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Giustizia: criminalità finanziaria impunita, in carcere i poveri di Monello Mancini
Il Sole 24 Ore, 30 settembre 2008
"Usciamo dall’equivoco: le alternative al carcere non sono buonismo, ma risposte realistiche a una situazione in cui è saltata la certezza della pena". Luciano Eusebi, docente di diritto penale alla Cattolica di Piacenza spiega: "Il crimine vero, quello organizzato, o di tipo economico, agisce per denaro. E allora le misure più efficaci sono quelle che colpiscono il portafogli: pena pecuniaria, sequestro dei beni, interdizione alle attività economiche. Non lo spauracchio di una carcerazione che non verrà mai". Tre protagonisti della scena giuridica nazionale - Eusebi, il consigliere di Cassazione Piercamillo Davigo e l’avvocato dei grandi processi, Franco Coppi - si sono confrontati ieri a Piacenza sul significato e il valore reale della pena nella nostra giurisdizione. Eusebi ha sottolineato con passione l’importanza delle politiche di prevenzione, che però in Italia non vengono attuate: "Una politica seria contro gli offshore impedirebbe riciclaggio ed evasione fiscale. Ma non viene fatta ed ecco i processi lunghissimi, le rogatorie senza risposta, le ricerche bancarie inconcludenti. E i colpevoli la fanno franca". Piercamillo Davigo, già protagonista della stagione di Mani Pulite, spiega con efficacia le radici di un sistema giudiziario malato: "Uno dei reati odiosi commessi è lo scippo alla vecchietta che ha appena ritirato la pensione. Il giovane romeno che le ruba la borsetta rischia sei anni di carcere. Però, difficilmente in quella borsetta il romeno troverà i risparmi di una vita. Se, invece, la nonnina ha investito tutto in azioni Parmalat, chi azzera il valore di quelle azioni con una bancarotta, l’ha rovinata, le ha rubato tutto. Mi chiedo: chi ha commesso il reato più grave? Tanzi o il rumeno? E cosa rischia Tanzi? Praticamente nulla: il nostro è un sistema ormai in tilt, dobbiamo riconoscerlo". "Sì, la nostra è una legislazione schizofrenica", ha concordato Coppi, pur scettico su ipotesi generalizzate di recupero dei delinquenti. "Non saprei come definire diversamente una norma che punisce la bancarotta con un massimo di tre anni di reclusione e lo scippo con sei. È chiaro che c’è una valutazione distorta degli effetti di un reato". Lo stesso avvocato Coppi ha tenuto a ribadire: "Se esistono legali che non si difendono nel processo ma giocano a prolungarlo o farlo saltare per evitare la pena, non sono avvocati degni di questo nome". Il problema è dunque di legislazione - "le carceri sono piene di tossicodipendenti e di immigrati irregolari", ha sottolineato Davigo - e di procedure processuali: "Va ripensato anche il rito accusatorio", ha detto Coppi. "Mi chiedo che senso abbia ripetere in aula tutto quanto è già nelle carte dell’istruttoria, in una situazione in cui avvocati e Pm sanno già tutto e il solo ignaro è il giudice". La pena-carcere non è una soluzione, tutti d’accordo: non rieduca né reinserisce chi la sconta, non viene nemmeno considerata per i reati più gravi e complessi, perché non arriva "o arriva dopo un decennio o più, quando il senso della pena è ormai inutile o smarrito", ha concluso Coppi. Giustizia: non c’è sicurezza se manca la "certezza della legge" di Michel Maffessoli (Sociologo)
Il Centro, 30 settembre 2008
Convivenza, criminalità, sicurezza, tutela dei valori fondamentali, non possono essere affrontati rincorrendo gli eventi, magari enfatizzati dall’industria della comunicazione per suo tornaconto, oppure perché incalzati da interessi e convenienze o spinti dall’umore del momento e trovare risposte in provvedimenti e rimedi precari e frettolosi. Sono condizioni che richiedono previsione, lungimiranza, analisi profonda del fenomeno, studio accurato dei bisogni, dei diritti e doveri, confronto. Sono aspetti essenziali che riguardano la struttura della società ed i rapporti interni che vanno regolamentati e posti alla base dell’organizzazione generale. Naturalmente, considerando la dinamica e la evoluzione sociale, è necessario tenere sotto controllo i cambiamenti, i rapporti, le necessità e prevenire intervenendo urgentemente tarando le leggi alle nuove condizioni. Per i casi di assoluta imprevedibilità, vi saranno, in modo eccezionale e provvisorio, i provvedimenti di urgenza, per poi razionalizzarli ed integrarli ai provvedimenti principali. Non si possono, dunque, assumere iniziative su temi che attengono i valori fondamentali in maniera improvvisata e raffazzonata solo per acquietare e mostrare. Su tali questioni non può esserci una legislazione che consenta alternativa fra perdonare e punire secondo gli umori della gente o interessi politici o di altra natura. Non è normale che lo Stato o la magistratura intervengano sull’onda della rabbia e della emotività. Lo Stato è tenuto a predisporre leggi e regolamenti chiari per disciplinare la convivenza civile, prevenire, vigilare, punire casi di intolleranza ed illegalità e provvedere affinché vi siano mezzi e condizioni perché tutto possa funzionare ed essere realizzato. Deve assumere, insomma, provvedimenti chiari, seri, decisi, sostanziali, risolutivi, senza faziosità e senza dare possibilità di sgattaiolare lungo i meandri delle interpretazioni soggettive. La magistratura, invece, deve applicare le leggi con serenità ed obiettività, rispondere alla propria coscienza del suo operato senza condizionamenti e timori di impopolarità, rifuggendo da ogni tentazione di protagonismo. La questione non sta nell’inasprire le pene o aumentare le sanzioni amministrative, comunque sempre utile, perché chi è avvezzo a trasgredire non si spaventa per una multa più alta. Si tratta, invece, inizialmente di attrezzarsi per acciuffare i delinquenti e poi, molto più importante, di dover concretamente dimostrare ad essi che chi non rispetta le leggi, certamente viene sanzionato adeguatamente, in modo esemplare, che certamente sconterà la giusta pena. C’è dunque l’urgenza e la necessità di introdurre provvedimenti radicali capaci di garantire la certezza della pena, valutando eventualmente anche l’ipotesi di decidere pene più contenute ma esemplari e da scontare sicuramente, anziché punizioni apparentemente forti ma teoriche, aleatorie, ipotetiche, senza concrete conseguenze per effetto di scappatoie e cavilli che permettono di schivare ogni possibilità punitiva e fanno crescere la certezza dell’impunità. Vedere continuamente delinquenti che entrano ed escono dalle carceri, pronti nuovamente a commettere reati beffeggiando chi li ha presi e chi ha subito i misfatti è avvilente, preoccupante ed irritante. Non si risolve il problema della criminalità e della delinquenza spostando il discorso sull’origine o l’etnia di chi trasgredisce, su timori di ipotetici sentimenti di odio, xenofobia o sul perché si delinque; è deviante perché tali temi, altrettanto importanti, legati alla immigrazione, integrazione e convivenza, pur se confluenti, richiedono approfondimenti e provvedimenti di tutt’altra natura. Naturalmente è difficile contemperare l’esigenza di strumenti fermi, efficaci e rapidi con la bontà umana e cristiana, ma lo Stato ha il compito di tutelare i cittadini dalle illegalità, dare sicurezza e garantire la convivenza civile. ciò che la popolazione da esso si aspetta. Giustizia: solo il "mercato" dei giustizieri non conosce mai crisi di Massimo Gramellini
La Stampa, 30 settembre 2008
Com’è la vita vista dalle telecamere interne di un supermarket? Più o meno così: due ragazzi di Padova accusati di aver rubato vengono aggrediti dal magazziniere, che ne afferra uno per il collo e lo sbatte sopra la cassa per riempirlo di sberle mentre i clienti continuano a cercare offerte fra gli scaffali. Ai ladri siamo abituati. Agli indifferenti anche. È l’ira dei giustizieri il vero salto di qualità. La prima ad accorgersene è stata la fiction televisiva con Dexter, il serial killer che fa secchi gli assassini impuniti. È diventato un idolo, l’erede universale del "Giustiziere della notte" e del "Borghese piccolo piccolo". Il milanese di colore che rubava biscotti non è stato ucciso in quanto nero, ma perché rubava biscotti: ci si è buttati sul razzismo per non dover ammettere che la verità fa persino più paura. Naturalmente non tutti aggrediscono il primo mascalzoncello che passa. Ciascuno reagisce in base all’indole. Lo Stato è nato proprio per tenere a bada i maneschi e gli iracondi. Oggi si sta spappolando perché ha perso la forza della legge, al cui posto è cresciuta una percezione diffusa di impunità. Impuniti il ladruncolo e lo spacciatore, ma impuniti anche l’onorevole di Montecitorio e il manager di Wall Street, la cui bramosia non frenata da regole ha prodotto il già tristemente mitico Duemilaotto, che passerà alla storia della finanza creativa come il Quarantotto a quella delle monarchie assolute. Per questo chi chiede più Stato per le strade e in economia non è un nostalgico dell’autoritarismo ma dell’autorevolezza, che è ben altra cosa. Giustizia: lo stop al lodo Alfano, vuole dire la fine del dialogo di Daniele Memola
L’Opinione, 30 settembre 2008
Nella settimana appena conclusasi, dalle pagine di questo giornale avevamo lanciato un appello alla politica per porre fine alle inutili diatribe che soffocano, come in una morsa, i ripetuti quanto inefficaci tentativi di porre seriamente mano ai tanti mali che affliggono la macchina giustizia. Speravamo, insieme a tutti gli italiani che i timidi segnali post convegno Udc e la volontà "dialogante" del Guardasigilli Alfano potesse almeno costituire un primo via libera, seppur con i rischi della cosiddetta "riforma a pacchetti" che piace tanto alle libere professioni, ingranaggio fondamentale per oliare la "macchina". Se il civile è al collasso (582 giorni per una pronuncia di divorzio, 696 per una vertenza di licenziamento, 1210 giorni per un procedimento per inadempimento tanto per fare qualche esempio), anche il penale soffre, e tanto. La recente indagine Eurispes -Unione Camere penali è un altro pugno in faccia bello dritto al "politichese-politicante" cui stiamo assistendo in questi giorni. Ogni giorno nel nostro Paese, su 100 processi il 69,3% viene rinviato e solo il 29,5% va a sentenza ossia tre processi penali su quattro iniziano già con un rinvio. I motivi sono da far ridere i palati più raffinati di chi nella giustizia ci sguazza e impallidire chi la giustizia la cerca da tempo: perché è assente il giudice titolare (12.4%), perché viene omessa o fatta male la notifica all’imputato (9,4%), alla persona offesa (1,3%) e al difensore (0,9%), perché manca l’Aula, il trascrittore o il fascicolo del Pm (6,8%). E non è un caso se la durata media di un’udienza si riduca a un teatrino di figuranti con i suoi 18 minuti davanti al giudice monocratico e i "ben" 52 del collegiale. Tanto si parte già "rinviando" (ogni rinvio costa in media 139 giorni per i procedimenti penali che si svolgono in aula monocratica e di 117 giorni per quelli dibattuti davanti al collegio). Se a ciò si aggiunge che, tra un rinvio e l’altro, sono tre milioni i processi civili pendenti e cinque quelli penali, è che lo Stato (quindi tutti noi), continua a pagare per l’eccessiva durata dei processi fior di quattrini (41,5 milioni di euro dal 2002 al 2006) è facile tirare le somme. Allora, si vuol partire dal settore civile, con i filtri per i ricorsi in Cassazione (50 mila all’anno)? lo si faccia, ma attenti a non scaricare tutto il fardello sulle Corti d’appello; si vogliono separare le carriere di Pm e giudice o pensare a un nuovo Csm? Bene, ma non ci si dimentichi che la Costituzione non è un rotolo di carta igienica, i suoi principi sono lì a far da guida. Si è d’accordo sulla depenalizzazione dei reati minori e su pene alternative alla detenzione per "far respirare" le carceri? Si vada avanti uniti come per impedire che le intercettazioni travolgano tutti sui giornali (non punendo i giornalisti, ma chi il fascicolo lo fa uscire dalla procura). Giusto processo e durata ragionevole non sono comodi spot che si prestano al processo, quello sì, delle buone intenzioni. Alla Commissione Affari costituzionali si sta lavorando sul processo sommario per cognizione, a sentenze più snelle e sintetiche, a super giudici di pace e a meno rinvii alla prima udienza. Con la riforma dell’ordinamento giudiziario si vuole introdurre il parametro della produttività per la progressione in carriera delle toghe (Alfano ha fornito la scorsa settimana il quadro delle azioni disciplinari nei confronti dei magistrati che nei primi 6 mesi del 2008 sono state13. I ritardi contestati nel 2008 oscillano tra i 300 e i 700 giorni mentre per le sentenze penali vanno al di là dei 500 giorni). Speravamo si diceva, ma ci siamo illusi ancora una volta. Da Milano arriva il no all’applicabilità del Lodo Alfano (approvato dalla maggioranza lo scorso 22 luglio) è si ripiomba nel caos. Alla Corte presieduta da Edoardo d’Avossa, viene detto che il Lodo dovrà passare prima il vaglio della Consulta per essere applicato. A rischio sarebbero le norme fondamentali in materia di obbligatorietà della legge penale e della ragionevole durata del processo. Ma pensa, gli stessi principi che tutti volevano tutelare una settimana fa, quando in queste pagine lanciammo l’appello pro giustizia. E ora? A parte le firme per il referendum dell’Idv e la Piazza Navona-bis dell’11 ottobre? Il processo Mills è stato sospeso (per il verdetto bisognerà aspettare la primavera del 2009), Angelino torna alla carica per difendere il "suo" Lodo, l’Anm sghignazza a denti stretti e Napolitano lanciando un sospiro di sconforto riprende a parlare di "riforme condivise". Siamo tornati velocemente all’incomunicabilità tra i politici stessi e tra questi e la magistratura. Per adesso le riforme passano in secondo piano. Meglio scannarsi su processo Berlusconi-Mills e Lodo Consolo (quello per l’immunità ai ministri) per fortuna rientrato dal blitz parlamentare a breve giro di posta. Si torna alle chiacchiere da bar, seppur di "bouvette", con buona pace dei "tempi ragionevoli" e di accesso alla giustizia. Altro che dialogo sperato. I lettori ci perdonino, Facciamo pubblica ammenda. Avevamo titolato la scorsa settimana: "Giustizia, è ora di provarci". Giustizia: Ghedini; il nuovo Csm non sarà presieduto dal Colle di Francesco Grignetti
La Stampa, 30 settembre 2008
"Sarà una "rivoluzione" e verrà nonostante tutto. "Il centrodestra ha la voglia e la forza di fare la riforma". L’avvocato-deputato Niccolò Ghedini non si nasconde la portata dirompente di quanto il centrodestra sta mettendo in cantiere sul fronte della giustizia. Non bastava il Lodo Alfano. Sono in arrivo: separazione delle carriere, sdoppiamento del Csm, picconata all’obbligatorietà dell’azione penale tramite le "priorità" indicate da governo e Parlamento, ridimensionamento delle intercettazioni, autonomia della polizia giudiziaria, forse anche eleggibilità dei giudici onorari. "Tra breve, i testi. Entro Natale auspico che almeno un ramo del Parlamento abbia approvato la riforma del Consiglio superiore della magistratura. Sarà il primo passo per la separazione delle carriere".
Ghedini, ci racconti il Csm che verrà. "Prevediamo due Consigli superiori della magistratura. Uno per le funzioni inquirenti e l’altro per la giudicante. Ciascuno con la sua sezione disciplinare. Modificati anche nella composizione: un terzo dei membri scelto dai magistrati, un terzo dal Parlamento, un terzo dal Quirinale. Come è per la Corte costituzionale".
E chi li presiederà? "Difficilmente il Capo dello Stato potrebbe continuare a presiedere un Csm, o entrambi, considerando che nomina un terzo dei membri. Di nuovo, dovremo prendere a modello la Consulta che elegge da sé il suo presidente".
Se però i pm dovranno scegliere chi li rappresenta in un Csm e i magistrati per l’altro, è implicita una separazione delle carriere. "Certo, la separazione diventerebbe un fatto automatico. A quel punto sarebbe più facile tornare alla primigenia riforma Castelli dell’ordinamento giudiziario".
Addio riforma Mastella, dunque. "Oggi è prevista una blanda separazione delle funzioni. Noi invece vogliamo una separazione netta con concorsi separati".
Berlusconi li chiama già "avvocati dell’accusa". "Guardi, il problema è dividere le mentalità più che le persone. Noi vediamo troppi giudici appiattiti sulle posizioni della pubblica accusa. Altro che unitarietà della giurisdizione, come dice l’Anm. Qui c’è l’unitarietà dell’inquisizione".
Volete anche dare autonomia alla polizia giudiziaria, tornando alla situazione precedente il nuovo codice del 1989. "Molti si sono dimenticati di come lavorava la polizia giudiziaria prima dell’89. Era come adesso, ma con la possibilità di svolgere in più un’attività di indagine autonoma. Non si tratta di fare uno Stato di polizia oppure di mettere sotto il controllo dell’Esecutivo la polizia giudiziaria contro i magistrati. E comunque non credo che le forze di polizia meritino tanta diffidenza".
Volete mettere mano anche alla Corte costituzionale? "Nossignore. Non crediamo che ci sia necessità di alcun intervento. Ovviamente, essendo composta di uomini, risente anch’essa di orientamenti politici. A parte però qualche polemica, in questi cinquanta anni ha svolto un ruolo meritorio".
Ghedini, non neghi che circola molta diffidenza nel centrodestra ora che la Consulta si appresta a esaminare il Lodo Alfano. "La diffidenza non è per la Corte costituzionale, ma per certa magistratura che vorrebbe vedere Silvio Berlusconi sempre nelle aule di giustizia anziché ad occuparsi dei rifiuti di Napoli o dell’Alitalia. E comunque sono convinto che la Corte riterrà il Lodo aderente al dettato costituzionale".
Sulla strada della separazione delle carriere, arriverete al modello americano, dove i procuratori sono eletti? "Non penso. Il nostro procuratore rimarrà indipendente, accederà alla carriera per concorso, avrà meccanismi di tutela e di carriera svincolati dal potere politico. Al limite, si potrebbe pensare all’eleggibilità degli attuali giudici di pace. Magari estendendo i loro compiti, allargando la platea di reati di cui si occupano, quelli di minore peso, ma che preoccupano di più i cittadini. D’altra parte, già oggi la magistratura onoraria è altra cosa da quella togata". Giustizia: Alfano; critiche dall’Anm, si rischia scontro sociale
Apcom, 30 settembre 2008
Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, non gradisce affatto le continue critiche che, dice, "vengono sollevate dall’Anm" nei confronti di ogni atto che Governo e Parlamento compiono in materia di giustizia. Per questo, intervenendo a un convegno sul tema a Roma organizzato dai Radicali, fa notare che, con questo atteggiamento, "la magistratura tenta di avocare la sovranità del Parlamento". "Anzi - prosegue il ministro - a volte c’è la tendenza addirittura a sostituirsi al Parlamento. Di questo passo si rischia lo scontro sociale". Il ministro, ripercorrendo, anche con lo stesso lessico, il discorso tenuto al congresso dei penalisti venerdì scorso, ha quindi ribadito la primazia della politica. "Le leggi - ha ricordato Alfano - le fa il Parlamento, che è espressione del popolo sovrano, lo stesso popolo sovrano in nome del quale la magistratura emette sentenza". Per questo, il Guardasigilli ha invitato a non fare confusione fra i ruoli e ha ribadito la necessità che "ognuno faccia il suo mestiere". Alfano ha ribadito che la maggioranza e il governo non hanno "nulla contro autonomia e indipendenza della magistratura" e che non c’è nessuna intenzione di sottomettere il pm al potere esecutivo. Eppure, per Alfano è necessario sciogliere il nodo dell’obbligatorietà dell’azione penale e riformare il sistema, perché così come è "non funziona". Per ora, "ma si tratta soltanto di un’ipotesi allo studio", la bilancia del governo tende verso il "non lasciare la scelta di quali crimini perseguire prioritariamente all’iniziativa del singolo pm, ma occorre qualcuno che indichi delle priorità: noi - sostiene il ministro - abbiamo pensato che a indicarle possa essere il Parlamento". Infine, Alfano ha ribadito la necessità di una riforma che investa anche il Consiglio superiore della magistratura, che ultimamente "va un po’ più in là rispetto alle prerogative consentitegli dall’articolo 105 della Costituzione". Insomma, per Alfano, in materia di giustizia, bisogna essere "riformisti. Non so - ha concluso - come si fa ad avere un approccio a questo problema con una visione ultraconservatrice. Se si è conservatori sulla giustizia si fa un danno all’Italia e agli italiani". Giustizia: Veltroni; l'attacco alla magistratura è inammissibile
Adnkronos, 30 settembre 2008
L’attacco del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al giudice Nicoletta Gandus è "inammissibile" perché denota una "mancanza di senso delle istituzioni" testimoniato anche dal messaggio lanciato dal premier nei confronti della Corte Costituzionale, chiamata a esprimere un parere sulla legittimità del lodo Alfano. Il tema-giustizia tiene banco nel discorso con cui il segretario del Pd Walter Veltroni ha chiuso il seminario del gruppo al Senato che si è svolto ieri e oggi a Frascati. "Berlusconi ha aggredito, citandola per nome e per cognome, un magistrato chiamato a giudicarlo e pensate a cosa ha detto in questi giorni sulla Corte Costituzionale". Tutto ciò è "inammissibile", aggiunge Veltroni secondo il quale "tutto quello che non è nella volontà del gruppo di potere che governa il Paese, è una cosa da combattere". Giustizia: Radicali; prescrizioni in calo, la ex-Cirielli non pesa di Giovanni Negri
Il Sole 24 Ore, 30 settembre 2008
Sorpresa: la legge ex Cirielli non ha prodotto un aumento delle prescrizioni. Anzi, i dati segnalano un calo da 156.820 del 2006 a 144.047 del 2007. Lo ha annunciato a Parma, al congresso dell’Unione delle Camere Penali, Rita Bernardini, Deputato radicale eletto nelle liste del Pd e componente della commissione Giustizia. Certo, le informazioni fornite dal ministero della Giustizia sono ancora parzialmente incomplete ma la linea di tendenza non è certo quella di un’esplosione delle prescrizioni come in un primo tempo, nella polemica politica che accompagnò la riscrittura dei termini (oggi pari al massimo della pena edittale), si era sottolineato. Resta elevato (116.207 per il 2007) il numero dei decreti di archiviazione pronunciati nella fase delle indagini preliminari, senza cioè che il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale. Soltanto 27.840, poi, le prescrizioni pronunciate nel corso dell’udienza preliminare e durante il primo grado e appello. Una situazione che - ha sottolineato Bernardini - "fa giustizia delle polemiche sulle tattiche dilatorie dei difensori. Si tratta invece di prescrizioni maturate tutte sugli scaffali dei Pm per notizie di reato non infondate in una fase in cui l’attività difensiva è statisticamente pari a zero". Nel corso della giornata, da parte della maggioranza con l’intervento del vice capogruppo del Pdl al Senato, Gaetano Quagliarello, è stata ribadita la volontà di procedere a una serie di interventi ampia e radicale sulla giustizia penale, dalla riforma del Csm alla separazione delle carriere a una ridefinizione dell’organizzazione degli uffici e di alcuni passaggi della procedura. Tutte soluzioni gradite agli avvocati. Che hanno apprezzato, forse fin troppo. Tanto da spingere il presidente dei penalisti Oreste Dominioni (riconfermato alla guida dell’Unione) ad alcune precisazioni su un sospetto collateralismo degli avvocati nei confronti di questa maggioranza e di questo Governo. "Il Governo - ha spiegato Dominioni - ha semplicemente messo nell’agenda dei futuri interventi quanto le Camere penali chiedevano da anni: una riforma organica della giustizia e tempi, come quello della terzietà del giudice, sul quale ci battiamo da anni. Adesso lo aspettiamo alla prova dei fatti. Vogliamo però continuare a conservare la nostra trasversalità che è garanzia di autonomia e di non appiattimento sulle posizioni di nessuna forza politica". E alle parole del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che aveva annunciato venerdì al congresso di non essere più intenzionato a firmare il concerto sulle nomine negli uffici giudiziari approvate dal Csm nel segno di logiche di corrente, ha replicato ieri Nello Rossi, ex segretario dell’Anm: "Se il Csm non fosse riuscito a fronteggiare l’emergenza di nominare 255 nuovi direttivi in un anno, sarebbe stato bollato come un ente inefficiente e inutile e perciò da riformare. Ma, siccome è riuscito in quest’opera, lo si aggredisce accusandolo di lottizzazione, nonostante il 60% delle nuove nomine sia avvenuto all’unanimità". Giustizia: tagli al personale; l’allarme dell'Anm e dei Sindacati
Agi, 30 settembre 2008
"Un sistema giudiziario che si è andato deteriorando negli anni non può più funzionare a fronte dei tagli delle piante organiche che, secondo la legge 133 del 2008, prevede la riduzione del personale amministrativo dipendente del Ministero della Giustizia. Confidiamo che questa realtà di disagio spinga il legislatore a un ripensamento urgente della materia se vuole che gli uffici giudiziari siano ancora gestibili ed efficienti". L’appello è del pm Paolo Auriemma, presidente della giunta distrettuale di Roma e Lazio dell’Associazione nazionale magistrati presente all’assemblea indetta questa mattina dal personale amministrativo e da tutte le componenti sindacali (Cgil, Uil, Rdb pubblico impiego, Flp, Ugl più vari Comitati di Lotta) riuniti nell’aula magna della corte d’appello della capitale, preoccupati dalle ricadute che il decreto Tremonti avrà sul comparto giustizia. "La riduzione delle piante organiche, oggi in buona parte scoperte (già ci sono 6.791 vacanze su un organico sulla carta di 47384 unità a livello nazionale e ben 837 vacanze solo a Roma su 1.214 nel Lazio), evidenzierà anzitutto un depauperamento delle risorse umane e materiali di un sistema che già non è sufficiente - è l’analisi di Auriemma -. Ciò significa livellamento del personale amministrativo verso il basso con l’assunzione dei precari (che pure già lavorano da dieci anni nel settore ma non sono adeguatamente preparati) e la diminuzione dei posti del personale laureato o più qualificato professionalmente. E significa anche l’impossibilità per il lavoratore di avere motivazioni sapendo che non potrà più beneficiare di scatti di carriera e che continuerà a non godere della riqualificazione di cui si sono giovati altri dipendenti pubblici". Analogo allarme viene anche dai sindacati dei lavoratori: "Non ci saranno nuove assunzioni né progressioni professionali dei dipendenti né ricollocazioni o trasferimenti del personale. Con i tagli previsti delle ultime riforme, la giustizia sarà rappresentata da 34mila lavoratori". Nel mirino dei sindacati i governi degli ultimi dieci anni: "È dal ‘98 che si fanno riforme a costo zero nel comparto giustizia. Da allora sono spariti 10mila posti di lavoro. Se si va avanti così, il tribunali chiudono baracca e i cittadini perdono un loro diritto costituzionale, quello di fare ricorso alla giustizia. E pensare che in altri ministeri questi problemi non esistono e che addirittura nell’ambito dello stesso dicastero della giustizia esistono figli e figliastri visto che al Dap e alla Giustizia minorile i colleghi in servizio hanno un trattamento economico migliore". I sindacati indicano una soluzione che potrebbe aiutare a reperire denaro: "Invece di fare riforme a costo zero, a via Arenula dovrebbero eliminare le spese assurde e incredibili che gravano sul contribuente, denaro che, se recuperato, eviterebbe di ridurre i posti di lavoro". Il confronto con l’Anm - sottolineano - è utile per individuare "soluzioni politiche" e avviare una trattativa con il governo. "È bene - è l’auspicio di Luca Palamara, presidente dell’Anm - che il taglio delle risorse umane e materiali sia oggetto di attenta valutazione da parte del governo. La situazione della giustizia, già grave, rischia di diventare veramente problematica. A che serve parlare di efficienza del processo se poi si prevedono tagli al personale amministrativo?". Dello stesso tenore l’intervento di Giuseppe Cascini, segretario dell’Anm: "Si parla di informatizzazione degli uffici e di processo telematico, realtà, queste, che richiedono la presenza di personale giovane, motivato e preparato. Si deve avere il coraggio di investire nella ricerca e nell’innovazione: e invece si pensa a ridurre la pianta organica del personale amministrativo del 14% con punte del 25-30%. Questo è un modo come un altro per congelare la situazione di sotto organico ed eliminare per il lavoratore ogni prospettiva futura". Giustizia: Osapp; raccolta firme, per chiedere riforma carcere
Il Velino, 30 settembre 2008
"È arrivato il momento che sul problema delle carceri si provveda da soli, presentando noi stessi ed autonomamente iniziative di legge che vadano incontro agli interessi della società". Lo dice il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci che lancia l’ennesimo appello "per una situazione carceraria in costante gravità, a fronte di un silenzio assordante da parte delle istituzioni". "I numeri - spiega - non ci permettono di rimanere fermi, nell’attesa che il governo provveda. Con un record presenze di 56.635 detenuti (dati di ieri), ritornato critico dopo la fase del post-indulto, e con un avvicinamento incalzante alla fatidica soglia delle 63 mila unità, questa classe dirigente si permette ancora di temporeggiare sulle soluzioni da mettere in campo. Per questo motivo e con il proposito di movimentare ulteriormente un quadro politico già di per sé animato su questioni che a noi appaiono non determinanti, più della vita di qualcuno costretto in carcere almeno, inizieremo presto una raccolta di firme. Presenteremo ai presidenti di Camera e Senato un progetto di legge di riforma strutturale di tutto il sistema carcerario, ridefinendo il ruolo del Poliziotto penitenziario alla base del rilancio della funzione riabilitativa che all’istituto di pena è demandata secondo Costituzione". "Lo diciamo a chiare lettere e senza mezzi termini - sottolinea Beneduci - in questo particolare momento di crisi quando anche le organizzazioni di categoria dei cancellieri si mobilitano per i propri diritti, è necessario richiamare tutti noi, e quanti del mondo carcerario sono coinvolti ogni giorno, ad un alto senso di responsabilità a fronte di una politica, invece, troppo intenta a dibattere dei problemi del premier. Un presidente del Consiglio in costante fibrillazione per le sorti del Lodo Alfano. Sfidiamo chiunque abbia in cuore le sorti della Giustizia, con la G maiuscola - sottolinea l’Osapp - a sostenere la tesi contraria, e ad opporsi al fatto che anche il ministro titolare sembra oramai come bloccato, o impegnato su altri fronti, quando la situazione detentiva italiana attuale deve suggerire ben altra solerzia di doveri. Già troppo tempo è passato dall’ultimo provvedimento di riforma, e da come stanno le cose, non vorremmo che questo silenzio assordante ci costringa a rimpiangere anche l’unica legge sul carcere varata negli ultimi cinque anni, quella, appunto, che ha riguardato la sola approvazione dell’indulto. La nostra vuol essere un’iniziativa aperta, al di là di qualsiasi steccato, sappiamo bene che come per il detenuto anche il poliziotto si espone a subire le stesse condizioni, e il problema del sovraffollamento non fa altro che aggravare il disagio". "Se le firme richieste appaiono un traguardo irraggiungibile - precisa l’Osapp -, abbiamo chiara la consapevolezza del compito che ci attende, e non scoraggia una presenza capillare distribuita su tutto il territorio nazionale che conta più di 40 mila uomini e donne della Polizia penitenziaria. Ciò significa che coinvolgendo parenti e amici, e quanti degli operatori legati al mondo che vogliamo testimoniare, saremo senz’altro capaci di andare ben oltre le 50 mila firme che la Costituzione ci richiede. A questo proposito esortiamo tutti alla mobilitazione generale". Giustizia: fondi bloccati, a rischio diritto alla cura dei detenuti
Redattore Sociale - Dire, 30 settembre 2008
Il diritto alla salute dei detenuti rischia di non essere garantito perché il trasferimento delle risorse finanziarie dal ministero della Giustizia alle Regioni è bloccato alla Ragioneria centrale del ministero dell’Economia. È quanto denuncia il direttivo del Forum nazionale per la salute dei detenuti dopo aver preso in esame il percorso di attuazione del Dpcm del 1° aprile 2008 riguardante il trasferimento delle competenze sanitarie dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale. "Immotivati e preoccupanti- spiega il Forum in una nota- i ritardi da parte dei ministeri interessati nell’adozione di alcuni atti amministrativi indispensabili per consentire alle Regioni l’avvio della nuova fase della riforma della sanità penitenziaria prevista a partire dal prossimo 1 ottobre 2008". E al momento, sostiene il Forum, "non è stato approvato per incomprensibili cavilli burocratici" neanche il protocollo d’intesa Stato-Regioni, che deve indicare i contenuti e le forme del coordinamento tra il ministero della Giustizia e il Servizio sanitario, "che doveva essere approvato in Conferenza Stato-Regioni entro 30 giorni dalla data di pubblicazione del Dpcm". Forum lancia quindi "un appello al governo per un pronto adempimento degli atti previsti e un invito a tutti i gruppi parlamentari per una attenta vigilanza nell’applicazione di una legge della Repubblica da parte di tutti i soggetti istituzionali interessati".
Comunicato stampa Forum nazionale per la salute dei detenuti
Il Direttivo del Forum nazionale, riunito in seduta plenaria, ha preso in esame il percorso di attuazione del Dpcm del 1° aprile 2008 riguardante il trasferimento delle competenze sanitarie dal Ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale, rilevando immotivati e preoccupanti ritardi da parte dei Ministeri interessati nella adozione di alcuni atti amministrativi indispensabili per consentire alle Regioni l’avvio della nuova fase della riforma della sanità penitenziaria prevista a partire dal prossimo 1° ottobre 2008. In particolare: 1) alla data odierna, risulta che il trasferimento delle risorse finanziarie dal Ministero della Giustizia alle Regioni italiane è attualmente bloccato alla Ragioneria centrale del Ministero dell’Economia. Poiché il Ministero della Giustizia è impegnato dal Dpcm a provvedere fino al 30 settembre al pagamento degli emolumenti del personale, dal 1° ottobre p.v. le Regioni italiane rischiano di trovarsi in serie difficoltà a far fronte alla spesa per personale in corso di trasferimento con la conseguenza, gravissima, di non poter garantire ai detenuti e agli internati il diritto alla salute riconosciuto dalla Costituzione e dalla legge n. 230/99. 2) il Protocollo d’intesa Stato-Regioni, che deve indicare i contenuti e le forme del coordinamento tra il Ministero della Giustizia e il Servizio sanitario a tutti i livelli istituzionali e che doveva essere approvato in Conferenza Stato-Regioni entro 30 (trenta) giorni dalla data di pubblicazione del Dpcm, al momento non è stato approvato per incomprensibili cavilli burocratici. Il Direttivo del Forum nazionale esprime viva preoccupazione rispetto ai ritardi sui punti sopraccitati e rivolge pressante appello al Governo per un pronto adempimento degli atti previsti e un invito a tutti i Gruppi parlamentari per una attenta vigilanza nell’applicazione di una legge della Repubblica da parte di tutti i soggetti istituzionali interessati. Nel contempo, il Forum nazionale ribadisce l’impegno a: sostenere e vigilare per l’attuazione della riforma della sanità all’interno degli Istituti penitenziari per adulti, Opg rompesi, e per minori;attivare presso le Regioni e le Asl tutte le opportune iniziative volte a verificare l’attuazione concreta dei livelli essenziali di assistenza sanitaria necessari per rispondere alla domanda di salute della popolazione detenuta. Giustizia: disegno di legge; subito i bambini fuori dalle carceri
Ansa, 30 settembre 2008
Oggi in Italia vivono in carcere circa 70 bambini di età inferiore a tre anni, insieme alle loro madri. Figli di donne detenute in attesa di giudizio o in esecuzione di pena: una situazione aberrante e assurda che va al più presto cambiata. Questo accade grazie a norme adottate per evitare il dramma della separazione tra madre detenuta e figlio in tenera età, ma è chiaro che non può essere accettata neanche la situazione che si viene a creare con la detenzione di fatto di piccoli innocenti. Già la legge 40 del 2001, dell’allora ministro Anna Finocchiaro, prospettava una serie di misure per evitare la detenzione all’interno delle carceri alle donne con figli minori di 3 anni (e di conseguenza ai propri bambini), ma questa è stata largamente disapplicata dai giudici e presenta dei limiti nell’accesso ai benefici, soprattutto per chi è in attesa di giudizio. In particolare, le mamme straniere, non avendo spesso un’abitazione dove scontare gli arresti domiciliari, sono costrette a tenere i bambini in carcere. Per risolvere questa situazione si sono fatti diversi tentativi. Una proposta di legge nella scorsa legislatura dell’on. Enrico Buemi (alla quale avevo aggiunto la mia firma), proponeva la creazione di case-famiglia protette, per garantire a queste donne, ma soprattutto ai loro bambini, un ambiente più "umano" rispetto al carcere, dove organizzare la convivenza necessaria tra madre e figlio in tenera età. Con riferimento alla proposta Buemi, con il sen. Marco Perduca ho oggi presentato un disegno di legge. Il punto centrale è la realizzazione di case-famiglia protette, o l’individuazione di strutture analoghe. La madre detenuta potrà accompagnare il figlio al pronto soccorso o in ospedale: è inimmaginabile che un bambino possa "affrontare" da solo situazioni del genere senza sentirsi abbandonato. Per una migliore tutela della sfera psico-affettiva e dello sviluppo del bambino, si stabilisce un nuovo limite di età del figlio (10 e non più 3), per la convivenza con la madre in custodia cautelare o in esecuzione della pena presso una casa-famiglia protetta. Inoltre è affidata al Giudice la discrezionalità per estendere questi provvedimenti anche alle madri di figli con più di 10 anni. Per ricongiungere e assicurare continuità nella formazione del bambino, si prevede un permesso di soggiorno per i figli stranieri di detenute in Italia. Giustizia: Cassazione; chi minaccia bocciatura commette reato
Vita, 30 settembre 2008
Una minaccia del genere sarebbe "idonea ad ingenerare forti timori", andando ad incidere sulla "libertà morale" dell’alunno. Sulla scorta di tale principio la Corte ha confermato una condanna per minaccia aggravata ad un professore che, rivolgendosi a una sua studentessa, le aveva detto che "non aveva più alcuna possibilità di essere promossa". La condanna era stata inizialmente inflitta dal Gup (Giudice dell’Udienza Preliminare) del Tribunale di Vicenza e dalla Corte d’appello di Venezia. Inutile dunque il ricorso in Cassazione del docente per sostenere, a sua discolpa, che prospettare una bocciatura non può considerarsi una minaccia, dato che "l’evento pregiudizievole era comunque indipendente dalla sua volontà, trattandosi di una decisione che avrebbe impegnato l’intero collegio dei docenti". I Giudici hanno ha respinto il ricorso, sottolineando che giustamente è stata ravvisata nella prospettata bocciatura una minaccia, argomentando che "per una studentessa la ingiusta prospettazione di una bocciatura rappresenta una delle peggiori evenienze". In ordine alla difesa del docente, secondo cui la decisione sarebbe spettata al collegio dei docenti, la Corte spiega che "per la sussistenza del reato di cui all’art. 612 c.p. l’idoneità della condotta va valutata secondo un giudizio ex ante, tenendo conto di tutte le circostanze che in base ad un criterio medio possono essere considerate al momento della condotta. L’impossibilità di realizzare il male minacciato non esclude il reato solo se si tratti di impossibilità assoluta, non quando la minaccia sia comunque idonea ad ingenerare un timore nel soggetto passivo". Nella fattispecie è stato riconosciuto che "la minaccia di una ingiusta bocciatura rivolta dal professore fosse idonea ad ingenerare nella studentessa forti timori, incidendo la sua libertà morale". Lazio: Marroni; 5.324 detenuti, siamo vicini alla capienza-limite
Ansa, 30 settembre 2008
"Sono 5.324 i detenuti presenti nelle carceri del Lazio, il 10% totale della popolazione carceraria italiana. Siamo ben al di sopra della capienza giusta e tollerabile delle strutture e poco al di sotto della soglia del limite massimo". Questo l’allarme lanciato stamani dal Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, intervenuto durante una conferenza stampa sui provvedimenti della giunta Marrazzo a sostegno della popolazione carceraria. "La condizione delle carceri del Lazio varia di istituto in istituto - spiega Marroni -. In brutte condizioni, ad esempio, sono gli istituti penitenziari di Cassino e Latina. A Velletri, Frosinone e Viterbo le carceri sono vivibili mentre a Rieti c’è una prigione nuova di zecca ma vuota per mancanza di personale. Civitavecchia, infine, è vivibile ma sovraffollata mentre a Roma la situazione è differenziata". In particolare Rebibbia conta complessivamente 2.039 detenuti così ripartiti: 1.407 nel nuovo Complesso, 258 in Rebibbia I°, 345 nella Casa circondariale femminile e 29 del III° Complesso. Regina Coeli ospita, poi, 952 detenuti seguita, fuori dalla Capitale, da Viterbo (570), Civitavecchia nuovo complesso (452), Frosinone (441), Velletri (364), Cassino (209), Latina (193) Civitavecchia vecchio complesso (50), Rieti (45) e Paliano (43). Lazio: l’istruzione come opportunità di emancipazione sociale
Asca, 30 settembre 2008
"Porterò i vostri saluti, oggi, al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che inaugura il nuovo anno scolastico al Quirinale. Qui si manifesta davvero il significato più profondo dell’istruzione e della formazione come opportunità di emancipazione, di riscatto sociale e di nuovo progetto di vita". È quanto ha dichiarato l’Assessore all’Istruzione della Regione Lazio, Silvia Costa, che, insieme all’Assessore alle Politiche della scuola della Provincia di Roma, Paola Rita Stella, ha inaugurato l’avvio dell’anno scolastico e formativo 2008/09 presso la Casa Circondariale e presso la Casa di reclusione di Civitavecchia. In queste e nelle altre Case di detenzione del Lazio, grazie al progetto Chance, promosso dall’Assessorato regionale Istruzione, sono stati realizzati corsi di istruzione in collaborazione con la rete delle scuole del Lazio, in particolare i Ctp (Centri territoriali permanenti) e corsi di formazione professionale, che hanno coinvolto, in tutta la Regione, circa 1.200 detenuti. "Grazie al progetto Chance, che abbiamo finanziato con 2.500.000 euro, sono stati messi a punto - secondo l’assessore - i corsi e realizzati i laboratori multimediali in entrambe le carceri di Civitavecchia. C’è stato addirittura chi ha chiesto di posticipare "l’ora d’aria" per poter assistere alle lezioni. Nella Casa di Reclusione di via Tarquinia, inoltre, è stato avviato il corso di formazione per pizzaioli, frequentato da 20 allievi. Nella Casa circondariale si trovano 450 detenuti, tra cui 70 definitivi, e nella Casa di Reclusione, un vero modello di sperimentazione, solo 50". "Sulla base della nuova ricognizione dei fabbisogni formativi (che il Lazio, prima Regione in Italia, ha effettuato in tutti i 14 istituti penitenziari in occasione dell’avvio di Chance) intendo riproporre - ha aggiunto Costa - un bando per la formazione dei detenuti. Nella nuova programmazione del Fondo sociale europeo, infatti, sono previste ulteriori attività di formazione, di laboratorio e di inserimento lavorativo. L’Assessorato regionale alla sicurezza, a questo proposito, ha stanziato 750 mila euro per la formazione nelle carceri, ulteriore testimonianza dell’impegno della Regione di garantire pari opportunità formative a tutti i cittadini del Lazio". Piemonte: Giunta si occupa del Servizio sanitario penitenziario
Asca, 30 settembre 2008
Il Documento di programmazione economico-finanziaria regionale (Dpfer) 2009-2011 e l’avvio del servizio sanitario penitenziario sono i principali argomenti trattati dalla Giunta regionale del Piemonte durante la riunione odierna. Il Dpfer, approvato su proposta dell’assessore alla Programmazione, Sergio Conti, per passare all’esame del Consiglio definisce il quadro di riferimento finanziario per la predisposizione dei bilanci pluriennale e annuale, delinea lo scenario socio-economico del Piemonte. Inoltre, presenta un quadro programmatico delle spese costruito per obiettivi strategici, suddividendo le politiche regionali in cinque macro-aree: competitività, welfare, ambiente ed energia, territorio, governance. Per l’avvio del servizio sanitario penitenziario, destinato a soddisfare il bisogno di salute della popolazione detenuta nelle carceri piemontesi, è stato individuato, su proposta dell’assessore Eleonora Artesio, un modello organizzativo di carattere sperimentale che prevede la costituzione di un dipartimento interaziendale per la tutela della salute in carcere e due strutture operative complesse presso le Asl To2 di Torino e di Alessandria. Milano: traduzione è sbagliata, assolto dopo 6 mesi di carcere
Adnkronos, 30 settembre 2008
Era stato arrestato sulla base di accuse fondate sulle dichiarazioni della sua compagna che, secondo il Gup di Milano Giuseppe Gennari, sarebbero state fraintese dai carabinieri a causa dell’assenza di un interprete. È rimasto in carcere per sei mesi sulla base di accuse fondate sulle dichiarazioni della sua compagna che, secondo il gup di Milano Giuseppe Gennari, sarebbero state fraintese dai carabinieri a causa dell’assenza di un interprete. È un filippino 38enne, V.P., il protagonista dell’errore giudiziario. L’uomo è stato arrestato il 3 gennaio scorso per sequestro di persona, maltrattamenti in famiglia e minaccia aggravata dall’uso di un coltello. Reati che avrebbe commesso ai danni della convivente di 39 anni, sua connazionale, e per i quali oggi è stato assolto. A chiamare le forze dell’ordine era stata una vicina di casa della coppia, la cui testimonianza è risultata inattendibile. Il Gup Gennari ha condannato a sei mesi di reclusione l’uomo per il solo reato di violenza privata, assolvendolo, perché il fatto non sussiste, dalle altre accuse e osservando nella motivazione che "questo giudice fatica a spiegarsi come sia stato possibile per gli agenti verbalizzanti raccogliere le dichiarazioni della persona offesa senza l’intermediazione di un interprete nella sua lingua madre". La presunta vittima, sentita una seconda volta a distanza di tempo dall’arresto dell’uomo, ha detto di essere stata picchiata in "sole" due occasioni dal compagno, di non essere mai stata minacciata con un coltello, né di essere stata sequestrata. Insomma, per il Gup si tratta di "una netta smentita" rispetto alla prima versione. A causa del carcere, l’uomo non ha potuto vedere il figlio nato dalla relazione con la donna che, nel frattempo, si è interrotta. Nuoro: vuole aiutare il figlio malato, ma resta a Badu e Carros
Agi, 30 settembre 2008
"Un detenuto barese, ristretto da nove anni a Nuoro, chiede il trasferimento a Taranto per sottoporsi agli esami di compatibilità indispensabili per un eventuale trapianto di midollo in favore del figlio affetto dalla sindrome di Marfan, una malattia rara, poco conosciuta, e da altri gravi disturbi. Nonostante le istanze presentate, l’interessamento del garante dei detenuti di Nuoro, e l’ineccepibile comportamento rieducativo durante la detenzione e nei diversi giorni di permesso ottenuti, non ha ancora ricevuto alcuna risposta dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero di Giustizia". Ne dà notizia la consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris (Ps), componente della Commissione "Diritti Civili", che ha ricevuto un nuovo disperato appello di Giandonato Sciacovelli che sta scontando una pena definitiva a 30 anni di carcere. Roma: teatro; con le "Officine", palcoscenico entra in carcere
Adnkronos, 30 settembre 2008
Il teatro e le arti espressive visti come strumenti di riabilitazione e prevenzione del disagio sociale e psichico. Da questo ragionamento si sviluppa il progetto "Officine di Teatro Sociale. Esperienze artistiche, laboratori d’integrazione", inserito nel bando biennale sulle officine culturali 2008/2009 della regione Lazio. Le strutture, tre in tutto, verranno attivate presso istituti di pena e recupero di stanza a Roma. Il "Teatro Libero di Rebibbia" dell’associazione "La Ribalta Centro Studi Enrico Maria Salerno" opererà presso il carcere di Rebibbia. L’organismo "Artestudio", con il progetto "Port Royal", attiverà iniziative presso vari istituti di reclusione e comunità terapeutiche della Capitale, tra cui la Casa Circondariale di Regina Coeli; infine il "Caffè d’arte - officina di teatro per minori", a cura dell’associazione "Fiore del Deserto", opererà invece presso l’Istituto Penale Minorile Casal del Marmo di Roma. L’investimento complessivo della regione Lazio per la realizzazione di questi tre progetti ammonterà, in due anni, a circa 300mila euro. Il bando era rivolto ad associazioni, fondazioni e cooperative, che svolgessero attività continuativa e preminente nel campo dello spettacolo, della promozione culturale e delle arti visive. "Le officine di teatro sociale - ha sottolineato l’assessore alla Cultura della regione Lazio, Giulia Rodano - possono essere uno strumento innovativo di recupero e reintegrazione per chi sconta una pena o è affetto da disagio psichico. Si tratta di progetti biennali, il che dà l’idea di un lavoro che prosegue nel tempo, che cerca di operare una ‘seminà per poi poter lasciare dei segni permanenti. L’investimento - ha spiegato l’assessore Rodano - è di tipo sperimentale e speriamo che nel corso degli anni possa migliorare". Immigrazione: Fini; permesso a chi lavora. Maroni è contrario
La Repubblica, 30 settembre 2008
"Ci vuole più elasticità nella politica dei flussi. Bisogna distinguere chi lavora da chi non lavora e invece di indicare ogni anno un numero, si faccia un censimento rigoroso richiamando alle proprie responsabilità il datore di lavoro". Gianfranco Fini di immigrazione si è occupato a fondo e a lungo; è l’autore (con Bossi) della legge sugli immigrati tuttora in vigore. E quindi quando il presidente della Camera, spezza una lancia per regolarizzare chi lavora puntando sull’"emersione del lavoro in nero" e chiedendo procedure più snelle e rapide, è informato dei fatti. Nell’ultimo libro di Bruno Vespa, "Viaggio in un’Italia diversa", di cui in questi giorni escono le anticipazioni, Fini invita e spiega: "La politica dei flussi deve essere molto più elastica, le procedure di visto vanno decentralizzate utilizzando i consolati presenti in Italia. Tutti sanno che da noi lavorano centinaia di migliaia di persone sprovviste di permesso, e il più delle volte, i decreti flussi ammettono un numero di lavoratori inferiore a quello che serve". Non si tratta comunque di fare una sanatoria, mette subito in chiaro il presidente della Camera, che ricorda bene il braccio di ferro con la Lega nel precedente governo Berlusconi, proprio sulla regolarizzazione dei settecentomila immigrati. Ma il ministro dell’Interno Roberto Maroni, il "delfino" di Bossi, stoppa ogni ipotesi di apertura: di sanatorie non se ne parla. Neppure per le badanti? In un’Italia priva di servizi sociali le collaboratrici familiari straniere sono diventate supporter familiari indispensabili per anziani e bambini. Nessuna apertura dal responsabile del Viminale: "La badanti svolgono un ruolo sociale? Mi spiega come si fa a distinguere un ruolo socialmente utile e quindi meritevole di sanatoria rispetto a uno non meritevole? Perché - contrattacca Maroni - dovrei mettere in regola una badante e non un muratore che magari mantiene una famiglia? Io sono per escludere le sanatorie per tutti". Tuttavia Fini è sicuro che la strada migliore non sia quella delle procedure barocche in vigore: "Sanare significa dare un permesso di soggiorno al clandestino in attesa che si sistemi. Io dico un’altra cosa: quanti sono quelli che lavorano effettivamente in Italia? Evitiamo che per mettersi a posto facciano peripezie inutili. Non è una sanatoria, è emersione del lavoro nero che già esiste". Se il presidente della Camera apre ai lavoratori immigrati, è invece in linea con la tolleranza zero del governo contro i clandestini. E definisce le polemiche sulle impronte digitali un "non senso, come fai a espellere qualcuno di cui ignori tutto anche il paese di provenienza? Da noi la situazione si è fatta più grave perché Francia, Spagna e Grecia hanno adottato misure preventive molto rigorose per scoraggiare gli ingressi nei loro paesi". Immigrazione: 44 Centri; costo 233 milioni di euro, in tre anni
Redattore Sociale - Dire, 30 settembre 2008
La mappa completa di 37 strutture. La maggior parte in Sicilia, gli altri in Piemonte, Friuli, Toscana, Lombardia, Lazio e Marche. Sono alberghi e vecchie proprietà demaniali. Oltre 2.400 posti. La gestione è affidata ai privati. Più sbarchi, più richieste d’asilo, più centri di accoglienza. L’equazione è semplice. Nei primi otto mesi del 2008 sono sbarcati 20.271 migranti contro i 12.419 dello stesso periodo nel 2007. Non solo. Rispetto allo scorso anno, sono nettamente aumentati i richiedenti asilo, in particolare somali, a scapito di una sempre minore presenza di marocchini, egiziani e tunisini sulle barche al largo di Lampedusa. E questi richiedenti asilo vanno accolti - lo prevedono le direttive europee sull’asilo recepite all’inizio dell’anno - per il periodo necessario alle dieci Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato. Ovvero da due a sei mesi, a seconda delle regioni. Per far fronte all’incremento delle richieste d’asilo, negli ultimi mesi il governo ha aperto in tutta Italia 44 nuovi centri di accoglienza, grazie allo stato di emergenza nazionale proclamato il 25 luglio dal ministro dell’Interno Roberto Maroni. Oltre duemila persone sono state ospitate in alberghi, vecchie proprietà del demanio e strutture private. Tutte appaltate al terzo settore. Finora non si sapeva nemmeno dove si trovassero e da chi fossero gestiti. Ora l’osservatorio Fortress Europe ha messo on line una mappa aggiornata al 5 settembre con 37 dei nuovi centri aperti in Piemonte, Friuli, Toscana, Lombardia, Lazio, Marche e Sicilia. La lista degli enti gestori è lunga. Si va dal Comune di Ancona, che ospita 100 richiedenti asilo negli hotel Lori e Le Terrazze, alla Arciconfraternita del S.S. Sacramento, che a Roma gestisce 484 posti letto. In alcuni casi sono gli stessi enti gestori dei Cara (Centri accoglienza richiedenti asilo) ordinari ad avere l’appalto dei centri destinati all’emergenza. Succede a Siracusa con l’Alma Mater e a Trapani con la Cooperativa Insieme. Lo stesso accade con la Croce rossa italiana, che gestisce il Cara-Cpa (Centro prima accoglienza) di Foggia e ha avuto in appalto i centri emergenziali a Roma, Palermo, Milano, Marina di Massa, Mantova e Torino, arrivando a gestire un totale di 2.116 posti letto. La maggior parte dei nuovi centri (21) si trovano in Sicilia. I 2.471 posti disponibili nei nuovi centri, si vanno ad aggiungere ai 4.169 dei 10 centri di prima accoglienza (Cpsa-Cda) e ai 980 posti dei sei centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara). I richiedenti asilo vi saranno ospitati per alcuni mesi, in attesa del verdetto della Commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato. Le Prefetture rimborsano una quota di circa 50 euro al giorno per ogni ospite. Più o meno il doppio di quanto lo Stato paga (25-30 euro al giorno a persona) alle associazioni e ai 120 comuni che aderiscono allo Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati che accoglie una parte dei rifugiati, dopo il riconoscimento del loro status (3.000 posti a fronte di oltre 7.726 rifugiati riconosciuti - asilo o protezione umanitaria - nel 2007). Non sempre la qualità dei nuovi centri è buona. È il caso dei 117 richiedenti asilo ospitati durante l’estate nei locali della scuola alberghiera di Aviano, in provincia di Pordenone, e poi sfrattati a inizio settembre prima che ricominciassero le lezioni. E non sempre le comunità locali mostrano solidarietà. Come a Sant’Angelo di Brolo, in provincia di Messina, dove lo scorso 16 settembre l’arrivo di un centinaio di richiedenti asilo ha scatenato le proteste dei residenti, che hanno tentato di bloccare l’autobus con a bordo gli stranieri.
I nuovi Cie costeranno 233 milioni di euro in tre anni
È la spesa prevista dal ddl 733 al Senato. Espellere i 300 mila senza documenti costerebbe oltre due miliardi. Eppure ogni anno il governo chiede l’ingresso di centinaia di migliaia di lavoratori stranieri. Un Centro di identificazione e espulsione (Cie) per ogni Regione d’Italia. È l’obiettivo del Governo, pronto ad aprire dieci nuovi Cie. Ma quanto costerà ai contribuenti? E soprattutto quale efficacia garantirà? Una prima risposta viene dalla relazione tecnica del disegno di legge 733 recante "Disposizioni in materia di sicurezza pubblica", in discussione alla Commissione affari costituzionali al Senato. Per costruire i nuovi Cie e ristrutturare quelli esistenti il costo stimato è di 233 milioni di euro dal 2008 al 2010. I costi per la permanenza degli stranieri nei Centri sono stimati in 300 milioni di euro dal 2008 al 2010 più 93 milioni a partire dal 2011. Il numero dei posti passerà dagli attuali 1.219 a 4.640, ma il limite della detenzione salirà da 60 giorni a 18 mesi. Con il conseguente rischio che la disponibilità dei posti si esaurisca presto, dato che il 40% circa dei migranti trattenuti nei Cie non viene rimpatriato, secondo il Rapporto De Mistura del 2007, che sostiene: "su ogni 10 trattenuti in media 6 vengono successivamente espulsi con accompagnamento alla frontiera". Sempre secondo il Rapporto De Mistura, tra il 2005 e il 2006 sono stati detenuti nei Cie (che allora si chiamavano Cpt) circa 22.000 migranti senza documenti. Di questi, il 60% circa sono stati rimpatriati. Il totale delle espulsioni effettive, con accompagnamento alla frontiera, eseguite nel 2006 sono state 12.562. Lo stesso rapporto stimava, alla fine del 2006 la presenza di 300.000 cittadini stranieri senza documenti presenti sul territorio italiano. Con il prolungamento del limite di trattenimento nei Cie a 18 mesi, la relazione tecnica del disegno di legge 733 stima una durata media del trattenimento di circa 150 giorni a testa. Il costo del trattenimento nei Cie è di circa 50 euro al giorno pro capite. La detenzione di tutti i migranti senza documenti promessa dal governo Berlusconi costerebbe, dati alla mano, 2 miliardi e 250 milioni di euro, senza considerare le spese per la convalida del trattenimento e le spese effettive per il volo di rimpatrio. Non solo. Se anche il ritmo delle espulsioni con accompagnamento alla frontiera raddoppiasse a 25.000 l’anno, servirebbero almeno 12 anni per espellere tutti i migranti senza documenti. Mentre al ritmo attuale ne servirebbero 24. Basterebbero invece soltanto due anni per regolarizzare la posizione di tutti i lavoratori stranieri senza documenti già presenti in Italia, seguendo le quote dell’ultimo decreto flussi che nel 2007 chiese l’ingresso in Italia di 170.000 lavoratori stranieri.
Cpsa, Cda e Cie: la mappa dei 26 centri per gli irregolari
Dove sono e quale capienza hanno le strutture di accoglienza italiane, compresi i dieci Cpt diventati oggi Centri di identificazione e espulsione. I Centri di pronto soccorso e accoglienza (Cpsa) e i Centri di accoglienza (Cda) servono al primo soccorso dei migranti intercettati alle frontiere marittime italiane e alla loro accoglienza limitatamente al tempo necessario per l’identificazione e il successivo trasferimento nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) o nei Centri di identificazione e espulsione (Cie). I centri attualmente operativi sono 10: Agrigento, Lampedusa - 804 posti Bari Palese, area areoportuale - 744 posti Brindisi, Restinco- 180 posti Cagliari, Elmas - 200 posti Caltanissetta, Contrada Pian del Lago - 360 posti Crotone, località Sant’Anna - 1202 posti Foggia, Borgo Mezzanone - 342 posti Gorizia, Gradisca d"Isonzo - 112 posti Siracusa, Cassibile - 200 posti Trapani, Pantelleria - 25 posti I Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) ospitano i richiedenti asilo politico sbarcati in Italia, e i richiedenti asilo politico privi di documenti di identità, per il tempo necessario alle Commissioni territoriali per concedere o meno lo status di rifugiato politico o di protezione internazionale. I centri attualmente operativi sono sei: Caltanissetta, Contrada Pian del Lago - 96 posti Crotone, località Sant’Anna - 256 posti Foggia, Borgo Mezzanone - 198 posti Gorizia, Gradisca d’Isonzo - 150 posti Milano, via Corelli - 20 posti Trapani, Salina Grande - 260 posti Le Commissioni territoriali sono attualmente 10, a Gorizia, Milano, Torino, Roma, Caserta, Foggia, Bari, Crotone, Trapani e Siracusa. I Centri di identificazione e espulsione (Cie) - fino al 2008 denominati Centri di permanenza temporanea (Cpt) - sono destinati al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, degli stranieri non comunitari privi di permesso di soggiorno, per un periodo massimo di 60 giorni. I centri attualmente operativi sono dieci, per una capienza di 1.219 posti: Bari-Palese, area aeroportuale - 196 posti Bologna, Caserma Chiarini - 95 posti Caltanissetta, Contrada Pian del Lago - 96 posti Catanzaro, Lamezia Terme - 75 posti Gorizia, Gradisca d’Isonzo - 136 posti Milano, Via Corelli - 112 posti Modena, Località Sant’Anna - 60 posti Roma, Ponte Galeria - 300 posti Torino, Corso Brunelleschi - 92 posti Trapani, Serraino Vulpitta - 57 posti Droghe: a San Patrignano apre pizzeria e negozio di alimentari
www.romagnaoggi.it, 30 settembre 2008
Le pizze di Ò-malomm, i prodotti dell’orto, i vini, formaggi, olio e salumi ma anche arredi, tessuti per la casa, accessori. Tutto il meglio di San Patrignano in una nuova struttura, un’antica stazione di posta del '700 arredata con gusto e raffinatezza, all’interno della quale trova spazio anche una selezione delle squisitezze alimentari del Buonpaese: pasta, confettura, miele. È SPaccio e da mercoledì 1 ottobre sarà aperto al pubblico. A presentarlo è Andrea Muccioli, Responsabile della comunità fondata da suo padre, Vincenzo Muccioli trent’anni fa. "Abbiamo scelto questo nome autoironico e se vogliamo divertente, appunto SPaccio, per scherzarci un po’ sopra e sdrammatizzare l’immagine della comunità. Spesso si pensa alle comunità come a luoghi tristi, invece le comunità sono posti pieni di gioia. Quella che prova ogni ragazzo quando riesce a lasciarsi alle spalle i suoi problemi. Le iniziali SP rimandano anche a San Patrignano, un modo di dare il benvenuto a casa nostra e per presentare ciò che facciamo e i nostri prodotti". L’edificio, progettato dallo studio Nicola Gallizia design di Milano, si trova appena imboccata la Via (San Patrignano, 66) che porta al centro antidroga. Una struttura a due piani di circa 400 metri quadrati con mattoni e travi a vista sulle tonalità del bianco, grigio piombo e oro insieme a vetrate. Linee leggere ed essenziali per sottolineare l’importanza dei dettagli e per rendere protagonisti le creazioni enogastronomiche ed artigianali. Spaccio é emporio, é cucina: piadineria e pizzeria, é showroom. Il fil rouge dell’ultimo cammeo di San Patrignano é quello di fare la spesa, assaggiare i prodotti al ristorante e conoscere nuove idee e proposte per sé e per la casa. Il negozio si suddivide in spazio agroalimentare dove si possono trovare le eccellenze di SanPa: vini, formaggi, salumi, olio, ma con delle novità come i prodotti dell’orto - sempre di stagione - realizzati con la coltura biodinamica e biologica, quelli del forno lavorati con lievitazione naturale e le carni fresche di bovino e suino. Sarà possibile fare la spesa attraverso la vendita al banco e al cestino scegliendo prodotti del territorio locale e tra quelli selezionati provenienti da tutta Italia, dalla pasta di Gragnano di Setaro al Tarantello di tonno rosso del mediterraneo di Carlo Forte, dall’aceto balsamico dell’Acetaia del Cristo al riso Acquerello. Tra la rosa di eccellenze anche il latte fresco di SanPa grazie al distributore automatico e i prodotti goodfood (panettoni della cooperativa Giotto, realizzati dai detenuti del carcere di Padova e la birra e cioccolata dei giovani di Piazza dei mestieri di Torino). Al piano sotterraneo la cantina. Oltre a contenere pregiate etichette di vino, sarà il cuore di eventi come incontri con l’autore, presentazioni di libri ed altre iniziative culturali. Ma SPaccio è anche uno showroom a tutti gli effetti. Borse, sciarpe, felpe, accessori, gadget, prodotti per sé e per la casa: tessuti, candele, bicchieri ma soprattutto arredi e complementi, rigorosamente realizzati a San Patrignano. Al primo piano cucina a vista sia per la piadineria che per la pizzeria con 120 posti. Nel menù: primi piatti che varieranno ogni giorno, insalate, piadine tra cui quella alle erbe di campo marinate nel sale di Cervia e ai funghi porcini e pecorino. In pizzeria spazio ai profumi del mare del nostro territorio con la tartare di triglie o sgomberi e carpaccio di scampi ed a quelli tosco-romagnoli come la pizza con la chianina battuta al coltello. E per dessert: pizza dolce con lo squacquerone, cioccolato e granella di nocciole, torta sacher con marmellata di lampone o coi fichi caramellati e ricotta. Sono alcune delle prelibatezze che si potranno assaggiare nel ricco e variegato menù preparato dagli artisti della cucina di SanPa. SPaccio é unico nel panorama locale per l’originalità del concept. Insieme a Vite, locanda inaugurata a giugno sulle colline del Montipirolo, va ad avvalorare ancora una volta il significato profondo della comunità: il riscatto di persone tossicodipendenti attraverso la bellezza, la qualità e il gusto. La grande competenza e passione dei maestri ed artigiani che hanno saputo trasmettere ed insegnare ai 1.600 ospiti di San Patrignano che oggi oltre a comprendere l’importanza di parole come responsabilità, dedizione e volontà hanno imparato un lavoro e sono pronti per entrare nell’arena della vita. San Salvador: sfilata di moda in carcere con stiliste detenute
Ansa, 30 settembre 2008
Il carcere femminile di Ilopango di San Salvador, capitale della Repubblica di El Salvador, per un giorno ha ospitato l’evento Fashion 2008: una sfilata in cui le detenute hanno avuto la possibilità di trasformarsi in modelle indossando gli abiti che loro stesse avevano confezionato all’interno della prigione. L’iniziativa fa parte di una serie di programmi di riabilitazione promossi dalle autorità carcerarie. "L’obiettivo è dimostrare alla società che queste donne meritano una seconda opportunità", ha affermato il portavoce della Direzione generale degli istituti di detenzione, Alvaro Uribe.
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