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Giustizia: oltre 60mila detenuti, per prima volta dopo l'indulto
Redattore Sociale - Dire, 26 febbraio 2009
Manconi accusa "la crescente penalizzazione e l’introduzione di norme più restrittive". Stabile il numero degli immigrati; 30 mila in attesa di giudizio. L’indulto? "Senza, oggi sarebbero 80 mila". Ad oggi, 26 febbraio, sono 60.036 i detenuti all’interno del sistema penitenziario italiano, con di circa 1000 presenze al mese. La metà è in attesa di giudizio. Stabile la quota dei detenuti immigrati al 37%, sono circa 22 mila. La denuncia arriva da Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi e direttore del sito www.innocentievasioni.net, denuncia: "L’obiettivo, pervicacemente coltivato e alacremente perseguito, di superare la soglia dei 60 mila detenuti, attraverso una crescente penalizzazione e l’introduzione di norme più restrittive, è stato infine raggiunto". Quello che Manconi chiama il "nuovo record per il governo Berlusconi", è di fatto il secondo picco di presenze dal ‘50 (erano 31 mila i detenuti nel 1991) ed è la prima volta che si supera quota 60 mila dopo il provvedimento d’indulto. Per la verità si erano registrate circa 61 mila presenze tra giugno e luglio 2006, ma nei mesi successivi si era subito scesi al di sotto di questa cifra. "Secondo i giustizialisti più tetragoni ciò dimostrerebbe solo l’inutilità del provvedimento di indulto del luglio 2006, - spiega Manconi - ma si trascura un dettaglio: senza quel provvedimento, oggi la popolazione detenuta raggiungerebbe le 80 mila unità. E i rischi, non solo per i più elementari diritti della persona reclusa, ma per l’intera collettività sarebbero enormi. Quali provvedimenti intende assumere il governo? Costruire nuove carceri che, nell’ipotesi più ottimistica, entrerebbero in funzione nel 2020? Campa cavallo". Giustizia: Rapporto Diritti Umani; in Italia violenze sui detenuti
Apcom, 26 febbraio 2009
Nell’ultimo anno in Italia non si sono verificati episodi di violenza politica da parte delle autorità ma "a volte è stata usata forza eccessiva contro le persone, in particolare a Roma e sui detenuti immigrati". A sostenerlo è il Rapporto annuale sui diritti umani pubblicato oggi dal Dipartimento di Stato americano e relativo al 2008. Il richiamo arriva in riferimento all’uso di trattamenti degradanti o inumani nei confronti dei detenuti, dove si rilevano alcuni abusi nella capitale soprattutto nella fase di verifica delle identità delle persone fermate. Il rapporto della diplomazia americana sottolinea inoltre come negli ultimi mesi siano continuate le indagini in merito alle violenze del G8 di Genova, che hanno portato tra l’altro i pm a chiedere il rinvio a giudizio dell’allora capo della Polizia, Gianni De Gennaro. Il dipartimento di Stato ribadisce invece, come già nel rapporto dell’anno scorso, come non ci siano notizie di indagini sul caso di Susanna Venturini, la donna uccisa da un agente di polizia in una stazione di servizio mentre quest’ultima tentava di fuggire dopo aver estorto 40 euro ad un ispettore del lavoro nel 2007. Secondo l’indagine invece le carceri italiane rispettano in gran parte gli standard internazionali anche se alcune prigioni "rimangono sovraffollate ed obsolete". Gli ispettori americani hanno rilevato la presenza di 54.600 detenuti in un carcere adibito a contenerne 42.900. Altri istituti detentivi invece lamentano mancanza di adeguate cure mediche. La condizione di sovraffollamento riguarda in particolare, secondo lo studio, i Cpt dove vengono ospitati i clandestini arrivati sul territorio nazionale. Dito puntato anche sui tempi lunghissimi della giustizia italiana. Il dipartimento di Stato americano sottolinea come alla fine del 2007 ci fossero circa 2.900 richieste di risarcimento alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo a causa dei procedimenti troppo lunghi nei tribunali italiani. Giustizia: Garante dei detenuti è legge, ma con qualche dubbio di Patrizio Gonnella
Italia Oggi, 26 febbraio 2009
Nonostante i dubbi sollevati dal Servizio Studi della Camera, i detenuti potranno avere colloqui - anche al fine di compiere atti giuridici - non più solo con congiunti o avvocati, ma anche con i "Garanti dei diritti dei detenuti comunque denominati". Tali soggetti potranno visitare senza autorizzazione gli istituti penitenziari, al pari del presidente del Consiglio dei ministri e del presidente della Corte costituzionale, di ministri, giudici della Corte costituzionale, Sottosegretari di stato, membri del parlamento e componenti del Consiglio superiore della magistratura, del presidente della corte di appello e del procuratore generale della repubblica presso la corte d’appello, del presidente del tribunale e del procuratore della repubblica presso il tribunale, dei magistrati di sorveglianza (nell’ambito delle rispettive giurisdizioni) e di ogni altro magistrato per l’esercizio delle sue funzioni, dei consiglieri regionali e del commissario di governo per la regione (nell’ambito della loro circoscrizione), dell’ordinario diocesano per l’esercizio del suo ministero, del prefetto e del questore della provincia, del medico provinciale, del capo dell’amministrazione penitenziaria e dei magistrati e dei funzionari da lui delegati, degli ispettori generali dell’amministrazione penitenziaria, dell’ispettore dei cappellani, degli ufficiali del corpo di polizia penitenziaria. È questo il contenuto di una norma presente nella legge di conversione del Decreto Legge Milleproroghe, convertito in legge martedì scorso dalla Camera dei Deputati. Sono stati così modificati gli articoli 18 e 67 dell’ordinamento penitenziario del 1975. I dubbi sollevati dal Servizio studi della Camera sono così riassumibili. Come si può autorizzare una figura che non esiste dal punto di vista normativo? Il garante (o difensore civico) dei diritti delle persone private della libertà non è mai stato istituito su base nazionale. Nel 2008 si arrivò quasi alla sua introduzione nel nostro ordinamento giuridico, ma l’interruzione anticipata della legislatura impedì la prosecuzione dei lavori parlamentari. La prima proposta di legge a riguardo fu del 10 dicembre del 1998, a firma dell’allora vicepresidente di Palazzo Madama Ersilia Salvato. Nel frattempo in via sperimentale, molti enti locali hanno istituito figure di tutela dei diritti dei detenuti, pur prive di poteri effettivi. Il primo Comune ad attivarsi è stato quello di Roma. Il primo garante a essere nominato fu Luigi Manconi. Da allora molti altri enti hanno dato vita a soggetti simili. Sono stati istituiti e designati i Garanti dei diritti delle persone limitate nella libertà presso 14 Comuni (Bergamo, Bologna, Brescia, Ferrara, Firenze, Nuoro, Pisa, Reggio Calabria, Roma, Rovigo, San Severo, Sulmona, Sassari, Torino); 2 Province (Lodi, Milano), 5 Regioni (Campania, Lazio, Lombardia, Marche, Sicilia). In altre quattro regioni (Toscana, Emilia-Romagna, Umbria, Puglia) tali figure sono state istituite per legge ma i garanti non sono stati ancora designati. Si può quindi ragionevolmente presumere che la norma presente nella Legge Milleproroghe si riferisca proprio a questi ultimi. Alcune domande sono d’obbligo: 1) posto che la legge non si riferisce espressamente ai garanti territoriali ma usa la dizione generica "garanti comunque denominati" senza riferirsi all’autorità di nomina, cosa accade se è una associazione o un soggetto privato a istituire un garante dei detenuti? Anche a costui dovranno essere riconosciuti i poteri previsti dai rinnovati articoli 18 e 67 dell’ordinamento penitenziario? 2) qualora invece il legislatore si riferisse al garante nazionale, anticipandone la sua successiva istituzione, perché ha usato il plurale? L’Italia è stata sollecitata più volte dagli organismi internazionali a dar vita a meccanismi nazionali di controllo. Il nostro Paese, ad esempio, ha firmato nel 2003 seppur non lo ha ancora ratificato, il protocollo opzionale delle Nazioni Unite alla Convenzione contro la tortura. Esso prevede, tra l’altro, l’istituzione di una figura indipendente di controllo dei luoghi di detenzione in ogni Stato firmatario del Trattato. Giustizia: un piano carceri per creare 13mila posti entro 2012 di Marco Ludovico
Il Sole 24 Ore, 26 febbraio 2009
Oltre 13mila posti in più nelle carceri italiane: è l’ipotesi formulata dal commissario straordinario, Franco Ionta, in un recente documento trasmesso anche alle organizzazioni sindacali. Nel biennio 2009-2010 il programma, definito "ampiamente di massima", considera un incremento della capienza di 4.097 unità;di altre 1.935 posti, nel 2011-2012; cui si aggiungono altre 10.400 unità da realizzare "con ulteriori interventi". Ionta specifica che "per i nuovi istituti di Rieti, Cagliari, Tempio Pausania, Oristano e Sassari i fondi indicati, pari a 100 milioni di euro, derivano dal fondo infrastrutturale per l’edilizia carceraria". Dallo stesso fondo, previsto dalla legge 6 agosto 2008 n. 113, la copertura per "i costi dei tre nuovi istituti di Savona, Rovigo e Forlì, pari a 90 milioni di euro". I costi definiti ulteriori, che dovrebbero produrre 10.400 posti, ammontano, secondo le stime del Dap a 1.116 milioni di euro. Ci sono già, secondo il documento, coperture finanziarie pari a 356 milioni: il saldo da colmare è dunque pari a 660 milioni. Tra le ipotesi di soluzione avanzate, realizzare le nuove strutture con l’alienazione di immobili a uso penitenziario che si trovano nei centri storici e la dismissione di altri immobili dello stesso tipo con la rassegnazione dei proventi al ministero della Giustizia-Dap. Il terzo percorso immagina i rifinanziamento della legge 259/2002 sulle carceri ma il commissario propone anche, insieme allo strumento del project financing, di valutare la possibilità di alienazione di una parte del patrimonio edilizio penitenziario, con vincolo di locazione per più di 9 anni, con l’utilizzo dei proventi della vendita per la costruzione di nuovi istituti. Giustizia: il Piano del Commissario straordinario per l’edilizia
Il Tempo, 26 febbraio 2009
"Istituto di pena ad aggregazione radiale", si chiama così il modello, lo schema tipo di un penitenziario per circa 400 posti che il Commissario Straordinario incaricato per l’edilizia carceraria ha voluto assumere a base del suo piano carceri. Nello stesso giorno in cui la nomina veniva ratificata, con il via libera due giorni fa della Camera al Decreto Milleproroghe al quale era stato aggiunto un emendamento ad hoc, Franco Ionta, anche Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha voluto rendere noto, in linea con i tempi imposti proprio dal decreto varato dal Governo a dicembre, un programma di massima per quelli che potrebbero essere gli interventi strutturali da effettuare nei prossimi anni. "Interventi strutturali - si legge in una nota ufficiale - al fine di ottenere nel biennio 2009-2010 un incremento della capienza negli istituti di 4.907 unità, elevate ad altre 1.935 nel biennio 2011-2012". Più altre 10.400 ipotetiche, da realizzare sempre nei 4 anni e con l’impiego di risorse ulteriori da reperire. Ionta ha dichiarato, così, il proposito di mutare il corso di un’attività ormai allo stallo da decenni, e lo ha fatto in una riunione con tutte le rappresentanze sindacali dove sono state, appunto, illustrate le linee generali che il Commissario vuole porre nell’immediato, o almeno fino al 31 dicembre 2010 (secondo il termine del provvedimento di conversione). Nella nota si rappresenta come questa possa essere "l’occasione irripetibile, forse unica, per avviare a soluzione il problema dell’edilizia penitenziaria così da fronteggiare il persistente fenomeno del sovraffollamento", in un sistema che conta attualmente un presenza effettiva di 59.900 detenuti, contro una capienza regolamentare che non sfiora le 45.000 unità. Un’occasione irripetibile, anche alla luce di sperimentazioni come è appunto il modello che si vuole adottare, che prevede in più la costruzione di immobili a basso impatto ambientale ed energetico, e lo sviluppo di sistemi avanzati di automazione e di tecnologia ai fini della sicurezza. Sin qui i propositi e le buone intenzioni, ma i nodi vengono al pettine quando si parla di risorse, e di fondi. Soprattutto quando questi fondi è impresa ardua trovare: ad una prima analisi della normativa, appunto, in materia di infrastrutture carcerarie (così recita l’art. 44-bis aggiunto al Milleproroghe), anche la Cassa delle Ammende dovrà provvedere a finanziare i programmi, anche se nei giorni di conversione del decreto al Senato c’è stato chi, dell’Opposizione, ha segnalato anomalie sulle origini delle risorse da destinare al piano, sulla quantificazione e sullo stesso indirizzo dato proprio all’istituto della Cassa delle Ammende. Un’istituto che "anziché finanziare l’edilizia - secondo le dichiarazioni del Sen. Luigi Li Gotti (IDV), che ha sollecitato un’audizione del Guardasigilli sul punto - ha l’obbligo di finanziare i programmi di assistenza economica in favore delle famiglie dei detenuti e favorire il reinserimento sociale degli stessi detenuti e internati".
100 cento milioni di euro il costo dei posti da creare
La coperta c’è, ma sembra essere comunque corta, e fino a tutto il 2012 si spera che la tabella di marcia del Commissario straordinario venga tuttavia rispettata, almeno per quelli che sono i nuovi istituti di Rieti, Cagliari, Tempio Pausania, Oristano, Sassari e Trento, che porteranno a realizzazione, entro il 2010, 1.215 nuovi posti letto (interventi già in corso). Posti letto che costeranno alla comunità 100 milioni di euro, da attingere dal fondo infrastrutture per l’edilizia carceraria istituito con il decreto legge 112 varato a giugno, quello recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico per intenderci. Altri 515 invece saranno il frutto del completamento, nel biennio 2011-2012, degli istituti di Savona, Rovigo, Forlì per un costo totale di 90 milioni di euro da reperire sempre dal Fondo infrastrutture, che quest’anno ha assegnato duecento milioni all’edilizia carceraria (interventi in fase di avvio). Per gli altri interventi, invece, a tutto il quadriennio 2009-2012 la proposta Ionta prevede la realizzazione di 17 nuovi padiglioni in istituti già esistenti, da eseguire a Cuneo, Velletri, Cerinola, Avellino, S. Maria Capua Vetere, Catanzaro, Enna, Frosinone, Pavia, Cremona, Agrigento, Palermo, Ariano Irpino, Modena, Terni, Livorno, Nuoro. Ampliamenti che porteranno 2.940 posti letto in più con progetti in corso o già finanziati, per un totale di 125 milioni di euro, e ristrutturazioni di sezioni inutilizzate per 2.172 posti letto con un costo previsto di 79.200.000 euro. Istituti di pena nuovi, ampliamenti di quelli già esistenti o ristrutturazioni, per un totale di 6.842 nuovi posti letto, che non si esclude possano essere sovvenzionati anche tramite la permuta degli edifici, l’alienazione di immobili siti nei centri storici in cambio di moderni istituti in altro luogo, la dismissione di stabili con riassegnazione dei fondi, e il rifinanziamento dei fondi disponibili in sede di predisposizione della legge finanziaria del 2010. In ultima ipotesi, prevedere la vendita con il vincolo della locazione ultranovennale all’Amministrazione Penitenziaria. Ma il progetto più ambizioso, per ciò che il Commissario vuole realizzare ancora, riguarderà in futuro diciassette istituti nuovi e l’ampliamento di 27 ancora da individuare, per portare la capacità massima ricettiva ad ulteriori 10.400 unità. Piano per il quale sono da recuperare ancora fondi per più di 1 miliardo di euro insomma, soldi che non è detto possano arrivare da un generale rifinanziamento dei capitoli di spesa disponibili - del fondo unico di giustizia o la Cassa delle Ammende - e che all’opposizione e ai sindacati di categoria non fa fare proprio i salti di gioia. Se la maggioranza procede a colpi di fiducia al Senato, e compatta alla Camera, senza il minimo accenno di polemiche sul fronte della politica carceraria, c’è già chi delle rappresentanze sindacali è pronto a storcere il naso. Leo Beneduci, dell’Organizzazione Sindacale Autonoma di Polizia Penitenziaria (Osapp), per esempio, è cauto nelle valutazioni - "non accettiamo piani a scatola chiusa - ha affermato il segretario generale - anche se 7.000 posti letto in più sono comunque un bel inizio. Il Ministro della Giustizia però non può non tener conto di una situazione detentiva che galoppa ad incrementi di mille ingressi ogni mese, considerare perciò altre soluzioni deflattive è necessario e indispensabile per la sopravvivenza della nostra categoria". Come indispensabile, per la "sopravvivenza" del lavoro svolto dalla Polizia Penitenziaria all’interno delle carceri, un comune sentire che per la prima volta vede un coro unanime di tutte le maggiori rappresentanze, il fatto che qualsiasi piano non possa in ogni modo prescindere da un serio piano d’incremento del personale. Proposta alternativa per arginare il collasso delle carceri è quella del Sappe, sindacato autonomo della Penitenziaria. "Vista l’impennata di detenuti stranieri nelle carceri italiane - ha detto Donato Capece, segretario generale del Sappe - meglio incrementare concretamente le trattative bilaterali con i Paesi esteri da cui provengono la maggior parte dei detenuti stranieri affinché questi scontino la pena nei Paesi d’origine. Può rivelarsi un buon affare anche per le casse dello Stato,(con risparmi di centinaia di milioni di euro), nonché per la sicurezza dei cittadini. Un detenuto costa infatti in media oltre 250 euro al giorno allo Stato italiano". Giustizia: Osapp; Ionta propone modello di carcere ottocentesco
Ansa, 26 febbraio 2009
"Un piano ottocentesco. Lo schema messo a punto dal Commissario straordinario Ionta, quello dell’istituto di pena a 400 posti a forma radiale, e che formerebbe la base per il piano di rilancio per l’edilizia carceraria, non è efficace ed è anche superato". Così Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, interviene all’indomani delle dichiarazioni rilasciate dal ministro Alfano, che ha promesso un progetto entro 60 giorni, aggiusta il tiro sulle rivelazioni riportate oggi dal quotidiano Il Tempo. "Un prototipo stra-utilizzato - continua Beneduci - come quelli che il ministro della Giustizia critica puntualmente quando parla di carceri antichi e ottocenteschi nelle sue uscite ufficiali. Un modello che anche un bambino di 8 anni comprenderebbe come non dia più i risultati voluti: Regina Coeli e Poggioreale stanno lì a dimostrarlo benissimo". Se, prosegue il segretario, "il ministro ha promesso che il piano sarà presentato tra 60 giorni, già si capisce come questa non sia proprio l’idea di ‘carcere leggerò che il commissario straordinario ci aveva illustrato in sede di riunione". Conclude Osapp: "La tipologia che Ionta propone è di tipo panottico: moltiplica i posti di servizio e non li riduce come vuole darla ad intendere. Quando invece ci sarebbe l’esigenza di aumentare il personale della Polizia penitenziaria". Giustizia: Ue; pene sopra i 3 anni scontate nel Paese di origine di Cristina Bartelli
Italia Oggi, 26 febbraio 2009
Stretta sui reati commessi da cittadini comunitari: le sentenze si sconteranno nel paese di origine del condannato. Ciascuno stato membro Ue infatti, potrà decidere di far scontare nello stato di cittadinanza del condannato la pena inflitta. Con un colpo di acceleratore in seguito ai fatti criminosi avvenuti nelle scorse settimane, il governo ha presentato ieri due emendamenti alla legge comunitaria 2008, in esame in commissione politiche comunitarie al Senato, che anticipano l’entrata in vigore di decisioni comunitarie in tema di sicurezza e reati commessi da cittadini comunitari. "I due emendamenti hanno di fatto riaperto il termine alla presentazione di nuovi emendamenti in commissione", spiega la relatrice al provvedimento Rosanna Boldi, "c’era tempo fino al 2011 per recepire i due provvedimenti ma il governo ha voluto accelerare il recepimento". In particolare con l’emendamento 1.8 si inserisce nell’allegato B della comunitaria come direttiva da recepire la z2008/115/Ce sulle norme e procedure comuni applicabili negli stati membri per il rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno risulta irregolare e la decisione quadro 2008/909/Gai che applica il principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive e misure di privazione della libertà personale. Nella relazione di accompagnamento all’emendamento il governo fa presente che il conferimento della delega era già previsto dal disegno di legge comunitaria 2009 (approvato dal consiglio dei ministri), e la proposta emendativa intende anticipare l’attuazione della decisione quadro, "consentendo l’adozione del relativo decreto legislativo senza dover attendere l’entrata in vigore della legge comunitaria 2009". Entrata in vigore che lo stesso governo quantifica in tempi lunghi (almeno un anno). La decisione quadro concedeva tempo agli stati membri fino al 2011 per poter realizzare la delega in parola ma vista l’emergenza sicurezza la scelta è stata di procedere in tempi stretti. La decisione contiene una novità di notevole rilevanza perché consente agli stati membri di far scontare nello stato di cittadinanza del condannato la pena inflitta dalla propria autorità giudiziaria e consentirà così si legge nella relazione, "all’Italia, stato ad alto tasso di immigrazione comunitaria, di alleggerire il peso dell’esecuzione delle sentenze emesse, secondo un modello ampiamente sperimentato su base bilaterale e prescindendo in alcune ipotesi dallo stesso consenso della persona trasferita". L’emendamento non si limita a recepire la decisione quadro ma inserisce anche misure aggiuntive di garanzia e cioè la possibilità di applicare misure cautelari provvisorie e di procedere all’arresto della persona da trasferire, ma anche assicurare all’interessato garanzie di difesa e contraddittorio compatibili con il principio del giusto processo. La decisione si applicherà ai comunitari puniti in Italia con pena detentiva della durata massima non inferiore a tre anni. Giustizia: Ronchi; in patria entro l’anno, i romeni condannati di Francesca Angeli
Il Giornale, 26 febbraio 2009
Ministro Ronchi, i criminali stranieri condannati per reati gravissimi, come lo stupro, sconteranno il carcere nel loro Paese d’origine, se provenienti dalla Ue? "Stiamo lavorando per ottenere al più presto questo risultato. Ho presentato un emendamento al ddl comunitario 2008 proprio per accelerare l’attuazione della decisione quadro presa dalla commissione Ue nel novembre scorso. Decisione che secondo la normale procedura diverrebbe attuativa soltanto nel 2011. Con questo intervento già da quest’anno molti dei condannati, ad esempio romeni, dovranno tornare nelle carceri dei loro Paesi senza che ci sia bisogno del loro consenso".
I romeni detenuti nelle carceri italiane erano circa 2.800 alla fine dello scorso anno. Occorrerà però ottenere il via libera della Romania. "Sarò lì probabilmente la prossima settimana. Il ministro Frattini ha già incontrato il suo omologo romeno Diaconescu e ha fatto un ottimo lavoro: la disponibilità c’è. Il dialogo è partito e i rapporti sono buoni. È loro interesse tutelare i romeni che vivono ben integrati nel nostro Paese, rispettando le leggi, colpendo chi invece delinque. Noi vogliamo lavorare per l’integrazione, respingendo anche il più lieve refolo di razzismo".
A Rosy Bindi non è piaciuto che lei abbia definito gli stupratori della Caffarella bestie... "A volte bisogna avere il coraggio di essere politicamente scorretti. Sono convinto che chi stupra una quindicenne a Roma o chi abusa di un dodicenne a Napoli sia una bestia. Sono pronto a ripeterlo e non fa differenza se uno è romeno e l’altro è napoletano, entrambi bestie".
Pensa che l’Europa possa davvero trovare l’unità su un tema come quello della sicurezza? "Oramai tutti hanno capito che l’Unione Europea non può ridursi a essere una targhetta sui prodotti e devo dire con rammarico che l’Europa ha perso tante occasioni per parlare con una voce sola. Sul fronte della sicurezza questo governo ha già fatto e sta facendo molto dal punto di vista complessivo: escludere i domiciliari in caso di stupro è una norma che vale per tutti. E vorrei ricordare che quando abbiamo proposto di prendere le impronte, tra l’altro proprio per tutelare i minori, all’inizio ci hanno accusato di bieco razzismo. Poi la linea di rigore scelta dall’Italia ha fatto scuola. Ci vuole coraggio nelle scelte, anche nell’esser politicamente scorretti. Soprattutto nel contrastare con decisione e senza sconti la criminalità e l’immigrazione clandestina senza mai dimenticare di sostenere le politiche di integrazione".
Anche a sinistra ci sono stati ripensamenti in questo senso. "Livia Turco ha riconosciuto come profondamente sbagliata l’impostazione culturale che puntava a una inclusione indiscriminata, a tutti i costi. Non è mai troppo tardi per rendersene conto. Intanto però molti errori sono stati fatti pagare ai cittadini onesti".
Il nodo che resta da sciogliere in tutta Europa è quello di una vera integrazione che spesso è soltanto apparente. "Certo essere integrato non significa conoscere a memoria gli articoli della nostra Costituzione. Direi, alla Sarkozy, che lo è chi ama il nostro Paese il suo spirito liberale e la sua cultura, le sue tradizioni. Non possiamo accettare zone d’ombra nelle nostre città. Tutti insieme dobbiamo collaborare contro ogni forma di illegalità".
Le ronde però non le piacciono. "Sono fermamente contrario a qualsiasi forma di giustizia fai da te, dico no alle ronde, tanto più se di partito. Altra cosa è la partecipazione volontaria dei cittadini alla messa in sicurezza delle città sotto il diretto controllo del sindaco e del prefetto. Lo spirito di collaborazione con il governo, la voglia di partecipare è positiva e segna il risveglio delle coscienze e un rinnovato rapporto di fiducia con le istituzioni". Giustizia: il Viminale; le violenze sessuali sono in diminuzione
Il Sole 24 Ore, 26 febbraio 2009
Sugli stupri, i dati del Viminale indicano un calo: - 8,4% nel 2008. Nel triennio 2006-2008 gli autori sono italiani nel 60,9% dei casi, seguiti da romeni (7,8%) e marocchini (6,3%). Milano, con 480 casi registrati lo scorso anno, supera Roma (317) e Bologna (139). Il Viminale poi ha precisato che occorre "tener conto del fatto che i cittadini stranieri, responsabili di circa il 40% dei reati di violenza sessuale commessi in Italia nel 2008, rappresentano meno del 6% della popolazione residente". Arrivano 139 milioni di euro per la costruzione e ristrutturazione dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie). I fondi (35 milioni per il 2009, 83 per il 2010, 21 milioni per il 2011) sono previsti dal decreto anti-stupri pubblicato in "Gazzetta Ufficiale". Dl che arriva al traguardo quando le statistiche rilevano una diminuzione degli stupri nel 2008. I Cie attuali sono 10, con 1.160 posti in tutto. Il Dl, che porta da due fino a sei mesi la possibilità di trattenere i clandestini nei centri, porterà alla costruzione delle nuove strutture, per arrivare a 10mila posti complessivi. L’obiettivo è far sorgere almeno un Cie in ogni regione dove ora non ci sono, come ha detto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Oggi una riunione al Viminale metterà a punto il piano, anche perché in diverse regioni sono stati individuati più siti possibili alternativi. Tra le località di cui si parla ci sono Verona, Campi Bisenzio (Firenze) e Grosseto, Vasto (Chieti), Falconara (Ancona) e Caserta, ma occorre fare i conti anche con le resistenze di alcuni territori. Sulle ronde, Maroni ha detto che non ci saranno "dilettanti allo sbaraglio", ma si svolgerà "un controllo fortissimo da parte degli organi di polizia su chi vi partecipa. Oggi - ha aggiunto - in centinaia di comuni ci sono esempi di questo genere: nella migliore delle ipotesi sono regolate, altrimenti sono iniziative che esprimono un’esigenza, ma lo fanno in modo sbagliato. Col nostro decreto - sottolinea Maroni - vogliamo condividere la richiesta di partecipazione che viene dai cittadini, ma che sia regolata e controllata". Ma il Vaticano continua a lanciare stoccate: "È importante - spiega monsignor Arrigo Miglio, presidente della Cei per i problemi sociali e il lavoro - che tutti insieme evitiamo di alimentare un clima di paura". Secondo Miglio occorre "calibrare il tema delle ronde su quello degli immigrati" e "quando parliamo di immigrati non possiamo allontanarci da due parole chiave: accoglienza e legalità". Giustizia: Fini e Bossi contro il voto di fiducia su intercettazioni di Liana Milella
La Repubblica, 26 febbraio 2009
Altolà di Fini e Bossi a Berlusconi. Niente fiducia sulle intercettazioni. Non solo: modifiche congrue per incassare, quando si andrà in aula martedì 10 marzo, il voto favorevole dell’Udc e spaccare l’opposizione.. Il leader di An si fa interprete del malcontento che serpeggia nelle file del Pdl contro un testo, il ddl Alfano ormai battezzato "anti-intercettazioni", che rischia di rendere impraticabile l’uso degli ascolti, di imbavagliare la stampa e mandarla in galera. Gianfranco Fini detta le sue condizioni, le stesse che la sua emissaria Giulia Bongiorno, relatrice del provvedimento e presidente della commissione Giustizia, aveva già anticipato 24 ore prima in una lettera al presidente dell’Ordine dei giornalisti Lorenzo Del Boca. Maggiori garanzie per il diritto di cronaca con un’anticipata discovery degli atti (rispetto al blackout fino al processo) che consenta di raccontare cosa avviene nei palazzi di giustizia e cosa fanno e come lavorano i pm. La soluzione: si può pubblicare, ma solo per riassunto, quindi senza verbali e intercettazioni, tutto quello su cui cade il segreto, cioè quando le carte vanno in mano agli avvocati. Niente da fare per l’emendamento Bergamini: resta il carcere da uno a tre anni per chi pubblica intercettazioni destinate alla distruzione. Si attenuano invece i "gravi indizi di colpevolezza" per ottenere gli ascolti che diventeranno o "sufficienti", o "rilevanti", o "oggettivi", comunque con una formula differente rispetto ai "gravi indizi" richiesti per una misura cautelare. È la linea su cui lavorava il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo. Il timing della giornata - richiesta della procura di Roma sul caso premier-Saccà, colazione Fini-Berlusconi, uscita di Umberto Bossi contro la fiducia ("Sulle intercettazioni è sconsigliabile che il governo la metta"), trattative su come cambiare il testo, assemblea Pdl alla Camera - spiega l’esito finale. Il testo non è blindato, quindi le proteste si attenuano. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano lo sintetizza così: "Noi siamo l’esatto contrario del Pd, perché tra di noi c’è sostanziale unità. Molti dicono che il testo si può cambiare in meglio, ma poi dichiarano che comunque lo voteranno". E la fiducia? Alfano non la esclude: "È presto. Ci vogliono ancora più di dieci giorni. La questione adesso è un’altra. Riunire tecnici e politici (Bongiorno, Ghedini, Caliendo, ndr.). Sistemare il testo in modo da cercare una convergenza con l’Udc che è il nostro interlocutore privilegiato. Domani chiamerò Michele Vietti e parlerò con la Lega". Restano gli interventi critici di deputati cui era stato raccomandato di non presentare emendamenti. Eccoli, in fila. Gaetano Pecorella vuole evitare "fumus di dubbia costituzionalità"; Angela Napoli non accetta "una legge che aiuta alla criminalità"; Manlio Contento vuole "attenuare i "gravi indizi"; Giancarlo Lehner chiede che "non si facciano errori politici contro i giornalisti". In contro tendenza Luigi Vitali che vuole tornare "al tetto dei 10 anni" e un’incompresa Deborah Bergamini che così si lagna dei suoi ex colleghi: "Distorcono il mio pensiero, non dicono che il carcere ci sarà solo per chi pubblica testi che il giudice ha ordinato di distruggere". Ma è un carcere che nessun giornalista può accettare. Giustizia: ronde con "sponsor" privati accendono le polemiche di Vladimiro Polchi
La Repubblica, 26 febbraio 2009
Ronde mercenarie, finanziate da privati e sponsorizzate dalle aziende. Il decreto legge anti-stupri cela una falla: la possibilità per i "volontari della sicurezza" di incassare soldi da persone fisiche o giuridiche. Sarebbe la privatizzazione della sicurezza: "Un rischio gravissimo, da evitare a tutti i costi", avverte il presidente del Veneto, Giancarlo Galan. "Un passo verso l’abisso per lo Stato di diritto", tuona il costituzionalista Stefano Merlini. Il decreto legge sulle ronde, pubblicato il 24 febbraio sulla Gazzetta Ufficiale numero 45, all’articolo 6 prevede che "i sindaci, previa intesa con il prefetto, possono avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare alle forze di polizia eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana". Le associazioni dovranno essere iscritte in un apposito elenco tenuto dal Prefetto. Il sindaco dovrà avvalersi "in via prioritaria" delle associazioni composte da personale delle forze dell’ordine in congedo. Poi al comma 5, il decreto aggiunge: le associazioni diverse da quelle composte da personale delle forze dell’ordine in congedo "sono iscritte negli elenchi solo se non siano destinatarie, a nessun titolo, di risorse economiche a carico della finanza pubblica". Ecco il punto: come si finanzieranno le associazioni tra normali cittadini? Chi provvederà al rimborso delle loro spese? Il decreto legge non esclude che i "volontari per la sicurezza" possano essere pagati da privati, persone fisiche o aziende: se non vorranno rimetterci di tasca propria, potranno farsi sponsorizzare. Nessuno glielo può impedire. Almeno stando alla lettura del testo. Salvo nuove sorprese che potranno arrivare dal decreto d’attuazione del Viminale, da adottare entro 60 giorni. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, tiene infatti duro: nelle ronde verrà attuato "un controllo fortissimo da parte degli organi di polizia su chi vi partecipa". E su chi le finanzia? "Giuridicamente non ci sono dubbi - spiega Stefano Merlini, costituzionalista a Firenze - la norma per come è scritta lascia la possibilità di un finanziamento privato delle ronde. Le associazioni di cittadini, riconosciute dall’articolo 18 della Costituzione, possono infatti chiedere contributi a chicchessia. Le ronde potranno dunque rivolgersi alla Confcommercio, Confesercenti, aziende o negozianti. Nella loro funzione di pubblica utilità potranno chiedere finanziamenti. Il rischio è uno squadrismo pagato da quella parte della popolazione che non si sente sufficientemente protetta. Di più, si può finire per istituzionalizzare un rapporto mafioso: io ti proteggo, tu mi paghi". Merlini è caustico: "Per lo Stato di diritto è il primo passo verso l’abisso". Il rischio non viene sottovalutato neppure dal presidente del Veneto, Giancarlo Galan. "Non vedo nulla di male nel fatto che ci siano persone che invece di andare a giocare a carte all’osteria si interessino degli altri - premette - vedo invece qualche cosa di male nello spontaneismo esasperato, nel fai da te e nell’utilizzo politico di queste ronde. Credo debbano essere coordinate e fatte da persone istruite e che siano soprattutto carabinieri in pensione e alpini, cioè gente che ha una preparazione. Dilettanti allo sbaraglio in questo paese ne abbiamo visti un po’ troppi". Poi sul finanziamento privato delle ronde, aggiunge: "È un rischio da evitare a tutti i costi. La privatizzazione delle ronde non sarebbe una cosa giusta. Il fenomeno deve essere istituzionalizzato e controllato dall’amministrazione pubblica". Giustizia: per reato di "stalking" le condotte ancora da definire di Alessandro Galimberti
Il Sole 24 Ore, 26 febbraio 2009
Scarsa tipizzazione della condotta criminosa perseguita, problemi di coordinamento con le norme del Codice penale, dubbi sulla custodia cautelare sottratta alla valutazione discrezionale del giudice. Le norme anti stalker e anti stupri entrate in vigore ieri, dopo la pubblicazione in G.U del decreto legge 11, pur nel generale consenso per le finalità che si propongono, avranno probabilmente bisogno di un lifting in sede di conversione. A lasciar perplessi sia gli avvocati, soprattutto per le difficoltà applicative immediate, è la formulazione del nuovo articolo 612-bis del Codice penale, e il suo mancato coordinamento con l’articolo 610, che punisce, paradossalmente in modo meno severo, la violenza privata. Gli interrogativi: "A una prima lettura della norma sugli "atti persecutori" - dice Antonello Racanelli, sostituto procuratore a Roma e componente del direttivo dell’Anm - viene da chiedersi se si tratti di un reato di condotta o di un reato di vento. Ossia: il comportamento del persecutore deve "provocare lo stato d’ansia o di paura" alla vittima, oppure deve essere in astratto "idoneo a" provocarlo in un soggetto secondo i criteri di "media" e di "normalità"? L’articolo 7 del decreto legge con la formula " in modo da cagionare" non è illuminante al proposito". Ma gli interrogativi si spingono soprattutto sul presupposto del reato, individuato nel "grave stato d’ansia o di paura" della vittima, nel "fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto", o, ancora nella costrizione di dover "cambiare le proprie abitudini di vita". Per il presidente dell’Ucpi, Oreste Dominioni la norma "manca di una sufficiente tipizzazione", troppo generica e ancorata a dati molto soggettivi, quando non intimi. Le pene previste dal nuovo articolo 612-bis, tra l’altro, sono più alte anche rispetto all’ipotesi dell’articolo 610, nonostante in questo caso sia presente l’elemento della violenza (privata): le condotte di stalking sono punibili con la pena da 6 mesi a 4 anni, tetto minimo che manca all’altro più grave reato. Processi e violenze: problemi di omogeneità legislativa anche sull’obbligo di custodia cautelare in carcere per i responsabili di violenza sessuale. "Il divieto di forme alternative al carcere nella custodia cautelare - dice Dominioni - si pone fuori sistema: il giudice deve poter graduare la misura, seppur dentro rigidi binari normativi ed ermeneutici. Creare un automatismo di legge tra commissione del reato e tipo di misura cautelare è eccessivo e incoerente con il sistema normativo vigente: rappresenta una regressione sul piano dei diritti e delle garanzie dei cittadini". L’ammonimento: Un’altra novità anticipata dal Dl riguarda l’ammonimento che il questore può adottare su segnalazione della vittima dello stalking. "Anche qui - secondo Dominioni - la norma sembra essere sganciata dal percorso della legge 1423/1956 sulle misure di prevenzione: lì se l’avviso orale (equivalente all’ammonimento allo stalker) si dimostra inutile, il questore può innescare la sorveglianza speciale che consente interventi via via più incisivi. L’ammonimento, invece, se ignorato, può servire solo come aggravante nel processo allo stalker. Giustizia: tagliati circa 9 milioni di euro per la Giustizia Minorile
Redattore Sociale - Dire, 26 febbraio 2009
Nel Lazio -60%: la denuncia della Consulta penitenziaria del comune di Roma. Per il recupero dei minori -49%: il carcere di Casal del Marmo non rinnova i contratti con le associazioni che gestiscono laboratori e attività sportive. "Il governo con l’ultima finanziaria ha tagliato di circa 9 milioni di euro i fondi destinati alla giustizia minorile". La denuncia arriva dalla Consulta penitenziaria del comune di Roma, che ricorda come tra le regioni più penalizzate vi sia il Lazio con un taglio dei fondi di circa il 60%. Tale taglio - precisa la Consulta in una nota - "comprende i centri di prima accoglienza, l"istituto penale minorile Casal del Marmo e il Servizio sociale minori del Lazio che non riesce più a far fronte al pagamento delle rette per le comunità alloggio e i centri diurni". Tra le voci comprese nei tagli - si legge nella nota - vi sono l’erogazione di servizi come luce, gas e acqua per circa il 70% e altre spese di gestione oppure per l’ acquisto di beni di prima necessità e di uso quotidiano, come il latte o i pannolini per i figli delle ragazze madri. Ma quello che la Consulta intende denunciare con maggiore forza riguarda i tagli del 49% delle risorse relative alle attività di recupero dei minori. Cosa questa - fa presente la nota - che sta "creando notevoli difficoltà all’istituto penale minorile di Casal del Marmo che non ha potuto rinnovare i contratti con la Caritas, che gestiva da due anni i laboratori artigianali formativi, alla Uisp, che garantiva servizi sportivi necessari allo sviluppo psico-fisico dei giovani, e alla Cooperativa La Sponda, che si occupa di attività culturali". "In questo modo - prosegue la nota - è evidente che tutto l’aspetto rieducativo della pena, come previsto dal dpr 448/98 viene messo in seria difficoltà con il rischio di vedere vanificato tutto il lavoro fino ad oggi svolto dagli operatori penitenziari, dal privato sociale e dall’associazionismo". A questo proposito - rende noto la Consulta - è stata inviata una lettera al sindaco Gianni Alemanno e al presidente della Provincia Nicola Zingaretti affinché "in considerazione dello stato di emergenza in cui versa la giustizia minorile, attuino un intervento economico straordinario che consenta ai giovani detenuti o messi alla prova di poter usufruire di quelle attività di base che consentano di interrompere irrimediabilmente il percorso di reinserimento di tanti giovani". Emilia-Romagna: è allarme, carceri sovraffollate e senza agenti
Sesto Potere, 26 febbraio 2009
A riportare all’attenzione delle cronache il tema della sicurezza nelle carceri, è stata l’aggressione nei confronti di una guardia carceraria da parte di Olindo Romano. Si tratta, però, solo di uno dei tanti episodi che vengono denunciati dalla Cgil Emilia-Romagna, secondo cui nell’ultimo semestre si sono verificati almeno seicento episodi simili a questo da parte di detenuti nelle carceri della nostra regione. E si riaccende la polemica sul sovraffollamento dei penitenziari. Marco Martucci, coordinatore della Polizia penitenziaria per la funzione pubblica Cgil dell’Emilia-Romagna, spiega che "questi fatti di violenza nelle carceri sono all’ordine del giorno, a Piacenza come nel resto della regione". "Il problema maggiore è quello del sovraffollamento, che causa tensioni non indifferenti - spiega Martucci -. Ora in Italia ci sono 60.000 detenuti, mentre la capienza tollerabile è di 43.000. In Emilia-Romagna la capienza massima è di 2.274 e attualmente si registrano 4.178 detenuti". Nel caso di Piacenza, che ha fatto notizia per l’aggressione di Olindo Romano, con un limite di 180 persone ospitabili, ne sono presenti 380. L’Emilia-Romagna è fra le regioni più sofferenti, con il 23% in meno del personale necessario- e ad una scarsità di risorse economiche da dedicare alla manutenzione delle strutture, diventa un mix esplosivo. "Le tensioni relative alla coabitazione sono tantissime, e scaturiscono anche dalla minima abitudine quotidiana. In carcere, a Piacenza, convivono detenuti di diverse nazionalità e anche di diversa tipologia: non esistono, come invece vorremmo, i circuiti penitenziari che separano i condannati a seconda del reato. Si crea una situazione intollerabile e si creano momenti di tensione e pericolo tra detenuti e detenuti, ma anche tra detenuti e polizia". Difficoltà appesantite anche dalle condizioni di lavoro degli agenti. "Un agente di Polizia penitenziaria lavora in media per 50 o 60 detenuti. Nelle sezioni detentive dell’Emilia-Romagna un agente arriva a dover lavorare per un numero che va da 50 a 100 detenuti". Inoltre, spiega ancora Martucci, "le strutture devono far fronte ad una scarsità di risorse economiche per la manutenzione, e in molti casi sono partite male sin dalla nascita: a Piacenza, che è un carcere costruito tra il 1990 e il 1992, già da subito sono dovuti intervenire i vigili del fuoco per prevenire un crollo". Liguria: il Sappe; meno fondi, per il mantenimento delle carceri
Secolo XIX, 26 febbraio 2009
Sgomentato e sconcertato - cosi si definisce Michele Lorenzo segretario regionale del Sappe Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, dopo aver preso visione dei fondi economici destinati al funzionamento del sistema penitenziario in Liguria per il 2009. I corsi di formazione destinati al personale sono stati finanziati con 10.000 euro, il 20 per cento in meno rispetto al 2008. Ben il 64 per cento in meno è destinato al carburante delle autovetture di servizio, cioè dai 128.500 euro del 2008 si è passati a 45.000. Per effettuare la manutenzione dei mezzi, che effettuano migliaia di chilometri e non sono assolutamente nuovi ma hanno una media di 150.000 Km., la somma a disposizione è stata decurtata del 18 per cento passando da 400.000 a 330.000 euro. Il mantenimento dei detenuti è rimasto pressoché invariato, ma sicuramente insufficiente. Per mantenere i detenuti reclusi nelle carceri della Liguria, saranno spesi 3.133.000 euro, l’anno precedente ne sono stati spesi 3.577.000. In conclusione - continua Lorenzo - la Liguria avrà a disposizione poco più di 7.000.000 di euro per il funzionamento di tutto il sistema penitenziario. Napoli: Poggioreale; è il carcere più affollato di tutta l’Europa
Il Sole 24 Ore, 26 febbraio 2009
Poggioreale è il carcere più affollato della penisola e di qualunque altro penitenziario d’Europa. Alla fine di gennaio c’erano 2.544 detenuti, 1.200 in più dei posti regolamentari. I detenuti del carcere napoletano sono quasi tutte persone in attesa di giudizio, 2.200, e, anche in questo caso, nessun carcere in Europa arriva a tanto. Giustizia lenta e, carceri zeppe di gente che aspetta il processo. È l’Italia dei primati negativi. La foto scattata a Bruxelles qualche giorno fa ritrae una popolazione di 605mila detenuti nelle galere europee, di cui 59.419 rinchiusi in Italia: siamo tornati ai livelli pre-indulto. Germania e Regno Unito ne hanno 20mila in più, la Spagna viaggia sui 65mila e la Francia ci tallona. Ma sul fronte dei detenuti in attesa di giudizio, siamo i primi con 30.064 presenze su 130mila censite in Europa. Secondo i dati più recenti del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), i "giudicabili" sono il 51% dei carcerati; i "definitivi" il 46% (i restanti sono gli internati negli Opg). In Italia si fa più carcere prima del processo che dopo la condanna. L’eccesso di custodia cautelare è considerata una piaga nazionale, ma l’indignazione viaggia a corrente alternata con la voglia di carcere preventivo, come dimostra lo scandalo suscitato dagli arresti domiciliari concessi allo "stupratore di Capodanno" e l’immediata approvazione, al Senato, della norma che rende obbligatoria la custodia in carcere per gli stupratori. La Campania, la Regione con il maggior numero di detenuti in attesa di giudizio (4.351), seguita da Lombardia (4.272), Sicilia (3.533) e Piemonte (2.284). La Regione con più detenuti in assoluto è la Lombardia, con 8.109 presenze rispetto alle 7.378 della Campania e alle 7.034 della Sicilia. Tra i detenuti in attesa di giudizio, gli italiani (16.728) superano gli stranieri (13.336), che comunque sono il 38%: la più alta concentrazione, 3.572, è in Lombardia, mentre in Campania gli stranieri sono appena 910. La sovraffollata Lombardia è però la Regione più a corto di poliziotti in servizio nelle carceri: 4.211, la metà dei detenuti. Non stanno meglio Emilia-Romagna e Piemonte, mentre al Sud il rapporto agenti/detenuti sale e in Calabria è di 1 a 1. Napoli: io, detenuto a Poggioreale, tra violenza topi e degrado
www.radiocarcere.com, 26 febbraio 2009
Tentato furto. È questa la mia colpa. Una colpa che mi ha portato per 10 mesi nel carcere Poggioreale di Napoli, padiglione Milano. 10 mesi detenuto, non perché condannato, ma perché in attesa di giudizio. Poi, finalmente, l’udienza. La condanna e gli arresti domiciliari. Assurdo? No, a Napoli è normale. D’altra parte i giudici a Napoli stanno rovinati come noi detenuti. Noi non abbiamo le medicine? E loro non c’hanno neanche le penne. Così come è normale che a Napoli esista un posto come Poggioreale. Non un carcere, ma un inferno. Io sono stato rinchiuso in una cella di 5 mq insieme ad altri 9 detenuti. Tutti in attesa di giudizio e diversi anche innocenti. I letti a castello a tre piani occupavano quasi tutto lo spazio. E anche mangiare era un problema, non sapendo dove sederci. Inoltre la nostra era "nà cella rotta" come diciamo a Napoli. Vecchia e rovinata, come la maggior parte di quelle di Poggioreale. Con i muri senza intonaco, i buchi sul pavimento, piena di muffa e ruggine. Anche la finestra non si chiudeva e noi stavamo sempre al freddo. Ma a Poggioreale c’è altro. E quest’altro è la violenza. Gli agenti menano una media di 20 detenuti al giorno. C’è sempre chi prende calci e pugni. Per le botte, a Poggioreale, non c’è un giorno di festa. Anzi il sabato e la domenica è peggio, perché tra gli agenti c’è chi si ubriaca e quella violenza aumenta senza freno e senza controllo. Si viene menati per nulla, anche solo per aver chiesto l’aiuto del medico. È successo a un mio compagno cella. Aveva mal di denti e ha chiesto di poter andare dal medico. Dopo un po’ sono arrivati gli agenti e lo hanno fatto uscire dalla cella. Ma non lo hanno portato dal mendico. L’hanno menato e poi l’hanno fatto tornare in cella. Le botte. Quella è stata la cura che gli hanno dato per il mal di denti! Ormai sono abituati così. Il 14 gennaio, per esempio, con un sacerdote stavamo facendo catechismo in una stanzetta del piano terra. Dopo un po’, abbiamo sentito le urla di un detenuto che stava nella stanza accanto. Urla che noi sappiamo riconoscere. Erano le urla di chi veniva picchiato. Impauriti, abbiamo chiesto al sacerdote di intervenire. Ma lui ha fatto finta di nulla. Non siamo più andati a catechismo. A Poggioreale, oltre alla violenza, ci sono anche altre forme di repressione. Per esempio quando camminiamo per il corridoio, ci sono degli agenti che ci impongono di stare con le mani dietro la schiena e con lo sguardo a terra. Un’umiliazione che devi subire in silenzio perché sai altrimenti cosa ti può capitare! A Poggioreale ti scoppia la testa e rischi di perde il controllo, anche perché accadono cose assurde. Come quando, poco prima di uscire, sono sceso in infermeria per prendere delle medicine. È successo che, mentre ero lì ad aspettare, ho visto l’infermiere che ha aperto un armadietto e si è trovato di fronte un topo grande come un gatto. Non sapevo cosa pensare. Se c’era un topo nell’infermeria cosa poteva esserci in cucina? Poi c’è la pena per i nostri familiari. Moglie e madri che per fare un colloquio con noi devono aspettare 7 ore. 7 ore per un incontro che dura circa 40 minuti. È brutto sentire che tua moglie si è messa in fila fuori dal carcere alle 4 di mattina. È brutto sentirle dire che è stata perquisita facendole abbassare anche le mutande. È una cosa vergognosa e ingiusta. Come ingiusto è fare il colloquio in uno stanzone con altre 20 persone che urlano per poter parlare e con l’agente che, appena provi ad abbracciare tuo figlio, ti dice: "stai seduto!". Spesso all’ora d’aria discutiamo di quello che abbiamo letto su Radiocarcere. Ci interroghiamo sulla giustizia e sul carcere. Spesso ci domandiamo: se Poggioreale è illegale, come può insegnarci la legalità? Tentato furto, è la mia colpa. Una colpa che è giusto che io paghi. Ma qual è la colpa di chi può fermare questo degrado, ma non fa nulla?
Salvatore, 52 anni Piacenza: Fp-Cgil; tra affollamento e violenza un mix esplosivo
Redattore Sociale - Dire, 26 febbraio 2009
Parla Marco Martucci, coordinatore della Fp Cgil: "L’aggressione di Olindo Romano a un agente? Solo la punta dell’iceberg. In Emilia Romagna 600 guardie aggredite da detenuti negli ultimi 6 mesi. A Piacenza, 180 posti per 380 carcerati" Per un giorno il carcere di Piacenza ha "fatto notizia". Perché Olindo Romano, che qui sta scontando un ergastolo per la strage di Erba, ha aggredito un agente di polizia penitenziaria durante una lite. "Ma questo recente episodio è solo la punta di un iceberg. In realtà questi fatti di violenza nelle carceri sono all’ordine del giorno, a Piacenza come nel resto della regione". A dirlo è Marco Martucci, coordinatore della Polizia penitenziaria per la funzione pubblica Cgil dell’Emilia Romagna, che spiega la pesante situazione delle carceri regionali citando subito un dato: sono 600 le aggressioni a guardie carcerarie da parte dei detenuti registrate nell’ultimo semestre. "La figura di Olindo - continua Martucci - è cara ai media, e ora l’opinione pubblica parla di carcere duro. La realtà è un’altra: se dovessimo applicare il carcere duro per gli autori di questi episodi, dovremmo applicarlo a quasi tutti i detenuti". Il coordinatore fa presente quanto sia difficile controllare una situazione che sembra andare peggiorando giorno dopo giorno. "Il problema maggiore è quello del sovraffollamento, che causa tensioni non indifferenti - spiega Martucci -. Ora in Italia ci sono 60 mila detenuti, mentre la capienza tollerabile è di 43 mila. In Emilia Romagna la capienza massima è di 2.274 e attualmente si registrano 4.178 detenuti, mentre nel solo carcere di Piacenza, con un limite di 180 persone ospitabili, ci troviamo a doverne gestire 380". Questi sono i numeri per inquadrare una situazione che, assieme ad una forte carenza di personale - l’Emilia Romagna è una delle regioni con la maggior carenza d’organico, il 23% in meno del necessario - e ad una scarsità di risorse economiche da dedicare alla manutenzione delle strutture, diventa un mix esplosivo. "Le tensioni relative alla coabitazione sono tantissime, e scaturiscono anche dalla minima abitudine quotidiana. In carcere, a Piacenza, convivono detenuti di diverse nazionalità e anche di diversa tipologia: non esistono, come invece vorremmo, i circuiti penitenziari che separano i condannati a seconda del reato. Si crea una situazione intollerabile e si creano momenti di tensione e pericolo tra detenuti e detenuti, ma anche tra detenuti e polizia". Martucci sottolinea anche le difficili condizioni di lavoro degli agenti, che per otto ore si trovano spesso soli a dover far rispettare regole difficili, con la possibilità di essere chiamati per un’emergenza a qualsiasi ora. "Un agente di Polizia penitenziaria lavora in media per 50 o 60 detenuti. Nelle sezioni detentive dell’Emilia Romagna un agente arriva a dover lavorare per un numero che va da 50 a 100 detenuti". Ulteriori complicazioni porta la chiamata degli agenti penitenziari sulla strada, "che ha ridotto l’organico del carcere di Piacenza da 180 agenti presenti a soli 120. La media nazionale del rapporto personale/detenuti è di 1:2 - continua Martucci -, ma noi superiamo ampiamente questa proporzione. Inoltre le strutture devono far fronte ad una scarsità di risorse economiche per la manutenzione, e in molti casi sono partite male sin dalla nascita: a Piacenza, che è un carcere costruito tra il 1990 e il 1992, già da subito sono dovuti intervenire i vigili del fuoco per prevenire un crollo. Non c’è neanche lo spazio necessario. I 200 detenuti in eccesso hanno comportato l’apertura di reparti che di solito dovrebbero essere chiusi, come quello di isolamento, e ora i detenuti sono ammucchiati su materassi di fortuna, messi a terra per passare la notte". Una delle conseguenze è l’impossibilità di perseguire il compito rieducativo del carcere, che dovrebbe consentire ai detenuti di raggiungere il reinserimento sociale. "Non ci sono né soldi né personale per insegnare ai detenuti i mestieri più richiesti dal mondo del lavoro, in modo che una volta fuori possano reinserirsi dignitosamente, né per farli impegnare nello studio. E se, come affermano alcuni studiosi, le carceri sono uno spaccato della società, allora la situazione del Paese è grave". La funzione pubblica della Cgil ha lanciato vari appelli, e dopo la manifestazione del 28 novembre scorso è stato abbandonato il tavolo delle trattative con il provveditore regionale che, secondo il coordinatore Martucci, "non considera realmente le nostre proposte: abbiamo bisogno di altri 200 uomini, ma la regione ha intenzione di costruire a Piacenza un reparto osservandi, per le persone considerate incapaci di intendere e volere durante l’iter giudiziario. Il paradosso è che ci viene detto che i soldi ci sono per il nuovo reparto e per le strutture sanitarie, ma quando si parla dei problemi esistenti già da molti anni, non si riesce ad arrivare ad una soluzione. Noi chiediamo degli interventi di tipo normativo: il carcere solo per chi deve scontare pene lunghe; garantire il reinserimento del detenuto; avere le giuste risorse con almeno 3000 uomini in più a livello regionale". Piacenza: il giornale dei detenuti "Sosta forzata" compie 5 anni
Redattore Sociale - Dire, 26 febbraio 2009
Pubblicato insieme a "Il nuovo giornale", settimanale diocesano, organizza un premio di scrittura e corsi di formazione. La direttrice Chiappini: "Antidoto contro l’assuefazione all’ozio e il senso di inutilità". Festeggia cinque anni di attività il giornale della casa circondariale di Piacenza "Sosta Forzata". Nato da un laboratorio di giornalismo all’interno del carcere finanziato dalla Regione Emilia Romagna e dal Comune di Piacenza, ha da subito attirato l’attenzione de "Il nuovo giornale", il settimanale della diocesi di Piacenza-Bobbio, con il quale viene pubblicato sotto la direzione della giornalista Carla Chiappini e il supporto editoriale dell’associazione di volontariato "Oltre il muro". "L’intenzione principale era ed è quella di riportare il carcere nel cuore di Piacenza e dei piacentini, perché l’istituto si trova in aperta campagna e la lontananza dalla città porta anche ad una certa indifferenza da parte dei cittadini": così la direttrice racconta le origini e gli obiettivi del giornale. "Sosta forzata", nato con una tiratura di 4.000 copie ma che a volte ha raggiunto anche le 8.000, ha cercato nel corso della sua attività di coinvolgere gli enti culturali della città, organizzando un premio di scrittura e la giornata "Piacenza e il carcere", nella quale otto scuole superiori sono state coinvolte nel progetto di informazione sui problemi del carcere tramite attività come la visione di film, incontri tra studenti e volontari e tra studenti e responsabili del carcere. Progetto che è stato selezionato anche dal Coordinamento nazionale dei centri di servizio per il volontariato. "È una scommessa per i detenuti prendere coraggio e affidare i loro pensieri ad un giornale - continua la direttrice - . Questo è un passo molto difficile, ma quando si arriva ad un risultato mi riempie di gioia. Questo progetto ha coinvolto circa un centinaio di persone, che hanno dato un grosso contributo e buona parte del loro tempo alla sua crescita". Un modo per fuggire anche dall’assuefazione all’ozio che, "al contrario di quel che si pensa, è uno stile di vita pericoloso per i detenuti, che si lasciano vivere perdendo i normali ritmi della vita al di fuori del carcere e, soprattutto i giovani, sentono un pesantissimo senso di inutilità". "Il problema sta nel rifiuto a reagire di molti detenuti, ma anche nella carenza di personale", perché come spiega la Chiappini, "i pochi educatori che ci sono si dedicano a pratiche amministrative e la scuola coinvolge un numero non molto alto di persone, impedendo così di svolgere quella che dovrebbe essere la funzione rieducativa del carcere". La redazione, composta dai detenuti che fanno una domanda scritta di partecipazione, è variabile: cambia ogni anno e a volte ogni sei mesi, per cui uno dei compiti del direttore è creare un clima di fiducia tra i "colleghi" e spronarli a scrivere. "Mi sento come un allenatore di una squadra che deve curare ogni anno un gruppo diverso - racconta Carla Chiappini -. Il compito non è facile, perché alla base del lavoro della redazione c’è la fiducia, che in carcere è in generale scarsissima. Non ci si fida di nessuno, tanto meno dell’istituzione, e a volte arriviamo ad avere i primi scritti dei detenuti solo mesi dopo l’arrivo in redazione. Quando noto gli stimoli e la voglia di fare è bellissimo, e devo dire che gli stranieri danno un grosso contributo: anche senza la completa padronanza della lingua si impegnano per scrivere tanto". Roma: apre una mostra fotografica, sull'Opg di Reggio Emilia
Il Messaggero, 26 febbraio 2009
Soggetto degli scatti è l’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia, sito nel centro storico della città e composto da un pregevole ed antico complesso di fabbricati. Già esistente nel 1675 come convento dei Padri Lazzariti, fu modificato e parzialmente ricostruito nel 1751 dall’architetto Giambattista Cattani detto Cavallari. Nel 1796 il convento fu incamerato dal Demanio e convertito in carcere correzionale. Al 1896 risale la trasformazione del carcere in manicomio criminale con l’aggiunta di quattro padiglioni edificati nei primi decenni del 900,il tutto racchiuso da alte mura perimetrali, che lo rendono in gran parte precluso alla vista dall’esterno e scarsamente accessibile. Da convento a Ospedale psichiatrico giudiziario è rimasto attivo fino agli anni Novanta. "Le nostre città pullulano spesso di testimonianze storiche, di membra architettoniche abbandonate al disuso come corpi in stato comatoso vegetativo o tenute forzatamente in vita dall’accanimento terapeutico di improbabili cambi di destinazione d’uso. Alla loro muta presenza nel tessuto urbano, spesso in stridente contrasto con edifici che continuano ad assolvere la loro funzione di luoghi d’abitazione, ci siamo supinamente abituati. Di tanto in tanto ci ricordiamo di loro e li trattiamo come testimoni, documenti di un’arte e di un’architettura da manuale, tralasciando assai spesso la memoria da essi custodita, che rimanda a condizioni umane, spesso tragiche, che è scomodo ricordare. Sono edifici che somigliano assai a libri abbandonati, mai più sfogliati, lasciati alla corrosione dei devastanti agenti atmosferici; ma qualcuno potrebbe un giorno riaprirli, rileggere - pur tra i segni irreversibili che l’abbandono e il tempo hanno impresso - le storie che essi contengono. Luca Nocera ha aperto uno di questi edifici-libro. Lo ha riletto per noi attraverso quei segni materiali, testimoni di un’esperienza di vita, in esso rimasti sepolti e per noi lo ha trascritto in fulminanti racconti che trovano in fotogrammi la loro espressione. La storia è narrata da tetri testimoni di quella sopravvivenza, brandelli di arredo, oggetti d’uso quotidiano, povere ed essenziali attrezzature: una ripugnante cassetta di scarico, un lavabo malandato, un decrepito termosifone; insieme a questi si dispone quel che resta di avvilenti strumenti di segregazione, cui la ruggine e il disfacimento non hanno tolto la loro crudele funzione: sbarre, lucchetti, catenacci, serrature. Sotto l’obiettivo di Nocera attrezzature, arredi, mura, pavimenti, condutture, persa la loro originaria funzione diventano fedeli testimoni di una sopravvivenza al limite dell’umano che coinvolgeva insieme detentori e detenuti, ponendosi, alla fine, quale elemento grafico drammatico, quasi metafora, anche oltre il contesto ambientale nel quale si sono trovati"
Luca Nocera. Ex O.P.G 22 fotografie realizzate con macchina fotografica digitale e stampate su carta chimica in due formati 60x90 e 30x45 in tiratura 1/6. Inaugurazione: Sabato 28 febbraio alle ore 18.30. Periodo: 28 febbraio - 14 marzo 2009. Neo Art Gallery, Via Urbana, 122, Roma Immigrazione: ufficio europeo per gestione delle richieste d’asilo di Paolo Bozzacchi
Italia Oggi, 26 febbraio 2009
Un ufficio europeo per la gestione delle richieste di asilo degli immigrati clandestini. Questa l’idea della Commissione europea, che intende armonizzare meglio le numerose domande degli immigrati che riescono a raggiungere il territorio dell’Unione. La proposta è rivolta soprattutto ai paesi della sponda sud del territorio comunitario (in particolare Italia e Spagna), sulle cui coste approdano ogni anno decine di migliaia di clandestini. La creazione dell’ufficio per l’asilo era stata prevista già nel patto europeo per l’immigrazione e l’asilo proposto dal presidente francese Nicolas Sarkozy nel 2008 e poi adottato in autunno dai leader dei Ventisette. Ma con la proposta ufficiale di Bruxelles sembra poter diventare a breve realtà. "Una delle missioni di questo ufficio", ha spiegato il commissario alla Giustizia, la libertà e la sicurezza Jacques Barro, "sarà quella di fornire un’assistenza operativa o tecnica di esperti" in materia. Il responsabile Ue ha sottolineato però che "questo ufficio non avrà alcun potere decisionale, perché, lo dico e lo ripeto, in materia di asilo tocca alle autorità nazionali prendere la decisione di concederlo o rifiutarlo". In effetti, spiega una nota della Commissione, "l’Ufficio sosterrà l’impegno degli Stati membri nell’attuare una politica d’asilo più coerente ed equa, aiutandoli ad esempio ad individuare le buone prassi, organizzando formazioni a livello europeo e migliorando l’accesso a informazioni valide sui paesi d’origine. Avrà comunque il compito di coordinare le equipe di sostegno composte da esperti nazionali, cui potranno fare ricorso, su richiesta, gli Stati membri che devono far fronte ad afflussi massicci di richiedenti asilo nel loro territorio. Fornirà inoltre assistenza scientifica e tecnica ai fini dello sviluppo della politica e della legislazione in materia d’asilo". Il nuovo ufficio proposto della Commissione, in caso di rapido accordo dei Ventisette, potrebbe diventare operativo entro il 2010. Esso avrà la forma di un’agenzia, organismo europeo indipendente. La Commissione e gli Stati membri saranno rappresentati nel consiglio d’amministrazione, che sarà l’organo di direzione. Inoltre l’Ufficio lavorerà in stretta cooperazione con le autorità degli Stati membri competenti in materia d’asilo, e con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Bruxelles ricorda che le attuali modalità d’attuazione del diritto d’asilo mostrano che esistono grandi divergenze fra le prassi degli Stati membri per quanto riguarda le domande di protezione internazionale. "Un iracheno, ad esempio", ricorda la nota, "ha il 71% di possibilità di ottenere tale protezione in uno Stato membro e il 2% in un altro". Per questo Barrot ha annunciato che nei prossimi mesi proporrà "l’armonizzazione delle procedure di asilo", e, successivamente, una "definizione di rifugiato" comune a tutta l’Ue. L’Ufficio verrebbe finanziato mediante i fondi attualmente previsti per i rifugiati e funzionerebbe come un’agenzia di regolazione. I suoi lavori potrebbero come detto cominciare già nel 2010, anche se non ne è ancora stata decisa la sede. Usa: Rapporto Annuale sul rispetto dei Diritti Umani nel mondo
www.zenit.org, 26 febbraio 2009
Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha pubblicato il suo rapporto annuale sul rispetto dei diritti umani nel mondo. Il volume, intitolato "The Country Reports on Human Rights Practices for 2005", riporta dati relativi a 196 Paesi. Come di consueto, il rapporto solleva anche le critiche di quei Paesi che non gradiscono il fatto di essere oggetto di una pagella espressa dagli Stati Uniti. La Cina, da parte sua, ha contrattaccato esprimendo critiche sulla situazione dei diritti umani negli stessi Stati Uniti, secondo il New York Times. "Come negli scorsi anni", ha dichiarato il Consiglio di Stato cinese in un comunicato, "il Dipartimento di Stato ha puntato il dito contro la situazione dei diritti umani in più di 190 Stati e regioni, tra cui la Cina, ma ha taciuto in merito alle gravi violazioni dei diritti umani che avvengono negli Stati Uniti". Anche la Russia ha espresso la propria insoddisfazione. La Reuters ha riportato le parole del Ministro degli Esteri: "Purtroppo questi rapporti non imparziali rischiano di frapporsi allo sviluppo di buone relazioni fra Russia e Stati Uniti". Nell’introduzione, il rapporto espone sei considerazioni generali, basate sui dati che sono stati raccolti: I Paesi in cui il potere è concentrato nelle mani di responsabili che non devono rendere conto del proprio operato risultano essere quelli che violano in modo più sistematico i diritti umani. Questi Stati hanno delle forme di governo che variano da quelle dei sistemi totalitari chiusi, in cui i cittadini sono sottoposti ad una generale privazione dei diritti fondamentali, a quelle in cui i sistemi autoritari esercitano gravi restrizioni nei confronti di tali diritti. I diritti umani e la democrazia sono strettamente legati tra loro e sono entrambi essenziali per una stabilità e una sicurezza a lungo termine. Le Nazioni libere e democratiche che rispettano i diritti dei cittadini pongono in questo modo le basi per una pace duratura. Tra le violazioni più gravi dei diritti umani vi sono quelle commesse direttamente dai Governi nell’ambito di conflitti armati interni o transfrontalieri. L’oppressione della società civile e dei mezzi di comunicazione implica la violazione delle libertà fondamentali d’espressione, di associazione e di assemblea. Per contro, una società civile forte, con la presenza di mezzi di comunicazione indipendenti, contribuisce a creare le condizioni per un vero rispetto dei diritti umani. Le elezioni democratiche di per sé non assicurano il rispetto dei diritti umani. Tuttavia, esse possono collocare il Paese sulla via delle riforme e porre le basi per l’istituzionalizzazione della tutela dei diritti umani. La via delle riforme democratiche e del rispetto dei diritti umani non è né lineare né garantita. I passi in avanti che vengono compiuti possono essere segnati da irregolarità e da gravi battute d’arresto.
Le gravi violazioni
Le lamentele della Cina sono state forse innescate dalle forti critiche espresse dal Dipartimento di Stato Usa. I dati sul suo rispetto dei diritti umani rimangono comunque negativi secondo il rapporto, per il quale il Governo di Pechino continua a "commettere numerose gravi violazioni". Tra queste figurano le seguenti: violenze fisiche con conseguenti decessi durante la detenzione; oppressioni, arresti e detenzioni di persone considerate pericolose per l’autorità di partito e di governo; sistema giudiziario controllato politicamente e assenza in taluni casi di un giusto processo; maggiori restrizioni alla libertà di parola e di stampa; repressioni di minoranze culturali e religiose; lavoro forzato. Anche i dati relativi alla Corea del Nord sono stati posti sotto accusa. Tra le violazioni evidenziate nel rapporto figurano: uccisioni stragiudiziarie, sparizioni e detenzioni arbitrarie; aborti forzati e infanticidi in prigione; mancanza di indipendenza del sistema giudiziario e di un giusto processo; negazione del diritto alle libertà di parola, di stampa e di associazione. Il Dipartimento di Stato calcola che attualmente siano detenute, anche per motivi politici, tra le 150.000 e le 200.000 persone in campi di prigionia in aree remote. Secondo i resoconti, le condizioni di vita dei prigionieri politici in questi campi sono estremamente dure e si pensa che molti internati non siano in grado di sopravvivere.
Il continente africano
La sezione sull’Africa evidenzia numerosi problemi. In Congo, ad esempio, il controllo del Governo rimane debole su alcune zone del Paese in cui i gruppi armati operano liberamente. E persino dove il Governo esercita l’autorità, le istituzioni sono generalmente incapaci di mantenere un controllo effettivo delle forze di polizia, le quali, secondo il rapporto, sono responsabili di numerose violazioni dei diritti umani e godono di impunità, in particolare nella parte orientale. Il Sudan è un altro Paese con gravi problemi per i diritti umani. Sia il Governo che le forze paramilitari che operano con il sostegno dello Stato si sono resi responsabili di gravi violazioni l’anno scorso. Il Dipartimento di Stato cita dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo i quali si stima che i conflitti abbiano provocato 70.000 morti civili e 1,9 milioni di rifugiati. Anche lo Zimbabwe è indicato come uno dei Paesi con una situazione dei diritti umani "molto carente". Nel corso dell’ultima campagna elettorale, il Governo ha interferito sistematicamente con le attività dell’opposizione. Il rapporto menziona inoltre la campagna governativa volta a demolire presunte abitazioni abusive. A causa di questa campagna, più di 700.000 persone hanno perso la casa, e molti hanno perso anche l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria.
Impunità legale
Quanto al continente europeo, il capitolo sulla Russia segnala violazioni dei diritti umani nei conflitti relativi alla Cecenia. Sia le forze federali che quelle del Governo ufficiale ceceno hanno generalmente goduto di una impunità legale. Secondo il rapporto, infatti, non è stato riscontrato alcun impegno delle autorità federali diretto ad arginare le diffuse violazioni dei diritti umani. Nella stessa Russia, il Dipartimento di Stato Usa esprime preoccupazione per la progressiva centralizzazione del potere nelle mani dell’Esecutivo, combinata con le continue restrizioni alle libertà dei mezzi di comunicazione e con il consenso del Parlamento. Vengono inoltre evidenziate la presenza della perdurante corruzione, di una legalità non imparziale, di pressioni politiche sul potere giudiziario e di un’oppressione nei confronti delle organizzazioni non governative. Qualche sviluppo positivo, però, c’è stato. Secondo il rapporto, in una serie di casi il potere giudiziario ha dimostrato maggiore indipendenza. E le riforme avviate negli anni precedenti continuano a produrre miglioramenti nella gestione della giustizia penale. Le autorità hanno anche cercato di fronteggiare i problemi di discriminazione razziale ed etnica. Anche molte delle Repubbliche nate dalla disgregazione dell’Unione Sovietica risultano avere gravi problemi nel rispetto dei diritti umani, secondo il rapporto. Ad esempio, in Azerbaijan vi sono stati decessi dovuti alle torture e ai maltrattamenti dei prigionieri, mentre alcuni oppositori politici sono stati arrestati e detenuti arbitrariamente. In alcune zone della Bielorussia la situazione è peggiorata, a causa delle "numerose gravi violazioni" commesse dal Governo. Tra i fenomeni registrati vi sono la scomparsa di giornalisti e personalità politiche dell’opposizione; l’arresto e la detenzione arbitraria per motivi politici; la mancanza di indipendenza del potere giudiziario; la messa fuori legge di organizzazioni non governative e di confessioni religiose.
Il Medio Oriente
I Paesi mediorientali continuano ad avere gravi problemi nell’ambito dei diritti umani. In Arabia Saudita vi sono stati arresti arbitrari, violazioni della privacy, restrizioni delle libertà civili e religiose e assenza di un potere giudiziario indipendente, secondo il rapporto Usa. Nello scorso anno c’è stato ad ogni modo qualche progresso. Per la prima volta dal 1963 si sono svolte le elezioni di qualche organo governativo, anche se alle donne non è stato consentito di votare o di essere elette. Il Dipartimento di Stato ha inoltre osservato che nel corso del 2005 è aumentata l’attenzione dell’opinione pubblica per i diritti umani e che, diversamente dagli anni precedenti, nei mezzi di comunicazione vi è stato qualche dibattito sui diritti. L’Iran è stato oggetto di forti critiche. Il rapporto Usa ricorda che il 16 dicembre scorso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione in cui esprime forti preoccupazioni per il rispetto dei diritti umani nel Paese. Tra i problemi sollevati vi sono le esecuzioni sommarie, anche contro i minori; le violenze perpetrate da gruppi di polizia paragovernativi; arresti e detenzioni arbitrarie; gravi restrizioni alla libertà religiosa. E con i più recenti sviluppi relativi alla questione del suo programma nucleare, le voci di critica contro l’Iran stanno aumentando.
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