Rassegna stampa 14 agosto

 

Giustizia: quei deputati che scopriranno l’inferno delle carceri

di Adriano Sofri

 

La Repubblica, 14 agosto 2009

 

L’Unione Europea ha fissato, attraverso un tormentato itinerario legislativo, gli spazi minimi che gli allevatori devono assicurare ai polli da carne e alle galline ovaiole. Può darsi che qualcuno ne sorrida: è umano. Se avesse visto le gabbie o i capannoni in cui i polli sono stipati in 20 e più in un metro quadro, e anchilosati, e avvelenati dall’ammoniaca delle loro deiezioni accumulate, ne avrebbe pena, e avrebbe pena di sé e delle uova e dell’arrosto che mangia. Grazie alla norma dell’Europa, sullo spazio di un foglio protocollo conducono la loro esistenza tre galline. Non è facile da figurarsi, dite? Infatti.

Poco fa la Corte europea per i diritti di Strasburgo ha stabilito che anche gli animali umani in gabbia - nel caso, un detenuto rom bosniaco, Izet Sulejmanovic - debbano avere un proprio spazio minimo, senza di che chi li reclude è colpevole di trattamenti inumani e degradanti: lo Stato italiano è stato condannato a risarcire il detenuto con la cifra di mille euro. Simbolica, ma neanche tanto. La Corte europea ritiene che un essere umano detenuto debba disporre di sette metri quadri: non c’è un solo detenuto comune in Italia che goda di una simile vastità. Nelle galere italiane oggi la densità per capo - diciamo così, vale per ogni bestiame - è spesso di un metro e mezzo: il mistero fisico si risolve grazie alle cataste verticali di corpi, brande a castello dal pavimento al soffitto.

In piedi, si sta a turno. I quasi 70 mila detenuti italiani trattati in modo disumano e degradante (e non è uno snobismo europeo: un autorevole giudice milanese ha detto che la detenzione a San Vittore - sei in 9 metri quadri - è tecnicamente una "tortura", e lo stesso dicono suoi colleghi un po’ ovunque) costerebbero "simbolicamente" in contravvenzioni 70 milioni di euro. Bazzecole, certo.

Fra domani, sabato e domenica quasi duecento parlamentari e consiglieri regionali, istigati dalla instancabile Rita Bernardini e dai Radicali, visiteranno altrettante prigioni. Eserciteranno un potere ispettivo che solo pochi fra loro compiono abitualmente. Confido che, qualunque motivazione li abbia spinti al piccolo sacrificio ferragostano, passino per le galere come un bambino passerebbe per un allevamento intensivo di polli, e ne escano turbati. Per quante mani d’intonaco e di cipria siano state date alla vigilia, troveranno un paesaggio umano che li disgusterà, li farà vergognare e li commuoverà.

Vecchi materassi stesi in terra, ferri roventi, rubinetti asciutti, pareti di doccia incrostate di unto e di sporco, uomini ammassati alla rinfusa e a volte solidali, spesso estranei e insofferenti gli uni degli altri, diversi per età, per nazione, per attese, per malattie. (Ai polli si mettono degli occhialini perché non perdano tempo a beccarsi fra loro).

Troveranno uomini accasciati nei loro letti, che volteranno la testa contro il muro per non vederli e non farsi vedere, e altri uomini che andranno loro incontro per dire loro una storia, troppe storie in una volta. Troveranno giacigli di fortuna (di fortuna!) allestiti in terra nello spazio fra due brande d’infermeria, o nelle camerette di sicurezza senza finestre e senza niente, fatte per le attese brevi, e mutate in celle, con qualche giornale a far da cesso comune. Troveranno gente che piange, e anche gente che ride: perché gli animali umani sono sorprendenti, e i visitatori potranno specchiarcisi.

Non molti anni fa i parlamentari andavano in galera, o erano lì per andarci, non da visitatori. Durò poco, e fecero presto a dimenticarsene. Sarebbe bello che se ne ricordassero, domani e dopo. E quando votano leggi che suonano alto, e all’altro capo sputano quell’ammucchiata di corpi da magazzino, corpi a perdere.

Quasi trentamila persone -persone - in un anno entrano ed escono dalla galera per un periodo inferiore a tre giorni. Che impresa, eh? 63.800 detenuti per una capienza effettiva, come denunciano i sindacati di polizia penitenziaria, di 39.813. È superata di alcune migliaia perfino la "capienza teorica": quella della metropolitana nelle ore di punta, per intenderci, quando i buttafuori smettono di spingere dentro la gente.

Nei reparti giudiziari, dove stanno gli imputati, in gran maggioranza ormai stranieri, i visitatori usino l’estate e l’ostensione dei corpi svestiti, per contare i tagli freschi e le cicatrici che i presunti innocenti hanno addosso. Scherzino coi bambini delle madri detenute, chiedano loro: "Come ti chiami?" Sarà bello.

Ascoltino un po’ di racconti di botte date e prese, di ammazzamenti suicidi e morti. Cento morti in sei mesi, 35 suicidi. E dei "suicidi" senza verità. Ci sono decine di famiglie, in Italia e fuori, cui è stato detto che un loro caro si è ammazzato, e non riescono a crederci. E anche quando i loro sospetti non fossero fondati, resta che il carcere uccide. "Un detenuto a Rovereto si uccide a poche ore dall’arresto per futili infrazioni. La famiglia dubita. Che cosa è successo a Stefano Frapporti?".

"Sarà l’autopsia a chiarire la causa della morte di Salah Ben Moamed, tunisino di 28 anni, trovato ieri mattina senza vita...", e di tanti altri come lui. Autopsie non chiariscono. La madre di Marcello Lonzi, 29 anni, non ha mai creduto alla morte naturale di suo figlio in una cella di Livorno, nel 2003, con 4 mesi da scontare.

La madre di Niki Aprile Gatti, 26 anni, sanmarinese, arrestato per truffa, incensurato, non può credere al suicidio di suo figlio nel carcere di Sollicciano, in cui era arrivato da cinque giorni, un anno fa. Il cappellano di Rebibbia ha invitato anche il Papa: "Venga - gli ha scritto - qui si muore".

’elenco è troppo lungo. Ma le possibilità di informarsi su quello che avviene oltre il muro si sono enormemente arricchite. All’attività di Associazioni come Antigone, a Radio Carcere, alla pubblicazione di libri schietti come "Diritti e castighi", di Lucia Castellano, direttrice del carcere di Bollate (con la giornalista Donatella Stasio) si è aggiunta una fonte preziosa come il notiziario quotidiano in rete di "Ristretti Orizzonti".

Spero che faccia un caldo record, a ferragosto, durante la visita ispettiva più imponente della storia d’Italia. "I disagi che la stagione estiva e le alte temperature producono all’interno delle sezioni detentive possono causare un aumento del rischio di atti autolesionistici e/o auto soppressivi". Lo ha scritto il ministero, che a volte dice cose sensate, benché in un linguaggio che Dio lo perdoni, e benché senza alcuna conseguenza pratica.

L’Associazione dei Veterinari lo dice meglio: "Se la densità è molto elevata, durante i mesi estivi si rischia anche il surriscaldamento ed un elevato numero di polli può perdere la vita per stress da caldo". Si ammucchia gente in galera, fatalisticamente, come si fa con le altre discariche: e se arriverà il disastro, qualcuno provvederà. Magari è proprio quello che si vuole.

"La sindrome della morte improvvisa è una delle principali cause di decesso dei polli in Europa. I sintomi sono improvviso e vigoroso sbattere d’ali, contrazioni muscolari, perdita dell’equilibrio, accompagnati spesso da vocalizzazione; quindi il volatile cade di schianto e muore".

Giustizia: la morte, evasione silenziosa e definitiva dal carcere

di Rita Bernardini e Valter Vecellio

 

Europa, 14 agosto 2009

 

Non passa settimana che dal mondo del carcere non giungano drammatiche notizie relative a decessi di detenuti. Gli ultimi censimenti al riguardo, parlano di quasi cento decessi nei primi sei mesi di quest’anno (una media di uno ogni due giorni; alcuni, decessi incredibilmente classificati come: "per cause non accertate"), e di oltre trenta suicidi accertati. Si tratta spesso di giovani, detenuti in attesa di giudizio, e in carcere da pochi giorni. Dal carcere ormai si evade così: un’evasione silenziosa e definitiva.

La morte insomma, diventa preferibile alla carcerazione: questo la dice lunga sul livello di disperazione che si può raggiungere in una struttura dello stato. Per non parlare del crescente, incontrollato, numero di detenuti che in carcere muoiono per malattia o per aver contratto gravi infezioni. Nel momento in cui un cittadino viene privato della sua libertà, non importa per quale ragione, lo stato si fa massimamente garante della sua incolumità e integrità. Non è dunque azzardato ipotizzare una responsabilità delle istituzioni in queste morti, soprattutto perché nulla si fa e si è fatto per evitarle.

Bisognerà dunque studiare anche dei dispositivi di carattere giudiziario e investire l’autorità penale, perché lo stato e le sue istituzioni rispondano di queste morti; così come devono rispondere dei gravi danni patiti ogni giorno dai detenuti e dal personale penitenziario che a costo di gravosissimi sacrifici assicura quel minimo di tenuta e di "governo" all’interno del carcere senza il quale la rovina e lo sfacelo sarebbero totali. Più in generale, il carcere troppo spesso è una sorta di "discarica" sociale, con l’aumento esponenziale del numero dei detenuti e gli agenti penitenziari sotto organico di almeno 5.500 unità.

A Milano, nel carcere di Bollate, ogni agente ha in "custodia" qualcosa come 150 detenuti. Nel carcere napoletano di Poggioreale (il penitenziario forse più sovraffollato d’Europa): tremila detenuti, a fronte dei 1.300 posti letto; quattro suicidi nei primi sei mesi dell’anno), si dorme sul materasso direttamente per terra o in celle con quattro piani di letti a castello.

A Regina Coeli a Roma è emergenza continua. A Torino i detenuti hanno i posti letto nella palestra.

A Favignana si sta come i "sepolti vivi", con le celle-tuguri sotto il livello del mare; tutto il penitenziario è sottoterra, compreso il cortile adibito a spazio per l’ora d’aria.

Si potrebbe andare avanti così a lungo. Veniamo al decantato "piano carceri" (cioè la costruzione di nuovi istituti penitenziari) che secondo le intenzioni del ministro della giustizia Angiolino Alfano e del Dap, dovrebbe risolvere i problemi. A Gela, per costruire il carcere, hanno impiegato "solo" cinquant’anni. Per quello di Reggio Calabria i lavori sono cominciati nel 1988. Non si sa quando finiranno.

La Corte dei conti fa sapere che la media per costruire un carcere in Italia è di circa tredici anni, con i costi che anno dopo anno, lievitano inesorabilmente. Intanto al di là delle buone intenzioni (che poi, di buono hanno poco o nulla), non si fa nulla. Per l’ottima ragione che nulla si sa fare, e quello che si dovrebbe fare, per una preconcetta ostilità ideologica non si fa, non si vuole fare. Ancora: settanta bambini al di sotto dei tre anni, di nulla colpevoli se non di essere figli delle loro madri, vivono e crescono in carcere.

Tra coloro che sono in prigione, il 60 per cento sono immigrati: la cifra evidente di un dato discriminatorio e di classe: gli extracomunitari, a differenza degli italiani, non si possono evidentemente permettere buoni avvocati, e dunque trascorrono il periodo di detenzione preventiva in carcere.

Ogni istituto, inoltre, "ospita" un discreto numero di detenuti disabili, anziani o affetti da problemi psichiatrici. Nelle prigioni c’è di tutto: dagli internati, che restano detenuti anche per vent’anni negli ospedali psichiatrici giudiziari a causa di una misura amministrativa; a quanti escono dal carcere senza neppure avere la residenza amministrativa. Piaccia o no, i fatti sono questi.

Giustizia: 100 i detenuti morti, aggressioni e malattie infettive

di Donatella Stasio

 

Il Sole 24 Ore, 14 agosto 2009

 

Ogni due giorni, muore un detenuto. Dall’inizio dell’anno alla fine di luglio, via via che nelle carceri italiane aumentava il so-vraffollamento, sono aumentati anche i detenuti morti. A fine luglio erano quasi un centinaio; 45 si sono tolti la vita. I suicidi, l’autolesionismo, le aggressioni ai poliziotti, le malattie infettive come la scabbia, sono alcuni degli - inevitabili - effetti del sovraffollamento. Vedere per credere.

Ci proveranno - a vedere - i 150 politici di tutti gli schieramenti, che da oggi al 16 agosto visiteranno molti penitenziari della penisola, quasi tutti sovraffollati. Una sorta di "grande ispezione parlamentare", organizzata da Rita Bernardini, deputata radicale eletta nelle liste del Pd, per toccare con mano l’emergenza carceraria in cui vivono non solo i detenuti, ma anche i poliziotti, gli educatori, gli psicologi, i medici, i direttori.

Un’emergenza ormai cronica, che ha portato l’Italia sul banco degli imputati, davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, e le è costata una pesante condanna per "trattamenti inumani e degradanti", con tanto di risarcimento di danni morali subiti da un detenuto slavo, costretto a vivere, per venti ore al giorno, in meno di 3 metri quadrati (invece che nei 7 prescritti).

Di fronte all’immobilismo generale, decine e decine di detenuti hanno deciso di intraprendere anch’essi la via di Strasburgo. "I parlamentari dovrebbero esercitare la loro prerogativa di visita nelle carceri tutto l’anno, non solo a Ferragosto", osserva Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, da sempre in prima linea sul carcere. La polemica non è indirizzata ai radicali, ma "ai parlamentari della Lega e del Pdl che - dice Gonnella - hanno votato le peggiori leggi degli ultimi anni, causa dell’attuale situazione carceraria".

I dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria dicono che l’11 agosto, rispetto ai 43.327 posti regolamentari, nelle patrie galere erano presenti, fisicamente, 63.557 detenuti. Se si considera che nel periodo estivo, come a Natale, c’è il maggior numero di permessi premio, non è azzardato ritenere che sia stata già superata la soglia "tollerabile" di 64.111 posti.

Le situazioni più "calde" si registrano in 11 regioni (Campania, Emilia, Friuli, Liguria, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino, Valle d’Aosta e Veneto). Situazioni "difficili - ammette il Dap - ma sotto controllo". Finora non ci sono state rivolte (a parte alcune proteste a macchia di leopardo), male condizioni di vita dietro le sbarre sono proibitive. E il caldo le esaspera.

Insieme ai detenuti aumenta anche la presenza di pidocchi, piattole e scarafaggi, che infestano le celle, sempre più anguste e sempre più chiuse (sebbene la legge non lo preveda). Anche gli spazi per "la socialità", infatti, sono spesso occupati, dalle brande e i "cortili passeggi" progettati per un certo numero di carcerati non possono sopportarne il doppio o il triplo. Dunque, è rimasta lettera morta la Circolare del Dap che, come antidoto al sovraffollamento, raccomandava di tenere il più possibile "aperti" i detenuti.

Il carcere è patogeno e accentua le patologie già in atto. Ancora di più il carcere sovraffollato, dove l’uso degli psicofarmaci aumenta con l’aumentare dei detenuti, per tenere basse le tensioni. Ma è un palliativo. Condizioni igieniche precarie, scarsità di spazi, di acqua e persino dei generi di prima necessità (dentifricio, sapone), costante penuria di lavoro, ozio forzato, carenza di personale (poliziotti, educatori, psicologi, personale sanitario), sono un mix esplosivo.

Per di più, per contenere il sovraffollamento di alcune prigioni, gli "sfollamenti" sono all’ordine del giorno e i detenuti (anche quelli in attesa di giudizio, il 52% del totale) vengono "sballati", come si dice in gergo, in carceri lontane dal proprio nucleo familiare. Molti di loro tentano il suicidio anche per questo.

La legge sulla sicurezza e il reato di clandestinità, che in pochi giorni ha già portato al sovraffollamento dei Centri di identificazione e espulsione (Cie), contribuirà ad aumentare ulteriormente la presenza, già massiccia, degli stranieri detenuti, che oggi sono il 36%.

Il governo insiste nel voler affrontare l’emergenza con la costruzione di nuove carceri (il "piano straordinario" non è stato ancora approvato per mancanza di soldi), che dovrebbero portare, nel 2012, a 17mila posti in più. Ma se i detenuti continueranno ad aumentare con lo stesso ritmo, nel 2012 ci saranno 4omila esuberi. "Abbiamo già avuto una ventina di richieste dei detenuti di ricorrere alla Corte di Strasburgo", fa sapere Stefano Anastasia, Difensore civico di Antigone. Il rischio di nuove condanne (e risarcimenti) a carico dell’Italia è più che concreto.

Giustizia: "clima" avvelenato da anni di campagne securitarie

di Pietro Ancona

 

www.imgpress.it, 14 agosto 2009

 

Leggo che oltre 150 tra deputati, senatori, consiglieri regionali, dirigenti di associazioni di volontariato hanno aderito alla iniziativa promossa dai Radicali per una visita ferragostana alle prigioni italiane. Dato il clima esistente in Italia, da anni avvelenato da campagne securitarie, di odio razziale, di allarmismo per i malviventi che una volta erano solo meridionali e oggi sono i migranti che, per dirla con Bossi, vengono in Italia per ammazzare, c’è da registrare positivamente l’adesione di tante e qualificate persone. Le carceri italiane ospitano 63 mila detenuti. Oltre ventimila persone in più di quanto ne dovrebbero accogliere.

Una popolazione sofferente, stipata in celle che arrivano a contenere anche dieci persone, una popolazione povera e proveniente dalla parte più povera della società. Non credo che ci siano molte persone in carcere che possiedono un reddito superiore a ventimila euro l’anno. I ricchi non stanno in carcere dal momento che sono assistiti da studi legali supercorazzati e, se proprio debbono varcarne la soglia, ci stanno pochissimo tempo e quasi tutto in infermeria.

Basta vedere all’opera gli avvocati dei grandi scandali finanziari del paese per comprendere come sia difficile per la borghesia benestante e denarosa scontare dietro le sbarre una qualche condanna. Per quanto il problema del sovraffollamento sia diventato cruciale e sia simile a quello che precedette il condono non è chiedendo la costruzione di nuovi penitenziari che si risolve la questione.

Intanto per costruire nuove prigioni ci vuole tempo e sopratutto denaro. Pare che il denaro non ci sia e, a voler essere ottimista, altre migliaia di posti-carcere si potranno avere tra alcuni anni. Bisognerebbe considerare l’idea di una forte depenalizzazione di molti reati senza incrudelire le sanzioni pecuniarie che moltissimi non sarebbero in grado di pagare;stabilire pene da scontare all’esterno del carcere con affidamento dei condannati ad istituzioni disponibili ad assumersene la responsabilità. Ma l’orientamento del Parlamento dominato dal centrodestra è in direzione opposta alle richieste che sono alla base dell’iniziativa radicale e delle associazioni dei carcerati.

Il Parlamento ha incrudelito le pene per gli immigrati (un terzo in più della pena se sono sans papiers) e ha criminalizzato comportamenti sociali come quelli dei writers. Ha reintrodotto il reato di oltraggio a pubblico ufficiale cancellato dieci anni fa. Nel giro degli ultimi due anni le leggi sicurezza approvate sono tutte rivolte ad un appesantimento delle pene carcerarie. Questo naturalmente non comprende i reati tipici degli imprenditori alcuni dei quali vengono cancellati come il falso in bilancio o neutralizzati da prescrizioni consistenti che il sistema giudiziario non è in grado di contenere.

Un grande e potente riflettore dovrebbe essere puntato sulla condizione esistenziale del carcerato costretto a subire denudamenti, a doversi flettere per consentire perquisizioni corporali umilianti, a subire "tu" dalle guardie carcerarie che vengono appellate come "superiori", a dovere percorrere vari gironi dell’inferno per le differenziazioni del 41 bis e non solo. Sono convinto che bisognerebbe obbligare quanti hanno a che fare con i detenuti a rivolgersi loro con il "lei".

Con questa maggioranza e con questo governo non credo che ci sarà un benché minimo miglioramento della situazione penitenziaria italiana. Spero che per molti dei "visitatori" ferragostani deputati e senatori non si tratterà di un uno spot pubblicitario, una dichiarazione resa a Radio Radicale, un fioretto da bravi boy scout da fare diligentemente e subito dopo dimenticare per occuparsi di altro... magari di organizzare altre ronde e di allargare le celle di sicurezza dei vigili urbani che a Parma e altrove ambiscono mostrare i muscoli.

Giustizia: vittime errori giudiziari, prosciolti il 43% di imputati 

di Paolo Persichetti

 

Liberazione, 14 agosto 2009

 

Dal 1945 ad oggi 4 milioni e mezzo vittime di errori giudiziari. Un terzo dei detenuti in attesa di processo

Dal dopoguerra ad oggi sono circa quattro milioni e mezzo le persone coinvolte in errori giudiziari, ingiusta detenzione o che hanno visto concludersi con un proscioglimento il procedimento penale aperto nei loro confronti. Una porzione di popolazione grande quanto un’intera regione.

Solo dal 1980 al 1994 quasi un imputato su due è stato prosciolto; il 43,94 per cento delle persone sottoposte a giudizio, oltre un milione e mezzo di cittadini dei tre e mezzo passati davanti ad un giudice. E tra questi ben 313 mila sono finiti prosciolti con formula piena.

Una cifra immensa che oltre a far riflettere dovrebbe sollevare un serio "allarme sicurezza" contro il funzionamento della Giustizia, dell’inchiesta e del processo penale, se solo questi dati fossero divulgati in modo capillare. Un vero paradosso, se è vero che una delle maggiori fonti di rischio per la libertà dei viene proprio da quella magistratura a cui la costituzione attribuisce, al contrario, una funzione di tutela e garanzia attraverso le leggi dei cittadini. Casi di omonimia, distrazioni, perizie errate, errori di calcolo, ma anche ragioni sistemiche ben più profonde.

Per Ferdinando Imposimato il problema risiede nel carattere pressoché indiziario che ormai caratterizza gran parte dei procedimenti penali. Avendo lui stesso praticato per decenni questo metodo d’indagine, l’ex magistrato istruttore riesce a descriverne molto bene la logica perversa: "troppo spesso - spiega - le inchieste sono basate su fatti desunti dall’esistenza di altri fatti. In pratica il risultato di una deduzione logica, terreno ideale per l’errore. Troppo spesso - aggiunge - l’indizio altro non è che un sospetto tramutatosi troppo velocemente e che a sua volta finisce ancora più rapidamente per trasformarsi in prova".

Eppure il senso comune, quello che i media raccontano orientando l’opinione pubblica, dicono l’esatto contrario. L’insicurezza intesa come mera percezione, sensazione sociale, stato d’animo, è in costante aumento; come la convinzione, rilanciata dalla cronaca di questi ultimi giorni, che vi sia in giro troppo lassismo della legge, un dilagare d’impunità garantita e scarcerazioni facili.

Una dettagliata indagine dell’Eurispes, resa nota all’inizio dell’anno, racconta tuttavia una realtà ben diversa. Al 30 giugno 2008, dei 55.057 mila detenuti presenti nelle carceri italiane (oggi la cifra è vicina alle 64 mila unità, oltre 20 mila in più della capienza tollerata), soltanto 23.243 stavano scontando una sentenza definitiva. Poco più di un terzo.

Tutti gli altri, ovvero la maggioranza, erano in attesa di giudizio. Tra questi la quota più alta riguarda coloro che sono ancora in attesa del giudizio dì primo grado, ben 15.961. Il numero di quelli che hanno interposto appello sono, invece, 9.115.1 ricorrenti in cassazione 3.451. Da allora la situazione non è mutata, semmai si è ulteriormente appesantita.

Statisticamente quasi la metà dei quindicimila in attesa di primo grado finiranno prosciolti o in prescrizione. Ciò vuol dire che per un’altissima porzione della popolazione penitenziaria attuale la custodia cautelare è un passaggio inutile, oltre che dannoso e pregiudiziale. Dato che ribalta completamente l’opinione diffusa di una giustizia dalle "scarcerazioni facili".

Semmai il problema è esattamente inverso. Siamo il Paese delle incarcerazioni fin troppo facili, dovute ad un sistema penale che nonostante la riforma del codice di procedura del 1989 vede tuttora un forte squilibrio in favore della pubblica accusa. Non è un caso se le regioni dove più alta è la percentuale di errore e maggiore è l’impiego della custodia cautelare sono quelle meridionali.

La legislazione penale speciale applicata contro le forme di criminalità organizzata, facendo leva sul reato associativo amplifica il carattere pregiudiziale delle inchieste. Ne consegue che la definizione della responsabilità personale diventa più incerta, mentre il livello di tutela delle garanzie giuridiche si abbassa paurosamente. Una legge del 1988, contrastata duramente dalla magistratura, ha disciplinato la responsabilità civile dei giudici.

Da allora è possibile avviare delle procedure di risarcimento per "ingiusta detenzione". Il legislatore ha affrontato, in modo tuttavia ancora molto insoddisfacente, solo un aspetto del problema. Nel nostro ordinamento, infatti, non esiste una norma che indennizza "l’ingiusta imputazione". Questa anche quando non si somma alla ingiusta detenzione, risulta comunque estremamente pregiudizievole per la persona messa sotto accusa. Oltre al costo umano, gli errori giudiziari hanno un prezzo sociale e erariale importante. Nel corso degli ultimi 5 anni lo Stato ha pagato circa 213 milioni di euro di risarcimento, la quasi totalità per ingiusta detenzione cautelare, molto meno per gli errori giudiziari.

Giustizia: legge sulla sicurezza decuplica le sanzioni pecuniarie

di Marino Longoni

 

Italia Oggi, 14 agosto 2009

 

Si parla da molti anni di riforma della giustizia, di lunghezza eccessiva dei processi, di necessità di snellimento dei riti. Gli interventi del legislatore però spesso hanno provocato più danni che vantaggi. Potrebbe essere così anche questa volta: il tema è quello dell’innalzamento dei valori di multe e ammende. Il grido d’allarme è contenuto in una lettera inviata da Giuseppe Pavich, giudice al Tribunale di La Spezia, a Italia Oggi.

Il ragionamento del giudice Pavich è semplice: se la giustizia costerà di più, gli imputati tenderanno a non utilizzare i riti abbreviati, ma a spostare più avanti possibile il momento della condanna. Questo significa processi più, lunghi, intasamento dei tribunali, vanificazione di tutti gli sforzi fatti negli ultimi anni per rendere più snella e veloce la risposta della giustizia.

Ma procediamo con ordine. La legge sulla sicurezza (n. 94 del 2009), oltre alle citatissime disposizioni sul reato di clandestinità, contiene anche misure per l’innalzamento (o meglio, la decuplicatone) di multe e ammende: l’elevazione del ragguaglio tra pena detentiva e pecuniaria, che passa da 38 euro per giorno di detenzione a 250; infine la rivalutazione, ancora da definire attraverso decreti legislativi, di multe, ammende e sanzioni amministrative.

L’obiettivo della riforma è chiaro: aggiornare valori che, nel tempo, avevano perso di mordente, disincentivare con sanzioni più elevate certi comportamenti lesivi e, perché no, fare cassa. Ma si è trascurato un particolare importante. Di fronte a un innalzamento così macroscopico delle sanzioni, il comportamento degli imputati non potrà rimanere lo stesso.

Se fino a ieri la prospettiva di una condanna a due mesi si traduceva, in soldoni, in un esborso pecuniario di 1.140 euro (38 euro al giorno per 60 giorni con lo sconto dei 50% connesso alla scelta del rito alternativo), domani il prezzo della giustizia veloce salirà a 7.500 euro (250 euro per 60 giorni diviso due). Conveniente solo per imputati con notevoli disponibilità economiche.

Per gli altri probabilmente la scelta più razionale sarà di proporre opposizione al decreto penale, e affrontare l’intera fase dibattimentale secondo le regole del giudizio ordinario, nella speranza di un proscioglimento o di una pena magari inferiore. Lo stesso meccanismo potrò costituire disincentivo a patteggiamento e oblazione. Conseguenza nel medio e lungo periodo: allungamento dei tempi medi del processo, ingolfamento dei tribunali a opera soprattutto della cause meno rilevanti. Inoltre, postò che su queste somme esiste già da tempo una percentuale di evasione molto alta, questa ora potrà solo aumentare.

Giustizia: quando lo Stato cerca di "fare cassa" con i processi

di Giuseppe Pavich (Giudice del Tribunale di La Spezia)

 

Italia Oggi, 14 agosto 2009

 

Nel penale le sanzioni pecuniarie sono schizzate alle stelle. Un giudice analizza gli effetti del pacchetto sicurezza. Che rischia di frenare ancor di pia la giustizia.

Fra le numerose disposizioni innovative contenute nella recente legge 94/2009 (che ha, per ora, completato gli interventi legislativi del Governo in tema di sicurezza pubblica), passata pressoché sotto silenzio la serie di disposizioni che hanno previsto un innalzamento dell’ammontare del ragguaglio fra pene pecuniarie e detentive, nonché (in parte da subito, in parte previa emanazione di decreti delegati) delle sanzioni pecuniarie previste per le varie fattispecie di reato (o di illecito amministrativo).

Nel quadro di una generale scelta di inasprimento sanzionatorio, che si riscontra in molteplici fattispecie di reato toccate dalla riforma, merita una separata e più approfondita riflessione quanto stabilito ai commi da 60 a 66 dell’art. 3 della legge: tali disposizioni si muovono, in sostanza, su tre direttrici: l’innalzamento significativo (di circa dieci volte) dei limiti di importo minimi e massimi, rispettivamente, della multa e dell’ammenda; l’elevazione, anch’essa rilevante, del ragguaglio della pena detentiva rispetto a quella pecuniaria ritenuta equivalente (si è passati dai 38 euro previsti dal vecchio testo dell’art. 135 c.p. agli attuali 250 euro); la previsione, mediante successivi decreti legislativi, di una rivalutazione delle multe, delle ammende e anche delle sanzioni amministrative, sulla base di coefficienti da definirsi, ma tendenzialmente tanto più alti quanto più risalente nel tempo la disposizione che irrogava dette sanzioni (fino ad un coefficiente di aumento che sarà compreso fra 6 e 10 volte per le disposizioni sanzionatone, entrate in vigore anteriormente al 24 novembre 1981).

L’ottica in cui si è mosso il legislatore, sicuramente quella generale di una maggiore severità, oltre che di un aggiornamento di pene pecuniarie che erano ormai divenute inadeguate e prive, in sé, di qualunque deterrenza. Può inoltre certamente ipotizzarsi un indiretto tentativo di indurre, attraverso un meccanismo sanzionatorio più gravoso anche nelle sue conseguenze economiche, maggiori entrate per le casse dello Stato.

A fronte di tali obiettivi, in merito ai quali il giudizio di idoneità e adeguatezza agli scopi rimane necessariamente sospeso, non possono tuttavia non formularsi osservazioni e previsioni, non troppo ottimistiche sulle conseguenze complessive di tale scelta legislativa, soprattutto in rapporto al funzionamento e ai tempi della giustizia. È, infatti, noto su un piano generale che l’entità delle sanzioni costituisce una delle principali variabili attraverso le quali l’imputato valuta se scegliere la soluzione di un rito alternativo, ovvero quella di presentarsi in dibattimento assoggettandosi al rito ordinario, e, soprattutto, trattandosi di pene pecuniarie (come tali, o come sanzioni sostitutive), è del tutto naturale che l’imputato accetti con maggiore facilità la definizione anticipata del processo quando essa comporti conseguenze sanzionatorie più sostenibili, anche sul piano economico.

A titolo di esempio, un altro decreto penale di condanna in cui la pena detentiva (poniamo di 2 mesi di reclusione o arresto), debitamente convertita, sia calcolata in ragione di 38 euro per giornata di detenzione, come finora (ossia, rapportando tale somma a 2 mesi, in ragione di un totale di 2280 euro), e un decreto penale in cui la stessa pena detentiva sia calcolata in base a un rapporto di conversione di 250 euro per giorno di pena detentiva (ossia, rapportando la somma in questione a 2 mesi, in ragione di ben 15 mila euro). La diminuente fino alla metà prevista per il rito del decreto penale porta, nel primo caso, ad una somma di 1.140 euro, nel secondo a 7.500.

È indubbiamente assai più probabile che l’imputato, di fronte ad un incremento così significativo della pena pecuniaria da pagare, opti nel secondo caso, ossia con le nuove regole per la soluzione di proporre opposizione al decreto penale, e affronti così l’intera fase dibattimentale secondo le regole del giudizio ordinario, nella speranza di un proscioglimento o di una pena magari inferiore. E ciò non è cosa di poco conto, se si considera il numero assai elevato dj procedimenti che finora si sono conclusi con decreto penale non opposto (e quindi senza che il procedimento arrivasse davanti al giudice del dibattimento).

Parimenti, ipotizzabile che l’incremento delle pene e dei rapporti di conversione fra pene pecuniarie e detentive costituisca un disincentivo all’oblazione (artt. 162 e 162 bis c.p.) o al patteggiamento, specie a quello in cui è interesse dell’imputato chiedere la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria corrispondente, secondo il regime delle sanzioni sostitutive di cui agli artt. 53 e ss. L. 689/81.

In altre parole, è ragionevole pronosticare che, con l’inasprimento dei limiti edittali delle sanzioni pecuniarie e l’elevazione significativa del rapporto di conversione fra pene detentive e pecuniarie, si possa registrare una certa diminuzione nella propensione degli imputati ad accedere a riti speditivi o, comunque, a forme di definizione anticipata del processo, basate sul pagamento di una sanzione pecuniaria.

La logica conseguenza di ciò, prevedibilmente, sarebbe un ulteriore aggravio di tempo per gli organi giudicanti dibattimentali, chiamati a dover definire, secondo l’ordinario schema processuale (ossia con l’istruzione in aula e l’acquisizione delle prove in contraddittorio, magari in più udienze) moltissimi procedimenti che, secondo le vecchie disposizioni, si concludevano in gran parte dei casi con decreto penale di condanna (e, sia pure con frequenza assai minore, con patteggiamento od oblazione).

Udienze più nutrite e più cariche di processi, quindi: e, come ulteriore, prevedibile precipitato, un prevedibile allungamento della loro durata media e, complessivamente, un incremento dei tempi e dei costi della giustizia penale. Naturalmente i termini in cui, a fronte di tali previsioni, si verificheranno tali problemi (ossia quale sarà l’incidenza della nuova normativa sulla quantità di processi che approderanno al dibattimento) non possono essere conosciuti adesso, e bisognerebbe attendere un congruo periodo applicativo per stimare l’impatto della riforma sotto tali profili.

Solo allora sarà possibile effettuare compiutamente un’analisi costi-benefici, avendo presenti da un lato i risultati (auspicati dal legislatore) in termini di ricadute sulla sicurezza e sulle entrate dell’erario e, dall’altro, gli effetti del prevedibile allungamento dei processi sotto il profilo del funzionamento del servizio-giustizia, dell’organizzazione e non ultimo degli oneri finanziari.

Giustizia: Sappe; manca poco al "crollo fisico e professionale"

 

Adnkronos, 14 agosto 2009

 

Il Sindacato Autonomo Polizia penitenziaria (Sappe) ha rivolto oggi un appello al presidente del Consiglio, ai presidenti di Senato e Camera e al ministro della Giustizia perché sia risolta al più presto la "sempre più critica e drammatica situazione degli organici della Polizia penitenziaria". "La popolazione detenuta continua a crescere, con tutte le relative valenze di pericolo e di trattamento, al contrario - sottolinea Donato Capece, segretario generale del Sappe - gli appartenenti al Corpo diminuiscono ogni anno di 800-1.000 unità, per ragioni fisiologiche, senza essere adeguatamente sostituiti.

Ne deriva che, negli ultimi cinque anni, sono state perse di forza circa 5.000 unità, assolutamente non compensate dall’immissione in servizio degli agenti già volontari nelle Forze Armate, certamente inferiori nel numero alle effettive esigenze". "In un affanno incredibile - aggiunge Capece - sono anche gli organici del personale femminile. Il sindacato più rappresentativo della categoria ritiene imprescindibile per il Governo l’assunzione concreta di impegni in materia di aumento di organico del Corpo di Polizia Penitenziaria". L’appello rivolto alle istituzioni, conclude il Sappe, è "un grido di dolore che dovrebbe essere storicamente raccolto, perché al crollo fisico e professionale ci manca poco".

Giustizia: Osapp; "ronde" volontari, per sorveglianza esterna

 

Ansa, 14 agosto 2009

 

"Se lo slogan dei Radicali è Ferragosto in carcere il nostro può e deve essere: In carcere tutto l’anno". Lo afferma Leo Beneduci, segretario generale del sindacato Osapp, che a Ferragosto sarà a Napoli Secondigliano per una visita al complesso penitenziario.

"Uno dei più grandi ed estesi d’Europa - spiega Beneduci - e proprio lì daremo vita ad un’iniziativa clamorosa sul fronte della sicurezza degli istituti e della tutela del personale di Polizia Penitenziaria". "Iniziativa che prevede, tra le altre cose, la libera istituzione di associazioni di volontari che s’incarichino, in base all’ultimo provvedimento di legge sulla sicurezza delle strade, quello delle ronde per intenderci, della sorveglianza intorno agli istituti penitenziari più a rischio.

Per questo motivo - prosegue Beneduci - abbiamo commissionato una fornitura di 10.000 pettorine con la scritta Ausiliario della Sicurezza Penitenziaria e prevediamo, già da metà agosto, accordi con le istituzioni cittadine che vogliano aderire all’iniziativa".

"Partiamo da Secondigliano che, come ripetiamo, andremo a visitare a Ferragosto. Uno degli istituti simbolo della Campania. Una Regione dove, secondo i dati forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, i detenuti sono oramai giunti a quota 7.392, a fronte di una capienza regolamentare di sole 5.354 unità, posti letto. L’iniziativa che vogliamo portare avanti nasce dall’immobilità che contraddistingue il quadro governativo e politico del nostro Paese.

Di riforme e di Piani se ne parla oramai da tempo. Rappresentiamo la seconda forza sindacale della Polizia Penitenziaria, di sensibilizzare l’opinione pubblica ne abbiamo piene le scatole. È ora di agire, soprattutto quando il tema carceri diventa solo un appuntamento fisso delle cronache politiche d’agosto".

Lazio: il garante; 5.637 detenuti oltre 900 in più del consentito

 

Comunicato stampa, 14 agosto 2009

 

Sono 5.637 (a fronte di una capienza di 4.765 posti) i detenuti che passeranno Ferragosto nelle carceri del Lazio. A questi devono aggiungersi anche i 260 ospiti del Cie di Ponte Galeria. I numeri sono stati segnalati, alla vigilia della giornata simbolo dell’estate, dal Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni secondo cui "fra sovraffollamento, carenze di personale e strutture inadeguate, lo Stato ha di fatto abbandonato la funzione di recupero sociale dei reclusi, per altro costituzionalmente garantita".

A quanto risulta agli operatori del Garante attualmente ci sono 875 reclusi a Regina Coeli, 1544 a Rebibbia Nuovo Complesso e 346 a Rebibbia Penale. A Civitavecchia i detenuti sono 430, a Velletri 380, a Latina 160. Le situazioni di maggiore criticità sono a Frosinone dove, a fronte di una capienza regolamentare di 322 posti i reclusi sono 471, e a Viterbo dove la capienza regolamentare è di circa 430 posti e i detenuti sono 689. Nel Cie di Ponte Galeria, sotto osservazione del Garante dopo l’entrata in vigore delle nuove norme sull’immigrazione, gli ospiti sono 260, 139 uomini e 121 donne. Fra questi si segnala la presenza di tre malati di hiv che non possono essere espulsi per la malattia ma che sono trattenuti nel Cie in attesa di essere identificati.

"Il dato dei novecento detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare delle carceri - ha detto il Garante Angiolo Marroni - segnala che anche nel Lazio c’è il problema del sovraffollamento che non è evidente come in altre realtà per il fatto che il Prap applica periodicamente una politica di sfollamenti di detenuti nel resto d’Italia. Una politica, questa, che dovrà fare i conti con le nuove norme sull’immigrazione che, inevitabilmente, porteranno al collasso carceri, Cie e strutture giudiziarie. Detenuti in costante aumento per fatti che potrebbero essere perseguiti diversamente, carenze di personale e fondi, strutture fatiscenti sovraffollate o nuove ma inspiegabilmente chiuse, assenza di politiche di formazione lavorativa e recupero sociale.

È questa la fotografia del sistema carcerario italiano in questo momento storico. Accolgo con favore la notizia che, domani, decide di parlamentari italiani visiteranno le carceri di tutta Italia perché ogni iniziativa che sollevi dibattiti e interrogativi su questa situazione è ben accetta. Occorre che l’opinione pubblica si renda conta che questo sistema è ormai una emergenza sociale".

 

L’Ufficio Stampa del Garante Regionale

Calabria: prendere coscienza delle condizioni vita dei detenuti

 

www.strill.it, 14 agosto 2009

 

"Prendere coscienza delle condizioni di vita dei detenuti e della realtà nella quale operano i direttori, gli agenti, i medici, gli psicologi, gli educatori delle comunità penitenziarie è un atto che spinge tutti i rappresentanti del mondo politico ed istituzionale ad impegnarsi per migliorare i livelli di disagio che in questo momento vivono le carceri italiane".

È quanto afferma il Consigliere regionale del Pd, Bruno Censore, che ha aderito all’iniziativa "Ferragosto in carcere" promossa dai Radicali Italiani. "Ho aderito a tale iniziativa - sostiene Censore - perché da sempre ho fatto mio il principio costituzionale che gli istituti penitenziari non sono solamente luogo di espiazione ma principalmente di rieducazione del condannato che deve poter vivere il periodo della detenzione secondo un trattamento civile ed umano.

Purtroppo, la situazione delle carceri italiane ha raggiunto livelli molto preoccupanti tanto che recentemente la Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha formulato una condanna di risarcimento a favore di un detenuto costretto a vivere in meno di due metri quadrati". "Tutto ciò - prosegue Censore - impone che il governo faccia delle scelte di diversa natura sulla gestione del sistema penitenziario considerando che i drammi del sovraffollamento sono alla base della sofferenza e della disperazione che oggi vivono i detenuti.

Si aggiunga, inoltre, il fatto che secondo i dati forniti dal dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria più della metà dei reclusi sono in attesa di giudizio o in carcerazione preventiva e che i fenomeni di tossicodipendenza non sono più episodici ma rientrano in un quadro di allarmante diffusione che colpisce specialmente i soggetti reclusi più deboli". "Tutto questo accade - riferisce ancora Censore - nonostante i responsabili delle amministrazioni penitenziarie ed il personale in servizio facciano salti mortali per garantire a

tutti i detenuti la dignità della persona in ambienti nei quali siano garantiti la formazione, l’istruzione e l’espressione professionale". "Per questo motivo - conclude l’esponente del Pd calabrese - il 14 agosto, alle 16, insieme al deputato del Pd e componente delle Commissione Giustizia della Camera, on. Anna Rossomando, faro visita alla casa circondariale di Vibo Valentia per conoscere meglio e più direttamente quella realtà e interpretare i bisogni dell’intera comunità carceraria con la quale discuterò di soluzioni legislative ed organizzative più adeguate. Ringrazio fin da ora la disponibilità offerta dalla dirigenza del carcere di Vibo Valentia, e tutto il personale che opera all’interno con impegno ed abnegazione e annuncio che a conclusione della visita, alle ore 17.30, insieme all’on. Rossomando terremo una conferenza stampa per illustrare ai giornalisti la situazione alla luce della visita fatta".

Milano: un detenuto tossicodipendente di 28 anni s'è impiccato

 

La Repubblica, 14 agosto 2009

 

Si è impiccato con il lenzuolo poco dopo la mezzanotte, approfittando del cambio turno, nella sua cella al V Raggio, nel carcere di San Vittore. Il detenuto, un italiano di 28 anni, era in carcere per reati di droga ed era in attesa di essere inserito in un programma di cure di carattere psichico. Era stato da poco trasferito dal carcere di Pavia. Trovarsi in uno dei reparti più affollati del carcere, con circa 500 detenuti, non lo ha aiutato. Con due Raggi chiusi, il carcere di San Vittore continua a essere sovraffollato: sono ora 1.400 gli ospiti, a fronte di una carenza di circa 300 agenti. Con la situazione più critica al VI Raggio, dove nelle celle sono costretti a convivere fino a otto detenuti.

Savona: scuola agenti penitenziari punta molto su formazione

 

Secolo XIX, 14 agosto 2009

 

"Nessun carcere a Cairo, qui si punta sulla formazione degli agenti. La realtà di Sant’Agostino a Savona rientra invece nel nuovo piano di edilizia carceraria promosso dal ministro della Giustizia Alfano": questo il riassunto della giornata del sottosegretario alla Giustizia con delega al dipartimento Amministrazione penitenziaria, Giacomo Caliendo, in visita al carcere di Savona e alla Scuola di formazione e aggiornamento del corpo di Polizia e del personale dell’amministrazione penitenziaria di Cairo Montenotte.

Il sottosegretario, accompagnato dal provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria Giovanni Salamone, sta effettuando visite agli istituti penitenziari di tutto il territorio ligure per verificare l’operatività delle strutture in concomitanza con periodi di sovraffollamento e di superlavoro per gli agenti in servizio a cavallo di ferragosto. Il sottosegretario non si sbilancia sul futuro del carcere savonese ma sottolinea come il Governo abbia scelto la strada di costruire nuove carceri per trattare i detenuti in modo che la pena non vada contro il senso di umanità e puntando soprattutto sulla funzione rieducativa della detenzione.

"A Savona ci sono carenze strutturali che dovranno essere risolte - ha detto Caliendo - e bisognerà farlo in strutture più spaziose e moderne rispetto a quella di Sant’Agostino". Acquista credito quindi l’ipotesi di un trasferimento del carcere savonese in località Passeggi al confine con Quiliano, mentre il sottosegretario mette a tacere per sempre le voci che davano per probabile una delocalizzazione del carcere a Cairo o addirittura sui terreni bonificati dell’Acna di Cengio. "Il piano di edilizia carceraria verrà presentato a fine agosto - dichiara - ma a Savona non ho riscontrato una situazione così disastrosa come viene spesso dipinta.

In Liguria da quando il controllo sanitario è gestito dalle Asl si ha un buon servizio, controcorrente rispetto ad altre regioni ". Il modello da seguire per la Scuola agenti di Cairo è invece quello francese dove gli istituti permanenti si occupano non solo della formazione dei nuovi allievi da inserire in organico, ma anche dell’aggiornamento continuo delle forze in servizio. "Oggi la Polizia penitenziaria soffre di una vacanza di personale di 5 mila unità conclude Caliendo - i concorsi sono bloccati e l’organico è fermo al 1992. Esistono una quantità infinità di problematiche da risolvere al più presto, qui invece ci sono ampi spazi e locali attrezzati, questa struttura va rivalutata anche aprendo le porte al territorio". Una filosofia, quella di Caliendo, condivisa a pieno dai vertici dell’istituto cairese dove si lavora in questo senso già da tempo.

"A Cairo ci sono stati corsi di aggiornamento per il personale di Polizia penitenziaria di Liguria, Piemonte e Valle D’Aosta, della Polizia Municipale di Savona, Cairo, di altri comuni e per gli autisti del 118 - dice il comandante della Polizia penitenziaria Andrea Zagarella - Il direttore Giorgio Chirolli sta lavorando per stabilire una collaborazione continuativa e duratura non solo con l’amministrazione comunale con cui abbiamo di recente realizzato i campi solari estivi per bambini. La struttura è a disposizione del territorio".

Ancona: Ciccioli (Pdl); la situazione nel carcere è insostenibile

 

Il Messaggero, 14 agosto 2009

 

"È in corso nei giorni di Ferragosto la monitorizzazione dello stato di tutti gli stabilimenti carcerari in Italia. La Casa Circondariale di Ancona - scrive in una nota stampa il vice coordinatore regionale Pdl, Carlo Ciccioli - detiene il primato di essere tra i primi cinque carceri più affollati d’Italia, attualmente infatti ospita 390 detenuti, contro una capienza regolamentare di 180, cioè in questo momento sono presenti più del doppio dei reclusi previsti.

Al contrario le guardie addette alla sorveglianza sono 133, in luogo delle 198 previste e sono costrette a svolgere 36 mila ore l’anno di straordinario; in pratica ogni turno devono effettuare tre ore in più di straordinario obbligatorio. I 55 agenti mancanti sono per 19 unità distaccati mini carcere di Barcaglione che accoglie solo una ventina di detenuti a "bassa sorveglianza". Undici sono negli uffici e 23 sono in forza ad altri carceri del sud Italia per motivi di famiglia. Per gli agenti si tratta di un superlavoro che toglie i previsti e necessari turni di riposo e provoca uno stress ed una tensione notevoli.

La condizione dei detenuti è precaria, a cominciare dai servizi igienici che sono previsti per meno della metà delle persone presenti. Molto spesso nelle celle singole si arriva a stipare fino a tre persone. Rispetto ai 51 mila posti letto delle carceri italiane, attualmente i detenuti sono circa 60 mila, con una ipotesi di crescita fino a 70 mila entro il 2010 e di questi circa 2/3 sono stranieri.

È evidente che bisogna accelerare la scelta della costruzione di nuovi stabilimenti carcerari, in quando la politica dell’indulto ha determinato solo nuovi reingressi di persone scarcerate senza determinare decongestioni nelle celle. Unica notizia confortante è la prevista assunzione di 5000 nuovi agenti carcerari che renderà almeno più umana la condizione di lavoro della Polizia Penitenziaria".

Pordenone: Dal Mas (Pdl); avere il nuovo carcere è prioritario

 

Messaggero Veneto, 14 agosto 2009

 

Riportare al vertice delle priorità la questione del carcere di Pordenone. Questo il senso della visita alla struttura che effettuerà questa mattina il consigliere regionale del Pdl, Franco Dal Mas, accompagnato dal direttore della Casa circondariale, Alberto Quagliotto.

È ancora in attesa di essere ufficializzato il piano Ionta che dovrebbe disporre i finanziamenti per il nuovo istituto cittadino, una incertezza che pone la situazione nel limbo. Domani sarà la volta della senatrice radicale Elisabetta Zamparutti e di Stefano Santarossa nell’ambito dell’iniziativa del partito "Ferragosto in carcere".

Il piano del commissario straordinario dell’edilizia penitenziaria, Franco Ionta, secondo le assicurazioni ricevute, dovrebbe prevedere le risorse per il nuovo istituto pordenonese, che verrà realizzato in Comina. Il documento, però, che doveva essere presentato entro fine luglio, è slittato ormai a settembre. Una situazione di incertezza denunciata dallo stesso Dal Mas.

"Dobbiamo riportare la questione carcere di Pordenone - afferma il consigliere del Pdl che stamane visiterà la struttura - al vertice delle priorità. Anche recentemente il presidente della Regione, Renzo Tondo, ha inviato una lettera al ministro Angelino Alfano ribadendo la disponibilità a cofinanziare la struttura. La mia visita, pertanto, non vuole essere una passerella, semmai l’incitamento affinché si stringano i tempi". Domani sarà invece la volta della senatrice radicale Elisabetta Camparutti e del presidente dei Radicali friulani, Stefano Santarossa.

L’iniziativa rientra nell’ambito della campagna nazionale "Ferragosto in carcere" finalizzata a "una ricognizione approfondita della difficilissima situazione delle carceri italiane e al fine di conoscere meglio e direttamente come vivono la realtà quotidiana direttori, agenti, medici, psicologi, educatori e detenuti per essere così capaci di interpretare i bisogni e di proporre le soluzioni legislative e organizzative adeguate, sia immediate che a medio e lungo termine".

"Gli istituti penitenziari - affermano ancora i radicali - possono essere non solo luogo di espiazione della pena ma realizzare appieno i valori sanciti dall’articolo 27 della Costituzione italiana secondo il quale le pene non devono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, semmai tendere alla rieducazione del condannato. Per quel che riguarda tutti i lavoratori che prestano la loro attività a ogni livello negli istituti carcerari, devono essere garantite condizioni di lavoro moralmente, socialmente ed economicamente adeguate ai profili professionali ricoperti".

Roma: a Ferragosto 20 detenuti diventano operatori ecologici

 

Il Velino, 14 agosto 2009

 

Con la firma del protocollo d’intesa, ufficialmente siglato il 5 agosto scorso in Campidoglio, Comune di Roma e Ama hanno aderito per la prima volta al progetto di recupero del patrimonio ambientale per favorire il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti, promosso dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia. La prima sperimentazione avverrà sabato 15 agosto con 19 detenuti del carcere di Rebibbia impegnati nella pulizia straordinaria di due spazi pubblici della Capitale. L’iniziativa, che si inserisce all’interno della programmazione sperimentale in ambito penitenziario del Ministero della Giustizia, vuole favorire il coinvolgimento dei detenuti in attività lavorative di pubblica utilità quale valido strumento di recupero e inclusione sociale ribadendo allo stesso tempo un forte messaggio di legalità e rispetto di norme e regole.

I detenuti (divisi in due gruppi), dopo aver appreso le principali nozioni utili allo svolgimento del lavoro, grazie alla formazione teorica svolta in questi giorni da personale qualificato Ama presso la Casa di reclusione Rebibbia, saranno impegnati nella mattinata di Ferragosto - dalle ore 8 alle ore 11 - nella pulizia dei giardini di via Val Padana (Municipio IV) e dell’area antistante alla stazione Metro B di Santa Maria del Soccorso (Municipio V). Ad affiancare i detenuti nel loro lavoro ci saranno anche operatori del Comune di Roma e tecnici Ama che oltre al supporto organizzativo forniranno anche le attrezzature e i mezzi idonei allo svolgimento degli interventi, alla raccolta e alla rimozione del materiale di risulta.

Le prescritte condizioni di ordine e sicurezza pubblica saranno assicurate dalla presenza degli uomini della Polizia penitenziaria appartenenti al Gruppo Operativo Mobile che espleteranno il servizio di vigilanza e controllo durante lo svolgimento delle operazioni. Con questa iniziativa, che andrà simbolicamente a svolgersi in un momento "forte" dell’anno come la giornata di Ferragosto, si intende richiamare l’attenzione dei cittadini sulle specificità del mondo penitenziario, evidenziando, ben oltre le criticità intrinseche del sistema, soprattutto le potenzialità positive che possono derivare dalla valorizzazione di persone in esecuzione penale mediante il coinvolgimento in percorsi di sensibilizzazione all’educazione ambientale. I soggetti che prenderanno parte al progetto, tutti su base volontaria, usufruiranno dei benefici previsti dalla legge penitenziaria quali il permesso premio o il lavoro all’esterno.

Lucca: l'ispezione al carcere, con un questionario ai detenuti

 

Il Tirreno, 14 agosto 2009

 

Non passa inosservata la rivolta dei detenuti del carcere di San Giorgio, a causa delle celle sovraffollate ed eccessivamente calde. Così domani alle 9 è prevista una visita alla casa circondariale anche della senatrice viareggina Manuela Granaiola eletta all’ultima tornata elettorale.

"La visita che ho in programma e che coinvolgerà anche esponenti del Partito Radicale - esordisce la senatrice - non dovrà essere fine a se stessa. Insomma, non dovrà essere solo un viaggio fra i carcerati che non produce alcun effetto concreto per migliorare le condizioni di detenzione".

A questo riguardo - spiega la senatrice viareggina - "abbiamo preparato un questionario che consegneremo sia alla direttrice della casa di detenzione che agli stessi detenuti. Le varie domande puntano a verificare quali siano i rapporti fra detenuti e personale; quali siano i rapporti tra detenuti; quale sia il rapporto (in termini di spazio) fra detenuti e celle e così via".

Una volta che ci saranno state raccolte le risposte, i dati verranno analizzati e resi pubblici, assicura la senatrice Granaiola "perché non ci possiamo nascondere la gravità della rivolta che è scoppiata nei giorni scorsi, sintomo di un disagio reale". Le risposte date ai questionari, dunque, dovrebbero fornire suggerimenti per trovare soluzioni (anche temporanee) ai problemi del carcere di San Giorgio "che come abbiamo potuto constatare sta scoppiando. Quali siano le sue reali condizioni, comunque - conclude la senatrice - lo vedrò domani".

Macomer (Nu): il carcere diventerà la "Guantanamo" italiana?

 

La Nuova Sardegna, 14 agosto 2009

 

"Il fatto che il carcere di Macomer, alla stregua di tanti altri dell’isola, sia ritenuto adeguato per ospitare detenuti speciali, non significa che debba diventare la sede giusta dove concentrare questa presenza". A ribadirlo ancora una volta è Silvestro Ladu, presidente della Commissione Politiche europee e Diritti civili della Regione, che il mese scorso aveva visitato le strutture penitenziarie di Macomer e quella di Mamone. Quella della Commissione regionale in questione non era stata l’unica visita alla Casa circondariale di Bonu Trau.

Qualche giorno dopo, infatti, si mosse addirittura il numero due del Dipartimento dell’amministrazione carceraria italiana, Sebastiano Ardita. L’alto funzionario, accompagnato direttamente dal Provveditore per la Sardegna Francesco Massidda e dal sindaco di Macomer Riccardo Uda, dopo il sopralluogo disse che la struttura era idonea a svolgere la funzione per cui era stata costruita. Quindi, anche ad ospitare detenuti cosidetti "speciali", come i ventiquattro fondamentalisti islamici che vi si trovano reclusi da oltre cinque mesi.

"La posizione della Commissione, e quindi della Regione - ha ribadito Silvestro Ladu - non è cambiata. Non si tratta di idoneità o meno, ma di opportunità". "Il Marghine e l’intera provincia di Nuoro - ha aggiunto - hanno bisogno di ben altri interventi da parte dello Stato. Portare altri detenuti speciali a Macomer non è sicuramente opportuno". Voci non confermate danno per certo l’arrivo di una decina di unità, due ispettori e otto agenti. Il Dipartimento avrebbe già disposto il loro trasferimento a Macomer, a tutt’oggi però, non è arrivato nessuno.

Rispetto alle quaranta unità richieste sono certamente pochi, si tratta comunque di un segnale positivo che lascia intravedere l’attenzione da parte delle istituzioni verso i problemi della struttura. Il 14 e il 15 agosto, quindi in occasione delle festività del Ferragosto, a visitare il carcere di Macomer dovrebbero arrivare alcuni parlamentari dei vari schieramenti politici. Infine, dopo il 20 agosto per i detenuti di fede islamica inizia il Ramadan. Altri problemi per il personale che si aggiungono ai tanti già evidenziati. I turni di lavoro, seppure con grande difficoltà, vengono comunque coperti in regolarmente. I riposi, anche. Con l’arrivo dei nuovi agenti di polizia penitenziaria, si spera, le cose dovrebbero migliorare un po’.

Ivrea: Cisl; il carcere sovraffollato e non sicuro per gli agenti

 

La Sentinella, 14 agosto 2009

 

Dopo la protesta dei cinque detenuti marocchini e algerini e il ferimento di alcuni agenti di polizia penitenziaria, la Cisl-Fns prende posizione su quello che è accaduto nella casa circondariale di Ivrea. I fatti sono quelli di martedì 4 agosto, quando i detenuti, armati di lametta, hanno minacciato di procurarsi lesioni se non fossero stati immediatamente trasferiti in altro istituto.

"La grave situazione degli istituti penitenziari del Piemonte - spiega Angelo Venuti, segretario generale della Cisl-Fns (Federazione nazionale della sicurezza) del Piemonte - è sotto gli occhi di tutti. Quanto successo ad Ivrea è la dimostrazione delle preoccupanti condizioni in cui è costretto ad operare il personale. "È mia intenzione - prosegue Venuti chiedere al Provveditore regionale Aldo Fabuozzi - il posticipo della riapertura del secondo piano del reparto detentivo di Ivrea, previsto per settembre, attualmente chiuso per ristrutturazione. Questo fin quando non vi saranno le garanzie per condizioni lavorative idonee e sicure - conclude Venuti. L’istituto è predisposto per una capienza di 150 posti e ad oggi sono presenti 265 detenuti mentre l’organico del personale è carente di 70 unità".

Lucca: la Provincia aderisce al progetto "Colmare le distanze"

 

In Toscana, 14 agosto 2009

 

Misure correttive e non solo punitive. Questa è la parola d’ordine della Provincia di Lucca che ha aderito al progetto "Colmare le distanze", realizzato dalla Regione Toscana e che mira, appunto, al recupero in ambito carcerario.

Integrazione, reinserimento sociale e lavorativo, misure correttive non solo punitive. Sono questi i termini che sono alla base del progetto denominato "Colmare le distanze" che l’assessore provinciale alle politiche sociali Mario Regoli indica come esempio virtuoso nell’ambito dell’attività di recupero carceraria.

Intervenuto nei giorni scorsi in occasione della protesta dei detenuti del carcere di S. Giorgio di Lucca, in cui aveva puntato il dito contro gli effetti della Legge Cirielli e la scarsità di iniziative dedicate all’inserimento degli ex detenuti in Italia, l’assessore Regoli sottolinea che "Colmare le distanze è un’occasione importante per l’integrazione sociale e lavorativa: un progetto sperimentale che riguarda 17 detenuti ed ex carcerati dei territori di Lucca e Pisa".

La Provincia di Lucca è partner del progetto insieme con l’amministrazione provinciale di Pisa (capofila), con le Case circondariali dei due capoluoghi e di Volterra, l’Ufficio di esecuzione penale esterna di Pisa e Lucca, l’associazione Centro Oltre il muro, la coop. "La Mongolfiera" e le Società della salute dell’area pisana e dell’alta Val di Cecina. Finanziato dalla Regione Toscana e, in parte, anche dalla Provincia di Lucca, il progetto prevede la riapertura e la riattivazione degli sportelli lavoro nelle carceri.

L’amministrazione provinciale di Lucca si è affidata ai Centri per l’impiego del territorio per curare questo servizio che, in sostanza, prevede un tirocinio formativo di 5 mesi per i soggetti interessati e individuati dall’equipe pedagogica delle carceri e dell’Uepe e, successivamente, accompagnati dal tutor del Centri per l’impiego che elaborano il loro bilancio delle competenze e l’attività di orientamento lavorativo. Da sottolineare che possono beneficiare di questi tirocini formativi tutte le aziende delle province di Lucca e Pisa senza sostenere alcun costo.

"I vantaggi di Colmare le distanze sono molteplici - dichiara l’assessore Mario Regoli - si va dalla grande motivazione della persona alla concreta opportunità di reinserimento nella vita sociale. È importante superare gli ostacoli burocratici che rendono difficoltosa la possibilità di utilizzare a pieno questa opportunità. E vanno ringraziate le aziende che si rendono disponibili ad accogliere i tirocinanti, facendo così un salto di qualità nell’ambito del tema della responsabilità sociale d’impresa".

Ma "Colmare le distanze" - la cui esperienza si concluderà nel marzo del 2010 - non è la sola iniziativa legata ai problemi di inclusione sociale e reinserimento lavorativo nell’ambito della detenzione a cui partecipa la Provincia di Lucca. L’ente di Palazzo Ducale, infatti, è tra i firmatari di un altro importante protocollo, siglato lo scorso 3 dicembre, insieme con numerosi altri soggetti pubblici e privati del territorio. Un accordo che impegna i partner ad erogare ai destinatari delle politiche di inclusione sociale, i servizi istituzionali di orientamento, a favorire l’accesso a percorsi mirati di inserimento (stage, tirocini, borse lavoro), nonché a fornire consulenza e collaborazione nei progetti che gli altri soggetti effettueranno, nell’ambito di politiche del lavoro rivolte allo svantaggio sociale.

Immigrazione: 14 arresti per la rivolta notturna a Cie di Milano

 

Agi, 14 agosto 2009

 

È definitivo il bilancio della rivolta avvenuta ieri sera al Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Milano: 11 contusi fra polizia e carabinieri e 14 arresti. In attesa del processo per direttissima le persone fermate, che sono quattro cittadine nigeriane, una del Gambia, quattro uomini marocchini, tre algerini, uno della Costa d’Avorio e uno nato in Portogallo, sono stati accusati di violenza e resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento aggravato e incendio doloso.

Dopo le 19 di ieri, infatti, appena si era sparsa la notizia che a 15 trattenuti era stato notificato il decreto di prolungamento di permanenza al Cie, in un settore maschile hanno dato il via a questa rivolta ammucchiando suppellettili e materassi e dando loro fuoco. La protesta si è poi espansa a un settore femminile e ad un altro settore maschile, dove sono stati incendiati cuscini e suppellettili. Nel primo settore in cui era scoppiata la rivolta alcuni detenuti hanno poi divelto dei termosifoni, che sono stati usati per rompere vetri e panchine di cemento, i cui frammenti sono stati poi lanciati contro le forze dell’ordine e i tetti di altri settori.

Immigrazione: i detenuti di Via Corelli rispondono con la lotta

 

www.socialpress.it, 14 agosto 2009

 

Il "pacchetto sicurezza" è entrato definitivamente in vigore l’8 agosto e i suoi effetti cominciano da subito a farsi sentire. Nonostante sia evidente che molti nodi restano da sciogliere (per esempio sulla regolarizzazione delle badanti, così come sulla costituzione delle ronde), le forze dell’ordine lavorano a pieno ritmo con arresti e deportazioni un po’ ovunque.

Di fronte a questa situazione, e nella prospettiva di trascorrere ben sei mesi dentro quei moderni lager che vanno sotto il nome di Cie (ex-Cpt), i detenuti di via Corelli tornano ad esprimere la loro protesta collettiva. Nei giorni scorsi molti detenuti sono entrati in sciopero della fame (e, per tre giorni, anche della sete) dando un segnale di lotta che è stato raccolto prima da Ponte Galeria (Roma) e poi da Gradisca (Gorizia).

Non è certo la prima volta che i Cie/Cpt si infiammano di fronte alle condizioni di vita disumane, alle angherie compiute da poliziotti e degli operatori della Croce Rossa, ma soprattutto di fronte ad una immotivata e inaccettabile negazione della propria libertà. Ma c’è una novità che va salutata e segnalata con forza: i detenuti finalmente cominciano ad essere in grado organizzarsi politicamente, lanciando appelli decisi collettivamente, traducendoli in più lingue e gestendo direttamente il rapporto con i mass-media (a questo indirizzo internet puoi ascoltare le interviste: www.macerie.org).

A noi, a tutti gli antirazzisti paladini della libertà e della giustizia, non resta che amplificare la loro voce e impegnarci a fondo per non lasciarli soli a combattere una battaglia che ci riguarda tutti. Raccogliamo l’appello alla mobilitazione dei detenuti dando loro un sostegno concreto, rafforzando la presenza sotto il Cie di via Corelli. In particolare è importante far arrivare bevande direttamente al Cie, dato che l’acqua gli viene praticamente negata dai cosiddetti "operatori umanitari" della Cri ed è disponibile solo a pagamento. Tutti gli interessati sono invitati a prendere contatto con il comitato per la consegna collettiva delle bevande

 

Comitato Antirazzista Milanese

Gran Bretagna: 513 bambini detenuti; il 30% senza reati gravi

 

Internazionale, 14 agosto 2009

 

In Inghilterra il 2008 è stato l’anno dell’emergenza criminalità giovanile. Ma se il governo aveva pensato di risolverla con le maniere forti, ora affiorano i primi problemi: 170 bambini sono in carcere ingiustamente. Secondo l’associazione Barnardòs, in Inghilterra e in Galles un terzo dei minori tra i 12 e i 14 anni che sono in prigione (in totale sono 513) non hanno commesso reati gravi. Metà di loro ha subito abusi, un terzo vive con un pregiudicato e un terzo ha assistito a episodi di violenza familiare, scrive l’Independent.

Visto che nel paese l’età della punibilità è stata abbassata a 10 anni (in Scozia a otto), ora alcuni chiedono che sia specificato che la detenzione sia limitata a chi commette reati gravi come l’omicidio o a chi ripete il reato. Quello che è certo è che in Inghilterra e nel Galles sono detenuti circa 2.900 ragazzi tra i 10 e i 17 anni. Un numero altissimo, superato in Europa solo dall’Ucraina.

India: viaggio parenti di Angelo Falcone pagato dalla provincia

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 14 agosto 2009

 

Giovanni Falcone, padre di Angelo, detenuto in India dal 9 marzo 2007, con l’amico Simone Nobili, con l’accusa di traffico di stupefacenti, è apparso rinfrancato dopo la "Giornata dei diritti umani ricordando Angelo Falcone" organizzata dal Comune di Matera. Nel corso del dibattito, cui hanno preso parte il consigliere regionale Antonio Di Sanza, i segretari regionali dell’Idv, Michele Radice, e dei Radicali, Maurizio Bolognetti, il presidente della Provincia, Franco Stella, il consigliere provinciale Serafino Di Sanza, il sindaco Vincenzo Francomano, l’ex sindaco Vito Agresti, è venuta fuori una notizia che per la famiglia è importantissima.

Dal 20 al 27 settembre, Giovanni, la moglie (da cui è separato) Silvy e la figlia Denise, voleranno in India per riabbracciare Angelo. È stato questo stesso padre angosciato ad annunciarlo: "Debbo ringraziare il presidente Stella che, a titolo personale, si è assunto l’onere di viaggio e soggiorno. È rimasto incredulo quando ha saputo che Silvy e Denise non abbracciavano il figlio ed il fratello dal 9 marzo di 2 anni fa".

La Provincia, però, si muoverà anche in forma istituzionale organizzando un convegno sul rispetto dei diritti umani nel mondo e per la tutela dei 3 mila connazionali detenuti, spesso i condizioni estreme, in carceri straniere. Ma, al battagliero Giovanni non basta: "A settembre chiederò una commissione parlamentare di inchiesta su ambasciate e consolati per capire come funzionano. E spero che il sen. lucano Guido Viceconte, vicepresidente della Commissione diritti umani, mi riceva dopo tante sollecitazioni". Intanto, si attendono il parere del ministero della Giustizia sulla proposta dell’on. Elisabetta Zamparutti sulla possibilità di espiare in Italia le pene per gli italiani condannati in Stati esteri ed il processo di appello in India.

 

Sulla vicenda è sceso un silenzio intollerabile

 

"Sono in prima fila, come cittadino e come presidente della Provincia di Matera, al fianco di Giovanni Falcone e della famiglia perché Angelo non rimanga un giorno di più nelle carceri dell’India". Impegni forti quelli assunti da Franco Stella, sul "Caso Falcone", nel corso della "Giornata dei diritti umani ricordando Angelo Falcone". "La Costituzione italiana, e le Leggi e le Convenzioni internazionali che regolano la materia dei diritti umani e civili - ha concluso Stella - ci impongono di risolvere definitivamente la questione. Il rispetto e la dignità, l’onore e la libertà, sono beni che vanno tutelati e difesi. Sulla vicenda è sceso un silenzio intollerabile".

 

 

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