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Giustizia: la crisi economica porterà a meno disuguaglianze? di Mario Deaglio
La Stampa, 22 ottobre 2008
Il rapporto dell’Ocse sulle disuguaglianze economiche dei Paesi avanzati conferisce un’altra dimensione alla crisi finanziaria mondiale e alla recessione che, come hanno ricordato proprio ieri il governatore della Banca d’Italia e il Fondo monetario internazionale, incombe sulle famiglie dei Paesi ricchi in questo autunno già eccezionalmente perturbato dal punto di vista finanziario. Le disuguaglianze dei redditi sono sensibilmente aumentate negli ultimi 10-15 anni, in uno scenario mondiale di crescita - pur interrotto da momenti angosciosi e crisi profonde - ormai definitivamente alle spalle. A seconda della matrice ideologica dei governi, tale crescita è stata tollerata oppure guardata con favore o addirittura favorita ma in nessun caso ostacolata. I motivi di questa benevolenza sono stati essenzialmente due. Il primo motivo per tollerare o addirittura favorire la disuguaglianza dei redditi, - si ricollega al pensiero liberista classico e quelli che Keynes definì "spiriti vitali" degli imprenditori ed è stato largamente seguito negli Stati Uniti da Reagan a George W. Bush, in Gran Bretagna da Thatcher a Blair, in Italia dal secondo e terzo governo Berlusconi (mentre l’attuale governo Berlusconi ha molto attenuato la sua posizione in materia). Si riteneva che i ceti sociali con redditi elevati fossero dotati di maggiore capacità di iniziativa e che queste capacità non solo andassero genericamente "premiate" ma potessero davvero svilupparsi solo con riduzioni del carico fiscale. Lasciare nelle loro mani una parte maggiore delle risorse significava iniettare adrenalina nelle vene dell’economia, imprimere una spinta alla crescita che sarebbe andata a beneficio di tutti perché avrebbe aumentato il dinamismo dell’economia, creato ricchezza. In maniera più o meno marcata, si procedette quindi quasi ovunque alla detassazione di questi redditi, giustificando il risultante "bonus fiscale" con la necessità di compensare chi era disposto a rischiare in proprio. Queste misure venivano anche proposte come reazione all’appiattimento ugualitarista di matrice socialdemocratica: occorreva andar contro a una società "noiosa" che appiattiva gli animi oltre che i redditi. Per non essere noiosa, per non essere pianificata dalla culla alla bare a opera di qualche "grande fratello", per crescere di più e meglio, la società non doveva solo consentire una maggiore disuguaglianza dei redditi, doveva anche essere associata a una forte mobilità sociale ed è questo il secondo motivo per cui furono tollerate o favorite le disugualianze: una società poteva essere anche fortemente diseguale purché ci fossero dei meccanismi che permettevano ai singoli di superare queste disuguaglianze, di compiere un "salto" di classe di redditi, di passare dalla parte degli ultimi a quella dei primi. Nei Paesi anglosassoni, questa società veniva ritenuta preferibile a quelle europee continentali, meno diseguali ma immobilizzate nelle loro disuguaglianze da una serie di "paletti" e stratificazioni sociali che rendevano molto più difficile questo "salto": società in cui chi nasceva povero sapeva che sarebbe anche morto povero. L’esperienza di questi anni non ha dimostrato la validità di questi motivi in favore della disuguaglianza. Lo spirito di iniziativa dei ceti dotati di redditi più elevati non è stato certo eccezionale, in molti Paesi, tra cui l’Italia, la crescita è stata scarsa o quasi nulla, e, se si eccettua un numero limitato di casi, non vi è stato un aumento del benessere collettivo. Il benessere collettivo è anzi diminuito in molti suoi aspetti, dalla fruizione gratuita di importanti partite in televisione o di un certo numero di prestazioni negli ambulatori. In Italia, i maggiori redditi sono stati dovuti soprattutto a rendite di posizione, ad attività finanziarie con scarsi agganci con il meccanismo generale dell’economia e non a profitti sudati in mercati concorrenziali, a grandi investimenti e innovazioni. La mobilità sociale è stata frenata dal forte potere delle corporazioni: per mettersi in proprio in quasi ogni attività c’è bisogno di un "patentino", di un "esame di abilitazione". Il peggioramento italiano nella graduatoria della disuguaglianza dei Paesi ricchi appare frutto delle deliberate politiche di favore per i redditi medio-alti senza che i "paletti" corporativi siano stati ridotti. Non va poi trascurato il "fattore Mezzogiorno": il dato italiano è una media tra un Nord-Centro in cui i divari sono sostanzialmente a livello "europeo" e quelli del Sud, che sono a livello "messicano" (il Messico è il più diseguale tra i Paesi esaminati dall’Ocse). È ben difficile che il federalismo migliori questa situazione, potrebbe anzi peggiorarla. Il divario è inoltre maggiore tra i giovani mentre gli anziani, i cui interessi sono ben rappresentati in Parlamento, si difendono abbastanza bene. La minaccia di recessione legata alla crisi finanziaria offre un’occasione per cominciare a rimediare a queste storture: l’allentamento del patto di stabilità, che si profila dopo i recenti vertici europei, consente ai singoli governi una maggiore libertà d’azione sul piano fiscale, in una situazione in cui bisogna detassare per sostenere i consumi e alleviare la (possibile) prossima recessione. Se gli sgravi fiscali non saranno più indirizzati ai redditi medio-alti ma a quelli medio-bassi, si otterranno contemporaneamente due benefici: sostenere il livello dei consumi, tenendo lontana la recessione, e diminuire il rischio di spaccatura sociale. Giustizia: Giuseppe Frigo; da leader di avvocati alla Consulta
La Repubblica, 22 ottobre 2008
Ha difeso il finanziere bresciano Guglielmo Gnutti nel processo per la scalata ad Antonveneta, ma è stato anche legale di parte civile nel processo per il sequestro dell’imprenditore Giuseppe Soffiantini. E ha rappresentato Adriano Sofri nel procedimento che fu fatto in Cassazione per chiedere la revisione del processo per l’omicidio del commissario Calabresi. È un penalista di lungo corso Giuseppe Frigo, l’avvocato che approda alla Corte Costituzionale. Ma non solo: ha contribuito alla stesura del Codice di procedura penale (una delle esperienze di cui va più orgoglioso) e da leader dei penalisti ha guidato la battaglia che ha portato all’inserimento in Costituzione del principio del giusto processo. Bresciano, 73 anni, sposato, con due figli, Frigo affianca all’intensa attività forense, che tra l’altro lo ha visto difendere Cesare Previti nel procedimento per calunnia ai danni dei pm milanesi Ilda Boccassini e Gherardo Colombo, anche quella di professore all’Università della sua città, dove insegna procedura penale e dove vive. Per due mandati consecutivi, dal 1998 al 2002, è stato presidente dell’Unione delle Camere penali, l’organizzazione che rappresenta 9.000 legali. E da leader dei penalisti si è battuto per il giusto processo, "una realtà sigillata dalla Corte costituzionale", sottolinea con soddisfazione. Tra le sue prese di posizione più recenti, quella sulle intercettazioni, dopo che il premier aveva manifestato l’intenzione di limitarle ai procedimenti per mafia e terrorismo: "Non bisogna restringere eccessivamente le intercettazioni telefoniche in relazione al novero dei reati per cui possono essere disposte"; sarebbe meglio invece, ha suggerito qualche mese fa, "impedire di renderle pubbliche sino al dibattimento con una disciplina più rigorosa". Convinto assertore della separazione delle carriere in magistratura, nella sua vita ha indossato solo per un giorno i panni di pubblico ministero e in un’occasione speciale: un processo storico, al Palazzo ducale di Venezia, che vedeva come imputato addirittura Napoleone. Chiarissimo nelle sue esposizioni, voce tonante, l’unico vezzo di Frigo sono i baffi all’insù, che, accompagnati ai modi squisiti, gli danno l’immagine di un gentiluomo di altri tempi. Amante della bicicletta, è stato da giovane un accanito radioamatore. E ora si diletta collezionando libri antichi di criminalistica e di storie venete. Giustizia: mi picchiano, ma uscirò; invece Manuel muore in cella di Valentina Perniciaro
Liberazione, 22 ottobre 2008
Manuel Eliantonio aveva appena compiuto 22 anni il giorno che è stato dichiarato morto, nel carcere di Marassi a Genova, per "dinamica non definita e patologia non identificata" dal medico del carcere. Le foto che pubblichiamo qui sopra sono in esclusiva e sollevano inquietanti dubbi sulle cause della morte. Dal giorno dopo la stampa nazionale racconta di un tossicodipendente deceduto in carcere dopo un’intossicazione da gas butano, sostanza spesso usata dai detenuti per stordirsi, in assenza di altre droghe. La sera del 23 dicembre dello scorso anno una macchina con a bordo 5 ragazzi, di ritorno da una nottata in una discoteca di provincia, viene fermata dalla polizia stradale in un autogrill della A6 Torino-Savona. I fermati vengono obbligati alle analisi, che risultano positive: hanno assunto cannabis, cocaina e anfetamina. Manuel è l’unico dei cinque a reagire al fermo, fino al momento in cui tenta di fuggire dalla presa della polizia con la scusa di dover andare al bagno. Secondo la versione ufficiale è qui che compie l’ingenuità che lo porterà alla morte: Manuel si illude di poter fuggire, scavalca una rete metallica e si mette a correre tra i rovi che si trovano lungo l’autostrada. Viene ripreso immediatamente e a causa di quel tentativo di fuga è l’unico dei 5 a finire nella caserma di Savona. Da lì l’immediata traduzione in carcere, con una denuncia per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Rimane in carcere fino al 16 gennaio quando riesce ad ottenere la scarcerazione e gli arresti domiciliari in attesa di giudizio. L’istanza di scarcerazione si è mossa a rilento per una serie di piccoli precedenti penali: il ragazzo era stato precedentemente condannato per qualche piccolo furto e per ricettazione, reati connessi alla sua dipendenza dalla cocaina. Dipendenza che stava cercando di combattere con tutte le sue forze, tanto che da qualche mese era in cura al Sert, una cura che lo rendeva nervoso, depresso e spesso fiacco, ma che continuava per poter tornare ad una vita normale. Rimane in carcere fino al 16 gennaio, quando gli vengono finalmente concessi gli arresti domiciliari in attesa di giudizio. Il 25 marzo viene nuovamente arrestato perché non rispettava gli obblighi di dimora e a quel punto inizia il suo calvario. Nei 4 mesi di carcerazione che passano dal secondo arresto alla sua morte viene trasferito 4 volte. Dal carcere di Savona viene tradotto a Chiavari, poi a Torino per un’udienza (dove riesce a vedere i suoi familiari), poi di nuovo di passaggio a Savona, per finire, i primi di giugno, nelle celle del carcere genovese di Marassi dove morirà. La condanna arriva il 4 giugno, durante la sua detenzione: 5 mesi e 10 giorni per resistenza a pubblico ufficiale. Si inizia a fare i conti dei giorni, programma una vacanza di una settimana con la sua fidanzata per la metà d’agosto, quando sarebbe dovuto uscire. Il 20 luglio però, telefona dal carcere alla nonna: durante la telefonata denuncia di essere stato violentemente picchiato, di avere un occhio gonfio e totalmente nero e segni di botte su tutto il corpo. A quel punto la telefonata viene bruscamente interrotta dal centralino del carcere e la sua famiglia inizia a cercare l’avvocato per presentare un’immediata istanza di scarcerazione. Appena 4 giorni dopo la mamma riceve una lettera con un timbro postale di due settimane prima, le parole di Manuel sono strozzate e sofferenti, quello che scrive è più che chiaro: "Carissime bamboline mie, mi dispiace che non vi ho fatto avere più mie notizie, ma anche io ho i miei problemi: mi ammazzano di botte almeno una volta alla settimana. Ora ho solo un occhio nero, mi riempiono di psicofarmaci, quelli che riesco li risputo ma se non li prendo mi ricattano. Sono in isolamento almeno 4 giorni alla settimana, è già tanto che ricevo le lettere. Sto mangiando poco. Ho fatto il processo il 4 giugno, mi hanno condannato a 5 mesi e 10 giorni. Facendo i calcoli, con la galera che ho già fatto da dicembre, dovrei essere fuori i primi d’agosto, se Dio vuole." La mamma, Maria gli scrive subite un telegramma "Resisti, manca poco. Ti aspettiamo" ma Manuel non lo leggerà mai. "Avevo un brutto presentimento" racconta Maria, "avevo qualcosa dentro che non andava e la sua lettera confermava le mie sensazioni. Ho provato a chiedere un colloquio straordinario per vederlo prima della fine della settimana ma non me l’hanno concesso. Comunque non avrei fatto in tempo: moriva la mattina dopo. Infatti, il 25 luglio alle 9.25 mi arriva quella maledetta telefonata da Marassi "abbiamo una brutta notizia da darle, suo figlio è deceduto. È inutile che lei venga qui, ché non c’è più". Ho chiuso la comunicazione e sono partita subito per Genova, diretta verso l’obitorio del San Martino. Nel mio cuore speravo in uno sbaglio di persona, pregavo non fosse lui. Non me l’hanno fatto vedere subito, poi sono riuscita ad entrare. Ho trovato mio figlio con una maglietta non sua, che gli stava molto piccola, completamente coperto di lividi su tutto il corpo, con delle chiare tracce di sangue che dal naso salivano verso la fronte e i capelli. Ho riscontrato diversi segni di percosse sul suo corpo e non mi sono mai stati restituiti i vestiti che indossava mentre moriva. La pecca di mio figlio era la cannabis e la cocaina, ma era un buono, non faceva male a nessuno. Doveva essere curato e invece me l’hanno ammazzato. I giornali hanno scritto che si è ammazzato da solo col butano, ma lui aveva il terrore del gas da quando aveva 6 anni. È l’unica cosa che lo terrorizzava". Ma forse non serve questo a capire che il butano è stata una scusa di comodo usata per la stampa: perché il butano non uccide lasciando il corpo martoriato, il butano non sposta, fa venire emorragie interne, il butano non sfigura il corpo pieno di vita di un ragazzo di appena 22 anni.
Da gennaio 98 detenuti morti, di Paolo Persichetti
Dall’inizio del 2008 sono morte nelle carceri italiane 98 persone. L’ultimo censimento risale al 15 ottobre scorso (fonte Ristretti orizzonti). Nei casi di morte recensiti sotto la voce "malattia", il dato non è in grado di dettagliare ulteriormente i decorsi e le caratteristiche delle malattie che hanno portato alla morte e dunque non dicono tutto sulla carenza di cure che spesso accelerano irrimediabilmente gli stati patologici dei reclusi. Un episodio eclatante è stato quello di Franco Paglioni , affetto da sindrome Aids e deceduto in condizioni ignominiose lo scorso settembre nel carcere di Forlì. In realtà i dati raccolti nel dossier non riescono a dirci l’intera verità poiché si tratta d’informazioni (tutte verificate) raccolte in modo autonomo, sulla base di notizie di stampa o fornite da altri detenuti o familiari. Esiste un sommerso che il Dap tiene opportunamente sotto silenzio o dissimula all’interno di statistiche poco decifrabili. Almeno 37 sono i morti per "suicidio", una dicitura spesso di comodo sotto la quale si celano altre terribili circostanze come la vicenda di Stefano Brunetti, denunciata dall’ufficio del garante dei detenuti del Lazio. Arrestato ad Anzio l’8 settembre scorso, morì in ospedale il giorno successivo a causa delle percosse subite. Ora la famiglia ha presentato querela contro ignoti per omicidio colposo. Dall’autopsia sarebbe emerso, secondo quanto riportato dal legale Carlo Serra, che Brunetti "è morto per un’emorragia interna dovuta ad un grave danno alla milza. Risultano fratturate anche due costole". Manifestamente è stato pestato. Anche per il caso di Marcello Lonzi, morto nel 2003 nel carcere di Livorno, la procura dopo anni di denunce da parte della madre ha finalmente deciso di riaprire un’inchiesta troppo sbrigativamente archiviata. Due agenti e l’ex compagno di cella risultano indagati. Per le molteplici morti violente in carcere e nelle questure, l’Italia è sotto accusa da parte di alcuni organismo internazionali e dalla commissione europea sulla prevenzione della tortura. Giustizia: carceri scandalose… ma nessuno si scandalizza più!
www.radiocarcere.com, 22 ottobre 2008
Torino, 20 ottobre. "40 detenuti costretti a dormire per terra nelle camere di sicurezza del carcere Le Vallette di Torino. In ogni camera di sicurezza ce ne stanno 15. Senza bagno e come letto: una coperta." Monza, 21 ottobre. "In celle singole ci sono 4 detenuti. A turno uno di loro dorme per terra." Roma, 22 ottobre. "Nella settima sezione del carcere di Regina Coeli, in ogni cella ci sono più di 12 detenuti. Anzi no. In una cella sono solo 11 i detenuti. Il dodicesimo è morto l’altra settimana. I "sopravissuti" vivono nel degrado di una struttura costruita nel 1600." Tre casi. Tre notizie lette distrattamente e destinate al dimenticatoio. Come se la dignità di una persona, il rispetto della legge, la funzione del carcere, fossero degli spot che interrompono un film interessante. Notizie che si dimenticano il giorno dopo. Mentre lo scempio si protrae indisturbato. È certo comprensibile che i cittadini comuni non badino troppo a tali realtà. Meno comprensibile è l’indifferenza mostrata dalla maggior parte di avvocati e magistrati. Addetti ai lavori che di fronte a certe notizie non si scandalizzano più di tanto. Operatori della Giustizia che appaiono distratti. Una distrazione che è fonte di grande responsabilità. Perché concorre, se pur inconsapevolmente, ad alimentare l’illegalità che, in luoghi chiusi come il carcere, diventa immediata ferita sulla persona. Si preferisce volare alto. Il giusto processo. La separazione della carriere. Il lodo Alfano. Si preferisce trattare della Luna, anziché dell’infiltrazione d’acqua che minaccia la nostra casa. Marche: 250mila euro per l’assistenza penitenziaria e "post"
Corriere Adriatico, 22 ottobre 2008
Approvati i criteri di ripartizione delle risorse destinate all’assistenza penitenziaria e post penitenziaria. Si tratta di 242.582 euro che la Giunta regionale ha stabilito di assegnare agli enti beneficiari per progetti e attività finalizzati alla promozione, al sostegno o alla continuità di iniziative. "Per il quarto anno consecutivo - dice l’assessore ai Servizi Sociali, Marco Amagliani, - la Regione ha aumentato i fondi per garantire l’assistenza alla popolazione penitenziaria. Un’ulteriore dimostrazione dell’attenzione che rivolgiamo a chi è sottoposto a provvedimenti dell’autorità giudiziaria sulla scorta della legge, recentemente approvata (n. 28 del 30 settembre), che delinea il sistema integrato di interventi mirati a migliorare le condizioni di vita di adulti e minorenni entrati nel circuito penale. Una legge - spiega Amagliani - frutto di un lavoro d’insieme che ha coinvolto tutti i soggetti del settore, servizi regionali, Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Centro di Giustizia minorile, enti locali, privato sociale, volontariato, centri per l’impiego, sistema scolastico, in un tavolo di confronto comune nel rispetto delle competenze". Il Protocollo d’intesa, tra la Regione Marche e il ministero della Giustizia, prevede che le aree di intervento dei progetti integrati - realizzati attraverso la collaborazione di Enti locali, Terzo settore e Amministrazione Penitenziaria - dovranno riguardare i servizi per detenuti in esecuzione penale esterna, i progetti specifici per detenuti stranieri e per minorenni sottoposti a procedimento penale, la formazione professionale e l’inclusione lavorativa per detenuti ed ex detenuti, l’inclusione sociale e l’avvio di rapporti con il mondo esterno. I beneficiari delle risorse saranno per l’85 per cento gli Ambiti Territoriali Sociali dove risiedono Case Circondariali o di Reclusione, ripartite attraverso i Comuni capofila. Il 15 per cento destinate all’Ambito Sociale Territoriale di Pesaro, a destinazione vincolata, come contributo al sostegno delle attività di accoglienza residenziale educativa di detenuti ammessi a misure alternative ed ex detenuti, in una struttura di rilievo regionale con comprovata esperienza nel settore. Il programma complessivo di ciascun Ambito Territoriale, sottoscritto dal Coordinatore d’Ats ed approvato dal Comitato dei Sindaci, dovrà pervenire alla Regione Marche - Servizio Politiche Sociali (via Gentile da Fabriano 3, 60125 Ancona) entro il 31 gennaio 2009. Ascoli: anche quest’anno l'iniziativa "Una mattina in carcere"
www.comune.ascolipiceno.it, 22 ottobre 2008
"Una mattina in carcere" è rivolto agli studenti delle Scuole superiori e mira da un lato ad "un’integrazione" della Casa Circondariale nel territorio e nel contesto sociale, dall’altro, invece, rappresenta per gli studenti un momento di "riflessione", evidenziando le conseguenze delle violazioni delle regole della convivenza civile ma anche i possibili percorsi di reinserimento. Perché esiste il carcere? Come vivono i detenuti? Come trascorrono le ventiquattro ore della giornata? Sono queste alcune delle domande alle quali il progetto darà una risposta insieme ad altre quali: il carcere riesce ad essere efficacemente rieducativo? Oppure come possono il cittadino e la collettività contribuire al reinserimento sociale dei detenuti? "Le esperienze vissute dai ragazzi gli scorsi anni - ricorda l’assessore alla Pubblica Istruzione, Gianni Silvestri - sono state estremamente formative dal momento che per i ragazzi la visita in carcere ha rappresentato indubbiamente un importante momento di riflessione e di solidarietà. Quella solidarietà che comunque dobbiamo a quelle persone che per i più svariati motivi hanno sbagliato". Il progetto si articola in due particolari tipologie d’azione. Per gli studenti delle scuole medie superiori è prevista una visita guidata all’interno della Casa Circondariale. I ragazzi, accompagnati dai loro insegnanti, visiteranno alcuni ambienti del carcere ed incontreranno alcune figure professionali che operano nell’Istituto. Per i bambini delle scuole primarie e medie, invece, nell’ambito dei progetti di educazione alla legalità, sono previsti incontri in classe con delle figure professionali che operano nel carcere. "Il progetto - prosegue l’assessore Silvestri - ha una sua specificità legata al non far sentire il carcere così lontano dalla nostra realtà e considerare chi è "dentro", prima di tutto una persona con i suoi diritti". Il progetto vuole perseguire l’obiettivo di una crescente integrazione della Casa Circondariale di Ascoli Piceno nel territorio e nel contesto sociale in modo da favorire la condivisione da parte della collettività, del concetto di sicurezza sociale da perseguire anche tramite il reinserimento sociale del detenuto. "Sicuramente - ha concluso l’assessore Silvestri - sarà proficuo per i ragazzi poter conoscere da vicino questa realtà che li farà riflettere sul valore della norma, della giustizia e della libertà e, soprattutto, farà loro capire che è necessario vincere la diffidenza verso coloro che hanno sbagliato e che stanno pagando il loro debito verso la società". Oristano: oltre le mura del carcere… spazio anche per l’arte
La Nuova Sardegna, 22 ottobre 2008
Il carcere cessa di essere un luogo fuori dal mondo. È l’arte a condurre i detenuti e la loro vita nel quotidiano muoversi della città. Domani, infatti, all’una, l’arcivescovo Monsignor Ignazio Sanna, inaugurerà nella pinacoteca di via Sant’Antonio la mostra collettiva dei detenuti dal titolo "Oltre...". La pubblicizzazione dei lavori realizzati dai detenuti, con una mostra esterna all’istituto penitenziario, ha l’obiettivo di coinvolgere sempre più la comunità oristanese, al problema del recupero e del reinserimento del detenuto. Già nelle precedenti edizioni la comunità ha partecipato sensibilmente a tale iniziativa, attraverso la considerevole presenza di cittadini, di giovani, di scolaresche alla mostra, risultata coinvolgente e attenta alla conoscenza di una realtà istituzionale percepita ancora come estranea. L’intento continua a essere quello di poter favorire la rieducazione del condannato, attraverso la presentazione dei suoi lavori, l’ascolto delle sue emozioni per incoraggiare una maggiore vicinanza da parte dei cittadini al difficile percorso di recupero e di reinserimento che non può essere perseguito esclusivamente a opera di enti e istituzioni. Solo l’ottica di chi si pone in termini di comprensione, ascolto e riflessione, con un atteggiamento mentale libero da tali pregiudizi, può portare ad un costruttivo cambiamento. "L’espressione dei cittadini - spiega la responsabile dell’area educativa del carcere di piazza Manno - può concorrere, attraverso le scelte personali, a favorire l’effettiva reintegrazione nel contesto produttivo di chi ha sbagliato e si trova nella condizione di poter far parte nuovamente attiva del sociale". Alla mostra saranno presenti alcuni dei detenuti che hanno partecipato alle attività svolte sia all’interno dell’istituto, sia all’esterno attraverso svariate iniziative. Lodi: un progetto per dare un posto di lavoro agli emarginati
Il Cittadino, 22 ottobre 2008
Dalle prime stime i candidati potrebbero essere centinaia, su tutto il territorio. Soggetti a forte rischio emarginazione sociale, che sono in carico ai servizi sociali dei vari comuni. Il progetto in via di definizione è quello di elaborare dei programmi mirati per il loro inserimento occupazionale assistito. Promossa dall’Ufficio di piano con i servizi sociali dei comuni e del Consorzio, in collaborazione con il servizio disabilità dell’Asl, i centri di formazione professionale e la provincia, l’iniziativa prevede un supporto per persone socialmente svantaggiate, in particolare soggetti con disabilità fisiche e psichiche, ex detenuti, individui soggetti a dipendenze o emarginati a livello sociale. Per queste persone una equipe socio-educativa, coordinata dall’esperto Dario Audia, studierà dei processi di accompagnamento al lavoro, attraverso una serie di azioni di studio e degli interventi specifici. Il processo è suddiviso in diverse fasi, che prendono le mosse da un colloquio di orientamento per arrivare all’inserimento in un luogo di lavoro. Si parte dalla segnalazione dell’utente da parte dei servizi sociali, quindi il caso viene preso in carico dall’equipe costituita dai referenti del Cesvip Lombardia, Cfp, fondazione Clerici e Canossa con il compito, una volta conosciuto il soggetto, di stendere un progetto di inserimento socio-occupazionale. Poi verranno intrapresi degli altri colloqui individuali per preparare il candidato ad un corretto approccio con il mondo del lavoro. E ciò permetterà di compilare un profilo dettagliato e anonimo di ogni utente, che sarà presentato agli intermediari del mercato del lavoro. Nel frattempo l’equipe avvierà dei rapporti d’interlocuzione con le realtà imprenditoriali del privato o con gli enti pubblici, per valutare l’interesse di attivazione di tirocinio. In caso di disponibilità da parte del datore di lavoro, s’inizierà con un periodo di inserimento (non retribuito e seguito da un tutor professionale), e se il primo monitoraggio dovesse dare riscontri positivi, verrebbero messe a disposizione delle borse lavoro a sostegno del proseguimento del tirocinio, definito l’impegno all’assunzione da parte dell’azienda. Per il progetto, che coinvolge anche associazioni del territorio operanti nel sociale, l’Ufficio di piano ha effettuato un primo stanziamento di oltre 100mila euro per offrire tale servizio a tutti i comuni del Lodigiano. Verona: la San Vincenzo de Paoli porta vestiario per i detenuti di Chiara Bazzanella
DNews, 22 ottobre 2008
"I detenuti che entrano a Montorio sporchi e con i vestiti macchiati, restano così finché qualcuno di noi non se ne occupa". A dichiararlo è la presidente della Società San Vincenzo de Paoli, Francesca Trischitta, in occasione della conferenza stampa che si è tenuta ieri alla Caritas per presentare il convegno "Liberare la pena, la comunità cristiana e il problema dello smaltimento dei rifiutati", in programma sabato 25 ottobre al K2 di via Rosmini, dalle 9 alle 12.30. "Per restituire maggiore dignità a chi indosserà i vestiti, cerchiamo anche di abbinarli con gusto", prosegue la Trischitta, che in una precedente occasione aveva dichiarato: "A Natale dell’anno scorso c’era chi indossava ancora i vestiti di quando era stato incarcerato ad agosto". La maggior parte di chi è recluso a Montorio, vi entra senza nient’altro di quello che indossa, senza la possibilità di acquistare un dentifricio, uno shampoo, un qualsiasi prodotto destinato all’igiene o un semplice paio di scarpe. Il detenuto non si sente meno rifiutato quando esce. Caritas, insieme ad altre associazioni veronesi, con il convegno di sabato intende "risalire i vicoli delle povertà alla ricerca di quella barriera invisibile ma concreta che attribuisce sempre all’altro la responsabilità della nostra condizione di malessere e insoddisfazione". Napoli: Berlusconi; in cinque anni la criminalità sarà sconfitta di Adolfo Pappalardo
Il Mattino, 22 ottobre 2008
L’ho detto chiaramente a Maroni: "se vuoi passare alla storia devi vincere questa sfida, dobbiamo eliminare la criminalità organizzata". E ci riusciremo", aggiunge Silvio Berlusconi durante il discorso conclusivo all’assemblea degli Industriali di Napoli in cui annuncia che "c’è un piano che presto presenteremo agli italiani" e perché "noi possiamo utilizzare il consenso e la nostra ampia maggioranza che il precedente governo non aveva". Il Cavaliere parla a braccio e parte dalle due vittorie che ha portato a casa dopo settimane di duro lavoro: il caso Alitalia e l’emergenza rifiuti. Gli servono anche per attaccare l’opposizione in due passaggi del suo discorso: "I problemi si risolvono - incalza il premier - lavorando sodo tutti i giorni non andando in piazza a manifestare contro chissà cosa". Poi riconferma che Napoli sarà la sede di alcuni dei G8 tematici: "Eventi importanti, non collaterali, dove si decidono veramente le sorti del pianeta perché istituzioni come la nazioni Unite o il Fondo monetario internazionale si sono ormai burocratizzate". 11 premier ostenta sicurezza e fiducia, per dimostrarlo anticipa, dopo essersi dilungato sulla crisi economica, un piano contro la criminalità organizzata e si dà un obiettivo per batterla: entro cinque anni. "Voglio fare un annuncio. Ho parlato con il ministro dell’Interno e quello della Difesa, presenteremo presto agli italiani un piano impegnativo di lotta decisa contro la criminalità organizzata. Dobbiamo eliminarla tutta e ci riusciremo entro i prossimi cinque anni", annuncia sicuro prima di lodare l’esponente leghista, "ne ho parlato con Roberto Maroni, ottimo ministro dell’Interno, il migliore che abbiamo mai avuto - continua il Cavaliere - e gli ho detto che se vuole passare alla storia deve vincere questa sfida, dobbiamo eliminare la criminalità organizzata". Subito dopo l’iniezione di fiducia: "Ci riusciremo perché noi abbiamo dalla nostra parte il consenso e un’ampia maggioranza e possiamo così, a differenza del precedente governo, dedicarci veramente a questo problema e non a come mantenere in piedi la coalizione". Poi parte il secondo attacco al partito di Veltroni che sabato scenderà in piazza: "L’Italia non si salva scendendo in piazza o andando in tv a blaterare o lanciando farneticazioni inaccettabili. A salvare l’Italia ci siamo solo noi che ogni mattina scendiamo in campo con passione" quasi urla mentre dalla platea si leva l’applauso più fragoroso della giornata. Ed è benzina nel motore del premier che riattacca: "Non dovete fidarvi, non dovete farvi ingannare da ciò che si dice su queste manifestazioni. Un esempio? Quella inscenata da Bertinotti e compagni era fatta da meno di 20mila persone ma loro ne hanno dichiarate 300mila". Infine conferma i suoi impegni per la città. "A Napoli - assicura - ci saranno sicuramente le sessioni straordinari e del G8. Eventi che dureranno 12 mesi e non ci sarà più, quindi, una sola esplosione a luglio". Poi, per far capire che non si tratta certo di un contentino, spiega: "Sarà un super G8, un G8 class. Ne ho parlato con Bush e abbiamo deciso di invitare India, la Cina, l’Egitto, il Sudafrica, il Messico e il Brasile. Un G14, insomma, al quale potrebbe unirsi anche qualche altro come l’Australia perché è in queste riunioni che si decide la politica mondiale e non certo in quelle pletoriche delle Nazioni Unite o burocratizzate come l’Fmi dove prendere decisioni è diventato impossibile". Frosinone: la visita di Marroni, Garante dei detenuti del Lazio
Comunicato stampa, 22 ottobre 2008
Ai reclusi delle due carceri consegnate cinque cyclette, due a Paliano e tre a Frosinone. e nella struttura di Paliano sono arrivati anche gli opuscoli per la prevenzione delle malattie più diffuse in carcere. Nuove attrezzature sportive per consentire ai detenuti di vivere con maggiore serenità il periodo di reclusione. Questa mattina il Garante Regionale dei diritti dei Detenuti Angiolo Marroni ha consegnato, ai detenuti delle carceri di Paliano e Frosinone, cinque cyclette. Le cyclette sono state acquistate dal comitato regionale della Uisp (Unione Italiana Sport per Tutti), nell’ambito di uno specifico Protocollo d’Intesa siglato con l’Ufficio del Garante al fine di tutelare e promuovere il diritto allo sport in carcere. La consegna dei materiali sportivi è avvenuta nel corso di una visita ufficiale compiuta in mattinata dal Garante dei detenuti nelle strutture penitenziarie di Paliano (dove sono reclusi 40uomini e 5 donne) e Frosinone. Nel carcere del capoluogo ciociaro - dove la popolazione, secondo gli ultimi dati del Dap è di 441 reclusi, tutti uomini. A Paliano Marroni ha invece consegnato alla direttrice Nadia Cersosimo due cyclette egli opuscoli realizzati dall’Ufficio del Garante per la prevenzione delle malattie maggiormente diffuse in carcere. "Dal nostro lavoro all’interno delle due strutture carcerarie - ha detto il Garante Regionale dei Diritti dei detenuti Angiolo Marroni - era emerso che uno dei maggiori disagi era legato alla mancanza di strumenti idonei allo sfogo ricreativo e al momento ludico. Siamo contenti di aver consegnato oggi queste cinque cyclette perché, in un momento così difficile per quanti vivono il carcere, questi strumenti possono aiutare ad avvertire meno la durezza della detenzione". Napoli: D’Alessio; la musica, per chi ha fatto scelte sbagliate
Il Tempo, 22 ottobre 2008
D’Alessio va in carcere. Che diavolo ha combinato? "Niente di losco! Il presidente del Dap mi ha chiesto di tenere dei concerti nelle carceri italiane, e io sono a disposizione. La cella è anche un luogo per ripensare a scelte sbagliate, e la musica è una lama che può aprirti l’anima. Se riuscirò a far riflettere almeno uno dei detenuti, le mie canzoni avranno avuto un senso in più".
Le è già capitato? "C’era una ragazza al Minorile di Torino. Si tagliuzzava le vene. Le sequestrarono la lametta e ci riprovò con un pezzo di grata. Era una mia fan, le chiesi perché faceva tutto questo. Da quel giorno ha smesso, e ha intrapreso un percorso spirituale". Eccolo, il D’Alessio dell’autunno 2008. Uno che esce da "due anni complicati, durante i quali sono stato l’unico a non parlare di me, mentre in troppi mi giudicavano senza conoscermi: ora ho imparato a volermi un pò più di bene", confessa. Sogna - penitenziari a parte - di cavarsela con un tour estivo 2009 "in tre stadi: l’Olimpico, il San Paolo, e il mio sogno San Siro". Intanto, sabato prossimo, andrà in due autogrill sull’A1, tra Roma e Milano. È lì che vuole presentare ai fans "Questo sono io", il suo sedicesimo cd, nel quale si mette a nudo come mai prima. "Le canzoni mi sgorgavano dal petto senza sforzo", sospira.
Quel pezzo strappacuore dedicato a suo figlio, "Babbo Natale non c’è": davvero un colpo basso per i padri separati. "Fa male, eh? Del resto, avere un bambino che vive lontano, anche se viene da me ogni weekend, è la mia sofferenza. Penso se se mi cerca non mi trova in casa, che l’amore che gli mostro può non bastargli mai".
Occhio ai sensi di colpa. "Ho due figli adulti, ma Luca ha cinque anni. È nato nel 2003, l’anno in cui è morto mio padre. Fino a quel momento ero stato io, il figlio eterno. Solo allora ho sentito il peso di diventare genitore. Ma lui me lo ripete sempre: "Nessuno mi vuole bene come te". Ora che è piccolo gli regalo questa canzone. Un giorno la capirà".
In "Male d’amore" ammette la paura di invecchiare. "Stare con una donna di vent’anni più giovane è fantastico, ma ogni tanto ti vengono certi pensieri...".
Tipo: che sarà di noi quando avrò 70 anni? "E Anna sarà una splendida cinquantenne? Se mi lascerà avrò almeno l’orgoglio di averlo scritto nel 2008".
Ora però non va male. "Non facciamo più notizia: l’avessi capito prima, mi sarei fatto le foto da solo, e le avrei vendute per beneficenza. Ero in buona fede, non ero pratico delle leggi del gossip. Invece ho questa causa con i paparazzi, andrò in appello, e spero di non andare in galera sul serio".
Di certo andrà in tv. "Due serate su Raiuno, il 28 novembre e il 5 dicembre, dal Palazzetto dello Sport di Fiuggi. Con Anna inviteremo altri artisti. In lista Leona Lewis, Michael Bolton. E Panariello, Bocelli. Di sicuro Pino Daniele".
Che suona la chitarra in "Addò sò nnato ajere", e ha scritto a quattro mani "Sarai": lì c’è la voce della Tatangelo. "Io e Pino siamo nati a cento metri di distanza. In estate ci siamo detti che invece di continuare a litigare, dovevamo provare a conoscerci. Mi spiace che questa grande amicizia non sia nata prima".
Al concertone di Piazza del Plebiscito i fan di Daniele l’hanno fischiata. "C’era da aspettarselo. Per loro era come vedere Bush e Bin Laden che vanno a prendersi un caffè. Spero che un giorno mi accettino. Ero lì per Pino, e per sostenere una città in difficoltà".
Oggi come va? "Lo Stato si fa sentire in modo consistente a Napoli, e spero non sia un fuoco di paglia: abbiamo riempito le prime pagine di tutto il mondo con la spazzatura. Berlusconi riuscirà a curare i nostri mali, a spegnere la benzina che continuamente buttano sulla nostra immagine".
E Saviano? "Ha avuto il merito di scoperchiare la pentola della camorra. Comprendo l’ansia con cui vive questa situazione, temendo per la sua famiglia. Capisco che non riesca a dormire la notte, che trasalisca quando bussano alla porta: e se ha paura, ha diritto di andare dove crede di trovare serenità".
Ma così facendo... "Manda il messaggio che lo Stato ha perso. Ma è un essere umano, è difficile rinunciare alla libertà vivendo scortati. Comunque decida, per lui è un dramma".
L’ha infastidita la citazione in "Gomorra"? "No. Ha scritto che le mie canzoni si sentono dalle finestre di certi quartieri. È la verità".
C’è un brutto luogo comune: se sei un napoletano famoso, prima o poi i camorristi vengono a stringerti la mano. "Nel ‘93-’94 suonavo ai matrimoni. Ne facevo anche quindici al giorno. Ogni volta centinaia di invitati. Non potevo mica chiedere il certificato penale a tutti. C’era sempre chi sussurrava: "lo sai chi è quello?". Ma spesso erano sbruffonate. Gente che magari fingeva di avere rapporti con malavitosi solo per pagare di meno il rinfresco. Quelli che sembravano davvero poco raccomandabili si comportavano da signori. Ti davano quel che ti spettava, e anche di più".
Le spiacerebbe avere ammiratori tra i criminali? "Nessuno nasce malvagio. E chi prende una cattiva strada può sempre imboccare una svolta, e tornare indietro". Milano: gli studenti scendono in piazza, scontri con la polizia
Corriere della Sera, 22 ottobre 2008
Ore di tensione martedì pomeriggio nel centro di Milano: un corteo non autorizzato di studenti e lavoratori dell’Università per le vie del centro ha raggiunto la stazione Cadorna, dove i manifestanti contro il ddl Gelmini si sono scontrati con le forze dell’ordine. Il bilancio è di tre feriti e tre contusi: due ragazzi sono stati medicati per ferite al naso e ad un occhio, mentre gli altri quattro (tra i quali un giovane che, secondo i sanitari, avrebbe avuto bisogno di due punti di sutura in testa) se ne sono andati senza farsi medicare. I manifestanti, circa un migliaio, hanno tentato di entrare in stazione per bloccare i treni delle Ferrovie Nord, ma sono stati bloccati dal cordone delle forze dell’ordine. Lancio di candelotti da una parte e fumogeni dall’altra, poi qualche carica dei militi ha impedito al corteo di entrare in stazione. I manifestanti hanno cominciato a spingere gli agenti, che hanno reagito a colpi di manganello. I ragazzi contestano a polizia e carabinieri di aver infierito su un ragazzo già caduto a terra: lo documenta un video girato da uno degli studenti, in cui si vede un carabiniere che prima colpisce il ragazzo con una manganellata e poi infierisce con un calcio. Il corteo era stato deciso in tarda mattinata durante l’assemblea degli Stati generali delle facoltà dell’Università degli Studi di Milano, in via Festa del Perdono. Il corteo, non autorizzato, si era incamminato per le vie del centro, bloccando il traffico, in direzione di Palazzo Marino. Le forze dell’ordine hanno proibito l’accesso in corso Monforte ai manifestanti che intendevano raggiungere la Prefettura, dove si era appena concluso l’incontro con il ministro degli Interni Roberto Maroni, al quale gli studenti e i lavoratori della Statale hanno "dedicato" numerosi cori di contestazione. Il corteo si è quindi diretto appunto verso la stazione delle Ferrovie Nord di Piazzale Cadorna, con l’intento di occupare i binari. In mattinata, nell’aula magna dell’università Statale, erano presenti più di 2000 persone: collettivi studenteschi, sindacati dei lavoratori tecnico-amministrativi, ma anche, in misura minore, docenti e ricercatori. L’assemblea rientra nel programma di manifestazioni di questa "settimana calda" sul fronte scuola: lunedì il sit-in degli studenti davanti a Palazzo Marino e il blocco delle lezioni a Brera, giovedì le autogestioni alle elementari e medie di zona 5. I manifestanti hanno presidiato per circa due ore la piazza e hanno deciso di continuare la mobilitazione nei prossimi giorni. Prossimo appuntamento sarà venerdì 24 con le "Lezioni in piazza" che si svolgeranno davanti al Duomo e a cui anche alcuni professori hanno aderito. Gli studenti universitari parteciperanno anche al corteo degli studenti medi previsto per il 30. Infine, il 3 novembre, intendono contestare il ministro della Pubblica istruzione, Maria Stella Gelmini, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico alla Bovisa. Roma: Alemanno fa guerra ai centri sociali; li sgombereremo di Giovanna Vitale
La Repubblica, 22 ottobre 2008
È l’alba in corso Sempione, quartiere Montesacro. Una ventina di agenti in tenuta antisommossa fa irruzione nell’ex Horus club, locale un tempo alla moda occupato l’anno scorso dai centri sociali di sinistra. Per il sindaco di Roma è l’inizio di un nuovo corso: "Oggi cominciamo un lungo periodo di sgomberi", dichiara Gianni Alemanno a blitz appena concluso. Una "bonifica" annunciata sin dalla campagna elettorale e sponsorizzata per mesi in seno al Comitato provinciale per la sicurezza, tant’è che il suo gabinetto ha già fatto confezionare un dossier sugli edifici comunali da liberare. Ma il prefetto Carlo Mosca frena: "Non c’è nessun tipo di pianificazione. Prima bisogna trovare soluzioni per sistemare tutte le persone che occupano queste realtà. Dopo si effettuano gli sgomberi. E si decide caso per caso". Ieri il primo. Effettuato su ordine del tribunale che ha dato ragione al proprietario dell’immobile. Polizia e carabinieri entrano. Dentro non c’è nessuno, parte la perquisizione. Bottino: 7 molotov e 17 fumogeni "perfettamente funzionanti, tanto che è stato necessario l’intervento degli artificieri". La notizia si diffonde come un lampo. Accendendo la miccia di una giornata ad altissima tensione. Alimentata da una feroce polemica politica e finita con un corteo "antagonista": lanci di oggetti contro le forze dell’ordine, un paio di cassonetti incendiati. Un automobilista ha cercato di passare dal blocco ed è stata ferita alla testa. "È un’operazione di guerra" protestano subito gli occupanti, negando la presenza delle molotov. "Non vorrei che fossero le stesse della scuola Diaz", dà corpo ai dubbi il consigliere provinciale della Sinistra Arcobaleno Gianluca Peciola. Piuttosto la prova, argomenta al contrario Alemanno, che "la preoccupazione della presenza di una violenza politica e di una rete che si muove all’interno dei centri sociali non era infondata". Perciò bisogna sgomberarli. Con azioni selettive, però. "Se là dentro ci vivono famiglie in emergenza abitativa cercheremo di dare delle risposte anche dal punto di vista sociale, sistemandole altrove", precisa il sindaco. Parole che, secondo Giuliano Castellino, ex segretario romano della Fiamma Tricolore ora approdato nel Pdl, esenterebbero i centri sociali "neri": "Da quanto mi risulta non ci sono occupazioni di destra che non siano per emergenza abitativa, basti pensare a Casa Italia, Casa Pound e anche al Foro 753 a Boccea. Noi non molliamo". Ma su questo Alemanno è chiaro: "Qui non si tratta di fare la guerra ai centri sociali, la nostra non è una battaglia ideologica: a Roma c’è un problema di stabili occupati che sottraggono spazi alla cittadinanza. Se dentro ci sono ragazzi di destra, anche loro dovranno andarsene". Linea dura subito sposata dal Pdl romano, che plaude al "ripristino della legalità". Mentre il Pd teme ripercussioni: "La politica degli sgomberi dei luoghi di aggregazione è errata perché creerà tensioni enormi in città". Senza appello la bocciatura del Prc: "Alemanno non ha dichiarato guerra all’illegalità ma ai pochi spazi di democrazia e socialità rimasti a Roma". A sera il corteo: "Rioccuperemo" è il grido di battaglia. Droghe: Maroni; niente patente di guida ai minori condannati
Corriere della Sera, 22 ottobre 2008
A Milano 500 euro di multa a chi è sorpreso a fare uso di droga. E nel nuovo pacchetto sicurezza sanzioni più pesanti. Dicono abbia preso molti appunti, il ministro dell’Interno Roberto Maroni. Quasi tre ore" di riunione, in Prefettura. Un tema vasto: la droga. Parecchi interlocutori: dal procuratore capo al sindaco Letizia Moratti che ha illustrato l’ordinanza comunale che punirà chi si fa in pubblico. Se sorpresi a fumare una canna, a iniettarsi d’eroina o a tirar di cocaina, sempre 500 euro di multa saranno. E se il ministro ha escluso che l’ordinanza possa tramutarsi in legge, dal Viminale non si esclude che quell’ordinanza il governo possa prenderla come riferimento. Il tutto in attesa di un altro provvedimento allo studio: il divieto di conseguire la patente per un minorenne con condanne per droga. "E un’idea", ha detto il ministro. Ma lui e il ministero ci stanno già lavorando. Per il minorenne in questione, la patente slitterà ben oltre i 18 anni: "Potrebbe prenderla a 20, o più tardi ancora. Dipende da quando sarà "pronto". Perché la lotta è, sì, contro chi vende gli stupefacenti. Ma anche contro chi li assume. E del resto, se non sono previste variazioni delle tabelle della legge Fini-Giovanardi (tabelle che definiscono i limiti consentiti per il consumo), Maroni ha spiegato: "Sono emerse diverse proposte. Una è legata a una delimitazione più precisa tra chi spaccia e chi consuma". Forse in tutt’Italia arriveranno sanzioni pesantissime contro chi si droga all’aperto. Come succederà a Milano. Il sindaco ha garantito che l’ordinanza entrerà in vigore tra 15 giorni. Come effettivamente si procederà, multando chi e dove, non è ancora noto. E però dal Comune tengono a sottolineare come l’ordinanza vuol "smuovere l’opinione pubblica" su un’emergenza che nel 2007 in Lombardia ha comportato oltre 4mila operazioni delle forze dell’ordine. "Qua pippano tutti" sintetizzano gli investigatori. "A monte", ha detto Maroni, "ci sono sempre la ‘ndrangheta e i cartelli stranieri del narcotraffico". Vero. Ha aggiunto il ministro, che ieri ha poi presieduto una riunione al Viminale sull’emergenza degli sbarchi dei clandestini: "Servono più operazioni congiunte con le polizie straniere". Vero pure questo. Ma a differenza di vent’anni fa, spiega un inquirente, "nessuno più controlla il territorio in maniera capillare. Oggi, un signor nessuno con una blanda esperienza delinquenziale prende accordi con i boss locali, importa, smercia, fa soldi a palate". E di fatto allunga l’elenco degli ospiti dei Ser.T., i Servizi per le tossicodipendenze, che il Comune vuol chiudere ("Ormai sono luoghi di spaccio" ha detto il vicesindaco Riccardo De Corato), che la locale azienda sanitaria vuol rilanciare ("Servono"), e che la Regione vuol cambiare ("Riformiamoli"). Francia: allarme per i suicidi nelle carceri, 90 i morti nel 2008
Asca, 22 ottobre 2008
L’allarme è stato lanciato dalle guardie carcerarie di tutto il Paese, che si stanno muovendo per indire una manifestazione mirata a richiamare l’attenzione del governo su prigioni sovraffollate e strutturalmente in rovina. Due dei quattro detenuti che si sono tolti la vita avevano sedici anni. Si sono impiccati nelle loro celle nel carcere di Metz, Francia orientale. Sono 90 i reclusi che si sono tolti la vita dall’inizio di quest’anno nelle carceri francesi. La Francia è stata aspramente criticata dal Consiglio dell’Unione europea, la quale ha definito inumane e degradanti le condizioni dei propri detenuti ed il loro trattamento. Sono attualmente 63.185 i detenuti che si trovano nei penitenziari francesi, che tuttavia possono ospitarne solo fino a 51 mila. I sindacati del personale penitenziario hanno indetto per il prossimo 13 novembre lo sciopero nazionale. In particolare i sindacati accusano il ministro della Giustizia, Rachida Dati, di aver provocato, con la sua linea dura, il sovraffollamento delle carceri e di aver fallito, invece, nella politica di riabilitazione dei detenuti. Alle critiche si sono aggiunti anche i socialisti, che hanno chiesto al governo di favorire l’aiuto psicologico e di promuovere una necessaria riforma del sistema carcerario. Usa: in Texas il record di esecuzioni, dieci previste in un mese
Ansa, 22 ottobre 2008
Un uomo di 29 anni, Joseph Ray Ries, è stato giustiziato in serata con una iniezione letale in un penitenziario del Texas. Si tratta della prima di dieci esecuzioni capitali programmate nei prossimi trenta giorni nello stato. Ries era stato condannato per l’omicidio di un uomo di 64 anni. La concentrazione di esecuzioni in un mese è "eccezionale anche per il Texas", ha commentato il presidente della coalizione texana per la pena di morte, Rick Halperin.
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