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Giustizia: per i suicidi in carcere un’etica della responsabilità di Sandro Margara
Il Manifesto, 23 aprile 2009
La metto così: il carcere è, e in sostanza è sempre stato, una questione totale: cioè, una questione in ogni suo aspetto, un continuum di criticità, che si tengono tutte fra loro. La questione dei suicidi in carcere, a mio avviso, va letta così. Nel contesto del carcere, per dire una cosa ovvia, tutto quello che dovrebbe rilevare sul nostro tema è la sua vivibilità o la sua invivibilità. Il discorso potrebbe allora svilupparsi nella ricostruzione di tutti i fattori e dinamiche di invivibilità, non pochi e non leggeri. Poi, bisognerebbe attuare una strategia dell’attenzione nei confronti di coloro che soffrono in modo speciale la invivibilità. Ma c’è, indubbiamente, a monte di questi aspetti, un primo punto che non può essere ignorato: ed è quella che potrebbe essere chiamato la "vivibilità dell’arresto", che ha un proprio rilievo, provato dal dato statistico (ricavato dal libro di Baccaro e Morelli: "Il carcere: del suicidio e di altre fughe", letto in bozza) che il 28% dei suicidi in carcere si verificano entro i primi dieci giorni e il 34% entro il primo mese. Sotto questo profilo del "tintinnio delle manette", il carcere fa solo da cornice al precipitare di vicende individuali, rispetto alle quali un sistema di attenzione degli operatori non è facile, specie in presenza di certe strategie processuali. Naturalmente, c’è chi dirà: "Non vorrai mica che il carcere non faccia paura?". Ma veniamo ai fattori di invivibilità del carcere, subìti e sofferti da tutti e da alcuni fino a rinunciare alla vita. Il primo è quello legato al sovraffollamento, che ha due aspetti a cominciare dal fatto di vivere a ridosso immediato di altre vite, il levarsi reciprocamente l’aria, il che non è affatto poco (gli esperimenti per le scimmie dicono che diventano nervose: e gli uomini?). Ma poi, in una struttura sovraffollata, inevitabilmente le disfunzioni sono infinite. Si lotta per sopravvivere a livelli minimi. Il Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio di Europa (Cpt), ha considerato la situazione di sovraffollamento in carcere, come "trattamento inumano e degradante". Tanto maggiore sarà la invivibilità quanto più si accompagnerà alle lunghe permanenze in cella, a fare della cella il luogo di una vita invivibile. E la normalità, in situazioni del genere, è che dalla cella si esce solo per brevi periodi "d’aria", ma non per lavorare o per altre attività né, per molti dei detenuti (stranieri, persone sbandate per le ragioni più varie, etc.), per avere colloqui con i familiari. È possibile costruire prospettive di uscita da queste situazioni? Lo impediscono: la povertà delle risorse organizzative del carcere su questo versante, le risposte sempre più difficili e spesso negative della magistratura, lo stesso ridursi delle possibilità o la mancanza di queste per la fascia sempre più numerosa degli stranieri, che attendono solo l’espulsione (nei grandi carceri metropolitani sono ormai ben oltre il 50%, ma anche la media nazionale si avvicina al 40%). C’era una volta un Ordinamento penitenziario che dava delle speranze di permessi di uscita, di misure alternative, ma anche questi spazi si sono sempre più ristretti - per leggi forcaiole e per magistrati condizionati dal clima sociale che le produce - e le speranze si sono trasformate in delusioni. D’altronde, il suicidio non è l’unico prodotto della invivibilità delle carceri: lo sono anche i tentati suicidi, come pure, spesso difficili da distinguere dai primi, i gesti autolesionistici. Tutto insieme, si arriva vicini all’inferno. C’è, comunque, una campagna della amministrazione penitenziaria per individuare e agire a sostegno dei soggetti più a rischio. Ma non si può sperare che questo serva quando gli sforzi necessari sono limitati da poche risorse, destinati a durare per poco tempo, come accaduto in passato, affidati ad un sistema di sorveglianza psicologica e psichiatrica mai costruito adeguatamente: il tutto sempre dentro quelle condizioni di invivibilità che si mantengono e si concorre anzi ad aggravare, come dimostra l’accelerazione delle dinamiche di sovraffollamento. Tento una conclusione. Sentire, tutti, la responsabilità di questi morti e del carcere che li produce è una scelta etica desueta. Giustizia: Ucpi; norme su sicurezza, dannose e incostituzionali
Comunicato stampa, 23 aprile 2009
È stato approvato ieri il disegno di legge di conversione del decreto sicurezza. In una nota diramata dalla Giunta se ne denuncia ancora una volta illegittimità e inefficacia al fine preteso: non più, ma meno sicurezza e grave rischio per la libertà dei cittadini. Nel frattempo continua la battaglia sul disegno di legge sulla sicurezza dei cittadini: l’Ucpi, nel corso dell’audizione tenutasi dinanzi alla Commissione Giustizia, non ha mancato di far sentire ancora la sua voce. L’Avv. Valerio Spigarelli, Direttore del Centro Studi Marongiu, in rappresentanza della Unione, ha censurato con asprezza i contenuti della legge in discussione. Le norme contenute nel disegno di legge di conversione del decreto sicurezza sono per la maggior parte inutili, dannose ed a rischio di incostituzionalità. ll patto fra maggioranza e opposizione che ha condotto alla conversione in legge del decreto sicurezza sacrifica sull’altare della propaganda i più fondamentali diritti della persona e lo stesso sistema di valori costituzionali che regola il nostro ordinamento. L’Unione delle Camere Penali Italiane ha denunciato più volte, insieme alla radicale insussistenza della situazione di necessità ed urgenza che costituisce inderogabile presupposto della decretazione d’urgenza, l’illegittimità di norme che contemplano la custodia cautelare in carcere come scelta obbligatoria in presenza di gravi indizi di commissione di determinati reati, a prescindere dal grado delle esigenze cautelari in concreto sussistenti e dunque in totale assenza del controllo del giudice sulla adeguatezza della misura, controllo che solo può legittimare la privazione della libertà ante condanna. Deve essere peraltro chiaro al cittadino che simili norme, oltre a produrre palesi iniquità - e sul punto l’esperienza dei recenti episodi di violenza sessuale assurti all’onore delle cronache la dice lunga -, non garantiscono affatto, come invece si vorrà far credere, certezza della pena, ma mirano esclusivamente a confondere le acque e a far passare per certezza delle pena ciò che è soltanto la certezza di un’inammissibile anticipazione di pena, con ciò ponendo gravemente a rischio il diritto fondamentale di libertà di ciascuno. Nè del resto ha qualcosa a che vedere con la certezza della pena o con la sicurezza dei cittadini l’eliminazione della possibilità di accedere alle misure alternative per i condannati di determinati gravi reati. È bene che si sappia che i dati sulla "recidiva" divulgati dallo stesso Ministero della Giustizia attestano con chiarezza che la detenzione in carcere è senz’altro produttiva di una maggiore capacità a delinquere e dunque di un maggior rischio di commissione di ulteriori reati, laddove al contrario le misure alternative risultano avere efficacia di reale rieducazione e dunque di abbandono del percorso criminale nella quasi totalità dei casi di loro intera esecuzione. Spiace constatare come, salvo isolate voci, maggioranza ed opposizione, e persino con maggior vigore coloro che si lanciano spesso in accorati appelli al rispetto della Costituzione, quando poi si tratta di cavalcare onde di fin troppo facile consenso, siano disposti a perpetrare inganni ai danni dei cittadini facendo passare per emergenza un’emergenza che non c’è e per garanzia di sicurezza norme inutili ed anzi foriere di maggior insicurezza per tutti.
Il Segretario dell’Ucpi Avv. Lodovica Giorgi Giustizia: quelli che (anche) a sinistra sposano il giustizialismo
www.linkontro.info, 23 aprile 2009
Quelli che lavorano nelle associazioni non dimenticano. Quelli che lavorano nelle associazioni che si occupano di carceri, di giustizia e di immigrati sanno chi non devono votare, anche nella costellazione delle liste di sinistra. È comunque utile offrire loro un breve promemoria per le prossime elezioni europee, un breve taccuino per ricordare cosa, su questi temi, hanno detto e fatto alcune forze politiche. Oliviero Diliberto, per esempio, è un comunista non garantista. Lo stesso si può dire di tutti quelli che con lui hanno dato vita ai Comunisti Italiani. Nel 1999, anno in cui Diliberto ricoprì l’incarico di Guardasigilli, in sequenza: cacciò Sandro Margara dal ruolo di capo delle carceri perché poco incline alla sicurezza; creò l’intelligence carceraria affidandola a un generale dei servizi segreti; legittimò i gruppi speciali di polizia penitenziaria (quelli che poi operarono a Bolzaneto). Si astenne sull’indulto. Per uno che si occupa di custodi e custoditi è impossibile stare dalla parte di Diliberto. Di Pietro è un populista giustizialista. Ha votato contro l’indulto, al pari dei leghisti e di Alleanza nazionale. Ha definito, nell’autunno del 2008, l’Italia un vespasiano perché vi erano troppi rumeni. Oggi si presenta come unica alternativa di sinistra. Sui valori non si scherza. I compagni di Rifondazione Comunista hanno più volte accusato gli scissionisti vendoliani di essere troppo disponibili al confronto con i moderati. Eppure chi lavora in quell’associazionismo che si occupa di migranti e di prigionieri trova più comprensibile una lista con i socialisti - da sempre vicini alle istanze libertarie - piuttosto che una lista con i comunisti o con i consumatori uniti. Antonio Di Pietro e Oliviero Diliberto starebbero bene insieme. Se il Prc ha deciso questa alleanza elettorale vuol dire che ha fatto una precisa scelta valoriale. Una scelta che non sappiamo se avrà il consenso elettorale. Sappiamo, però, che si tratta di una scelta che lo allontana pericolosamente da un faticoso percorso di giustizia e libertà. Giustizia: ora gli "ergastolani in lotta" guardano alla Consulta di Susanna Marietti
www.linkontro.info, 23 aprile 2009
Un’altra iniziativa dagli ergastolani in lotta. La campagna Mai dire mai per l’abolizione dell’ergastolo e delle carceri di massima sicurezza, coordinata dall’associazione Liberarsi, vede come assoluti protagonisti gli ergastolani e la loro capacità di organizzarsi e di usare gli strumenti pacifici di protesta. Dopo che lo scorso 16 marzo si è conclusa la fase della campagna che aveva visto tra le altre cose la consegna di 739 ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo da parte di persone condannate alla pena dell’ergastolo, dal carcere di Spoleto arriva adesso una nuova proposta. Carmelo Musumeci e Ivano Rapisarda, tra gli animatori principali di Mai dire mai, invitano altri ergastolani a richiedere benefici che la legge non gli concede in quanto ergastolani che rientrano fra i detenuti di cui al primo comma dell’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario, affinché Uffici e Tribunali di sorveglianza siano posti nella condizione di sollevare questione di costituzionalità davanti alla Corte Costituzionale. La proposta di istanza, che è stata inviata al presidente emerito della suprema Corte Valerio Onida per sollecitare un parere, fa leva su sei differenti punti: 1. guardando all’articolo 3 della Costituzione, per il quale tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, si sottolinea la disparità di trattamento che l’ergastolo comporta per condannati alla medesima pena. Un condannato più giovane avrà infatti di fronte a sé più anni di carcere rispetto a un condannato più anziano, e questa differenza temporale può arrivare a essere anche molto marcata; 2. guardando al terzo comma dell’articolo 27, che sancisce la funzione rieducativa della pena, la pena dell’ergastolo senza benefici appare incompatibile. L’ergastolo è inoltre visto come un trattamento contrario al senso d’umanità; 3. l’articolo 32, nella parte in cui afferma che "la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana", viene indicato come contrastante con la previsione dell’ergastolo senza benefici, poiché la preclusione delle misure alternative comporterebbe un’ingiustificata compressione del rispetto della persona; 4. "La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento", si legge nel comma 2 dell’articolo 24. La collaborazione con la giustizia prevista dall’art. 4 bis O.P. quale unica possibilità di accesso ai benefici di legge contrasterebbe con questa previsione costituzionale in quanto vincolerebbe il condannato a una linea difensiva imposta, privandolo del diritto di dichiararsi innocente; 5. l’ergastolo contrasterebbe inoltre con l’articolo 13, quando afferma che deve essere "punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà", vista la profonda violenza morale insita nell’atto di privare a vita una persona della propria libertà, togliendole così ogni speranza; 6. infine, si chiede verifica di costituzionalità della pena dell’ergastolo in relazione all’articolo 31, secondo il quale, tra le altre cose, la Repubblica protegge la gioventù, mentre molti ergastolani sono stati arrestati in giovane età. La società, si legge nella bozza di istanza, "dovrebbe tener conto non soltanto del male che un giovane ha fatto, ma anche del bene che potrebbe fare in futuro". Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella, nel loro libro Patrie galere, così descrivono Carmelo Musumeci, pur senza citarne il nome per intero: "Nonostante il suo cognome evocasse cosche mafiose, lui si comportava diversamente, molto diversamente da come si sarebbe comportato un uomo d’onore. Un uomo d’onore in carcere accetta le regole interne, si muove in silenzio, prova a fare il boss, è rispettato, è omertoso, saluta con il voi. C.M. non ha mai fatto nulla di tutto questo. Ha rivendicato i suoi diritti. Ha presentato esposti e reclami alle autorità costituite. Ha scritto a giudici, parlamentari, associazioni. Ha denunciato vessazioni agli organismi internazionali (…). L’atteggiamento di C.M. ha sempre evidenziato un rispetto naturale, non ipocrita e doppiogiochista, verso le istituzioni. Se alle istituzioni ti rivolgi per far valere un tuo diritto ritenuto violato, vuol dire che credi in quelle istituzioni, credi nella legge, credi nello Stato (…). Solo per questa ragione C.M. avrebbe dovuto essere ritenuto rieducato e avrebbe meritato un premio (…). Invece da lui si vuole un atto di prostrazione". Giustizia: intercettazioni; intervento Consulta e tutto da rifare di Giampiero Di Santo
Italia Oggi, 23 aprile 2009
La Corte costituzionale irrompe come un fulmine nell’udienza preliminare del processo per le intercettazioni illegali del Tiger team di Telecom guidato dall’ex capo della security Giuliano Tavaroli. E complica il lavoro dei magistrati, che saranno costretti a un’ardua selezione tra i documenti e file elettronici che dovranno essere conservati per salvaguardare i diritti della difesa e quelli, invece, che dovranno essere subito destinati alla distruzione come prevede la legge. Una legge del 2006, anzi un decreto legge messo a punto dall’allora ministro della giustizia Clemente Mastella, dichiarata in parte incostituzionale dalla Consulta I giudici costituzionali hanno stabilito che alcune norme contenute nell’articolo 240 del nuovo codice di procedura penale sono illegittime e hanno così accolto in parte le eccezioni sollevate dal gip di Milano Giuseppe Gennari. Sotto accusa, in particolare, sono finiti i commi 4, 5 e 6 dell’articolo 240, come spiega una nota della Corte: "La Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 240 del codice di procedura penale in due punti: i commi 4 e 5, nella parte in cui non prevedono l’applicazione delle stesse regole fissate per l’incidente probatorio (articolo 401,commi 1 e 2) durante l’udienza per la distruzione dei documenti; il comma 6, nella parte in cui non dice che il divieto di fare riferimento al contenuto dei documenti, supporti e atti nella redazione del verbale" di distruzione "non si estende alle circostanze inerenti la formazione, l’acquisizione e la raccolta degli stessi documenti". In altre parole, secondo la Consulta, la versione attuale dell’articolo incriminato non prevede le garanzie per i diritti della difesa e per il contraddittorio stabilite invece per gli incidenti probatori, come la presenza dei rappresentanti di accusa e difesa e il diritto a partecipare per i rappresentanti delle persone offese dal reato. La norma votata dal parlamento con i voti del centro-destra e del centro-sinistra, allora maggioranza, stabiliva che tutto il materiale acquisito illegalmente, comunicazioni telefoniche, telematiche e tabulati, deve essere distrutto in un’udienza camerale celebrata dal giudice delle indagini preliminari. Il magistrato avrebbe però dovuto redigere un verbale riassuntivo di quanto distrutto. Ora, invece, con la cancellazione delle norme dichiarate illegittime, il lavoro dei magistrati di Milano impegnati nel processo Telecom diventerà improbo. Anche perché si tratta di decidere quanti degli 83 faldoni dell’archivio Tavaroli dovranno essere distrutti subito e quali carte e file con informazioni su 4.287 persone e 132 società dovranno essere invece conservati temporaneamente per garantire i diritti della difesa. Un lavoro di selezione difficilissimo, che ha suscitato tra i magistrati del capoluogo lombardo, che avevano chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare l’illegittimità dell’intera norma Alcuni giudici temono che l’effetto della sentenza della Corte sia quello di creare un doppio procedimento all’interno dello stesso processo. Il primo si occuperà della distruzione degli atti, si svolgerà con la formula dell’incidente probatorio, nel contraddittorio tra le parti, davanti al gip Gennari e richiederà molto probabilmente tempi lunghissimi, vista la quantità di documenti da inviare alla distruzione. Il secondo, che comincerà oggi davanti al gup Mariolina Panasiti, sarà l’udienza preliminare, che probabilmente andrà avanti utilizzando come fonti di prova solo le dichiarazioni rese da coloro che hanno collaborato alle indagini e che hanno scelto di essere interrogati di nuovo attraverso l’incidente probatorio e qualche documento sequestrato come agende e appunti manoscritti. Giustizia: l'incredibile vicenda del giudice Corrado Carnevale
www.radiocarcere.com, 23 aprile 2009
Corrado Carnevale. Per lungo tempo uno dei magistrati più autorevoli d’Italia. Se non il più autorevole. Corrado Carnevale. Un nome che, fino a poco tempo fa, era sinonimo di eccellenza. E non a torto. Carnevale, si laurea giovanissimo a soli 21 anni e con il massimo dei voti. A 23 anni vince il concorso in magistratura, classificandosi primo nella graduatoria. Carnevale si trasferisce da Agrigento a Roma per proseguire il suo tirocinio. A 37 anni vince il concorso per magistrato di Corte di Appello e a 40 anni è già consigliere della Prima sezione civile della Cassazione. Nel 1980, Carnevale viene nominato Presidente per il concorso in magistratura. Una curiosità. Sarà Carnevale a promuovere magistrato Antonio Di Pietro. "Di Pietro è stato uno stampellato come li chiamo io" - ricorda Carnevale - "All’esame infatti andò male, ma decisi di aiutarlo. È stato un errore che oggi non rifarei". Al di là degli "errori", è in Cassazione che Carnevale raggiunge un primato rimasto ancora imbattuto. L’1 dicembre 1985, è nominato Presidente titolare della Prima sezione penale della Cassazione. A 55 anni Carnevale, non solo è il più giovane tra i presidenti della Suprema Corte, ma è anche il più giovane presidente di Sezione da quando fu fatta l’unità d’Italia. Il Presidente Carnevale riorganizza il lavoro della Prima sezione Penale. Solo nei primi due anni l’arretrato dei ricorsi viene ridotto da settemila a "solo" mille ricorsi. Nell’anno successivo l’organizzazione e l’impegno è tale che anche i ricorsi sopravvenuti vengono definiti in pochi mesi. È lo stesso Carnevale a presiedere molte delle udienze. Di solito il lunedì. Una giornata che nel Palazzaccio viene ribattezzata: "Il lunedì di Carnevale". Una battuta, ma anche un modo per sottolineare quanta aspettativa si era creata per le decisioni della Prima sezione penale. Decisioni attese perché segnavano un’inversione di tendenza della Cassazione. Con il Presidente Carnevale infatti la Suprema Corte non è più "la Corte dei rigetti". "Chi aveva ragione da noi riusciva ad ottenerla" - dice oggi Carnevale. Ed infatti, gli annullamenti delle sentenze di merito si moltiplicarono. La parola d’ordine era: "gli errori dei giudici non verranno più coperti". Il metodo: l’applicazione scrupolosa, e quasi maniacale, della la regola di diritto, soprattutto quella processuale. Quindi, non solo un’inversione di tendenza della Suprema Corte, ma anche una presa di posizione netta, senza indugi. Un modo di essere Giudice che costerà caro al Presidente Carnevale. Col passare del tempo, diventano innumerevoli i casi in cui quelle sentenze, quegli annullamenti, alimentano forti polemiche. L’annullamento della sentenza per l’omicidio del Capitano Basile, quello per l’omicidio del giudice Chinnici, e quello sul maxi processo a Cosa Nostra, sono solo alcuni esempi. Non a caso, nel 1988 su La Repubblica appare per la prima volta l’appellativo: "Carnevale, l’ammazza sentenze". Sia chiaro, i ripetuti annullamenti disposti dalla Sezione della Cassazione presieduta da Carnevale, rappresentano di certo decisioni criticabili. Si tratta di sentenze che, proprio negli anni in cui si faceva più intensa la lotta contro la mafia, hanno influito in modo determinate sulle sorti di importanti processi a "Cosa Nostra". Allo stesso tempo, è anche vero che quelle decisioni, che tante polemiche avevano generato, ben potevano essere sottoposte al vaglio del Csm e non, come invece accadde, essere l’origine di ben due processi penali. Quello di Napoli, ma soprattutto quello di Palermo voluto dall’allora Procuratore Capo Giancarlo Caselli. Due processi che hanno visto Carnevale imputato di gravi reati e che hanno determinato il Csm a sospenderlo dalle funzioni e dallo stipendio di magistrato per circa 7 anni. Due processi che si sono conclusi, dopo circa un decennio, con due assoluzioni, quando ormai la carriera del giudice Corrado Carnevale era irreparabilmente distrutta. Una carriera folgorante che, proprio a causa dei due processi, non ha potuto raggiungere il livello più elevato. La nomina a Primo Presidente della Cassazione. "I Pm di Napoli e di Palermo operarono in sintonia" - ci riferisce Carnevale - "e io ebbi subito l’impressione che vi era contro di me una manovra che proveniva dal di fuori della magistratura, ma diretta da chi aveva collegamenti nella magistratura". Carnevale non sa chi ordì il complotto, si limita solo a ricordare che: "gli attacchi politici più duri mi arrivarono dal Partito comunista, che presentò contro di me un’interrogazione parlamentare firmata anche da Violante e dalla Finocchiaro". Ora, magari il complotto non c’è stato, ma resta la stranezza, l’anomalia del processo più importante che subì Corrado Carnevale. Quello di Palermo. Nel marzo del 1993, I Pm di Palermo, capeggiati da Giancarlo Caselli, accusano Carnevale di concorso esterno in associazione mafiosa, per aver agevolato alcuni mafiosi, annullando, come presidente della Prima sezione penale della Cassazione, diverse sentenze. L’8 giugno del 2000, il Tribunale di Palermo assolve Carnevale perché il fatto non sussiste. L’assoluzione viene però ribaltata dalla Corte di Appello che, il 29 giugno del 2001, condanna Carnevale a 6 anni di reclusione. Condanna che tra l’altro costringe Carnevale a chiedere di essere messo in pensione anticipatamente, per evitare un’ulteriore sospensione dal servizio. "Quando i miei avvocati mi dissero della condanna - afferma Carnevale - ho pensato che a quel punto ero in un vicolo cieco da cui solo un miracolo poteva farmi uscire, anche perché con il clima che si era creato non speravo più che la Cassazione potesse darmi ragione". Ed invece, il 30 ottobre del 2002, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione annullano senza rinvio la decisione della corte di Appello perché il fatto non sussiste. Una sentenza, adottata dal collegio più importante della Cassazione, che evidenzia tutta l’erroneità della condanna decisa dalla Corte di Appello di Palermo, condanna per altro giunta dopo che Carnevale era stato già assolto in primo grado. Insomma, Carnevale è innocente. Ma per i processi che ha subito, e che hanno ingiustamente pregiudicato la sua carriera, non ha ricevuto nessun risarcimento dallo Stato. Uno Stato che non ha una legge che si faccia carico degli errori giudiziari subiti dai propri cittadini. Uno Stato che per colmare questa grave lacuna si è limitato a fare una legge per il singolo, per il giudice Carnevale. Legge che gli ha consentito di rientrare in magistratura. "Alla fine io sono stato un privilegiato" - afferma Carnevale - "Oggi posso fare il giudice. Ma quanti cittadini subiscono ingiusti processi senza avere alcun risarcimento?" Giustizia: le carceri di Pianosa e l'Asinara potrebbero riaprire di Patrizio Gonnella
Italia Oggi, 23 aprile 2009
Pianosa e l’Asinara potrebbero riaprire. L’articolo 39 del disegno di legge in materia di sicurezza approvato dal senato e attualmente in discussione alla camera dei deputati prevede a proposito del regime penitenziario duro di cui all’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario quanto segue: "I detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria". La chiusura delle due super-carceri fu decisa nel 1996 con decreto legge numero 553. L’articolo 8 così recitava: "L’utilizzazione, per finalità di detenzione, degli istituti penitenziari di Pianosa e dell’Asinara cessa, anche non oltre la data del 30 giugno 1998". E così avvenne. Una chiusura concordata con il centro-destra. Era il 1994 quando l’allora ministro per l’ambiente Altero Matteoli affermò che "il costo per lo stato per gestire Pianosa e Asinara è enorme e bellezze naturali, quali per esempio Pianosa, sono sottratte alla godibilità dei cittadini. Il carcere nelle isole finisce col far godere ai vari Santapaola e Madonia bellezze indescrivibili". Non è chiaro se il riferimento generico alla collocazione di detenuti pericolosi in aree preferibilmente insulari è sufficiente per riaprire le prigioni nelle due isole oppure se è necessaria una menzione specifica per abrogare la norma del 1996. Il riferimento alle isole nel testo licenziato dal Senato è frutto di un emendamento fortemente voluto dal senatore del Pd Giuseppe Lumia. Per ragioni di natura ambientale vi è una opposizione interna allo stesso Partito democratico. Ermete Realacci e Roberto Della Seta hanno infatti affermato che la riapertura degli istituti penitenziari di Pianosa e dell’Asinara impedirebbe tanto la tutela di aree preziose dal punto di vista ambientale quanto la loro fruibilità. Oggi le due isole fanno parte del Parco nazionale dell’Arcipelago toscano. Al momento sono in corso progetti di recupero e valorizzazione ambientale nei quali lavorano anche detenuti in esecuzione penale esterna. Giustizia: dal Sappe contributo per la ricostruzione in Abruzzo
Il Velino, 23 aprile 2009
Un contributo straordinario di cinquemila euro per i danni causati dal terremoto in Abruzzo e la richiesta al ministro della Giustizia Alfano di riaprire il carcere di L’Aquila dal prossimo 1 maggio. Lo hanno deciso questa sera i consiglieri nazionali e i segretari regionali del sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, riuniti a Cattolica per il 20esimo consiglio nazionale del sindacato. "È un nostro piccolo contributo per la ricostruzione dell’Abruzzo - spiega Donato Capece, segretario generale -. Abbiamo dato incarico al nostro vice presidente nazionale e commissario di Polizia penitenziaria Franco Marinucci, peraltro già impegnato sul territorio come referente del campo 32 Sassa della Protezione Civile, di individuare la destinazione dell’importo stanziato oggi con molta responsabilità dai consiglieri nazionali del sindacato guida della Polizia penitenziaria". "Abbiamo anche sollecitato il ministro della Giustizia Alfano a riaprire il penitenziario dell’Aquila dal prossimo 1 maggio, almeno come sezione arrestati. Questo anche per dare un segno concreto che la vita deve necessariamente andare avanti". Lettere: i detenuti da varie carceri scrivono a Riccardo Arena
I malati senza diritti a Regina Coeli. Caro Arena, purtroppo anche a Regina Coeli vengono calpestati i diritti e la dignità di noi detenuti e, soprattutto, ci viene negato il diritto alla salute. Pensa che nel giro di una settimana qui nel carcere di Regina Coeli sono morti ben 2 detenuti! Vedi la cosa che mi fa rabbia è che queste morti potevano essere evitate. Infatti nel centro clinico di Regina Coeli, ci sono persone ancora oggi che hanno uno stato di salute incompatibile con il carcere. Eppure, restano in carcere, spesso perché non hanno soldi per pagarsi un avvocato difenda i loro diritti. Ti volevo anche segnalare che qui nel carcere di Regina Coeli, circa l’80% dei detenuti è straniero. E se si va a vedere la settima sezione, dove quelli da poco arrestati, la situazione è desolante. Lì i detenuti, e soprattutto gli stranieri vengono trattati come bestie e con loro… bè diciamo che gli agenti di polizia penitenziaria non sono molto gentili… a buon intenditore poche parole! Io dalla mia cella capisco l’allarme dell’opinione pubblica sulla c.d. sicurezza, ma vorrei tanto che i cittadini potessero avere la possibilità di venire qui a Regina Colei solo per 10 minuti… si accorgerebbero che non stiamo in un albergo ma semplicemente in un inferno!
Francesco dal carcere Regina Coeli di Roma
Il degrado all’Ucciardone. Carissima Radiocarcere, ti scrivo da una piccola cella del carcere dell’Ucciardone. Una celletta di 2 metri per 3 dove siamo costretti a viverci ammassati in tre detenuti. Tre detenuti chiusi qui dentro per 23 ore al giorno. Una cella dove non riusciamo neanche a muoverci per quanto è piccola. O stiamo seduti o stiamo sdraiati sul letto. Questa è la nostra vita, la nostra pena. Inoltre, qui all’Ucciardone si sta talmente male che si entra sani e si esce malati. Pensa che nella nostra cella c’è talmente tanta umidità da bagnare le lenzuola delle nostre brande. C’era forse scritto questo nella nostra sentenza di condanna? Anche per una semplice visita medica dobbiamo aspettare il medico per giorni se non per mesi. È come se di noi, della nostra persona non fregasse nulla a nessuno qui dentro! Come se non bastasse, le ingiustizie le devono subire anche i nostri familiari che per fare il colloquio con noi sono costretti a mettersi in fila per 9 o 10 ore fuori dal carcere. Tutto questo per parlare con noi in una sala squallida, sporca e con di mezzo anche il muro divisorio che è vietato dalla legge. Secondo te Riccardo, questo governo migliorerà la nostra vita all’interno delle carceri? Ti ringrazio tanto e insieme a miei compagni di cella.
Salvatore dal carcere l’Ucciardone di Palermo Umbria: interrogazione parlamentare su situazione di carceri
www.spoletonline.com, 23 aprile 2009
"Quali iniziative il ministro Alfano intenda adottare per far fronte all’emergenza carceri in Umbria e se non ritenga di dover bloccare i trasferimenti di detenuti previsti, per non aggravare ulteriormente i già pesanti disagi di cui soffrono gli agenti penitenziari in servizio nelle carceri della regione". È quanto chiede in un’interrogazione presentata oggi il deputato umbro del Pd Gianpiero Bocci. "Nelle quattro strutture carcerarie umbre (Perugia, Spoleto, Terni, Orvieto) le guardie carcerarie sono sotto organico di 200 unità" - afferma Bocci - "mentre i carcerati crescono in maniera esponenziale. In particolare, a Perugia sono in servizio 215 agenti di custodia contro i 339 previsti, a Spoleto 359 in servizio contro i 388 previsti; a Terni 190 in servizio contro i 218 previsti e infine ad Orvieto 68 in servizio contro i 75 previsti. I numeri parlano chiaro: se in Italia la media della carenza di organici è del 10%, in Umbria raddoppia al 20%". "Oramai tra Perugia, Spoleto, Terni e Orvieto i detenuti sono più di 1000 e il rapporto tra chi sconta la pena e chi controlla è gravemente squilibrato: il sovraffollamento unito alla carenza di organici della polizia penitenziaria comporta con tutta evidenza un altissimo rischio per la sicurezza. Al carcere di Spoleto" - prosegue il deputato umbro - "sono arrivati in questi giorni da L’Aquila 77 detenuti in regime di 41-bis, in una notte si è dovuto aprire un nuovo padiglione e ora ci si deve attrezzare per ospitare anche gli agenti del Gom (gruppo operativo mobile) delle Fiamme Azzurre che controllano i detenuti più pericolosi. In più, un fonogramma inviato dal ministro Alfano e da Franco Ionta, capo dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, chiede di raddoppiare la capacità del carcere di Spoleto e di accogliere altri detenuti anche a Perugia: questo significherebbe 300 detenuti in più a Spoleto e almeno 200 a Perugia. Con questi numeri si rischia il collasso tra quattro anni. Tra Terni e Spoleto nei prossimi cinque anni andranno in pensione almeno 80 agenti e la situazione rischia di diventare esplosiva". "È necessario - conclude il parlamentare del Pd - che il ministro Alfano intervenga con urgenza, assumendosi in prima persona la responsabilità di superare l’emergenza e ristabilire una situazione dignitosa nelle carceri umbre". Campania: Sarno (Uil) e il Pres. Trib. Sorv. visitano le carceri
www.casertanews.it, 23 aprile 2009
"Vogliamo offrire un contributo di verifica e conoscenza al Ministro, all’Amministrazione Penitenziaria e a tutta l’opinione pubblica sulle reali condizioni di alcuni istituti di pena della Campania, regione particolarmente esposta sul fonte della criticità penitenziaria, attraverso alcune visite che effettueremo nei prossimi giorni" Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziaria comunica che il 29 e il 30 aprile p.v. sarà impegnato unitamente al Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, Pres. Angelica Di Giovanni, in un tour di visite che toccherà le Case Circondariali di Avellino e Santa Maria Capua Vetere (29 aprile) e il Centro Penitenziario di Secondigliano ( 30 aprile) "L’emergenza penitenziaria è oramai una questione nazionale sebbene manchi, purtroppo, una coscienza politica e sociale del problema. L’idea di questa iniziativa congiunta con la Pres. Di Giovanni - rivela Eugenio Sarno - è nata nel corso del convegno del 2 Aprile a Roma dove, insieme, abbiamo discusso, anche con molta preoccupazione ed allarme, proprio sull’emergenza penitenziaria. Purtroppo i recenti fatti di cronaca verificatisi in alcuni istituti penitenziari della penisola confermano i nostri timori e la necessità di interventi immediati e mirati. I 670 feriti della polizia penitenziaria negli ultimi dodici mesi e il susseguirsi di tanti atti insofferenza della popolazione detenuta sono chiari indicatori delle tensioni interne. Questi sono segnali precisi e preoccupanti che non possono, non debbono, essere sottovalutati". Le condizioni di sovrappopolamento delle strutture, le condizioni di vivibilità, le difficoltà di garantire un adeguato servizio sanitario (dopo il passaggio della Sanità Penitenziaria al Ssn) e le difficoltà operative del personale penitenziario saranno oggetto della verifica che Eugenio Sarno ed Angelica Di Giovanni compieranno nei prossimi giorni. "Questa mattina il dato nazionale delle presenze detentive negli istituti assomma a 61.413 (58.760 uomini e 2.653 donne) di cui ben 7.309 (7.002 uomini e 307 donne) ristretti negli istituti della Campania (a fronte di una ricettività massima pari a 5.400), ovvero circa il 12% dell’intera popolazione detenuta. Le criticità più evidenti, per quanto concerne il sovrappopolamento, attengono a Napoli Poggioreale (presenti 2.526 detenuti a fronte di un capienza di 1.756) e a Santa Maria Capua Vetere (presenti 895 a fronte di una capienza pari a 547). Il Centro Penitenziario di Secondigliano ospita 1.228 detenuti (di cui 118 internati dell’ex Opg) a fronte di una capienza di 1.079. Avellino pur non presentando indici di sovraffollamento particolarmente allarmanti (presenti 360 per una ricettività di 349) sarà oggetto della nostra visita per la peculiarità di ospitare un asilo nido destinato ai figli, di età minore ai tre anni, di alcune detenute. Questo dei bambini in carcere è un problema che va senz’altro risolto perché offusca l’avanzata civiltà giuridica del nostro ordinamento penitenziario". Le risultanze delle visite effettuate dal Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari e dal Presidente del tribunale di Sorveglianza di Napoli saranno illustrate in una conferenza stampa convocata per le ore 16.00 di giovedì 30 aprile che si terrà preso la Sala Riunioni del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria sito in Via Nuova Poggioreale a Napoli. Rimini: detenuto suicida; l'avvocato contesta sistema controllo
Ansa, 23 aprile 2009
La vicenda del trentasettenne riminese che si è impiccato ieri in cella per la vergogna conseguente al suo arresto perché accusato di detenzione di materiale pedo-pornografico, finirà all’esame del Tribunale della Libertà di Bologna, in una prossima udienza che era stata già richiesta. A richiederla era stato il legale del suicida, avvocato Andrea Cappelli, per chiarire gli aspetti ancora oscuri della vicenda e chiedere un eventuale risarcimento danni per ingiusta detenzione, a favore degli eredi. Secondo il difensore dell’uomo che si è tolto la vita, un operaio di una ditta di Cattolica, bisognerà comunque attendere prima i risultati dell’autopsia disposta dalla magistratura. "Ma certo - afferma Cappelli - è assurdo che il mio cliente, recluso in isolamento, sia riuscito a togliersi la vita nel carcere dei Casetti alle 17.30 quindi non di notte, impiccandosi con un lenzuolo, senza che nessuno se ne accorgesse. Inoltre lui era sconvolto per la carcerazione: era incensurato e soffriva molto la situazione. La legge del resto non prevede obbligatoriamente la carcerazione per il suo reato: bisogna ricordare che era accusato di detenzione di materiale pedopornografico, foto e filmati che lui aveva scaricato sul suo computer, ma nella realizzazione dei quali non aveva avuto nessuna parte". Cappelli sottolinea anche un altro aspetto: "L’inchiesta che lo riguardava era nata a Trento, quindi quella Procura detiene le indagini. Invece il suo arresto è stato richiesto da quella di Rimini e questo potrebbe anche determinare un caso di incompetenza". Firenze: un agente aggredito all’interno dell’Opg di Montelupo
La Nazione, 23 aprile 2009
"Un assistente della polizia penitenziaria è stato aggredito da un detenuto dell’ospedale psichiatrico giudiziario al momento in cui è andato ad aprire la sua cella, subendo alcuni colpi in faccia". La denuncia arriva dal Sappe. L’episodio è avvenuto ieri, intorno alle 18. "L’agente - spiega il Sappe - è stato curato all’ ospedale di Empoli. Ha una prognosi di 10 giorni. Anche un ispettore, intervenuto per frenare le escandescenze del detenuto, è stato ferito". Non si tratterebbe di un caso isolato. "È l’ennesimo episodio di violenza subita da agenti - prosegue il sindacato - gli agenti sono tutti sotto pressione perché la capienza della struttura dovrebbe essere di 110-120 detenuti, ed invece sono saliti a 196. Ci era stato promesso che negli scorsi 4 mesi la situazione sarebbe stata risolta, invece aumentano gli internati e il numero di agenti è sempre lo stesso: 85. È uno stress continuo, siamo in costante allarme poiché in ogni cella vivono 6-8 persone. È facile intuire che si registrino episodi critici". Genova: apre comunità alloggio per detenuti in permesso ed ex
Secolo XIX, 23 aprile 2009
Aprirà in Vico Mezzagalera 10, nel centro storico di Genova, la comunità alloggio per ex detenuti o detenuti in permesso premio della "Veneranda Compagnia di Misericordia", Associazione che si occupa storicamente dell’assistenza alle persone rinchiuse in carcere, a quelle che dopo una simile esperienza faticano a reinserirsi nella società e alle loro famiglie, il Comune ha concesso un locale al primo e al secondo piano del civico 10 di Vico Mezzagalera con un canone di affitto simbolico: il 90 per cento in meno di quello applicato normalmente. La comunità alloggio sorgerà pochi metri dal locale messo a disposizione - con qualche polemica - dal Comune al comitato organizzatore del Gay Pride sino al 30 giugno (con proroga già fissata al 31 dicembre 2009). La concessione alla Compagnia di Misericordia, già titolare di uno locale comunale di 33 metri quadrati all’angolo tra via San Donato e vico dei Biscotti, scade invece il 31 gennaio 2012. "Siamo consapevoli dell’opera di alta valenza sociale svolta dalla Compagnia di Misericordia", osserva l’assessore al Patrimonio, Bruno Pastorino: "Il reperimento di un immobile dove il sodalizio potesse svolgere più efficacemente la sua attività di assistenza era tra le nostre priorità". Del resto, come si legge nella delibera di affidamento dei locali, "l’importanza di un luogo dove offrire ospitalità a detenuti in permesso premio e ad ex detenuti" era stata sottolineata in una lettera inviata lo scorso anno al Comune dal ministero di Grazia e Giustizia. Precisamente dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che, nella missiva con cui sollecitava sostanzialmente Tursi a trovare un posto adatto, aveva "riconosciuto la Veneranda Compagnia di Misericordia come punto di riferimento fondamentale per le persone detenute". Milano: conferita cittadinanza onoraria a Polizia Penitenziaria
Ansa, 23 aprile 2009
Il Corpo di Polizia Penitenziaria è cittadino onorario di Milano, quale "parte della sua identità, realtà di alto valore civico, presidio di sicurezza, democrazia e civiltà". L’onorificenza, decisa all’unanimità dall’Aula di Palazzo Marino il 9 febbraio scorso con una delibera di iniziativa consiliare, è stata conferita dal Sindaco Letizia Moratti e dal Presidente del Consiglio comunale Manfredi Palmeri in una cerimonia solenne in Sala Alessi, con un centinaio di ufficiali e agenti di Polizia Penitenziaria. Erano presenti il Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, il Provveditore regionale Luigi Pagano, i tre Comandanti degli istituti di pena milanesi Amerigo Fusco (Opera), Manuela Federico (San Vittore) e Alessandra Uscidda (Bollate), il Presidente della Sottocommissione consiliare Carceri Alberto Garocchio. "La cittadinanza onoraria che Milano conferisce per prima al Corpo di Polizia Penitenziaria - ha spiegato il Sindaco Letizia Moratti - testimonia un legame profondo e un contributo costante al progresso civile e morale della nostra città in momenti diversi della sua storia. Milano è riconoscente alla sua Polizia Penitenziaria, che è sempre stata baluardo della legalità. Oggi le sue donne e i suoi uomini continuano a diffondere e a interpretare con grande umanità i valori della legalità, del recupero e del reinserimento sociale del detenuto". Rovigo: il 10 luglio "Il carcere in piazza. Per non dimenticare"
Ristretti Orizzonti, 23 aprile 2009
Venerdì 10 luglio, alle ore 21.00 si terrà a Rovigo, nella piazza principale Vittorio Emanuele II, la quarta edizione della manifestazione "Il carcere in piazza (per non dimenticare)", organizzata dal Coordinamento dei volontari della Casa Circondariale di Rovigo in collaborazione con gli assessorati alle politiche sociali del comune e provincia e al carcere cittadino. Sarà una serata di riflessione, musica, poesia e racconti sulla condizione carceraria condotta da Riccardo Tivegna, giornalista Rai, con gli attori Giulia Veronese e Francesco Scolletta e il gruppo musicale The Gang. Per l’occasione usciranno in permesso dall’istituto penitenziario cittadino dei detenuti per assistere all’evento e leggere anche un loro comunicato. "Sono circa più di 8.000 i volontari che continuativamente entrano nelle carceri italiane nel corso dell’anno, una presenza numerosa che finora non è servita per modificare i drammi che dentro le mura si consumano - rileva Livio Ferrari - un aumento significativo di presenze, nonostante l’indulto, considerato che siamo ritornati al sovraffollamento con circa 60.000 presenza nei 207 istituti per adulti, che hanno una capienza complessiva per circa 42.000 posti. Con l’arrivo del caldo dell’estate, come accade da troppi anni, aumenta l’emergenza in quanto le celle diventano invivibili sia dal punto di vista umano e soprattutto igienico". "I volontari - conclude Ferrari - chiedono al nuovo Parlamento un segnale che superi le inutili e illusorie promesse fatte in questi mesi; bisogna produrre qualcosa di concreto per ridurre la presenza di detenuti nelle carceri italiane, diminuendo così violenze e morti che tutti i giorni segnano questi luoghi di vendetta, di cui il mondo politico deve sentire la responsabilità oggettiva". Immigrazione: Unione europea; più integrazione dei migranti di Paolo Bozzacchi
Italia Oggi, 23 aprile 2009
Più integrazione degli immigrati nell’Unione europea. Questo l’obiettivo della Commissione europea, che in settimana ha varato due nuovi strumenti per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi che vivono in territorio comunitario. Bruxelles ha creato il forum europeo dell’integrazione, organizzato in cooperazione con il Comitato economico e sociale europeo, che consentirà scambi fra le istituzioni europee, le parti interessate (autorità giudiziarie nazionali comprese) e le organizzazioni della società civile su questioni relative all’integrazione. Inoltre ha dato vita a un sito web europeo sull’integrazione, che presto diventerà: "L’integrazione a portata di mano", e che fornisce contenuti di alta qualità da tutta Europa. Quest’ultimo ha per obiettivo quello di costruire una comunità online di specialisti nel settore dell’integrazione, in grado di scambiare buone pratiche e dar vita a progetti comuni. Il vicepresidente della Commissione, Jacques Barrot, responsabile del portafoglio Giustizia, libertà e sicurezza, ha dichiarato: "Reputo fondamentale, per il successo delle politiche d’integrazione, portare avanti una riflessione comune. Ecco perché mi compiaccio particolarmente per il fatto che oggi, in occasione dell’incontro inaugurale del forum europeo dell’integrazione e del varo del sito web europeo sull’integrazione, vediamo riunite tutte le parti interessate e le organizzazioni attive nel settore dell’integrazione. Il forum è una piattaforma "fisica" per il dialogo sulle sfide attuali e sulle priorità future delle politiche dell’integrazione; il sito web è una "piattaforma virtuale" che offre un insieme di strumenti informatici per tutti coloro che sono impegnati con i migranti, un mezzo veramente interattivo dove condividere le buone prassi, scoprire possibilità di finanziamenti e cercare partner per i progetti, un sito che contribuirà a costruire una nuova comunità on-line di tutte le persone che lavorano nel campo dell’integrazione". Mario Sepi, presidente del Comitato economico e sociale europeo, ha dichiarato: "Il processo di integrazione si è rivelato lungo, a volte caratterizzato da ritardi, riluttanza e opposizioni, ma ha anche visto compiersi considerevoli passi avanti. È un processo bilaterale basato sui diritti e le responsabilità sia degli immigranti che della società di accoglienza. Per questo motivo abbiamo continuato a spingere per una vera e propria politica di integrazione partecipativa, a maggior ragione dopo che il dialogo in corso con la società civile ha reso chiare le altissime aspettative a questo riguardo. Non è un caso che in tutti i nostri pareri non vi sia mai stata ombra di xenofobia: il nostro "Programma per l’Europa: le proposte della società civile" ne è una chiara dimostrazione". Il forum europeo dell’integrazione permetterà ai rappresentanti delle organizzazioni della società civile di esprimersi sulle questioni rilevanti, in particolare rispetto all’"agenda Ue per l’integrazione", e consentirà al tempo stesso alle istituzioni europee di svolgere un ruolo proattivo nel settore. Nuova piattaforma di dialogo sull’integrazione, organizzata in cooperazione con il Comitato economico e sociale europeo, il forum è un’importante occasione per discutere con i rappresentanti delle istituzioni europee le attuali sfide e le priorità future. Nella riunione inaugurale di oggi verrà esposto il ruolo che avrà il forum, e i metodi che adotterà, nel contribuire allo sviluppo della futura agenda Ue per l’integrazione, e verranno affrontate rilevanti questioni attuali, come le conseguenze della crisi economica in corso sull’integrazione degli immigrati. Il forum vedrà presenti le organizzazioni della società civile che si occupano di integrazione a livello europeo, incluse le parti sociali, così come le istituzioni europee. Non mancheranno le piattaforme nazionali per l’integrazione, insieme ai rappresentanti della rete dei punti di contatto nazionali sull’integrazione. Il forum è anche l’occasione per il varo ufficiale del sito web europeo per l’integrazione (www.integration.eu). Il sito serve a promuovere le politiche e le prassi in materia di integrazione permettendo la condivisione delle strategie riuscite e sostenendo la cooperazione fra le parti interessate e le organizzazioni della società civile dell’Ue. È aperto a tutti e consente ai visitatori di mettere in comune le buone prassi, di scoprire possibilità di finanziamenti e di cercare partner per i loro progetti, di essere costantemente aggiornati sugli sviluppi più recenti a livello Ue, nazionale e locale e di essere in contatto con i membri della comunità Ue che si occupa di integrazione. Ponte fra gli specialisti dell’integrazione e i responsabili politici, il sito web europeo sull’integrazione diventerà presto "L’integrazione a portata di mano", e fornirà contenuti di alto livello da tutta Europa promuovendo la comunità degli specialisti dell’integrazione. Immigrazione: espulsione dei clandestini, macchina inceppata di Giovanna Zincone
La Stampa, 23 aprile 2009
Le decisioni pubbliche sono macchine imperfette, si fermano davanti agli ostacoli, fanno marce indietro, non sempre portano a destinazione. Anche la nuova guida dell’immigrazione, che si annunciava ferma e severa, non conduce alle mete prefissate. A rendere difficile uno dei suoi obiettivi prioritari, la gestione dei flussi irregolari, si frappongono ostacoli esterni. Il caso del mercantile "Pinar", carico di clandestini soccorsi in mare, e le riluttanze di Malta ad accoglierlo hanno ribadito la necessità di utilizzare macchine con targa europea, se si vogliono ottenere certi obiettivi. Quanto alla macchina con targa italiana è stata spesso costretta a cambiare percorso e qualche volta la sua azione sembra aggravare i problemi che voleva risolvere. L’idea di bloccare i clandestini considerando il loro comportamento un reato, con annessi più solerti processi e incarcerazioni, si è trasformata con il tempo in una minaccia di ammenda pecuniaria e di immediata espulsione. Il progetto, seppure più moderato, continua a incutere timore e ha prodotto un effetto perverso: ha incentivato una corsa in massa ad arrivare prima che scatti la misura. La norma è infatti contenuta nel disegno di legge sulla sicurezza ancora in discussione alla Camera. La stessa molla che spinge a evitare ostacoli all’orizzonte si applica probabilmente anche all’accordo con la Libia che entrerà in vigore il 15 maggio e dovrebbe limitare gli arrivi da quelle sponde. Stando ai dati di Frontex, l’agenzia europea che si occupa delle frontiere comuni, gli sbarchi in Italia, nel secondo semestre del 2008, sono aumentati del 107% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il ministero dell’Interno segnala invece risultati più confortanti per i primi mesi del 2009. Ma è sensato ipotizzare che la fuga in anticipo da leggi e accordi internazionali più restrittivi abbia fatto crescere i flussi clandestini, certo non li ha bloccati. Si può credere, però, che, una volta che le misure di contrasto dell’immigrazione clandestina siano approvate e applicate, le cose migliorino. Non la pensano così gli oltre 240 tra magistrati e avvocati torinesi che hanno rivolto un appello ai deputati perché non passino la sanzione contro gli irregolari, temono infatti un ingorgo di ricorsi in Cassazione da parte di irregolari riluttanti ad accettare ammende ed espulsioni. La giustizia italiana ha altre priorità anche in tema d’immigrazione. A questo proposito non pare che il muso duro contro la criminalità straniera abbia moderato l’ondata di reati odiosi. E la confusione tra irregolari e criminali non aiuta. Punire gl’immigrati che non rispettano le regole dell’ingresso e del soggiorno nel Paese non scoraggia i delinquenti veri. Chi stupra una ragazzina, chi spacca la testa a un commerciante, chi sequestra e massacra una coppia di anziani coniugi non si spaventa all’ipotesi di essere trattenuto qualche mese in un centro di detenzione temporanea o di pagare un’ammenda per il fatto di avere un permesso scaduto o per aver attraversato la frontiera di straforo. Con questo non sostengo che si debbano smantellare gli strumenti di controllo dei flussi irregolari. Del resto quelli che un tempo si chiamavano ipocritamente Centri di permanenza temporanea (Cpt) e oggi ottimisticamente Centri di identificazione ed espulsione (Cie) non sono un’invenzione dei governi di centro-destra. In Italia, sono stati introdotti nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano. Dovevano servire a identificare e rimandare in patria gli immigrati non in regola. Di fatto dai centri di detenzione temporanea passa solo una goccia del vasto mare di irregolari e clandestini. E sono ancora di meno quelli che, fermati nei Cie, si rimandano davvero in patria. I Cie servono ad affermare un principio: abolirli significherebbe accettare che chiunque possa entrare e stare in Italia senza rispettare le regole, vorrebbe dire eliminare le frontiere non solo italiane, ma indirettamente anche quelle europee. Il fatto è che questi centri stracolmi e mal gestiti si sono trasformati in intollerabili luoghi di pena, in focolai di rivolta, in occasioni di sproporzionate repressioni. Lo strumento che doveva produrre ordine è diventato una fucina di dolore e disordine. Perciò, in Senato l’articolo che voleva alzare i tempi di permanenza fino a 18 mesi non è passato e il tentativo di riproporlo con una riduzione a 6 mesi nel decreto anti-stalking è fallito. Per ora, perché gira l’ipotesi di ripresentarlo nella versione aumento a 4 mesi,massimo 6. Insomma questa è una macchina che va a singhiozzo. Resta il fatto che, più i tempi aumentano, più i centri si riempiono e degradano. Intanto la proposta di consentire e di fatto obbligare gli operatori sanitari, in quanto incaricati di pubblico servizio, a denunciare i pazienti senza permesso di soggiorno stava anch’essa producendo guai prima di essere approvata. Innanzitutto, promesse e dichiarazioni di disobbedienza civile che hanno coinvolto la gran parte del personale sanitario, inclusi molti elettori dei partiti di governo. Ma soprattutto la paura di essere denunciati aveva già drasticamente ridotto il numero degli irregolari che si facevano curare. In alcuni ospedali erano già state rilevate diminuzioni intorno al 15%, in altri fino al 50%. Anche se le strutture specificamente dedicate agli immigrati erano riuscite a tranquillizzare gli animi, questo non valeva per tutti gli ospedali e gli ambulatori, con la conseguenza di casi di malati ridotti in fin di vita pur di evitare il ricovero. Le associazioni dei medici hanno evidenziato anche la potenziale espansione di malattie infettive: un pericolo non vistoso e diluito nel tempo, quindi elettoralmente poco temibile. L’insieme di queste considerazioni pare che possa spingere a stralciare questa norma dal disegno di legge sulla sicurezza e a ripresentarla a parte magari debitamente riformata. Insomma si parte in quarta spensierati e poi si fa marcia indietro con un po’ più di pensiero. Si annuncia, si propone perché spesso quel che conta a livello elettorale è più l’altoparlante che la macchina: la retorica pubblica, la proclamazione di intenti, i comportamenti vistosi. Come nelle vecchie campagne elettorali, di fatto, le macchine delle decisioni pubbliche si muovono lentamente, cambiano percorso, possono persino cappottare e andare fuori strada, ma gli altoparlanti continuano ad andare a tutto volume. L’elettore spesso ci casca. Però il gioco della strombazzante macchina inconcludente non regge in eterno. Ma quella macchina è sempre e necessariamente inconcludente? Se così fosse, staremmo freschi. Faccio solo due esempi positivi riferiti al governo in carica. La legge anti-stalking contro i comportamenti persecutori ha dato subito buoni frutti: solo nel primo mese sono state 54 le persone messe sotto accusa per minacce e molestie ripetute. Anche i vari provvedimenti voluti dal ministro Brunetta stanno avendo successo. Ad esempio, l’assenteismo nel settore pubblico si è molto ridotto rispetto ai dati di partenza, con una media che si può valutare intorno al 45%, ma con punte massime come quelle dell’Ispra che hanno raggiunto il 94%. E, quanto al referendum elettorale, la Lega fa bene a temerne il successo, perché, consegnando al partito che ha semplicemente più voti la maggioranza assoluta sufficiente a governare, renderebbe il suo ruolo superfluo. Come pure superfluo risulterebbe l’eventuale ruolo dell’Udc come possibile ruota di scorta in caso di defezione leghista. Berlusconi completerebbe in tal modo e senza colpo ferire l’opera di controllo sui suoi dopo aver contribuito a scompaginare con successo la squadra avversaria. Ma l’esito di un sì vittorioso dovrebbe impensierire un po’ tutti: quel che verrebbe fuori somiglia infatti in modo preoccupante alla legge Acerbo di fascista memoria. Insomma, talvolta le macchine delle decisioni pubbliche fanno retromarcia o avanti e indietro, vanno persino fuori strada, talvolta raggiungono le mete prefissate o almeno ci si accostano molto. Altre volte le mete le raggiungono sì, ma sono luoghi piuttosto insalubri per la democrazia. Immigrazione: nei centri immigrati di Malta, sognando l’Italia di Davide Carlucci
La Repubblica, 23 aprile 2009
Il lungo viaggio di Abdoul era cominciato in Somalia, poi il Sudan, il Sahara, la Libia. Infine la barca, con venticinque persone a bordo, che l’avrebbe fatto arrivare in Sicilia. Qualcosa però è andato storto. "Il carburante è finito e ci siamo ritrovati in acque maltesi". Era il settembre del 2007 e da allora il ventiduenne somalo si ritrova intrappolato a Malta. "Sono stato cinque mesi in un centro di detenzione, ora sono nell’open center di Marsa". L’open center (gestito da Suret il bniedem, associazione non governativa finanziata con fondi europei), l’equivalente di un nostro centro di accoglienza, è un appendice d’Africa nel primo lembo d’Europa. Una vecchia scuola inagibile in quartiere malfamato vicino il vecchio porto della Valletta. Fortunato chi riesce a entrarci. "Non ci sono letti disponibili", avverte un cartello all’entrata. La camera da letto di Abdoul è dentro uno dei vecchi laboratori scolastici: "Siamo settanta per stanza ogni notte", racconta. I letti a castello sono ventidue, tutti occupati. Gli altri dormono per terra. I bagni sono devastati, pieni di escrementi, il fetore è insopportabile. Per usufruirne di notte si fa la fila. L’acqua calda è un miraggio, i termosifoni non esistono e quest’inverno ci si è arrangiati con le stufe elettriche, pericolosissime anche perché spesso la pioggia penetra dal soffitto. In un piano dell’ex edificio scolastico quattro somali, circondati da bombole a gas, si dannano per far bollire la pasta su un fornellino messo sotto un tavolo. Così - e non raccontiamo quello che succede all’esterno la sera, tra risse, spaccio e prostituzione - vivono più di mille aspiranti clandestini in Italia. Ma questo è il meglio che possa capitare a chi sbarca a Malta. Il peggio è il centro di detenzione di Hal Safi, a due passi dall’aeroporto di Luqa. Lì si rischia di restare chiusi dietro le sbarre per un anno e mezzo. "Il vostro ministro Maroni ce la voleva copiare, questa permanenza così lunga - dice soddisfatto un esponente del partito nazionalista, al potere a Malta da oltre vent’anni - ma non c’è riuscito, non gliel’hanno fatta passare". Al centro di detenzione gli immigrati arrivano ammanettati. Qui sono per la maggior parte nigeriani e non possono nemmeno tentare la strada dello status di rifugiato per ragioni umanitarie, come chi viene dal Corno d’Africa. Anche ad Hal Safi, un complesso di ex baracche militari dell’esercito inglese dove sono rinchiusi 1665 migranti, tutti dicono di essere lì per sbaglio. "Io volevo andare a Roma, avrei lavorato come parrucchiera", racconta una donna. Un’altra dice di aver perso il marito durante la traversata. Su questo centro Medici senza frontiere ha presentato, una settimana fa, un rapporto durissimo, intitolato "Not criminal". "Hanno esagerato - replica Brian Gatt, comandante del servizio di detenzione maltese - ma devo essere onesto, le difficoltà ci sono: il numero degli sbarchi, nel 2008, è quasi raddoppiato". Le organizzazioni non governative, per lo più cattoliche, sono però molto preoccupate. Joseph Cassar, responsabile di un’organizzazione di gesuiti, assicura che scabbia e tubercolosi sono all’ordine del giorno e che il rischio di incidenti è altissimo. Questa è la nazione che dovrebbe aiutare l’Italia a contenere la spinta migratoria. Che avrebbe deviato, come dice Maroni, quarantamila irregolari (l’equivalente del dieci per cento della popolazione dell’isola) verso la Sicilia. Tra il ministro dell’Interno italiano e il suo collega maltese Carmelo Mifsud Bonnici la pace - dopo lo scontro diplomatico per i soccorsi alla nave Pinar - dovrebbe avvenire stasera a Bruxelles, nel corso di una cena organizzata dal Commissario europeo Jacques Barrot. Mifsud Bonnici, un professore di Diritto romano che parla bene l’italiano, sta preparando però un contro dossier. "Le cifre fornite da Maroni sono assurde e si fondano sul presupposto che i salvataggi nelle acque internazionali di nostra competenza spettino a noi. E invece il diritto internazionale è chiaro: a noi tocca coordinare i soccorsi ma le navi vanno scortate verso il porto più vicino". Anche i laburisti, all’opposizione, condividono la linea del governo. "Il peso dell’immigrazione non può ricadere tutto su di noi", ha detto ieri il leader Joseph Muscat al capo delle Nazioni unite Ban Ki Moon. E Louis Grech, europarlamentare del Pse, dice che il comportamento Italiano sul caso Pinar è stato vissuto, dai maltesi, come quello di un "fratello maggiore". Ovvero con prepotenza (detto elegantemente). Immigrazione: Cgil; eliminare realmente l'obbligo di denuncia
www.rassegna.it, 23 aprile 2009
"L’obbligo di denuncia dei clandestini va eliminato realmente per medici e pubblici dipendenti". È quanto torna a ribadire in una nota Carlo Podda, segretario generale della Fp-Cgil. "Leggiamo notizie - scrive il segretario - riguardo ad un accordo della maggioranza che dovrebbe prevedere il ritiro dal pacchetto sicurezza in discussione alla Camera della norma introdotta dalla Lega Nord con la quale si voleva eliminare il divieto di segnalazione degli immigrati irregolari che si recano nelle strutture sanitarie. A queste notizie sono seguite esultanze troppo affrettate". "In realtà - afferma ancora il segretario Fp - questo risultato viene vanificato dall’introduzione del reato di clandestinità perseguibile d’ufficio. In presenza di questo elemento scatta comunque l’obbligo di denuncia per tutti i pubblici ufficiali, a partire dai medici del pronto soccorso, ma anche dell’impiegata dell’anagrafe alla quale si rivolge l’immigrata che ha partorito". Per queste ragioni la Fp-Cgil chiede al Parlamento di fare chiarezza. "Non è ammissibile il gioco delle tre carte per il diritto alla salute che riguarda ciascun individuo e la collettività - conclude Podda - diritto non più garantito da norme che impedirebbero una efficace prevenzione di malattie trasmissibili a partire dalla tubercolosi". Usa: almeno 35 i detenuti scomparsi nelle prigioni segrete Cia
Adnkronos, 23 aprile 2009
È stato George W. Bush ad ammettere l’esistenza di queste carceri a settembre 2006. Ad oggi nessun Paese ha ammesso di avere qualcuno dei 35 desaparecidos. Almeno una trentina di persone che sono state detenute nelle prigioni segrete della Cia risultano scomparse. È la denuncia che arriva da Propublica, il sito di giornalismo investigativo indipendente e non-profit, che sottolinea come i memo dei consiglieri legali dell’amministrazione Bush che hanno autorizzato le torture "inavvertitamente hanno confermato che la Cia ha detenuto uno di questi, Hassan Gul", pakistano arrestato in Iraq nel 2004. "Finora la Cia non ha mai ammesso di aver tenuto prigioniero Ghul ed al momento non si sa dove si trovi" si legge nell’articolo pubblicato da Propublica, che è stato rilanciato sito liberal Huffington Post. È stato George W. Bush per primo ad ammettere l’esistenza delle prigioni Cia nel settembre del 2006, trasferendo 14 prigionieri, considerati importanti esponenti di al Qaeda, da queste a Guantanamo. Secondo Bush gli altri detenuti dei buchi neri stavano per essere trasferiti nelle prigioni dei loro paesi d’origine. Ma ad oggi nessun Paese ha ammesso di avere nelle proprie prigioni qualcuno dei 35 ‘desaparecidos’ della lista pubblicata dal sito sulla base delle informazioni ricevute dalle organizzazioni per i diritti umanitari impegnate nella loro ricerca. "La pubblicazione dei memo del dipartimento di Giustizia sui programmi delle prigioni segrete della Ci è stato un buon primo passo, ma l’amministrazione Obama deve dire che cosa è successo a tutte le persone che sono state detenute e dove si trovano" chiede infatti Joanne Mariner, a capo del programma Terrorismo ed Anti-terrorismo di Human Right Watch. Se queste persone stanno marcendo in qualche segreta egiziana, l’amministrazione non può pretendere di aver chiuso la porta sulle prigione segrete della Cia" aggiunge l’attivista per i diritti umani. La stessa Croce Rossa Internazionale, l’unica organizzazione a cui è stato permesso di entrare a Guantanamo, ha potuto avere accesso solo ai 14 detenuti, tra Khalid Shaikh Mohammed che secondo i documenti appena pubblicati sarebbe stato sottoposto al water boarding 183 volte in un solo mese, il cui trasferimento al campo di prigionia di Cuba era stato reso pubblico. Ma, rivela ancora il sito di giornalismo investigativo, secondo ex funzionari dell’amministrazione Bush nell’estate del 2006, cioè poco prima dell’ammissione da parte del presidente dell’esistenza delle prigioni segrete Cia, decine di detenuti furono trasferiti in Egitto, Giordania e Pakistan. Ed anche nella Libia di Mommar Gheddafi con cui Bush aveva appena riallacciato le relazioni diplomatiche. Le prigioni segrete furono svuotate a seguito dell’interesse da parte dei media dopo l’articolo del Washington Post che nel novembre 2005 per primo ne rivelò l’esistenza. Spagna: detenuto non poté morire libero, governo condannato
Ansa, 23 aprile 2009
Il Comitato dei Diritti Umani dell’Onu ha condannato lo Stato spagnolo per non aver concesso al detenuto Diego Morales, sieropositivo in fase terminale, di trascorrere gli ultimi giorni a casa dei genitori. La sua morte risale al primo gennaio 1994, ed è dunque una vicenda lunghissima, la cui conclusione permette ora alla famiglia Morales di considerare chiuso un aspro iter giudiziario, iniziato oltre 15 anni fa, e che ha trovato il suo epilogo fuori dai confini poiché anche Tribunal Constitucional aveva respinto le accuse di atteggiamento passivo del carcere e di mancata informazione alla famiglia sull’aggravarsi del suo stato di salute - circostanza che ha avuto un grave impatto sulla vita dei famigliari.
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