Rassegna stampa 1 dicembre

 

Giustizia: vendere vecchie carceri per finanziare quelle nuove

 

Apcom, 1 dicembre 2009

 

Vendere le vecchie carceri per finanziare la costruzione di nuove strutture penitenziarie e adeguare così il sistema carcerario italiano, malato di sovraffollamento cronico, agli standard europei. È l’obiettivo di un emendamento del governo alla Finanziaria che riprende una vecchia idea del titolare dell’Economia, Giulio Tremonti. La proposta del governo apre quindi alla possibilità di cedere carceri che si trovino in luoghi "appetibili" dal punto di vista logistico o architettonico a costruttori a fronte dell’edificazione di nuove strutture.

Il capo del Dap, si legge nel testo dell’emendamento, "individua le infrastrutture carcerarie ovvero le aree aventi la medesima destinazione, la cui proprietà possa costituire, per le particolari caratteristiche architettoniche o di allocazione, corrispettivo in sostituzione totale o parziale delle equivalenti somme di denaro, nei contratti per la realizzazione di nuove infrastrutture carcerarie".

Giustizia: Ionta; con Finanziaria 500 milioni per le nuove carceri

 

Adnkronos, 1 dicembre 2009

 

"Per far fronte alla grave e urgente emergenza dovuta al sovraffollamento delle carceri sono stanziati 500 milioni di euro". Lo prevede un emendamento alla Finanziaria 2010, presentato dal governo e in attesa del giudizio di ammissibilità. Le risorse saranno destinate anche agli "interventi necessari per conseguire la realizzazione di nuove infrastrutture carcerarie o l’aumento della capienza di quelle esistenti a garantire una migliore condizione di vita dei detenuti". È il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a procedere per la realizzazione dei singoli interventi "con riferimento ad ogni fase dell’investimento e ad ogni atto necessario per la sua esecuzione. Il commissario - si legge nell’emendamento - provvede in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto comunque della normativa comunitaria dell’ordinamento giuridico, avvalendosi in qualità di stazioni appaltanti, anche dei competenti uffici del ministero delle Infrastrutture".

Giustizia: Ferranti (Pd); si va verso privatizzazione del carcere

 

Il Velino, 1 dicembre 2009

 

"È il primo passo per la privatizzazione delle carceri". Così la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti commenta gli emendamenti presentati oggi dal governo. "Anziché preoccuparsi - continua - di come garantire la ristrutturazione e l’ammodernamento delle carceri e la costruzione di nuove ed aggiuntive strutture, il governo si preoccupa di verificare quali degli attuali stabilimenti possono essere appetibili per gli investimenti privati. È il primo passo verso una non limpida privatizzazione. E poi - conclude Ferranti - i fondi stanziati per il piano carceri sono abnormemente insufficienti: pannicelli caldi che non risolvono il grave problema del sovraffollamento dei nostri istituti di pena".

Giustizia: Alfano; così la questione carcere ha rilievo europeo

 

Agi, 1 dicembre 2009

 

Le carceri e il problema del sovraffollamento sono ufficialmente entrate nell’agenda europea grazie al lavoro svolto dal governo italiano negli ultimi mesi. Lo ha affermato il ministro della Giustizia Angelino Alfano durante la conferenza stampa al Consiglio europeo giustizia e affari interni.

"Voglio sottolineare il successo dell’Italia sulla questione delle carceri, che sino a pochi mesi fa era considerata come una problematica estranea all’Ue, e che ora invece è diventata ufficialmente europea" con il suo inserimento nel Programma di Stoccolma, ha dichiarato Alfano.

Molti paesi Ue patiscono infatti il problema del sovraffollamento delle strutture di detenzione derivanti da detenuti non nazionali ma stranieri. Era quindi tempo che l’Ue riconoscesse questo problema come "materia europea", ha spiegato Alfano, "consacrando il principio del riconoscimento reciproco nell’ambito della detenzione".

Nella nuova agenda europea lanciata dal programma di Stoccolma, ha raccontato Alfano, sono stati introdotti "lo scambio delle migliori prassi, il lancio di progetti pilota a livello europeo e l’invito alla Commissione europea di riflettere sul tema carcerario nell’ambito delle nuove possibilità aperte dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona", ha concluso il ministro della Giustizia.

Giustizia: Staderini (RI); vera soluzione, è un’amnistia mirata

di Alessandro Barbera

 

La Stampa, 1 dicembre 2009

 

"Il dramma del Paese non sono i processi di Berlusconi, ma i milioni di italiani senza giustizia, l’amnistia strisciante che ogni anno cancella duecentomila procedimenti. La prescrizione breve è una farsa, una soluzione peggiore del male. Noi abbiamo una proposta diversa ed estrema". Mario Staderini, classe 1973, è segretario di Radicali Italiani da due settimane. Come da tradizione della casa, non si iscrive al partito dei giudici né a quello dei loro detrattori. "Se la discussione è quella fra le due solite fazioni andrà a finire come sempre: non cambierà nulla".

 

E invece? Lei che propone?

"Bisogna avere il coraggio di spiegare agli italiani la necessità di una grande amnistia legale e selettiva, escludendo solo alcuni reati come quelli di mafia o di allarme sociale".

 

Il governo Prodi ha fatto una cosa simile. È opinione comune che non sia servita.

"Quello fu un indulto: si intervenne sugli effetti della pena, non sui processi. Ad esso poi non seguì nessuna riforma della Giustizia né del sistema carcerario, di cui ci sarebbe bisogno".

 

 

Ipotizziamo che la sua proposta faccia proseliti. Il centrodestra chiederà di far rientrare nell’amnistia i processi a carico del premier.

"Se fosse la condizione per restituire agli italiani una giustizia che funzioni, non sarebbe una tragedia".

 

Insomma, siete disposti ad un esercizio di realpolitik.

"Io la definisco una scelta laica per governare un problema enorme. Vorrei mettere in fila qualche numero. In Italia per ottenere ragione in una causa civile occorre attendere 1.400 giorni. In Francia ne bastano 75. Il 40% dei detenuti in carcere ci sta in conseguenza di reati senza vittime: dallo spaccio al mero consumo di stupefacenti. Circa la metà dei detenuti totali è in custodia cautelare, dunque presunti innocenti".

 

Dove sta la giustizia per i più deboli in questa proposta?

"Chi gode dell’amnistia dovrebbe pagare un risarcimento alle controparti. Entro tre mesi il giudice, sulla base degli atti a disposizione, stima l’entità dei danni. Facciamo il caso degli azionisti Parmalat: se Tanzi volesse godere dell’amnistia, dovrebbe mettersi le mani in tasca e restituire il maltolto. Con la prescrizione breve non pagherebbe una lira".

 

Nell’amnistia dovrebbe finire anche il reato di concorso esterno di associazione mafiosa?

"Noi Radicali lo diciamo dai tempi di Sciascia: quel reato è estraneo alla cultura giuridica occidentale".

 

Andrà al Berlusconi no-day?

"Capisco i buoni propositi del promotori, molti dei quali miei ottimi amici, ma eviterei di trasformare la piazza in una piazzata. Siamo abituati a manifestare per degli obiettivi. In questo caso non ne vedo".

 

L’obiettivo c’è eccome: far cadere Berlusconi.

"I governi non li si abbatte scendendo per strada, ma con un’alternativa politica".

Giustizia: Corleone; eliminare "torture e trattamenti inumani"

di Franco Corleone

 

Il Sole 24 Ore, 1 dicembre 2009

 

Le carceri oggi appaiono sempre più un campo di battaglia con morti e feriti e l’affermazione del diritto costituzionale alla salute rischia di risultare una vana proclamazione retorica rispetto alla durezza della realtà. È indispensabile ricordarsi costantemente la ragione della lunga lotta per il passaggio della sanità penitenziaria al sistema sanitario pubblico.

Non si trattava di cambiare una targa o di passare dalla burocrazia corporativa a quella delle Asl, ma di rompere la logica autoreferenziale dell’istituzione totale e le connivenze ai danni dei diritti delle persone private della libertà. Insomma dare priorità assoluta al valore della trasparenza rispetto ai vizi prodotti dall’ossessione securitaria.

Questo passaggio richiede un coraggio riformatore molto forte senza soggiacere a ricatti più o meno espliciti. La vicenda di Stefano Cucchi da questo punto di vista deve essere di monito. Il comportamento dei medici in ospedale e in particolare nel repartino bunker del “Pertini” è stato improntato a logiche non solo deontologicamente scorrette, ma contrarie ai principi di umanità e di rispetto dei diritti. Il ricovero ospedaliero non può avere caratteristiche tali da limitare il diritto alla cura per il paziente e per il personale sanitario; di norma si dovrebbe prevedere una misura di incompatibilità con la detenzione per il tempo necessario.

Il carcere oggi non è il luogo che ospita solo la grande criminalità, infatti la gran massa di presenze è il frutto della dichiarazione di guerra alla droga e all’immigrazione clandestina, per cui si è trasformato in un ospedale da campo, in un lazzaretto in cui prevalgono tossicodipendenti, poveri ed emarginati.

Si tratta di un laboratorio del welfare degli ultimi, in cui occorre sperimentare modelli originali di intervento. Gli obiettivi della cartella clinica informatizzata e le campagne di screening delle patologie più delicate, devono essere accompagnate da misure di emergenza come l’adeguamento dei materassi allo standard di quelli degli ospedali civili e da cure odontoiatriche complete per tutti i detenuti.

Lo stile di lavoro dei medici dovrebbe riprendere la tradizione dei medici condotti del passato delle nostre campagne. Andare di cella in cella per individuare le condizioni di chi è depresso, isolato e non ha la forza di chiedere la visita. Occorre rompere la prassi per cui si deve fare la “domandina” per vedere il medico. Soprattutto eliminando le pratiche di tortura o i trattamenti inumani e degradanti e soprattutto i suicidi e prevenendo l’autolesionismo che fa scorrere molto sangue nelle notti infernali. Sarebbe un cambiamento copernicano.

Giustizia: Fleres; situazione difficile, usiamo misure alternative

 

L’Opinione, 1 dicembre 2009

 

Gli episodi accaduti negli ultimi tempi negli istituti di pena italiani, decessi, sommosse, tentate evasioni, hanno riportato prepotentemente alla ribalta la difficile situazione in cui versa il "pianeta carcere" del nostro Paese. Le circa 200 strutture penitenziarie italiane attualmente utilizzate, alla data del 18 novembre 2009, hanno una capienza di 43.074 detenuti, estendibile ad una capacità massima consentita pari a circa 64.111 unità. Se si pensa che alla stessa data il numero dei detenuti è superiore al massimo consentito, allora si capisce come grande e urgente sia la soluzione del problema, che riguarda anche molti altri aspetti. A tal proposito abbiamo ascoltato il senatore del Pdl, Salvo Fleres, garante dei diritti dei detenuti in Sicilia e coordinatore nazionale dei garanti regionali.

 

In questi giorni si è parlato molto del sistema penitenziario del nostro Paese. Qual è la situazione attuale?

È sicuramente una situazione molto difficile e complessa. Attualmente in Italia ci sono oltre 65.702 detenuti dei quali 24.326 sono immigrati e più di 19.000 risultano tossicodipendenti e condannati per reati legati allo loro condizione sanitaria. Questi numeri sono sufficienti per comprendere come le condizioni di vivibilità intracarceraria diventano insopportabili e disumane per i detenuti e assolutamente difficili e stressanti per gli agenti di polizia.

 

Quali sono le condizioni di lavoro della polizia penitenziaria?

Gli agenti di polizia hanno turni massacranti e al limite dei diritti dei lavoratori, e non solo a causa di un numero maggiore di detenuti sui quali occorre vigilare. Su un numero complessivo di 35.287 agenti, gli effettivi sono circa 34.000 con una riduzione di quasi 5000 unità negli ultimi cinque anni rispetto all’organico. Per questo ho proposto il rientro immediato del personale di custodia adibito ad altre funzioni e una redistribuzione dello stesso per una migliore efficienza della loro attività.

 

Come pensa di risolvere il problema dei tanti extracomunitari che affollano le nostre carceri?

Con accordi internazionali che consentano di far scontare la pena ai condannati stranieri nei loro paesi di origine, con il limite però per quei paesi dove è consentito l’uso della tortura e la pena di morte o dove non vi sono garanzie circa il rispetto delle convenzioni internazionali sui diritti umani.

 

E per quanto riguarda i tossicodipendenti?

Credo che delle convenzioni con comunità e strutture adibite per il loro recupero, anche per quei soggetti che sono sottoposti a cure psichiatriche, possano ovviare alla loro detenzione in carcere.

 

Un grande problema della situazione penitenziaria sono le stesse carceri, spesso situate in edifici inadeguati. Quale soluzione ritiene possibile?

Sicuramente la chiusura immediata delle strutture eccessivamente fatiscenti che determinano un trattamento inumano per i detenuti e anche per l’attività degli stessi operatori dell’amministrazione penitenziaria e, contemporaneamente, l’apertura di carceri già realizzate ma mai aperte a causa della lentezza burocratica. Ritengo inoltre che occorre recuperare le strutture penitenziarie con interventi infrastrutturali che rendano civile la detenzione e meno stressante l’attività dei vigilanti. Per fare un esempio, la mancanza di docce nelle celle, oltre a rendere difficile la permanenza per i detenuti, soprattutto nei mesi caldi, obbliga un’attività supplementare degli agenti che li devono seguire nel percorso e poi restare presenti durante l’utilizzo.

 

Quindi ci vogliono nuovi penitenziari?

Sono convinto che si debba ricorrere immediatamente al project financing per la dismissione di quelle carceri che sono ubicate nei centri storici, in vecchi edifici prebellici che non offrono alcuna garanzia dal punto di vista igienico, e per la realizzazione di nuove e moderne strutture che possono favorire, con la presenza di centri di socializzazione ,impianti sportivi, laboratori e aule scolastiche, il percorso rieducativo dei detenuti.

 

Una situazione difficile è anche quella dei bambini che sono "detenuti"con le loro madri.

A riguardo la mia proposta è quella di recuperare le strutture penitenziarie piccole non più in uso e destinarle a figure particolari del panorama carcerario, come appunto le donne in presenza di prole, utilizzate quindi come una casa famiglia.

 

Crede che, per quanto riguarda i detenuti per reati minori, sia possibile un diverso atteggiamento detentivo?

Fermo restando che bisogna garantire comunque la certezza della pena, sia quella alternativa che quella intramuraria, credo sia possibile l’applicazione di pene alternative per i reati minori. Per questo ho suggerito la realizzazione di strutture carcerarie a custodia attenuata per questi reati e anche per alcune tipologie di rei: incensurati, superiori ad una certa età, malati.

 

A proposito di detenuti malati…

Ritengo che per risolvere questo problema sia necessario un accordo nazionale con il Ministero della Salute che preveda la presenza in ogni ospedale situato in città sede di un Istituto penitenziario, o almeno in ogni provincia, di un reparto "blindato" per il ricovero di detenuti, migliorando così l’aspetto medico-sanitario riducendo i costi di sorveglianza.

Giustizia: direttore Reggio C.; non ci sono soluzioni praticabili

 

www.nuovasocieta.it, 1 dicembre 2009

 

Non è certo fresca di nomina la dottoressa Maria Carmela Longo a direttrice del carcere di Reggio Calabria. Infatti è stata assunta nell’Amministrazione Penitenziaria con il profilo professionale di Direttore Penitenziaria il 30 maggio del 1991. Dal 16 agosto 2005 ricopre la qualifica di Dirigente Penitenziario. Ha poi prestato servizio, in ordine cronologico presso, la Casa Circondariale di Como (dal 30 maggio 1991 al 29 novembre 1995), Varese (dal 30 novembre 1995 al 9 ottobre 1997), poi quella di Paola (dal 10 ottobre 1997al 14 maggio 2004) ed ora dirige la Casa Circondariale di Reggio Calabria.

Il suo curriculum si arricchisce anche di attività di docenza presso la Scuola di Formazione dell’Amministrazione Penitenziaria di Verbania e presso le Scuole di Polizia Penitenziaria di Catania. In veste di direttore della Casa Circondariale di Reggio Calabria l’abbiamo intervistata.

 

Dottoressa Longo dopo tanti anni del suo lavoro come direttrice di una istituzione penitenziaria, si ritrova soddisfatta del suo lavoro? Vede una speranza per questa struttura in futuro? Oppure c’è il rischio di, tra virgolette, deprimersi a lavorare in questa situazione?

"Sicuramente questa situazione incide, ma depressa no, assolutamente! Per come si presentano gli scenari futuri non sono ottimista: non ci sono nel panorama futuro soluzioni praticabili o risolutive dei nostri problemi, io perlomeno le ignoro.

 

Continuiamo a ripetere che del carcere in effetti non importa niente a nessuno, il problema è nostro e ce lo teniamo.

Lo stesso Piano Carceri è pronto dall’aprile 2009, ma al Consiglio dei Ministri non è ancora arrivato. E allora viene da pensare che manchi una volontà seria ed effettiva di trovare una soluzione, condivisibile o meno. Tutto questo invece ad oggi non c’è, non si ha notizia, non si ha idea, ma neanche di tempi e di previsioni, di obiettivi a lungo termine..."

 

Il ministro della giustizia Alfano ha dichiarato "Le nostri carceri per la metà sono fuorilegge". Lei cosa pensa di questo? È da oggi solo o da qualche hanno che la situazione si presenta così?

"Bisogna vedere cosa intendiamo con questa affermazione. Se vuol dire che non sono a norma di regolamento di esecuzione allora sì, è dal Duemila che molti istituti di pena sono fuorilegge: all’epoca, quando fu modificato il regolamento di esecuzione, fu disposto che le celle dovessero avere all’interno la doccia, l’acqua calda, tutte condizioni che si sono o parzialmente o per niente realizzate all’interno degli istituti penitenziari di tutta Italia. Il carcere di Reggio Calabria rientra in quelli dove non c’è stato l’adeguamento. Degli altri con precisione non so dire. So che il mio sicuramente non è a norma"

 

Il nostro Ordinamento Carcerario istituito nel 1975 dice testualmente: "Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona.

Il trattamento improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose (...). Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi".

 

Funziona ancora oggi o possiamo tranquillamente cancellarlo?

"E come può funzionare se non viene rispettata la dignità delle persone che non hanno a disposizione quello che gli dovrebbe essere riconosciuto, cioè lo spazio minimo vitale? C’è sicuramente lo sforzo affinché venga riconosciuto. Ma nei fatti, nella concretezza quotidiana diventa pressoché inapplicabile. Mi spiego meglio. Il trattamento rieducativo passa attraverso il lavoro dei detenuti, primo elemento fondamentale. Però non ci sono i soldi per pagare le retribuzioni.

Altro esempio sono rapporti con la famiglia. Sarebbe auspicabile un incremento degli incontri con i familiari, di fatto non praticabile laddove vi è carenza di personale di Polizia penitenziaria per il controllo e la sorveglianza. Stessa cosa vale per l’istruzione. Le nostre attività, dunque, non si possono realizzare per mancanza di personale per il controllo.

C’è da dire invece che, nell’ultimo periodo di quest’anno 2009, la nostra amministrazione centrale ha assunto un congruo numero di educatori in tutta Italia e ancora pare ne assumerà. Ma non è con le figure professionali che si realizza il trattamento: la norma dice che esso si realizza attraverso il lavoro che non c’è. Un esempio? Qui lo scorso anno 2008 più di un terzo dei detenuti lavoravano, oggi non lavora quasi più nessuno".

 

Non vengono dall’esterno associazioni di volontariato e cooperative sociali o di lavoro con progetti mirati al reinserimento lavorativo?

"No, no, qui in meridione no. Assolutamente. O meglio, per ora sono realtà nuove e qui da noi l’approccio con il carcere è molto più difficile rispetto al nord Italia. Ho lavorato quasi dieci anni in Lombardia e so bene che in quelle regioni c’è un associazionismo e delle cooperative attente e sensibili. Nel meridione queste realtà stanno nascendo ora".

 

Vuol dire che nel carcere che lei dirige non ci sono attività pratiche per poter rendere attivo il carcerato, soprattutto poi per quando uscirà fuori per reinserirlo nel mondo lavorativo?

"Le rispondo con un no secco. Ripeto, ci sono state fino allo scorso anno 2008, quest’anno niente. In maniera molto franca e spicciola le rispondo che non ci sono soldi e personale. È sempre quello il problema!"

 

Parliamo di suicidi in carcere. C’è un suo collega Antonio Fullone, direttore della struttura penitenziaria di Verona, che dice che il suicidio di un detenuto è "una sconfitta su cui è impossibile non riflettere" (fonte: DNews, 3 novembre 2009). Cosa pensa lei di chi si toglie la vita in carcere e delle morti cosiddette "misteriose" che avvengono lì dentro?

"Sì, condivido ciò che dice il collega: il suicidio è sempre e comunque una sconfitta, noi ne abbiamo fatto esperienza. Molte volte, laddove avevamo investito in energie e impegno professionale, la risposta della persona è stata quella del togliersi la vita. Ma lì entrano in gioco molti elementi: molte volte il detenuto non ha la capacità e la forza di reagire di fronte ad un evento familiare, personale comunque traumatico.

Io però non ingigantirei più di tanto la cosa perché comunque lo stesso fenomeno c’è anche fuori, niente di più e niente di meno. Certo, le statistiche dicono che i suicidi in carcere sono maggiori di quelli che avvengono fuori, perché probabilmente le condizioni ambientali incidono molto. Forse è vero che si può morire di carcere, è possibile, ma non è una regola".

 

Ma il rispetto dei diritti umani, il fatto che in Italia per esempio non ci sia il reato di tortura, fa legittimare certe situazioni che invece dovrebbero essere le "mele marce" da mettere fuori, non crede?

"La mia esperienza non dice questo. Io purtroppo di suicidi ne ho visti parecchi e so che comunque quelli a cui ho assistito erano dettati da situazione personali o giudiziarie. Ma non parlerei neanche di tortura in senso stretto, in senso negativo, della tortura fisica.

Certo il carcere è un ambiente da tortura, è ovvio: non essere padroni del proprio tempo è una privazione della libertà. Però non potrebbe essere diversamente. Certo, va bene che al detenuto debbano essere garantite condizioni di vita adeguate, ma non dimentichiamo che il carcere è carcere, altrimenti verrebbe meno il ruolo di difesa sociale. Sì perché il carcere ha un doppio mandato: e cioè che l’attenzione non deve solo vertere sulla rieducazione, perché il primo scopo è quello della difesa sociale. Esso deve garantire la custodia dei soggetti che comunque hanno commesso un reato, e questo non lo possiamo dimenticare.

Che poi debba tendere alla rieducazione è un qualche cosa che viene dopo, che deve trovare tra l’altro il consenso del detenuto stesso, perché non è detto che tutti i soggetti carcerati vogliano rieducarsi"

Giustizia: i detenuti impiegati in agricoltura crescono del 71%

 

Redattore Sociale - Dire, 1 dicembre 2009

 

Meno crimini tra chi ha lavorato in carcere. Presentate a Roma alcune proposte per migliorare l’impiego di agricoltura nelle carceri italiane, fenomeno in crescita nonostante il contesto sfavorevole.

"Tutti i dati ci dicono che la recidività tra detenuti impiegati in attività lavorative professionalizzanti è infinitamente più bassa di chi non ha questa opportunità". Anna Ciaperoni, vicepresidente dell’Associazione italiana agricoltura biologica (Aiab), ci tiene a sottolineare anche la convenienza sociale di una buona qualità della pena, "di cui il lavoro costituisce un aspetto importante". E lo ha fatto nel corso del convegno "Potenzialità e problematiche del lavoro agricolo nelle carceri", che si è svolto ieri a Palazzo Valentini a Roma. Secondo Ciaperoni, che è responsabile agricoltura sociale per Aiab, "se i benefici per i detenuti di un’attività lavorativa professionalizzante o le convenienze per l’impresa sono evidenti, meno percepita è la convenienza sociale di questi processi, anche dal punto di vista delle politiche della sicurezza".

Oltretutto, Il convegno organizzato da Aiab cade in un momento particolarmente drammatico per l’istituzione penitenziaria. Le carceri sono strapiene. Il sovraffollamento ha raggiunto i livelli più alti dal dopoguerra: 20 mila detenuti in più rispetto ai posti regolamentari. Ciò determina condizioni di vita pesantissime e degradanti per i detenuti.

"Non c’è dubbio che questa situazione di emergenza penalizza anche le attività lavorative, che richiedono progettazione, investimenti, personale di custodia dedicato, ecc…", spiega Anna Ciaperoni. E continua: "Nonostante ciò in questo drammatico panorama per quanto riguarda il lavoro agricolo abbiamo trovato un quadro di segno positivo. In un contesto in cui da almeno un decennio la percentuale dei detenuto che lavorano resta ferma al 23-25% dei presenti, nell’ultimo anno i detenuti occupati in attività agricole sono cresciuti 71%."

Il trend positivo è frutto di un indirizzo dell’amministrazione penitenziaria che ha potuto rilanciare le attività agricole con un attenzione particolare alle produzioni biologiche e di qualità.

Sempre secondo la Ciaperoni, "il lavoro dei detenuti per assolvere alle funzioni riabilitative e responsabilizzanti deve essere da un lato strettamente finalizzato alla rieducazione alla legalità, e dall’altro essere un lavoro vero e tutti gli effetti. E dunque richiede attività imprenditoriali vere e proprie finalizzate a scopo produttive e non di tipo assistenziale".

Ecco dunque alcune proposte emerse a chiusura del progetto Aiab "Agricoltura sociale e detenzione. Un percorso di futuro", del quale il convegno di ieri rappresentava l’evento di chiusura.

Innanzitutto, "per uscire dall’estemporaneità e dalle iniziative legate alla buona volontà degli operatori, l’attività di sostegno del Dipartimento amministrazione penitenziaria potrebbe puntare anche a fornire servizi di informazione e supporto agli istituti, mettere in rete le esperienze più significative, approfondire politiche unitarie di marketing e commercializzazione dei prodotti".

Poi, "è necessario favorire i rapporti carcere-territorio anche attraverso l’istituzione di tavoli territoriali per il lavoro dei detenuti, come previsto dalla normativa in buona parte inapplicata. Il tavolo è operativo in Lombardia. Percorsi analoghi attivi anche nel Veneto. Tra le esperienze positive anche l’accordo tra la Provincia di Genova e il provveditorato regionale della Liguria per l’inserimento lavorativo dei detenuti".

Infine, "occorre un sistema di supporto dell’iter burocratico per le aziende che vogliono chiedere l’affidamento della gestione di un tenimento agricolo all’interno del carcere", e "sono necessari Programmi di formazione professionale per i detenuti in rapporto al mercato del lavoro sul territorio".

Lettere: il Comitato educatori penitenziari con Rita Bernardini

 

Ristretti Orizzonti, 1 dicembre 2009

 

Il Comitato vincitori/idonei del concorso per educatori penitenziari sta diffondendo e sollecitando adesioni e sostegno all’iniziativa intrapresa dall’Onorevole Rita Bernardini giunta al dodicesimo giorno di sciopero della fame per chiedere la calendarizzazione della mozione n° 250, presentata alla Camera lo scorso 19 novembre, sulla situazione di degrado, affollamento ed estrema sofferenza in cui versano le carceri italiane.

L’obiettivo dell’Onorevole Bernardini e dei Deputati che hanno sottoscritto la mozione, è di avviare celermente un’indagine intorno al pianeta carcere, individuando strategie e percorsi che possano restituire all’esperienza carceraria quella sua natura rieducativa, di riflessione e di riprogettazione di se stessi che coloro i quali si trovano a vivere tale esperienza dovrebbero avere occasione di fare all’interno delle strutture carcerarie, come espressamente previsto dall’art. 27 della nostra Costituzione.

Invitiamo, dunque, tutti gli operatori penitenziari ad aderire a tale iniziativa non violenta, poiché in un paese democratico e civile non è possibile che si giunga ad un livello tale di intollerabilità di presenze nelle carceri senza che lo Stato si interroghi immediatamente e concretamente sulle motivazioni che hanno generato una simile situazione che palesa l’evidente involuzione del compito affidato all’istituto di pena.

Ci troviamo, dunque, di fronte ad una vera e propria emergenza sociale rispetto alla quale nessuno può esimersi, bensì questa battaglia di civiltà deve permeare trasversalmente ogni azione politica, in quanto l’uomo ne è il suo fulcro. Pertanto, ci uniamo all’Onorevole Bernardini e chiediamo l’immediata calendarizzazione della mozione ed altresì l’apertura di un dibattito che tenga conto della complessità di equilibri, di processi e dinamiche che si celano dietro quelle sbarre, acquisendo quale assioma di partenza la funzione rieducativa e risocializzativa che il carcere deve essere in grado di fornire a chi lo vive, poiché chi varca il suo cancello è sì detenuto, ma continua ad essere persona dotata delle sue apicalità, dei suoi diritti e dei suoi doveri.

 

Il Comitato vincitori/idonei concorso educatori penitenziari

Firenze: Provveditore; morto in Opg; i primi dati dicono infarto

 

Ansa, 1 dicembre 2009

 

"La direzione dell’ospedale di Montelupo mi ha subito chiamato, confermandomi che le prime risultanze indicano che si è trattato di una morte per cause naturali, di un infarto". Lo ha detto il provveditore toscano dell’Amministrazione penitenziaria, Maria Pia Giuffrida, in merito al decesso di Maurizio Piscioli, 35 anni, internato nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. "Ancora devo verificare, ancora non conosco le circostanze precise - ha aggiunto -. Domani incontrerò i vertici dell’ospedale e avrò a disposizione tutta la documentazione.

A quanto mi risulta, il magistrato non ha disposto l’autopsia. Parlando con i medici, mi è stato spiegato che, purtroppo, è stato un evento improvviso, che non ha permesso alcun tipo di intervento. Si tratta di un evento tragico". Per il garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, "ormai, quello delle morti dei detenuti è un elenco senza fine. Questo dimostra che il carcere è più caratterizzato dalla morte che dalla vita. Anche quelle naturali sono eccessive, non solo quelle misteriose".

Viterbo: direttore Asl; garantiremo le cure sanitarie a detenuti

 

Ansa, 1 dicembre 2009

 

"Garantiremo un adeguato supporto, in termini di risorse professionali e sanitarie, affinché le necessità assistenziali e terapeutiche dei detenuti possano essere soddisfatte in maniera efficace ed efficiente". È quanto ha detto il direttore generale della Asl di Viterbo Adolfo Pipino al termine della visita compiuta oggi nel carcere di Mammagialla, dove sono rinchiusi circa 600 detenuti e dove, varie visite ispettive, l’ultima delle quali del sindaco della città, Giulio Marini, in veste di parlamentare, hanno rilevato gravi carenze.

Pipino, che era accompagnato dal direttore sanitario aziendale Marina Cerimele, ha avuto un incontro con il direttore del carcere Pierpaolo D’Andria e con il responsabile della sanità penitenziaria territoriale Franco Lepri. "Abbiamo concordato - ha detto ancora Pipino - di mettere in calendario una serie di incontri al fine di mettere a fuoco tutte le problematiche sanitarie della casa circondariale. Incontri - ha concluso - che serviranno anche a verificare il rispetto degli impegni che abbiamo assunto oggi".

Catanzaro: in carcere uno sportello per certificati demografici

 

Agi, 1 dicembre 2009

 

Uno sportello per i certificati demografici rivolto direttamente ai detenuti della Casa Circondariale di Siano di Catanzaro, grazie all’accordo sottoscritto tra la direzione della struttura e il Comune di Catanzaro. L’iniziativa è stata illustrata oggi nel corso di una conferenza stampa che si è svolta nella Casa circondariale, alla presenza del direttore Roberto Romaniello, dell’assessore comunale al Decentramento, Tommasina Lucchetti, e dell’assessore ai Servizi sociali, Nicola Ventura.

Lo sportello sarà aperto all’interno della struttura detentiva, che ospita oltre cinquecento persone, con una cadenza di due volte al mese e con l’impiego di personale comunale. In questo modo, sarà possibile ottenere qualunque tipo di certificato utile agli ospiti della struttura senza dovere passare per gli uffici penitenziari. Dal riconoscimento di paternità, al rilascio di documenti anagrafici, passando anche per il matrimonio civile. In precedenza questa documentazione veniva richiesta agli uffici interni del carcere, che a loro volta avviavano la richiesta al Comune.

L’accordo triennale, e che prevede anche la possibilità di aumentare i turni di apertura a seconda delle esigenze, salta invece questi passaggi e permette un rapporto diretto con l’ente locale. Secondo il direttore della Casa circondariale, "si tratta di un primo tassello di collaborazione con il Comune, nell’ottica di potere integrare l’istituto penitenziario con la città. Se due istituzioni riescono a trovare un punto in comune - ha aggiunto Romaniello - si può fare moltissimo per il reinserimento e il recupero dei detenuti. Il carcere appartiene alla città, e l’aiuto degli enti locali permette di portare avanti progetti importantissimi, alcuni dei quali già in itinere". Un’analisi condivisa dall’assessore Lucchetta: "Come amministrazione comunale ci stiamo distinguendo - ha affermato - per la tutela dei diritti fondamentali di tutti i cittadini, con servizi che facilitano i rapporti tra cittadini e amministrazione". Tra le iniziative in questa direzione, l’assessore ha ricordato anche lo sportello per gli immigrati e quello per i sordomuti, ai quali si aggiunge l’iniziativa nella Casa Circondariale.

Ragusa: cinque detenuti in ospedale per atti di autolesionismo

 

Asca, 1 dicembre 2009

 

 

Protesta plateale di cinque detenuti del carcere di contrada Pendente di Ragusa. Sabato pomeriggio i cinque detenuti che sono rinchiusi nella stessa cella hanno messo in atto azioni di autolesionismo per attirare l’attenzione degli agenti. Uno si è cucito la bocca con ago filo, un altro ha ingerito una pila stilo ed altri hanno ingoiato delle lamette procurandosi delle ferite all’intestino e per queste ragioni sono stati ricoverati al "civile" e tenuti sotto osservazione per alcune ore.

La protesta perché da tempo hanno chiesto di essere messi nelle condizioni di avere i beni di prima necessità e di poter lavorare per potersi economicamente mantenere, cosa che non sempre è possibile proprio a causa del sovraffollamento della struttura carceraria ragusana.

Secondo i dati aggiornati al 2 novembre 2009, infatti, la capienza regolamentare del carcere ibleo è 146 persone, mentre quella tollerabile è di 218. Ma sono 257 i detenuti al suo interno e ciò significa che viene superata la capienza regolamentare del 176% e la tollerabile del 117%.

Potenza: poco personale e turni massacranti; sit-in al carcere

 

Ansa, 1 dicembre 2009

 

Sul tavolo i problemi di sempre: carenza di personale e anzianità della struttura. Problemi che hanno portato allo stato di agitazione e protesta dei lavoratori della polizia penitenziaria della Casa Circondariale di Potenza. Una ottantina di persone hanno manifestato contro una struttura costruita nel 1958 ed ormai obsoleta e la carenza di risorse umane, specie nel settore femminile, dove si registrano le maggiori criticità. Si tratta di una situazione che ha determinato negli anni un aggravio di funzioni del personale stesso, costretto a gestire contemporaneamente più situazioni. A ciò, poi, si aggiunge il fatto che tanti agenti di polizia penitenziaria vengono assegnati fuori regione per determinati periodi dell’anno e sono costretti a vivere la condizione del distacco dalle proprie famiglie.

A tal proposito, è già arrivata una richiesta da Reggio Emilia per il periodo natalizio (servono 13 unità tra Puglia, Calabria e Basilicata, ndr). Attualmente gli agenti a Potenza sono circa 140 di cui 13 donne.

"Dal 2000 non esiste un vero e proprio turnover - commenta Vito Messina vice segretario nazionale della Ugl penitenziaria - e in quest’ultimo anno la situazione è precipitata. Il mondo politico, dopo la protesta di ieri, ci ha confermato solidarietà ed impegno nei confronti del personale della Polizia Penitenziaria, vittima di episodi di "violenza" nell’esercizio delle proprie funzioni per le difficoltà e le condizioni di grave disagio alle quali i poliziotti devono quotidianamente far fronte".

"Sono soddisfatto - continua Messina - del coro unanime di voci che si è "alzato" ieri mattina. Mai come questa volta tutti i sindacati erano insieme per uno stesso motivo. Non è pensabile che ci siano agenti costretti a fare anche turni di 14 ore per sopperire ad una carenza di organico. I dipendenti sono costretti a non poter neanche programmare il piano ferie per Natale e Capodanno e anche quest’anno sarà negato il diritto di passare almeno una delle due festività a casa. Necessario fare qualcosa. Non si può più aspettare".

Presenti alla manifestazione il senatore Egidio Digilio che si è impegnato a proporre una interrogazione parlamentare, il radicale Maurizio Bolognetti e il deputato Vincenzo Taddei che ha preso l’impegno "di portare la questione all’attenzione di tutti i deputati e senatori lucani del Pdl e di interpellare urgentemente il Ministro di Grazia e Giustizia, affinché si arrivi ad una veloce e definitiva soluzione dello stato di disagio che vivono gli agenti di polizia penitenziaria e al miglioramento della struttura della Casa Circondariale di Potenza".

Napoli: "integrata nella cultura rom"... 17enne resta in carcere

di Dario Del Porto

 

La Repubblica, 1 dicembre 2009

 

Gli schemi di vita della cultura rom "per comune esperienza determinano nei loro aderenti il mancato rispetto delle regole". E dunque l’essere "assolutamente integrata in quegli schemi", insieme alla "mancanza di concreti processi di analisi dei propri vissuti", rende "inadeguata" agli occhi del Tribunale per i minorenni di Napoli qualsiasi misura diversa dal carcere per Angelica, la diciassettenne condannata in appello a 3 anni e 8 mesi con l’accusa di aver rapito una neonata strappandola dal seggiolone.

Le motivazioni del provvedimento con il quale il Tribunale ha rigettato l’istanza di scarcerazione di Angelica, detenuta in custodia cautelare dal maggio 2008, sono state accolte con indignazione dal suo difensore, l’avvocato Cristian Valle: "È sconcertante - protesta il penalista - si afferma l’opzione del carcere su base etnica e attraverso la definizione di "comune esperienza" i pregiudizi contro la minoranza rom vengono elevati al rango di categoria giuridica".

Angelica, romena di etnia rom, a sua volta madre di una bambina, è stata condanna sulla base delle dichiarazioni della mamma della neonata che ha detto di aver visto la diciassettenne sul pianerottolo con la figlia tra le braccia. "Non è vero, non l’ho rapita", ha sempre replicato la ragazza. Un caso controverso, che determinò l’assalto ai campi nomadi della periferia orientale di Napoli, sul quale si attende il verdetto della Cassazione. La diciassettenne ha rifiutato l’ammissione di responsabilità che le avrebbe permesso di accedere alla "messa alla prova" e di ottenere l’estinzione del reato dopo un anno di collocamento in comunità.

Invece Angelica dovrà restare ancora nell’istituto Nisida dove frequenta il laboratorio di ceramica. Nel negare la scarcerazione il Tribunale esclude che il "clamore mediatico" sia stato "posto alla base" della sentenza di condanna, rilevando che Angelica non mostra "di aver iniziato alcun processo di rivisitazione del proprio operato".

I giudici citano la relazione del consulente dalla quale emerge che la ragazza "non sembra aver interiorizzato gli strumenti necessari ad una diversa e alternativa scelta di vita" e appare "pienamente inserita negli schemi tipici della cultura rom":elementi che fanno ritenere ai magistrati "concreto il pericolo di recidiva".

Bologna: "Dei diritti e della pena"; dedicato al Teatro Pratello

 

Redattore Sociale - Dire, 1 dicembre 2009

 

Una giornata dedicata al Teatro del Pratello. "Dei diritti e della pena" è il titolo del convegno che si tiene oggi a Bologna per raccontare il laboratorio teatrale che da dieci anni coinvolge i ragazzi dell’Istituto penale minorile del Pratello. Il successo dell’iniziativa non si misura solo nelle 1.300 persone che dal 1999 hanno assistito agli spettacoli, ma soprattutto dai racconti di chi in quegli spettacoli ha recitato. Come Fan, ragazzo cinese ex detenuto dell’Istituto, che ha partecipato al laboratorio teatrale per la prima volta nel 2003.

"All’inizio era solo un modo come un altro per far passare il tempo - ha raccontato oggi intervenendo al convegno -, poi si è trasformato in una passione". E recitare, per lui che non parlava l’italiano e aveva difficoltà ad inserirsi, è diventata un’esperienza che gli ha cambiato la vita. "Grazie al teatro ho imparato la lingua e a lavorare in gruppo - aggiunge -. Adesso studio Giurisprudenza all’Università di Bologna".

"Il momento più significativo per i ragazzi è l’applauso del pubblico - continua Fan -. È la dimostrazione che anche noi, che spesso veniamo considerati il male della società, possiamo fare qualcosa di buono". Cambiare la percezione che i ragazzi hanno di se stessi è del resto il primo obiettivo del laboratorio.

"I ragazzi che arrivano all’Istituto hanno una visione stereotipata di se stessi - spiega Giuseppe Centomani, dirigente del Centro giustizia minorile della regione Emilia-Romagna -. Il teatro è una palestra cognitiva, permette di costruirsi una nuova identità personale". Il progetto inoltre coinvolge anche alcuni attori esterni, provenienti dai licei bolognesi.

"Il Teatro del Pratello è uno dei pochi collegamenti possibili tra i detenuti del carcere e gli studenti delle scuole della città - continua Centomani -. Facendoli lavorare insieme, si riducono gli stereotipi". All’attività teatrale, di cui si occupa il regista Paolo Billi, sono stati aggiunti nel tempo anche laboratori di scrittura, video e scenografia, per coinvolgere i ragazzi nell’organizzazione dello spettacolo a tutti i livelli. Nonostante i buoni risultati, tuttavia, i finanziamenti al progetto rimangono "precari", quando ci sarebbe bisogno (e in effetti è già in cantiere) di una ristrutturazione degli spazi teatrali.

"Nonostante l’assenza di risorse l’attività prosegue da dieci anni - continua Centomani -. Al momento le attività del laboratorio di teatro si svolgono nella chiesa dell’Istituto, ma vogliamo far convergere gli interessi sul progetto di ristrutturazione del teatro (che ora si trova all’interno del carcere) e renderlo aperto al pubblico". Intanto, fino al 6 dicembre è in scena "Il fascino discreto della stupidità", lo spettacolo scritto e recitato dai ragazzi del Pratello per l’edizione 2009 del progetto. Liberamente tratto dall’ultima opera di Flaubert "Bouvard e Pécuchet", lo spettacolo è diretto da Paolo Billi. L’ingresso costa 10 euro, 5 euro ridotto (per informazioni: tel. 051 0455830, prenotazioni@teatrodelpratello.it). Per assistere alla rappresentazione è necessaria l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria competente.

Droghe: tolleranza zero della Fini-Giovanardi ingolfa le carceri

 

Redattore Sociale - Dire, 1 dicembre 2009

 

Antigone e Forum Droghe presentano il "libro bianco" sull’applicazione della legge Fini-Giovanardi. Le richieste di invio a un programma terapeutico calano dell’88,4% (da 12.096 del 2005 a 1.078 del 2008); cresce del 6% la percentuale dei dipendenti detenuti.

Diminuisce il numero di persone tossicodipendenti che annualmente transitano nelle comunità terapeutiche, aumenta la percentuale di quelli che fra loro entrano in carcere anche se i numeri della recidiva continuano a crescere soprattutto per questa categoria di detenuti. La filosofia della "tolleranza zero" ingolfa le carceri italiane e criminalizza i soggetti dal profilo criminale più basso, mantenendo sostanzialmente inalterato il numero di interventi contro coloro che sono imputati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (ex art. 74 dpr 309/1990). È questo il quadro che emerge dal libro bianco sull’applicazione della legge Fini Giovanardi, a cura dell’associazione Antigone e Forum Droghe, presentato questa mattina a Torino durante in convegno "La legge sulle droghe e le carceri che scoppiano. Le cause, i numeri, i paradossi di una crisi annunciata. Le ragionevoli proposte per uscirne".

Secondo il rapporto curato da Alessio Scandurra, ricercatore di Antigone, a tre anni dall’applicazione della legge che porta la firma di Fini e Giovanardi diverse sono le conseguenze allarmanti: nel periodo tra il 2004 e il 2008 si è verificato l’aumento del 76,9% delle sanzioni amministrative, contro un abbattimento delle richieste di invio a programma terapeutico che sono calate dell’88,4%, ovvero dalle 12.096 del 2005 alle 1.078 del 2008. Aumenta invece il numero delle segnalazioni all’autorità giudiziaria ex art 73 della medesima legge del 1990: cresce il numero di chi singolarmente produce o spaccia droga (il pesce piccolo), da 28.250 persone nel 2004 a 32.217 nel 2008, mentre diminuiscono le segnalazioni per gli ex art. 74 (dai 3.209 nel 2004 ai 2.801 nel 2008), ovvero per la grande produzione e il grande spaccio, il pesce grosso, che non è sostanzialmente intaccato nella sua attività criminale dalla legge Fini-Giovanardi.

Invivibile e intollerabile infine la situazione delle carceri: "il numero di tossicodipendenti che annualmente transitano dalle carceri italiane - si legge nel rapporto - è decisamente superiore a quello di coloro che transitano dalle comunità terapeutiche". Un dato simile "la dice lunga sulla scelta tra approccio repressivo ed approccio trattamentale fatta dal nostro legislatore". Scelta che porta come conseguenza l’aumento della percentuale dei tossicodipendenti in carcere (+6% rispetto al 2007).

"Al sistema penitenziario viene dunque affidata - spiega il rapporto Antigone Forum Droghe - la maggiore responsabilità nel contrasto al fenomeno delle tossicodipendenze, e tutto questo quando è ormai noto che i tassi di recidiva per chi esce dal carcere sono estremamente elevati, assai più di quelli di chi sconta la propria pena in misura alternativa, e che il gruppo con il maggior tasso di recidiva è proprio quello dei tossicodipendenti". Questo per Antigone e Forum Droghe è il segno chiaro che "se il reinserimento tramite il carcere delle persone che hanno commesso un reato funziona poco, nel caso dei tossicodipendenti il carcere non serve praticamente a nulla".

Stati Uniti: due detenuti tunisini da Guantanamo a San Vittore

 

Ansa, 1 dicembre 2009

 

Hanno trascorso la loro prima notte nel carcere di San Vittore i due tunisini Mohamed Ben Riadh Nasri e Ben Mabrouk Adel, arrivati ieri in Italia da Guantanamo sulla base dell’accordo Italia-Usa.

Nasri, accusato di terrorismo internazionale, è stato interrogato dal gip di Milano Guido Salvini, che aveva firmato un’ordinanza a suo carico nel giugno 2007. Non è invece ancora fissato l’interrogatorio di garanzia di Mabrouk, che è destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dalla magistratura milanese il 18 maggio 2005, nell’ambito di una delle tranche dell’inchiesta condotta dai carabinieri del Ros e denominata "Bazar".

Nel frattempo, in ambienti giudiziari milanesi si è appreso che il periodo di detenzione a Guantanamo non è rilevante, perché non connesso al procedimento italiano, come "pre-sofferto" ai fini della detenzione italiana. Il giudice potrebbe comunque valutare il periodo a Guantanamo ai fini della persistenza della pericolosità sociale. Il fatto di aver trascorso anni nel carcere cubano, quindi senza aver contatti con l’esterno, potrebbe aver attenuato questo tipo di esigenza di custodia cautelare. Rimangono da valutare, in caso di una richiesta di scarcerazione, la sussistenza dei pericoli di inquinamento della prova e di fuga.

Germania: finito incubo evasi; arrestato anche il secondo uomo

 

Ansa, 1 dicembre 2009

 

È finito questa mattina in Germania l’incubo dei due pericolosi criminali evasi giovedì scorso dal carcere di massima sicurezza di Aquisgrana, nell’ovest del Paese: le forze speciali della polizia hanno arrestato anche il secondo uomo, dopo che il primo era stato catturato domenica. Si tratta di Peter Paul Michalski, 46 anni, che era evaso insieme a Michael Heckhoff, 50 anni. Quest’ultimo era stato preso a Muelheim an der Ruhr (ovest), vicino a Duisburg, mentre Michalski si trovava oggi a Schermbeck (ovest), a circa 40 chilometri di distanza.

Nel pomeriggio di venerdì scorso, i due - che stavano scontando condanne all’ergastolo per omicidio e sequestro di persona - avevano preso in ostaggio una studentessa di 19 anni, liberandola in serata. La mattina di sabato, avevano preso brevemente altri due ostaggi - una coppia - che avevano liberato nei pressi di Muelheim, proseguendo la fuga con la loro auto.

 

 

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