Rassegna stampa 24 agosto

 

Giustizia: dal mare alle prigioni, ecco le "discariche per uomini"

di Adriano Sofri

 

La Repubblica, 24 agosto 2009

 

Gli annegati del canale di Sicilia e i sommersi delle galere italiane possono essere commentati insieme. Per economia. Gli annegati: può andare su e giù il numero, la storia non cambia.

Ossa senza fine che nel mar d’estate semina morte, impossibili a distinguere le une dalle altre. Le parole non possono che ripetersi uguali, da un antico poeta a una nuova madre. Solo gli annegati sono ogni volta altri, nuovi, ennesimi. E subito scaduti. Ammesso che siano mai esistiti, fu altrove. Qui, non esisteranno mai, non più. Se un colpo di fortuna, un vento propizio, li avesse fatti sbarcare, avrebbero potuto avere un nome, una vita, un futuro. Sarebbero stati arrestati e incarcerati. Si sarebbero guadagnati il passaggio alla seconda colonna dei commenti, i sommersi delle galere.

Le galere strappano una colonna anche loro, grazie all’estate. Non che i commenti riescano facilmente a rinnovarsi, anche qui. C’è una parola che ormai le definisce ufficialmente, anche nei bollettini ministeriali, anche nei telegiornali dei sacrestani di regime. Discarica. Discariche umane, discariche sociali. Mi vergogno, a sentirla. Tanti anni fa forse fui il primo a usarla. Pretendeva di avere una forza. Poteva fare ancora impressione accostare il mucchio umano a quello dell’altra spazzatura. Adesso è anestetizzata, la parola.

Appena pronunciata, è già scivolata in una scollatura da prima serata. Eppure si vantano molto i nostri governanti e i loro commissari speciali, di saper maneggiare la monnezza. Le discariche sono diventate la loro virtuosa specialità. Hanno sgomberato, dicono, le strade di Napoli. Non si sognano nemmeno di sgomberare un solo metro quadrato della città reclusa di Poggioreale, dei suoi 2.300 pezzi. Discarica per discarica, quella umana non è affare di Berlusconi, né di Bertolaso, né di protezione civile e di figura che facciamo con gli stranieri. 65 mila esseri umani boccheggiano in celle designate a richiuderne, e malamente, 40 mila.

E i responsabili - responsabili? - pronunciano boutade su nuove carceri dell’avvenire, su navi in disarmo da adibire a galere, e ammoniscono i reclusi che finalmente battono la testa e le stoviglie contro i cancelli roventi a non eccedere i limiti della protesta civile - sic!

Raccontano, gli scampati all’annegamento, delle imbarcazioni di passo che non hanno voluto vederli, o al più, al colmo della compassione, hanno buttato loro dell’acqua prima di dileguarsi. Nemmeno si vogliono vedere i detenuti allo stremo, con loro è ancora più facile, spesso sono stranieri anche loro, e se non stranieri per nascita divenuti stranieri per povertà e per droga: e spesso a loro stessi manca l’acqua.

Almeno 30 mila detenuti, solo rispettando le leggi vigenti, per non chiamare in causa l’umanità, potrebbero essere messi fuori, a casa, in comunità, in pene alternative, rimpatriati, da un elementare soccorso di protezione civile. Uno Stato che detiene corpi e anime umane in una condizione illegale è infinitamente più colpevole di quanto possano dimostrarsi loro: e una gran parte è anche ufficialmente non colpevole fino a prova contraria. Una Corte suprema californiana ha ordinato all’ingrosso di sgomberare almeno di un quarto le prigioni di quello Stato, che non sa assicurare condizioni civili ai suoi ospiti.

Da noi il tutto esaurito non esiste: al contrario. Lo Stato ammucchia abusivamente la sua spazzatura umana, senza nemmeno nascondersi. A volte se ne vanta. Si illude di sventarne l’infezione. È come nel mare. I sacchetti di plastica delle nostre giornate ordinarie stanno soffocando il mare. Gli annegati no. Gli annegati fatto parte del ciclo della vita, come i sommersi delle celle. Loro crepano, loro crepino: noi viviamo.

Giustizia: detenuti "intelligenti e pazienti", ma fino a quando?

 

www.innocentievasioni.net, 24 agosto 2009

 

Solo la straordinaria maturità collettiva e l’infinita pazienza della popolazione detenuta fanno sì che le proteste di questi giorni continuino a rimanere non violente. Il merito non è, certo, del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, che considera le agitazioni - Dio lo perdoni - come "l’esito delle visite dei parlamentari"; e non è, certo, del governo, che sa solo rimandare la soluzione del problema alla "realizzazione di 18.000 nuovi posti".

Campa cavallo. Si tenga conto che, quell’infinita pazienza, dura da oltre 2 decenni: e che l’unico sollievo che il carcere ha ricevuto, lo si deve al provvedimento di indulto, i cui effetti positivi tendono ormai ad annullarsi. Ciò mentre cresce, irresistibilmente, la nefasta tendenza alla carcerizzazione come risposta, pressoché unica, alla marginalità sociale e alla devianza diffusa. Cos’altro è, se non questo, il nuovo reato di immigrazione clandestina?

La via da percorrere è esattamente quella opposta: una riforma coraggiosa, che proceda nel senso della de-penalizzazione e della de-carcerizzazione, e che ricorra alla reclusione in cella come extrema ratio, ampliando il ventaglio delle sanzioni alternative al carcere. Si consideri che, se le attuali proteste non diventano violente, è perché - a differenza degli anni 70 - i detenuti non sono più coloro che "non hanno nulla da perdere". Ma fino a quando?

Giustizia: nelle celle soltanto 3 metri quadri a testa, invece di 7

di Andrea Garibaldi

 

Corriere della Sera, 24 agosto 2009

 

Del suo pellegrinaggio di Ferragosto nei luoghi di reclusione italiani, la deputata radicale Rita Bernardini ricorda Poggioreale, Napoli, il carcere più grande d’Europa. "Fuori c’erano le transenne e una lunga fila. Parenti e bambini in attesa dei colloqui, ore sotto il sole". Poi, 8-10 persone in una cella di venti metri quadrati, 2.266 detenuti su una capienza di 1.400 e su una "capienza tollerata" di 1.743. Venti, ventidue ore in cella senza potersi muovere.

Poi, 4 suicidi nel 2009, 521 detenuti tossici, 218 stranieri, solo 166 avviati al lavoro. Su 28 educatori previsti, presenti 14. A Fuorni, Salerno, celle femminili con il wc a vista, senza neanche una tenda. Bottiglie di plastica messe fuori dalla finestra per scaldare l’acqua per la doccia. Detenuti 450, capienza 280. A Secondigliano 1.031 detenuti presenti, capienza 804, capienza tollerata 1.400: "Ma tollerata da chi?".

L’elenco è lungo. A Lecce l’altro ieri un record: 1.360 detenuti su una capienza di 640. A Marassi, Genova, in molte celle da due si è aggiunta la terza branda. Nella sezione femminile di Santa Maria Capua Vetere, dodici donne in una stanza da 4, si fa il turno per stare sedute. San Vittore, Milano, sei detenuti in nove metri quadrati, 1.400 in tutto su una capienza di 700, settecento agenti su un organico di 1.200.

Dati di questa estate, nelle carceri italiane, mai così sovraffollate dal 1946. Sessantatremila detenuti, trentamila condannati, gli altri in attesa di giudizio. Tre metri quadri a testa di media, mentre secondo l’Europa dovrebbero essere 7,5. Proteste, quest’estate a Vibo Valentia, a Sollicciano, a Regina Coeli, a Como, a Padova, a Venezia. Incendi, battitura delle sbarre, aggressioni agli agenti, esplosioni delle bombolette da gas da campo. "È il caldo", ha detto il direttore di Regina Coeli, Mauro Mariani.

n caldo di ogni anno. Così come basta pescare negli archivi dei giornali per trovare titoli sempre uguali: "Rebibbia e Regina Coeli, protestano gli agenti dei penitenziari: siamo in pochi" (maggio 2005), o "Voghera, Natale in carcere per gli agenti penitenziari: siamo troppo pochi" (dicembre 2008). I detenuti stanno crescendo al ritmo di 800-1.000 al mese e anche questo governo, come i precedenti, cerca di trovare soluzioni mentre l’emergenza è già in atto. C’è un carcere nuovo a Rieti, non ancora aperto perché manca il personale. A Spoleto e a Perugia sono appena state aperte due nuove sezioni: arriverà personale in "missione volontaria", con una voce di 110 euro in più sullo stipendio (quello medio è di 1.300 euro al mese), ma quegli agenti lasceranno in difficoltà altre carceri.

Poi, c’è la pressione per "esportare" gli stranieri (sono più di 23 mila, il 37 per cento del totale) nei Paesi d’origine. E c’è stata la proposta del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria di utilizzare i militari (la soluzione per ogni male, sembra) in funzioni di vigilanza sulle mura esterne delle carceri: bocciata dal ministro La Russa. Infine, il piano per le nuove carceri: 17 mila posti entro il 2012, per un costo di un miliardo e 590 milioni. I soldi ci sarebbero solo per un terzo. Ma il governo spera nel project financing, privati che mettono il resto e poi gestiscono alcuni servizi. Arriveranno, si può guadagnare con le carceri?

Giustizia: Antigone; più di 100 ricorsi alla Corte di Strasburgo

di Matteo Bartocci

 

Il Manifesto, 24 agosto 2009

 

Nel piccolo carcere di Vallo della Lucania (Salerno), 5 detenuti vivono in 7 metri quadri. A Vercelli, nella sezione Alta sicurezza, settanta persone stanno in due in cellette da 6 metri quadri. Dopo un mese dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che il 16 luglio scorso (Sulejmanovic contro Italia) ha condannato il nostro paese a risarcire un detenuto per il sovraffollamento detentivo (meno di 3 metri quadri a persona), sono già almeno un centinaio le segnalazioni analoghe di casi simili giunte all’associazione Antigone. Di queste, una ventina sono ormai pronte per essere presentate a Strasburgo e chiedere una condanna e il risarcimento al ministero della Giustizia.

Anche durante Ferragosto sono arrivate all’ufficio del "Garante" di Antigone, Stefano Anastasia (difensorecivico@associazioneantigone.it), richieste da tutta Italia: Vercelli, Brescia, Milano Opera, seguendo il tam tam tra i detenuti. L’ufficio legale di Antigone ha predisposto un questionario e valuta tutte le richieste caso per caso, per una ventina di situazioni ha verificato i presupposti e avviato la prima fase di presentazione del ricorso. È un lavoro laborioso ma per il quale non serve necessariamente l’aiuto di un legale. "Noi forniamo un semplice supporto - spiega l’avvocato Simona Filippi, che collabora con l’associazione - alla corte europea possono ricorrere solo singoli individui, non sono ammesse class action o cause collettive. E poi, molto importante, bisogna farlo entro sei mesi dal possibile abuso o comunque entro sei mesi dalla scarcerazione".

Secondo Strasburgo aver concesso solo 3 metri quadri di "spazio personale" a Izet Sulejmanovic è stato sufficiente a condannare l’Italia per "trattamento disumano" e a un risarcimento simbolico di mille euro.

"In concreto quasi tutte le persone attualmente detenute in Italia vivono condizioni simili se non peggiori a quelle di Sulejmanovic - spiega Filippi - nelle carceri campane non è raro vedere letti a castello a tre o quattro piani". In teoria lo stato potrebbe arrivare a pagare risarcimenti record fino a 60 milioni di euro (il piano Ionta per le carceri vale ad oggi 200 milioni). Ma il punto ovviamente è politico.

"Se la linea della Corte resta questa - conclude Filippi - l’Italia non potrà più sottrarsi alle sue responsabilità e dovrà affrontare una questione penale gigantesca fin qui colpevolmente ignorata come quella detentiva". Secondo Antigone se non si riforma il codice penale e soprattutto non si modificano le tre leggi che causano il sovraffollamento (la Fini-Giovanardi sulle droghe, la Cirielli sulla recidiva e la Bossi-Fini sull’immigrazione) la situazione precipiterà.

Giustizia: storia carcere; dallo Stato sociale allo Stato penale

di Christian De Vito

 

Il Manifesto, 24 agosto 2009

 

C’erano circa 26mila detenuti nelle carceri italiane nel 1990, 35mila l’anno successivo, 47.316 nel 1992. La "Jervolino-Vassalli" sulle droghe e la legge "Martelli" sull’immigrazione erano alla base di quella crescita rapidissima del numero dei detenuti. Come sempre, il carcere rispecchia subito i cambiamenti che si verificano nella società e nella politica.

Anche allora, le celle e i cortili dell’aria che si riempivano di detenuti non segnalavano un aumento dei tassi di criminalità, parlavano dell’inizio di una più profonda trasformazione della società e della politica italiana.

E poi ci fu Tangentopoli. Ebbe una scarsa rilevanza nella storia delle carceri italiane: nella maggior parte dei casi gli imputati di "Mani pulite" scontarono negli istituti penitenziari solo una parte della carcerazione preventiva, per superare poi la fase del giudizio in detenzione domiciliare e beneficiare delle misure alternative a partire dal momento della eventuale condanna. Ma furono gli esiti della transizione politica che con Tangentopoli si aprì a segnare il destino del carcere.

Lo sfaldamento dei partiti di massa determinò una diserzione di gran parte del mondo politico istituzionale dai tradizionali ambiti del pensiero legato al movimento operaio, della dottrina sociale cristiana e socialdemocratica. Nel tempo della globalizzazione, i maggiori partiti della "seconda Repubblica" mostrarono una tendenziale convergenza verso politiche neoliberiste sia in campo economico che sul piano dell’accesso ai diritti sociali e civili. Uno dei principali ambiti di quella convergenza fu rappresentato dal concetto di "sicurezza".

Dallo stato sociale allo stato penale: così definirono quel passaggio storico criminologi e politologi. Nella "microcriminalità" si scorgeva ora la forma più pericolosa di devianza anziché quella più legata a situazioni di esclusione sociale, di disgregazione familiare o di disagio psicologico; nei gruppi sociali più emarginati si individuavano le nuove "classi pericolose"; nelle case occupate e nelle baraccopoli sorte ai margini delle città si vedevano "covi di criminalità".

Dall’intreccio tra rappresentazione mediatica, strumentalizzazione politica e insicurezza sociale emersero ciclicamente norme e istituzioni "speciali" corrispondenti alla logica dell’emergenza. Ai pacchetti sicurezza e alle ordinanze dei sindaci contro lavavetri e mendicanti si aggiunsero la legge Bossi-Fini sull’immigrazione, la Fini-Giovanardi sulle droghe, la ex-Cirielli sulla recidiva.

Il flusso in carcere divenne continuo e ad esso corrispondeva una difficoltà crescente nell’accesso alle misure alternative: esclusi per legge gli autori di reati associativi e di fatto la quasi totalità dei migranti, anche gli altri detenuti facevano i conti con le restrizioni imposte dai magistrati di sorveglianza e con il problema di trovare una casa e un lavoro, che dell’accesso alle misure alternative erano la condizione.

Scesi a 39.176 all’indomani dell’indulto del luglio 2006, i detenuti erano già 42mila un anno più tardi, 56mila nel settembre 2008, 64mila nel luglio 2009.

Mentre l’opinione pubblica immaginava le carceri come hotel a cinque stelle e i guardasigilli ipotizzavano "piani carceri" utili solo agli speculatori, i letti a castello passavano da due a tre piani, settanta bambini stavano dietro le sbarre, i carrelli con gli psicofarmaci avanzavano nelle sezioni e in quarantacinque si suicidavano nei primi sette mesi del 2009.

Nei "celloni" di Sollicciano in dieci sopravvivono in spazi concepiti per tre persone, altrove le direzioni furono costrette a inventare "soluzioni" sempre più surreali: a San Vittore e a Le Vallette i detenuti affollarono anche la palestra; in quello di Trieste è stato istituito un "registro per la rotazione dei materassi a terra", un librone in cui si annotava ogni giorno chi rimaneva senza letto per consentire a tutti di coricarsi su una branda almeno per un paio di notti a settimana. È inevitabile che i detenuti trovassero la forza di far sentire la propria voce. Come dimostra la storia di questi giorni.

 

Tutti i numeri di un fallimento

 

206 istituti penitenziari, quasi 64mila detenuti. Capienza regolamentare: 43.262 posti. Ma è una cifra fittizia, come ammette in un’audizione alla camera il ministro della Giustizia Angelino Alfano il 14 ottobre 2008: "La capienza regolamentare di 43mila posti è solo virtuale - diceva Alfano - nella realtà, per ragioni strutturali o per mancanza di personale, possiamo contare solo su 37.742 posti".

E ancora: numero delle celle: 28.828. Celle a norma: 4.763. Non ci sono mai stati un tale sovraffollamento e un degrado simile nelle galere italiane dal 1946. I detenuti dietro le sbarre perché sono condannati sono 30.186. Il resto è in misura cautelare. Gli stranieri sono oltre 23mila (ovvero circa il 36%).

Tra loro meno di 10mila sono stati condannati in via definitiva. Sono numeri che senza interventi cresceranno inesorabilmente. Il tasso medio di ingresso è di circa 1.000 detenuti al mese. E ogni anno circa 170mila persone subiscono detenzioni brevi, inferiori ai tre giorni. Numeri che raccontano il fallimento delle scelte penali di tutti gli ultimi governi.

Giustizia: carceri verso il caos; si aprirà a gestione dei privati?

di Alessandro De Nicola (Presidente della Adam Smith Society)

 

Il Sole 24 Ore, 24 agosto 2009

 

Lo so, fare la parte di chi dice "io l’avevo previsto" non è simpatico. Ma vogliamo concederci un’eccezione agostana? Va bene prendo coraggio: io l’avevo previsto e non era nemmeno difficile farlo.

Quando il governo Prodi, supportato da Forza Italia, votò l’indulto, non fu complicato pronosticare che il provvedimento sarebbe stato dannoso in quanto diffondeva un senso di impunità e pericoloso perché rimetteva in circolazione detenuti nemmeno formalmente "redenti". Inoltre l’indulto era inutile poiché senza interventi strutturali sia sul lato della costruzione di nuovi penitenziari o di completamento di quelli iniziati e vergognosamente fermi, sia sul versante del codice penale e di procedura penale, le carceri si sarebbero in breve riempite di nuovo.

Et voilà, in due anni gli istituti di pena scoppiano di nuovo con 65mila carcerati laddove la capienza normale è inferiore a 45mila e, grazie alla brillante introduzione del reato di immigrazione clandestina, essendo i soggetti in questa condizione circa 500mila secondo stime prudenti, non ci resta che sperare nell’inefficienza di forze dell’ordine e giudici.

Fingiamo per un attimo, però, di trovarci in condizioni normali e di voler cominciare a risolvere l’annoso problema della mancanza di penitenziari. Gli altri paesi di pari dimensioni al nostro hanno più detenuti condannati definitivamente di noi. Considerando la lentezza della nostra giustizia e il gran numero di persone in attesa di condanna finale che affollano le nostre galere (al contrario delle nazioni civili), è ovvio pensare che il numero degli ospiti delle prigioni italiane è destinato ad aumentare.

E allora? Il ministro Alfano ha preannunciato in più occasioni che sta per partire un piano carceri che prevede anche il coinvolgimento dei privati e questa potrebbe essere una soluzione del problema.

Molti Stati hanno in atto tempo programmi di affidamento dell’edificazione e soprattutto della gestione delle prigioni: Stati Uniti, Gran Bretagna, Sudafrica, Australia e Nuova Zelanda, ad esempio. La valutazione dell’esperimento non deve essere ideologica e persino chi ha molta simpatia per le soluzioni affidate al mercato e agli imprenditori deve soffermarsi sui rischi della parziale privatizzazione del sistema carcerario.

Tuttavia, la maggioranza degli studi effettuati (interessante una ricognizione della Reason Foundation di 23 articoli scientifici sul tema) indica che la gestione (completa, non solo della lavanderia o di altre inezie) degli istituti di pena in mano ai privati è più efficiente economicamente (dal 10 al 15% di risparmi) senza che ne soffra la qualità della sorveglianza o del trattamento dei carcerati. Non si possono ignorare scandali o storie raccapriccianti che ogni tanto emergono, ma esse non sono diverse da quelle che riguardano i penitenziari pubblici, come tanti film americani di denuncia ci hanno insegnato.

In Gran Bretagna, poi, hanno ideato un sistema molto garantista che prevede non solo le ispezioni del Chief Inspector di Sua Maestà, ma anche da un Independent Monitoring Board, composto da volontari provenienti dalla comunità locale dove sorge la prigione, cui possono rivolgersi i detenuti e, nel caso in cui questi ultimi siano ancora insoddisfatti c’è il Prisons and Probation Ombudsman. Insomma, arrivare più tardi può avere il vantaggio che dalle esperienze degli altri riusciamo a trarre il meglio ed evitarne gli inconvenienti: l’importante è darsi una mossa però.

Giustizia: Poretti (RI); 6 mln di € l’anno, regalati alla Telecom

di Donatella Poretti

 

Agenzia Radicale, 24 agosto 2009

 

Lo Stato regala 6 milioni di euro l’anno a Telecom, per il noleggio dei "braccialetti elettronici", che poi non vengono usati. E le pene alternative al carcere?

Il sistema penitenziario è al collasso, ha raggiunto i 64 mila detenuti con un esubero di 20 mila rispetto alla capienza degli istituti penitenziari. Le visite ispettive di questi giorni, grazie all’iniziativa di Radicali Italiani "Ferragosto in carcere", hanno scoperchiato un pentolone in ebollizione che rischia anche di esplodere.

Il Governo, con il piano del ministro della Giustizia, Angiolino Alfano, risponde solo con la costruzione di nuove carceri e l’ampliamento di alcune già esistenti. Ma, non solo avrà bisogno di anni, ma anche di trovare le risorse finanziarie perché non restino parole al vento. Nel frattempo, per i detenuti è sempre più difficile accedere alle misure alternative per scontare le condanne, mentre aumentano i reati e le aggravanti di pene.

Proprio oggi 20 agosto Donato Capece, segretario Sappe, parlando a Radio Cnr, ha reso noto che: "Lo Stato, il Ministero dell’Interno, paga sei milioni di euro l’anno, anche quest’anno, per il nolo dei braccialetti elettronici per i detenuti che non vengono utilizzati. Si sono dimostrati inefficaci, e oggi la loro tecnologia è obsoleta. Sono tenuti in una stanza blindata al Viminale. Purtroppo il contratto firmato con la Telecom nel 2001 obbliga lo Stato a pagare e non solo, c’è anche una clausola che obbliga lo Stato a non poter usare altre apparecchiature fino al 2011. E intanto il Ministero paga 6 milioni di euro l’anno".

Per questo motivo, con il senatore Marco Perduca, ho rivolto un’interrogazione ai ministri della Giustizia e dell’Interno per sapere: - se il ministero intenda rendere pubblico questo contratto con Telecom Italia; - quali misure intende prendere per rendere praticabili le misure alternative.

Giustizia: i 9mila agenti penitenziari "scomparsi" dalle carceri

di Andrea Garibaldi

 

Il Corriere della Sera, 24 agosto 2009

 

Nei padiglioni novemila uomini in meno. Molti distaccati negli uffici o al ministero.

Tre agenti di polizia penitenziaria sono distaccati all’Astrea, la squadra di calcio del corpo, che milita attualmente in serie D. Portano le borracce ai giocatori. Con tre agenti - come quelli - si può sorvegliare un padiglione a Napoli, Poggioreale, dove la pianta organica prevede la presenza di 946 agenti e invece ce ne sono solo 690.

Cinque agenti di polizia penitenziaria lavorano alla block house del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, in via Luigi Daga La block house è dove si svolge il primo filtro all’accesso. Con cinque agenti si controlla un carcere medio, nelle ore pomeridiane e notturne.

Un tardo pomeriggio, qualche mese fa, Eugenio Sarno, segretario della Uil-penitenziari, entrando al ministero della Giustizia di via Arenula, contò 13 agenti di polizia penitenziaria, "cinque al rilascio dei passi, tre a prendere mosche nel cortile, tre a girare nella macchina di pattuglia, un sovrintendente, un ispettore. Con 13 uomini si sorveglia un carcere intero. Forse se andate ad Avellino a quell’ora nemmeno ci sono tredici unità di servizio".

E poi, un piantone alle scale di via Arenula addetto al saluto delle autorità e un altro pescato al Dap a fare il posteggiatore in cortile. Trenta agenti che prestano servizio a Palazzo Chigi. Appena venti giorni fa altre due "unità" sono venute a rinforzare il gabinetto del ministro, un agente da Rebibbia femminile, dove c’è stata una protesta cinque giorni fa, e uno da Cuneo.

Peccati veniali, si dirà. Ma questo è un momento di grave crisi per le nostre case circondariali e case di reclusione, ventimila detenuti più della capienza, una condanna dalla Corte di Lussemburgo per sovraffollamento a Rebibbia, proteste in molti istituti, tre evasioni negli ultimi giorni, due a Voghera, una a Monza.

Così, anche gli agenti distolti dai loro compiti principali sono la spia di una enorme sofferenza "Ci sono momenti - dice Sarno - in cui certe situazioni non possono essere tollerate. Si affama la periferia per creare nicchie di privilegio. Queste vicende sono uno schiaffo alla miseria!".

Guardiamo qualche cifra. Al Dap, secondo la Uil, lavorano fra i 1.000 e i 1.700 agenti, al ministero altri 400. Secondo Roberto Santini, del sindacato Sinappe, altri 4-500 agenti svolgono ruoli amministrativi e operativi (fanno gli autisti, per esempio) presso le scuole dell’amministrazione penitenziaria, in tutto otto, in gran parte ferme, o impegnate soltanto in corsi di aggiornamento, perché le assunzioni vengono effettuate ormai con intervalli lunghissimi. Fatto è che non esiste alcuna regola, cioè alcun organico stabilito, per il ministero, il Dap, le scuole, l’Istituto superiore di studi penitenziari, il Museo criminologico: questi "distacchi" quindi possono diminuire o, più facilmente, crescere.

Altre 2.500 persone - secondo la Uil - soprattutto da Roma in su stanno nelle carceri, ma lavorano ai centralini, al protocollo, negli uffici di ragioneria, compiti che potrebbero essere svolti proficuamente da personale civile. Francesco Quinti, Cgil, dice: "Stimiamo che 8-900 agenti di polizia penitenziaria facciano i ragionieri negli istituti. Si sottrae personale al controllo dei detenuti ed è anche inutile: da un anno e mezzo infatti le procedure contabili sono spostate al centro". Esempio: nel carcere di Padova ci sono almeno 100 agenti che stanno in ufficio anziché nelle sezioni e nello stesso carcere c’è un vuoto di 150 agenti.

L’organico degli agenti di custodia, fissato l’ultima volta nel 2001, prevede questo numero: 42.268. A quel tempo i detenuti erano 55.000. Oggi i detenuti sono diventati più di 63 mila e gli agenti in servizio sono 40mila, ma diventano 38 mila se si considerano i duemila in malattia o in aspettativa per motivi di salute o in via di pensionamento. Insomma, il buco è di oltre 4.000 agenti. Entro fine anno, ha assicurato il sottosegretario Maria Elisabetta Alberti Casellari, però, ci saranno 300 assunzioni.

Con questi numeri ovviamente pesano le unità, le centinaia, le migliaia di agenti sottratti ai loro compiti principali per essere dirottati su mansioni amministrative o di servizio agli uffici. "Cambiano i governi - dice Sarno - e si verifica una sorta di spoils system anche per la polizia penitenziaria: ogni esecutivo che arriva aggiunge i suoi "distaccati" e quelli precedenti non tornano a dare una mano negli istituti".

Poco prima di Ferragosto sull’argomento è intervenuto il leader della Destra, Francesco Storace, che non è schierato né con il centro destra né con il centro sinistra: "Il ministro Alfano, se gli chiedete della carenza di agenti, risponderà che non ci sono soldi. Ma forse molti agenti possono essere meglio impiegati...". Storace racconta di un agente impiegato all’ufficio stampa del ministero, di agenti negli uffici e nelle segreterie. E affronta il problema scorte e tutela: "È proprio necessario che l’ex ministro Fassino e l’ex ministro Mastella siano protetti da agenti di polizia penitenziaria?".

Anche i sindacati conoscono il capitolo scorte. Quasi un centinaio di uomini della polizia penitenziaria stanziati in Sicilia per il ministro Alfano, per il suo vicecapo di gabinetto Piscitello, per il direttore dell’ufficio detenuti Ardita: sorvegliano le abitazioni, li aspettano quando scendono sull’isola. Un piccolo drappello a Padova per il sottosegretario Maritati o a Roma per la responsabile dell’ufficio legislativo Iannini. Ma qui si parla di coperte corte.

Perché le scorte (due auto) e le tutele (un’auto) se non le fanno le guardie carcerarie finiscono fra i doveri di polizia o carabinieri. Così come le traduzioni da un carcere all’altro sono state trasferite dai carabinieri alla polizia penitenziaria e questo significa altri 4.000 uomini tolti dagli istituti.

Da tempo, con maggiore o minore convinzione, i sindacati della polizia penitenziaria (i principali sono almeno sette) chiedono al direttore del Dap se si possa definire un organico degli agenti necessari (se proprio sono necessari) negli uffici romani e nelle scuole. Dice Sarno: "Il nuovo direttore Franco Ionta ha dato incarico al vice capo Di Somma di preparare una proposta di organico. L’impegno era che fosse pronta a fine luglio, stiamo ancora aspettando".

Nel frattempo? I sindacati provano a prendere la questione da un altro verso. Secondo la Uil, se negli istituti fossero attivi la videosorveglianza e i metodi a infrarossi antiscavalcamento e anti intrusione si risparmierebbero 1.500 uomini per la vigilanza armata sui muri di cinta. E altri mille con l’automatizzazione dei cancelli che si devono aprire e chiudere per accedere alle sezioni.

Giustizia: Sappe; sconcerta inattivismo Provveditori regionali

 

Comunicato Sappe, 24 agosto 2009

 

Se c’è un dato che sconcerta, nell’attuale quadro del sistema penitenziario nazionale in cui 64mila ristretti sovraffollano più di 200 carceri nonostante una capienza regolamentare pari a circa 43mila posti, con decine e decine di manifestazioni di protesta di detenuti in tutta Italia, è la pressoché generale assenza sul territorio e negli istituti di competenza di buona parte dei Provveditori regionali dell’Amministrazione penitenziaria, dirigenti generali dello Stato lautamente stipendiati, che per la legge sono - o meglio, dovrebbero essere - i referenti regionali dell’Amministrazione centrale del Dap.

I provveditori regionali penitenziari dovrebbero occuparsi di "calare" sul territorio le politiche penitenziarie dell’Amministrazione centrale ed invece non fanno alcunché per gli istituti di pena territorialmente da loro dipendenti, tanto che molti di loro - nonostante le numerose proteste in atto nei penitenziari - sono in questi giorni in ferie!

Come a Firenze, dove durante la rivolta a Sollicciano di qualche giorno fa, c’è stato l’intervento di tutti - Prefettura, Carabinieri, Polizia - tranne che del Provveditore della Toscana. Per altro, convocati dal Capo Dap a Roma il 4 agosto scorso i Provveditori di tutta Italia - che non fanno parte del Corpo di Polizia penitenziaria… - hanno detto che la situazione era sotto controllo. Lo si vede in questi giorni quanto era ed è sotto controllo! Tanto nella prima linea delle sezioni detentive ci stanno le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria, mica loro.

Duro atto di accusa di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, in relazione alle continue manifestazioni di protesta di detenuti in atto in alcuni penitenziari del Paese.

Capece aggiunge: "Il Dipartimento penitenziario da anni non da corso ad un piano nazionale di mobilità di tutti gli attuali Provveditori Regionali penitenziari, per buona parte senza più stimoli professionali nelle attuali sedi di servizio e ben integrati nel più impiegatizio e redditizio ruolo di burocrati. A livello più generale si continua a parlare di un piano sull’edilizia di prossima attuazione, ma in realtà ci vorranno anni prima che venga costruito un singolo nuovo carcere e quando anche venissero costruite, allora dovremmo già mettere in cantiere anche un piano di assunzioni nel settore penitenziario con la previsione di concorsi da psicologo, educatore, assistente sociale e soprattutto di Polizia Penitenziaria.

Per ora il Governo, il Ministero della Giustizia ed il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria si sono fatti scudo della drammatica situazione attraverso il senso di responsabilità del Corpo di Polizia Penitenziaria; ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle 39 mila persone in divisa per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia.

Quanto si pensa possano resistere gli uomini e donne della Polizia Penitenziaria che sono costrette a trascurare le proprie famiglie per garantire turni massacranti con straordinari nemmeno pagati? Quanto stress psico-fisico pensano possa sopportare una persona costretta a convivere con situazioni sanitarie da terzo Mondo, esposti a malattie infettive che si ritenevano ormai debellate in Italia, ma che sono largamente diffuse in carcere, attenta a scongiurare suicidi, a schivare aggressioni da parte dei detenuti e tentativi d’evasione che sono all’ordine del giorno?

Un atto di serietà politica e di onestà intellettuale sarebbe quello di ascoltare chi in carcere ci lavora da anni, la Polizia Penitenziaria appunto e non improvvisarsi ad amministratori - come i Provveditori regionali dell’Amministrazione penitenziaria o alcuni direttori penitenziari, in servizio nella stessa sede da più di vent’anni - che non fanno i conti con la realtà. L’unica via d’uscita da questa situazione è il ricorrere alla misure alternative alla detenzione che, è dimostrato dai numeri, sono lo strumento migliore per garantire la vera sicurezza per i cittadini. Soltanto chi ha la possibilità di allontanarsi dal carcere per una seria prospettiva di lavoro all’esterno non tenta di commettere altri reati.

Giustizia: Sappe; con Ramadan, rischio di tensioni nelle carceri

 

Agi, 24 agosto 2009

 

L’acuirsi della tensione in Afghanistan e in Iraq potrebbe avere ripercussioni anche all’interno delle carceri italiane". È la preoccupazione espressa da Donato Capace, segretario generale del Sappe, il Sindacato autonomo della Polizia penitenziaria, che spiega: "In considerazione del sovraffollamento delle celle e dell’elevato numero di detenuti stranieri, tanto più che oggi nei penitenziari italiani vi sono più detenuti di religione islamici che cattolici o aderenti ad altri credi, la cella potrebbe diventare il luogo in cui, sempre più spesso, piccoli criminali sono tentati da membri di organizzazione terroristiche detenuti.

Del resto, già nel nostro recente passato le Brigate Rosse avevano inteso le carceri quali luoghi di lotta e di proselitismo. Analogo stratagemma potrebbe essere messo in atto oggi da esponenti del terrorismo islamico, i quali cercano così di mimetizzare la propria attività infiltrando propri adepti fedeli e non sospetti, in quanto occidentali".

Gli esempi non mancano, sottolinea Capece: "Un pregiudicato siciliano, convertitosi all’Islam in carcere, dove scontava una pena per reati minori, fece esplodere due bombole di gas nel metrò di Milano (11 maggio 2002) e nei templi della Concordia di Agrigento (5 novembre 2001)". Capece chiede, quindi, "uno sforzo formativo dell’amministrazione penitenziaria teso a dare gli strumenti tecnico-cognitivi alla Polizia penitenziaria per accrescerne la professionalità, adattando le competenze e i metodi esistenti con nuovi standard operativi, in modo da trattare tali situazioni senza prescindere dalla diverse culture che si incontrano all’interno del carcere".

Sicilia: 6 carceri "fuori-legge" Regione presenta esposto all'Ue

 

La Repubblica, 24 agosto 2009

 

La Regione ha presentato un esposto al Consiglio d’Europa per segnalare la situazione "disumana" di sei carceri siciliane. Nella lista nera stilata dal Garante per la tutela dei diritti dei detenuti ci sono l’Ucciardone e gli istituti di Favignana, Marsala, Mistretta, Catania Piazza Lanza e Messina Gazzi. "Le condizioni di queste strutture - è scritto nell’esposto- appaiono contrarie alla convenzione europea per i diritti dell’uomo".

Viene sollecitata una visita in Sicilia del comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene inumane o degradanti. La situazione più grave resta quella dell’Ucciardone. "Nonostante gli sforzi della direzione e degli agenti - scrivono il garante, il senatore Salvo Fleres, e il dirigente dell’ufficio, Lino Buscemi - i detenuti sono costretti a vivere in spazi ristretti, a volte in condizioni igieniche precarie".

Delle nove sezioni, tre restano chiuse, solo quattro sono adibite all’accoglienza dei detenuti. Una funge da caserma degli agenti, un’altra è adibita a sede dei laboratori e delle attività. "La "seconda sezione" - spiega l’esposto - è chiusa e inutilizzabile per i danni riportati durante il terremoto del 2002. Il progetto di ristrutturazione è stato finanziato e si attende l’inizio dei lavori". La "quinta sezione" è invece chiusa da oltre dieci anni: "Non si prevede una sua utilizzazione futura".

"L’ottava sezione" è inattiva da oltre vent’anni: "I lavori di ristrutturazione sono iniziati nel 2007 - spiega il garante - e dovrebbero concludersi entro il 2009". Concludono Fleres e Buscemi: "Nonostante le cure profuse dall’amministrazione le condizioni igienico sanitarie sono spesso carenti: per il sovraffollamento, la presenza di bagni alla turca, la presenza di ratti, i focolai di malattie come la Tbc, la mancanza di acqua calda e nei mesi estivi il cattivo funzionamento delle docce".

Sicilia: le carceri come polveriere, la protesta arriva a Palermo

 

La Repubblica, 24 agosto 2009

 

È arrivato anche a Palermo il vento della protesta che negli ultimi giorni ha soffiato nelle carceri del Nord Italia. Venerdì, alcuni detenuti di Pagliarelli hanno iniziato a battere le stoviglie contro le grate. Dal Veneto alla Sicilia il messaggio è uno solo: il sovraffollamento nelle celle ha ormai raggiunto effetti devastanti. Lo dicono anche i sindacati della polizia penitenziaria: "Siamo costretti a lavorare in condizioni precarie - dice Dario Quattrocchi, segretario regionale del Sinappe - anche per una gestione del personale davvero singolare. Troppi agenti sono impiegati in servizi di scorta, al ministro della Giustizia e a magistrati che ormai svolgono altri incarichi.

Le scorte, è bene ricordarlo, non rientrano nei compiti della polizia penitenziaria. Tanti, troppi agenti - prosegue Quattrocchi - sono poi negli uffici del Provveditorato, che ha già più dipendenti dell’analogo ufficio della Lombardia. Molti di quei poliziotti provengono dall’Ucciardone, dove la carenza di personale è davvero grave. Non si comprende - dice il sindacalista - a cosa servano 14 addetti alla sicurezza del Provveditorato, quando gli uffici si trovano ormai in una struttura super protetta, quella di Pagliarelli. E intanto - conclude il segretario del Sinappe - all’Ucciardone c’è un solo agente in servizio per tre piani. All’Ucciardone ci sono solo tre graduati. Al Pagliarelli, 64".

Sulla situazione nelle carceri siciliane è intervenuto anche il Garante per la tutela dei diritti dei detenuti, che è un ufficio istituito nell’ambito della Regione Siciliana. "Al Consiglio d’Europa abbiamo segnalato la situazione incresciosa di alcune carceri", dice Lino Buscemi, dirigente dell’ufficio. All’orizzonte soluzioni non se ne vedono. Il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, ha già presentato il programma per la nuova edilizia penitenziaria.

In Sicilia è previsto un incremento di 1.908 posti. Ma i tempi non sono brevi. Nuovi istituti sono previsti a Sciacca e Catania: offriranno 905 posti, con una spesa di 150 milioni di euro. Ampliamenti sono previsti a Palermo Pagliarelli: un padiglione da 300 posti dovrebbe essere completato entro il settembre 2011. Un altro, ad Agrigento, entro il dicembre 2010. Lavori anche a Trapani (un padiglione da 200 posti da consegnare nel giugno 2012), Siracusa (un padiglione da 200 posti per il giugno 2011) e Gela (un padiglione da 100 posti per il dicembre 2012). La spesa prevista per i tre interventi è di 25 milioni di euro.

Dice ancora il segretario regionale del Sinappe: "I tempi di consegna delle opere sono davvero troppo lunghi. E intanto la situazione continua ad essere grave". Quattrocchi fa una battuta a proposito della carenza di organico all’Ucciardone: "Quel collega che si trova da solo a controllare tre piani - spiega - conta sull’aiuto fondamentale dei cosiddetti lavoranti, ovvero i detenuti che fanno da scopini o porta vitto. Ecco la nostra proposta provocatoria: perché non consegniamo direttamente ai detenuti la gestione dei reparti?".

Veneto: Michieletto (Pd); istituire il Garante regionale detenuti

 

Asca, 24 agosto 2009

 

Di fronte all’emergenza carcere, che ha reso esplosiva la convivenza negli istituti penitenziari del Veneto, occorre istituire al più presto un garante regionale dei diritti dei detenuti. È la proposta di Igino Michieletto, vice capogruppo del Pd al Consiglio regionale, dopo aver visitato il carcere maschile "Santa Maria Maggiore" di Venezia. Insieme al senatore toscano Marco Perduca e a Michele Bortoluzzi della direzione nazionale dei Radicali, il consigliere veneto è tornato in sopralluogo, una settimana dopo il "Ferragosto in carcere", in uno degli istituti penitenziari più problematici del Veneto, teatro in questi giorni di violente proteste dei detenuti contro agenti e autorità carcerarie per le condizioni di detenzione.

"Le proteste sono momentaneamente rientrate - riferisce Michieletto - ma la tensione resta alta. Abbiamo visitato il terzo piano del carcere circondariale, dove in celle da 3-4 posti sono richiusi 9 detenuti. Non hanno neanche lo spazio per stare in piedi. La nuova direttrice, la dottoressa Irene Jannucci, sta facendo tutto il possibile per rendere meno esplosiva la situazione, ma le condizioni di sovraffollamento, di carenza di spazi, di personale e di progetti di accompagnamento e rieducazione sono assolutamente intollerabili".

A "Santa Maria Maggiore", infatti, sono attualmente reclusi 328 detenuti, il 60% dei quali ancora in attesa di giudizio, su una capienza regolamentare di 152. In tutto il Veneto sono attualmente detenute 3.109 persone, a fronte dei 1.877 posti regolamentari presenti negli istituti carcerari della regione. "Nei prossimi giorni depositerò il testo di legge - annuncia Michieletto - per istituire a livello regionale il pubblico difensore dei diritti dei detenuti. Serve un ufficio imparziale che si occupi del rapporto tra reclusi, sistema penitenziario, ministero di grazia e giustizia ed enti locali, soprattutto per favorire l’accesso a pene alternative e la promozione di progetti di reinserimento sociale ed occupazionale".

Friuli: Radicali; applicare subito riforma Sanità Penitenziaria

 

Messaggero Veneto, 24 agosto 2009

 

Dopo la visita il giorno prima di Ferragosto alle carceri di Pordenone, la parlamentare radicale, Elisabetta Zamparutti, ha presentato due distinte interrogazioni al ministro della Giustizia, Angiolino Alfano. La prima riguarda la presenza, soprattutto a Udine, di extracomunitari che hanno chiesto di poter scontare la pena nei Paesi d’origine, come previsto dall’attuale legislazione, e che, dopo alcuni mesi dall’istanza, non sono stati ancora trasferiti, un provvedimento che ridurrebbe il sovraffollamento delle carceri.

La seconda, invece, sollecita la conclusione dell’iter per assegnare al Friuli Venezia Giulia la competenza sulla sanità penitenziaria. Un’iniziativa che segue quella di alcuni consiglieri regionali, tra i quali Piero Colussi (Cittadini-Idv), che hanno chiesto lumi all’assessore alla Salute, Vladimir Kosic. "Lo stato della sanità penitenziaria - sottolinea la Zamparutti - è considerato dall’intera comunità carceraria, composta da detenuti e personale, un importante problema.

Per questo, rispetto ad un iter che attende di essere portato a termine dal primo aprile dello scorso anno, ho sollecitato il ministero affinché fornisca, nella riunione paritetica prevista per il prossimo mese di settembre, tutti i dati e gli elementi richiesti dalla Regione e necessari per il completamento dell’iter normativo.

Di fronte ai dati di sovraffollamento nelle carceri visitate e alla complessiva difficoltà in cui versa l’intera comunità carceraria - continua la Zamparutti - ho poi chiesto al ministro Alfano se non ritenga di dover operare affinché con tempestività siano fatti rientrare in patria tutti quei detenuti che lo richiedono e che ne hanno diritto in base alla legge o sui quali pende già una richiesta e di complessiva difficoltà di espulsione".

Como: al Bassone; con il caldo risale la tensione, agente ferito

 

Corriere di Como, 24 agosto 2009

 

Al Bassone temperatura altissima, in tutti i sensi. Il solleone agostano non sta certo contribuendo a raffreddare gli animi nella casa circondariale comasca, in questi giorni citata anche dai media nazionali come uno dei carceri più affollati d’Italia. L’attuale coesistenza di 560 detenuti - più della metà stranieri, con tutti i relativi problemi di comunicazione e di integrazione - e 200 agenti di polizia penitenziaria appare sempre più difficile.

Dopo la plateale protesta - poi rientrata - dei detenuti della scorsa settimana, con acqua e sapone nei corridoi, vari oggetti sbattuti contro le inferriate e un inizio di sciopero della fame, l’altra mattina l’ultimo episodio indicativo della fragilità della tregua interna al carcere. Un agente della polizia penitenziaria, impegnato in operazioni di sorveglianza di routine, ha avuto un violento alterco con un paio di detenuti e uno di questi lo ha aggredito provocandogli una vistosa ferita al viso che ha richiesto alcuni punti di sutura.

Un episodio violento ma non necessariamente collegato alla protesta generale della scorsa settimana: piuttosto, l’ennesimo sintomo di un malessere che si fa sempre più fatica a contenere. In questo periodo estivo, per di più, qualsiasi attività collaterale interna al carcere è ferma se non molto rallentata e le occasioni di creare un clima di distensione sono praticamente nulle. Una situazione negativa, purtroppo, generale e comune a tutte le altre carceri lombarde: se Como piange, Milano, di questi tempi, non ride affatto.

Così, la preoccupazione sale in tutti coloro che operano all’interno della casa circondariale comasca. Il dottor Mauro Imperiale, responsabile dell’area educativa del Bassone, non nega il momento difficile: "Il terribile caldo di questi giorni non aiuta: esaspera gli animi e può accendere la miccia soprattutto in questa situazione di sovraffollamento della struttura. Ma la cosa più preoccupante è ancora non si intravvedono possibili migliorie. Speriamo che piova...".

 

Agente lievemente ferito

 

Dopo una settimana di relativa tranquillità tornano ad agitarsi le acque al carcere del Bassone di Como-Albate dove un agente sarebbe stato aggredito e ferito al volto da un detenuto. Nulla di particolarmente grave ma che testimonierebbe l’alto livello di tensione che si registra nella struttura penitenziaria comasca. Secondo quanto si apprende, l’episodio, riferito da fonti sindacali, risalirebbe a ieri e non avrebbe un vero e proprio collegamento diretto con la protesta della scorsa settimana quando i detenuti di tre delle sei sezioni hanno rumoreggiato battendo oggetti sulle inferriate. Nonostante questo rimane alta la preoccupazione per un eventuale degenerare della situazione. Al centro delle proteste vi è il cronico sovraffollamento con circa 150 detenuti in più rispetto allo standard di protocollo. I problemi maggiori si registrano nel braccio maschile.

 

Allontanati gli agitatori

 

Resa dei conti al Bassone dopo la rivolta messa in atto dai carcerati per protesta contro il sovraffollamento e le condizioni di detenzione. Sette detenuti, considerati i sobillatori della protesta, tra i quali anche l’autore dell’aggressione costata venerdì mattina tre punti di sutura a un agente di polizia penitenziaria, sono stati "sfollati", cioè trasferiti ieri in altre carceri.

Si tratta di un provvedimento senz’altro punitivo per i diretti interessati, assunto però con l’obiettivo di riportare anche un po’ di calma tra le sezioni. Tutto si è svolto, ieri mattina, nella massima tranquillità, senza che fosse necessario ricorrere all’uso della forza. Soddisfazione tra i sindacati degli agenti: "È un provvedimento di cui ringraziamo sia il nostro comandante Angelo Boi sia la direttrice Teresa Mazzotta - ha commentato Davide Brienza, segretario provinciale del coordinamento nazionale della polizia penitenziaria - Diciamo che dopo giorni difficilissimi, noi agenti abbiamo potuto riacquistare la nostra dignità".

Venezia: continua protesta dei detenuti, operatori preoccupati

di Nadia De Lazzari

 

La Nuova di Venezia, 24 agosto 2009

 

Prosegue ormai da tre giorni la protesta dei detenuti del carcere di Santa Maria Maggiore. Dopo l’episodio di giovedì, che ha visto addirittura lenzuola e stracci dati alle fiamme al terzo piano, anche venerdì e ieri si sono ripetute le proteste, anche se più contenute, da parte dei 325 detenuti. Stoviglie sbattute contro le sbarre e lancio di uova, hanno caratterizzato questa nuova fase di contestazione, senza tuttavia aggredire agenti o personale.

"I detenuti del terzo piano stanno ancora proseguendo con atti che eccedono, rispetto a quanto fatto dagli altri ospiti del carcere - precisa la direttrice Irene Iannucci -. Sono stati distribuite stoviglie di plastica perché le altre o sono state rotto o sono danneggiate, e dal ministero stanno seguendo con molta attenzione la vicenda, tenendosi costantemente in contatto con noi". La protesta nasce dalle condizioni di detenzione cui sono costretti i 325 ospiti, anche in nove in celle da quattro, su letti a castello o brandine "matrimoniali".

E c’è chi dorme sui materassi anche dentro nella palestra. Il cappellano, don Antonio Biancotto, ieri ha fatto visita alla struttura. "Capisco la situazione per queste persone costrette a stare gomito a gomito con il caldo, ma non le modalità della protesta - dice - forse limitarsi a gridare e fare lo sciopero della fame era meglio. I materiali distrutti erano stati donati dalla Caritas, e visto che i poveri ci sono anche fuori, bisogna riflettere".

Don Dino Pistolato, direttore della Caritas veneziana, si augura che la situazione si rassereni, e fa un invito alla calma: "Si deve ripensare alla carcerazione preventiva, preferendo gli arresti domiciliari o il trasferimento in comunità terapeutiche per decongestionare le strutture. Questo senza offrire il fianco ha chi invece deve scontare la sua pena". Giampiero D’Errico, della cooperativa Rio Terà, aggiunge: "Ho visto gli agenti molto tesi e riempiti di insulti. Tutte le attività dei detenuti sono state sospese, e loro fanno bene a protestare". Dalla Cooperativa Il Cerchio parla invece Gianni Trevisan.

"Una valvola di sfogo sarebbe riaprire alla Giudecca il Sat (Servizio attenuativo, ndr), e guardare alle opportunità che possono offrire altre isole della laguna per ospitare i detenuti". "Meno norme spot e più politiche sociali dentro e fuori il carcere" servono secondo Giuseppe Giulietti di Articolo 21, mentre ieri sera i ragazzi dei centri sociali veneziani si sono radunati all’esterno di Santa Maria Maggiore. L’associazione Veneto Radicale ha intanto rispedito al mittente le accuse mosse dal capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, che indicava le proteste in corso nelle carceri italiane, una prevedibile conseguenza delle visite dei politici fatte a Ferragosto.

Forlì: detenuto incendia la cella e gli estintori non funzionano

 

www.romagnanoi.it, 24 agosto 2009

 

Estintori guasti alla Rocca, la protesta di un detenuto rischia di tramutarsi in tragedia. E gli agenti penitenziari insorgono: "Noi siamo in pochi e i carcerati continuano ad aumentare, la situazione non è più sostenibile".

Fiamme e fumo e momenti di panico all’interno del carcere. Mercoledì attorno a mezzanotte, un detenuto della sezione attenuata (per tossicodipendenti) ha dato fuoco al materasso nella sua cella. Le lingue di fuoco hanno iniziato a divorare i suppellettili, provocando una enorme nube di fumo ovunque.

L’agente di polizia penitenziaria, ha chiamato i due colleghi che hanno dovuto far uscire una cinquantina di detenuti dalle celle, per evitare l’intossicazione generale. Ancora una volta, gli agenti già sott’organico (sono 50 per 240 detenuti in un carcere che ne dovrebbe contenere 150) sono stati messi a dura prova: pochi uomini alle prese con estintori e "ospiti" all’aria aperta da controllare.

Alla fine, l’incendio è stato sedato, e nel giro di qualche ora nella sezione è tornata a regnare la normalità. Il piromane incendiario, se l’è cavata con qualche escoriazione, ma la tensione è tornata alta, soprattutto da parte delle guardie carcerarie. "Questo carcere ormai è come un Titanic - lamenta un agente in servizio al penitenziario di via della Rocca -.

Potrebbe affondare da un momento all’altro, basta poco, la sera dell’incendio, ci siamo accorti che gli allarmi non ci sono, diversi manichetti degli estintori erano fuori uso. Per fortuna siamo riusciti a spegnerlo con quelli che c’erano. E poi, tre guardie con 50 detenuti da evacuare, è una situazione a rischio. Perché qui dentro si lavora non in sicurezza". "Siamo in pochi, e i detenuti invece aumentano. E siamo sempre a rischio: ci sono una trentina di persone che sono qui per reati di pedofilia, e fanno i colloqui con gli altri, non separati. Cosi la rissa è sempre dietro all’angolo. La cosa migliore, sarebbe chiuderlo, prima che succeda qualcosa di veramente tragico. E le condizioni ci sono tutte, ma la direttrice pare non volerle vedere".

Foggia: 700 detenuti in 380 posti; protesta a suon di padellate

di Tatiana Bellizzi

 

Corriere del Mezzogiorno, 24 agosto 2009

 

Una forma di protesta pacifica, quella dei detenuti della casa circondariale di Foggia. Oggetti contro le inferiate delle celle per manifestare contro le condizioni di sovraffollamento del carcere del Capoluogo Dauno.

Ad oggi le 13 sezioni ospitano poco meno di 700 detenuti, a fronte della capacità regolare che ne prevede appena 380, con una tollerabilità che non supera e, non dovrebbe superare, le 500 presenza. Numeri che tradotti in termini di vivibilità fanno accapponare la pelle. Significa, infatti, che in una cella di sei metri per tre, realizzata per ospitare non più di due persone, vengono ammassati cinque o sei detenuti.

Ad aggravare la situazione anche le elevate temperature di questi giorni. Caldo insopportabile che, di sicuro, non facilita la sopravvivenza. I detenuti sono costretti a trascorrere gran parte della giornata distesi sul letto, per cercare, almeno in parte, di ottimizzare lo spazio a loro disposizione. Intanto stamani il direttore della casa Circondariale di Foggia Gianfranco Marcello ha tenuto a precisare che si tratta di una manifestazione di protesta assolutamente pacifica e che stanno facendo il possibile, insieme agli operatori della Asl, per far fronte alle carenze igienico - sanitarie dovute, appunto, al sovraffollamento.

Lo scorso ferragosto il carcere foggiano era stato visitato dai radicali Antonio e Andrea Trisciuoglio, insieme al consigliere regionale socialista Pino Lonigro. "Un duplice disagio - ha detto quest’ultimo - che va letto sia dalla parte dei detenuti, che a causa del sovraffollamento si vedono ridotti non soltanto lo spazio nelle celle ma anche quelli che sono definiti "spazi comuni" dove poter ricevere familiari o avvocati; che dalla parte del personale carcerario costretto a i turni pesantissimi, rinunciando, talvolta anche alle ferie, così come sta accadendo negli ultimi periodi".

Vicenza: mancano le lenzuola, bagni da rifare e cibo scadente

di Gian Maria Maselli

 

Giornale di Vicenza, 24 agosto 2009

 

Dietro alla doppia recinzione e alle torrette: il carcere di San Pio X"Mentre nelle carceri di tutta Italia scoppiano focolai di protesta, al San Pio X di Vicenza la vivibilità peggiora di giorno in giorno. Ieri siamo andati in un carcere toscano a farci prestare 300 lenzuola per i carcerati, perché le avevamo terminate. Lavandole una volta la settimana, come si merita qualsiasi essere umano, si consumano.

Il cibo per i detenuti è scadente, i bagni appena rifatti sono disastrati. Del resto, da oltre un anno non vengono più applicate penali alle ditte che hanno in appalto le forniture alimentari e i lavori di manutenzione e non rispettano i parametri di qualità fissati dalla gara. In passato c’era più severità da parte dell’amministrazione penitenziaria e del Ministero. Aggiungiamoci che il direttore Fabrizio Cacciabue, insediatosi il luglio scorso, non sa imporsi sul personale: cede alle richieste di chi protesta, cambia di continuo disposizioni, creando difficoltà ai superiori che devono gestire gli agenti. Cacciabue ha anche deciso di mandare in cucina, a contatto con coltellacci industriali, i detenuti pericolosi".

La bordata è di Antonio Barbagiovanni, segretario provinciale del sindacato di polizia penitenziaria Sinappe. Che non solo denuncia situazioni peculiari del carcere di Vicenza, ma anche del sistema carcerario generale. Un anno e mezzo fa l’appalto della distribuzione del vitto nelle carceri del Veneto è stato acquisito da una ditta toscana. Risultato? Spesso la frutta è deperita e gli alimenti scadenti. Mi sa che questa ditta si serve sì di produttori locali, ma probabilmente non pretende forniture all’altezza del costo di 3 euro a pasto.

Noi guardie, pur essendo il costo a pasto passato da 7 a 5 euro, mangiamo molto meglio, perché si tratta di un’altra ditta e di un altro appalto. Non mi sembra giusto snobbare le esigenze minime dei carcerati. Pur se stranieri sono persone come tutti noi". E per quanto riguarda la ditte che si occupano dei lavori di manutenzione? "Talvolta ho forti riserve sul personale utilizzato - osserva Barbagiovanni - per non dire sui risultati: i bagni sono stati rifatti di recente, eppure le piastrelle si staccano dai muri, per le bolle di umidità rimaste sotto, e i rubinetti saltano spesso".

Oltre a questi filoni di lassismo, Barbagiovanni ricorda per l’ennesima volta le carenze di personale (in particolare agenti e sottufficiali di polizia penitenziaria) e il sovraffollamento delle celle. Cosa si potrebbe fare? "Visto che i lavori di ampliamento in questo carcere come in altri italiani non partiranno prima del 2013, bisogna trovare il modo di tenere i carcerati il più possibile fuori dalle celle. Facendoli lavorare, per esempio".

Una considerazione che si innesta con il discorso sulle pene alternative, di recente rilanciato da don Agostino Zenere, cappellano del carcere di Vicenza, riepilogando i dati forniti dall’amministrazione penitenziaria: "I detenuti che terminano la pena attraverso affidamento in comunità terapeutica per la cura delle dipendenze, inserimento lavorativo e accoglienza in comunità per la graduale risocializzazione, presentano una recidiva del 17% rispetto al 65% di chi sta fuori dal carcere dalla mattina alla sera.

È diffusa la erronea convinzione che il carcere sia facile, ma in realtà resta un’esperienza drammatica, che lascia segni profondi nella psicologia e nel corpo della persona. Ma la garanzia di condizioni minime di dignità e trattamento è frenata soprattutto dall’opinione pubblica, che è ostile a forme di espiazione della pena che non siano la detenzione pura".

Torino: detenuto chiede espulsione; meglio carcere di Bucarest

 

La Repubblica, 24 agosto 2009

 

Aurel Cornel Ulucean vede il cielo dalle sbarre di una cella delle Vallette, ma vorrebbe finire di scontare la sua pena in patria, in un carcere della Romania. Una richiesta che potrebbe essere una piccola boccata d’ossigeno in tempi di sovraffollamento delle celle.

Invece non sono bastate una domanda al ministero della Giustizia nel 2003, in nome della convenzione di Strasburgo del 1983, e altre cinque lettere di sollecito nel corso degli anni per accontentarlo. Anche il ministro della Giustizia romeno ad aprile di quest’anno ha fatto richiesta ufficiale di estradizione all’Italia, ma il nostro governo non ha ancora dato una risposta in merito.

La vicenda giudiziaria di Ulucean, 39 anni, inizia nel 2003 quando viene arrestato e condannato in via definitiva a 8 anni e 11 mesi. Fine pena 30 dicembre 2010. "Non credo di essere il solo straniero che vuole finire la sua pena al proprio paese - scrive dal carcere Lorusso e Cutugno, dove è stato trasferito nel novembre dell’anno scorso - per questo voglio denunciare all’opinione pubblica lo stato di negligenza e assenteismo delle autorità giuridiche competenti. Mi sento preso in giro.

Non è il caso, data l’urgenza di risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, incominciare ad estradare da subito coloro che ne fanno richiesta, compreso il sottoscritto?". Dalla direzione del carcere non arrivano risposte sul caso specifico. "Domande simili sono poche - spiegano - e i tempi burocratici sono in genere lunghi perché l’iter non è semplice. Tuttavia le domande trattate sono state tutte accolte o quasi".

Venezia: i Radicali; riaprire la "Custodia attenuata" Giudecca

 

Il Gazzettino, 24 agosto 2009

 

In carcere la protesta che giovedì sera aveva portato i detenuti a battere oggetti di metallo contro le sbarre e a dare fuoco a giornali e coperte, si è momentaneamente placata. Non però le polemiche all’esterno. I Radicali non hanno affatto gradito le affermazioni del capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, secondo la quale le proteste avvenute nelle carceri sono da ritenersi "prevedibile conseguenza dell’iniziativa dei Radicali che ha portato a Ferragosto centinaia tra parlamentari e consiglieri regionali ad ispezionare le condizioni di vita di detenuti e operatori carcerari".

"Quanto avvenuto nel carcere di S. Maria Maggiore - spiega Franco Fois, dell’Associazione Veneto Radicale - in realtà è solo effetto delle condizioni di invivibilità di quell’istituto: celle per 4 persone in cui ne vengono stipate 8 o 9, impossibilità di far lavorare i detenuti per di mancanza di spazi e mezzi, enorme carenza di organico che costringono agenti a fare straordinari in continuazione e a sopportare condizioni di lavoro intollerabili, condannandoli, di fatto, a scontare una pena che nessuno gli ha mai comminato".

Anche Fois chiede infine di riaprire la struttura della Giudecca, fino a qualche anno fa dedicata alle persone con pene "attenuate". "A Venezia inoltre il sovraffollamento è dovuto anche alla difficoltà di ricorrere all’uso delle pene alternative a causa anche della chiusura della sezione A proposito - conclude, rivolgendo la domanda al ministro Alfano e al direttore Ionta - la chiusura dell’istituto della Giudecca non doveva essere temporanea? Queste sono carenze denunciate da tempo dai Radicali ma non solo, infatti sono gli stessi operatori, direttori, agenti e cooperative sociali, ad avvertire non da oggi dei rischi derivanti da una situazione al limite del collasso".

Firenze: a Sollicciano "seduta aperta" del Consiglio comunale

 

Asca, 24 agosto 2009

 

"Una seduta del consiglio comunale aperta dentro Sollicciano per ascoltare direttamente i detenuti e le associazioni di volontariato che lavorano nel carcere. E la richiesta di un impegno da parte di altri enti e categorie economiche affinché si possa migliorare la questione del sovraffollamento con soluzioni alternative che possano decongestionare le carceri come percorsi in comunità per i tossicodipendenti che hanno commesso piccoli reati e lavori per la manutenzione dei giardini comunali".

È quanto chiede il capogruppo della Sinistra per Firenze Eros Cruccolini che, per quanto riguarda la proposta di un consiglio comunale all’interno del carcere invierà una lettera al presidente Eugenio Giani e a tutti i capigruppo. A spingere Cruccolini ci sono non solo le proteste da parte dei detenuti avvenute in questi giorni, ma anche una lettera scritta da una persona detenuta a Sollicciano e inviata al capogruppo. "Sono oltre quattro pagine di parole scritte a mano - ha detto Cruccolini - in cui si sente più che altro il bisogno di ascolto e nelle quali si fanno presenti problemi precisi".

La lettera è di poco successiva alla visita dei parlamentari avvenuta qualche giorno fa a Sollicciano durante le proteste dei detenuti. "Nessuno di loro - si legge nella lettera - ha rivolto la benché minima parola a nessuno di noi. Le conversazioni che erano udibili dalle celle, suonavano quanto meno strane, pronunciate com’erano da persone che in questi mesi non ho mai visto una sola volta venire a vedere quale sia la nostra condizione in quel di Sollicciano. Ascoltando poi tutti i Tg disponibili ho scoperto che era partita l’ennesima splendida operazione di facciata".

"Quello di cui queste persone avrebbero bisogno - ha poi aggiunto Cruccolini - sono dei percorso in comunità di recupero rivolti ai tossicodipendenti che hanno commesso piccoli reati. Tutto questo servirebbe a decongestionare un po’ le carceri". Non solo Il capogruppo Cruccolini parla poi dell’ipotesi di far lavorare i detenuti nella manutenzione dei giardini dell’amministrazione comunale, cosa che sta avvenendo a Roma secondo quanto proposto dal capo del dipartimento amministrazione penitenziaria Franco Ionta".

La lettera della persona detenuta è molto chiara: "Non esiste - si legge nella lettera- la separazione fra persone con posizioni giuridiche e personali diverse: imputati, appellanti, definitivi sono mescolati. Non esiste distinguo fra chi è tossicodipendente e chi non lo è, chi è portatore di patologie particolari e chi no. Non esistono le4nzuola e cuscini per tutti e non esiste se sei tossicodipendente la possibilità di iniziare un percorso serio e credibile di recupero. Esiste invece - continua la lettera- il ricorso massiccio a psicofarmaci e anti depressivi".

Altamura (Ba): 80 detenuti in 40 posti, sono tutti sex-offender

da Pasquale Dibenedetto

 

www.notizie-online.it, 24 agosto 2009

 

Struttura vivibile ma con carenze relative al personale, alle risorse destinate alla manutenzione e al monte-ore giornaliero di guardia medica: è la situazione del carcere di Altamura emersa durante la visita del consigliere regionale di Sinistra e Libertà Michele Ventricelli che, poi, insieme ai giornalisti, ha incontrato la direttrice Caterina Acquafredda.

"Nonostante la carenza di fondi e di risorse - ha detto quest’ultima - rappresentiamo una piccola oasi di vivibilità, grazie alla Polizia Penitenziaria, al personale civile e al Dipartimento dell’Amministrazione". Il carcere di Altamura (pochi in città ne conoscono l’esistenza) sorge poco fuori la città sulla via per Gravina e vicino al Tribunale. È una sezione distaccata di quello di Bari-Carrassi. Si tratta di una struttura sperimentale: ospita, infatti, solo detenuti della categoria sex offenders, autori di reati sessuali, anche su minori. "Dopo il periodo dell’indulto, la struttura si era svuotata e quindi si decise di creare questa sezione speciale", ha aggiunto la direttrice. Fu anche un tentativo di far scontare la pena a questo tipo di detenuti in strutture meno affollate: è noto che i criminali comuni, in ossequio al codice interno del carcere, non vedano di buon occhio chi si macchia di reati odiosi come la pedofilia.

La capienza ideale dell’istituto è di 40 detenuti. Attualmente ne sono presenti circa 80, quindi entro il limite tollerabile. In altre strutture pugliesi si è ben al di sopra del doppio della capienza tollerabile: ad esempio a Bari-Carrassi sono 600 quando la capienza tollerabile è di 250. Ogni stanza ha un piccolo bagno. La doccia esterna è accessibile ogni giorno. Ci sono campi per il calcio e il calcetto, un’aula per la ricreazione. Anche per la specificità dei reati, la struttura usufruisce della consulenza di tre specialisti per 10 ore al mese ciascuno: una psicologa (pagata dall’amministrazione penitenziaria), uno psicoterapeuta e uno psichiatra (questi ultimi della Asl).

Per quanto riguarda il personale ci sono 42 effettivi, compreso quello distaccato si arriva in tutto a 55. "L’esigenza complessiva - ha lamentato la direttrice - è di 70 unità. Specie in estate siamo costretti a fare turni di 8 ore invece di 6". Durante il periodo di ferie diventa più limitata anche la cosiddetta attività trattamentale che nelle altre stagioni prevede, tra le altre cose, la scuola con insegnanti di elementare e media, in collaborazione con la media "Ingannamorte" di Gravina, un laboratorio teatrale finanziato dal Dipartimento amministrazione penitenziaria, in collaborazione con l’associazione Borgo delle Arti, un corso di Mosaico (che è servito anche a rendere più accoglienti gli ambienti), la realizzazione di cortometraggi, di un laboratorio di ginnastica (dal titolo significativo ‘Muoversi in carcerè), corsi di musica e di educazione alimentare, vista anche la presenza di persone con problemi di alcolismo, gli incontri con il gruppo francescano Amico Lupo.

Degli ottanta ospiti, 21 sono semiliberi (svolgono fuori un lavoro durante il giorno per poi tornare dentro di notte), la maggior parte sono pugliesi. Poi ci sono anche alcuni campani, settentrionali. C’e anche qualche immigrato. "Il personale della Polizia Penitenziaria, che sta rispondendo molto positivamente perché sente molto la funzione, e io stessa - ha sottolineato la dottoressa Acquafredda - abbiamo frequentato dei corsi di formazione sulle relazioni rivelatisi molto utili. La struttura è regolamentare sotto tutti i punti di vista".

Fino al 2003 non c’era l’allaccio all’acqua ma anche a quello si è provveduto. "La generale carenza di risorse economiche - ha sottolineato la direttrice - rende difficile qualsiasi tipo di manutenzione tranne in casi assolutamente necessari come la sostituzione di un gruppo elettrogeno o della centralina telefonica". Per il resto ci si arrangia con tanta fantasia e buona volontà, utilizzando anche le competenze di qualche detenuto.

L’allarme riguarda "l’esiguo monte-ore" della guardia medica e infermieristica la cui disponibilità si limita a sole 6 ore al giorno, 2 la mattina e 4 il pomeriggio (12 per i festivi) che, come Acquafredda ha denunciato in una lettera scritta alla direzione generale e a quella territoriale della Asl, e per conoscenza al presidente del Tribunale di Sorveglianza, al Provveditorato regionale per la Puglia (Ufficio del trattamento intramurale del Dap) "risultano del tutto insufficienti a garantire le più elementari esigenze sanitarie dei detenuti ristretti, attualmente 80 unità, portatori di problematiche delicate inerenti anche la sfera psico-fisica della persona".

Addirittura la referente, dottoressa Serchisu, scrive la direttrice nella lettera, "sovente svolge orari di servizio di gran lunga superiori a quelli previsti e quindi retribuiti: vero è che la disponibilità umana e professionale degli operatori deve essere supportata sempre da quella delle Autorità competenti istituzionalmente".

Gli esempi più preoccupanti sono recenti: un detenuto con danno midollare e cateterizzato che ha avuto la fortuna di trovare in servizio in quel momento il medico di guardia ed è stato trasferito altrove e un paziente con una peritonite che all’ospedale di Altamura non è stato possibile operare per mancanza di una sezione carceraria ed è stato trasportato al Policlinico di Bari. È accaduto solo due giorni fa. "Sarebbe necessaria la presenza di una guardia medica almeno per 18 ore", ha concluso Acquafredda. L’ultima richiesta al Comune: quella di migliorare lo spazio antistante all’ingresso con la sistemazione di una pensilina per i parenti dei detenuti.

"Il carcere di Altamura - ha commentato Ventricelli al termine della visita - rispetto al contesto generale, tutto sommato riesce a mantenere uno standard accettabile di vivibilità. All’interno delle celle ho trovato una situazione che, sia pure nel quadro complessivo delle difficoltà, è sostanzialmente migliore rispetto a quelle di Bari e Foggia. Utilizzerò questa visita per sensibilizzare le autorità locali, la Asl e il Comune di Altamura, per risolvere i problemi che ci sono stati posti dalla direttrice, alcuni dei quali ad esempio il potenziamento della guardia medica assolutamente importante e andrebbe ad aggiungersi allo sforzo che è stato fatto qualche tempo fa dalla Asl per aumentare la presenza dello psicologo e dello psicoterapeuta, per questo tipo di reati è assolutamente necessaria. Occorre potenziare la presenza della guardia medica e portarla ad almeno 18 ore al giorno. Chiederò infine al sindaco di sistemare e regolamentare l’area antistante del carcere e il parcheggio e di predisporre una pensilina che consenta ai familiari di non avere difficoltà nell’accesso".

Lodi: Ugl; con caldo e sporcizia il rischio di epidemie di scabbia

 

Il Cittadino, 24 agosto 2009

 

"Mentre la direzione è impegnata a trasformare il carcere nella "scuola di Amici", dal quale sembra che i detenuti debbano uscire tutti cantanti, ballerini, scrittori e registi, si è dimenticata che sono più di venti giorni che non vengono cambiate le lenzuola ai ristretti, a quanto pare per mancanza di fondi". Il segretario regionale dell’Ugl polizia penitenziaria, Enzo Tinnirello va all’attacco della Casa Circondariale di via Cagnola.

"Così si sta mettendo a rischio la salute dei detenuti e dei poliziotti, il mix tra caldo, sovraffollamento e biancheria sporca potrebbe scatenare un’epidemia di scabbia o di piattole. I detenuti cominciano giustamente a lamentarsi, visto che non tutti effettuano i colloqui con i propri familiari e quindi non hanno la possibilità di farsi portare lenzuola pulite da casa.

La pulizia, la sanità dei locali e la biancheria pulita sono condizioni essenziali da rispettare quando si vive in una comunità come il carcere, il mancato rispetto alimenta tensioni tra i detenuti e la polizia penitenziaria e crea rischi per la salute di tutti, con la probabilità di mettere il carcere in quarantena. A quanto pare l’impegno dell’amministrazione penitenziaria a Lodi si riduce alla preoccupazione di preparare i buffet, comprare vini selezionati e sistemare tavolini con candela al centro in occasione degli eventi, quasi a trasformare il carcere in un night club".

Il sindacato affronta poi la questione degli stipendi dei poliziotti: "I ringraziamenti della dottoressa Mussio (la direttrice, ndr) verso il personale di polizia penitenziaria sono sempre ben accetti, - continua Tinnirello -, ma il lavoro svolto deve essere monetizzato come da contratto nazionale! Sono 4 mesi che i poliziotti sono costretti a fare anche 86 ore di straordinario mensile, con stressanti turni di servizio di 15 ore a causa degli eventi aperti al pubblico; di queste ore straordinarie ne vengono pagate 5 o 6 al mese, visto che la direzione ha calcolato male il monte ore di lavoro straordinario a propria disposizione. Non bisogna strafare se non si hanno i fondi per coprire le spese da affrontare".

Bollate (Mi): la Fattoria di "Al Cappone" ed i gelati "Ais Crim"

 

Vita, 24 agosto 2009

 

Dopo un anno di intenso lavoro la collaborazione tra Coop Lombardia e la direzione del Carcere di Opera (Milano), hanno realizzato il sogno di inserire nella grande distribuzione i prodotti realizzati nel carcere dai detenuti: le uova di quaglia della fattoria di "Al Cappone" e i gelati Ais Crim.

Più che a km zero, le uova di quaglia della Fattoria di Al Cappone (www.alcappone.it), allevamento nel carcere di Opera (Milano), sono uova di prossimità. Piccole, maculate, quasi prive di colesterolo (contengono colesterolo solo quello buono hdl, e non quello cattivo ldl). Delicate e adatte ai palati più fini. Usate da chef di grido e apprezzate da comuni buongustai, le uova di quaglia, disponibili sugli scaffali di alcuni punti vendita Coop Lombardia di Milano e provincia, hanno addirittura la dote di non provocare allergie ed eruzioni cutanee che possono scaturire dal consumo di uova di gallina, principalmente nei bambini; hanno, anzi, un’azione terapeutica nel combattere le allergie.

E "ottimo" si può dire il gelato Ais Crim: bicchierini e torte, e gelati su stecco, tutti squisiti gelati realizzati all’interno del carcere in una pasticceria d’eccellenza, in grado di competere per qualità, alle migliori pasticcerie di Milano. I gelati li trovate per ora negli Ipercoop di Piazzale Lodi a Milano e all’Acquario di Vignate. È curiosa, la realtà della casa di reclusione di Milano-Opera. Un penitenziario enorme che contiene quasi 1500 detenuti, il cui perimetro misura due chilometri e include una sezione 41 bis (tra gli altri, Totò Riina, per intenderci) di un centinaio di persone, è per molti versi, un esempio all’avanguardia per il recupero e per la vivace attività di produzione di beni di consumo.

Di ottima qualità. È un carcere "nuovo", quello di Opera, un carcere visto appunto come un’officina della libertà, un momento di preparazione alla vita, quella dei "normali", quelli che si alzano la mattina e vanno a lavorare. Un carcere dove non si sta con le mani in mano e in cui la sfida è offrire al palato del "mondo dei liberi" prodotti che facciamo dimenticare l’indirizzo della provenienza, perché ineccepibili dal punto di vista della qualità e dell’immagine.

Opera è una struttura complessa, ma lo spazio per il lavoro esiste. È un carcere con grandi potenzialità: perché ha una dimensione ampia, persone detenute con fine pena lungo, personale motivato e un territorio che risponde. E la buona volontà (volontà di fare bene... e buono!) produce risultati alla portata di tutti, assaggiabili, godibili da tutti.

"Un contesto favorevole che fa sì che tutti siano orientati a che le possibilità lavorative, dentro e fuori dal carcere, si concretizzino ", dice Giacinto Siciliano, 14 anni di esperienza, già direttore a Monza e Sulmona, e da due anni a capo dell’istituto alle porte di Milano. "L’allevamento, dieci detenuti-allevatori, insieme con la gelateria artigianale Ais Crim (detenuti in alta sicurezza, 10 per ora, ma che presto diventeranno 20) è solo una delle attività alle quali intendiamo dar corso. Ne seguiranno altre".

Per esempio la produzione della "Malamela", una marmellata di mele cotogne, o cotognata, artigianale che ricorda i sani prodotti di anni fa; ottima con i formaggi, con il bollito, a merenda. O le confetture dei "frutti dimenticati", ma non vogliamo anticipare troppo le sorprese del futuro.

Su un totale di 1.400 detenuti (la capienza è 1.500), nel carcere ne lavorano 350 in mansioni "domestiche" (in quota all’Amministrazione Penitenziaria) e poco più di 80 impiegati da aziende esterne. Ci sono poi 45 semiliberi. Il lavoro, chiave di volta per una vita che va "riconvertita", possibilità reale e non fumosa beneficenza.

Chiosa Siciliano: "Il lavoro che crea davvero opportunità non può essere solo quello che ha come interlocutore lo Stato, ma le aziende. Il detenuto deve poter acquisire un modello che si confronta con le regole e il gioco di mercato. Deve diventare una persona che cammina con le sue gambe, porsi come cittadino e non "vittima" del sistema. Il carcere a questo serve: a dare delle regole. Il lavoro è un ottimo parametro per capire se e quanto ci si può reinserire nella società". Per costruire, ri-costruire.

Verona: "scippato" progetto di educazione a legalità in scuole

di Anna Zegarelli

 

L’Arena, 24 agosto 2009

 

"Scippato il progetto che educa alla legalità". Maurizio Ruzzenenti, del Csi, contesta la decisione dell’assessore comunale all’Istruzione Alberto Benetti. Un’iniziativa portata avanti da 21 anni nelle scuole anche con il contributo del Csi. "Ora la affidano ad associazioni di Treviso".

Il progetto di informazione alla legalità rivolto agli studenti che partirà a settembre, annunciato dall’assessore alle politiche giovanili, Alberto Benetti, lascia senza parole gli operatori di Progetto carcere 663. "Da 21 anni portiamo avanti questo genere di iniziativa in tutte le scuole di Verona e provincia. Non capiamo come mai un intervento come il nostro venga rifatto con associazioni trevigiane, dice Maurizio Ruzzenenti, docente e fondatore di "Carcere e scuola", l’iniziativa che da oltre vent’anni avvicina gli studenti al mondo carcerario portata avanti da volontari nelle scuole.

L’obiettivo è "insegnare il rispetto delle regole nella vita sociale e in quella privata". Gli studenti veronesi coinvolti nell’ultima del 2009, sono stati 1.228. Le scuole superiori erano 59. Il lavoro fatto dagli operatori parte con un’informazione organizzata scuola pere scuola e si traduce in visite all’interno del carcere che si legano ad incontri diretti con i detenuti e a un confronto sportivo. Sempre quest’anno sono stati 50 gli incontri di calcio organizzati con la sezione maschile della casa circondariale e 55 quelli di pallavolo nella sezione femminile. Non solo: per la prima volta in 25 anni di attività, il Progetto carcere e scuola ha coinvolto gli studenti delle scuole medie,

In 25 anni di informazione alla legalità sono stati coinvolti più di venticinquemila ragazzi e ragazze. "Le nostre iniziative sono conosciute ed apprezzate da magistrati e comandanti. Anzi colgo l’occasione per ringraziare i giudici Ernesto D’Amico, Massimo Coltro, Maria Cristina Motta e Camilla Gattiboni. E con loro il comandante della squadra mobile Marco Odorisio, il comandante dei carabinieri Claudio Cogliano, il Sert, il servizio sanitario territoriale preposto alla cura e alla prevenzione delle dipendenze, la polizia penitenziaria e il direttore del carcere Salvatore Erminio", dice Ruzzenenti, menzionando nomi e enti che da sempre sono legati al progetto tutto veronese che per decenni ha visto anche il coinvolgimento del Centro sportivo italiano, il Csi.

Non nasconde neppure il fatto di "sentirsi preso in giro" per le dichiarazioni fatte da Benetti, tanto più che "l’assessore è dello stesso partito di Valdegamberi" (assessore regionale alle politiche sociali, ndr), che ci sostiene da sempre", sottolinea. Ma ciò che più infastidisce il gruppo di volontari dell’associazione veronese impegnati ogni giorno dell’anno nell’insegnare il rispetto della legalità alle nuove generazioni, nel portare sollievo ai detenuti, nell’organizzare corsi e momenti di rieducazione all’interno del carcere di Montorio, è l’essere stati "tagliati fuori".

"Sono stupefatto di fronte al fatto che nemmeno la Fraternità (altra storica associazione di solidarietà per il carcere nata da fra Beppe Prioli, ndr), sia stata messa al corrente che due associazioni trevigiane, Itaca ed Emergenze oggi, avrebbero collaborato ad un’iniziativa che a Verona è portata avanti da decenni da due delle maggiori associazioni che operano nel carcere", gira il dito nella piaga Ruzzenenti. La risposta a questo "disguido" forse la si può trovare nelle pagine che da qualche anno accompagnano l’edizione di Progetto carcere scuola, il libro che da cinque anni viene stampato per raccogliere le considerazione delle migliaia di studenti veronesi che vivono l’esperienza alla legalità. "Da innumerevole tempo lamentiamo il poco interessamento del Comune di Verona", si legge.

Cagliari: Caligaris; riattivare progetto di biblioteche in carcere

 

Agi, 24 agosto 2009

 

"Il progetto Le biblioteche carcerarie in Sardegna, avviato in forma sperimentale nel 2003, e rimodulato nel 2006 per gli istituti penitenziari di Cagliari, Quartucciu, Iglesias, Mamone e Sassari e, con una fornitura di libri, nella comunità di recupero La Collina di Serdiana, deve essere riattivato dalla Regione e reso utilmente operativo".

Lo chiede la presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme" Maria Grazia Caligaris che ha scritto una lettera all’assessora regionale della Pubblica Istruzione Maria Lucia Baire segnalando "il grave disservizio ai danni della popolazione carceraria che particolarmente in un periodo così difficile per le condizioni di sovraffollamento, trarrebbe occasioni di maggiore interesse con un’efficiente biblioteca".

I fondi librari, arricchiti costantemente dalle donazioni di cittadini, non solo non possono essere fruiti dai detenuti ma rischiano di ammuffire in polverose casse. "L’iniziativa - ricorda l’esponente socialista - di alto valore socio-culturale consistente nella riorganizzazione e gestione dei servizi bibliotecari e di mediateca negli istituti penitenziari, nel trattamento scientifico del materiale posseduto, nell’incremento dell’offerta informativa delle biblioteche.

L’assessorato della Pubblica Istruzione aveva sottoscritto nel maggio 2003 un protocollo di intesa tra il Provveditorato regionale del Dipartimento amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia con l’obiettivo - sottolinea Caligaris - di migliorare la fruizione del patrimonio documentario, accrescere le attività culturali, attuare azioni di integrazione multiculturale e multietnica, intensificare la promozione rieducativa professionale e favorire l’accessibilità dei detenuti in biblioteca".

Vicenza: "racconti sul carcere", i relatori sono tre ex-detenuti

di Stefano Ferrio

 

Il Gazzettino, 24 agosto 2009

 

Una serata di emozioni forti, a tratti fortissime. Durante la quale i racconti sul carcere di tre ex detenuti fanno scoprire un sacco di cose. Che, ad esempio, è seduto in mezzo al folto pubblico un altro, anziano ex carcerato, visibilmente soddisfatto di confrontarsi con i protagonisti dell’incontro. E che molti, trascinati dalla sincerità dei "relatori", tendono a loro volta ad aprirsi: a rivelare di avere figli per anni tossicodipendenti, a interrogarsi sul senso concreto del perdono, e a sentirsi dire come il contestato indulto di tre anni fa, oltre a fare danni, abbia portato tanto, misconosciuto giovamento a migliaia di italiani, e alle loro famiglie.

L’effetto, visto all’Agosto organizzato al convento di Santa Maria del Cengio dai servi di Maria di Isola, è simile a quello, contagioso e dirompente, della parabola del figliol prodigo narrata nel Vangelo di Luca. Con il ruolo dell’evangelista a suo modo assunto da un testimone come fra Beppe Prioli, da quarant’anni fratello spirituale di tanti detenuti italiani, e quello del peccatore pentito spartito fra tre ex ospiti di istituti di pena veneti: Carmine, reduce da ben dieci anni trascorsi dietro le sbarre, oltre a Paolo e Antonio, "ospiti" per meno tempo, ma non per questo meno segnati da un’esperienza che è "soprattutto - parole di fra Beppe - dolorosa, immensamente dolorosa".

"In un presente minato dall’ossessione della sicurezza, la società civile tende a rimuovere l’esistenza del carcere - spiega il moderatore, don Agostino Zenere - come abbiamo visto nella stessa Vicenza, dove i detenuti si sono trasferiti dal centrale San Biagio a una quasi invisibile, e inaccessibile, periferia di San Pio X".

La fortuna è allora quella di contare sull’esperienza, lunga quanto sofferta, di personaggi come padre Beppe Prioli, 66 anni portati con la stessa, energica baldanza del religioso ventenne che, lette le parole di un ergastolano su Famiglia Cristiana, si imbarca per l’isola di Porto Azzurro, dove riesce a farsi accogliere nel penitenziario dei condannati a vita. Per incominciare, in quel 1963, un appassionato servizio tuttora in corso, come testimonia il suo recente libro "40 anni fra i lupi", edito da Gabrielli.

In tutto questo tempo certe leggi sono cambiate nel nostro Paese, favorendo per i detenuti esperienze come la semilibertà, e aumentando le loro opportunità di rapporti con l’esterno. Ciò nonostante, fra il mondo dei cosiddetti "uomini liberi" e i dodici metri quadrati di una cella spartita fra quattro persone, rimane un abisso da colmare.

"Il giorno in cui, lavorando per la prima volta come falegname in una sezione femminile, mi sono accorto che, con le mamme, erano reclusi i loro figli neonati, o di età inferiore ai tre anni - racconta Carmine - lo choc è stato tale da farmi passare ogni desiderio di quelle donne". "Il bisogno di intimità è tale - incalza Paolo - che a volte uno rinuncia all’ora d’aria pur di strappare un po’ di solitudine, in cui scrivere una lettera o pensare semplicemente ai fatti suoi". "I contatti con la famiglia possono essere di ogni tipo - spiega Antonio -. Io ho una sorella che mi ha sostenuto fin dal primo giorno di reclusione, e un’altra che tuttora fatica a parlarmi, si vergogna di me".

"In effetti - commenta fra Beppe - stare accanto a un figlio, o a un fratello detenuto, per dieci, vent’anni, sottoponendosi a continui viaggi, controlli, e inevitabili momenti di umiliazione, è un’esperienza devastante anche per chi vive fuori dal carcere". "Purtroppo - conclude il francescano - quando nel 2006, c’è stato il famoso indulto, hanno fatto giustamente notizia i casi di quanti, appena usciti, hanno commesso nuovi crimini. Pochi si sono soffermati sul numero molto più grande di persone tornate alla vita, di famiglie riunite grazie a quel provvedimento".

Parole che suscitano domande, interventi, piccole confessioni personali. Si vuole sapere del rapporto fra i detenuti e le loro vittime, delle occasioni di rieducazione e cultura date ai carcerati, delle possibilità date allo Spirito di illuminare una coscienza perfino nel buio di una cella. Quando don Agostino interrompe il dibattito perché è giunta l’ora di lasciare il chiostro, la sensazione resta quella di una serata appassionante. Vissuta attraverso un dialogo, aperto e franco, che significa libertà.

Vasto (Ch): "Liberi di esprimersi"; mostra dipinti dei detenuti

di Anna Bontempo

 

Il Centro, 24 agosto 2009

 

Gli acquarelli poggiati sulle panche di legno e il pennello che, deciso, scorre sulla tela bianca dipingendo un cielo incredibilmente blu ed uno scorcio panoramico di Punta Aderci.

Adams, nigeriano di 35 anni, è un detenuto della Casa Circondariale di Torre Sinello. In carcere ha scoperto l’amore per la pittura e ha appreso i primi rudimenti di un’arte che è riuscita a rendere meno triste la sua reclusione e a liberare la sua creatività. Altri compagni di cella hanno seguito il suo esempio.

Erano tutti lì ieri mattina, nel piazzale antistante la spiaggetta di Punta Penna, trasformata in una mostra all’aperto dal titolo emblematico: "liberi di esprimersi", una iniziativa che la casa circondariale sta portando avanti insieme all’associazione Opificio AlterArs (un sodalizio che raggruppa artisti di Vasto e San Salvo) e con la collaborazione del Comune. Non è un caso che sia stata scelta la riserva di Punta Aderci, tornata alla ribalta in questi giorni per l’incendio che ha divorato tre ettari di macchia mediterranea a Mottagrossa e che ora l’amministrazione comunale ha deciso di "blindare" con dissuasori e sbarre per difendere un angolo di paradiso dall’assalto delle auto e dai bivacchi.

E ieri il parco costiero ha offerto l’altra faccia, quella della operosità e della creatività solidale, con la spiaggetta di Punta Penna trasformata in un originale laboratorio di pittura sorvegliato con discrezione dagli agenti della polizia penitenziaria. Sei detenuti usciti grazie al permesso concesso dal magistrato di sorveglianza, sette artisti, tredici tele in mostra, un unico soggetto: Punta Aderci in tutto il suo splendore.

"Questa iniziativa è nata da una proposta del direttore del carcere, raccolta con entusiasmo dai detenuti che si sono cimentati per la prima volta con tele e pennelli", spiega Michele Montanaro , presidente di AlterArs, "è una scommessa, non sappiamo quale sarà il risultato, ma è nostra intenzione continuare questa collaborazione". Nel piazzale i detenuti continuano a dipingere insieme agli artisti, incuranti del sole che a mezzogiorno picchia forte, mitigato solo da una leggera, quanto provvidenziale brezza marina.

A pochi metri di distanza una fila interminabile di colorati ombrelloni e tanta gente che cerca refrigerio in acqua. Una coppia di turisti si avvicina al box in legno e chiede all’addetta della Cogecstre, di affittare una canoa. Non c’è niente di meglio per godere in pieno delle bellezze paesaggistiche del parco costiero, scoprendone gli angoli più nascosti.

Arriva il direttore della casa circondariale. "È un’altra bella iniziativa che mira a favorire l’integrazione dei detenuti", dice Carlo Brunetti , buttando un occhio compiaciuto sulle tele dipinte di fresco, "ed è un altro tassello della collaborazione che il carcere sta consolidamento con il territorio. È nostra intenzione ampliare il ventaglio trattamentale: in questo contesto si inserisce la ricerca di partner con cui avviare nuovi progetti".

A fare gli onori di casa, oltre agli operatori della Cogecstre, c’è anche l’assessore comunale alle Politiche sociali. "Iniziative del genere non possono che essere accolte con favore", commenta Marco Marra (Prc), "perché rappresentano un ponte tra il carcere e il Comune". Al box di legno è un continuo via vai. C’è chi chiede informazioni, chi prenota un’escursione. È così tutti i giorni a Punta Penna, ma la riserva non finisce qui, è molto più estesa: 285 ettari da tenere costantemente sotto controllo.

Praticamente un’impresa titanica per i due soli addetti della cooperativa di Penne che ha avuto l’oasi in gestione. Dopo l’incendio di mercoledì scorso è cresciuta la preoccupazione ma sono stati decisi anche alcuni interventi-tampone: dissuasori per i camper, sbarre e paletti di legno per impedire l’accesso dei veicoli. L’amministrazione è corsa ai ripari, ma sarebbe stato meglio pensarci prima che succedesse il fattaccio.

L’altra sera gli operatori della Cogecstre, Alessia Felizzi e Stefano Taglioli hanno effettuato un sopralluogo insieme alle Giacche verdi e ad un rappresentante del comitato di gestione della riserva, Vincenzo Ronzitti, per individuare le zone dove installare le barriere anti-auto che a Ferragosto sono state parcheggiate a pochi metri dalla riva del mare dove in tanti hanno bivaccato per l’intera giornata.

Un malcostume che con i soli inviti degli addetti non è possibile debellare. Prova ne sono le continue minacce ricevute dagli operatori della Cogecstre da parte di quegli automobilisti (in minoranza per la verità) che vengono invitati a non accedere nella riserva con i veicoli. L’ultimo episodio ha spinto la coop a presentare una denuncia ai carabinieri e alla Forestale.

Milano: arrestato Luciano Vella, l'ergastolano evaso a Voghera

 

Ansa, 24 agosto 2009

 

Il pluripregiudicato Luciano Vella, 54 anni, detto "Lucianino due pistole", è stato arrestato ieri sera a Milano nell’abitazione della sua convivente: mercoledì era evaso dal carcere di Voghera dove stava scontando l’ergastolo. Vella è stato preso al termine di un’operazione condotta dal Nucleo Investigativo Centrale Polizia Penitenziaria, che ha coordinato le indagini delegate dal Procuratore capo della Repubblica di Voghera De Socio.

Vella era stato condannato, tra l’altro, per l’omicidio di Michele Nicassio, assassinato nel 1988 a Milano per conto della ex moglie della vittima, Antonietta Veglia, e del suo amante Carmelo Puglisi, perché contrastava la loro relazione. Il sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la più rappresentativa organizzazione di categoria, si congratula per l’operazione di Polizia giudiziaria condotta.

"Questo importante risultato ci fornisce anche l’opportunità di evidenziare l’importante ruolo svolto dalla Polizia Penitenziaria nel contrasto alla criminalità organizzata - commenta Donato Capece, segretario generale del sindacato - ed è pertanto opportuno che anche l’opinione pubblica sia portata a conoscenza della professionalità, dell’alto senso del dovere e delle capacità investigative, qualità che spesso non godono di un’adeguata visibilità mediatica, proprie delle donne e degli uomini del Corpo".

Immigrazione: il Governo, la Chiesa e la doppia etica della vita

di Chiara Saraceno

 

La Repubblica, 24 agosto 2009

 

Il Bossi che se la piglia con le parole di condanna del Vaticano sulla crudeltà dei respingimenti è lo stesso che parla di identità cristiana-cattolica e di valori cristiano-cattolici quando vuole contrapporre il "noi" italiano (e meglio ancora padano) al "loro" dei migranti.

Il Giovanardi che dichiara che parlare di Shoah nel caso delle centinaia (migliaia) di migranti che muoiono lungo le vie della migrazione - nei deserti, nelle prigioni libiche, in mare - è lo stesso che non fa una piega quando papa e vescovi parlando dell’aborto come assassinio, che si è scatenato contro la pillola Ru486, che parla degli embrioni appena fecondati come fossero esseri umani da proteggere (purché italiani, ovviamente). Insieme al governo e alla maggioranza di cui fanno parte, ed anche con l’attivo sostegno di una parte dei cattolici dell’opposizione, hanno sostenuto le posizioni della Chiesa in difesa della "vita nascente" e perché si continuino a mantenere artificialmente in vita corpi che hanno ormai perduto ogni traccia di vita umana. Hanno promosso leggi "in difesa della vita". E sempre "in difesa della vita" si sono opposti e si oppongono fino allo spasimo vuoi a sentenze dei tribunali, vuoi a pareri dei medici e delle comunità scientifiche.

Apparentemente va bene difendere gli embrioni (italiani) e accanirsi su corpi impotenti (italiani) in nome della vita e dell’etica cristiana, chiamando assassini coloro che invece cercano di distinguere tra esseri umani e esseri che non lo sono ancora o non più. Quando si tratta di immigrati invece cadono tutti i principi, tutte le norme di difesa della vita e della dignità della persona. Gli immigrati sono vite impunemente spendibili, senza valore, meno umani di un embrione al primo stadio e di un corpo da cui si è allontanato ogni barlume di coscienza e di capacità di vita (respirare, nutrirsi) autonoma.

È questa siderale distanza nel valore attribuito alla vita umana che deve dare scandalo, non il fatto, in sé del tutto legittimo, di reagire anche duramente ad un giudizio della Chiesa cattolica. Non soccorrere chi è in pericolo, rimandare, come si sta facendo, chi arriva sulle nostre coste nei paesi da cui provengono senza contestualmente preoccuparsi dei rischi per la loro vita che in molti casi questo comporta - è uno scandalo in sé, a prescindere dalle idee che si hanno su aborto e fine vita. Ma diventa intollerabile, inaccettabile, se queste azioni sono promosse da chi, quando si tratta di aborto, fecondazione assistita, fine vita e testamento biologico, dichiara di aderire al concetto di vita umana proposto dalla Chiesa cattolica e lo impone per legge a tutti.

Per una volta, verrebbe da dire finalmente, la Chiesa cattolica ha usato nei confronti delle morti tra i migranti per mancanza di soccorso e solidarietà umana termini simili a quelli che normalmente riserva a chi decide di abortire o di porre fine a una vita solo artificiale. A mio parere si tratta di situazioni assolutamente incomparabili. E l’accusa di esagerazione, rivolta da Bossi e Giovanardi alle parole del vescovo Vegliò, presidente della pontificia opera per i migranti, dovrebbe riguardare piuttosto l’accusa ricorrente di assassinio per le donne che abortiscono e per chi pietosamente sospende le cure a chi non può vivere più. Non il fatto di denunciare le responsabilità politiche e umane di chi abbandona al proprio destino di morte i disperati delle migrazioni, impaurendo e minacciando di sanzioni anche chi vorrebbe aiutarli.

Non è il laicismo che sta corrodendo le basi morali della nostra società. È piuttosto l’uso strumentale della religione per scatenare campagne amico-nemico, noi-loro, buoni-cattivi, salvo poi rivendicare ogni possibile eccezione quando serve, nei comportamenti privati come nelle politiche pubbliche.

Immigrazione: Napolitano; "chiarimenti sulla strage nel mare"

di Marco Marozzi

 

La Repubblica, 24 agosto 2009

 

Il ministro Frattini fra gli stand di Comunione e Liberazione accusa Malta e l’Unione europea. Il suo collega Maroni dal Viminale telefona a Giorgio Napolitano e ne riceve un preciso richiamo: il presidente della Repubblica chiede al ministro dell’Interno di essere informato sulla nuova strage in Mediterraneo, capire cosa è successo e come si indaga e procede adesso. Insomma, il Quirinale vuole chiarezza. L’Avvenire, quotidiano dei vescovi, intanto condanna le "ipocrisie di una politica che usa gli odierni boat people per battaglie di basso profilo". E al Meeting di Cl oggi il ministro leghista Roberto Calderoli si troverà di fronte una platea irritata e con le antenne alzate per l’attacco di Umberto Bossi alla Chiesa.

La tragedia degli eritrei spinge il governo ad attaccare l’Europa e insieme irrompe nei rapporti con il mondo cattolico. Era dedicato all’Africa, il primo giorno della kermesse ciellina di Rimini: il grande continente oltre ai drammi antichi ha scagliato sul tavolo l’ultimo massacro nel Mediterreneo. Con una battuta che compendia il tutto. "Sono solo noccioline", "Just peanuts" così Railla Amongo Odilla, premier del Kenia, ha definito i 20 miliardi di dollari in tre anni destinati dal G8 all’agricoltura dell’Africa. Aiuti dei ricchi contro la fame dei poveri.

A fianco del leader africano, Franco Frattini criticava la Ue ed accusava Malta di voler controllare un tratto di Mediterraneo troppo grande, 250 mila chilometri quadrati. "Quasi quanto l’intero territorio italiano". "È indispensabile l’accordo per restringere questo spazio. - attaccava il ministro degli Esteri - Il negoziato dura da dieci anni. Ma La Valletta dice no e per negoziare bisogna essere in due". "L’immigrazione è un problema europeo. - allargava le accuse Frattini - Non può essere lasciato ai soli Paesi che sono alle porte d’Europa. Ma la Ue malgrado gli impegni non ha ancora data alcuna risposta concreta. I rifugiati devono trovare alloggio e sostentamento in tutte le nazioni secondo una distribuzione proporzionale. Certamente l’Italia non è in grado di tenere le diecimila persone che arrivano a Lampedusa".

L’Italia è sola, è la tesi del governo. Ma dall’Unione europea non arrivano le risposte desiderate. Almeno nei tempi. Carl Bidlt, ministro degli Esteri svedese, presidente di turno dell’Ue, spiega che bisognerà attendere "la fine di ottobre per avere una prima proposta dell’Unione Europea". Secondo il ministro svedese si aspetta "una proposta della Commissione che sarà discussa nel Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Ue a fine ottobre". Un "primo passo" dice Bildt, convinto però che "un problema così grande non si risolve in una sola riunione".

Ma sull’atteggiamento del governo la Chiesa mostra di essere guardinga. "I fatti parlano da soli. Bisogna vigilare che il provvedimento sull’immigrazione non discrimini povere persone" dice monsignor Francesco Lambiasi, il vescovo di Rimini che ieri ha celebrato la messa per diecimila ciellini. "E che noi stiamo con i vescovi non mi pare una grande scoperta" ride Emilia Guarnieri, responsabile del Meeting.

Il sarcasmo di Bossi verso la Chiesa ha fatto arrabbiare molti. Persino Mario Mauro, ciellino doc e n.1 degli eurodeputati del Pdl: "Sono mesi che dice cose senza senso. Ovvio che della vita delle persone e dei loro diritti bisogna farsi carico, specie davanti alla profonda miopia della Ue". Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera, altro CL e Pdl, sposta il tiro lontano dal capo leghista: "Le parole dei vescovi suonano come un richiamo alle Nazioni ed alla Ue ad assumersi le proprie responsabilità in materia". Stesso atteggiamento del ministro Mara Carfagna: "Non parlerei di polemica. Il governo rende omaggio alla tradizione italiana di accoglienza".

L’Avvenire però ha avvisato tutti. "Fermezza", "oculatezza… non possono mai spingerci a ridurre queste persone, vulnerabili e sofferenti, a strumenti e alibi". Editoriale di Davide Rondoni, scrittore, ciellino, stamane al Meeting.

Immigrazione: sui respingimenti, inchiesta Procura Agrigento

di Francesco Viviano

 

La Repubblica, 24 agosto 2009

 

La Procura della Repubblica di Agrigento avvierà un’inchiesta sui respingimenti indiscriminati compiuti in questi ultimi mesi dalla Guardia di Finanza, che ha soccorso in mare e trasferito in Libia oltre un migliaio di extracomunitari. Dopo le dichiarazioni rese ieri da alcuni militari delle Fiamme Gialle a Repubblica, che hanno confermato di avere riportato in Libia extracomunitari senza accertare la loro identità e nazionalità, e quindi senza stabilire se potevano ottenere lo status di rifugiati politici o di richiedenti asilo, la Procura vuole vederci chiaro.

"Abbiamo appreso dai giornali di questi respingimenti sommari - afferma il procuratore di Agrigento, Renato Di Natale - dovremo verificare se sono state compiute irregolarità. La materia è complessa e dovremo anche accertare dove e quando siano state effettuate queste operazioni". La Procura acquisirà quindi i rapporti "top secret" della Guardia di Finanza sui respingimenti, 14 in tutto, 11 dei quali compiuti in acque maltesi (perché Malta non vedeva e non segnalava e perché l’Italia fa di tutto per non farli arrivare a Lampedusa). Bisognerà stabilire insomma se queste operazioni sono state compiute in zone di mare di competenza della Procura di Agrigento oppure in acque internazionali. In quest’ultimo caso, considerato che quando gli extracomunitari vengono soccorsi e trasbordati sui pattugliatori della Finanza entrano formalmente in territorio italiano, l’inchiesta dovrebbe essere trasferita da Agrigento alla Procura della Repubblica di Roma.

Secondo le norme vigenti gli extracomunitari bloccati in mare o che arrivano sul territorio italiano, dovrebbero essere identificati negli ormai noti Cie (Centri di identificazione ed espulsione) per accertare, attraverso gli operatori Onu, se hanno diritto di chiedere asilo politico perché provenienti da Paesi in guerra. Una procedura che, con l’accordo bilaterale raggiunto a maggio tra la Libia e l’Italia, è stata totalmente ignorata e che ha provocato le denunce, ignorate anch’esse, delle organizzazioni umanitarie dell’Onu presenti nei centri di accoglienza. Ed i cinque sopravvissuti all’ultima strage nel Canale di Sicilia, dove sono morti 73 extracomunitari a bordo di un gommone partito dalla Libia (segnalato solo all’ultimo momento dalle autorità maltesi a quelle italiane), otterranno sicuramente lo status di rifugiati politici.

"Provengono dall’Eritrea e dalla Somalia dove, come è noto - afferma un funzionario Onu - ci sono guerre e conflitti etnici, politici e religiosi e quindi otterranno certamente lo status di rifugiati politici e di richiedenti asilo". E tutti gli altri che in questi mesi sono stati "respinti" dalla Guardia di Finanza senza stabilire chi erano e da dove venivano? "È stato compiuto un reato ed era ora che qualcuno aprisse un’inchiesta per capire - aggiunge l’operatore Onu - se sono state compiute delle irregolarità. La legge parla chiaro: bisogna accertare l’identità e la nazionalità di questi extracomunitari e soltanto dopo potrebbero essere rispediti indietro se non provengono da paesi africani a rischio".

Intanto due dei cinque sopravvissuti all’ultima tragedia del mare sono stati trasferiti da Lampedusa all’ospedale Cervello di Palermo perché le loro condizioni sono preoccupanti. Si tratta di una donna ed un uomo molto disidratati. Gli altri tre, tra i quali due minorenni, sono stati trasferiti a Porto Empedocle ed ospitati in un centro di accoglienza ed in una comunità per minori. Anche ieri aerei ed imbarcazioni militari hanno perlustrato il tratto di mare vicino Lampedusa alla ricerca di eventuali cadaveri, otto dei quali sono stati recuperati nei giorni scorsi. L’ultimo, con la testa mozzata, è stato trovato l’altro ieri a poche centinaia di metri dalle coste di Linosa. L’inchiesta dovrà accertare se facevano parte del gruppo dei 78 extracomunitari partiti dalla Libia il 29 luglio scorso e verificare la versione dei maltesi che hanno sostenuto di avere incrociato quei cinque sopravvissuti ("che scoppiavano di salute"), vicini alla zona di mare di Lampedusa. Ma, dice il procuratore Di Natale, "la ricostruzione dei fatti proposta dalle autorità maltesi non sembra essere veritiera".

Immigrazione: clandestino visita un amico detenuto, è espulso

 

Ansa, 24 agosto 2009

 

Un extracomunitario clandestino è stato espulso dopo avere chiesto un colloquio con un detenuto nel carcere di Cremona. Per avere l’incontro l’uomo ha fornito i documenti agli agenti di polizia penitenziaria che hanno svolto i controlli ed hanno scoperto non solo la sua condizione di immigrato irregolare, ma anche che nei suoi confronti era già stato emesso un provvedimento di espulsione. È stato quindi denunciato ed il questore ne ha decretato l’immediata espulsione.

Usa: California senza fondi; 60.000 i detenuti fuori dal carcere

 

Ansa, 24 agosto 2009

 

Non hanno scontato la loro pena, ma lasceranno il carcere prima del previsto. Sono circa 60.000 detenuti delle carceri californiane che beneficeranno della crisi finanziaria in cui è precipitato lo Stato governato da Arnold Schwarzenegger. Le carceri californiane sono sovraffollate, talmente sovraffollate dall’essere definite disumane dai giudici federali che hanno imposto al Governatore di ridurre la popolazione detenuta di 40.000 unità o di provvedere rapidamente all’apertura di nuovi penitenziari. Ma nelle casse californiane, soldi non ce ne sono più.

Con la liberazione dei 60.000, la California risparmierà circa un miliardo di dollari all’anno. Le scarcerazioni dovrebbero avvenire a scaglioni, con i 27.000 più fortunati che torneranno in libertà entro la fine di quest’anno. La misura, che da un lato ottempera ad un ordine dei giudici federali, e dall’altro è richiesta da esigenze di bilancio, decisa dal governatore Schwarzenegger, è aspramente combattuta dai suoi colleghi repubblicani del Senato della California, ma appoggiata dai Democratici che hanno la maggioranza dei voti in assemblea.

Quello che appare all’orizzonte in California è il fallimento di tutto un sistema criminale che parifica le piccole infrazioni ai grandi crimini, e che negli ultimi decenni ha spazzato via qualsiasi misura alternativa al carcere, concentrandosi solo sugli aspetti punitivi per bandire qualsiasi funzione rieducativa.

Palestina: per il Ramadan, l’Anp libera 200 detenuti di Hamas

 

Ansa, 24 agosto 2009

 

L’Anp, l’Autorità nazionale palestinese, intende liberare duecento prigionieri di Hamas in un gesto di riconciliazione in occasione del mese del Ramadan. Lo ha annunciato un responsabile palestinese. "C’è un piano che prevede la liberazione di duecento prigionieri. Ne abbiamo liberati novanta finora e speriamo di completare queste scarcerazioni nei prossimi due giorni", ha dichiarato questo responsabile sotto copertura di anonimato, "Sono tutti esponenti di Hamas".

Hamas e Fatah, la formazione del presidente palestinese Abu Mazen, sono ai ferri corti da quando il movimento integralista islamico si è impadronito con la forza della Striscia di Gaza nel giugno 2007, sbaragliando le forze fedeli ad Abu Mazen dopo diciotto mesi di faticosa coesistenza al potere. Esistono contrasti profondi tra le due parti, in particolare sulla questione dei prigionieri di Hamas nelle carceri di Fatah in Cisgiordania e la ripartizione delle responsabilità in materia di sicurezza tra i due movimenti a Gaza e in Cisgiordania.

Le due parti hanno avviato lo scorso febbraio un dialogo di riconciliazione, sotto l’egida dell’Egitto, ma non hanno finora raggiunto un accordo. Un nuovo round di questo dialogo, previsto il 25 agosto al Cairo, è stato rinviato nuovamente di un mese, dopo la fine del periodo di digiuno del Ramadan, per permettere ai mediatori egiziani di appianare le divergenze. Il Cairo aveva scelto la data del 7 luglio per la firma di un accordo di riconciliazione al Cairo, prima di rinviarla due volte, al 25 luglio e successivamente al 25 agosto.

 

 

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