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Giustizia: il "Ferragosto in carcere" ha fatto luce su un inferno di Yasha Reibman
Tempi, 19 agosto 2009
Ferragosto in carcere non è un’originale trovata per risparmiare sulle vacanze, ma è stata una realtà per i numerosi deputati, senatori e consiglieri regionali che hanno accolto l’invito dei radicali. La Corte di Strasburgo ha recentemente condannato lo Stato italiano per le condizioni relative alla detenzione patita da un detenuto bosniaco, ristretto in condizioni inferiori agli standard individuati dal Comitato per la prevenzione della tortura. Lo spazio minimo sostenibile per vivere in cella è di 7 metri quadrati a persona. L’idea è che la pena sia la privazione della libertà e che non si debba essere sottoposti a pene ulteriori. Per l’articolo 27 della nostra Costituzione le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato (in proposito si segnala che tra i detenuti che hanno beneficiato di misure alternative al carcere quelli che poi non hanno compiuto nuovi reati sono il 70-80 per cento, mentre la percentuale scende al 30 tra coloro che hanno scontato tutta la pena in carcere). Il detenuto che ha vinto la causa a Strasburgo è un caso isolato oppure ci racconta il dramma di molte prigioni italiane? Il dottor Franco Ionta, attuale capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ha sostenuto sul Corriere della Sera che non si tratti di casi "così diffusi in Italia". Eppure le ultime rilevazioni parlavano di celle sovraffollate. Appare inoltre allarmante che nelle nostre carceri siano rinchiusi per la metà presunti innocenti, cioè persone in attesa di giudizio: nel nostro ordinamento la carcerazione preventiva è stata pensata e descritta per costituire solo una extrema ratio, ma - numeri alla mano - sembra una pratica piuttosto diffusa. Per il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, su un totale di 63.587 reclusi, 30.436 sono in carcere in qualità di imputati, e quindi in via cautelare in attesa del processo, e altri 31.192 sono invece già stati condannati. I dati sono riferiti all’inizio di agosto: rispetto al mese di giugno, si è segnalato un ulteriore incremento. Quella delle carceri è la situazione peggiore vista dal Dopoguerra ad oggi. Giustizia: questa "estate caldissima" per chi sta dietro le sbarre di Maurizio Regosa
Vita, 19 agosto 2009
Daniela Poretti è una delle senatrici che hanno aderito all’iniziativa Ferragosto 2009 in carcere promossa da Radicali Italiani che ha coinvolto 167 tra deputati, senatori e consiglieri regionali di tutti gli schieramenti politici. L’obiettivo? Visitare 189 su 220 istituti penitenziari nei giorni più caldi dell’anno e nelle settimane in cui è stato superato il numero di detenuti che fece scattare l’indulto: a giugno erano 63.217 le persone detenute nelle carceri italiane a fronte di una capienza massima di 43.117.
Senatrice, che situazione ha trovato? In questa occasione ne ho viste pochi di carceri. Pistoia e Arezzo in particolare mi hanno colpito. Ad Arezzo a Ferragosto i detenuti hanno buttato fuori dalle finestre le lenzuola incendiate, rumoreggiato sulle sbarre. Hanno fatto di tutto per mostrare il loro enorme disagio.
Un’estate caldissima... In alcuni istituti sono state fatte iniziative per migliorare la situazione. Purtroppo però l’estate è sempre pesante per chi sta in una cella. Non solo perché è più caldo, ma anche perché le attività si riducono all’osso. Non ci sono più quelle scolastiche. I corsi di formazione sono sospesi. A questo va aggiunto l’insufficienza cronica dell’organico degli agenti penitenziari, che oltre tutto in questo periodo vanno giustamente in ferie. Il che riduce ulteriormente la possibilità di uscire dalla cella. Ci sono casi in cui i detenuti stanno in cella quasi tutta la giornata.
Ne deriva una situazione complicata. Sì. Non c’è alcun dubbio.
Abbiamo superato la soglia per la quale fu deciso qualche anno fa l’indulto. Voi a settembre rilancerete il tema dell’indulto? Per certi versi non l’abbiamo mai abbandonato. La nostra proposta, che poi ha portato all’indulto, era molto più articolata: fare un indulto legato a una amnistia per poi partire con una serie di riforme strutturali sia per quanto riguarda gli edifici che il sistema giudiziario. Ci siamo purtroppo fermati all’indulto. Un pannicello caldo. Una boccata d’aria per le carceri che non avrebbe risolto assolutamente nulla. Va detto che non è vero che quelli indultati sono rientrati dentro. No. Sono altre persone. Ma era evidente da subito che l’indulto da solo sarebbe servito a poco. Attualmente il sovraffollamento delle carceri rende fuori legge moltissimi istituti. E non basta pensare alle ristrutturazioni o a nuove costruzioni: non si fanno in un batter d’occhio e hanno bisogno di anni per entrare in funzione.
Non è come dirlo. Le faccio l’esempio di Arezzo. Sono stati stanziati 2 milioni e mezzo. Ci vogliono 18 mesi. Nel frattempo i detenuti di Arezzo dove vanno? A gravare sulle altre strutture. Se a questo si aggiunge che ci sono carceri nuovi che sarebbero pronte a entrare in funzione ma non c’è il personale di polizia penitenziaria. Da questa situazione non si può che uscire con misure tampone straordinarie come può essere l’indulto, ma non da solo, perché fra tre anni ci si troverebbe nella stessa situazione di oggi. Oltretutto c’è stato anche un aumento di reati. Non mi riferisco a quello di clandestinità ma ad esempio anche al reato di oltraggio a pubblico ufficiale. Nei fatti l’amnistia è già in azione.
Cosa intende? Con 10 milioni di processi pendenti, chi può permetterselo paga un avvocato per arrivare alla prescrizione, a prescindere al tipo di reato.
E le carceri sono piene di detenuti extracomunitari. Il che rende ancor più difficile la convivenza. Quando non è possibile separare le etnie si creano ulteriori disagi e problemi. Pensi al Ramadan. Sono persone che non mangiano durante il giorno ma solo alla sera, l’amministrazione penitenziaria non è così elastica: distribuisce il pranzo alle 11 del mattino. Questo vuol dire che con questo caldo il cibo delle 11 rimane lì fino alle 9 di sera. Giustizia: in rivolta carceri e Cie; tra incendi, proteste e digiuni
L’Unità, 19 agosto 2009
C’è un mondo dietro alle sbarre che in questi giorni di agosto rischia di esplodere. Una polveriera caricata fino all’insostenibilità che adesso rischia di generare violenza e ribellione. Che si tratti di carceri o di centro di identificazione ed espulsione poco cambia. I fattori sono gli stessi, dal sovraffollamento alle condizioni di vita al limite del disumano, e stesso è anche il risultato: ribellioni, sommosse, proteste violente ed una situazione che rischia di degenerare sotto agli occhi di un governo che finge di non vedere l’emergenza carceraria (nessuna traccia del piano carceri più volte annunciato, il Guardasigilli Alfano è arrivato addirittura a prendersela con l’Europa) e nega quella dei Cie. Al collasso un po’ ovunque (nonostante le smentite ferragostane di Maroni) dopo l’entrata in vigore del pacchetto sicurezza con l’introduzione del reato di clandestinità e delle norme che prolungano i tempi di permanenza nei centri fino a 180 giorni. Calata finalmente la tensione al Bassone di Como, dove i detenuti per tre giorni hanno battuto le sbarre, versato acqua e sapone nei corridoi e danneggiato le strutture per protestare contro l’affollamento che ne fa una delle strutture più congestionate d’Italia, il livello di guardia è altissimo in tutta Italia. Dopo alcune aggressioni verificatesi nei giorni scorsi a Pistoia e San Gimignano ai danni di alcuni agenti di polizia penitenziaria, ieri la rivolta è esplosa a Firenze nel carcere di Sollicciano. Dove alcuni detenuti hanno incendiato coperte e lenzuola all’interno delle celle. Una protesta, ha spiegato il Garante Franco Corleone, causata dal pane muffito servito agli ospiti della struttura assieme al pranzo. Ma il sospetto, secondo alcuni agenti, è che il pane sia stata solo la scintilla che ha fatto deflagrare una tensione che in realtà covava da giorni. Situazione simile a quella del penitenziario di Capanne (Perugia) dove sempre ieri le fiamme si sono sviluppate in una cella. A causare il rogo un detenute che ha dato fuoco al proprio materasso. "La situazione penitenziaria è ogni giorno di più sempre più critica - commentava allarmato ieri il segretario del Sappe, sindacato autonomo della polizia penitenziaria, Donato Capece - Ogni giorno ci sono aggressioni ad agenti, risse, momenti di tensione e ogni giorno registriamo il colpevole silenzio dell’amministrazione penitenziaria. Sono giorni, settimane, mesi che ripetiamo che la situazione penitenziaria del Paese, a causa del costante sovraffollamento, è ogni giorno sempre più critica". Non diversa la situazione nei Centri di identificazione ed espulsione che si stanno ormai riempiendo fino a scoppiare dopo l’entrata in vigore del pacchetto sicurezza. A cavallo di ferragosto, infatti, tensioni violente e incidenti con la polizia ci sono stati nel centro milanese di via Corelli, in quello di Bari e a Torino. Lunedì notte l’ultimo episodio, questa volta a Modena. Dopo che una trentina di nordafricani avevano promosso uno sciopero della fame, infatti, altri extracomunitari reclusi nel centro di via Lamarmora hanno appiccato il fuoco a materassi e lenzuola. Giustizia: Sappe; il Governo intervenga su criticità penitenziarie
Il Velino, 19 agosto 2009
La situazione penitenziaria è ogni giorno di più sempre più critica. Ogni giorno ci sono aggressioni ad agenti, risse, momenti di tensione e ogni giorno registriamo il colpevole silenzio dell’Amministrazione penitenziaria. Dopo le aggressioni ai nostri agenti negli ultimi giorni, dobbiamo registrare nelle ultime ore inquietanti capannelli di allarme nelle carceri di Como, Firenze Sollicciano e Perugia, con detenuti in rivolta e celle in fiamme. Sono giorni, settimane, mesi che ripetiamo che la situazione penitenziaria del Paese, a causa del costante sovraffollamento, è ogni giorno sempre più critica, soprattutto per gli Agenti che in carcere lavorano nella prima linea delle sezioni detentive 24 ore su 24. Agenti ai quali, in particolare a quelli in servizio a Como,Firenze e Perugia, voglio per prima cosa esprimere la tutta la solidarietà del primo Sindacato della Polizia penitenziaria. Rinnoviamo dunque l’invito al Governo Berlusconi ed al Ministro della Giustizia Angelino Alfano a porre l’emergenza penitenziaria tra le priorità di intervento dell’Esecutivo. Servono risposte certe e rapide. Servono provvedimenti deflattivi che potenzino il ricorso alle misure alternative alla detenzioni con contestuale impiego nei lavori socialmente utili dei detenuti con pene brevi. Servono assunzioni per un Corpo di Polizia carente di ben 5mila unità. E servono provvedimenti veramente punitivi per i detenuti che in carcere aggrediscono gli agenti o provocano risse: mi riferisco alla necessità di introdurre un efficace isolamento giudiziario ed una esclusione dalle attività in comune che punisca i comportamenti violenti. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria, in relazione a quanto accaduto nei penitenziari di Como, Firenze e Perugia nelle ultime ore. Capece torna sulle visite di molti parlamentari nelle carceri nel giorno di Ferragosto. Siamo alla vigilia di un fatto storico: non s’era mai vista una concentrazione di visite parlamentari in tanti Istituti penitenziari in così poche ore come quelle nei giorni a cavallo di Ferragosto. I bilanci su quanto queste visite influiranno per definire l’agenda politica alla ripresa dei lavori parlamentari, potremmo farlo soltanto nelle prossime settimane. Come Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, proponiamo un termine di cento giorni entro i quali trovare soluzioni politiche e amministrative per evitare il tracollo del sistema penitenziario italiano. Termine ultimo entro il quale ci auspichiamo sarà raggiunto un accordo bipartisan dopo discussioni serie, responsabili, a costo di non rivolgere lo sguardo ad immediati consensi elettorali, certi che solo l’onestà politica ed intellettuale possa essere l’unica arma contro l’omicidio che si sta perpetrando nei confronti del Corpo di Polizia Penitenziaria e che gli inquietanti capannelli d’allarme di Como, Firenze e Perugia drammaticamente ci ricordano. Giustizia: Uil; preoccupati, per "deriva violenta" delle proteste
Il Velino, 19 agosto 2009
"Le notizie che ci giungono da diversi istituti penitenziari in relazione a una deriva violenta delle proteste è motivo di profonda preoccupazione. Intanto voglio esprimere ai colleghi in servizio tutta la vicinanza e la solidarietà mia e di tutta la Uil nella certezza che la provata professionalità e l’imperitura tolleranza darà loro modo di gestire al meglio queste situazioni emergenziali". Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, lancia il grido di allarme su quanto sta accadendo in molti istituti penitenziari. "Sia ben chiaro - aggiunge - che la deriva violenta delle proteste non potrà favorire il confronto e rischia concretamente di disperdere il patrimonio di conoscenza, ma soprattutto di interesse, che l’iniziativa Ferragosto in carcere ha suscitato nei politici, nella politica e nella società civile. La manifestazione di atti violenti non può non portare a una naturale frammentazione della comunità penitenziarie che, invece, ha problemi comuni. Un invito alla moderazione e alla responsabilità , dunque, mi pare un atto doveroso". Il segretario della Uil Pa Penitenziari sottolinea come vi sia un dato comune che caratterizza le violenze degli ultimi giorni che riguarda i detenuti rumeni e albanesi: "Benché si cerchi di ridimensionare il fenomeno riportandolo a più veritiere dimensioni, gli atti violenti di queste ultime ore perpetrati a Perugia, Como, Pesaro, Alessandria, Firenze debbono far riflettere sulla necessità ineludibile di aprire un confronto in Parlamento e non chiudere le porte alla speranza. Da più parti ci informano che sono i detenuti rumeni e albanesi a fomentare le violenze che tentano di annettere in questo percorso di contrapposizione violenta anche i detenuti extracomunitari di origine africana. In mattinata ho sentito telefonicamente il Capo del Dap per esporre tutte le nostre preoccupazioni e sono stato tranquillizzato. Ionta ci ha comunicato che un gruppo di lavoro al Dap monitora 24 ore su 24 l’evoluzione della situazione". "Ora - insiste Sarno - spero che non si strumentalizzi oltremisura anche l’attenzione mediatica di questi giorni sul mondo penitenziario. Quando i riflettori si accendono su quella parte oscura della società che il carcere certamente rappresenta è sempre un evento da salutare con favore. Semmai il problema della comunicazione è quello di non scadere nella retorica, nella banalità e nel sensazionalismo quanto di affrontare con l’analisi e le riflessioni le criticità del sistema che mai prima d’ora aveva subito un tale incremento di persone detenute nell’assoluta inadeguatezza degli organici del personale penitenziario. D’altro canto i contingenti ridotti all’osso che debbono fra fronte alle criticità, ma all’ emergenza ordinaria e quotidiana sono la più vera e diretta testimonianza della necessità di procedere ad assunzioni straordinarie". Giustizia: Berlusconi; passare a storia per aver sconfitto mafia
Apcom, 19 agosto 2009
La politica di casa, dai festini a Villa Certosa fino alle riforme e all’inno di Mameli, ieri è restata a Roma, affidata alle pagine del settimanale di famiglia, Chi. In Tunisia, dove il premier è volato ieri per incontrare in forma strettamente privata il vecchio amico Zine Al-Abidine Ben Ali, Silvio Berlusconi accenna solamente alle questioni casalinghe per sottolineare l’impegno del governo contro Cosa nostra. Dopo il colloquio con il presidente tunisino e un tour tra antiquari e rigattieri, Berlusconi trova il modo di rivelare un suo sogno da premier: "Io vorrei passare alla storia come il presidente del Consiglio che ha sconfitto la mafia", ha annunciato il Cavaliere visitando il set tunisino che ha ospitato le riprese di Bagheria, ultimo film di Giuseppe Tornatore che aprirà il Festival di Venezia, co-prodotto da Medusa e da Tarak Ben Ammar che accompagnava il premier. "Il mio governo ha dichiarato lotta dura alla mafia", ha aggiunto Berlusconi ricordando che le carceri italiane "sono piene di mafiosi". Berlusconi è arrivato sul set di Jebel Jeloud nel pomeriggio dopo aver trascorso oltre quattro ore in una delle ville presidenziali con l’amico Ben Ali. Una visita privata che il premier ha voluto mantenere tale, come già in occasione della sua trasferta del 2007 sempre a Tunisi. Nel colloquio tra i due leader non si sarebbe accennato ai fatti di politica interna italiana, mentre si sarebbe fatto il punto sulla questione mediorientale e sulle tematiche al centro del G8. In particolare, a quanto si riferisce, Ben Ali avrebbe espresso apprezzamento per l’organizzazione del summit e per il ruolo svolto all’Aquila dall’Unione africana rappresentata da Gheddafi. Dopo la visita, Berlusconi non ha rinunciato a un piccolo tour tra antiquari e artigiani tunisini del quartiere di Soukra: lì il Cavaliere ha visitato laboratori e botteghe, rimanendo particolarmente impressionato da una statua di bronzo raffigurante Giovanna D’Arco. Ha poi ricevuto da alcuni artigiani una statuetta creata su disegno di Salvador Dalì come riconoscimento in quanto "amico della Tunisia". Prima di rientrare in Italia, a Milano, il premier ha inoltre fatto visita alla sede della Nessma Tv, la prima televisione satellitare panaraba che si vede in tutta l’area del Maghreb, di proprietà dell’imprenditore-amico Ben Ammar. Ai lavoratori della tv Berlusconi, a quanto riferisce chi lo accompagnava, ha voluto augurare un in bocca al lupo "per un lavoro importante. È bello vedere - avrebbe detto - una tv che trasmette in tutto il Maghreb e unisce popoli diversi. I vostri programmi entrano nelle case di quattro Paesi diversi e questo è un segnale di libertà". Giustizia: Totaro (Pdl); detenuti extracomunitari nei loro paesi
Adnkronos, 19 agosto 2009
"Il Governo intervenga immediatamente per aumentare il numero degli agenti di polizia penitenziaria e lavori nella direzione proposta alcuni mesi fa dal Ministro Alfano di trasferire nelle carceri dei propri paesi i detenuti extracomunitari, la cui presenza sul nostro territorio è massiccia e, all’interno del carcere di Sollicciano, è stimata intorno al 60% su un migliaio di presenze". Lo chiede, in una nota, il senatore del Pdl, Achille Totaro, a seguito della rivolta dei detenuti nel penitenziario fiorentino. "La situazione del carcere di Sollicciano è già da tempo insostenibile - osserva Totaro - La rivolta di questa notte è sintomatica di un disagio oramai inaccettabile. Un eccessivo sovraffollamento e una grave carenza di personale hanno portato ad un’insurrezione dei detenuti, insurrezione che avrebbe potuto mettere a repentaglio la sicurezza dei pochi agenti di polizia penitenziaria presenti. Sappiamo bene che la situazione dei penitenziari italiani è difficile ma chi in questi giorni si reca all’interno di queste strutture, che sia o non sia un parlamentare - conclude il senatore - non dovrebbe fomentare alcun tipo di manifestazione volta a creare caos e disordini". Lettere: perché misure alternative sono più efficaci del carcere di Adriana Tocco (Garante dei diritti dei detenuti della Regione Campania)
La Repubblica, 19 agosto 2009
L’iniziativa straordinaria e, forse volutamente, spettacolare, del gruppo radicale, con l’instancabile Rita Bernardini, che ha visto in questi giorni coinvolti 150 tra deputati nazionali e regionali, assessori, in visita alle carceri italiane, ha portato agli onori della cronaca una realtà tragica e ben nota. Realtà denunciata più volte dai garanti dei detenuti, ma troppo spesso ignorata anche dalla stampa più avvertita sempre alla ricerca dell’evento clamoroso. Come se il fatto che essere umani stiano ammucchiati peggio dei polli nelle stie, come notava Adriano Sofri, nel lucido articolo su "Repubblica" del 14 agosto, non fosse di per sé clamoroso per un paese appena civile. Io stessa, al quarto suicidio in 4 mesi nel carcere di Poggioreale, ho scritto alle autorità competenti e no. La mancanza di risposte conferma la rimozione collettiva del pianeta carcere. Nessuno vuole o sa immaginare lo sgomento, la nebulosità del futuro, la paura di trovarsi in una cella già affollata, in cui ogni nuovo arrivato è accolto con ostilità, come un intruso che toglierà ancora un po’ di spazio, ancora un po’ d’aria, tra persone di cui spesso ignora lingua, cultura, abitudini. È un abisso di solitudine, di angoscia, è l’inferno dei "nuovi giunti", ai quali dovrebbe essere garantita l’assistenza di uno psicologo, che lavora in un carcere come Poggioreale per venti ore al mese, quando gli arrivi giornalieri raggiungono spesso il numero di cento. Ne ho incontrati di "nuovi giunti", spesso incensurati, scossi da un tremito convulso, le mani gelate, atterriti dalle condizioni di disumanità in cui sono precipitati e hanno precipitato i propri cari, mogli, bambini, costretti a file estenuanti dalle quattro del mattino, per un abbraccio. Non possiamo poi dimenticare il dramma degli extracomunitari, per i quali si aggiunge la difficoltà di non comprendere e di non riuscire a farsi comprendere. Le loro lettere spesso confuse non contengono altro che un’invocazione generica di aiuto. "Voglio vedere il cielo, voglio respirare attraverso le sbarre", mi diceva un marocchino, detenuto a Benevento, dove nei reparti ad alto indice di vigilanza, per volontà del Dap sono stati installati pannelli di plastica opaca, oppure "Chiediamo un’illuminazione adeguata che consenta di leggere, senza rischiare la cecità" scrivono i detenuti di Carinola, richieste minime, ma vitali per chi vive in carcere. Eppure in tutti i pronunciamenti europei si sottolinea che la pena deve consistere unicamente nella privazione della libertà senza ulteriori disagi. Eppure la nostra Costituzione afferma che la pena non può mai essere degradante e lesiva della dignità umana, anzi deve tendere alla rieducazione. Voglio dire che anche altri diritti che costituiscono il nucleo insopprimibile di diritti di ogni individuo vengono quotidianamente calpestati, la salute, la territorialità della pena, lo studio, il contatto con la famiglia, un permesso breve, ma di questo si parlerà in altri momenti. Oggi parliamo di sovraffollamento come causa gravissima di sofferenza, ma allora non si comprende la riluttanza a concedere misure alternative, sebbene i dati sulla recidiva ne dimostrino la drastica riduzione a confronto di chi sconta tutta la pena in carcere. Torna a delinquere il 19 per cento di coloro che hanno scontato la pena in misura alternativa, il 68 di coloro che hanno scontato tutta la pena in carcere. Le misure alternative sono l’unico efficace rimedio al sovraffollamento, ma, almeno in Campania, non le si concede nemmeno ad ammalati gravissimi. Ho incontrato a Benevento una signora paralitica, con difficoltà di parola e di vista, la cui pericolosità sociale non si riesce a comprendere, altri a Poggioreale nelle stesse condizioni e peggio. In questi casi il colloquio consiste solo in un pianto ininterrotto. Ma lo Stato di diritto non cerca vendette, lo Stato di diritto garantisce la certezza della pena, ma ne stabilisce opportunamente le modalità, che mai possono prescindere dalla considerazione che ci si trova davanti a "persone". La forza di una democrazia, io credo, risiede anche nel coraggio, perché di questo si tratta, di considerare tutte e tutti titolari di diritti, in qualunque condizione si trovino. Vorrei concludere con la speranza che l’iniziativa dei 150 parlamentari abbia messo in evidenza la drammaticità della situazione delle carceri, sicché in futuro con meno clamore si accolgano le denunce di chi quotidianamente vive queste realtà, anche se dovessero riguardare una sola vicenda, un solo caso, un’unica richiesta di aiuto. Lettere: gli psicologi vincitori concorso Dap ancora senza lavoro
Comunicato stampa, 19 agosto 2009
I 39 psicologi vincitori di concorso al Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria si associano alla campagna di sensibilizzazione relativa alla disastrosa situazione degli istituti penitenziari, sottolineando, come la loro vicenda, sia un caso eclatante di misconoscimento del ruolo fondamentale dello psicologo in carcere soprattutto in questo momento di grave crisi del sistema penitenziario, le cui conseguenze sono tristemente note a tutti. I 39 psicologi si dichiarano, pertanto, disponibili a prendere servizio immediatamente per dare il loro contributo alla drammatica situazione che vivono i detenuti, come di recente hanno fatto presente anche al Ministro Alfano, al quale hanno consegnato una lettera per sollecitare la loro assunzione ed evitare che un concorso si riveli unicamente uno spreco di denaro pubblico. I 39 psicologi, stanchi di sentirsi con le mani legate, chiedono legittimante di poter svolgere il loro lavoro e l’opportunità di aiutare i detenuti e gli operatori penitenziari in questo momento di estrema problematicità.
Mariacristina Tomaselli Coordinatrice 39 Psicologi al Dap Toscana: protesta detenuti "sovraffollamento e vitto scadente"
Ansa, 19 agosto 2009
Pane ammuffito e pasti inadeguati, uniti al sovraffollamento, stanno provocando una serie di proteste nel carcere di Sollicciano. Già nella notte tra lunedì e martedì i detenuti hanno sbattuto pentole contro le sbarre, fatto cori e incendiato pezzi di carta. Proprio il fuoco ha spinto la polizia penitenziaria a chiedere aiuto a polizia e carabinieri, che comunque non sono mai entrati nel carcere. Anche ieri mattina la protesta si è ripetuta. "Dai colloqui che ho avuto con i detenuti di Sollicciano - commenta Franco Corleone, garante per i detenuti del Comune di Firenze - mi risulta che la causa scatenante delle proteste sia stata la distribuzione di pane ammuffito o comunque scadente negli ultimi due giorni". Il direttore del carcere, Oreste Cacurri, ammette il problema ma sottolinea che è stato risolto molto velocemente. "Da tempo - dice sempre Corleone - raccolgo lamentele sulla qualità del vitto e anche sulla quantità distribuita. Del resto in Toscana il cibo nelle carceri ha un costo medio per detenuto di 1,53 euro a pasto, una cifra che deve far riflettere. Ci sono poi carenze di docce, di frigoriferi. E i detenuti hanno difficoltà ad avere visite mediche rapide quando devono fare radiografie". In questi giorni, proteste stanno scoppiando in varie carceri italiane. Il motivo è soprattutto il sovraffollamento. A Sollicciano, ha detto sempre Corleone, nelle celle da un detenuto stanno anche in tre persone. Oggi nel penitenziario si terrà una riunione. "Abbiamo convocato la commissione detenuti - dice sempre Cacurri - Al momento comunque la situazione è tollerabile. Non sono stati fatti danni importanti". Ma anche in altre carceri toscane la situazione è difficile. Il 13 agosto a Pistoia una agente della penitenziaria sarebbe stato aggredito e chiuso in una cella da un detenuto senegalese. Lo hanno liberato due colleghi. Sempre nei giorni scorsi, a San Gimignano, un detenuto scoperto a rubare medicinali dall’infermeria si è scagliato contro gli agenti. Toscana: di nuovo agenti aggrediti, a Pistoia e San Gimignano
Ansa, 19 agosto 2009
Un’aggressione ad un agente di Polizia Penitenziaria, forse per sottrargli le chiavi dei cancelli, è avvenuta il 13 agosto scorso nel carcere di Pistoia. L’agente è stato schiaffeggiato e rinchiuso in una cella da un detenuto senegalese. Altri due agenti, che sono accorsi, hanno liberato il collega bloccando il detenuto e riportando così la situazione in condizioni di sicurezza. Sempre nei giorni scorsi c’è stato un’altra aggressione nel penitenziario di San Gimignano (Siena). Un detenuto scoperto a rubare medicinali dall’infermeria si è scagliato contro gli agenti. Altri detenuti sono intervenuti per calmarlo collaborando così con il personale, che poi l’hanno denunciato. Il detenuto era già stato allontanato dal carcere di Sollicciano a causa di intemperanze simili. Firenze: urlo di protesta dei detenuti; anche noi siamo persone di Vladimiro Frulletti
L’Unità, 19 agosto 2009
Oltre al cibo (poco e di scarsa qualità) i problemi del carcere fiorentino si chiamano sovraffollamento (sono 950 carcerati e dovrebbero essere la metà), e difficoltà per i colloqui con i familiari e le visite mediche. A Sollicciano lunedì notte hanno dato fuoco a coperte e lenzuola, battendo contro le sbarre e urlando ("anche noi siamo persone") contro le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere. E ieri mattina la protesta, controllata dalle guardie penitenziere e da un fitto cordone di polizia e carabinieri attorno al carcere, ha coinvolto il reparto giudiziario. "Dai colloqui che ho avuto con i detenuti del carcere di Sollicciano - racconta il garante Franco Corleone - mi risulta che la causa scatenante delle proteste sia stata la distribuzione di pane ammuffito o comunque scadente negli ultimi due giorni". Il direttore, Oreste Cacurri, spiega che nessuno s’è fatto male, ma per oggi ha convocato la commissione detenuti. Del resto a Sollicciano ci sono circa mille persone, cioè il doppio di quante a regola dovrebbero trovarsi lì. Una situazione insostenibile, a cominciare dal cibo. "Del resto - spiega - in Toscana il cibo distribuito nelle carceri ha un costo medio per detenuto di 1,53 euro a pasto". Anche chi può comprarsi le cose da mangiare protesta perché i prezzi sono molto più alti che all’esterno. "Ci vuole un piccolo supermercato dentro il carcere" spiega il garante. Ma i problemi, dice Corleone, riguardano anche la riduzione dei colloqui fra detenuti e familiari perché con le ferie mancano gli agenti, le docce insufficienti e gli esami radiologici che da quando è stata chiusa la radiologia interna devono essere fatti all’esterno. Che vuol dire tempi più lunghi per prenotare l’esame e per organizzare l’uscita dal carcere. La consigliera comunale di Firenze Ornella De Zordo (Per un’altra città) chiede al Comune di intervenire e l’assessore Stefania Saccardi ha annunciato una sua prossima visita a Sollicciano. Mentre il senatore del Pdl Achille Totaro vuole mandare i detenuti stranieri nelle galere dei loro paesi. Ma non c’è solo Sollicciano a protestare. Due giorni fa lo hanno fatto anche i detenuti di Arezzo ("non è in regola" denuncia la parlamentare radicale eletta col Pd Donatella Poretti), Lucca e Pisa. E se prima le proteste erano individuali (dall’autolesionismo fino al suicidio) adesso sono diventate collettive.
In programma incontro tra il direttore e la commissione detenuti
È durata un paio di ore la protesta ripartita ieri, intorno alle 22, dei detenuti del carcere fiorentino di Sollicciano. Hanno nuovamente iniziato a sbattere oggetti contro le sbarre. Già precedentemente i carcerati avevano dato vita a iniziative simili per la cattiva qualità del vitto. Le proteste coinvolgono i detenuti comuni e in attesa di giudizio. È in programma oggi un incontro fra il direttore della struttura e la commissione dei detenuti.
Radicali: autorità locali visitino Sollicciano
"Ci appelliamo al Sindaco, al Presidente della Provincia e della Regione affinché si rechino nelle prossime ore in visita, magari assieme a colleghi del centrodestra, al carcere di Sollicciano per ispezione, ma anche per trovare soluzioni a stretto giro di posta che possano alleviare una situazione calda sotto tutti i punti di vista". Lo chiedono gli esponenti Radicali Donatella Poretti e Marco Perduca, eletti nelle liste del Pd. "La nostra esperienza ci dice che laddove vi è interazione tra territorio e carceri migliorano sensibilmente le pur difficilissime condizioni di vita di una popolazione che, seppur privata della libertà, ha i diritto di scontare la propria pena in dignità", aggiungono Poretti e Perduca. Nel pomeriggio di ieri la senatrice Poretti si era recata al carcere di Arezzo, mentre il senatore Perduca col consigliere provinciale del Pdl Massimo Lensi, e la Presidente dell’Associazione Radicale Andrea Tamburi, avevano effettuato una visita a sorpresa notturna a Sollicciano. Nella mattinata di giovedì altra ispezione della Senatrice Poretti.
L’Assessore Saccardi: andrò a vedere la situazione
La responsabile delle politiche sociosanitarie annuncia l’avvio di un confronto con Asl e amministrazione penitenziaria per migliorare la vivibilità. Preoccupazione per la situazione attuale e impegno a recarsi di persona a vedere lo stato delle cose. L’assessore alle politiche sociosanitarie Stefania Saccardi interviene sulla vicenda del penitenziario di Sollicciano. "Sono preoccupata della situazione che si è venuta a creare nel carcere dovuta principalmente ad un sovraffollamento di presenze che le nuove disposizioni legislative hanno aggravato. In ogni caso verificherò direttamente nei prossimi giorni quale è l’effettivo stato delle cose recandomi lì di persona e aprirò un confronto con l’Azienda sanitaria e i responsabili dell’amministrazione penitenziaria per adottare tutti i provvedimenti necessari per garantire la migliore vivibilità all’interno del carcere. Ogni istituzione - sottolinea l’assessore - dovrà assumersi le proprie responsabilità in ordine agli interventi da eseguire. Ricordo che il Comune è presente all’interno del carcere con numerosi interventi volti ad aiutare i detenuti a reinserirsi nella società una volta scontata la pena e che ritiene il carcere pienamente inserito nel territorio di Firenze e quindi una realtà di cui occuparsi a pieno" conclude l’assessore Saccardi. Firenze: Sollicciano è fuori da ogni norma, la vita è impossibile
La Repubblica, 19 agosto 2009
"Sollicciano è un’espressione molto rappresentativa delle carceri italiane, dove Costituzione e diritti umani sono stati messi tra parentesi. E la politica ha in questo una grande responsabilità. La vita lì dentro è invivibile, siamo fuori da ogni norma, e non per colpa del personale". Così dice l’assessore toscano alla cooperazione internazionale Massimo Toschi che ha visitato il carcere fiorentino di Sollicciano, aderendo all’iniziativa "Ferragosto in carcere", promossa in tutta Italia da un gruppo di parlamentari radicali. "La prima cosa che appare in maniera clamorosa è l’inadeguatezza del personale: domenica scorsa, quando sono andato a visitare il carcere, per essere a regime mancavano 10 persone. I detenuti sono quasi mille, dovrebbero essere la metà. Il 70 per cento sono extracomunitari, e il responsabile della custodia si è detto molto preoccupato per la nuova legge sulla sicurezza, che riempirà le carceri ancora di più", scrive Toschi in un resoconto del sopralluogo. Durante la visita a Sollicciano, l’assessore regionale ha incontrato anche "tre mamme rom con i loro bambini, in una situazione migliore, con spazi più ampi, luminosi e vivibili. Ma nel resto del carcere i diritti umani fondamentali sono negati. Ormai, in quattro anni, l’indulto è stato riassorbito. Eppure i detenuti hanno il dovere di scontare la propria pena, ma anche il diritto di farlo in condizioni umane", dice Toschi. Bologna: nel carcere della Dozza come in un "girone" dantesco
L’Unità, 19 agosto 2009
Stipati in tre in celle grandi meno di dieci metri quadri, con un caldo torrido e giacigli di fortuna. A ferragosto si soffoca, nel carcere bolognese della Dozza. Quasi 1200 detenuti fra uomini e donne su una capienza massima ferma a 437 persone, 900 dei quali non sono ancora stati condannati in via definitiva, ammassati in stanzette singole in cui per stare in piedi occorre fare a turno. È il sovraffollamento la piaga di via del Gomito, nei giorni in cui - in tutt’Italia - quasi duecento parlamentari e consiglieri regionali visitano per un’iniziativa lanciata dai radicali i 70mila detenuti nel nostro Paese. A Bologna, ad accogliere l’appello della pannelliana Rita Bernardini sono stati il collega di partito Marco Beltrandi, che venerdì scorso ha visitato la Dozza e l’istituto minorile del Pratello, e la deputata del Pd Donata Lenzi che in via del Gomito è arrivata domenica. Non nuova alle visite ai detenuti, Lenzi sottolinea paradossalmente che "alcune cose" nella calura agostana sono addirittura migliorate: "Fino a poco tempo fa l’immondizia veniva semplicemente gettata dalle finestre, ora invece la raccolta dei rifiuti interni funziona meglio". Impensabile sopravvivere con oltre 30 gradi e la spazzatura a marcire sotto le inferriate. Ma quello che più ha colpito la parlamentare, è "la percentuale di persone in attesa di una sentenza che intanto vivono in condizioni a dir poco gravi". Circa trecento i responsabili di reati più o meno gravi con problemi di tossicodipendenza, e presenze straniere pari al 65 per cento che fino a qualche mese fa non potevano contare che su due mediatori culturali. senza spazi In forza al Servizio nuovi giunti, in compenso, ci sono due psicologi al lavoro 78 ore al mese. Peccato che, al di là dell’evidente carenza di personale, lo spazio per i detenuti appena arrivati non esista praticamente più. O meglio: l’infermeria è stata trasformata in un mini-dormitorio per i nuovi giunti, quattro materassi schiaffati in terra in attesa di andare a sovraffollare le celle vere e proprie. Così quello che era l’anticamera dell’inferno, dove le persone venivano registrate e visitate, si è trasformato in un "nuovo reparto di detenzione" dice Beltrandi. Una situazione drammatica cui il progetto di ampliamento della Dozza con una nuova ala da 200 posti non porrà rimedio. "È evidente - aggiunge Lenzi -, anche così resterebbero oltre 200 persone di esubero". Non va meglio in via del Pratello dove, dice la Garante per i detenuti Desi Bruno che venerdì ha accompagnato al Minorile Beltrandi, "il numero dei detenuti aumenta" in uno stato cronico di carenza di personale in divisa. Quando la nuova struttura, dove l’istituto si è trasferito a febbraio, sarà completa la capienza raggiungerà i 46 posti. Ma già si oscilla "fra i 20 e i 25 minori" con un organico di agenti della Penitenziaria pari alla metà del previsto. Quasi inevitabile che, prima o poi, ci scappi l’evaso come è accaduto domenica pomeriggio. La situazione degli uomini in divisa, del resto, è critica anche in via del Gomito. "Mancheranno circa 200 agenti - dice il delegato della Cgil Corrado Galizia -, e capita che alcuni poliziotti siano costretti a vigilare da soli un intero braccio" di 25 celle.
Desi Bruno: record storico di reclusi, presto ci sarà il collasso
L’iniziativa dei Radicali è meritoria. Poi, però, in parlamento si votano norme che portano all’aggravarsi del sovraffollamento. E il piano di ampliamento della Dozza è inutile: per 200 nuovi posti, ci sono già oltre il doppio di detenuti in esubero". Non esita a parlare di "record storico" di presenze in via del Gomito, la Garante bolognese per i diritti dei detenuti Desi Bruno. Una "situazione molto, molto pesante" per cui l’avvocatessa vede soluzione solo nella "riforma delle leggi".
Venerdì scorso ha visitato la Dozza e l’istituto minorile del Pratello con il deputato radicale Marco Beltrandi. Com’è andata? "In via del Gomito, il sovraffollamento e il caldo rendono le condizioni dei detenuti ai limiti della sopportabilità. In una cella di 10 metri quadri ci stanno anche tre persone. Se poi si pensa che di 1193, ben 900 sono i detenuti in attesa di giudizio si capisce che il problema sono le leggi".
La situazione è uguale al Pratello? "Lì va un po’ meglio, ma mancano i fondi: ad esempio da ottobre saranno senza psicologo".
Che fare? "Il carcere non può reggersi sulla buona volontà delle associazioni che regalano lavatrici e pentole. Bisogna cambiare il codice penale, le leggi sull’immigrazione e quelle sulle droghe". Bologna: evasione da Ipm; inchiesta Procura e caccia ad evasi
Ansa, 19 agosto 2009
È caccia aperta ai due giovani evasi dal carcere minorile del Pratello di Bologna, in ristrutturazione da anni, dopo aver aggredito una guardia durante l’ora d’aria. Le pattuglie della Polizia girano per la città con le foto segnaletiche, ma dei due giovani, un ghanese di 20 anni che avrebbe dovuto restare in carcere fino al 2017 per un grave fatto di violenza sessuale avvenuto a Reggio Emilia, e una altro straniero di 17 anni, per ora nessuna traccia. Intanto si è appreso che il 20enne fuggito, nell’ottobre 2007, fu autore di un terribile stupro alla stazione ferroviaria di Reggio Emilia: a farne le spese una addetta della stazione di 54 anni, che venne picchiata, trascinata in uno sgabuzzino e selvaggiamente violentata dal giovane, allora 17enne. Intanto la Procura di Bologna ha aperto un’inchiesta sull’evasione. Prato: stoviglie contro le sbarre e parte la protesta dei detenuti
La Nazione, 19 agosto 2009
Piatte e pentole sbattono tre volte al giorno contro le sbarre delle finestre. Non hanno altro sistema i detenuti della Dogaia per attirare l’attenzione su un carcere sovraffollato al limite dell’invivibilità. "Siamo 700 e dovremmo essere 400 al massimo. La città ci aiuti". Tre volte al giorno sbattono contro le sbarre delle finestre piatti e pentole: altro sistema non hanno i detenuti della Dogaia per attirare l’attenzione su un carcere sovraffollato al limite dell’invivibilità. "Seicentocinquanta detenuti ristretti in un carcere nato per 250 con capienza fino a 450 - scrive un detenuto a La Nazione - in tal modo cercano di ricordare alla società esterna e ad una città piuttosto indifferente che a Maliseti esiste un posto dimenticato". Non è un problema solo dei quasi 700 reclusi ma anche di 250 guardie "in condizioni inumane, drammatiche". In ogni cella, spiega il detenuto, vivono tre individui di etnie diverse (i cittadini di Albania, Cina, Romania, Sud America, Polonia, Russia ormai superano gli italiani), con culture, idiomi e abitudini lontane e sovente causa di conflitto ed incomprensioni al limite dell’intolleranza; igiene discutibile e scarsa, assistenza sanitaria lasciata alla buona volontà di medici e infermieri, spazi limitati, attività ridotte e di basso livello, personale educativo e psicologico invisibile o irraggiungibile per carenze e disaffezione intuibili e comprensibili, mezzi economici sempre più ridotti. Ad una situazione logistico-strutturale già al di sotto dei minimi stabiliti dalla Comunità europea che giudica trattamento inumano uno spazio inferiore ai 7 metri quadri a detenuto, si aggiungono carenze di tipo giudiziario. "La maggior parte delle persone - scrive il detenuto - sono in attesa di udienza, non condannate. Molti devono scontare pene modeste che la famigerata legge Cirielli costringe a espiare in carcere anziché in esecuzione esterna con le misure alternative, via via erose ed eluse. L’auspicio è che con la prospettata approvazione di un nuovo codice penale che sostituisca l’attuale, obsoleto residuo del regime fascista, venga promulgato un provvedimento perequativo e le condanne in esecuzione vengano ridotte di un terzo. Per tutto questo i detenuti chiedono la solidarietà e il sostegno di tutta la popolazione libera, in favore di chi non ha né voce né visibilità". Per Ferragosto l’onorevole del Pd Antonello Giacomelli, a conclusione di una visita alla Dogaia effettuata con la consigliera regionale Cristina Pacini del Pd e a Vittorio Giugni, segretario dell’associazione radicale Liber@mente Prato, ha promesso ai detenuti e ai responsabili del carcere, di presentare in Parlamento un’interrogazione sulla Dogaia per ottenere un aumento dell’organico e dei finanziamenti. Perugia: fiamme in cella; tanta paura e nove agenti intossicati
La Nazione, 19 agosto 2009
Ha preso l’accendino e non ci ha pensato due volte. Ha dato fuoco prima alle lenzuola, poi ai materassi della cella. E così, in poco tempo, le fiamme hanno invaso il reparto penale del carcere di Capanne. Attimi di panico ieri pomeriggio all’Istituto di Perugia. Ha preso l’accendino e non ci ha pensato due volte. Ha dato fuoco prima alle lenzuola, poi ai materassi della cella. E così, in poco tempo, le fiamme hanno invaso il reparto penale del carcere di Capanne. Attimi di panico ieri pomeriggio all’Istituto di Perugia. Lo stesso dove è detenuta Amanda Knox per l’omicidio di Meredith Kercher (non c’era invece Raffaele Sollecito, in carcere a Terni). Le fiamme hanno invaso il padiglione, dove si trovano circa duecento persone. Ma si è evitato il peggio, grazie all’intervento degli agenti di polizia penitenziaria e dei vigili del fuoco. L’incendio è scoppiato intorno alle 15.30. Quando un giovane magrebino, starebbe scontando una pena per traffico di sostanze stupefacenti, ha dato fuoco ai materassi. Un fumo nero si è subito propagato nell’intero reparto, che è stato evacuato. I detenuti sono stati trasferiti nei passeggi, gli spazi utilizzati per l’ora d’aria. A spegnere le fiamme è stato lo stesso personale della polizia penitenziaria, già prima dell’arrivo dei vigili del fuoco. A spiegare l’episodio è Daniele Rosati del Sinappe (Sindacato nazionale autonomo polizia penitenziaria). "Sono stati attimi di panico - dice l’agente del pronto soccorso antincendio -. Non si riusciva a vedere nulla. Siamo arrivati con gli autorespiratori e abbiamo domato le fiamme in meno di venti minuti. I detenuti, alla fine, ci hanno ringraziato". Nove agenti però sono rimasti intossicati: tre erano in missione, arrivati da Roma. "E adesso verrà a mancare altro personale - continua Rosati -. È già così difficile, siamo in pochi e non sappiamo come fare". A Perugia la situazione è critica. Tanto che gli agenti di Polizia penitenziaria sono già scesi in piazza. Il problema è quello del sovraffollamento. O, meglio, dell’arrivo nei penitenziari umbri di nuovi detenuti (trasferiti da case di reclusione di altre regioni) e del mancato reintegro degli agenti. In due parole: aumentano le persone cui badare ma gli uomini che devono farlo, quanto a numeri, sono sempre gli stessi. L’istituto di Capanne, in un solo anno ha visto raddoppiare i detenuti, dai 243 del 2008 ai 485 di oggi, a fronte di una capienza di 284. Gli agenti invece sono circa 215. Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), fa il punto della situazione: "Sono inquietanti campanelli di allarme le proteste nelle carceri di Como, Firenze Sollicciano e Perugia dove i detenuti, oltre a battere le inferriate delle celle, hanno incendiato lenzuola, fatto esplodere alcune bombolette di gas, oppure cosparso di acqua e sapone il pavimento dei corridoi". Per Capece la situazione penitenziaria è ogni giorno più critica. "Registriamo il colpevole silenzio dell’Amministrazione". Il Sappe sollecita il premier Berlusconi e il Guardasigilli Alfano a "porre l’emergenza penitenziaria tra le priorità di intervento dell’Esecutivo". Vicenza: Radicali; il carcere scoppia, ma gli agenti sono pochi di Chiara Roverotto
Giornale di Vicenza, 19 agosto 2009
Il sen. Marco Perduca che ieri ha visitato il carcere di S. Pio X, di Vicenza. Lo hanno atteso per tre giorni. Il senatore radicale (nelle liste del Pd) Marco Perduca, 42 anni, fiorentino, membro della terza commissione permanente Affari esteri ed immigrazione e segretario della commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, ha varcato i cancelli di S. Pio X ieri, poco dopo le 13, ed è uscito alle 16. Tre ore in cui ha visitato ogni angolo della casa circondariale di Vicenza accompagnato dal direttore, Fabrizio Cacciabue, e dal responsabile della polizia penitenziaria: "In questo fine settimana ho visitato le carceri maschili e femminili di Verona e Venezia. E ancora Trieste e Gorizia. Il sovraffollamento rimane, sicuramente, uno dei problemi più importanti, ma non è il solo".
E per quanto riguarda Vicenza? Direi che la carenza di personale è la questione più seria da risolvere. Se nella pianta organica sono previsti 191 agenti, effettivamente ce ne sono 136 suddivisi in tre turni. E questo comporta difficoltà nei permessi, nelle ferie e nel normale svolgimento delle attività. In sostanza, per carenza di personale non vengono assicurate ai detenuti le ore d’aria. Questo è inaccettabile. E sia chiaro, la pianta organica è stata prevista per un carcere che dovrebbe contenere 126 detenuti, con un massimo di tollerabilità di 156. Ieri c’erano 337 reclusi, per cui possiamo capire come la sicurezza rappresenti un problema molto serio e da affrontare velocemente.
Quanti stranieri ci sono? Diciamo che su 337, 207 sono stranieri, per cui la maggioranza. Rappresentata soprattutto da maghrebini che hanno avuto problemi per spaccio e uso di sostanze stupefacenti. Cinquanta sono accusati di reati contro la persona, 25 contro il patrimonio. Senza dimenticare gli ottanta reclusi in regime di alta sicurezza per reati legati a mafia, ‘ndrangheta o camorra.
Il dato che l’ha impressionata di più? Il fatto che su 337 reclusi, 205 siano in attesa di giudizio e solamente sei abbiano fatto ricorso alla legge Gozzini, per cui alla semilibertà. Dati scoraggianti per il sistema giudiziario del nostro Paese e per la realtà di un carcere, dove oltre alla pena, una volta accertata, dovrebbero anche essere messe in moto tutte quelle pratiche legate ad un reinserimento lavorativo che, invece, in molti istituti viene proposto in maniera poco convincente, oppure manca completamente.
Che cosa le hanno chiesto i detenuti? Spazio. In tre in una cella non è semplice vivere anche se fortunatamente in ognuna ci sono i servizi per cui un minimo di igiene personale è assicurato, soprattutto durante l’estate. E ancora il caldo asfissiante reso ancora più intollerabile dalle zanzare, dal sovraffollamento e dall’impossibilità, a volte, di uscire.
Il ministero ha previsto il raddoppio dei posti nel carcere di Vicenza. In realtà, all’inizio dovevano essere duecento in più. Poi la nuova palazzina doveva sorgere dove, a tutt’oggi, si trova l’eliporto che non è mai stato attrezzato e quindi a ridosso del muro. Per cui si è pensato di ridurre il numero e di portarlo a 100-120 massimo. Il piano del ministro, comunque, verrà presentato a metà settembre e solo allora sapremo con certezza dove e come avranno deciso di intervenire.
Ma i soldi ci sono? Diciamo che comunque entro il 2012 nessuna struttura sarà ultimata, fermo restando che lo Stato chiederà un impegno a Comuni, Regioni, Province e anche ai privati. E su quest’ultimo aspetto non siamo per nulla d’accordo, meglio attingere ai fondi della Comunità Europea come il ministro ha fatto intendere in più occasioni.
Sono stati 150 i parlamentari e i consiglieri regionali che hanno partecipato all’iniziativa dei radicali "Ferragosto in carcere". Quali sono i problemi maggiori che avete riscontrato? Sovraffollamento, qualità di vita molto bassa e i carichi di lavoro assurdi per gli agenti, dovuti alla carenza di personale. Comunque ognuno di noi farà una relazione particolareggiata sulle strutture che ha visitato e verrà presentata al ministro.
Bastano nuove carceri o servono anche nuove disposizioni di legge? Viviamo in un Paese in cui non esiste la certezza della pena, dove manca anche la trasparenza degli atti pubblici. Senza dimenticare che l’inasprimento di alcuni reati e l’entrata in vigore del decreto sicurezza, farà aumentare il numero degli arrestati. E dove li metteremo? A fronte di una popolazione carceraria di 64 mila detenuti e dove tutte le carceri stanno scoppiando? Pesaro: scoppia protesta dei detenuti, battono sulle inferriate
Il Messaggero, 19 agosto 2009
Anche la Casa Circondariale di Villa Fastiggi a Pesaro è interessata dalle proteste dei detenuti per il sovraffollamento delle celle, ma finora, riferisce il comandante del reparto di polizia penitenziaria Riccardo Secci, non si sono registrati fatti violenti o comunque gravi. I detenuti battono alle inferriate delle celle (lo fanno ogni sera fra le 19,30 e le 20,30, dal 14 agosto), e in genere hanno seguito le regole che si erano loro stessi dati nel promuovere la protesta (salvo un foglio di giornale bruciato). Cinque o sei fra italiani e albanesi, reclusi per reati comuni, sono stati segnalati all’autorità giudiziaria. Il carcere, costruito per 120 detenuti, con una capienza poi raddoppiata a 240, attualmente è affollato da 300 reclusi, mentre il personale di polizia penitenziaria è ai minimi storici: 100 agenti effettivi rispetto ai 128 in organico. Impegnati fra l’altro anche nelle traduzioni dei detenuti e nei servizi tecnico-amministrativi. La "deriva violenta" delle proteste dei detenuti registrata negli ultimi giorni in alcune carceri allarma il sindacato di polizia penitenziaria Uil Pa. La Uil Pa - che ha avuto assicurazioni dal capo dell’Amministrazione penitenziaria sul fatto che un gruppo di lavoro del Dap sta monitorando 24 ore su 24 l’evolversi della situazione a livello nazionale - segnala nelle carceri di Pesaro, Perugia, Como, Pesaro, Alessandria e Firenze, "atti violenti" fomentati in particolare da detenuto romeni e albanesi". Brescia: Ungari (Pd); su carceri la Giunta non si limiti a parole
www.quibrescia.it, 19 agosto 2009
Il Consigliere comunale di Brescia del Pd Giuseppe Ungari, che ha visitato i carceri cittadini di Canton Mombello e Verziano lo scorso 14 agosto insieme ad una delegazione composta da esponenti della giunta e dal garante per i diritti dei detenuti Mario Fappani, ha chiesto all’amministrazione comunale "un intervento non più procrastinabile, per quanto attiene alle sue dirette competenze e alla possibilità di sollecitare ministro e governo". Secondo Ungari "è auspicabile che le dichiarazioni ferragostane del vicesindaco e degli assessori che hanno visitato Canton Mombello non rimangano tali ma si traducano ora in atti amministrativi e politici utili ad individuare ragionevoli e tempestive soluzioni. Le affermazioni di autorevoli esponenti dell’attuale giunta relative alla costruzione di un nuovo carcere o all’ampliamento di quello di Verziano, benché condivisibili in linea generale, rischiano semplicemente di aggiungersi alle numerosissime già espresse in tanti anni passati da politici ed amministratori di tutte le appartenenze. Ora occorre che la maggioranza, fatta chiarezza tra le posizioni discordanti al suo interno, individui il percorso da intraprendere per tradurre in fatti le dichiarazioni e gli intenti". "Il sottoscritto ed il partito democratico", ha annunciato il consigliere, "non faranno mancare il loro contributo nella comune riflessione e nel sostegno a ragionevoli ipotesi che cerchino una soluzione tale da garantire dignità e reali possibilità di recupero ai detenuti, nonché condizioni adeguate a tutte le figure professionali ed educative che operano nel carcere in condizione di estrema precarietà. In attesa di interventi strutturali e definitivi, sui quali nutro scarsa speranza in quanto l’attuale governo non ha inserito Brescia nel piano pluriennale di intervento e nemmeno compare tra le città in cui sono programmati i 14mila posti annunciati dal ministro Alfano, l’amministrazione cittadina può avviare microprogetti in collaborazione con le realtà di volontariato e del Terzo settore. In tal senso vuol forse procedere l’accordo quadro siglato tra l’amministrazione comunale ed il Tribunale di Brescia per lo svolgimento di lavori di pubblica utilità, operativo dal prossimo 15 settembre". Riguardo questo accordo i consiglieri del Pd hanno lamentato di averlo appreso solo dalla stampa e che è mancato un confronto nell’ambito del consiglio comunale. I rappresentanti in Loggia del partito Valter Muchetti e Giuseppe Ungari, membri della commissione Servizi alla Persona, hanno sollecitato il presidente Aliprandi a programmare una seduta nei primi giorni di settembre. "L’oggetto infatti non può restare", ha concluso Ungari, "nell’ambito del settore Sicurezza e Polizia locale ma deve necessariamente vedere il coinvolgimento dei Servizi alla persona e alla comunità e delle realtà che da anni affrontano i problemi del carcere a Brescia". Ferrara: gli agenti; ogni mattina preghiamo, perché vada bene
Ansa, 19 agosto 2009
I detenuti ieri hanno toccato quota 540, la capienza tollerata è di 466. L’allarme lanciato dagli agenti: "Preghiamo perché tutto vada bene". Al carcere di Ferrara la situazione è delicata. Ieri erano 540 i detenuti nella struttura di via Arginone: la capienza tollerata è pari a 466 unità, quella regolamentare è di 265. Gli agenti di polizia penitenziaria sono sempre troppo pochi. "Lavorare in queste condizioni è sempre più difficile e pericoloso" raccontano, "ogni mattina preghiamo perché tutto vada bene". Il trend dei detenuti è in costante aumento, ma l’organico della polizia penitenziaria rimane ridotto. "Noi siamo innamorati di questo lavoro ma il rischio sta diventando altissimo". Cassino (Fr): il carcere senza soldi chiede aiuto "ci manca tutto"
Il Tempo, 19 agosto 2009
L’istituto di pena di via Sferracavalli, collocato alla periferia urbana di Cassino, presenta grosse carenze economiche che rendono oltremodo difficile la gestione ordinaria. La struttura, costruita e consegnata nell’80, si compone di due edifici: il più vecchio ha celle di circa 9 metri quadri ciascuna per due detenuti; il nuovo, completato sette anni fa, è composto da camerotti di circa 20 metri quadri per tre o quattro detenuti, ognuno con annessi due piccoli locali: il bagno e uno stanzino con piano cottura. Non sono state inserite le docce anche se ci sarebbe stato lo spazio. La struttura dispone di una cucina di cui si occupano gli stessi detenuti. A Cassino non c’è il sovraffollamento che caratterizza la maggior parte delle carceri italiane, compresa la Casa Circondariale del capoluogo ciociaro: i detenuti sono 220, tutti uomini, per una capienza regolamentare di 188, mentre gli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio sono 155, c’è quindi un buon rapporto numerico. "Durante la visita ispettiva di Ferragosto - ha riferito l’esponente provinciale dei Radicali Italiani, Pier Paolo Segneri - la comunità penitenziaria ha mostrato grande disponibilità. Erano presenti la vice direttrice reggente e il comandante della polizia penitenziaria che ci hanno mostrato la struttura evidenziando le carenze. Sono loro i primi a chiedere aiuto. Lì dentro fa un caldo infernale. L’acqua va e viene, spesso manca del tutto, tanto che i detenuti rischiano di non lavarsi; ci sarebbe bisogno di cisterne nuove, ma mancano i soldi perfino per comprare i secchi, di cui pure ci sarebbe bisogno. Alcune sezioni sono in buono stato, sono state aperte celle nuove, ma anche lì si presentano le stesse carenze. E poi c’è un problema che potrebbe sembrare banale, ma che lì dentro non lo è affatto: i detenuti sono letteralmente afflitti dalle zanzare, ma mancano prodotti specifici". Altra grave lacuna è quella del lavoro per il recupero dei detenuti: tranne la manutenzione ordinaria, per esempio per il campo di calcio inaugurato lo scorso maggio, e il servizio di spazzini, nel carcere mancano attività di formazione professionale. "Un altro problema evidenziato dalla visita - ha riferito Segneri - è legato alle procedure per il rilascio di permessi che a quanto pare sarebbero sistematicamente negati; da notare la presenza di detenuti in semilibertà e l’alto numero di detenuti in attesa di giudizio". Questi ultimi, nel carcere di Cassino sono ben 104 a fronte dei restanti 116 condannati definitivamente. "Il problema è politico - ha aggiunto Segneri - vanno rivisti anche i rapporti con la magistratura. Sono talmente tanti i processi da fare, che troppo spesso le aspettative dei detenuti in attesa di giudizio si perdono in pile di faldoni, soprattutto se sono stranieri o non hanno abbastanza soldi per permettersi avvocati grintosi". Salerno: riaprirà in autunno, il Reparto detenuti dell’Ospedale
La Città di Salerno, 19 agosto 2009
Riaprirà in autunno il reparto detenuti dell’ospedale di San Leonardo. Dopo anni di lavori di ristrutturazione e intoppi burocratici, la nuova divisione dovrebbe essere inaugurata l’1 ottobre. Lo ha assicurato ieri il direttore generale del "Ruggi", Attilio Bianchi, al parlamentare del Pdl Enzo Fasano, che lo ha contattato dopo la visita in carcere di domenica pomeriggio. Tra le istanze raccolte da detenuti e agenti penitenziari, c’è quella per la riattivazione al più presto del reparto, per avere garantita una migliore assistenza sanitaria e per evitare che il piantonamento dei pazienti in altre corsie tolga personale all’organico già esiguo degli agenti. Dei 289 previsti dalla pianta organica, sono solo 255 i poliziotti assegnati alla casa circondariale di Fuorni, di cui 63 esclusi dai turni di sorveglianza in carcere per essere impiegati nelle traduzioni all’esterno (per la partecipazione ai processi, le visite in ospedale e via dicendo). "Ci hanno spiegato - sottolinea Fasano - che avere un detenuto ricoverato in un reparto ordinario significa tenere impegnati sei agenti per turno, un numero che si riduce di molto in una struttura dedicata". A Fuorni i politici in visita l’altro ieri (i deputati Fasano e Rita Bernardini e il consigliere regionale Michele Ragosta), hanno trovato un carcere al collasso, con 450 persone in un numero di celle che potrebbe ospitarne 280, e con servizi igienici che nella sezione femminile non sono dotati nemmeno di un paravento per garantire i requisiti minimi della privacy. "Mai, in tanti anni di servizio, mi è capitato di assistere a tali condizioni di detenzione" ha commentato ieri il coordinatore provinciale della Uil penitenziari, Lorenzo Longombardi. "La polizia penitenziaria - ha aggiunto - subisce giocoforza le conseguenze di questo disastro. Ogni poliziotto ha visto raddoppiarsi i già insostenibili carichi di lavoro. Oggi in una sezione progettata per contenere al massimo trentacinque detenuti vene sono stipati più di sessanta. Significa svilire il principio rieducativo della pena e costringere il personale a operare in condizioni insopportabili". Bari: Ventricelli (Sl), domani farà visita al carcere di Altamura
Asca, 19 agosto 2009
Domani alle 10.30, il consigliere regionale, coordinatore di Sinistra e Libertà in Consiglio regionale della Puglia, Michele Ventricelli, farà visita alle sede distaccata di Altamura del carcere Circondariale di Bari. "Dopo la visita al carcere di Bari da parte dei miei colleghi - spiega Ventricelli - domani andrò ad Altamura, perché è importante avere un quadro completo della situazione, che comprenda anche le sedi distaccate. Dobbiamo innanzitutto renderci conto delle condizioni delle strutture esistenti e di come queste funzionano". "Attraverso questa sorta di ricognizione - aggiunge il consigliere - avremo una minima percezione di come i detenuti vivono nelle carceri, dal livello di igiene alle attività svolte nel corso della giornata". "I detenuti e le loro condizioni di vita - conclude Ventricelli - devono rappresentare un impegno anche per la Regione Puglia che dovrà fare il necessario per assicurare loro adeguate forme di vivibilità e sostegno". Reggio Emilia: il carcere che scoppia è da mesi senza direttore di Otello Incerti
Giornale a Reggio, 19 agosto 2009
In un carcere dove, grazie ai letti a castello, si raggiunge l’incredibile densità di una persona al metro quadrato, dallo scorso autunno manca il direttore. Il carcere della Pulce, dove il sovraffollamento e il caldo rendono tesissima la situazione, in questi giorni c’è un sostituto della direttrice facente funzione, Albani, la quale però, a parte il fatto che anche lei in questo periodo è giustamente in ferie, è vicedirettrice del carcere di Piacenza, e in via Settembrini ci può essere soltanto due volte la settimana. Ma a mancare non è soltanto la figura del direttore, e lo sottolinea Mario Tafuto, il vicesegretario provinciale del Sappe, sindacato degli agenti di polizia penitenziaria. "Tra casa circondariale e ospedale psichiatrico giudiziario .- sottolinea - mancano da tempo 80 persone in organico. In questo momento ci sono situazioni in cui una sola persona deve controllare un reparto nel quale sono stipati 75 detenuti. All’Opg, che secondo il nome dovrebbe essere un ospedale, la capienza teorica massima dovrebbe essere di duecento unità, ma sono sui trecento, mentre nel carcere vero e proprio, a fronte di un massimo teorico di 250, ce ne sono attualmente sui 380". "La situazione - continua - è cominciata a precipitare poco dopo l’indulto: una misura che è servita soltanto a spostare avanti nel tempo un problema di sovraffollamento che esiste da anni. In questo periodo abbiamo celle con quattro persone in quattro metri quadrati, sistemati in letti a castello di tre piani. Quello che dorme in alto deve stare attento a come si muove: tra la sua testa e il soffitto non c’è praticamente spazio. È facile immaginare come, in questa situazione, sia facile che nascono screzi e litigi, che si ripercuotono su di noi. Viviamo in condizioni di lavoro pietose". In questo quadro fosco gli agenti hanno anche il problema della mensa. Questa, alcuni mesi fa, venne chiusa, dopo che accertamenti dell’Ausl (il sindacato aveva fatto un esposto in Procura) avevano accertato gravi carenze igieniche. Il 6 agosto scorso la mensa ha riaperto, ma nessuno si siede ai suoi tavoli: è una forma di protesta, perché, nonostante il sindacato lo abbia espressamente richiesto, non è stato detto cosa sia stato fatto per rimetterla in condizioni di normalità. Lo sciopero mensa proseguirà fino a quando non saranno date spiegazioni complete e convincenti. Ma un’altra protesta, più clamorosa e pubblica, è in preparazione. "Da tempo segnaliamo questa situazione alle autorità, a partire dal prefetto, ma vediamo che finora non è cambiato nulla. Sappiamo che la situazione è generale, il problema si pone in tutta Italia, anche se in Emilia Romagna si registrano le condizioni peggiori. Per Reggio, abbiamo proposto l’unificazione tra carcere e Opg, che consentirebbe risparmi di strutture e libererebbe personale dagli uffici, che spesso sono dei doppioni. Ma nel frattempo, con la Finanziaria, il governo ha tagliato i fondi a disposizione del sistema carcerario: manca il personale, mancano i soldi per pagare gli straordinari ai quali siamo costretti, manca la benzina e manca la manutenzione dei mezzi. Per questo stiamo studiando una forma di protesta pubblica, che faccia parlare del problema. Lo faremo dopo il 5 settembre, perché aspettiamo cosa dirà il ministro Alfano sul nuovo piano per le carceri, sulle nuove assunzioni e sulla nuova edilizia carceraria". Napoli: formazione all’Ipm Nisida; il Comune non eroga i fondi di Vincenzo Iurillo
www.nuovasocieta.it, 19 agosto 2009
Gabriella Lanzara è una sociologa di lunga esperienza ed è consulente del ministero di Giustizia. È la coordinatrice di Nisida Futuro Ragazzi, progetto nato nel 1995 da un’intesa tra il Comune di Napoli e il Ministero di Giustizia, che in circa quindici anni ha salvato dalla strada e dalle lusinghe della camorra circa quattrocento minori a rischio, avviandoli alle professioni di cuoco, scenotecnico, esperto di ceramiche, fotografo, guida naturalistica. Ma la dottoressa Lanzara non si dà pace perché, a dispetto della valenza sociale del progetto e degli ottimi risultati raggiunti, a settembre i corsi ricominceranno con poche certezze e molta precarietà. "È dal 2007 - rivela - che il Comune di Napoli non eroga i finanziamenti". Il capitolo è prosciugato. Sulla carta delle delibere comunali ci sarebbero circa 147mila euro. Stanziati in parte dalla Regione in virtù di un’apposita legge, ma fermi e non materialmente accreditati. Da quasi tre anni gli insegnanti dei corsi di Nisida Futuro Ragazzi non percepiscono un euro e vanno avanti per puro spirito di volontariato. Sono finite anche le risorse extra raccolte grazie a uno spettacolo di beneficenza di Luca De Filippo, figlio ed erede degli insegnamenti del grande Eduardo De Filippo anche in questo slancio di generosità. Eduardo, infatti, si era battuto come un leone per dare una speranza ai giovani napoletani emarginati, e da senatore a vita fu promotore delle iniziative grazie alle quali nacque il Dipartimento della Giustizia Minorile. Eduardo voleva bene ai ragazzi di Nisida, l’isolotto di Napoli dove ha sede l’istituto penitenziario minorile, e fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1984, ha predicato la realizzazione di villaggi dei ragazzi come luoghi di bottega dove imparare un mestiere col quale vivere onestamente. Il suo appello venne raccolto nel 1987, con una legge regionale che istituì a Napoli e Benevento la realizzazione di due villaggi. Ci volle qualche altro anno per finanziare la legge e dare finalmente attuazione al progetto che, pur fisicamente allocato in laboratori di Nisida vicini al carcere, è estraneo alla gestione del penitenziario. Nisida Futuro Ragazzi almeno all’inizio pareva viaggiare col vento in poppa. Protocolli roboanti, tagli di nastri, visite di presidenti della Repubblica, sorrisi e bei discorsi da dispensare a fotografi, telecamere e giornalisti. I fondi c’erano e con essi i risultati e un premio come uno dei migliori 100 progetti della pubblica amministrazione. Ottenuto impiegando poco più di 500 milioni delle vecchie lire nel 1993, e altri 150 mila euro strappati nei primi anni 2000. Senza nuotare nell’oro, con molta parsimonia e grazie anche all’aiuto di aziende private, associazioni professionali e di categoria, che hanno offerto le loro docenze a tariffe ultra scontate e hanno finanziato borse lavoro per i ragazzi più meritevoli, Nisida Futuro Ragazzi è arrivato a organizzare cinque corsi professionali. Corsi che a pieno regime impegnano annualmente 45 giovani, dai 16 ai 21 anni. Giovani e giovanissimi segnalati dai servizi sociali o provenienti dalla cosiddetta area penale: detenuti di Nisida, ragazzi messi in prova, agli arresti domiciliari, affidati alle comunità. Ma la maggioranza dei corsisti sono ragazzi che non hanno commesso reati. "Il nostro - spiega la dottoressa Lanzara - è stato il primo progetto in Italia che si è mosso sul terreno della prevenzione e del recupero. La nostra esperienza è stata poi ripresa anche in altre realtà del resto del Paese. Grazie ai nostri corsi, i ragazzi vengono assunti con contratti a tempo indeterminato. E diversi di loro tornano qui per fare gli insegnanti. È la soddisfazione più grande". Ma ora il piatto piange. E il progetto potrebbe presto sbaraccare, con grande gioia della camorra che avrà qualche ragazzo in più da poter reclutare. Immigrazione: arresti e processi dopo la "rivolta" di Via Corelli
www.socialpress.it, 19 agosto 2009
Dopo le manifestazioni di protesta e le battiture di mercoledì 12 agosto (all’interno e all’esterno del Cie) e la rivolta divampata giovedì contro la decisione punitiva (utilizzando l’entrata in vigore dell’ultimo decreto sicurezza) di prolungare la detenzione di altri 60 giorni ai detenuti in sciopero della fame, la repressione poliziesca e giudiziaria s’è abbattuta con violenza sui detenuti che si sono opposti alle condizioni imposte. Gli effetti di tale repressione si sintetizzano nei numeri: 14 arrestati (9 uomini e 5 donne, per lo più giovanissime), 29 detenuti trasferiti presso il Cie di Bari-Palese (uno dei più grandi e probabilmente quello sottoposto ai più alti criteri di controllo e isolamento) 19 trasferiti a Brindisi (dove, proprio oggi, è stato aperto un nuovo Cie). Il segnale che si è voluto dare è chiaro: nei Cie, anello fondamentale della catena repressiva non sono ammessi intoppi. Essi sono decisivi, non solo per mettere in atto le direttive categoriche del nuovo decreto sicurezza, ma soprattutto come strumento di ricatto, repressione e terrorismo, diretto e indiretto, finalizzato a ridurre letteralmente in schiavitù milioni di persone, sballottate costantemente tra detenzione nei nuovi lager e supersfruttamento sui posti di lavoro (come dimostra la composizione, a prevalenza operaia, della "popolazione" reclusa in Corelli). Su questa convinzione s’è basata e si basa l’azione di chi ritiene necessario sviluppare la solidarietà esterna e che, dopo la repressione della ribellione, ha presidiato per l’intera giornata l’aula del tribunale in cui si svolgevano le udienze di convalida degli arresti. Anche grazie a quella presenza la maggioranza dei prigionieri è riuscita a nominare un avvocato di fiducia nell’imminenza di un processo molto complesso basato su accuse pesanti (resistenza, lesioni, danneggiamenti e incendio). Accuse con le quali cercano di nascondere la verità e cioè che l’entrata in vigore del decreto sicurezza ha prodotto lotte immediate, e in diversi Cpt (Gradisca, Milano, Roma, Torino), che i detenuti in sciopero della fame da 6 giorni in via Corelli sono stati "puniti" col prolungamento della detenzione per altri 60 giorni, che di fronte alla ulteriore protesta è partito un pestaggio indiscriminato prima verso donne e uomini. Quindi, se resistenza c’è stata, devono emergere le vere responsabilità dell’accaduto, le sue profonde ragioni sociali e, tutt’intera, la sua Legittimità di fronte al sopruso. Perché sopruso è l’esistenza stessa di questi luoghi in cui vigono la sospensione di qualunque diritto e il libero arbitrio delle istituzioni politiche e militari. Per essi l’unica soluzione è la chiusura definitiva. La battaglia contro il pacchetto sicurezza quindi è già cominciata e vede nella rivolta di Corelli una risposta puntuale e, con essa, un appello esplicito alla mobilitazione il più estesa possibile. Venerdì 21 agosto dalle ore 9, nel momento in cui si svolgeranno le udienze per direttissima dei 14 detenuti, é importante che ci sia la presenza più ampia possibile, unica possibilità di dare sostegno ai detenuti e, allo stesso tempo di permettere che nel processo stesso emergano le ragioni inalienabili di questa ennesima ribellione. Non abbiamo alcun dubbio nell’affermare che chiunque si ritenga davvero antirazzista e ambisca a cancellare il "pacchetto sicurezza", non potrà esimersi dal dare il suo contributo e organizzarsi per essere presente venerdì mattina.
Comitato Antirazzista Milanese Droghe: "pugno di ferro" contro i rave killer, 552 i denunciati di Nino Cirillo
Il Messaggero, 19 agosto 2009
Per chi crede che le leggi già ci sono, che basta applicarle, che vietare i rave non servirebbe a nulla, la notizia è questa: i carabinieri di Lecce hanno denunciato 552 partecipanti al raduno in cui è morta Laura Lamberti, 23 anni, di Potenza, per "invasione di terreni o edifici", "danneggiamento", "ingresso abusivo nel fondo altrui". Alle 22 persone indicate come "promotori" gli stessi carabinieri hanno affibbiato anche "disturbo delle occupazioni o del risposo delle persone" e "spettacoli o trattenimenti pubblici senza licenza". Questo solo per avere un’idea di quanti reati piccoli e grandi - spaccio di droga a parte - si possano commettere in un solo rave, e anche per sperare che l’epoca dell’impunità totale stia per finire. Essendo rimasta l’Italia da sola in Europa a non essersi dotata di una legge ad hoc - come hanno fatto negli anni prima l’Inghilterra e poi a seguire Francia, Germania e Olanda - essendo rimasta, sempre l’Italia, la meta più ambita dei ravers di tutto il Continente, l’unica strada resta questa: applicare le norme esistenti e, come nel caso di Lecce, con una fermezza e una coerenza maggiori che in passato. Per capire come una strategia investigativa possa essere diversa dall’altra basta paragonare Lecce a Campobasso, dove c’è stato l’altro morto , un ragazzo israeliano. In Molise tutta l’inchiesta poggia su due ipotesi:"cessione illecita di stupefacenti" e "morte causata da altro delitto". Un’improbabile caccia al pusher, cioè, che ovviamente non porterà da nessuna parte. Tra chi pensa ancora che ci sia bisogno di una legge, c’è il deputato del Pd Giorgio Merlo che ha ripresentato una sua proposta di due anni fa, dopo il rave party di Pinerolo. "È perfettamente inutile perdere ulteriore tempo - sostiene Merlo - i drammi di questi giorni in Puglia e Molise non fanno altro che riproporre il filo rosso che lega queste cosiddette manifestazioni e cioè droga e alcol in quantità e poi ancora alcol e droga". Il Governo, attraverso il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi, continua a battere su questo tasto: perseguire con la massima severità gli organizzatori "che devono in qualche modo rispondere delle conseguenze derivanti dalla violazione delle regole previste dall’ordinamento per garantire la sicurezza nei concerti e nelle manifestazioni musicali". La pensa come Giovanardi Amedeo Longobardi, antropologo romano dell’Accademia delle scienze forensi: "Perseguire gli organizzatori è l’unica strategia che ha un senso, una strategia sociale come la chiamano gli esperti. Girano per le nostre campagne personaggi incredibili: ex hippy, ex spacciatori, ex informatori di qualche polizia, figure comunque equivoche che andrebbero messe meglio a fuoco". Chi ha messo a fuoco proprio ieri - e non sembra un caso - la figura di un organizzatore di rave party è stata la Questura di Firenze, denunciando un uomo di 61 anni per il raduno del 25 aprile scorso a Greve in Chianti. Vi parteciparono quattromila ragazzi, lui è lo stesso personaggio già denunciato nel 2008 e nel 2005 per altri due rave. Istruttivo anche qui l’elenco dei reati:"apertura abusiva di luogo di pubblico spettacolo", "inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità", "determinazione in altri dello stato di ubriachezza", "somministrazione di bevande alcoliche a persone in stato di manifesta ubriachezza, agevolazione dell’uso di sostane stupefacenti psicotrope". Mezzo codice penale, insomma, ma ben venga se questo è l’inizio di un nuovo corso. Droghe: Franco Corleone; la repressione fa aumentare i rischi
Il Tirreno, 19 agosto 2009
Franco Corleone intervistato sul caso delle morti nei Rave Party: "Bisognerebbe controllare la qualità degli stupefacenti". "Reprimere e vietare i rave party produce un fenomeno clandestino e fa aumentare il rischio di un commercio sotterraneo di sostanze stupefacenti sconosciute e pericolose". È l’opinione di Franco Corleone, segretario del Forum Droghe, un’associazione che si occupa delle tossicodipendenze.
I raduni dei giovani che si ritrovano ad ascoltare musica e fare uso di droghe e alcol però mostrano anche la faccia della morte. Lei è contrario a vietarli ma come si possono prevenire fatti luttuosi come quelli recenti? "Non si può vietare una festa. Quello che bisogna fare è controllare le sostanze usate dai giovani. Ma con la legge contro la droga qui in Italia non si tutela la vita dei ragazzi ma, come dimostrano i fatti, si provocano morti. Fino a qualche anno fa era possibile che esperti e volontari sovvenzionati dalle istituzioni partecipassero ai rave party per analizzare le sostanze in possesso dei ragazzi per evitare che assumessero veleni letali. Ma adesso il governo non finanzia più tali iniziative di controllo".
Non sarebbe il caso di chiedersi perché i giovani vogliono usare droghe e bere a dismisura e ascoltare musica assordante? "I rave party sono una moda importata da altri Paesi europei. Ma ora stanno per estinguersi, solo in Italia, come al solito, le novità arrivano in ritardo e così siamo costretti a vedere un aumento dei raduni. Tengo però a specificare che i ragazzi che amano frequentare i rave party non si possono ghettizzare. E se si vieteranno continueremo ad assistere a raduni con forte incidenza di mortalità. Bisogna pensare al controllo e non alla repressione. Ultimamente sono stato a uno di questi raduni a Osoppo, per presentare un libro. C’erano 160.000 giovani e ne sono stati arrestati 46 perché possedevano droghe leggere. Non è così che evitiamo i lutti".
Ma in queste grandi feste come si fa a scoprire chi spaccia droghe mortali? E poi, come si fa a controllare quanti stupefacenti assumono in una serata i ragazzi? "I giovani non vanno ai rave party per morire, ma per ascoltare musica in gruppo. I controlli si possono fare. Quello che non si potrà mai fare è limitare la libertà solo con le restrizioni e il carcere". Iran: leader opposizione denuncia; stupri e violenze a detenuti
Ansa, 19 agosto 2009
Il leader dell’opposizione iraniana Mir Hossein Mussavi ha accusato ieri "uomini dell’establishment" di aver stuprato persone arrestate e incarcerate dopo le manifestazioni seguite alle controverse elezioni presidenziali dello scorso 12 giugno. E ha proiettato le autorità religiose del Paese al centro dell’attenzione interna e internazionale accusando parte del clero "di potere" di "chiudere gli occhi" in modo colpevole sulla realtà. Una posizione senza precedenti del più importante candidato presidenziale sconfitto da Mahmud Ahmadinejad (ufficialmente è arrivato secondo, ma continua a contestare la legittimità dello scrutinio) a sostegno dell’altro leader riformista Mehdi Karrubi, anche lui candidato e anche lui sconfitto. La denuncia di Mussavi, infatti, affianca e rafforza le dichiarazioni fatte qualche giorno fa da Karrubi, che sempre più si trova nel mirino del regime. Le autorità hanno respinto definendole "prive di fondamento" le accuse di violenza sessuale su giovani detenute e detenuti nelle prigioni iraniane e tra lunedì e ieri si sono moltiplicate voci conservatrici che chiedono l’arresto dello stesso Karrubi, se non potrà provare le sue accuse di violenze sui manifestanti in carcere. Oltre agli stupri e alle violenze, Karrubi giovedì scorso aveva anche denunciato la morte sotto tortura di alcuni arrestati. La lettera di Mussavi a Karrubi ieri su Internet denuncia che "loro (le autorità) hanno chiesto a tutti coloro che hanno subito abusi e stupri in prigione, di citare quattro testimoni (che confermino le loro accuse)... Ma quelli che hanno compiuto i crimini sono uomini dell’establishment... E stanno minacciando le persone in carcere per costringerle al silenzio... Ma non è possibile tenere sotto controllo un popolo oppresso usando il denaro e la forza". "Elogio il tuo coraggio - continua Mussavi - e mi auguro che altri religiosi si uniscano ai tuoi sforzi dando loro sempre più energia... Il più grande dovere per il clero rivoluzionario è quello di riflettere sulla realtà, ma alcuni hanno chiuso gli occhi e ignorano questa loro responsabilità". La lettera arriva dopo che ieri mattina l’ex presidente riformatore Mohammad Khatami, insieme a Karrubi, aveva annunciato l’adesione alla "Via verde della speranza", il nuovo partito di Mussavi nato dal movimento di opposizione ad Ahmadinejad "per difendere le legittime richieste del popolo e favorire il conseguimento dei suoi diritti". India: Zamparutti; italiani detenuti, potranno telefonare a casa
Il Velino, 19 agosto 2009
"Le autorità dello stato indiano del Himachal Pradesh hanno comunicato oggi all’ambasciata italiana a Delhi di avere autorizzato due telefonate al mese tra i detenuti italiani nel carcere di Nahan e i loro familiari". Lo segnala la deputata radicale Elisabetta Zamparutti che aggiunge: "Per questo, Giovanni Falcone, padre di Angelo detenuto a Nahan, aveva condotto vari scioperi della fame tra cui uno nel mese di giugno durato 20 giorni come forma di dialogo con le istituzioni italiane e con il ministro degli Esteri in particolare". La deputata, accompagnando Giovanni Falcone in aprile a far visita al figlio Angelo, aveva effettuato una visita a tutti i detenuti italiani in India, incontrato autorità indiane preposte alla tutela dei diritti umani e posto anche al governo italiano con numerose interrogazioni parlamentari, la necessità di un impegno per il riconoscimento ai nostri connazionali del diritto a fare o ricevere telefonate. "Si tratta di un risultato importante . hanno commentato Zamparutti e Falcone - frutto di un dialogo e di una sinergia tra cittadini ed istituzioni fondati sulla nonviolenza. Diamo atto al ministro Frattini di aver mantenuto l’impegno a porre al suo omologo indiano la necessità di riconoscere il diritto a fare o ricevere telefonate. Il risultato così ottenuto, che va a vantaggio anche degli altri italiani detenuti a Nahan, deve ora tradursi in una maggior attenzione da parte del governo italiano per i nostri connazionali detenuti all’estero e in un impegno ad operare perché possano scontare la pena in Italia in caso di condanna definitiva il che significa, intanto per l’India, la stipula di un trattato in questo senso".
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