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Giustizia: modalità di detenzione diversa, a seconda dei reati di Marco Iasevoli
Avvenire, 3 agosto 2009
Nuove carceri, assunzione straordinaria di guardie e modalità di detenzione diversa a seconda dei reati. Non sono allo studio, per il momento, né modifiche ai tempi di durata della custodia cautelare, né altre misure alternative alla prigione. Il governo dà le prime risposte per uscire dall’emergenza-sovraffollamento. A renderle note è il sottosegretario di via Arenula Giacomo Caliendo, rispondendo ad una interrogazione dei deputati Udc Roberto Rao e Michele Vietti in commissione Giustizia della Camera. Nella sua risposta il braccio destro del Guardasigilli Alfano tocca anche il tema dei suicidi, dei quali Avvenire, domenica scorsa, ha documentato la netta tendenza all’aumento (ieri l’ultimo caso a Livorno): a suo parere "malgrado il crescente sovraffollamento vi è stata una lieve riduzione". Forse si riferisce alla percentuale di persone che si sono uccise sul totale della popolazione carceraria. Inoltre, nel question-time in commissione rilancia l’idea delle case-famiglia per detenuti madri. Nessun riferimento invece ad accordi bilaterali per rimpatriare i carcerati stranieri nei loro Paesi d’origine (soluzione riferita al nostro giornale dal sottosegretario Maria Elisabetta Casellati), né ad un inasprimento delle espulsioni. Tra le richieste dell’Udc anche la riduzione di pena per reati lievi, sulla quale il ministero non si è espressa. Si conferma, dunque, che il piano dell’esecutivo si fonda sulla realizzazione di nuovi istituti e nuovi pa- diglioni. I numeri sono quelli già noti: 18mila posti-letto da qui al 2012. Ma il sottosegretario non dice quando il provvedimento sbarcherà in Consiglio dei ministri. Intanto, spiega Caliendo, qualcosa si sta muovendo: nuovi posti sono già disponibili a Perugia-Capanne (200), Regina Coeli (120), Cassino (46) e Noto (200). Consapevole però dell’attuale caos nelle prigioni, Caliendo va avanti e annuncia, "in vista dell’aumento degli spazi detentivi", un "piano straordinario di assunzioni" per consentire all’amministrazione penitenziaria "condizioni lavorative meno stressanti". L’altra misura che potrebbe alleviare l’emergenza è una "diversificazione e tipizzazione degli interventi trattamentali in base al livello di pericolosità del soggetto". Uscendo dal linguaggio tecnico: non tutti devono stare in cella, si può pensare a strutture e modalità di controllo differenti a seconda dei reati. Quanto alle due maggiori richieste dell’Udc, ovvero cambiare i termini della custodia cautelare e istituire altre misure alternative, Caliendo conferma che "non sono allo studio". Ma non è una chiusura netta. Sul primo fronte rimarca i possibili effetti benefici sulla durata dei processi del ddl Alfano di riforma il procedimento penale, ora in commissione Giustizia del Senato. Mentre a misure alternative si può pensare solo alla luce di una "complessiva riforma del sistema sanzionatorio". L’interrogazione di Rao e Vietti mette in luce, infine, lo stato di disagio delle detenuti madri, dei 70 bimbi con meno di tre anni ospiti nei 16 asili annessi agli istituti e delle 30 carcerate in gravidanza: "Il Dap - risponde Caliendo - ha predisposto un modello di custodia attenuata sulla falsariga delle case-famiglia. La prima esperienza è stata realizzata a Milano, stiamo per avviarle anche a Venezia, Firenze e Roma". I deputati Udc avevano anche messo in evidenza il ristretto numero di psicologi (384) per tutte le 205 carceri e la recente condanna della Corte europea dei diritti umani. Giustizia: Università Bocconi; carceri piccole e troppo costose di Ilaria Sesana
Avvenire, 3 agosto 2009
Le carceri italiane spendono 2,5 volte più di quanto necessario per essere gestite in modo efficiente. È la stima elaborata da un gruppo di ricercatori dell’università Bocconi di Milano che, nel periodo 2003-2005 hanno studiato 142 penitenziari (su un totale di circa 200) elaborando un modello di "carcere efficiente" che è stato poi raffrontato con le strutture esistenti. La soluzione: costruire penitenziari più grandi. Primo fattore critico che vene messo in evidenza è il cronico sovraffollamento. Una condizione data dal fatto che l’aumento di ricettività delle strutture (+5,5% nel periodo 1999-2005) non ha minimamente tenuto il passo con l’aumento dei detenuti (+22% nello stesso periodo). "Le carceri italiane sono troppo piccole: l’80% delle strutture hanno meno di 300 posti - spiega Alberto Zanardi, docente del master in economia e Gestione dei Servizi di pubblica utilità in Bocconi e autore della ricerca -. Maggiore efficienza è data da strutture di dimensioni più ampie". La soluzione quindi, potrebbe essere la costruzione di carceri più capienti, che possono portare a un costo per detenuto inferiore anche se, riconosce il ricercatore, "la convivenza di un numero elevato di persone può portare altri problemi". Altro fattore che incide sui costi di gestione di un carcere è la forza lavoro: la spesa per il personale rappresenta infatti il 70% del costo medio per detenuto, mentre con il rimanente 30% si pagano vitto, spese mediche, strutture. Giustizia: agenti; emergenza aggressioni, 7 picchiati in 48 ore di Ilaria Sesana
Avvenire, 3 agosto 2009
Sette agenti penitenziari aggrediti, in meno di 48 ore, nelle carceri di Napoli e di Cuneo. Un fenomeno in crescita, denunciano le associazioni sindacali delle guardie, l’ennesimo segnale che conferma il crescere della tensione nei penitenziari italiani. Solo negli ultimi tre mesi, gli episodi di violenza nei confronti dei poliziotti è aumentato del 50%, denuncia l’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria) e la percentuale sale ancora "vertiginosamente se il paragone viene fatto con il dato dell’anno precedente". "Ci aspetta un’estate calda - commenta Leo Beneducci, segretario dell’Osapp - . E le carceri stanno diventando sempre più l’esempio di come questo esecutivo e questo ministro della Giustizia "che non c’è" si trovino a non sostenere più la linea della legalità e dell’ordine pubblico". Due aggressioni sono avvenute venerdì a Napoli. Una all’ospedale Cardarelli di Napoli, dove un detenuto ricoverato per urgenza all’improvviso è andato in escandescenza: si è tolto gli aghi dalle vene e con quelli ha minacciato due agenti penitenziari, che erano in servizio di sorveglianza. L’altro episodio si è verificato al carcere di Poggioreale dove un detenuto ha rotto il setto nasale a un agente. Altre due aggressioni sono invece avvenute nel penitenziario di Cuneo, dove nella mattinata di ieri, nel corso della perquisizione ordinaria nel reparto isolamento, due agenti sono stati aggrediti violentemente da un detenuto di nazionalità magrebina: il primo ha un giorno di prognosi per contusioni ed ecchimosi, il secondo 20 giorni di prognosi per la distorsione della clavicola della spalla destra. Poco dopo, rinchiuso nella cella del reparto, il marocchino ha colpito altri due agenti. Episodi che arrivano in conclusione di una lunga serie di aggressioni avvenute, negli ultimi giorni, nelle carceri di Benevento, Torino, Lecce e Milano "San Vittore". "Ci vogliono interventi immediati, la situazione è incandescente", denunciano dal Sappe, altro organo di rappresentanza sindacale degli agenti di polizia. Che contesta anche la decisione del Dap di convocare per il 6 agosto, una riunione con i rappresentanti sindacali per la "Gestione dell’emergenza estiva". Una convocazione che arriva "troppo tardi - per il Sappe -. Se si voleva ragionare sulla gestione dell’emergenza carceri in estate, questa riunione andava fatta a maggio, per mettere in campo tutti gli strumenti preventivi necessari". Giustizia: Sappe; basta… non si può resistere ancora a lungo!
Il Velino, 3 agosto 2009
"Non posso che giudicare con estrema preoccupazione l’ennesima aggressione di un detenuto ad un poliziotto penitenziario, avvenuta ieri sera nel carcere di Napoli Poggioreale. Un detenuto ha improvvisamente aggredito un nostro agente, colpendolo violentemente al naso tanto da rendere necessario un intervento chirurgico. Basta, basta, basta!". È il commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa della categoria. "Le aggressioni ai poliziotti penitenziari hanno ormai cadenza quotidiana: nell’ultima settimana episodi analoghi sono avvenuti nei penitenziari di Lecce, Prato, Salerno, Milano. Bisogna contrastare con fermezza questa ingiustificata violenza a danno dei rappresentati dello Stato in carcere e punire con pene esemplari chi li commette: penso a un maggiore ricorso all’isolamento giudiziario fino a fine pena con esclusione delle attività in comune ai detenuti che aggrediscono gli agenti - propone Capace - e a un altrettanto maggiore ricorso agli strumenti di coercizione per i ristretti più aggressivi e violenti, come, ad esempio, avviene negli Stati Uniti". "Di fronte a queste preoccupanti aggressioni, sintomo di una tensione sempre più crescente nelle carceri - continua il segretario generale del Sappe -, l’amministrazione penitenziaria guidata (male) da Franco Ionta continua a navigare a vista. Si è deciso di convocare il 6 agosto al dipartimento una riunione con i sindacati della Polizia penitenziaria per parlare di come gestire l’emergenza carceri in estate. Una riunione che si sarebbe dovuta tenere a maggio, non in piena emergenza, con agenti aggrediti ogni giorno e tensioni continue! Ad oggi sono undici le regioni ‘fuori leggè che ospitano un numero di persone superiore al limite ‘tollerabilè: Campania , Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Veneto. A queste si aggiungono tutte le altre che superano comunque il limite regolamentare. In Emilia Romagna si è raggiunto il 202 per cento della capienza regolamentare, in Trentino Alto Adige e in Valle d’Aosta siamo intorno al 130 per cento della capienza tollerabile". "Le cifre sono rilevate dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che, ovviamente, se ne guarda bene dal presentarle all’opinione pubblica. Il capo della Dap, Ionta, in carica da un anno, non ha fatto nulla di concreto per risolvere i gravi problemi penitenziari e si è limitato a lanciare slogan sull’edilizia penitenziaria per disinnescare la bomba ad orologeria delle carceri italiane. Si continua a parlare di un piano sull’edilizia di prossima attuazione - prosegue Capace -, ma in realtà ci vorranno anni prima che venga costruito un singolo nuovo carcere e quando anche venissero costruite, allora dovremmo già mettere in cantiere anche un piano di assunzioni nel settore penitenziario con la previsione di concorsi da psicologo, educatore, assistente sociale e soprattutto di Polizia Penitenziaria. Per ora il Governo, il ministero della Giustizia ed il Dap si sono fatti scudo della drammatica situazione attraverso il senso di responsabilità del corpo di Polizia penitenziaria; ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle 39 mila persone in divisa per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia. Quanto si pensa possano resistere gli uomini e donne della Polizia penitenziaria, che sono costretti a trascurare le proprie famiglie, per garantire turni massacranti con straordinari nemmeno pagati? Quanto stress psico-fisico pensano possa sopportare una persona costretta a convivere con situazioni sanitarie da terzo mondo, esposti a malattie infettive che si ritenevano ormai debellate in Italia, ma che sono largamente diffuse in carcere, attenta a scongiurare suicidi, a schivare aggressioni da parte dei detenuti e tentativi d’evasione che sono all’ordine del giorno?". "Un atto di serietà politica e di onestà intellettuale sarebbe quello di leggere le cifre e ascoltare chi in carcere ci lavora da anni, la Polizia Penitenziaria appunto, e non improvvisarsi ad amministratori che non fanno i conti con la realtà. L’unica via d’uscita da questa situazione - conclude Capace - è il ricorrere alla misure alternative alla detenzione che è dimostrato dai numeri che sono lo strumento migliore per garantire la vera sicurezza per i cittadini. Soltanto chi ha la possibilità di allontanarsi dal carcere per una seria prospettiva di lavoro all’esterno non tenta di commettere altri reati". Giustizia: Osapp; Governo non sostiene più legalità in carcere
Il Velino, 3 agosto 2009
"Agosto è cominciato proprio bene!". A dichiararlo è il segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma di Polizia penitenziaria (Osapp), Leo Beneduci, che denuncia due fatti gravi avvenuti ieri sera a Napoli, nel carcere di Poggioreale e altre due aggressioni stamani nel carcere di Cuneo. "Tutto è iniziato ieri sera verso le 18 circa, all’ospedale Cardarelli di Napoli, - riferisce il leader sindacale - dove un detenuto ricoverato per urgenza all’improvviso è andato in escandescenze, rompendo tutti i mobili del reparto detentivo Milano e si è tolto gli aghi dalle vene. Il recluso ha messo in serio pericolo gli agenti penitenziari, che erano in servizio di sorveglianza e che, nel frattempo, venivano minacciati con gli aghi insanguinati. Due soli agenti - sottolinea Beneduci - e senza alcuna esperienza di ricoveri ospedalieri". "Gli agenti hanno immediatamente dato l’allarme alla centrale operativa radiomobile, senza però avere alcuna risposta di pronto intervento. Hanno chiamato il carcere, che a sua volta doveva mandare una macchina, ma senza ottenere l’autovettura e gli uomini in aiuto. A quel punto, nei corridoi del reparto ospedaliero si è creato il panico, con i parenti del detenuto presenti in grave stato di shock ad aggiungere confusione. Una situazione che poteva sfociare in tragedia - spiega Beneduci - se non ci fosse stato l’intervento di altri due agenti penitenziari, anche loro presenti per tutt’altro servizio al Cardarelli. I colleghi hanno quindi prelevato il detenuto e lo hanno trasferito in un altro reparto detentivo dello stesso ospedale". "Nella tarda serata, invece, nell’istituto penitenziario di Poggioreale, un detenuto proveniente dallo stato di libertà senza alcun motivo inveiva contro un agente procurandogli la rottura del setto nasale. L’aggressione è avvenuta nel reparto matricole e ha comportato l’immediato ricovero dell’agente che stamani ha già subito l’intervento chirurgico di ricostruzione". A Cuneo, invece, questa mattina, intorno alle 8.30 circa, nel corso della perquisizione ordinaria eseguita dal personale di polizia penitenziaria nel reparto di isolamento, due agenti sono stati aggrediti violentemente da un detenuto di nazionalità magrebina. Subito assistiti, gli agenti hanno riportato, il primo un giorno di prognosi per contusioni ed ecchimosi, e il secondo persino 20 giorni di prognosi per la distorsione della clavicola della spalla destra. Poco dopo, rinchiuso nella cella del reparto, il marocchino ha colpito altri due agenti che hanno riportato ferite medicate con punti di sutura e una prognosi di sette giorni per il primo. L’altro, invece, a fronte della violenta spinta subita dall’aggressore si procurava la frattura del piede sinistro con una prognosi di 25 giorni". "Ci aspetta un’estate calda - commenta amaro Leo Beneduci - i fatti che denunciamo sono in costante crescita, e non solo a Poggioreale o a Cuneo. Registriamo un aumento delle aggressioni, che il dipartimento ha tutta la convenienza a non divulgare, un incremento del 50 per cento solo negli ultimi tre mesi. Una percentuale che sale vertiginosamente se il paragone viene fatto con il dato dell’anno precedente. Le carceri stanno diventando sempre più l’esempio di come questo esecutivo, e questo ministro della Giustizia ‘che non c’è’, si trovino a non sostenere più la linea della legalità e dell’ordine pubblico". Giustizia: il sito internet del ministero, ha cambiato… "faccia"
Comunicato stampa, 3 agosto 2009
Da oggi il sito internet ministeriale www.giustizia.it e il quotidiano telematico "Giustizia news on line" assumono una nuova veste grafica e una più dinamica e funzionale impaginazione, secondo i criteri del web 2.0. Lo comunica in una nota il Ministero della Giustizia. Le modifiche apportate - si legge nella nota - renderanno accessibili a cittadini, addetti ai lavori e operatori del settore, secondo quanto previsto dalla legge Stanca, gli oltre 15mila contenuti presenti. Campania: la Chiesa in campo contro "l’emergenza carcere" di Valeria Chianese
Avvenire, 3 agosto 2009
Sono ragazzi giovani, in larga parte alla loro prima esperienza carceraria. Finiti dietro le sbarre per reati connessi allo spaccio o per piccoli furti. "Sono la manovalanza della criminalità organizzata e sono l’humus da cui la camorra trae alimento", spiega don Franco Esposito, direttore dell’Ufficio della pastorale carceraria dell’arcidiocesi di Napoli parlando dei circa 400 detenuti del padiglione "Firenze" del carcere di Poggioreale. A loro si rivolge il progetto "Non più legami", promosso dall’Ufficio di don Franco, che propone alle parrocchie napoletane di "adottare" un detenuto. Un progetto pensato per contrastare l’attività della criminalità organizzata che tende a "prendersi cura" di questi giovani mentre si trovano in carcere, per tenerli avvinti a sé. Occorre quindi spezzare questa spirale perversa, dando una possibilità di riscatto a chi ha sbagliato per la prima volta e intende uscire dal giro della criminalità. "L’adozione - precisa don Franco Esposito - non riguarda solo l’aspetto economico. È importante creare una specie di rapporto di amicizia con la comunità parrocchiale adottante. Ciò servirà a spezzare i vecchi legami e a scoprire rapporti nuovi di vera fraternità". Un progetto che si inserisce all’interno di una realtà carceraria drammatica. Il carcere di Poggioreale, con 2.544 detenuti, di cui 2.200 in attesa di giudizio, è il più affollato d’Europa. Nel settembre dello scorso anno, una delegazione del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (organo del Consiglio d’Europa) è stato in visita nell’istituto per verificare le condizioni di vita dei detenuti. Uomini che, tra i tanti disagi, non ultimo la mancanza di igiene, sono costretti a stare sempre in cella mentre il numero di agenti di polizia penitenziaria è così scarso da non consentire adeguata sorveglianza. "Sicuramente andremo in paradiso perché all’inferno già ci siamo, siamo a Poggioreale", hanno scritto i detenuti. La parola "carcere" in Campania è da anni sinonimo di disumanità, di dolore, di disagio. E di solitudine. Nonostante il sovraffollamento che caratterizza i 17 istituti penitenziari della regione (7.378 presenze a fronte di una capienza ufficiale complessiva di 5.328 posti). Nelle celle delle carceri campane è rinchiuso il 21% degli esuberi a livello nazionale. Altro triste record regionale è il numero di persone ancora in attesa di una sentenza definitiva: 4.351 detenuti su 7.378. Inoltre, circa il 30% della popolazione detenuta è tossicodipendente, ma solo il 4,1% è in trattamento con il metadone. Il 20% dei detenuti è costituito da immigrati. "Le carceri in Campania sono al collasso ", stigmatizzano le associazioni. "Ci sono solo due azioni che potrebbero contribuire ad alleviare questo stato di cose - osservano Samuele Ciambriello e Dario Stefano Dell’Aquila, rispettivamente presidente dell’associazione "La Mansarda" e di "Antigone Campania". - Da un lato è necessario immettere nuove risorse e personale negli istituti di pena, dall’altro estendere la possibilità di ricorrere a misure alternative alla detenzione". Se ciò non dovesse avvenire "e se si dovesse proseguire con scelte demagogiche in materia di sicurezza", puntualizzano, si rischia di mettere in crisi tutto il sistema penitenziario e " di creare condizioni di invivibilità in tutti i penitenziari campani e italiani ". " Sovraffollamento non significa soltanto difficoltà di gestione del popolo delle carceri, significa anche gravi rischi per la sicurezza e per la salute del personale e degli stessi detenuti", sottolinea Leo Beneduci, segretario provinciale dell’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria. Secondo i dati di "Antigone" e "La Mansarda", nel corso del 2008 si sono verificati cinque suicidi, 14 decessi per cause naturali, 42 tentati suicidi e 255 atti di autolesionismo e quest’anno si contano già quattro suicidi. Umbria: polizia penitenziaria incontra presidente della regione
Ansa, 3 agosto 2009
Convocazione Consiglio Regionale Queste OO.SS. rappresentative del Personale di Polizia Penitenziaria, sono state convocate e ricevute questa mattina dal Consiglio della Regione Umbria. Alla presenza del Presidente del Consiglio Regionale Fabrizio Bracco e ai componenti dell’Ufficio di presidenza, Mara Gilioni e Andrea Lignani Marchesani, le OO.SS. in intestazione hanno esposto i timori e le problematiche inerenti l’apertura del nuovo padiglione dell’istituto penitenziario di Capanne e l’invio a Spoleto di 300 nuovi detenuti. In particolare per Perugia si è evidenziata la carenza di personale, già preesistente, che si è notevolmente aggravata con l’apertura di un nuovo reparto avvenuta con l’invio i missione di sole 40 unità a fronte delle 143 previste. Inoltre abbiamo manifestato il timore per l’impatto sociale e sulla sicurezza che potrebbe avvenire con l’arrivo nella regione Umbria di 500 nuovi detenuti provenienti dalle altre regioni d’Italia e il possibile radicamento di nuova criminalità. Abbiamo esposto anche problematiche direttamente legate e inerenti alla Regione Umbria, come la sanità penitenziaria, dipendente dalla ASL. Difatti allo stato attuale nel carcere di Perugia l’organico del personale sanitario non è stato integrato ma anzi c’è stata una "fuga" di personale medico da quest’ultimo, in quanto stressati e impossibilitati a fronteggiare un aumento sconsiderato del carico lavorativo. Abbiamo inoltre informato il Sig. Presidente, che quello che prevedevamo avvenisse entro qualche mese è già avvenuto, ossia il sovraffollamento. Difatti nonostante l’apertura del nuovo padiglione in quel di Capanne, da ieri i nuovi detenuti si trovano a dormire con il letto a terra perché non c’è più posto per l’accoglienza in quanto l’istituto è già pieno. A fronte di ciò, l’esiguo contingente di personale è costretto a turni estenuanti, al continuo ricorso al lavoro straordinario e alla dilazione dei riposi settimanali. Il Presidente a nome del Consiglio Regionale ha condiviso in toto le nostre preoccupazioni e si è fatto carico di segnalare ufficialmente la situazione al Ministro della Giustizia, al Capo del Dipartimento e al Prefetto di Perugia il quale, quest’ultimo, ha convocato queste OO.SS. unitamente al Direttore del carcere di Perugia e al Provveditore Regionale dell’Amm.ne Penitenziaria lunedì 3 Agosto p.v. Livorno: 8 suicidi in 5 anni eppure è un carcere "di provincia"
Il Tirreno, 3 agosto 2009
Un quarto d’ora prima era stato controllato da uno degli agenti della penitenziaria addetti alla supervisione dei detenuti della sezione di Osservazione psichiatrica. Ma quando l’infermiera, giovedì alle 21, gli ha portato le medicine, era troppo tardi. Il suo corpo era ormai senza vita. Una storia triste quella di Emilio Angelini, 48 anni, originario di Ascoli Piceno: si è impiccato alle sbarre della finestra della sua cella singola usando la maglietta. Un nuovo macigno che si è abbattuto sull’istituto penitenziario dove spesso in passato si sono verificati suicidi tra i detenuti. Recluso nel carcere di Pesaro per reati legati alla droga, era arrivato alle Sughere giovedì mattina per essere assistito all’interno della sezione speciale di Osservazione psichiatrica: aveva infatti problemi di salute mentale. Avrebbe finito di scontare la sua pena tra due anni. Già nei mesi scorsi, per lo stesso motivo, aveva trascorso un periodo in città: l’istituto delle Sughere infatti ha la caratteristica di essere dotato di questa particolare sezione. La giornata di Emilio, giovedì, era trascorsa serenamente: gli agenti della polizia penitenziaria né i medici avevano notato niente di strano. E in base a quanto appreso, mai nel passato aveva manifestato intenzioni o messo in atto gesti di autolesionismo. Gli inquirenti vogliono veder chiaro nel ricostruire la vicenda: gli investigatori della Mobile, coordinati dal pm Luca Masini, hanno trascorso quasi tutta la notte alle Sughere e hanno ascoltato gli agenti della penitenziaria addetti alla sorveglianza. Sul suo corpo, rimosso dal servizio funebre della Svs, la Procura ha disposto l’autopsia: vuole verificare che non ci siano state irregolarità nel controllo del detenuto. Angelini era tornato in carcere il 2 luglio del 2008. Nel 1993 era stato coinvolto in un giro di droga insieme ad altre persone, condannate come lui tre anni dopo dal Tribunale di Ascoli. Viste le sue condizioni di salute e lo stato di tossicodipendenza, l’avvocato Felice Franchi aveva chiesto la scarcerazione.
I precedenti
Otto suicidi in cinque anni, più numerosi tentativi di togliersi la vita da parte dei detenuti nel carcere delle Sughere. Di solito i suicidi si verificano nelle case circondariali affollate per lo più da detenuti in attesa di giudizio, ma non è sempre così. Giugno 2004: Un detenuto calabrese di 50 anni si toglie la vita. Luglio 2004: Un cinquantenne cileno si impicca in cella. Settembre 2004. A suicidarsi è un italiano di 37 anni recluso per furto. Settembre 2007. Un giovane albanese si toglie la vita e nella stessa settimana si uccide un polacco di appena 27 anni. Novembre 2008. Muore un giovane sniffando gas da un fornellino, si sospetta il suicidio. Maggio 2009. Si suicida un ragazzo di appena 21 anni. Luglio 2009. L’ultimo caso è quello di Emilio Angelini, che si è impiccato giovedì.
Ci troviamo a gestire il doppio dei reclusi…
Un sovraffollamento di quasi 170 posti: le Sughere scoppiano. Lo conferma la direttrice Anna Carmineo: "In questo momento ospitiamo non meno di 430 detenuti, a fronte di una capienza di 265 posti. È evidente che in queste condizioni siamo costretti a lavorare in condizioni particolarmente difficili". Dopo il suicidio del detenuto di Ascoli avvenuto giovedì sera, la direttrice dell’istituto penitenziario evidenzia il problema del sovraffollamento delle carceri italiane. "Da noi - spiega Carnimeo - entrano anche persone che restano in cella solo poche ore. Il problema del sovraffollamento riguarda tutti gli istituti e noi da tempo abbiamo chiesto, senza ottenerlo, uno sfollamento". Anna Carnimeo respinge l’accusa che alle Sughere si stia peggio che altrove: "Tra il personale e i detenuti c’è un rapporto di grande lealtà - conclude - Sono anni che non si verificano proteste. Loro riconoscono che noi svolgiamo il nostro lavoro nel miglior modo possibile anche nella difficoltà di dover gestire un numero di reclusi che è praticamente il doppio della capienza prevista". Forlì: una lettera dei detenuti, "qui ci fanno vivere come cani"
La Voce di Forlì, 3 agosto 2009
Noi detenuti della Casa Circondariale di Forlì ci rivolgiamo per l’ennesima volta al giornale perche siamo stanchi, delle condizioni degradanti che stiamo vivendo all’interno dell’istituto, visto anche il problema del sovraffollamento, e la mancanza, degli agenti di custodia. Facciamo presente che siamo 240 detenuti (con 83 agenti) anziché 130. Viviamo in stanze da due persone: prima erano per una sola persona essendo di dimensioni ridottissime (3x2 metri); calcolando la branda il tavolo e, due armadietti ci rimane poco più di un metro di spazio. Non ci sopravvivrebbe neanche un cane. Abbiamo dei blindi non a norma, non ci viene mai data la fornitura che ci spetta, il cambio delle lenzuola viene effettuato ogni mese invece di ogni quindici giorni, alle persone con gravi problemi economici l’amministrazione non concede alcun tipo di prodotto per l’igiene personale. L’educatore è come se non esistesse: non si fa"vivo nemmeno con i nuovi detenuti per capire la loro personalità. Non veniamo seguiti da nessuno. E non c’è mai nessuno quando hai bisogno urgente dell’infermeria. Il colloquio con i nostri famigliari lo svolgiamo con persone del piano "protetto" ovvero quelle con reati di pedofilia, violenza sessuale, eccetera. Per legge questi "protetti" dovrebbero invece colloquiare con i parenti in un’altra stanza divisa dalla nostra da un muro o almeno un cartongesso. Facciamo presente che, funzionando tuttora in questa maniera codesto istituto, chi di competenza sta violando tutti i nostri diritti di esseri umani è anche molti articoli dell’ordinamento penitenziario e pure qualche articolo della Costituzione italiana. A volte si arriva a situazioni molto tese con gli agenti di custodia per banalissime cose: il problema è che noi ormai siamo ammassati come animali in stanze piccolissime, e anche loro sono molto stressati per le tante ore di lavoro cui sono costretti per mancanza di nuovi agenti. Noi detenuti siamo pronti a incominciare uno sciopero della fame a oltranza, se non vengono prese serie ed importanti decisioni da parte della Direzione del Dap e dal Ministro della Giustizia Angelino Alfano visto che nel piano carceri da lui disposto non ha inserito la Casa Circondariale di Forlì. Ciò significa che Alfano è all’oscuro delle condizioni in cui viviamo noi detenuti a Forlì: di conseguenza siamo come detenuti su un’isola deserta. Nessuno ci vede, nessuno ci sente. Con questa lettera vorremmo che qualcuno ci ascoltasse dandoci poi una piccola mano: non per la libertà, ma per farci vivere in modo civile il resto dei giorni che ci restano da scontare.
I detenuti della Casa Circondariale di Forlì Pistoia: situazione molto difficile, c’è bisogno di nuovo carcere
La Nazione, 3 agosto 2009
Una nota spiega che gli esponenti del Pdl, compreso il capogruppo Fi-Pdl al Comune di Pistoia, hanno verificato "la difficoltosa situazione a cui è sottoposta l’intera popolazione carceraria, detenuti e operatori": il carcere è sovraffollato, con 136 detenuti a fronte dei 54 previsti, e sono sotto organico gli operatori, 54 contro i 79. Annamaria Celesti, vicepresidente della commissione regionale sanità, e Roberto Benedetti, presidente di An nel Pdl in Regione Toscana, dopo una visita istituzionale nel penitenziario pistoiese di Santa Caterina lanciano l’allarme: "Pistoia ha l’esigenza di una nuova struttura carceraria. Per questo ci faremo promotori presso il Governo, in particolare presso i ministri alla giustizia Alfano e alle infrastrutture Matteoli, dell’avvio di un percorso che possa portare a valutare l’inserimento del Santa Caterina nel piano nazionale di ristrutturazione carceraria". Una nota spiega che gli esponenti del Pdl, compreso il capogruppo Fi-Pdl al Comune di Pistoia, hanno verificato "la difficoltosa situazione a cui è sottoposta l’intera popolazione carceraria, detenuti e operatori": il carcere è sovraffollato, con 136 detenuti a fronte dei 54 previsti, e sono sotto organico gli operatori, 54 contro 79 previsti. Il settore della medicina penitenziaria, invece, "appare ben strutturato e adeguato alla situazione". La struttura inoltre, nonostante i vari restauri, "manca sia di campo sportivo che di stanze per la socialità, e soprattutto "comprende celle anguste, con anche 3 detenuti a dividersi 7 mq di spazio. È ovvio - hanno detto Celesti e Benedetti "che in una situazione simile non si può che elogiare la dedizione e la sensibilità" degli operatori penitenziari. Un altro dato allarmate: "come dimostra l’ennesimo suicidio avvenuto al carcere di Livorno, Pistoia non rappresenta un caso isolato in Toscana". In questo senso, l’attenzione dei consiglieri regionali è rivolta soprattutto sulla medicina penitenziaria: "Servono da parte della Regione - hanno affermato - misure appropriate da individuare con il pieno coinvolgimento degli operatori, perché la salute in carcere è una priorità assoluta, un diritto e non una concessione eventuale. Solo che in simili condizioni e veramente difficile da garantire". Il Pdl ha anche ricordato un’interrogazione presentata all’assessore alla salute Enrico Rossi nel quale si chiedevano "iniziative urgenti per fronteggiare le criticità del sistema penitenziario toscano". Macomer (Nu): lettera dei detenuti islamici "carcere invivibile" di Piero Marongiu
La Nuova Sardegna, 3 agosto 2009
Dopo la visita effettuata la scorsa settimana dalla commissione regionale per i diritti civili, presieduta da Silvestro Ladu, e quella di appena tre giorni dal numero due del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Sebastiano Ardita, alla Casa Circondariale di Macomer, ieri è emerso un fatto nuovo: una quindicina dei 24 detenuti islamici - condannati o in attesa di giudizio per gravi reati connessi al terrorismo islamico - hanno indirizzato una lettera al sindaco Riccardo Uda in cui denunciano la particolare rigidità del sistema carcerario cui sono sottoposti. I detenuti chiedono un intervento in loro favore che li aiuti a risolvere alcuni dei problemi che contribuiscono a rendere insopportabile la vita all’interno della struttura carceraria. In sintesi, denunciano: "Da oltre quattro mesi stiamo subendo maltrattamenti indescrivibili. Prima di venire a Macomer usufruivamo di tutti i servizi previsti. Qui il vitto islamico non esiste (da quattro mesi mangiamo solo legumi, carne mai), non abbiamo un luogo dove pregare secondo il nostro culto (la libertà di culto è un diritto sancito dalla Costituzione). Le visite mediche vengono effettuate raramente e molti di noi non riescono a fare neppure quelle specialistiche. Il dipartimento ha deciso che noi, detenuti del 270 bis, dobbiamo stare in uno dei tre carceri (Macomer, Benevento, Asti), ma la cosa strana è che in ognuno dei tre istituti il sistema carcerario è diverso. Noi riteniamo che sia un crimine contro l’umanità separare i genitori dai loro figli: molti di noi hanno figli minori che non riescono a vedere. Per la lontananza è quasi impossibile fare i colloqui con i familiari. Se si lavora per il bene della popolazione, perché si condizionano negativamente i nostri figli?". Riccardo Uda, in merito alla lettera, ha detto: "Esprimo loro la mia umana comprensione e mi impegno a portare le loro istanze presso i vertici dell’istituzione carceraria. Purtroppo altro non posso fare". Sulla vicenda, nei giorni scorsi, ha preso posizione anche il segretario provinciale di Rifondazione comunista Giovanna Ticca, insieme a Patrizia Ruiu, del dipartimento per i diritti civili dello stesso partito, che ha denunciato l’inadeguatezza della struttura macomerese e il sistema carcerario particolarmente duro cui sono sottoposti i detenuti islamici, definito "poco differente da quello previsto per il 41 bis".Ardita, invece, aveva detto che la carne viene macellata con modalità islamica e che, anche se non si può parlare di moschea, è stata messa a loro disposizione una sala per il culto. Milano: detenuti lavorano all’archivio elettronico del tribunale di Davide Carlucci
La Repubblica, 3 agosto 2009
Detenuti e magistrati fianco a fianco in tribunale. Ma - per la prima volta in Italia - con ruoli diversi dal solito: i primi daranno una mano ai secondi, aiutandoli a semplificare il loro lavoro. E, soprattutto, a eliminare le montagne di carta prodotte ogni giorno tra verbali e intercettazioni. Il progetto, che punta (oltre che a rieducare) alla realizzazione di un archivio elettronico del Tribunale di Milano, anticamera del "processo telematico", è stato approvato il 22 luglio dalla Cassa delle ammende, l’ente del ministero della Giustizia che custodisce il denaro proveniente dalle sentenze penali di condanna. Partenza prevista a ottobre: "Stiamo già selezionando le persone idonee - spiega Francesca Valenzi, del provveditorato regionale all’amministrazione penitenziaria - Saranno 14, affiancati da due tutor. Dovranno seguire un corso di formazione a Opera e, una volta acquistati i computer, potranno cominciare". Il loro compito consisterà nel trasformare in atti digitali tutti gli atti cartacei depositati con l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. "Si potranno scannerizzare 5500 pagine al giorno", calcola Claudio Castelli, l’ideatore del progetto, capo dipartimento dell’organizzazione giudiziaria del ministero della Giustizia fino al 2008 e oggi presidente aggiunto della sezione Gip del Tribunale. "Avvocati, magistrati e cancellieri - aggiunge - potranno studiare tutti gli atti senza ricorrere a fotocopie ma acquisendoli con un cd". E la sicurezza? La riservatezza di atti così delicati? Il trattamento dei documenti da parte dei detenuti avverrà solo ad attività investigativa conclusa. Sarà impiegato, inoltre, personale in semilibertà, "già sottoposto a osservazione - fa notare Valenzi - sia all’interno del carcere che dal tribunale di sorveglianza". Su di loro vigileranno i tutor e "i tempi di lavoro saranno tali da non consentire una lettura analitica degli atti, che saranno tutti contati per non farli sparire. Ci saranno dei codici che permetteranno di risalire a chi ha trattato l’atto. E dopo averlo fatto, l’operatore non potrà più accedervi". L’attività, inoltre, sarà gestita da un server dedicato dal quale non si potrà accedere al sistema della procura. La sede del laboratorio è stata già individuata: al quarto piano del palazzo di Giustizia, "su un corridoio caratterizzato da scarsissima affluenza e quindi perfettamente idoneo a garantire tanto la riservatezza quanto il controllo delle attività in questione", è scritto nel progetto, per il quale è stato previsto un costo - suscettibile di ridimensionamento- di 512mila euro per due anni di attività: il grosso della spesa servirà a retribuire, con una paga di 9,57 euro all’ora, gli addetti. Che saranno strettamente sorvegliati: non potranno incontrare estranei e potranno allontanarsi, accompagnati, solo per prendere un caffè o uno snack alla macchinetta o per "accedere alla toilette, ubicata a breve distanza". Il progetto piace molto al provveditore regionale Luigi Pagano, che lo ha sostenuto: "I detenuti che vanno in tribunale per coadiuvare il lavoro di chi si occupa di giustizia: anche in termini simbolici, è una grande conquista di civiltà". Brescia: lavori "socialmente utili" per Comune e Associazioni
Brescia Oggi, 3 agosto 2009
Per i reati di minore entità il giudice può applicare, su richiesta dell’imputato, una pena alternativa alla reclusione. E da oggi ha gli strumenti per farlo. I condannati svolgeranno attività per conto del Comune o delle associazioni. La Loggia pagherà gli oneri assicurativi. Lavoro di pubblica utilità per chi ha compiuto reati "minori". Un’alternativa che non solo può avere ricadute positive sull’intera collettività, ma contribuisce a non riempire ulteriormente le già sovraffollate carceri. La legge prevede questa opportunità da diversi anni. Fino a questo momento però i propositi, almeno a Brescia, erano rimasti solo sulla carta. I giudici non sapevano dove né come, effettivamente, i condannati potessero essere impiegati. Finché, ieri, è arrivata la svolta. La nostra città si è dotata finalmente di due protocolli d’intesa della durata di tre anni in materia, siglati rispettivamente tra il Comune e il Tribunale; e tra il Tribunale e gli enti che, insieme al Comune, si sono detti disponibili ad ospitare questi lavoratori "sui generis". Il lavoro di pubblica utilità, che viene applicato (per reati di modesto allarme sociale) su richiesta dell’imputato dal giudice di pace o dal giudice monocratico, consiste nello svolgere attività non retribuita in favore della collettività presso enti pubblici o associazioni non profit. Gli ambiti di intervento nei quali si potranno impegnare i condannati sono i più diversi: dai tossicodipendenti, ai portatori di handicap, gli anziani e i minori; dalla protezione civile alla prevenzione del randagismo; fino, anche, ai lavori di manutenzione. Il Comune, come ha spiegato l’assessore alla Sicurezza Fabio Rolfi, ha scelto di impegnarsi per favorire concretamente l’applicazione di questa misura nelle sue strutture o, soprattutto, nelle associazioni di volontariato e di cooperazione sociale del territorio. Non solo. La Loggia, che come gli altri enti dovrà individuare un operatore che dovrà inserire il condannato e segnalarne eventualmente anche le inadempienze, fornirà anche un sostegno concreto assumendo l’onere di assicurare i lavoratori contro gli infortuni e le malattie professionali. È. questo, l’unico "benefit" che avranno, dal momento che è assolutamente vietata qualsiasi forma di retribuzione. Oltre al Comune, sono sei gli enti bresciani che finora hanno aderito all’iniziativa. Anche se l’auspicio è che diventino di più. Ben tre si occupano di animali. "Le Muse" di via Boves offre ai condannati un lavoro di cura dei cani e di progettazione e programmazione delle campagne informative, così come "Sos randagi" di Orzinuovi e l’Avar, Associazione volontari amici dei randagi, di via dei Cominazzi a cui però servono nuove forze per la cura dei gatti abbandonati. La "Maremosso" di via Buffalora impiegherà i lavoratori di pubblica utilità nel progetto "Dispensa sociale", per il ritiro dei prodotti alimentari e la redistribuzione ad organizzazioni che si occupano di poveri. Alla "Bottega informatica" si tratterà di inserire dati al computer, mentre alla "Cerro Torre" di via Pirandello è a disposizione un posto di sorvegliante all’isola ecologica di Bedizzole. Soddisfatti i promotori dell’intesa. L’assessore all’Ambiente Paola Vilardi sottolinea che già il suo settore ha fatto un esperimento simile, impiegando i detenuti come "spazzini" in riva al Mella. E con ottimi risultati. Per Rolfi è tratta di un’iniziativa "da sostenere nel tempo: le opportunità potranno presto ampliarsi". Il presidente del Tribunale Roberto Mazzoncini sottolinea il valore rieducativo della pena che si potrà applicare a reati connessi con gli stupefacenti ma anche, già da settembre, alla possibile intesa con l’Associazione familiari e vittime della strada per reati inerenti la circolazione stradale. Il sindaco Adriano Paroli precisa che l’impegno ha il pregio di "ricostruire un rapporto con la comunità, nel segno del principio del bene comune". Ravenna: il carcere a rischio sicurezza, interrogazione del Pd
Il Resto del Carlino, 3 agosto 2009
Il Senatore del Pd Vidmer Mercatali ha presentato alla Commissione giustizia del Senato una interrogazione sulla situazione del carcere di Ravenna e sui propositi, al riguardo, del ministero della Giustizia. Mercatali ha anche informato a voce il sottosegretario Elisabetta Casellati della gravissima situazione della casa circondariale e dei rischi che si corrono se non si correrà presto ai ripari. Nell’interrogazione, il senatore chiede di sapere "perché il ministro della giustizia non abbia ancora risposto alle sollecitazioni che da più di un anno gli sono indirizzate dal Comune di Ravenna, sulla necessità di interventi idonei a risolvere una situazione di sovraffollamento che, non solo è ormai intollerabile per i detenuti come per il personale di custodia, ma si sta già trasformando in un grave problema per la sicurezza all’interno del carcere". Il riferimento che Mercatali fa è alla maxi rissa di una settimana fa nell’area di passeggio fra albanesi e magrebini nel corso della quale pare siano stati usati anche bastoni e che ha coinvolto anche un ispettore della polizia penitenziaria intervenuto, assieme a un solo altro collega, nel tentativo di calmare gli animi. Mercatali chiede quindi al ministro se "non ritenga doveroso operare affinché il Governo disponga un’adeguata integrazione dell’organico del personale di custodia in servizio nel carcere e ad uno stanziamento per la costruzione di una nuova struttura carceraria per la quale tra l’altro il Comune di Ravenna ha già individuato la possibile ubicazione, al fine di sostituire quella ormai obsoleta di via Port’Aurea". Nell’interrogazione si fa riferimento alle "inadeguate condizioni strutturali e igienico sanitarie", e al sovraffollamento che limita "di fatto le attività di recupero e risocializzazione che dovrebbero contribuire alla funzione rieducativa della pena come previsto dalla Costituzione".
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