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Giustizia: Decreto legge Maroni su sicurezza arriva in Senato
Redattore Sociale - Dire, 29 ottobre 2008
È approdato nell’aula del Senato il decreto Maroni per il contrasto alla criminalità organizzata e all’immigrazione clandestina. Il provvedimento, varato dal governo il 23 settembre scorso, prevede l’invio di 500 soldati nel casertano dopo gli episodi di Castel Volturno e la costruzione di nuovi Centri per l’identificazione e l’espulsione (Cie). Ma anche la proroga fino al 31 dicembre della disciplina sulla conservazione dei dati del traffico telefonico e telematico in supporto alle attività di prevenzione e repressione dei reati. Il provvedimento è stato licenziato ieri dalle Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia con alcune modifiche, tra cui la previsione di destinare più soldi al fondo delle vittime della mafia prendendoli "a prestito" dal fondo per le vittime dell’usura e del racket. Oggi in aula, dopo l’illustrazione dei relatori, Filippo Saltamartini (Pdl) e Sandro Mazzatorta (Lega) si è avviato il dibattito. Il termine per la presentazione degli emendamenti in assemblea scade domani alle 19. Il voto finale è già stato calendarizzato entro il 2 novembre per il passaggio alla Camera (il decreto scade il primo dicembre). L’aula torna a riunirsi alle 16.30. Tra le modifiche introdotte dalle commissioni del Senato, norme più restrittive per l’accesso ai benefici riconosciuti alle vittime di reati di criminalità organizzata al fine di escludere chi continua a operare in contesti criminali. Ma anche più soldi al fondo per le vittime della mafia. Con un emendamento proposto dal governo, infatti, si dispone, in via straordinaria, un aumento di 30 milioni di euro per il fondo di solidarietà delle vittime di reati di tipo mafioso (istituito con legge del 22 dicembre 1999) con risorse a valere sulla dotazione finanziaria del fondo unificato per le vittime dell’usura e del racket. Le risorse aggiuntive saranno disposte da un decreto del ministro dell’Interno che potrà attingere una quota del contributo sui premi assicurativi, raccolti nel territorio dello Stato, nei rami incendio, responsabilità civile diversi, auto rischi diversi e furto, devoluto annualmente al fondo per le vittime dell’usura. Giustizia: mancano oltre mille magistrati, 11% i posti vacanti di Giovanni Negri
Il Sole 24 Ore, 29 ottobre 2008
È dell’11% il tasso di scopertura negli uffici giudiziari. Indipendentemente dal fatto che si tratti di un ufficio giudicante o di uno requirente. Con la differenza però, lo sottolineavano i dati del Csm resi noti la scorsa settimana, che i vuoti in organico delle Procure restano tali per la ormai cronica assenza di candidati disponibili a fare il pubblico ministero. Nel dettaglio, le "vacanze" sono insostanziale equilibrio: mancano infatti all’appello 769 giudici su 6.759 (11.38%) e 276 tra Pm e Pg su 2.330 (11,85%). Il totale delle assenze è così di 1.045 magistrati per un tasso di scopertura complessiva dell’11,50 per cento, con distribuzione diversa però sul territorio. Le cifre sono quelle del ministero della Giustizia richieste da Antonio D i Pietro e commentate ora dal capogruppo del Pdl in commissione Giustizia alla Camera Raffaele Costa che mette l’accento anche sui dati relativi ai magistrati fuori ruolo, in tutto 234: "premesso che si tratta di ovviamente di scelte legittime e consolidate da anni occorre però aprire una riflessione sull’opportunità di sottrarre tante risorse alla magistratura impegnata sul campo posto che dal rapporto del ministeri emerge una scopertura di oltre un migliaio di posti". Sul fronte dei distretti più penalizzati e in maggiore sofferenza, in testa c’è quello di Caltanissetta con il 25% di scopertura per quanto riguarda i giudici e il 45% nelle Procure. Elevati però anche i tassi di scopertura in diversi grandi distretti di Corte d’appello come Milano e Palermo (17%) o Napoli (21%). Quanto ai magistrati collocati fuori ruolo, il rapporto del ministero, della Giustizia fa riferimento alle delibere del Csm e non tiene conto dei magistrati per i quali è in corso il ricollocamento in ruolo. A fare la parte del leone, quanto all’impiego delle toghe, è lo stesso ministero che ne utilizza, al 27 ottobre, ben 91, con una preponderanza del Dipartimento degli affari di giustizia che ne utilizza 27. Sono poi 26 i magistrati distaccati alla Corte costituzionale, in gran parte come assistenti dei componenti della Consulta e 31 quelli in servizio presso organismi internazionali. A cercare di porre un rimedio, sia pure parziale, è il decreto legge sulle sedi disagiate che a giorni dovrà essere convertito in legge dalla Camera. Nel provvedimento trova posto anche la determinazione di un limite massimo di magistrati che possono essere collocati fuori ruolo: non potranno essere più di 200. Lo stesso decreto prevede poi un pacchetto di incentivi per i magistrati che dimostrano interesse a coprire i posti disponibili in Procura, ridefinendo anche i criteri per la determinazione di sede disagiata. "Questi dati - conclude Costa - vanno letti ed analizzati anche alla luce del recente dibattito sull’opportunità di consentire o meno ai magistrati di lavorare presso il loro domicilio: personalmente riterrei giusta una rivisitazione dell’attuale normativa nell’ottica dell’impegno del Governo per una maggiore efficienza della pubblica amministrazione". Giustizia: Ucpi contro Anm; i magistrati difendono la "casta"
Il Velino, 29 ottobre 2008
L’Unione delle Camere Penali giudica "infondato" l’allarme lanciato dall’Associazione nazionale magistrati sul rischio di una "fuga dalle Procure a causa della annunciata separazione delle carriere e della messa in discussione della obbligatorietà dell’azione penale". Nello stesso tempo Ucpi bolla come "pretestuosa la richiesta di modifica delle norme che impediscono ai magistrati di prima nomina di essere collocati nelle funzioni requirenti". Per i penalisti il sindacato dei magistrati "trucca le carte" per continuare a "ricattare il governo", difendendo "la casta". "Rappresentanti dell’Anm, alcuni con incarichi di responsabilità all’interno del Csm, ritengono che la separazione delle carriere e la messa in discussione della obbligatorietà dell’azione penale renderebbero non più appetibile il ruolo di pubblico ministero. Questo allarme sulla fuga dalle procure è ingiustificato e non solo non trova riscontro nella realtà, ma deve leggersi come un invito a uso interno per tentare di mettere sotto scacco il sistema, allo scopo, non tanto nascosto, di collocare nelle sedi disagiate i prossimi nuovi arrivi". Oreste Dominioni, presidente dell’Ucpi, accusa l’Anm di diffondere messaggi devianti, per ricattare la politica e il governo sulle riforme annunciate in materia di ordinamento giudiziario e di obbligatorietà dell’azione penale, e anche sul dl in corso di conversione che prevede, tra l’altro, cospicui incentivi per la copertura dei posti nelle sedi disagiate. "Alla politica degli incentivi - prosegue Dominioni - occorrerebbe invece affiancare il senso di responsabilità dei magistrati stessi, che invece vengono sollecitati, proprio dai più autorevoli rappresentanti dell’Anm, a creare difficoltà e ostacoli". Il problema - aggiunge Dominioni - sta nel fatto che l’Anm è "attestata su posizioni di conservazione e di rappresentanza di interessi di casta, a danno persino degli stessi giovani magistrati che attendono di essere nominati da qui a pochi mesi. Le manovre dell’Anm dovranno indurre invece la politica, il governo ed il Parlamento, a passare dalla stagione degli annunci a quella delle riforme al più presto e senza ulteriori indugi per dare finalmente al Paese una giustizia moderna, efficiente e liberale". Giustizia: i magistrati timbreranno il cartellino? molto difficile di Dino Martirano
Corriere della Sera, 29 ottobre 2008
Alla fine i tornelli e i cartellini per i magistrati faticano a fare breccia nel centro destra anche se, segnalano gli esperti di affari di giustizia del Pdl, il ministro Renato Brunetta (Innovazione) ha il merito di aver indicato un problema reale: "Quello della scarsa operosità di alcuni magistrati". Se il guardasigilli Angelino Alfano ha già detto un mezzo no, aggiungendo però che "sarebbe bello vedere i magistrati al lavoro nei tribunali pure il pomeriggio", ora anche il sottosegretario alla Giustizia Elisabetta Casellati boccia la ricetta Brunetta; "I problemi della giustizia sono molto complessi e vanno affrontati con una serie di interventi finalizzati a snellire i procedimenti e a spalmare gli organici. Non è solo l’orario di entrata ed uscita dei magi-strati a determinare la lentez-za di un processo". "Il governo ci sta provando", sottolinea la Casellati che cita la riforma del processo civile già in seconda lettura al Senato. E sullo stesso piano si posiziona il deputato avvocato Niccolò Ghedini, il consigliere giuridico più vicino al premier: "Brunetta è sempre molto bravo sul fronte dell’efficienza ma stavolta non ha considerato che non esiste una legge capace di costringere i magistrati ad osservare un orario di lavoro con presenza fissa in ufficio: il problema, dunque, riguarda l’organizzazione del lavoro e la presenza di un manager negli uffici più che l’istallazione dei tornelli all’ingresso dei tribunali". Detto questo, però, Ghedini spara a zero contro "un certo modo di fare dei magistrati": "Mi sembra che siano tutti malati di mal di schiena Non si alzano mai, non stringono la mano e questo non lo dico per me, che faccio l’avvocato, lo dico per il semplice cittadino che spesso è costretto a sostare davanti a porte sempre chiuse con orari di ricevimento davvero inadeguati per quanto sono brevi. Ecco, anche se stanno spesso chiusi in ufficio, un po’ di educazione in più non guasterebbe mica". Giulia Bongiorno, avvocato e presidènte della commissione Giustizia della Camera, condivide l’allarme lanciato da Brunetta ma ritiene francamente esagerato proporre i tornelli. "Negli uffici giudiziari non serve il cartellino, è necessaria piuttosto una grande rivoluzione nell’organizzazione del lavoro con l’introduzione della figura del manager". Invece Luigi Vitali, avvocato, ex sottosegretario alla Giustizia, spiega che l’idea di Brunetta non è da buttare via: "Non sono in linea di principio contrario anche se l’introduzione dei tornelli andrebbe accompagnata da altri interventi. È poi è una balla quella dell’Anm secondo la quale i magistrati non hanno stanze e scrivanie". Iole Santelli, anche lei ex sottosegretario alla Giustizia, dice che il "tema della produttività dei magistrati c’è tutto" e che "il Csm non se ne è mai occupato seriamente". Infine, Luigi Bobbio, ex magistrato oggi capo di gabinetto di Giorgia Meloni: "Quella di Brunetta è una provocazione, ma è pure vero che i capi dovrebbero finalmente iniziare a controllare chi non va in ufficio". Lettere: Berardi (Domus Civitas); estradare Marina Petrella di Bruno Berardi (Presidente Ass. Domus Civitas, Vittime del terrorismo)
Corriere della Sera, 29 ottobre 2008
Ieri mi sono recato presso il Ministero della Giustizia in Via Arenula a Roma, determinato a farmi ricevere dal Sig. Ministro Angelino Alfano, per ribadire ancora una volta con la determinazione che ci contraddistingue, l’estradizione della terrorista Marina Petrella dalla Francia, graziata dal Presidente Francese Sarkozy, che si è sostituito con arroganza al nostro Presidente Napolitano. In un primo momento non mi hanno fatto passare, allora mi sono incatenato davanti al Ministero della giustizia, per mezz’ora circa, poi grazie all’intervento dell’On Mario Borghezio, deputato Europeo, mi è stato consentito di parlare con il capo di gabinetto del Sig. Ministro, ho sottolineato ancora una volta la necessità di assicurare alle vittime del terrorismo giustizia e certezza della pena, quale ringraziamento postumo alle vittime del terrorismo da parte dello Stato Italiano, facendo presente che comunque nel programma del Pdl si fa riferimento a tutto ciò e ci aspettiamo fatti concreti dal Ministro Alfano. Ci è stato risposto che il Sig. Ministro sta lavorando per trovare soluzioni per garantire l’estradizione della Petrella, e farà pressioni presso la presidenza Francese affinché ci venga garantito un diritto sacrosanto. Noi attenderemo con ansia l’estradizione della Petrella ed altri terroristi fuggiti in Francia, lotteremo per difendere la giustizia, che ormai è un servizio fondamentale per i cittadini italiani, in via di estinzione. Lettere: l’ergastolano ai suoi insegnanti; mi avete dato molto
www.italianotizie.it, 29 ottobre 2008
Lettera ai miei insegnanti. Dopo aver sofferto tanto in questi ultimi anni, a seguito della mia detenzione, per cause che non mi va di scrivere ma lascio immaginare al lettore, ho trovato nello studio la volontà di lottare per far trionfare il bene. Cresciuto in una famiglia povera e numerosa, penultimo dei maschi (in famiglia siamo 10), da piccolo ero una peste sempre pronto a commettere un reato per soddisfare le mie esigenze, anche se oggi tutto questo non lo condivido, perché la conoscenza della storia e dei grandi letterati mi ha illuminato perché io possa aiutare chi ne ha più bisogno di me. Forse per un bisogno di testimoniare valori di giustizia e di dignità umana, forse per desiderio di aprire la mia anima ad un colloquio intimo con altri, sono riuscito con questa carcerazione ad esprimere di sicuro il mio mondo e a mettervi in guardia. Con questo scritto voglio far capire infatti che nella vita siamo tutti, chi più chi meno, figli di uno stesso destino. Tali siamo quando passiamo indifferenti davanti al fratello che soffre, all’amico che ha bisogno, allo sconosciuto che tende la mano (e quante volte ci capita?), quando anche paghi di noi stessi e magari anche beandoci, dimentichiamo che altri non sono fortunati come noi, né come noi possono godere il giorno che ci è consentito ancora. E allora il mio richiamo al concreto, la mia insistenza su temi del dolore, di ansie, di felicità perduta e di morte che cogliamo sparsi in tutto il mondo, ci avvertono inesorabilmente che siamo tutti degli sconfitti, se nel nostro agire quotidiano ci dimentichiamo chi siamo e dove andiamo. "Solitudine sconfitta" si presenta quindi come la vittoria di chi ha saputo supertare l’egoismo e scoprire la gioia del dono, di chi non si è piegato agli eventi e ai giorni tristi, di chi ha imparato a cogliere nel giorno che passa almeno qualche utilità, superando in tal modo il dramma dell’esistenza senza scopo, per cui vivere o morire è identico problema. Questa vita chiusa per me è l’ultimo viaggio che trascorro, dopo un lungo errare per una scelta senza via d’uscita in tutto il suo articolato e spinoso complesso. Qui il carcere è una realtà, una realtà monotona, le giornate sempre uguali, per lo più tristi, in ogni caso insoddisfatte, sono indegne anche di essere trascorse. Se penso al mio fine pena impazzisco! Ci sono molteplici e lunghi dialoghi sul sistema carcerario: che fare? Meglio non cedere mai ed attendere che qualcuno lassù si accorga di me. Chissà! Ma qui grazie a tutti i miei insegnanti con la loro professione e umanità ho ritrovato il gusto e persino il piacere di vivere. Le giornate sono ritornate piene come una volta quand’ero libero e forse di più, se penso come ero caratterialmente quando sono arrivato qui. Sono stati 6 anni belli, mi sento veramente un altro, più sereno e perfino felice. Ecco dunque in queste parole che esprimo tutta la mia gratitudine per aver dato lice al mio cervello oppresso. Questo scritto che leggete è scritto con il cuore, non certo calcolato per piacervi, ma che piaccia a me, a voi solo il pensiero. Perciò in questo scritto non ho paura di dirvi che ero un ribelle che non rispettava niente e nessuno. Un libro lo conoscevo ma chi pensava di leggerlo, saper dialogare civilmente, un sogno se non un incubo, ma oggi il cambiamento, il valore, l’impegno umano lo devo a voi tutti e vi ringrazio dal profondo del cuore. Oggi viviamo in una società dove la realtà ci insegna che c’è più egoismo che carità, più falso che vero. Tutto questo lo dico per esperienza vissuta, non da sensazioni o da emozioni. Non vado certo sul superficiale ma voglio entrare nei vostri pensieri, per aprirvi occhi e anima perché affermiate che il mio dire non è fantasia ma la realtà che voi toccate e che vi circonda. Cosa mi aspetto una volta libero, se il mio mondo è cambiato e il male dilaga come i mari inquinati. Potrà l’uomo che ci governa capire che ci sono uomini che dedicano la propria vita alla purificazione, al cambiamento, al portare bene all’altro, mentre la libertà che tanto attendiamo è ancora più lacerata di quando ne eravamo in possesso. Mentre io pratico il vostro sapere per una mia cultura personale, la realtà mi spaventa per le ombre che nasconde dietro l’angolo, ma il mio temperamento, il mio istinto, la mia schiettezza sarà viva come una luce accecante che farà di me un uomo libero sempre pronto ad aiutare chi ne ha bisogno, senza più illegalità ma amore, perché voi nell’insieme siete un pezzo reale della mia crescita.
Nicola Ranieri, Carcere di Spoleto Verona: lavoro dei detenuti, può servire a risarcire le vittime di Anna Zegarelli
L’Arena di Verona, 29 ottobre 2008
La Commissione sicurezza del Consiglio comunale in visita alla Casa Circondariale. Il lavoro dei detenuti per risarcire le vittime: una proposta che aspira a diventare disegno di legge. E già ora Montorio è un modello nazionale per l’alta percentuale di persone occupate. Lavorare in carcere non solo nobilita i detenuti e dà loro la speranza di un futuro ma può dare alle famiglie delle vittime o a quanti hanno subito un danno la possibilità di essere risarcite. La proposta parte dal consigliere comunale Stefano Ederle, presidente della Commissione sicurezza, che ieri con i colleghi Mario Rossi (Fi), Marco Giorlo (Ulivo), Roberto Fasoli (Pd), Patrizia Bravo, (Verona civica), Alberto Zelger (Lista Tosi), hanno varcato i cancelli del carcere di Montorio per potere vedere il secondo esempio italiano di lavoro in carcere. Secondo, perché sono solo due le carceri in tutto il Paese che offrono la possibilità ai detenuti di potere trascorrere sei ore al giorno producendo e guadagnando. I numeri che offrono i responsabili della cooperativa Lavoro&Futuro, Giuseppe Ongaro e Edgardo Somma, mettono in evidenza come la stragrande maggioranza degli istituti detentivi non disponga di programmi di integrazione al lavoro adatti a riabilitare quanti hanno commesso un reato: su una popolazione carceraria di 58 mila persone, solo 647 lavorano per aziende dall’interno delle carceri. La Casa Circondariale di Montorio diventa così un’eccezione nel rapporto fra detenuti e quanti lavorano: su 783 detenuti nella sezione maschile, 58 donne in quella femminile, nove in semilibertà e uno che gode dell’articolo 21 che prevede misure alternative alla detenzione, 62 uomini lavorano nella cooperativa Lavoro&Futuro, 70 direttamente per la casa circondariale occupandosi di pulizie, cucina, lavanderia. Solo otto sono le donne che prestano servizio per la cooperativa, anche per la mancanza di un locale adatto. Nel reparto maschile invece sembra di entrare in un normale capannone. Potrà diventare, la proposta veronese, un disegno di legge? "Perché no? Chiederemo al Consiglio comunale di farsi portavoce per una forma di integrazione sociale che parte sì dal lavoro ma che include un sistema in cui il denaro guadagnato sia utilizzato per mantenere se stessi, la propria famiglia. Ma anche per risarcire chi ha subito un danno". La società che opera nella casa circondariale ha iniziato quattro anni fa con solo 4 operai. Ora è cresciuta: dal 2005 a oggi hanno dato lavoro a 170 persone. Di questi solo il 10 per cento ha reiterato il reato, le altre hanno cambiato vita. Somma e Ongaro ci tengono a dare un’altra chance a quanti lavorano nella loro cooperativa: li seguono anche dopo che hanno lasciato il carcere grazie all’associazione Redium onlus per il recupero e il reinserimento sociale nell’ottica dell’etica solidale. Nel carcere veronese vengono realizzati i portabiciclette che si vedono in Comune, confezionati profumi per la casa, rosari. Sono molte le ditte che si rivolgono alla cooperativa anche perché i detenuti vengono pagati a cottimo con un contratto che li equipara a metalmeccanici di secondo livello. I loro stipendi variano dai 350 euro mensili a 500. Poi ci sono i contributi Inail, Inps, gli assegni famigliari. "L’inasprimento delle pene serve a poco se poi il risultato è un individuo improduttivo per la società. Bisogna invece incentivare il lavoro, magari invitandoli con uno sconto di pena", conclude Ederle. "E soprattutto offrire ad altri il nostro modello". Milano: un Patto con gli Enti locali, per prevenire la recidiva
Redattore Sociale - Dire, 29 ottobre 2008
La richiesta avanzata da Luca Massari dell’Osservatorio carcere e territorio di Milano: "Occorre un patto con gli enti locali per far funzionare al meglio i servizi di accompagnamento all’uscita dal carcere". "Occorre un patto con gli enti locali per far funzionare al meglio i servizi di accompagnamento all’uscita dal carcere, per evitare la recidiva", è la richiesta avanzata da Luca Massari dell’Osservatorio carcere e territorio di Milano. Un’esigenza dettata dal fatto che "ci troviamo in una situazione particolarmente difficile - aggiunge Luca Massari -. Le persone detenute vivono in una situazione disastrosa (vedi lancio del 24 ottobre con la denuncia del Garante per i diritti delle persone in carcere ndr) e il rischio che, una volta usciti, tornino a delinquere, è molto alto". I dati dell’amministrazione penitenziaria lo dicono chiaramente: tra i detenuti che accedono a misure alternative solo il 18% torna a delinquere, a fronte di un 70% tra il resto della popolazione carceraria. Complessa anche la situazione fotografata dal Comitato carcere e territorio di Bergamo. "Il carcere è sovraffollato: ci sono 500/550 persone a fronte di una capienza ottimale di 280/300 posti", spiega Gino Gelmi, vice presidente del comitato. Una situazione provocata dal fatto che il penitenziario orobico funziona come "polmone compensativo" per le carceri milanesi. Il Comitato carcere e territorio di Bergamo sottolinea inoltre "il problema di reperire posti di lavoro tra i privati per il reinserimento degli ex detenuti - dice Gino Gelmi - . C’è un progetto di sensibilizzazione promosso dalla Camera di commercio, che però non sta dando risultati". Altrettanto complessa è la situazione degli ex detenuti stranieri per i quali "la legislazione attuale fa di tutto per impedire i progetti di reinserimento - commenta Gino Gelmi - . Se sono irregolari, una volta scontata la pena, vengono espulsi. Mentre, se sono in regola, la Questura tende a non rinnovare il permesso di soggiorno, anche in caso di piccoli reati". Del rapporto tra carcere e territorio si parlerà domani a partire dalle ore 9, nel corso del convegno "Carcere e territorio: riallacciare i legami" organizzato dalla Provincia di Milano (palazzo Isimbardi - corso Monforte, 35). È prevista la presenza dell’assessore provinciale all’integrazione sociale per le presone in carcere Francesca Corso, del provveditore all’amministrazione penitenziaria della Lombardia Luigi Pagano, del Garante dei diritti per le persone in carcere Giorgio Bertazzini.
Il Garante: riallacciare i legami con il territorio
La risposta di Giorgio Bertazzini all’invito di Luca Massari a rilanciare un patto con gli enti locali "per far funzionare al meglio i servizi di accompagnamento all’uscita dal carcere". Proposta: coinvolgere i detenuti per l’Expo 2015. "Bisogna fare un’analisi aggiornata della situazione, riallacciare i legami con il territorio e procedere con un nuovo impegno a fronte di una situazione che peggiora di giorno in giorno", è la risposta di Giorgio Bertazzini, Garante dei diritti delle persone in carcere o ristrette nella libertà della Provincia di Milano, all’invito di Luca Massari a rilanciare un patto con gli enti locali "per far funzionare al meglio i servizi di accompagnamento all’uscita dal carcere". "Occorre riallacciare i legami con la società civile, con il territorio, con tutti i coloro che dovrebbero partecipare al reinserimento graduale del detenuto nella società", commenta il Garante. In occasione del convegno in programma domani inoltre, Giorgio Bertazzini rilancerà la proposta di coinvolgere detenuti ed ex detenuti nei lavori che porteranno alla realizzazione dell’Expo 2015. "Ho chiesto al presidente della Provincia Filippo Penati che, nell’ambito della quota di posti di lavoro riservati alle categorie svantaggiate, una percentuale sia riservata a chi ha vissuto l’esperienza del carcere - conclude Giorgio Bertazzini -. Bisogna però individuare percorsi seri, che sappiano valorizzare le competenze di chi, ad esempio, ha studiato in carcere". Milano: 300 detenuti di S. Vittore trasferiti a Bollate e Opera
Corriere della Sera, 29 ottobre 2008
Duecentocinquanta traslocheranno a Bollate. Un’altra cinquantina a Opera. Qualcun altro in altre carceri italiane. Il tutto "presto, a giorni": questi gli interventi d’urgenza che il guardasigilli Angelino Alfano, calato ieri a Milano dopo essersi improvvisamente accorto che San Vittore è "troppo affollato", ha annunciato visitando lo storico istituto di Piazza Filangieri. È pur sempre un tampone, visto che "il rubinetto degli arresti è sempre aperto - per dirla col provveditore delle carceri lombarde Luigi Pagano - e la vasca è sempre quella", ma almeno sgonfierà San Vittore di quei trecento e passa ospiti facendoli passare dai 1400 attuali ai circa mille che supererebbero di poco i 920 previsti come capienza lecita. Se non altro per qualche mese - prevede Pagano - si potrà tirare il fiato". Che la scoperta dell’affollamento carcerario italiano e di San Vittore in particolare da parte del ministero della Giustizia fosse un po’ "la scoperta dell’acqua calda", come aveva detto il presidente della Commissione comunale carceri Alberto Garocchio (Fi), non cancella dunque l’apprezzamento di Pagano per il fatto che "qualcosa almeno si è mosso". A questo peraltro si aggiunge l’ulteriore annuncio di Alfano su un tema già pluriesposto da anni e ieri rilanciato: "Nel 2015 Milano avrà la sua cittadella della giustizia e a quel punto San Vittore potrà essere utilizzato in altro modo". Quanto ai trasferimenti immediati - e che decongestioneranno soprattutto l’affollatissimo sesto raggio con i suoi sei e anche otto detenuti per cella - il nucleo più consistente sarà destinato alla nuova struttura appena completata a Bollate e capace di 350 posti. La selezione sarà fatta anche tenendo conto della compatibilità con le attività di reinserimento lavorativo in corso. "Del resto - ripete Pagano da sempre - a parte gli interventi d’emergenza ritengo che la vera soluzione del problema carcerario non può che passare attraverso le pene alternative, la rieducazione, il lavoro". Carlo Masseroli, assessore all’urbanistica, chiude con un commento sul progetto-cittadella: "La volontà del ministro su questa idea di grande civiltà ci conforta. Ma a questo punto serve che il governo la finanzi. Altrimenti l’operazione non può reggere". Milano: Osapp; sgombero S. Vittore, atto dovuto e necessario
Il Velino, 29 ottobre 2008
"Lo sgombero è un atto dovuto e necessario, non certamente un’operazione di cui Alfano debba andare fiero". A dichiararlo è Leo Beneduci, segretario generale dell’organizzazione sindacale autonoma Polizia penitenziaria che ridimensiona la decisione del ministero di trasferire in altri penitenziari parte dei detenuti di San Vittore e lancia l’ennesimo allarme. "Caro ministro della Giustizia - esorta Beneduci - certi sensazionalismi attraggono meno delle interruzioni pubblicitarie nei programmi televisivi. Se questa vicenda dimostra qualcosa, è ciò che diciamo oramai da troppo tempo su un’Amministrazione penitenziaria che non sa più che pesci prendere e che cerca di mettere la sordina ai problemi, ma quando poi i problemi esplodono si comporta come Alice nel Paese delle meraviglie". Secondo il segretario generale "un’altra cosa svela la decisione del ministro, una cosa ben più grave: che certe realtà carcerarie, come quella di Bollate, si tende comunque a preservarle e a considerarle virtuose, ma tali non sono, o meglio, lo sono con grave sofferenza per chi invece non ha la fortuna di essere recluso lì. Si sta scatenando in sostanza una guerra tra poveri che ci consegna un Paese estremamente divaricato, anche sul fronte delle carceri. Solo adesso il Guardasigilli ci dice che a Bollate esigenze estreme suggeriscono di ospitare parte dei 200 detenuti di San Vittore. Ma non ci spiega perché in Italia, che soffre oramai una condizione generale arrivata a toccare i 57.539 detenuti e che in Lombardia ha raggiunto la capacità tollerabile stimata di 8.380 reclusi (dati riferiti al 26/10/08), ci sono istituti di serie A e di serie B, istituti dove si vive una vita comunque dignitosa ed altri dove si è costretti a dormire per terra". "Diciamo basta a certi spot - insiste Beneduci -. Che il Guardasigilli esprima l’intenzione di metterci una pezza va bene, ma poi devono seguire i fatti concreti. Ma i fatti mal si conciliano con i tagli delle risorse attuate da questo esecutivo, e che solo sull’edilizia penitenziaria toglie 21 milioni di euro in due anni, 2008 e 2009, e che per il mantenimento degli edifici fa scendere lo stanziamento da 25 milioni circa di quest’anno a poco più di 11 milioni di euro per il 2009. Un crollo del 30 per cento sul totale delle poste di bilancio per l’anno finanziario 2008-2009, con un peggioramento delle condizioni lavorative per la Polizia penitenziaria perché, inoltre, un ministro della Funzione Pubblica dà modo ai direttori d’istituto di utilizzare lo strumento delle visite fiscali come mezzo di controllo ulteriore, fino al punto da quadruplicare i costi, con enorme spreco per il servizio sanitario e per i capitoli dell’amministrazione penitenziaria. Ringraziamo il governo - conclude - e al ministro della Giustizia diciamo che la cittadella milanese, quella che vuole realizzare entro il 2015, farà senz’altro felice qualche sprovveduto che è abituato a rimandare i problemi, e non a risolverli. Un miraggio più che un miracolo, rispetto al quale la realtà sembra essere comunque inesorabile". S. M. Capua Vetere (Ce): interrogazione Radicali sul carcere
www.casertasette.it, 29 ottobre 2008
Interrogazione a risposta scritta Presentata da Rita Bernardini al Ministro della Giustizia; al Ministro del Lavoro, Salute e Politiche sociali; al Ministro dell’Ambiente e tutela del territorio e del mare. Premesso che in data 26 ottobre 2008 mi recavo in visita ispettiva presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) e riscontravo la seguente situazione: l’istituto di pena sorge su un terreno paludoso, a pochi metri da una discarica di rifiuti che emana esalazioni nauseabonde con le quali convivono agenti e detenuti; a detta dei funzionari che mi hanno accompagnata nella visita, sarebbe auspicabile la disinfestazione frequente dell’area dove sorge l’istituto, per via delle numerose zanzare e mosche che tormentano la vita dei detenuti e di chi frequenta per lavoro l’istituto; la struttura carceraria, presso la quale sono associati numerosi detenuti in regime di alta sorveglianza, non è dotata di intercinta muraria, essendo delimitata da una recinzione in rete di filo metallico che non offre adeguata sicurezza contro un eventuale tentativo di evasione; l’approvvigionamento idrico dell’istituto avviene tramite lo sfruttamento di alcuni pozzi la cui acqua necessita di interventi continui di potabilizzazione, inoltre un recente monitoraggio delle falde acquifere della zona da parte del Comando militare della Nato, ha evidenziato come in queste acque vi sia la presenza di una concentrazione 50 volte superiore alla norma di batteri coliformi e di coliformi fecali; la struttura ospita 876 tra detenuti e detenute a fronte di una capienza regolamentare di 522 posti, ma, essendo stato chiuso un reparto per mancanza di personale, secondo il Comandante Luigi Mosca e l’Ispettore Capo Agostino Sepolvere, la capienza regolamentare disponibile sarebbe di 450 posti, con un esubero di 426 detenuti; dei detenuti e detenute ospitati, il 70% circa sono in attesa di processo, il 30% circa sono gli stranieri. I detenuti sono ospitati in sette differenti reparti: 1) Volturno Presenza effettiva 253; reparto misto fra italiani e stranieri; 2) Tevere Presenza effettiva 270; reparto misto: tossicodipendenti, stranieri, Alta Sicurezza, 5 sieropositivi di cui uno in condizioni incompatibili con il regime carcerario; 3) Tamigi Presenza effettiva 200 ; reparto con detenuti in regime di Alta Sicurezza; 4) Senna Presenza effettiva 60; reparto femminile in regime di Alta Sicurezza; 5) Danubio Presenza effettiva 70; reparto dove si trovano detenuti con situazioni particolari per ragioni disciplinari o sanitarie oppure perché accusati di violenza carnale o per reati di pedofilia; 6) Degenza Presenza effettiva 16; 7) Transito Presenza effettiva 7; 326 detenuti su 876 si trovano in regime di Alta Sicurezza, molti di loro sono accusati o condannati per associazione a delinquere di stampo camorristico; si registrano gravi carenze nel numero del personale impiegato all’interno dell’istituto e in particolare: 1) a fronte di un organico previsto di 521 agenti di Polizia penitenziaria, solo 400 sono quelli effettivamente assegnati; 2) per circa 900 ristretti (peraltro in condizioni di sovraffollamento) è in servizio un solo medico; 3) gli educatori in pianta organica sono 7, ma solo 1 è stato assegnato; 4) è presente un solo psicologo per un totale di 10 ore settimanali, mentre è stata interrotta la convenzione con uno psichiatra, che era presente all’interno dell’istituto anch’esso per 10 ore settimanali; a causa della carenza di personale gli agenti sono costretti a turni di lavoro prolungati e a molte ore di lavoro straordinario, retribuite con un compenso di soli circa 7 euro l’ora; tutti i detenuti e le detenute lamentano la cronica carenza di assistenza sanitaria, sia per l’insufficienza del personale medico, sia perché tutti i farmaci, tranne i salvavita, sono a spese dei detenuti; l’11 agosto 2008 un detenuto è morto per un arresto cardiocircolatorio. Il 21 ottobre un altro di 32 anni si è tolto la vita impiccandosi; solo un centinaio degli 876 detenuti e detenute ospitati svolgono una qualche attività lavorativa all’interno dell’istituto; molti detenuti e detenute, soprattutto gli stranieri che non hanno mezzi economici per integrare il vitto, lamentano la scarsità delle porzioni di cibo e la scarsa disponibilità di cibi come riso e latte; pur essendo a disposizione il prontuario dei diritti del detenuto - fatto di cui diamo atto ai dirigenti dell’istituto che ce ne hanno consegnata una copia in italiano, arabo e albanese - nella realtà dei fatti nessuno dei reclusi ne ha mai presa visione perché il prontuario viene consegnato solo a chi ne fa richiesta e nessuno dei detenuti da noi consultati era a conoscenza di questa opportunità. Per sapere: se il Ministro della Giustizia non intenda disporre urgenti controlli al fine di verificare la situazione sopra descritta e la regolarità della gestione e del funzionamento della Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere; se il Ministro della Giustizia non ritenga urgente e opportuno incrementare il numero degli agenti di Polizia penitenziaria e il numero degli educatori in servizio presso la struttura; cosa si intende fare per porre termine alla grave situazione di sovraffollamento della struttura, riportando il numero di detenuti e detenute ospitati entro il limite previsto dalla capienza regolamentare; se il Ministro della Giustizia è a conoscenza del fatto che nella casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere vi sia detenuta una gran parte degli appartenenti a associazioni a delinquere di stampo camorristico e se non ritenga più prudente considerare una loro distribuzione in diversi istituti; se il Ministro della Giustizia non intenda disporre che ogni detenuto sia informato sul regolamento penitenziario e gli sia fornita copia del prontuario dei diritti del detenuto; come è stabilito l’ammontare delle razioni quotidiane del vitto, e l’assortimento del menù, e se questi siano soggetti a variazioni in funzione di esigenze metaboliche dell’individuo, preferenze o abitudini alimentari anche dettate da motivazioni di ordine sanitario, culturale o religioso; se i Ministri interrogati non intendano avviare urgenti misure volte alla riqualificazione ambientale del sito dove sorge l’istituto, provvedendo a una bonifica e messa in sicurezza della discarica di rifiuti attigua, alla disinfestazione periodica dei fondi circostanti e alla bonifica delle falde acquifere della zona; se i Ministri ritengano sufficiente la dotazione di personale sanitario tra medici, psicologi e personale infermieristico prevista per l’istituto, e se non ritengano opportuno rivedere le convenzioni con le Regioni e le Aziende sanitarie locali per assicurare una più adeguata assistenza, e la gratuità dei farmaci a quei detenuti che non possono far fronte al loro acquisto. Perugia: Bianzino; "morto in carcere", o "morto di carcere" di Vanna Ugolini
Il Messaggero, 29 ottobre 2008
"La morte in carcere di un detenuto rappresenta un’evenienza sempre possibile. La morte "di carcere" costituisce, invece, uno di quegli eventi che danno la misura di quanto in uno Stato siano o meno rispettati i diritti dell’uomo. Ciò spiega perché di fronte alla morte di un detenuto si impongano verifiche dettagliate e puntuali, tali da non consentire che permangano margini di dubbio". Così scrive il gip Massimo Ricciarelli nelle motivazioni con cui respinge la richiesta di archiviazione che il pm Giuseppe Petrazzini aveva chiesto in merito alle indagini contro ignoti per l’omicidio di Aldo Bianzino. Secondo il gip l’inchiesta non va archiviata, ma va indagato meglio e più fondo per stabilire di cosa sia morto il falegname 40enne arrestato il 12 ottobre di due anni fa perché coltivava piante di canapa nel suo giardino e trovato morto nella sua cella due giorni dopo. Per il pm Petrazzini forte di una relazione tecnica, le cause della morte sono naturali, quindi non c’è stato alcun omicidio ma solo omissione di soccorso. Una guardia non ascoltò, quella notte, la sua richiesta di essere visitato da un medico. Le difese dei familiari di Bianzino, gli avvocati Donatella Donati, Massimo Zaganelli e Cristina Di Natale, avevano, invece, presentato un’altra perizia, a firma del professor Giuseppe Fortuni, in cui si profilava la possibilità che Bianzino fosse morto per dei colpi ricevuti a livello del fegato. Gran parte delle indagini si concentreranno proprio sulle perizie ma il gip ha chiesto, fra l’altro, che vengano sentite anche le dottoresse che praticarono la rianimazione, le quali sostennero di non aver provocato lesioni nella zona epatica. Va rimarcato - scrive il gip - che gli elementi acquisiti fin qui non sembrano suffragare l’ipotesi di un traumatismo anomalo subito in carcere da Bianzino": le telecamere interne, infatti, non hanno ripreso nulla di strano. "ma permangono spunti meritevoli di approfondimento anche sul versante della ricostruzione dei dati circostanziali". Insomma, ci sono troppi punti oscuri intorno a quella morte che vanno chiariti. Il pm ha ancora quattro mesi di indagini. Agrigento: 200 posti e 440 detenuti, vietato fare nuovi arresti
La Sicilia, 29 ottobre 2008
Sono circa 440 le persone che stanno trascorrendo periodi di detenzione più o meno lunghi, più o meno in isolamento, ma tutti accomunati da disagi ingiustificabili per un paese civile come si autodefinisce l’Italia. Accade infatti che oltre a mangiare a turno all’interno delle celle, i reclusi debbano dormire sui materassi anch’essi posizionati al suolo. Sono finite le brande anche per "impilarle" come si fa per i letti a castello. Facile intuire cosa accada dentro uno spazio grande pochi metri, con almeno 4 persone con le loro necessità, le loro abitudini, i loro caratteri. Questo è l’aspetto che rende difficile la vita a chi deve scontare una pena. Difficile è però la vita anche per il personale della Polizia penitenziaria, costretto a turni di lavoro difficili da sostenere. Tanti sono infatti gli agenti che hanno dovuto rinunciare a periodi di ferie, con grande senso di responsabilità. Ma la faccenda ha dei risvolti negativi anche per quanto concerne indirettamente l’attività delle forze dell’ordine esterne al penitenziario. Con una popolazione carceraria di 440 persone, se ci fosse un qualsiasi tipo di maxi operazione, con arresti da 15 unità e oltre, il Petrusa non potrebbe accoglierli tutti insieme. Costringendo quindi le autorità competenti a trasferire i neo arrestati in altre case circondariali dove un posto in più lo si può trovare. Non è un problema di poco conto, anche alla luce della notevole attività svolta da polizia, carabinieri, guardia di finanza in provincia di Agrigento, dove gli arresti non mancano mai. Se ad esempio questa notte finissero in manette 20 persone in un colpo solo, ci sarebbe un bel da fare per chi di dovere nel sistemare i neo arrestati. I nodi continuano a venire al pettine di una situazione che per anni è stata trascurata e che non accenna a migliorare. Ed è paradossale che Agrigento sia una delle città con le carceri "esaurite", proprio nel periodo in cui il ministro competente, ovvero quello della Giustizia è come noto l’agrigentino Angelino Alfano. Alfano di certo per quanto non è stato fatto negli scorsi decenni non ha la minima colpa, né ha la bacchetta magica per svuotare di colpo il Petrusa. Ma da più parti all’interno del penitenziario alla periferia del capoluogo si è alzata la richiesta di un intervento anche di prospettiva per ripristinare un minimo di normalità nella struttura. Una struttura "vecchia" di appena 11 anni, essendo stata inaugurata nel 1997, immaginando per essa un utilizzo non così intensivo. Il Petrusa all’epoca venne "tarato" per circa 200 persone, cifra abbondantemente doppiata con il passare degli anni. A fare impennare le presenza è stato l’aumento degli arresti per i cosiddetti "piccoli reati" e il contrasto all’immigrazione clandestina. Sui 440 detenuti infatti al momento nella casa circondariale, oltre un centinaio sono stranieri, quasi tutti africani, molti dei quali accusati di essere stati scafisti o favoreggiatori dell’immigrazione irregolare. Vista la situazione del Petrusa, a questo punto l’integrazione tra i popoli è scontata, salvo casi di palese insofferenza agli altrui usi e costumi. Latina: La Destra; carcere degradato, tra peggiori di regione
Il Tempo, 29 ottobre 2008
"Se l’ambizione del carcere di Latina è quella di eguagliare la situazione organizzativa delle carceri di Viterbo e Rieti, direi che il traguardo è davvero molto vicino". Lo afferma ironicamente il capogruppo della Lista Storace alla Regione Lazio, Vladimiro Rinaldi che, accompagnato dal suo collaboratore Daniele Belli, ed il responsabile de La Destra di Latina, Nando Cappelletti, ha effettuato un giro negli istituti penitenziari del Lazio. "L’inadeguatezza ed il degrado della struttura, constatabili di persona, sono superati dai racconti del direttore Claudio Piccari e del vicecommissario, comandante Matano, delle continue emergenze superate mettendo anche a terra i materassi. Ripristinare la struttura attuale non risolverebbe il problema - prosegue Rinaldi - si tratta del carcere più piccolo del Lazio per la seconda Provincia della Regione. I conti non tornano, Una struttura che dovrebbe contenere non più di 90 detenuti nella sezione maschile, attualmente ospita 130 uomini, oltre le 32 detenute in regime di alta e altissima sicurezza". Genova: Cassinelli (Pdl); morte Eliantonio, sì a Commissione
Ansa, 29 ottobre 2008
Il deputato Roberto Cassinelli (Pdl), membro della commissione giustizia della Camera è intervenuto sulla vicenda di Manuel Eliantonio, di 22 anni, morto nel carecere di Marassi, spiegando di essere "disponibile a fare da trait-d’union tra la Regione Liguria, la Commissione giustizia di Montecitorio e il ministero della giustizia, per creare le condizioni di un interessamento concreto delle istituzioni sulla vicenda Marassi". Ieri il Consiglio regionale della Liguria ha approvato un ordine del giorno con cui chiede l’apertura di una commissione parlamentare di inchiesta per fare chiarezza sulla morte del giovane, condannato a cinque mesi per resistenza a pubblico ufficiale. Cassinelli condivide il documento approvato ieri: "è vergognoso ed indegno, in un paese civile, che su un episodio del genere rimanga anche solo l’ombra del sospetto - ha affermato -. Bisogna accertare con chiarezza se le denunce del giovane alla famiglia risultassero fondate. Il clima di violenza descritto dal giovane, le denunce presentate dai familiari, le circostanze stesse del decesso così come risultano dalle fonti ufficiali (avvelenamento da gas butano contenuto nel fornelletto adoperato in cella dal detenuto) rendono necessario un rigoroso approfondimento ed un altrettanto rigoroso accertamento delle responsabilità".
Rosasco (Radicali): regione nomini Garante dei detenuti
Dopo la morte di Manuel Eliantonio, il detenuto di 22 anni morto nel carcere di Marassi, si conferma l’urgenza di rispondere al disagio carcerario che riguarda detenuti e agenti della polizia penitenziaria mediante una forte risposta delle istituzioni nazionali e locali". Lo scrive in una nota Alessandro Rosasco, membro del Comitato nazionale di Radicali italiani. "Ad inizio legislatura, abbiamo concordato un testo di legge regionale insieme ai consiglieri Verdi Cristina Morelli e Carlo Vasconi volto ad istituire anche in Liguria la figura del Garante regionale per le persone detenute. In tutto questo tempo anche il gruppo del Pd e di Rc hanno depositato testi in questo senso - scrive Rosasco -. Credo sia l’ora per arrivare ad una decisione e all’approvazione di questi testi". Rosasco chiede che la Regione Liguria "non scarichi il peso di questo tragico episodio sul Parlamento ma che provveda, con le sue competenze, ad affrontare la situazione carceraria. Si discuta subito in Consiglio regionale di tutti i testi relativi al pianeta carcere finora depositati senza aspettare che questi episodi si ripresentino in futuro". Monza: visita carcere parlamentari Pd; i detenuti sono troppi
Ansa, 29 ottobre 2008
Una delegazione di parlamentari, consiglieri regionali e rappresentanti del Partito Democratico si è recata oggi al carcere di Monza per rendersi conto delle condizioni di vita dei detenuti dopo la pubblicazione del rapporto-choc dell’Asl che denuncia sovraffollamento e pessime condizioni igieniche. "Abbiamo trovato quasi tutte le celle previste per due posti occupate da tre detenuti - ha spiegato il segretario provinciale del Pd, Enrico Brambilla -. Inoltre vi sono numerosi spazi comuni in cui si accumula sporcizia e non certo per colpa del personale, che anzi agisce con grande impegno, ma a causa dell’ eccessivo numero dei carcerati". Sulla carenza di personale ha insistito la senatrice Emanuela Baio Dossi: "Nel 2001 era stato fatto un concorso per assumere nuovi operatori per le carceri poi tutto si è bloccato - ha detto -. Per quanto riguarda la Polizia penitenziaria chiederò che venga assegnato nuovo personale, trasferendolo da altri istituti di pena in cui il rapporto tra detenuti e guardie carcerarie sia più favorevole". Brambilla ha anche annunciato proposte per il reinserimento dei detenuti dopo la pena. Locri: dal "Patto penitenziario" nasce un corso di formazione
Vita, 29 ottobre 2008
Prende il via il 6 novembre nella Locride un corso di formazione congiunta che si rivolge a operatori e volontari di enti locali, Asl e di associazioni di volontariato presenti nel territorio della Locride, nonché operatori penitenziari della Casa Circondariale di Locri e dell’Uepe (Ufficio di Esecuzione Penale Esterna) di Reggio Calabria. Il corso promosso dal Centro di Servizio al Volontariato Dei Due Mari e dall’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Reggio Calabria, avvia la fase attuativa del Patto Penitenziario per la Locride, un accordo sottoscritto tra diversi soggetti istituzionale del territorio nel mese di luglio 2008 che si propone di favorire l’inclusione sociale dei soggetti provenienti da percorsi penali. L’obiettivo è quello di creare una visione condivisa, un linguaggio comune, una sinergia d’interventi tra i soggetti istituzionali e del volontariato coinvolti nel progetto. La seconda fase del Patto Penitenziario prevede l’apertura a Locri, in una struttura già individuata, di una Agenzia per l’inclusione sociale rivolta ai soggetti con problemi penali ed alle loro famiglie. All’interno della struttura opererà anche un servizio di ascolto ed assistenza per i familiari delle vittime del delitto e della criminalità organizzata. La sede formativa prescelta è Locri e in particolare Palazzo Nieddu, l’edificio all’interno del quale è stato assassinato il vice-presidente della Giunta regionale Francesco Fortugno. Un luogo simbolo di violenza e sopraffazione che in tale occasione diventa spazio per pensare a percorsi di legalità,di riscatto sociale e di riconciliazione. Porto Azzurro: detenuti e poeti, VII edizione Premio Casalini di Massimo Novelli
La Repubblica, 29 ottobre 2008
Ogni anno molti carcerati partecipano al concorso letterario nato nel 2002 a Porto Azzurro per ricordare il fondatore dell’Università delle Tre Età-Unitré nel penitenziario toscano. Sono inseguiti da ricordi quasi sempre di sangue e di morte, straziati da un passato che non passa, fermati in un tempo cristallizzato, pentiti sinceramente o ancora dilaniati da vecchie ossessioni. Eppure loro, già mafiosi e assassini, già banditi e criminali, colpevoli o innocenti che siano, coltivano una "grande promessa": restituirsi alla vita, ritrovare qualcosa che vada oltre i pochi metri quadrati della cella di un carcere. Sono i detenuti che scrivono: racconti e poesie, memorie e fantasmi, libertà perdute e sogni di libertà. Gente come Lorenzo Bozano, il "biondino della spider rossa", condannato all’ergastolo negli anni Settanta per l’omicidio della tredicenne Milena Sutter, che da Porto Azzurro insegue nella scrittura il rumore del mare e le sagome di un veliero. O come Domenico Strangio, calabrese di San Luca, in prigione dall’altrettanto lontano 1980, che riflette nei suoi scritti sulla follia della faida che lacera dal 1991 il suo paese, e spera che quella "guerra assurda" finisca perché "siamo tutti colpevoli e parimenti innocenti. In verità siamo soltanto dementi". O, ancora, come Marco Purita, lombardo, in galera per una rissa da bar sfociata in omicidio, che si è laureato tra le sbarre e che nella scrittura ha riconquistato se stesso. Bozano, Strangio e Purita sono alcuni dei numerosi carcerati che ogni anno, dal 2002, partecipano con le proprie opere al Premio letterario nazionale "Emanuele Casalini". Nata a Porto Azzurro per ricordare Casalini, che fondò l’Università delle Tre Età-Unitré all’interno del penitenziario toscano, la manifestazione è diventata itinerante per le carceri italiane e ieri è approdata alla casa circondariale "Lorusso e Cutugno" di Torino, dove si è tenuta la cerimonia di premiazione. Non molti hanno ovviamente potuto prendervi parte, ma qualcuno, come Strangio, ha avuto la possibilità di lasciare la prigione in cui è rinchiuso e di dialogare, per qualche ora da uomo "libero", con gente "normale" e con scrittori di professione (da Ernesto Ferrero a Margherita Oggero, Giuseppe Culicchia, Fabio Geda). Poesie, fantasie, racconti nati in una cella, certo. E tante vicende tragiche, tante esistenze spezzate, dietro alle pagine pensate e composte nei reclusori di Volterra, di Porto Azzurro, di Spoleto, dell’Asinara, delle Vallette, di San Vittore, di Rebibbia. Un universo, questo dei detenuti letterati, dove le chiavi della prigione sono "lancette della memoria", secondo Gabriele Aral, e in cui l’angoscia della reclusione, per Carmelo Musumeci, è scandita da versi lancinanti: "Si muore tutti i giorni/per tornare di nuovo a morire ancora". Per tutti, al di là dei crimini commessi, c’è un comune desiderio. Non è volere la luna, ma soltanto, scrive Antonio Faulisi, il "bisogno di un cielo tutto mio". Volterra: 20 anni Compagnia della Fortezza; il documentario
Il Tirreno, 29 ottobre 2008
Venti anni della Compagnia della Fortezza in un documentario. Della durata di quattro minuti, è stato realizzato dalla giovane filmaker Lavinia Baroni, per la produzione Lavocedeldodo 2002, con musiche di Pasquale Catalano. "Liberi di creare" è la frase che compare come una sorta di titolo di coda quando sfumano le immagini di "Budini e capretti. La scuola dei buffoni", l’ultimo degli spettacoli della compagnia di attori detenuti guidati dal regista Armando Punzo citato nella serie ventennale di lavori. Dal 1989 al 2006, i titoli delle produzioni della compagnia della Fortezza ci sono tutti: Masaniello, San Michele, Il Corrente, Marat Sade, La Prigione, Eneide, I negri, Orlando furioso, Insulti al pubblico, Amleto, L’opera da tre soldi, Pescecani, Pasolini o l’elogio del disimpegno, Appunti per un film, Budini e Capretti. Mancano Pinocchio e il nuovo Marat Sade, le due produzioni dell’anno scorso e di quest’anno. Per vedere il documentario basta andare sul portale di video Youtube e ricercare con la chiave "venti anni della compagnia della Fortezza". Sono quattro minuti di storia ed emozione di un’esperienza unica come la Fortezza. Torino: Ipm; delegazione tedesca e festa Polizia penitenziaria
Comunicati stampa, 29 ottobre 2008
29 ottobre 2008. Visita delegazione tedesca presso i servizi della giustizia minorile
Oggi 29 ottobre 2008, una delegazione del Ministero della Giustizia della Germania visiterà il Centro di Prima Accoglienza "Uberto Radaelli" e l’Istituto Penale per i Minorenni "Ferrante Aporti" di Torino. La delegazione sarà ricevuta dal Direttore Generale Serenella Pesarin, dal Dirigente Rosalia Di Chiara del Dipartimento Giustizia Minorile, nonché dal Dirigente Antonio Pappalardo, del Centro Giustizia Minorile del Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria di Torino.
11 novembre 2008. Festa annuale interregionale del Corpo di Polizia Penitenziaria
Il giorno 11 novembre 2008, alle ore 10.30, avrà luogo, presso i locali dell’Istituto Penale per i Minorenni "Ferrante Aporti" di Torino, la celebrazione dell’annuale Festa del Corpo della Polizia Penitenziaria, che quest’anno sarà organizzata a livello interregionale, interessando sia il distretto del Piemonte e Valle d’Aosta che quello della Liguria. Si tratterà di un’importante occasione per una riflessione sull’attività svolta e sugli obiettivi futuri da conseguire in un’opera tanto impegnativa quanto gratificante che vede quotidianamente impegnato il personale nel controllo e trattamento educativo di giovani sottoposti a misure penali. Alla Cerimonia, che avrà inizio alle ore 10.30, interverranno Autorità civili, militari e religiose, esponenti del mondo del volontariato e del terzo settore, realtà del territorio impegnate in fattiva collaborazione con l’Istituto Penale per i Minorenni "Ferrante Aporti". Sarà gradita la presenza, previa comunicazione dei nominativi alla Direzione dell’Istituto Penale, di rappresentanti degli organi di informazione. Immigrazione: i rifugiati politici? figli del ministro dell’Interno
Redattore Sociale - Dire, 29 ottobre 2008
Una delegazione del comune di Torino all’ex clinica occupata da 200 immigrati con permesso di soggiorno. "Vergognoso che chi è protetto dal governo viva così". Don Ciotti: "Giuridicamente a posto: vogliono lavorare, studiare". Una delegazione del comune per visitare i locali della ex Clinica San Paolo di corso Peschiera e verificare le condizioni di vita degli occupanti, circa 200 profughi dall’Africa. Una visita che ha visto un dialogo, pur difficile tra le parti, (la delegazione formata dagli assessori Roberto Tricarico e Marco Borgione, su incarico della Giunta), una riunione a porte chiuse fra i rappresentanti degli stranieri e dei centri sociali, un aiuto concreto con circa 80 letti e coperte. "È vergognoso che chi è protetto dal nostro governo viva così. Chi è rifugiato politico è figlio del ministro degli Interni, che deve essere come un padre", ha affermato Tricarico incontrando i rifugiati presenti nella struttura. "È ora che il governo, in particolare il ministro Maroni, che ha una precisa responsabilità nei confronti dei rifugiati politici in quanto hanno diritto di essere protetti da parte dello Stato - hanno sottolineato ancora Tricarico, Borgione e Paolino - indichi con chiarezza in che modo e con quali risorse intende far fronte a questa grave emergenza umanitaria. Il comune non può certo essere lasciato da solo: in questa situazione può soltanto fornire coperte e cure ai bambini minori presenti, tra i quali c"è un neonato di appena tre mesi". "Riferiremo alla giunta - hanno concluso gli amministratori - quello che abbiamo visto e continueremo a chiedere l’interessamento della Prefettura, che ha sempre dimostrato la massima disponibilità". Sulla situazione del quartiere è intervenuto anche il presidente della Circoscrizione 3, Michele Paolino, che ha sottolineato le difficoltà della gente e rivolgendosi ai rifugiati ha affermato: "Questo è un grande villaggio da sempre aperto alla dignità dell’uomo e della donna. Vi chiedo di avere riguardo verso le persone che vivono nel quartiere, che spesso hanno un po’ paura, di comprendere il loro timore". "Bisogna rispettare la loro voce - ha sottolineato don Luigi Ciotti - Nessuno deve decidere per loro. Sono giuridicamente a posto: vogliono lavorare, studiare. I diritti umani, dalla carta devono diventare "carne". Accoglienza e diritto devono trovare il modo per coniugarsi, per evitare che si creino queste situazioni", di occupazione illegale. Immigrazione: Cie di Ponte Galeria; nigeriane in cerca di asilo
Redattore Sociale - Dire, 29 ottobre 2008
Aumentano le presenze nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria. Molte per uscire chiedono asilo politico: un modo per tornare libere, anche se libertà spesso vuol dire altro che fare ritorno dai loro sfruttatori. Chiuse in piccoli cerchi a conchiglia passano il tempo a pettinarsi l’una con l’altra i capelli neri o mesciati, intrecciandoli, stirandoli o domandoli per poi riassemblarli in nuove fogge. Tutte assorte in questa occupazione che richiede pazienza e concentrazione, e che appare l’ideale in quei luoghi dove il tempo scorre tutto uguale e sembra non volere passare mai. Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria, 22 ottobre 2008: le donne che si acconciano i capelli al centro dei cortili quadrati circondati da sbarre situati di fronte alle stanze dove si dorme sono tutte di nazionalità nigeriana. Ragazze giovani che a detta delle operatrici della Croce Rossa, che gestisce il Centro, hanno da poco passato i venti anni, anche se a volte sembrano delle vere adolescenti, minori non accompagnate come direbbero gli operatori sociali. Nel Centro di identificazione ed espulsione più grande d’Italia le ragazze nigeriane sono 78 su 152 donne presenti, mentre i loro connazionali uomini sono appena 9 su un totale di 108 "ospiti" di sesso maschile, se con questa parola è possibile definire persone trattenute per essere identificate ed espulse per decreto, se non direttamente rimpatriate con appositi voli. Perché il Cie di Ponte Galeria non è altro che il vecchio Centro di Permanenza Temporanea o Cpt, come quasi tutti continuano ancora a chiamarlo visto che, attuabile o meno, la filosofia di fondo rimane la stessa: rintracciare le identità nascoste di stranieri irregolari presenti nel nostro Paese per poi rispedirli a casa propria o, quando questo non è possibile (e accade spesso), liberarli sul territorio nazionale con un decreto di espulsione in tasca che non farà che rendere più complicata un’eventuale regolarizzazione futura. Il Cpt funziona a ondate: è lo specchio fedele delle emergenze del Paese o quanto meno delle cronache. Con l’indulto di due anni fa si riempì di stranieri che uscivano dal carcere, in altri momenti sono state altre nazionalità a farla da padrone. E ora è la stagione delle nigeriane: gli operatori della Croce Rossa non lo dicono chiaramente, continuano a ripetere che il fenomeno è imprevedibile e che ciò che è vero oggi potrebbe essere totalmente smentito domani, ma le associazioni di volontariato che gravitano intorno al Centro, offrendo vari tipi di aiuto ai trattenuti, confermano che tante donne provenienti dalla Nigeria non si erano mai viste come nel periodo cominciato con l’inizio dell’estate, e degli sbarchi. E la cosa è confermata dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim), che a metà settembre scorso ha denunciato un vero e proprio boom di sbarchi di donne provenienti dalla Nigeria sulle coste italiane. Dal 1 gennaio al 15 ottobre del 2008 - ha fatto sapere l’Oim - si contavano 1.128 nigeriane irregolari, contro le 166 dell’anno precedente. Ma non tutte le donne nigeriane trattenute a Ponte Galeria provengono direttamente dagli sbarchi. E anche quando, come dopo la metà di ottobre, il flusso degli arrivi via mare è decisamente scemato, la loro presenza continua ad avere un grosso peso all’interno del Centro. E rimane una costante nonostante il turn over a Ponte Galeria sia rapido e quotidiano. Queste donne - spiegano gli operatori della Croce Rossa - arrivano da tutto il territorio nazionale e probabilmente, anche se non viene mai detto espressamente, sono il prodotto delle retate effettuate dalle forze dell’ordine sulle strade dove molte di loro si prostituiscono. E dunque - come per gli altri immigrati - quando arrivano al Centro il loro destino è segnato. Si chiama espulsione, e qualche volta anche rimpatrio vero e proprio. Ma siccome nessuna di loro accetta l’idea di tornare in Patria - precisano gli operatori della Croce Rossa - una buona parte fa richiesta di asilo politico, o di protezione internazionale per dirla con più esattezza. Si tratta di un modo certo per uscire dal Cie, anche per chi non ha i requisisti necessari per ottenere la protezione, a patto che non abbia precedenti penali e non abbia già ricevuto un diniego da parte della Commissione territoriale preposta all’esame della domanda. E così, nonostante con la richiesta dell’asilo il decreto di espulsione sia solo sospeso e non annullato, sono molte ad ricorrere a questa misura. A Ponte Galeria infatti - raccontano gli operatori della Croce Rossa - quasi ogni giorno c’è qualcuna che presenta domanda di protezione internazionale e negli ultimi due mesi le richieste sono state 21, a fronte di sole 2 richieste di quell’articolo 18, attraverso il quale le donne che si prostituiscono possono chiedere il soggiorno per ragioni di protezione sociale. L’articolo 18 fa paura concordano gli operatori della Croce Rossa e gli altri volontari, e spesso le donne sono spaventate non solo per se stesse ma anche per le famiglie che hanno lasciato a casa. Per non dire dei riti del voodoo, tuttora praticati, che le legano a doppio filo ai loro sfruttatori. Al contrario, la richiesta di asilo politico appare a molte un mezzo più sicuro e meno rischioso per lasciare il Centro. Dopo la domanda, infatti, le donne escono con l’invito di presentarsi in Commissione. Dopo di che è difficile sapere se si presenteranno ed - eventualmente - con quali esiti perché a questo punto operatori, volontari e avvocati di solito le hanno ormai perse di vista. Ma intanto quel che conta è uscire ed essere finalmente "libere", anche se per molte di loro libertà non vuol dire altro che ritrovare i propri sfruttatori e tramite questi tornare sulla strada.
Nigeriane nel Cie, diffidenti e con un chiodo fisso: uscire al più presto
Stanno tutte insieme, sempre tra loro. Negli spazi comuni circondati da alte sbarre del Centro di Identificazione e Espulsione (Cie) di Ponte Galeria le giovani donne nigeriane si riuniscono in gruppi. Se provi a parlare con loro per lo più ridono, guardano che jeans indossi e come porti i capelli, qualcuna ti abbraccia anche e alla fine se fai qualche domanda di troppo ti guarda fisso e ti chiede a bruciapelo se per caso non sei una "carabiniera". A detta degli operatori della Croce Rossa, che gestisce il Centro, hanno in media poco più di venti anni e molte di quelle presenti il 22 ottobre (il giorno in cui abbiamo visitato il Cie) arrivano dalla diverse città italiane, dove tante di loro esercitavano la prostituzione su strada. Sono organizzate, hanno contatti e riferimenti al di fuori del Centro, fanno gruppo e si scambiano aiuto e informazioni tra loro. E tutte, ma proprio tutte, hanno un chiodo fisso: uscire il più rapidamente possibile dal Centro, cosa che presumibilmente faranno richiedendo l’asilo politico tramite gli operatori della Croce Rossa, i volontari delle associazioni che lavorano all’interno del Centro o i tanti avvocati che gravitano intorno al Cie sempre in cerca di nuovi clienti. La realtà di Ponte Galeria è però cangiante e muta forma in continuazione. In questo periodo le nigeriane sono le più numerose (78 su un totale di 152 donne il 22 ottobre scorso) e arrivano dal territorio nazionale, ma non sempre è così. Nei mesi scorsi, per esempio, erano in tante quelle che arrivavano dagli sbarchi a Lampedusa. Per esempio - raccontano gli operatori della Croce Rossa - a settembre è arrivato un gruppo di donne nigeriane particolarmente sprovvedute. Operatori e volontari erano spiazzati: non avevano telefoni cellulari, non sapevano a chi rivolgersi e - diversamente dal solito - parlavano a mala pena l’inglese. In più tre di loro erano incinte (e solo una di esse aveva un compagno) vittime presumibilmente di violenze o comunque di incidenti non previsti occorsi durante quegli interminabili viaggi che le portano dalla Nigeria all’Italia. Con queste donne è però difficile avere contatti. Se nessuno degli stranieri trattenuti nel Cie si fida, loro si fidano meno. La distanza con gli operatori è incolmabile, e non solo per la loro condizione di recluse. Si sentono separate da uno scarto culturale, che raramente incontra possibilità di contatto, e gli operatori le trovano a loro volta più irraggiungibili di tante delle donne provenienti da altri Paesi. Il rapporto migliore ce l’hanno con le suore: attraverso la preghiera riescono a stabilire un contatto e il riferimento al sovrannaturale le rende più permeabili. Per il resto nulla, diffidenza nei confronti degli estranei e forte controllo reciproco tra loro. Prima di fare visita a Ponte Galeria, avevamo chiesto di intervistare alcune donne nigeriane e il giorno precedente al nostro arrivo cinque di esse avevano assicurato la propria disponibilità. Nel giro di 24 ore, però, le cose sono cambiate e di quelle cinque ne era rimasta soltanto una. Ha raccontato la sua storia nel laboratorio dei volontari, coi i tavoli ingombri matite colorate e le pareti rivestite di fogli di carta dai disegni infantili. La donna ha parlato del suo desiderio di avere un lavoro vero, della sua contrarietà alla prostituzione e della battaglia personale che conduceva presso le sue connazionali per convincerle a lasciare la strada. Più tardi, quando l’intervista era finita da un pezzo, è tornata, seguita da una connazionale dai lineamenti irrigiditi dal disappunto che si è fermata a qualche metro di distanza. Ha ritrattato tutto e detto di non voler comparire su nessun giornale: né il suo nome né la sua storia protetta da pseudonimo. Si è scusata caldamente, ma era risoluta. Alla fine, non sentendosi abbastanza rassicurata dalla promessa che sarebbe stato fatto così come voleva, si è fatta consegnare le pagine di block notes sulle quali era stata appuntata per sommi capi la sua vita.
Aumentano le richieste di asilo politico
Da gennaio a oggi il Centro Astalli che è presente all’interno del Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria per prestare aiuto alle persone bisognose di protezione internazionale ha ascoltato 146 persone di cui 35 donne. E di queste 14 hanno erano nigeriane di età compresa tra i 19 e i 43 anni, anche se la maggioranza aveva poco più di 20 anni. "Tra loro - spiegano gli operatori - quasi tutte hanno chiesto asilo, ma 4 sono uscite dal loro Paese più per questioni familiari che per una persecuzione a opera dello Stato o di gruppi, una è scappata per un conflitto religioso, due per motivi chiaramente economici e due per motivi comunque estranei alla procedura di asilo. Due, infine, hanno presentato richiesta di asilo avendo già un diniego in precedenza e per questo motivo non è stata accettata". "Una volta presentata la richiesta di asilo - proseguono - vengono fatte uscire". Alcune già con la data dell’audizione presso la Commissione che dovrà valutare la loro richiesta. A questo punto però le donne si perdono nel nulla "benché - come spiegano gli operatori del Centro Astalli - le seguiamo nella loro procedura e spendiamo sui loro casi molte energie tra consulenze con avvocati, consigli, informazioni sulle audizioni e quant’altro". Una volta fuori, infatti "decade il motivo principale per cui ci hanno contattato, che è quello di uscire fuori da lì". Ma anche fuori dal Cie le richieste di protezione internazionale da parte di persone di nazionalità nigeriana, uomini e donne, è in aumento. "Dal 22 luglio scorso al 27 ottobre hanno fatto richiesta di asilo tramite il Centro Astalli 58 persone provenienti dalla Nigeria, di cui 23 donne", spiega padre Giovanni La Manna, presidente del Centro. Tuttavia, quello che avviane al Centro Astalli fa parte di un trend diffuso a livello nazionale. Nel 2007 infatti - confermano dal Consiglio Italiano Rifugiati (Cir) - la Nigeria è stato il terzo Paese per richieste di asilo dopo Eritrea e Serbia Montenegro. Anche se - sempre nel 2007 - su 728 richieste presentate ben 597 hanno ricevuto il diniego totale. Dei restanti richiedenti, invece, solo 16 hanno ottenuto l’asilo, 105 si sono visti riconoscere altre forme di protezione umanitaria e 8 sono diventati irreperibili.
Oim: la tratta dietro il boom di sbarchi
La prima a lanciare l’allarme è stata l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) che lo scorso 15 settembre ha denunciato un vero e proprio boom di sbarchi di donne nigeriane sulle coste italiane nel 2008: dal 1° gennaio al 15 settembre, infatti, le immigrate irregolari provenienti dalla Nigeria sono state 1.128 contro le 166 del 2007. "Il numero di ragazze nigeriane giunte a Lampedusa nel 2008 è aumentato in modo esponenziale", ha spiegato in quell’occasione Peter Schatzer, capo missione dell’Oim di Roma. In generale, ha fatto sapere l’Oim ha "registrato una forte e allarmante crescita di presenza femminile". Sono state, infatti, oltre 2.400 le donne sbarcate nel 2008, contro le circa 650 arrivate l’anno precedente. Ma "il dato particolarmente evidente riguarda le donne spesso giovani provenienti dalla Nigeria: fino al 15 settembre di quest’anno ne sono arrivate 1.128, contro le sole 166 del 2007. Si tratta di numeri troppo alti per essere casuali - ha dichiarato Schatzer -. Temiamo, infatti, sulla base delle interviste effettuate dai nostri operatori, che un tale flusso nasconda un vasto fenomeno di tratta di esseri umani". Droghe: Napoli; per 3 giorni a Scampia prevenzione in piazza
Redattore Sociale - Dire, 29 ottobre 2008
Inaugurata la manifestazione "Piazza Campo a Scampia" promossa dalla regione, dal comune di Napoli e dalla diocesi. Non solo dibattiti per "addetti ai lavori", ma anche spettacoli teatrali, concerti, video. Tre giorni per combattere la droga. L’ambizioso progetto parte da Scampia, quartiere di Napoli simbolo del degrado materiale e immateriale, ma da cui, "può ripartire la speranza", secondo il cardinale Crescenzio Sepe, presente ieri mattina alla giornata inaugurale dell’evento. La tre giorni dal titolo "Piazza Campo a Scampia c’è", promossa dall’assessorato alla Sanità della regione Campania in collaborazione con l’ottava municipalità del comune di Napoli, la diocesi di Napoli, la prefettura e l’Asl Napoli 1, continua fino al 30 ottobre. Non solo dibattiti e incontri per esperti e "addetti ai lavori", ma anche spettacoli teatrali, concerti musicali, botteghe e altre iniziative che vedranno la partecipazione diretta dei ragazzi di Scampia. Tra queste il festival "Segnali" con protagonisti gli alunni di 22 scuole del territorio cittadino che si sono cimentati nella produzione di audiovisivi sul delicato tema delle dipendenze. Giovedì 30 ottobre la premiazione dei 3 video che hanno dato il contributo più interessante e originale nella lotta alla droga. I premi in denaro serviranno a finanziare la continuità del progetto. Ieri all’apertura di Piazza Campo, alla presenza di rappresentanti istituzionali di regione, comune e Diocesi, si è discusso di "politiche e terapie" e di "servizi e progetti" con l’incontro tra operatori pubblici e autorità. Una sessione squisitamente "tecnica" cui seguirà nel pomeriggio una prima rassegna di proiezioni e spettacoli. Oggi, mercoledì 29 ottobre, gli operatori del Ser.T. incontreranno il direttore del Dipartimento nazionale delle Politiche antidroga e nel pomeriggio si svolgerà l’incontro-studio su "scienza e fantasia". La manifestazione si concluderà il terzo giorno, giovedì 30 ottobre, con il confronto tra gli operatori sanitari e sociali, i volontari, gli enti religiosi, gli operatori pubblici e il presidente onorario dell’associazione nazionale "Libera". "L’idea - spiega la rappresentante dello staff del settore Fasce deboli dell’assessorato regionale alla Sanità Dalila Ascoli - è quella di lasciare un segno in uno dei quartieri più a rischio di Napoli attraverso uno spazio-impronte, un luogo fisico dove, al di là delle singole iniziative, sia possibile confrontarsi per cercare insieme, autorità e cittadini, di gettare le basi per la risoluzione di un problema secolare come quello della droga e per informare sui danni che questa provoca; un grande contenitore di archivi ed esperienze, documenti, immagini e progetti per raccogliere le forze e animare un quartiere difficile". "Lo scopo di allestire una piazza a Scampia è quello di richiamare l’attenzione sui problemi legati all’uso di sostanze stupefacenti e di far emergere oltre alle criticità, anche delle proposte che possano incidere concretamente in questo campo, partendo proprio dalle varie voci che provengono dal territorio". Francia: il ministro Dati; il citofono anti-suicidio per i detenuti
Ansa, 29 ottobre 2008
Citofoni nelle celle delle carceri di Francia per prevenire i suicidi. È l’idea originale del ministro della giustizia francese, Rachida Dati. "Tutte le prigioni saranno dotate di citofoni", ha detto la Dati davanti alla Commissione delle finanze e la commissione delle leggi dell’Assemblea nazionale. Sono 90 i detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio di quest’anno, con un aumento del 18% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il ministro ha spiegato di avere scoperto questo sistema di citofoni inaugurando un nuova ala del carcere di Fleury-Merogis, nell’Essonne, e ha considerato questo mezzo "estremamente importante affinché i compagni di cella dell’aspirante suicida possano chiamare in caso di difficoltà". Questa misura si aggiungerà a quelle recentemente annunciate come le ronde speciali dei sorveglianti. Somalia: donna di 23 anni lapidata in piazza, la folla si ribella di Anais Ginori
La Repubblica, 29 ottobre 2008
Nel sud della Somalia, Chisimaio è una città dove le lancette sono tornate indietro di anni, secoli. Per volontà dei guerriglieri delle deposte Corti Islamiche, che a fine agosto hanno espugnato questo porto strategico, la macchina del tempo viaggia a ritroso. La città è governata dalla sharia, la legge islamica interpretata nel modo più integralista: niente svaghi, solo preghiere, paura e povertà, al tramonto il coprifuoco. Qui Asha Ibrahim Dhuhulow, 23 anni, è stata lapidata lunedì davanti alla folla. Il capo coperto da un velo verde, la giovane è stata condotta a bordo di un furgone sul luogo del supplizio - una piazza sterrata in mezzo a Chisimaio -, poi infilata in una buca fino al collo, davanti a centinaia di persone. Dopo averla colpita ripetutamente con i sassi, i suoi carnefici l’hanno tirata fuori tre volte per verificare se fosse morta. E quando alcuni dei parenti si sono scatenati cercando di soccorrerla è scoppiato il caos. Le guardie hanno aperto il fuoco sulla folla. Un bimbo è rimasto ucciso. L’avevano arrestata qualche giorno fa. L’accusa: adulterio. Ma nessuno in famiglia, neanche il marito sapeva di altre relazioni di Asha. Probabilmente la denuncia di qualche abitante per un comportamento equivoco, o forse soltanto un pretesto. "Ci era stato detto che lei stessa aveva riconosciuto la propria colpa, ma bisognava vedere come urlava, mentre la immobilizzavano legandole mani e piedi" ha raccontato un testimone alla Reuters Secondo i familiari, Asha non ha ricevuto un "processo" coranico equo: "L’Islam - ha ricordato la sorella - non permette che una donna sia messa a morte per adulterio se non si sono presentati pubblicamente l’uomo con cui ha avuto rapporti sessuali e quattro testimoni del fatto". I giudici fondamentalisti non hanno dato risposta alle proteste. Si sono limitati a replicare che puniranno in maniera adeguata la guardia responsabile della morte del bimbo.. Erano due anni che le Corti Islamiche non ordinavano una condanna a morte così atroce. Alla fine del 2006 le truppe del governo transitorio di Mogadiscio avevano sconfitto gli Shabaab, i guerriglieri fondamentalisti, considerati come il braccio armato di Al Qaeda in questa regione africana. Ma la guerra è continuata. Da allora non si è praticamente mai interrotta: i morti sono stati almeno 10mila e si contano oltre 3 milioni di profughi. Negli ultimi mesi i ribelli che si oppongono al fragile governo centrale sostenuto dall’Etiopia hanno recuperato posizioni. A fine agosto si sono impadroniti di Chisimaio, promettendo di riportare la legge e l’ordine. E invece hanno portato solo terrore. L’Unione europea ha subito condannato l’esecuzione "particolarmente ignobile", denunciando anche la "pubblicità insostenibile" data alla lapidazione. La condanna a morte di Asha infatti è stata volutamente messa in piazza, comunicata ai media. I guerriglieri islamici volevano che questo rituale crudele avvenisse sotto i riflettori. E’ suonato come un avvertimento a Mogadiscio. Il governo centrale, infatti, ha appena firmato una tregua, sotto l’egida dell’Onu, insieme all’opposizione politica minoritaria. Di questo accordo si sta discutendo in questi giorni a Nairobi, durante un vertice dell’Igad (l’organismo che raggruppa i sette stati regionali) ma senza la partecipazione dei guerriglieri islamici che non riconoscono la tregua. Gli Shabaab hanno fatto capire al mondo quello che vogliono: a loro la pace non interessa.
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