secondo un giusto criterio di proporzionalità.

Ma una pena più lunga non è una pena di specie diversa, non può limitare i diritti fondamentali del detenuto, quel residuo di libertà (come lo chiama la Corte costituzionale) che forma la insopprimibile dignità di una persona anche nel chiuso del carcere. Per questo il 41-bis è un regime speciale e provvisorio, sottoposto alla valutazione di un giudice terzo, responsabile della salvaguardia della dignità umana del peggiore criminale, e con essa, della legittimità del potere punitivo dello Stato e della differenza del diritto dalla vendetta.

Giustizia: "nessuno tocchi Caino", è un’affermazione di civiltà

di Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 5 febbraio 2009

 

Rita Bernardini, deputato Radicale eletta nel Pd, ha denunciato le presunte violenze subite, ad opera delle forze dell’ordine, dal gruppetto di rumeni arrestati per aver violentato una povera ragazza a Guidonia. Dopo questa denuncia numerosi cittadini, indignati, hanno inviato mail di insulti nei confronti dell’on. Bernardini.

"Ti auguro di essere violentata, così ti impari". È la reazione da parte della società civile. Una sorta di regressione culturale che però ha una causa. E la causa è l’inefficienza della Giustizia. L’incertezza della pena e il profondo senso di insicurezza avvertito dai cittadini. Cittadini insicuri, sfiduciati da una Giustizia che non riesce ad arrivare ad una condanna in tempi ragionevoli. Una regressione culturale che ha toccato anche alcuni esponenti politici, che hanno maldestramente inveito contro la concessione degli arresti domiciliari ad un giovane che ha confessato una violenza sessuale.

È la legge che impone gli arresti domiciliari, ed è sempre la legge che ha determinato l’on. Bernardini a reagire in merito alle presunte violenze subite da quei rumeni. Infatti da noi, a differenza di altri paesi, nessuna persona indagata o arrestata può subire violenza dalle forze dell’ordine. E questo principio vale a prescindere dal reato per cui si è indagati o arrestati. Non c’è una norma che consenta alla Polizia o ai Carabinieri di picchiare un arrestato in base al tipo di reato per cui è indagato. "Nessuno Tocchi Caino". Non è solo un’associazione Radicale. È un’affermazione di civiltà.

Giustizia: Radicali; interrogazione presunti pestaggi "Vallette"

 

Agenzia Radicale, 5 febbraio 2009

 

Intervento della senatrice Donatella Poretti, parlamentare Radicale - Partito Democratico.

Nel mese di dicembre, a seguito di una mia visita ispettiva accompagnata dall’On. Bruno Mellano, Presidente di Radicali Italiani, presso l’Opg di Montelupo Fiorentino, presentavo un interrogazione al ministro della Giustizia perché fossero verificate le notizie, già denunciate anche dal Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone, riguardo presunti pestaggi da parte della polizia penitenziaria ai danni degli ospiti internati nell’Opg.

Lo stesso giorno ho altresì pubblicato il testo dell’interrogazione sul mio sito www.donatellaporetti.it, dove nello spazio dedicato ai commenti relativi alla pubblicazione dei messaggi vi era, fra i tanti, una lettera firmata dalla signora Ilaria Bologna, che dice di essere una dottoressa e di aver lavorato per più di un anno come medico di guardia presso la casa circondariale torinese Le Vallette. Questa signora nella sua lettera scrive: "leggere dei pestaggi e capire che non sono un’eventualità remota ed eccezionale, ma una realtà tanto grave quanto comune non richiede una conoscenza approfondita". Nella lettera, si legge ancora, di "squadrette" di agenti picchiatori, abusi nei reparti psichiatrici, medici complici o conniventi di comportamenti violenti da parte della Polizia penitenziaria, o costretti a dimettersi se non "allineati".

Il direttore sanitario del carcere, Dott. Remo Urani, sostiene che le dichiarazioni rilasciate sul mio sito da parte della dottoressa Bologna siano false, e continua sostenendo che effettivamente una persona con lo stesso nome ha lavorato nella struttura per circa 10 mesi e poi si sarebbe messa in mutua licenziandosi (e lasciandogli i turni scoperti). Dalle sue dichiarazioni apprendo anche che dalla direzione sanitaria hanno trasmesso tutto il materiale sul caso alla procura di Torino per chiarire come stanno le cose.

Per queste ragioni, con il senatore Marco Perduca abbiamo depositato un interrogazione al Ministro della Giustizia, per sapere se non intenda aprire una indagine conoscitiva per fare piena luce sulla vicenda in oggetto, e se non intenda intervenire sulla situazione degli Opg, "ospedali" che di presidio sanitario non hanno invero granché, essendo gestiti dal Dap e dalla Polizia penitenziaria con gli stessi regolamenti delle carceri.

Interrogazione al Ministro della Giustizia dei Senatori Donatella Poretti e Marco Perduca, Radicali-Pd.

Premesso che: l’11 Dicembre 2008, a seguito di una visita ispettiva della sottoscritta e di Bruno Mellano (Presidente di Radicali Italiani) effettuata presso l’Opg di Montelupo Fiorentino, presentavo un interrogazione al ministro della Giustizia perché fossero verificate le notizie, già denunciate anche dal Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone, riguardo le notizie di avvenuti pestaggi da parte della polizia penitenziaria ai danni degli ospiti internati nell’Opg;

- il testo di tale interrogazione, pubblicato sul mio sito Internet www.donatellaporetti.it, veniva commentato con un messaggio da parte di una persona che si firma con il nome di Ilaria Bologna, e dichiara di essere stata medico di guardia in servizio per più di un anno presso il carcere Lorusso Cutugno di Torino; il testo di tale messaggio è di seguito riportato: "Onorevole Senatrice Donatella Poretti, mi chiamo Ilaria Bologna e per più di un anno ho lavorato come medico di guardia presso la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, meglio conosciuta come "Le Vallette".

Non conosco per esperienza diretta la realtà dell’Opg. Leggere dei pestaggi e capire che non sono un’eventualità remota ed eccezionale, ma una realtà tanto grave quanto comune non richiede del resto una conoscenza approfondita: un’esperienza che non sia di solamente un paio di visite di mezz’ora all’interno di un’istituzione totale consente di capire immediatamente di cosa si sta parlando.

Al signor Maurizio Parenti cui preme che "il buon nome della Polizia Penitenziaria non sia infangato" mi sento di sottolineare che all’interno delle strutture carcerarie, e gli Opg nei fatti lo sono, i pestaggi da parte degli agenti (addirittura organizzati in apposite "squadrette") sono all’ordine del giorno, sono l’ovvietà di fronte a cui si trovano tutti i detenuti e tutto il personale che all’interno della struttura lavora. Medici in prima linea, è il caso di dire. Occorre una specificazione per quanto riguarda il ruolo del medico in carcere: nella maggior parte delle Case Circondariali di dimensioni medio-grandi il medico, fisicamente presente 24 ore su 24 all’interno dei padiglioni o delle sezioni, volente o nolente a stretto contatto con gli agenti, ha primariamente un ruolo da "manutentore".

Deve garantire il benessere psico-fisico del detenuto non perché abbia la possibilità reale di approcciarsi a lui come a un suo paziente vero e proprio, ma perché l’istituzione per cui lavora esige ordine, e non esiste ordine se non attraverso "la salute" del detenuto. Automaticamente il medico assume anche poteri custodiali, e spesso non solo secondariamente. Il pestaggio raramente avviene nella totale ignoranza del medico: è piuttosto frequente che il detenuto picchiato venga poi portato in infermeria per "un controllo" e che siano palesi segni che rendono possibile, e francamente non solo al cosiddetto "occhio clinico", risalire all’accaduto.

A seconda di quanta complicità/connivenza esista tra il medico e gli agenti, e dunque di quanto questi ultimi ritengano di dover temere, gli agenti stessi sono più o meno espliciti nel riconoscere cosa è effettivamente successo: potranno sostenere che "sono stati costretti", che "il detenuto era agitato e aggressivo", o addirittura apertamente compiacersi di "aver dato una lezione". A volte viene finta una rissa tra detenuti (il detenuto facilmente non parla per paura di un ulteriore pestaggio). In alcuni casi il detenuto non viene nemmeno portato in infermeria, e questo avviene soprattutto se gli agenti temono che il medico in turno possa refertare in cartella clinica le prove indiscutibili di ciò che è successo.

Una questione a parte sono poi le violenze praticate nei cosiddetti Reparti di Osservazione Psichiatrica, sezioni speciali in cui soggiornano, su richiesta della magistratura o a seguito di segnalazione del personale carcerario, i detenuti che potenzialmente "affetti da patologia psichiatrica" sono candidati al percorso dell’ospedale psichiatrico giudiziario. In tali sezioni la contenzione a mezzo di manette, la sedazione non consensuale con iniezioni di psicofarmaci, la rimozione degli oggetti personali e di abiti, lenzuola e coperte "a scopo precauzionale" sono comuni ed "automatiche", e anche quando sono iniziative autonome degli agenti di Polizia Penitenziaria devono comunque essere confermate ed autorizzate in cartella clinica dal medico (quasi sempre uno psichiatra).

La domanda immediata dovrebbe essere: perché allora non esistono denunce di pestaggi da parte del personale sanitario in primis? La risposta è duplice. Per la mia esperienza i medici penitenziari si dividono grossolanamente in due categorie. Alcuni, sia per convinzione, comodità o quieto vivere, assumono totalmente il ruolo dei garanti dell’ordine e nella pratica sono spesso quasi indistinguibili dagli agenti, se non perché rispetto a loro hanno più potere. Certamente non saranno loro a denunciare i pestaggi. Altri, la minoranza, pur riconoscendo la realtà della sistematica violenza di Stato, arrivano comunque presto a considerarla la "tragica quotidianità" con cui devono avere a che fare, che disapprovano con lo scuotere la testa ma che "bisogna accettare, questo posto è così". I pochi che condannano e tentano di denunciare sono voci sole facilmente zittite, anche con la perdita del posto di lavoro: un medico "disallineato" crea diseconomia nel sistema.

Non lavoro più in carcere e la mia scelta, francamente in parte anche indotta, deriva dalla definitiva presa di coscienza di chi, dopo aver ingenuamente tentato di "fare bene il proprio lavoro perché meglio di niente", realizza irreversibilmente l’enormità dell’aberrante meccanismo cui deve sottostare, e come tale meccanismo gli impedirà sempre di ricoprire eticamente il proprio ruolo: perché gli impedisce di curare per prima cosa gli interessi del paziente che è sempre prima di tutto un detenuto; gli impedisce di tutelare la relazione medico-paziente e con essa la confidenzialità e la segretezza delle informazioni scambiate; gli impone, più o meno sottilmente, di assumere ruoli educativo-disciplinari che non devono competergli.

Leggendo dei pestaggi nell’Opg di Montelupo tristemente non posso stupirmi, come non posso credere che infermieri e medici, psichiatri e non, ne fossero e ne siano all’oscuro. Come non potrò stupirmi se durante la sua visita a Montelupo, accompagnata dal signor Maurizio Parenti, nulla dovesse sembrare particolarmente fuori posto, se non, forse, qualche crepa nel muro. La ringrazio dello spazio concessomi." Ilaria Bologna

- in data 3 febbraio 2009, è pubblicata sul quotidiano "la Stampa" cronaca di Torino un’intervista al Dott. Remo Urani, che afferma che lo scritto della Dott.ssa Bologna sia "del tutto privo di fondamento", e di averla denunciata per diffamazione.

Per sapere: se il Ministero è a conoscenza dei fatti riportati e se non intenda aprire una indagine al fine di verificare l’autenticità dello scritto in oggetto e la sussistenza delle denunce in esso riportate; se il ministero non intenda, più in generale, intervenire sulla situazione posta in essere dagli Ospedali psichiatrici giudiziari, istituti che pur rispondendo a funzioni di ordine prioritariamente sanitario, dipendono dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e sono vigilati da agenti di polizia penitenziaria, soggetti ai regolamenti degli istituti di pena.

Giustizia: incontro con Alfano; i sindacati penitenziari scontenti

 

Il Velino, 5 febbraio 2009

 

Nel pomeriggio di ieri si è svolto al ministero della Giustizia l’incontro tra il Guardasigilli Angelino Alfano, coadiuvato dal capo del Dap e Commissario straordinario per le carceri Franco Ionta, e le organizzazioni sindacali più rappresentative del Corpo di Polizia penitenziaria Sappe, Osapp, Uil, Sinappe, Cisl, Cgil, Uspp, Cnpp e Siappe.

"L’incontro - si legge in una nota dei sindacati - era stato chiesto nei giorni scorsi con una lettera unitaria dai segretari generali delle organizzazioni sindacali della Polizia penitenziaria dalla quale emergeva la necessità di un confronto sulle criticità in atto che investono il sistema penitenziario nella sua interezza, anche in considerazione dell’immobilismo decisionale in cui si trova attualmente ingessato il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Sappe, Osapp, Uil, Sinappe, Cisl, Cgil, Uspp, Cnpp e Siappe hanno chiesto al ministro Alfano di impegnarsi, nell’immediato, su tre questioni che si ritengono prioritarie: offrire al sistema penitenziario quelle soluzioni che concorrano a deflazionare gli istituti di pena, che favoriscano l’adeguamento e l’implementazione delle risorse umane, per garantire un sistema di relazioni sindacali corretto ed efficiente".

"Il ministro Alfano - spiegano i sindacati - ha innanzitutto evidenziato come per il presidente del Consiglio Berlusconi il tema delle carceri è una priorità di governo e ha condiviso la necessità di ripristinare un corretto sistema di relazioni sindacali nell’Amministrazione penitenziaria, fissando un nuovo incontro con i sindacati del Corpo il prossimo 3 marzo.

I sindacati hanno preso atto degli impegni, parziali, assunti dal Guardasigilli, nella consapevolezza che non si è usciti comunque dall’alveo della manifestazione di intenti e, pur valutando positivamente la calendarizzazione a breve di un nuovo incontro, auspicano che nel corso di questi 30 giorni il capo del Dap nonché commissario straordinario per le carceri Ionta sottoponga alle organizzazioni sindacali proposte concrete per la soluzione perlomeno dei problemi più impellenti, quali le carenze di organico della Polizia penitenziaria e la deflazione per il sovraffollamento".

"Le scriventi organizzazioni - è la conclusione della nota dei sindacati - non possono esimersi dal dichiarare insoddisfazione per le risposte e rilanciare ancora una volta l’allarme per un circuito penitenziario sempre più vicino al collasso del sistema, laddove l’aumento di mille detenuti al mese avvicina sempre più la soglia dei 63 mila ristretti (ritenuta la capienza massima di tolleranza delle carceri italiane)".

Giustizia: chi gioca d’azzardo on-line rischia di finire in carcere

di Sergio Rizzo

 

Corriere della Sera, 5 febbraio 2009

 

Ma nella proposta del governo ci sono sanzioni anche per i giocatori che frequentano le bische online non a norma. La roulette online proposta da un casinò online americano. I giocatori italiani potranno rivolgersi solo a quelli che si adegueranno alle norme che il governo sta per varare.

Anche se di questi tempi non si butta via niente, con i 28 milioni che il governo conta di incassare quest’anno non ci risaneranno il bilancio dello Stato. Ma il punto non è questo: l’ultima mossa delle Finanze sui giochi via internet potrebbe aprire scenari diversi da quelli strettamente erariali.

Il 21 gennaio il ministero dell’Economia ha depositato un emendamento chilometrico e piuttosto contorto alla legge comunitaria del 2008 in discussione al Senato. In quel testo, accanto ad alcune disposizioni fiscali di adeguamento alle norme europee, sono stati infilati anche una ventina di commi che con le questioni di Bruxelles c’entrano come i cavoli a merenda. Ma sono pieni zeppi di notizie sconvolgenti per i maniaci di scommesse e giochi on-line, come pure per chi li gestisce.

Un assaggio: i giocatori potranno accedere al sito, sempre che quello sia titolare di una regolare concessione, soltanto attraverso il portale dei Monopoli di Stato. Già questo potrebbe bastare. Per avere poi una delle 200 concessioni che le Finanze sono disposte a dare "in fase di prima applicazione" di questa specie di riforma, sarà necessario, per chi già non sia titolare di uno dei tradizionali permessi per le scommesse, i giochi a pronostico, il bingo, le lotterie e quant’altro, di una lunga serie di requisiti.

Intanto avere hardware e software in un Paese dell’Unione. Quindi operare attraverso una società di capitali con fatturato biennale non inferiore a 1,5 milioni oppure in grado di fornire una garanzia bancaria per il medesimo importo, essere in regola con i requisiti di professionalità e affidabilità, garantire la sicurezza del browser e pagare un "contributo" al Fisco che può arrivare a 350 mila euro.

Per i gestori dei siti che vogliono fare i furbi c’è il deterrente del carcere: da sei mesi a tre anni. Ma rischiano fino a tre mesi d’arresto, oppure un’ammenda fino a 2 mila euro, anche i giocatori. Costoro dovranno sottoscrivere con il gestore del sito un contratto per l’apertura di un "conto di gioco" sulla base di un modello predisposto dai Monopoli. Su quel conto transiteranno le puntate del giocatore, le vincite e le perdite. Trascorsi tre anni senza giocate, tutto quanto è rimasto sul conto verrà incamerato dall’Erario.

Il governo motiva il giro di vite (comma 12 dell’emendamento) con l’esigenza di "contrastare in Italia la diffusione del gioco irregolare e illegale, nonché di perseguire la tutela dei consumatori e dell’ordine pubblico, la tutela dei minori e la lotta al gioco minorile e alle infiltrazioni della criminalità organizzata". Nella relazione tecnica si spiega poi che questo sporco giro d’affari via internet è di due miliardi di euro l’anno. E che questa operazione favorirà nel 2009 l’"emersione del gioco illegale" per 700 milioni di euro, facendo incassare allo Stato 21 milioni (più sette per le nuove concessioni). A regime, inoltre, gli incassi dovrebbero salire a 30 milioni.

Stime che però il servizio bilancio del Senato mette palesemente in dubbio, sostenendo che "non è chiaro" come i calcoli siano stati fatti. Non entrano invece comprensibilmente nel merito, i tecnici di palazzo Madama, su dubbi di ben altro genere che inevitabilmente suscita la relazione tecnica del governo, quando afferma che alle stime di gettito dovuto all’emersione del gioco illecito "può aggiungersi anche una maggiore entrata derivante da una diversificazione in atto del portafoglio dei prodotti di giochi pubblici (giochi di carte, scommesse virtuali, scommesse a interazione diretta, etc.)".

Lettere: sesto raggio San Vittore; 20 ore al giorno senza acqua

 

www.radiocarcere.com, 5 febbraio 2009

 

Carissimo Riccardo, ti scrivo per descriverti gli abusi che dobbiamo subire qui nel vecchio carcere di San Vittore. Io e i miei compagni di detenzione siamo rinchiusi nel 6° raggio. Pensa che nel nostro raggio è da giugno che manca l’acqua.

La conseguenza è che rimaniamo senza per 20 ore al giorno. Infatti dai rubinetti delle nostre celle l’acqua esce solo dalle 2 di notte alle 6 di mattina. Credo che sia facile immaginare i problemi che questo ci comporta. Inoltre in una sola cella siamo rinchiusi in 9 detenuti. 9 detenuti chiusi in celle sporche e umide.

Come se non bastasse spesso rimaniamo senza cambio di lenzuola per mesi, con gravi conseguenze per la nostra igiene personale. Insomma nel 6° raggio di San Vittore è un vero inferno e la nostra dignità è calpestata ogni giorno. Considera anche che qui da noi ci sono persone malate gravemente. Persone che avrebbero bisogno di cure e di vivere in ambienti più sani.

Invece, non solo vivono con noi in cella, ma se la notte qualcuno di loro sta male, noi siamo costretti a sbattere sui blindati delle celle per farci sentire. Infatti le notte qui c’è solo un agente che si deve occupare di tre piani di cui è composto il 6° raggio.

Qualche mese fa è venuto qui il Ministro Alfano, ma devi sapere che lo hanno portato solo nelle sezioni ristrutturate del carcere di San Vittore. Da noi Alfano non ce l’hanno fatto venire. Noi speriamo solo che questo raggio venga chiuso, perché non riusciamo più a vivere in queste condizioni. Un saluto di stima, a te Riccardo, da noi tutti detenuti del 6° raggio del carcere di San Vittore.

 

Asterix dal carcere San Vittore di Milano

Lettere: Poggioreale; 13 detenuti per cella, in attesa di giudizio!

 

www.radiocarcere.com, 5 febbraio 2009

 

Caro Arena, sono un detenuto in attesa di giudizio. O meglio sono un detenuto che da circa un anno attende di essere giudicato. Stare in carcere prima della condanna è una cosa terribile. Credo che bisogna passarci per capire cosa significa.

Inoltre, vivo la mia attesa in un carcere come quello di Poggioreale che è gravemente sovraffollato. Ti dico solo che io, che presunto innocente, sono costretto a vivere in questa vecchia cella con altri 12 detenuti. Si hai capito bene! Siamo 12 detenuti dentro una cella vecchia e sporca e ci dobbiamo rimanere per 22 ore al giorno.

Il fatto è che la realtà della nostra cella è simile a tante altre del carcere di Poggioreale. Un carcere dove la legge, il rispetto per la dignità del detenuto, sono concetti sconosciuti. Qui vale solo la violenza e le umiliazioni subite. Entrati qui dentro non si è più uomini, ma animali! Tra l’altro, io potrei attendere di essere giudicato agli arresti domiciliari.

I fatti per cui sono accusato sono ben circoscritti e inoltre soffro infatti di una grave malattia al fegato e di certo stare qui non mi aiuta a guarire. Il mio avvocato ha fatto diverse istanze per farmi ottenere gli arresti domiciliari, ma purtroppo è stato inutile. A presto e grazie

 

Alessandro dal carcere Poggioreale di Napoli

Toscana: un bando da 179mila euro per il reinserimento sociale

 

In Toscana, 5 febbraio 2009

 

Continua l’impegno dell’amministrazione regionale per sostenere interventi di "recupero" delle persone detenute nelle carceri della Toscana e dei neo-scarcerati. Nuove risorse per progetti: la scadenza del bando fissata per marzo 2009.

Ammontano a 179.500 euro le risorse stanziate dall’Assessorato alle politiche sociali della Regione Toscana per sostenere, sul territorio, progetti mirati al reinserimento sociale di detenuti ed ex detenuti. Un percorso già avviato anche negli scorsi anni e che ha visto l’amministrazione regionale fortemente impegnata per favorire politiche di recupero delle persone detenute nelle carceri toscane.

Il nuovo bando, pubblicato nei giorni scorsi sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana è rivolto agli Enti locali e loro associazioni ed a organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e cooperative sociali iscritte ai rispettivi albi. I soggetti richiedenti potranno presentare progetti con una richiesta massima di contributo a progetto di 30.000 Euro e dovranno riguardare la realizzazione di nuove iniziative che, se rivolte ad ex detenuti adulti dovranno avere un impatto su almeno due province della Regione Toscana mentre, se rivolti a persone detenute dovranno essere indirizzate alla popolazione carceraria di almeno due Istituti Penitenziari per adulti o Uepe.

Gli interventi presentati dovranno contemplare azioni rivolte alla popolazione carceraria sia italiana che straniera volte a progetti di inclusione sociale e inserimento lavorativo, anche in attività carcerarie, di detenuti ed ex detenuti; progetti di formazione professionale di detenuti ed ex detenuti, per l’acquisizione di qualificazioni professionali con effettive ed evidenti possibilità di inserimento lavorativo, strutture ed azioni di sostegno che diffondano presso i detenuti ed ex detenuti la conoscenza dei loro diritti e li aiutino nel conoscere e mettere in atto azioni progettuali di inserimento sociale e lavorativo.

Le proposte di progetto dovranno essere recapitate esclusivamente, pena l’esclusione, entro 60 giorni dalla pubblicazione sul B.U.R.T (scadenza 30 marzo 2009) e, saranno ritenute valide anche quelle giunte presso gli uffici entro i 15 giorni successivi alla data di scadenza purché la data del timbro postale non sia posteriore alla data di scadenza del bando.

Le proposte dovranno essere inviate al seguente indirizzo:Al Settore "Cittadinanza Sociale" c/o Regione Toscana - Assessorato alle Politiche Sociali Via di Novoli 26 - Palazzo A - 50127 Firenze.

Cagliari: apre "La Collina 3", per i ragazzi con problemi psichici

 

Redattore Sociale - Dire, 5 febbraio 2009

 

Accoglierà otto ragazzi tra i 14 ed i 25 anni con misure giudiziarie per un anno di sperimentazione. È il terzo centro "La Collina", nato grazie agli sforzi di don Ettore Cannavera, dopo le comunità per minori e tossicodipendenti già operative

Accoglierà otto giovani con problemi mentali tra i 14 ed i 25 anni il nuovo centro "La Collina" inaugurato questa mattina a Serdiana, in località S’Otta, all’interno del complesso guidato ormai da anni da don Ettore Cannavera.

Dopo quella per tossicodipendenti ed emarginati, la terza comunità aperta dal sacerdote sardo, impegnato da sempre per accogliere i più deboli, potrà contare su una sperimentazione di dodici mesi grazie ad un contributo della Regione di 300 mila euro. "Solo le porte hanno la chiave, il resto è tutto aperto - sintetizza con una battuta don Ettore la filosofia del centro - è necessario dare fiducia ai ragazzi perché possano crescere e iniziare un percorso con i dieci operatori che lavoreranno nella nuova comunità".

Circondato da vigne e da una campagna bellissima, ma anche forte di un’esperienza maturata da decenni nell’affrontare l’emarginazione ed i problemi dei minori, l’esperimento sardo è visto favorevole anche dal presidente del Tribunale di Cagliari, Leonardo Bonsignore, dal Procuratore Capo della Repubblica, Mauro Mura e da quello dei minori Lucia La Corte. Prima nel suo genere, la struttura è la prima alternativa in Sardegna al ricovero in ospedali psichiatrici giudiziari, quelli che comunemente vengono chiamati manicomi criminali e dove sono rinchiusi i pazienti che si sono macchiati di crimini.

La terza comunità "La Collina" accoglierà anche adulti con disagio mentale e persone che vivono in particolari situazioni di conflitto familiare, evitando così i drammatici trasferimenti che subivano queste persone, costretti ad appoggiarsi a centri della penisola.

Fondamentale anche l’apporto della Asl per la nascita del nuovo complesso sperimentale: i giovani ospiti, infatti, potranno contare su programmi terapeutici individuali preparati da psichiatri e psicologi del Dipartimento di Salute mentale di Cagliari e della Neuropsichiatria infantile.

Sei posti letto, più due ospiti diurni, avranno a disposizione laboratori artistici, ricreativi e artistici, ma anche la possibilità di imparare un lavoro o di ricevere supporto psicologico nel caso delle giovanissime vittime di abusi. "Centri come questo sono fondamentali - ha chiarito Lucia La Corte presidente del Tribunale minorile di Cagliari - è un momento molto importante, anche perché sono convinta che in questo modo sarà veramente possibile recuperare minori e adulti".

Benedetto dall’Arcivescovo Giuseppe Mani, il complesso è costato un milione e 800 mila euro ed è stato costruito grazie all’impegno del Comune di Serdiana, dell’Unione dei Comuni e della Regione. Come nelle altre comunità "La Collina", anche nel nuovo centro, gli ospiti dovranno lavorare ed impegnarsi per partecipare alle spese e alla gestione: l’unico modo affinché ci si possa sentire parte di un progetto e non solamente ospiti temporanei.

Treviso: 49enne uxoricida tenta il suicidio… trasferito all’Opg

 

La Tribuna di Treviso, 5 febbraio 2009

 

Verrà trasferito all’ospedale psichiatrico giudiziario Daniele Battocchio, il commerciante quarantanovenne di Marocco di Mogliano che il 12 gennaio ha ammazzato, soffocandola, la moglie Cristina Prior tentando poi di impiccarsi. La scorsa settimana l’uomo ha cercato nuovamente di uccidersi in carcere, strangolandosi con i lacci delle scarpe.

A salvarlo è stato il pronto intervento di una guardia carceraria che, preoccupato per le condizioni psicologiche dell’uomo, ha deciso di ripetere il controllo nella cella. E ha trovato Battocchio in bagno, mentre stava stringendosi le stringhe al collo.

L’uomo è stato immediatamente soccorso e portato al Cà Foncello dove è stato sottoposto a un intervento chirugico che gli ha salvato la vita. Nel frattempo il carcere di Santa Bona ha chiesto alla Direzione generale penitenziaria il via libera per il trasferimento del detenuto in un ospedale psichiatrico giudiziario. Via libera autorizzato nelle scorse ore. Il luogo del trasferimento verrà deciso direttamente dalla Direzione penitenziaria.

Il ricovero servirà innanzi tutto a curare l’uomo; permetterà inoltre di valutare se le sue condizioni psichiche sono compatibili con il regime carcerario e se l’uxoricida può stare in giudizio. Una valutazione che la stessa difesa, rappresentata dagli avvocati Giuseppe Basso e Stefano Bof, aveva sollecitato: in particolare i legali avevano sostenuto l’importanza di curare l’uomo dall’amnesia di cui soffre e che impedisce una ricostruzione dettagliata dell’accaduto.

Il commerciante ha infatti detto di non ricordare alcunché dell’aggressione: in sede di interrogatorio di convalida, pochi giorni dopo il suo arresto, la sua memoria si fermava all’Epifania. Il sostituto procuratore Giovanni Valmassoi, titolare delle indagini, interrogherà l’uomo solo dopo l’arrivo della relazione dell’anatomopatologo, il professore padovano Massimo Montisci, che dovrà chiarire ogni aspetto del decesso della donna.

Siracusa: il nuovo Arcivescovo incontra i detenuti di Augusta

di Daniela Domenici

 

Italia Notizie, 5 febbraio 2009

 

Abbiamo avuto stamattina il piacere e l’onore della prima visita del nuovo arcivescovo della diocesi di Siracusa nella casa di reclusione di Augusta, visita fortemente voluta, come da lui stesso dichiarato, per conoscere anche questa realtà di vita ristretta dopo essere stato, la settimana scorsa, nel carcere di Cavadonna. Mons. Pappalardo è vescovo di questa diocesi dall’inizio di novembre 2008 dopo aver svolto il suo ministero in quella di Nicosia, in provincia di Enna, e ha già visitato più di metà delle parrocchie sotto la sua giurisdizione ma, prima di concludere questo giro di conoscenza, ha voluto incontrare i detenuti di queste due strutture penitenziarie per portare loro il suo affetto, il suo pensiero, le sue preghiere e farli sentire parte, nonostante le restrizioni fisiche imposte dalla detenzione, della comunità dei suoi diocesani non come cristiani di serie B ma come credenti uguali agli altri credenti fuori dalle mura del carcere.

Uno dei detenuti, Marco, ha voluto leggere un messaggio di accoglienza e ringraziamento al vescovo scritto di suo pugno e un altro gruppo di detenuti, diretti da una maestra di coro a cappella volontaria, hanno interpretato due brani. A conclusione dell’incontro il vescovo ha voluto passare personalmente da ogni detenuto presente nella sala-teatro del carcere per regalare a ciascuno di loro una parola di conforto e una cartolina con frasi tratte dalla Bibbia.

Uno dei detenuti, un ragazzo albanese, Bocaj, aveva dipinto, nei giorni scorsi, un murales, sulla parete che delimita il retro del palcoscenico, di benvenuto al nuovo vescovo, in cui campeggia un enorme globo terrestre con delle colombe bianche che volano intorno e uno striscione con su scritto "Benvenuto arcivescovo".

Teatro: il Tam Teatromusica di nuovo in scena al "Due Palazzi"

 

Il Mattino di Padova, 5 febbraio 2009

 

Gli attori Giuliana Musso e Andrea Brunello incontrano i detenuti del Due Palazzi. Si tratta di incontri nell’ambito del progetto "Tam Teatro/carcere". Il Progetto organizzato da Tam Teatromusica prevede oltre alla realizzazione del laboratorio teatrale con le persone detenute anche un ciclo di appuntamenti all’interno del Due Palazzi con personalità della cultura che operano in campo teatrale e su temi civili. La finalità degli incontri è di favorire un ambito di scambio tra la popolazione detenuta e la realtà esterna.

Gli artisti presenteranno brani dei propri spettacoli e a seguire dialogheranno con le persone detenute sui temi di impegno civile trattati nel proprio percorso teatrale. Il prossimo incontri è questa mattina alle 8.30 con Giuliana Musso che presenta "Sexmachine".

Accompagnata dalla chitarra di Igi Meggiorin, la Musso in "Sexmachine" porta in scena uno straordinario esempio di teatro civile e compone un mosaico di storie, voci e testimonianze, considerate a volte veri e propri tabù. Figlia di un Nordest evoluto e produttivo, l’attrice dà vita così ad una galleria di personaggi emblematici del nostro tempo e della nostra realtà, complessa e spesso contraddittoria. Venerdì alle 13.30 Andrea Brunello presenterà "Alexander Langer: Profeta tra gli stupidi".

Lo spettacolo è dedicato ad Alexander Langer che fu un vero profeta dei giorni nostri, l’anima del pacifismo europeo e del movimento dei Verdi, profondo filosofo e conoscitore del mondo. Fin dalla giovinezza s’impegna per un convivenza tra culture diverse.

Diritti: Milano in piazza... "basta con il crimine dell’indifferenza"

 

Comunicato stampa, 5 febbraio 2009

 

Venerdì 6 febbraio presidio e conferenza stampa a Milano in piazza della Scala. Mentre la crisi economica galoppa, con i suoi effetti di drastico impoverimento per molti, con il venir meno di sicurezza e diritti, come l’abitazione e il lavoro, per numeri sempre più elevati di cittadini, con oltre mezzo milione di lavoratori in cassa integrazione e con salari decurtati, i più deboli precipitano nella povertà estrema, nella fame, nella vita per strada.

Secondo la ricerca più recente, sono circa 5000 i senza dimora censiti a Milano, la gran parte dormono in aree dismesse e baraccopoli, solo poco più di mille trovano ospitalità nei dormitori e nei centri di accoglienza, mentre circa 400 vivono in strada. Una vita che, in condizioni ambientali difficili, diventa non-vita. Diventa morte.

L’ultima vittima a Milano si chiamava Florentina. L’hanno trovata mercoledì scorso, aveva solo 22 anni. Uccisa dal freddo e dagli stenti, hanno detto i giornali. Uccisa dall’indifferenza e dalla carenza di politiche sociali, dalla mancanza di una vera cultura dell’accoglienza, dicono invece i promotori dell’appello che è stato lanciato la scorsa settimana a Milano, ma che sta raccogliendo consensi anche a livello nazionale.

E uccisa anche dalla paura, dall’invisibilità cui sono costretti i più deboli. Florentina poco prima di morire si era sentita male, ma aveva rifiutato l’assistenza del 118. Era rumena, e come molti immigrati è costretta a nascondersi, dato che ora, con il nuovo decreto sicurezza, si vorrebbe persino obbligare i medici a denunciare gli immigrati alla polizia.

Vittime di pregiudizi e di campagne di criminalizzazione degli immigrati, prima che del gelo invernale. Vittime di un dibattito sulla sicurezza distorto, come quello in corso in parlamento, che semina paura e pregiudizio non garanzie per i cittadini. Gino aveva invece 86 anni. È morto in solitudine nel suo alloggio, lo hanno ritrovato solo dopo 15 giorni dal decesso. Sono solo le ultime morti accadute a Milano.

Tante altre simili sono accadute (otto i morti per freddo solo nella città di Milano nelle ultime settimane). Altre ancora succederanno. Non per destino, ma per carenza di sostegni e di alternative, per insufficienza delle risposte e anche perché, è scritto nell’appello, spesso "le strutture di accoglienza sono ad "alta soglia", soggette a regole e imposizioni spesso eccessive, mentre le strutture pubbliche debbono essere al servizio dei loro utenti, non viceversa". È questa la denuncia e la preoccupazione che si è tradotta nell’appello dal titolo "Basta con il crimine dell’indifferenza" (cui si può aderire scrivendo a noindifferenza@dirittiglobali.it)

Tra i primi firmatari vi sono: Dori Ghezzi, Dario Fo, Franca Rame, Moni Ovadia, Renato Sarti, Bebo Storti, Eugenio Finardi, Lella Costa, Cristiano De André, Paolo Cagna Ninchi, Dijana Pavlovic, Sergio Cusani, Sergio Segio.

Hanno aderito anche esponenti di associazioni nazionali, tra cui: Patrizio Gonnella (Presidente Nazionale Antigone), Ciro Pesacane (presidente nazionale Forum ambientalista), Maurizio Gubbiotti (Coordinatore Segreteria Nazionale Legambiente).

Rappresentanti di sindacati e associazioni milanesi, tra cui: Flavio Mongelli (presidente Arci Lombardia), Emanuele Patti (presidente Arci Milano), Sergio Silvotti (Segretario Forum del Terzo Settore - Lombardia), Gilberto Mangone (Segretario Cisl Milano), Fondazione De Andrè Onlus, Elena Valdini. Ma numerose sono le firme di tanti altri cittadini e cittadine, il cui elenco completo sarà reso pubblico venerdì.

Secondo i promotori dell’appello - da cui è nato anche il gruppo "No Indifferenza" su Facebook - "Occorre mobilitarsi per dire che queste morti erano evitabili, così come lo sono le prossime. Occorre mobilitarsi per costruire risposte vere, immediate e concrete ai bisogni dei più deboli".

Un primo momento di questa mobilitazione si terrà venerdì 6 febbraio 2009, dalle ore 12, in Piazza della Scala davanti al Comune di Milano, dove si svolgerà un momento di presidio e una conferenza stampa, nel corso della quale saranno rese pubbliche tutte le adesioni pervenute e saranno illustrate proposte concrete.

Immigrazione: su lotta a clandestinità, governo battuto tre volte

 

Corriere della Sera, 5 febbraio 2009

 

Il governo è stato battuto per tre volte nell’Aula del Senato sul ddl sicurezza. La maggioranza è andata sotto in tre votazioni per le quali era stato chiesto il voto segreto, tre subemendamenti all’articolo 39 sui quali l’esecutivo aveva espresso parere contrario. L’esame del testo, dopo il "colpaccio" riuscito al centrosinistra, si è interrotto. I lavori riprendono giovedì alle 9,30; il voto finale è invece atteso per le 13.

I tempi della detenzione - Per effetto del voto, torna in vigore la norma della Bossi-Fini: gli stranieri irregolari non potranno essere trattenuti nei Centri di identificazione per un periodo superiore ai 60 giorni. L’Aula ha infatti approvato l’emendamento dell’opposizione che abroga la norma della maggioranza che portava a 18 mesi il periodo massimo di permanenza. È stata poi approvata la linea della minoranza sulle norme per il ricongiungimento familiare, con l’abrogazione della parte che prevedeva che il questore dovesse rilasciare il titolo di soggiorno per i familiari di uno straniero regolare soltanto se questi stessi familiari fossero regolarmente soggiornanti in Italia "ininterrottamente da almeno cinque anni". Il terzo voto ha infine cancellato la possibilità di revocare il permesso di soggiorno anche se si commette un reato per quanto riguarda i diritti d’autore.

Resta la tassa di soggiorno - Le minoranze hanno mancato di poco il poker: non è infatti passato per un soffio un quarto emendamento con cui il Pd chiedeva di eliminare la previsione della cosiddetta "tassa di soggiorno", ovvero del pagamento di una quota per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno. Con 129 si, 129 no e tre astenuti è finita la votazione a scrutinio segreto. Il regolamento di Palazzo Madama prevede che, in caso di parità nelle votazioni, prevalga il voto contrario. La proposta , dunque, non è passata. Resta dunque confermato l’obbligo da parte degli immigrati del pagamento di un "contributo", come deciso dal governo, andrà da un minimo di 80 a un massimo di 200 euro (la Lega aveva inizialmente chiesto che fosse fisso di 200) e a stabilirne l’entità sarà un decreto dei ministeri dell’Economia e dell’Interno. Non sarà però richiesto alcun versamento "per richiesta asilo, per protezione sussidiaria, per motivi umanitari".

"Il Pdl boccia la Lega" - L’esito delle votazioni fa gioco ai capogruppo delle opposizioni: per Anna Finocchiaro, presidente dei senatori Pd, "è un segnale che si può leggere in due direzioni: una presa di distanza dalla Lega e la volontà che c’è in alcuni settori della maggioranza di non subire imposizioni dal Carroccio. Ovviamente siamo molto soddisfatti, perché gli emendamenti erano nostri". Stessa linea per Felice Belisario, capogruppo dell’Italia dei Valori: "la maggioranza non regge, perché le norme xenofobe volute dalla Lega non piacciono neppure agli alleati". Irritata invece la reazione del sottosegretario Roberto Castelli che parla di un ritorno dei "franchi tiratori di memoria Dc". "Ho visto in alcuni settori della destra - ha spiegato l’esponente leghista - che si sono accese 7 luci verdi, a conferma di almeno sette franchi tiratori. Noi eravamo 136 in Aula, le opposizioni 122. È una contabilità semplice da fare. Sono sette franchi tiratori". Al termine delle votazioni il capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri, ha immediatamente convocato i senatori della maggioranza per fare il punto su quanto accaduto.

Viminale - E poco dopo arrivava una nota di critica anche dal Viminale per il quale la bocciatura da parte del Senato della norma che estende a diciotto mesi la permanenza dei clandestini nei Cie è un "grave errore perché sconfessa la direttiva europea sui rimpatri approvata solo pochi mesi fa e indebolisce la strategia di contrasto all’immigrazione clandestina che il governo sta portando avanti. Il governo - sottolineava ancora il comunicato - ritiene la norma un punto particolarmente qualificante dell’intero pacchetto sicurezza e pertanto la riproporrà alla Camera non appena il ddl sarà licenziato dal Senato".

Immigrazione: l'eguaglianza violata, sulla sicurezza e i migranti

di Angelo Caputo e Rita Sanlorenzo

 

Il Manifesto, 5 febbraio 2009

 

L’analisi dell’ennesimo pacchetto sicurezza secondo Antigone, Giuristi democratici, Asgi e Magistratura democratica.

"Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell’immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani".

Le parole della Corte costituzionale descrivono con grande efficacia il carattere universale attribuito dalla Costituzione alle libertà fondamentali della persona. Ed è questa dimensione universalistica che deve costituire il metro per guardare alla condizione giuridica dei migranti: a quella restituita, ancora una volta, dalle drammatiche cronache da Lampedusa e a quella che si va delineando sul terreno delle politiche del diritto.

Con questo metro va analizzato il disegno di legge n. 733 all’esame del Parlamento, sul quale alcune associazioni di giuristi (Antigone, Giuristi democratici, Asgi e Magistratura democratica) hanno di recente diffuso un articolato documento critico.

In adesione all’impostazione segregazionistica della direttiva sui rimpatri, il provvedimento allunga fino a diciotto mesi la durata massima della detenzione amministrativa. L’abnorme dilatazione del trattenimento e la valenza sostanzialmente punitiva che verrebbe ad assumere sono destinati ad esasperare le torsioni, sul piano delle garanzie fondamentali, di una misura che incide sulla libertà personale del migrante in forme riservate dalla legge penale solo alle misure di custodia applicate in relazione ai più gravi delitti.

Il tutto, peraltro, in assenza di qualsiasi comprovata efficacia rispetto alla finalità dichiarata, ossia l’esecuzione delle espulsioni, come testimoniano le conclusioni della Commissione De Mistura istituita nella scorsa legislatura dal Ministro dell’interno. Quale funzione allora avrebbe una detenzione amministrativa di un anno e mezzo?

Il disegno di legge configura poi come reato l’ingresso e il soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello Stato. Così come l’aggravante dell’irregolarità che aumenta le pene per lo straniero senza permesso di soggiorno che violi il codice penale (introdotta da qualche mese e già oggetto di eccezioni di illegittimità costituzionale), il nuovo reato di ingresso e soggiorno illegale risponde alla logica del "diritto penale d’autore": viene sanzionato penalmente non un fatto lesivo di beni primari, ma una condizione individuale, la condizione di migrante.

Nell’ultima versione licenziata dalle commissioni parlamentari, la pena stabilita per il nuovo reato è solo pecuniaria, ma è anche prevista l’espulsione come sanzione sostitutiva applicabile dal giudice penale, un’espulsione questa che verrebbe a sovrapporsi perfettamente all’espulsione come sanzione amministrativa. Di qui nuovamente l’interrogativo sulla funzione del nuovo reato: a cosa serve raddoppiare in sede penale una misura che già l’autorità amministrativa è tenuta a disporre?

In realtà, proprio l’impossibilità di individuare in queste innovazioni una funzione coerente con lo scopo proclamato (l’effettività delle espulsioni) ne rivela una razionalità orientata alla disuguaglianza e alla formalizzazione di una condizione giuridica fondata sull’esclusione. Qualche anno fa, nella sua Cronaca da un campo rom, Marco Revelli ha denunciato la perversione dell’idea di democrazia, da strumento a ostacolo del principio di eguaglianza; più di recente, Gustavo Zagrebelsky ha ricordato che senza uguaglianza, la libertà vale come garanzia di prepotenza dei forti, cioè come oppressione dei deboli.

La condizione dei migranti rappresenta, non da oggi, un laboratorio che esprime tendenze di fondo delle politiche del diritto: è con questa consapevolezza che dobbiamo guardare alle normative che si vanno delineando, ricordando che, come diceva Luigi Di Liegro, nulla come la normativa sugli stranieri ci dice in maniera profonda che cosa siamo. Che cosa siamo e, possiamo aggiungere, che cosa stiamo diventando.

Immigrazione: Msf; sconcertati da possibilità denuncia per medici

 

Redattore Sociale - Dire, 5 febbraio 2009

 

L’organizzazione si dice sconcertata per la scelta del Senato "di ignorare il grido di allarme lanciato da medici, infermieri e ostetriche" e annuncia che continuerà la battaglia "affinché il provvedimento venga bocciato dalla Camera".

Medici Senza Frontiere (Msf), esprime "profonda preoccupazione e allarme per le conseguenze dell’approvazione dell’emendamento 39.306 presentato in sede di esame del Ddl 733 che ha avuto luogo oggi nell’Assemblea del Senato".

"Il suddetto comma 5 - ricorda Msf - prevedeva che l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano. L’ambiguità conseguente a tale abrogazione e, di conseguenza, il concreto rischio di segnalazione e/o denuncia contestuale alla prestazione sanitaria creerà nell’immigrato privo di permesso di soggiorno e bisognoso di cure mediche, una reazione di paura e diffidenza in grado di ostacolarne l’accesso alle strutture sanitarie. Tutto ciò potrebbe provocare una pericolosa marginalizzazione sanitaria di una fetta della popolazione straniera presente sul territorio".

"Siamo sconcertati per la scelta del Senato di avere consapevolmente ignorato il grido di allarme lanciato dagli ordini professionali di medici, infermieri e ostetriche e da centinaia di associazioni e rappresentanti della società civile - dichiara Kostas Moschochoritis, direttore generale di Msf Italia -. Una scelta che sancisce la caduta del principio del segreto professionale per il personale sanitario volto a tutelare il paziente come essere umano indipendentemente da ogni altra considerazione".

Msf, promotrice insieme a Simm, Asgi e Oisg della campagna "Siamo medici e infermieri - Non siamo spie", si appella ora alla Camera dei Deputati perché riveda la posizione assunta dal Senato sul comma 5. Da ricordare che Msf lavora in Italia dal 2003 per fornire accesso alle cure e assistenza medica agli immigrati. In collaborazione con le Asl locali ha gestito 35 ambulatori per stranieri irregolari e ha curato 18 mila pazienti.

Immigrazione: quando Bondi difendeva le cure ai clandestini

di Gian Antonio Stella

 

Corriere della Sera, 5 febbraio 2009

 

Il ministro nel 2005 presentò una proposta di legge "in tutela socio-assistenziale degli extracomunitari".

Che fine ha fatto Sandro Bondi? Oddio, per esserci c’è. Negli ultimi giorni ha detto la sua sul teatro Petruzzelli di Bari, sul commissariamento dei Fori, sull’esodo dal Pdl di Paolo Guzzanti, sui 150 anni dal Risorgimento, sul "troppo catastrofismo" in tivù, sui poeti "avamposti della civiltà" e sull’obbligo di fare più gite scolastiche in Italia e meno all’estero.

Su un solo punto ha taciuto: sulla volontà delle destre di varare l’obbligo di denuncia per i clandestini costretti ad andare in ospedale.

Peccato. Perché proprio lui aveva presentato una legge che chiedeva l’esatto contrario. L’emendamento attuale, inserito dal senatore varesino Fabio Rizzi dentro il pacchetto Sicurezza, è semplice: vuole sopprimere il comma 5 dell’articolo 35 del Testo Unico sull’immigrazione. Il comma in questione sancisce infatti il principio che "l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano". Tolto quello, la denuncia del malato clandestino sarebbe automatica e obbligatoria.

La posizione della Lega, che per bocca di Roberto Maroni ha appena ribadito che "per contrastare l’immigrazione clandestina e tutto il male che porta non bisogna essere buonisti ma cattivi", è netta. Al punto che, durante un dibattito con Livia Turco, il deputato Matteo Salvini si è spinto a dire che bisogna smetterla con "certe signorine che a spese nostre hanno fatto otto aborti". Non meno netta la posizione di chi, oltre all’opposizione parlamentare, si mette di traverso alla proposta leghista, come Medici senza Frontiere, la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri, la Comunità di Sant’ Egidio, il Cuamm - Medici Con l’Africa, Emergency, Amnesty International, le Acli, e un mucchio di altri soggetti pubblici e privati, laici e cattolici, uniti dallo slogan "Siamo medici e infermieri, non siamo spie".

Secondo i firmatari dell’appello, fra i quali abbondano appunto i medici, i rischi dell’iniziativa del Carroccio (anche al di là delle posizioni umanitarie) sono diversi perché il provvedimento "spingerà verso l’invisibilità una fetta di popolazione straniera, che in tal modo sfuggirà ad ogni tutela sanitaria, incentiverà la nascita e la diffusione di percorsi sanitari ed organizzazioni sanitarie "parallele", al di fuori dei sistemi di controllo e di verifica della sanità pubblica (gravidanze non tutelate, rischio di aborti clandestini, minori non assistiti), creerà condizioni di salute particolarmente gravi poiché gli stranieri non accederanno ai servizi se non in situazioni di urgenza indifferibile; avrà ripercussione sulla salute collettiva con il rischio di diffusione di eventuali focolai di malattie trasmissibili, a causa dei ritardi negli interventi e della probabile irreperibilità dei destinatari di interventi di prevenzione". Tutte perplessità, condivise anche da una pattuglia di parlamentari della stessa maggioranza.

Ma resta la domanda iniziale: e Bondi? Cosa pensa della proposta leghista? La curiosità non è eccentrica. Prima di diventare comunista e poi berlusconiano, infatti, il ministro dei Beni Culturali è stato figlio di emigranti: "I miei erano persone umili. Ancora oggi mi emoziono quando penso a mio padre socialista che lotta contro le ingiustizie e le disuguaglianze sociali. Emigrò giovanissimo in Francia a fare il boscaiolo, poi andò in Svizzera a fare il muratore. Avrebbe voluto andare in Australia ma gli fu negato il visto perché era socialista".

Cresciuto a Losanna, dove fece le prime scuole, Bondi ha avuto modo di conoscere da dentro il dramma, il dolore, la disperazione dei nostri emigrati in quella Svizzera in cui migliaia e migliaia di italiani stagionali erano costretti a portare i figlioletti a Berna o a Zurigo clandestinamente.

E così, il 9 marzo 2005, presentò alla Camera una proposta di legge (numero 5706) intitolata "Disposizioni in materia di tutela socio-assistenziale dei cittadini extracomunitari". Proposta che, in plateale e nobile contrasto coi toni spesso xenofobi di certi leghisti, di un po’ di nazional-alleati e addirittura di qualche forzista, illustrò con parole accorate: "I recenti fatti di cronaca pongono drammaticamente all’attenzione dell’opinione pubblica le tragiche condizioni di vita di numerosi cittadini extracomunitari in Italia.

La tragedia è sempre dietro l’angolo per quegli individui che durante la stagione invernale, con problemi di salute, si trovano nella condizione di non avere un luogo dove dormire. La particolare rigidità del clima invernale in alcune città costringe questi poveri esseri, spesso privi di vestiario adeguato, mal nutriti o con problemi di dipendenza da alcol o da sostanze psicotrope, a cercare ricoveri di fortuna spesso insufficienti dal difenderli dalle rigidità della stagione...".

L’unica possibilità di sopravvivenza, diceva Bondi, è a volte il ricovero ospedaliero. Ma ecco il punto: se questo extracomunitario è clandestino, c’è l’obbligo di denuncia. Dunque occorre "modificare o comunque interpretare in modo estensivo" le norme così da riconoscere il segreto professionale dei medici anche agli operatori socio-assistenziali.

E non solo perché, proprio come dicono i firmatari dell’appello di oggi, la tutela del clandestino è anche un interesse di tutti perché consente "le vaccinazioni, gli interventi di profilassi internazionale, la profilassi, la diagnosi e la cura delle malattie infettive ed eventualmente la bonifica dei relativi focolai". Ma perché la Costituzione stessa all’articolo 3 dice che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge". Tutti.

Immigrazione: Galan; medici contro i clandestini, la catastrofe

di Vladimiro Polchi

 

La Repubblica, 5 febbraio 2009

 

"Attenzione: rischiamo di creare delle malattie clandestine, perdere il controllo sanitario del nostro territorio e mettere in pericolo la salute di tutti, anche degli italiani". Il presidente del Veneto, Giancarlo Galan (Forza Italia), parla spesso fuori dal coro. Anche stavolta. "Il mio è un ragionamento di buon senso", premette. Poi sull’eventualità che i medici denuncino gli immigrati irregolari, si chiede: "Ci conviene mantenere sconosciute le nuove fonti d’infezione, o esserne al corrente?".

 

Presidente, la norma sotto accusa elimina il principio di non segnalazione degli immigrati irregolari che si rivolgono a una struttura sanitaria. Cosa non la convince?

"Premetto che non voglio farne una questione ideologica, ma semplicemente di buon senso, di saggezza. Noi in Veneto abbiamo tra i 400 e i 500mila immigrati regolari: siamo la seconda regione in Italia per presenza di stranieri. Ebbene, a tutti offriamo regolare assistenza medica e questo aggrava certamente il lavoro del nostro sistema sanitario. Comunque tutto funziona".

 

E con gli immigrati irregolari?

"Oggi, il clandestino che si sente male, si presenta in una struttura adeguata, viene accolto, curato egli viene compilato un cartellino anonimo, per non fargli correre alcun rischio".

 

Quali sono i vantaggi?

"In tal modo vengono conosciute e diagnosticate molte malattie, anche sconosciute in Italia e in Occidente. Così teniamo sotto controllo la sanità della Regione e del Paese. E non facciamo altro che applicare le norme della legge Turco-Napolitano, così come modificata dalla Bossi-Fini".

 

Eppure oggi la maggioranza vuole cambiare proprio questa norma, per contrastare l’immigrazione irregolare.

"Non capisco davvero perché lo faccia. Lo dico con pacatezza: si sta sbagliando. Facciamo un esempio: in Italia abbiamo una forte legislazione a tutela del nostro patrimonio artistico, piena di vincoli e divieti. Eppure da noi il furto d arte è diventato un affare colossale, riempiendo le gallerie d’arte di mezzo mondo con le opere rubate in Italia. Voglio dire che quando ci sono troppi vincoli, ci si industria a scavalcarli. In campo sanitario, questo sarebbe un grave guaio per tutti".

 

Vuol dire che a rimetterci non saranno solo gli immigrati irregolari?

"Il clandestino che sa di rischiare l’espulsione andando in ospedale, deciderà di non curarsi. Mi chiedo: cosa ci guadagniamo a mantenere clandestina e dunque sconosciuta una possibile fonte d’infezione? Solo potendo curare tutti, tuteliamo anche la salute dei veneti e degli italiani. Lo ripeto: è solo una questione di buon senso".

Immigrazione: un medico non può fare il poliziotto di frontiera

 

Il Foglio, 5 febbraio 2009

 

Tra le norme contenute nel pacchetto sicurezza che il Parlamento sta esaminando c’è n’è una assai discussa e discutibile. Si tratta dell’abolizione del divieto, attualmente vigente, per i medici di segnalare alle autorità di pubblica sicurezza i clandestini che si rivolgono alle loro cure. La ragione che aveva consigliato di introdurre il divieto era quella di evitare che immigrati irregolari, per paura di essere denunciati ed espulsi, rinunciassero a farsi curare, il che avrebbe potuto creare emergenze sanitarie o portare alla nascita di circuiti sanitari clandestini (dei quali qualche esempio si è già visto nella comunità cinese).

Queste esigenze restano tuttora valide, oltre ovviamente al principio umanitario in base al quale tutti i malati hanno diritto a essere curati e alla deontologia della professione medica che impone di non discriminare in alcun modo chi ha bisogno di terapie,

D’altra parte, anche il divieto assoluto presenta qualche controindicazione. Se un clandestino risulta portatore di una malattia infettiva, magari di quelle ancora endemiche in aree sottosviluppate, la mancata informazione può determinare rischi sanitari.

Ci sono poi i casi che, se riguardano cittadini italiani, obbligano il medico, alla denuncia, a cominciare dai segni di sevizie su donne e minori, compresa l’infibulazione contro la quale è in corso una campagna ministeriale. Abolire il divieto non implica imporre un obbligo che trasformerebbe i sanitari in una specie di appendice delle forze dell’ordine.

Lasciare alla sensibilità del medico il diritto di scegliere, come dispone l’articolo di legge in discussione, può essere una soluzione accettabile purché sia chiaro che la denuncia del clandestino è un atto eccezionale che si giustifica soltanto con fondate ragioni sanitarie, di tutela della salute personale del malato o di altri che potrebbero essere danneggiati.

Che tutti i malati si curino è anche un interesse della salute pubblica, che correrebbe seri pericoli se si diffondesse la paura di ricorrere al servizio sanitario. Chi dice che questo ha un costo, il che è senz’altro vero, dovrebbe riflettere su quanto peggio sarebbe se la paura di denunce da parte dei medici portasse alla diffusione di malattie in comunità di immigrati che poi bisognerebbe fronteggiare con maggiori risorse.

Affidarsi al buon senso dei medici è ragionevole, ma per non caricarli di responsabilità eccessive sarebbe necessario indicare con precisione le ragioni sanitarie, e soltanto sanitarie, per le quali è consentita la denuncia dei clandestini.

Droghe: Pdl; inasprire pene per violenze sotto effetto "sostanze"

 

Notiziario Aduc, 5 febbraio 2009

 

Certezza ed inasprimento delle pene, custodia cautelare obbligatoria in carcere ed esclusione di attenuanti per chi è accusato di aver compiuto una violenza sessuale sotto effetto di droga o alcol. Sono i contenuti della petizione popolare presentata ieri mattina dalla Federazione romana di An, che sarà sottoposta all’attenzione dei presidenti di Camera e Senato, al ministro della Giustizia e alla magistratura. L’iniziativa sarà lanciata da domani nelle piazze italiane, in cui saranno presenti anche dei gazebo rosa.

Il primo aprirà lunedì a Guidonia, mentre nei giorni successivi ne saranno allestiti altri a Ostia e nei municipi II e XVI. "Abbiamo ritenuto opportuno presentare questa petizione popolare - ha spiegato il deputato Pdl e reggente della Federazione romana di An, Vincenzo Piso - affinché si faccia interprete del comune sentire della popolazione rispetto alla violenza sulle donne e per contrastare la logica secondo cui chi commette questo reato sotto effetto di droga o alcol può avere attenuanti. Questa logica deve essere invertita".

La deputata del Pdl, Barbara Saltamartini, si è inoltre fatta promotrice di una proposta di legge per modificare l’articolo 275 del codice penale che riguarda le misure cautelari verso chi è indiziato di violenza sessuale. Erano presento i deputati del Pdl Beatrice Lorenzin e Gianni Sammarco, quest’ultimo anche coordinatore romano di Forza Italia.

Stati Uniti: ci sono otto ergastolani per reati compiuti a 13 anni

di Davide Casati

 

L’Unita, 5 febbraio 2009

 

La prima volta che Joe Sullivan ha varcato i cancelli della prigione era il 1989. Da allora non ha mai messo un piede fuori dal carcere. E, per la giustizia della Florida, mai ce lo metterà. Perché Sullivan è stato condannato all’ergastolo, senza possibilità di libertà condizionale. Anche se le prove contro di lui erano tutt’altro che schiaccianti. E anche se, al momento della condanna, aveva solo 13 anni.

Ci sono solo 8 persone al mondo condannate all’ergastolo per un reato compiuto a 13 anni: e sono tutte negli Stati Uniti. E ci sono solo 2 persone al mondo condannate all’ergastolo per un reato compiuto a 13 anni e che non sia un omicidio. Sono entrambi in Florida, e sono entrambi neri. Coincidenza? Forse.

Ma negli Stati Uniti, secondo l’istituto di ricerca Pew del 2008, la percentuale di neri che finisce in carcere è sei volte più alta di quella dei bianchi, un nero su 9 tra i 20 e i 34 anni è in cella, una donna nera su 100, tra 35 e 39 anni, è dietro le sbarre (la media tra le donne bianche è una su 355). Un segno di quanto il cammino verso l’uguaglianza sia ancora lungo, in questo Paese, nonostante l’elezione di un nero alla Casa Bianca.

Sullivan venne condannato con l’accusa di avere prima derubato, poi violentato una 72enne di Pensacola, in Florida. Il ragazzino, ritardato psichico, ammise immediatamente di aver partecipato al furto insieme ad altri due amici più grandi. Ma negò con tutte le forze di essere poi tornato nell’appartamento per stuprare la pensionata. Neppure la vittima, in realtà, era sicura che ad attaccarla fosse stato quel ragazzo. "Era un nero", disse al giudice. "Aveva capelli crespi, ed era basso", precisò, "ma non l’ho visto bene in volto".

Quello di cui era certa, però, era che l’assalitore le avesse detto: "Se non sai identificarmi, potrei non doverti uccidere". Il giudice costrinse Sullivan a ripetere quelle parole più e più volte, in tribunale. "Sono passati sei mesi, è difficile dire se la voce fosse questa", disse la donna, "ma mi sembra simile". Quel "sembra" bastò al giudice Nicholas Geeker. Dopo un giorno di processo, in cui il suo avvocato (poi sospeso dallo Stato della Florida per incompetenza) pronunciò un’arringa di pochi minuti, Sullivan ascoltò la sentenza che lo condannava all’ergastolo.

Ora, vent’anni più tardi, l’associazione Equal Justice Initiative ha chiesto alla Corte Suprema degli Stati Uniti di rivedere il suo caso. L’obiettivo non è quello di scagionare Sullivan: le "tracce biologiche" raccolte sulla scena dello stupro non furono mai presentate al processo, e sono state distrutte 16 anni fa. Quello che i nuovi legali di Sullivan vogliono è che la Corte Suprema stabilisca se condannare un 13enne all’ergastolo, senza possibilità di libertà condizionale e per un crimine che non coinvolge un omicidio, non sia una pena "crudele e inconsueta", e pertanto vietata dall’Ottavo Amendamento alla Costituzione degli Stati Uniti.

La Corte Suprema ha accolto l’invito dei legali di Sullivan, chiedendo alla Florida di valutare l’ipotesi di affrontare il caso. Quest’ultima, però, potrebbe decidere di non farlo. E i segnali non sono confortanti. Certo, la Corte Suprema ha già dichiarato (nel 2005) che nessuno può essere condannato a morte per crimini commessi da minorenne, e (nel 2008) che nessuno può essere giustiziato per crimini che non includano l’omicidio.

Ma non ha specificato nulla riguardo all’ergastolo. "Sono convinto che Sullivan sia innocente", ha detto al New York Times il direttore dell’Equal Justice Initiative, Bryan Stevenson. Secondo l’avvocato, il colpevole sarebbe uno dei due ragazzi che compirono il furto con Sullivan, e che lo accusarono dello stupro. Ma il punto che Stevenson vuole sottolineare è un altro. "Non penso sia possibile dire che un 13enne non cambierà mai", dice. "E tanto meno che una condanna all’ergastolo, senza possibilità di libertà condizionale, sia una punizione appropriata".

Gran Bretagna: contro la criminalità si reintrodurrà la gogna?

 

Libero, 5 febbraio 2009

 

Le autorità del Regno Unito non sanno più come contrastare il crimine, prima di tutto il fenomeno dilagante dei furti. Con questa recessione che sta colpendo al cuore l’economia nazionale, molti pensano di emulare Robin Hood, anche se poi non distribuiscono il maltolto ma lo tengono per sé. E come nel medioevo si pensa a una sorta di "gogna" moderna: il governo sta valutando l’ipotesi di creare dei cartelli con i nomi e le colpe dei criminali e di appenderli nelle loro città.

Sembra di essere tornati nel selvaggio West, quando i più pericolosi banditi venivano ritratti sui cartelli "Wanted", che erano uno strumento molto importante per sceriffi e cacciatori di taglie. Nella versione moderna, però, la paura di vedere il proprio nome in quelle liste dell’infamia dovrebbe, in un qualche modo, dissuadere i potenziali criminali.

Il fatto interessante è che la proposta non è venuta da un oscuro rappresentante del Bnp, il partito xenofobo britannico, ma dalla deputata Sharon Hodgson, che fa parte del partito laburista al governo.

Ma da tempo le autorità si muovono in questo senso: con alcune iniziative, come la pubblicazione su Internet dei casi che vengono discussi in tribunale. Non solo, in certe zone, le forze di polizia distribuiscono direttamente ai residenti l’elenco dei processi, con i dettagli dei delinquenti e le loro sentenze. Le tendenze alla gogna dei britannici non sono nuove.

Lo scorso settembre, quando si è accorto che uno dei suoi dipendenti aveva cercato di derubarlo, Simon Cramer non ci ha più visto dalla rabbia. Ha preso il colpevole, gli ha legato mani e piedi, lo ha caricato su un’auto e lo ha portato in paese, dove lo ha- costretto a girare per il centro con un cartello appeso al collo che diceva: "Sono un ladro. Ho rubato 845 sterline e mi stanno portando in commissariato".

Una volta dalla polizia però, le manette sono scattate non solo per l’impiegato ladro, ma anche per il datore di lavoro, accusato di sequestro di persona. Come ai tempi di Robin Hood, la Gran Bretagna resta il Regno dei ladri. Il governo ha annunciato uno stanziamento di 20 milioni di sterline per consentire l’installazione di serrature più solide ed allarmi per poveri ed anziani che potrebbero essere vittime di furti.

L’annuncio - scrive il Daily Mirrar - è stato dato dal ministro dell’Interno Jacqui Smith, a fronte di un aumento del 4% dei furti nelle case tra il 2007 e il 2008. A distribuire serrature ed allarmi nelle zone a rischio, alle persone più bisognose, saranno associazioni benefiche come Help the Aged o la polizia locale.

"Una crisi economica non deve significare un aumento del crimine, non si tratta di un legame inevitabile - ha detto una fonte del ministero dell’Interno - Noi tutti possiamo fare la nostra parte per impedire ai criminali di colpire". La Smith ha chiesto avarie catene di ferramente e di "fai da te" di fornire serrature a prezzi scontati, e una campagna per la sicurezza partirà in tv e su internet.

 

 

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