Rassegna stampa 29 novembre

 

Giustizia: da lunedì riprende la protesta dei 1.300 ergastolani

di Susanna Marietti

 

www.linkontro.info, 29 novembre 2008

 

Lunedì prossimo, il primo dicembre, gli ergastolani d’Italia faranno tutti insieme uno sciopero della fame. È l’inizio della seconda fase della campagna Mai dire mai contro l’ergastolo e le carceri di massima sicurezza, che li vedrà impegnati fino al marzo del 2009.

La prima fase prevedeva la raccolta di quanti più ricorsi possibile alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo. Ricorsi tutti uguali, sottoscritti da detenuti condannati alla pena dell’ergastolo, che chiedevano alla Corte tra le altre cose di pronunciarsi contro l’Italia per aver violato l’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, quello che afferma che "nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti".

La prima fase della protesta è stata un successo, disegnando una lotta che dovrebbe venir presa a modello di ogni mobilitazione: pacifica, organizzata (cosa certo non facile dal carcere), capace di servirsi degli strumenti offerti dal diritto. Ben 739 ricorsi sono stati presentati alla Corte all’inizio di novembre dall’associazione Liberarsi che sostiene la campagna. Altre associazioni europee l’hanno accompagnata a Strasburgo, associazioni che su questi temi stanno costruendo una solida rete (informazioni si possono trovare sul sito www.informacarcere.it).

Oggi sono circa 1.300 gli ergastolani in Italia, reclusi in una cinquantina di istituti differenti. Circa 25 sono donne, quasi tutte concentrate in sezioni di massima sicurezza. La maggior parte dei circa 200 detenuti sottoposti al cosiddetto carcere duro, il regime di cui all’articolo 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario, sono condannati alla pena perpetua. Solo una metà degli ergastolani reclusi nelle nostre carceri, secondo i dati di Liberarsi, ha accesso a qualche misura alternativa alla detenzione.

Si argomenta contro l’abolizione dell’ergastolo rispondendo a coloro che ne sostengono l’incostituzionalità - come potrebbe mai tendere alla rieducazione sociale una pena che non prevede affatto un ritorno alla società? - che nella realtà la pena del carcere a vita non esiste. Tanto c’è la liberazione condizionale. Ma Liberarsi racconta invece di un ergastolano al suo trentottesimo anno di detenzione, di un altro al suo quarantaduesimo anno, di un terzo recluso in regime di massima sicurezza all’età di 82 anni. Un argomento già povero in linea di principio lo è dunque anche in linea di fatto. La protesta degli ergastolani va avanti ormai da un anno e mezzo, da quando circa 300 di loro chiesero al Presidente della Repubblica di trasformare la loro pena di morte indiretta in una pena di morte a tutti gli effetti.

Un anno fa ci fu il primo sciopero della fame. A Giuliano Capecchi, coordinatore dell’associazione Pantagruel attiva a sostegno della mobilitazione, è stato impedito l’ingresso in tutte le carceri d’Italia. Liberarsi - che continua a sottolineare come la spinta per tutto questo provenga esclusivamente dagli ergastolani stessi - sta oggi pubblicando un libro dal titolo Mai dire mai. Il risveglio dei dannati, nel quale gli stessi ergastolani raccontano e valutano la prima parte della loro lotta.

Dopo lo sciopero della fame collettivo del prossimo lunedì - che sarà accompagnato da iniziative di solidarietà esterne alle carceri, in Italia e in altri paesi europei - comincerà uno sciopero della fame a staffetta su base regionale, con inizio in Toscana e conclusione nel Lazio, che durerà fino al 16 marzo 2009. Gli scioperi coinvolgeranno centinaia di ergastolani, oltre a detenuti non ergastolani, familiari e altri cittadini esterni solidali con la mobilitazione. Tante le iniziative in programma fuori dal carcere: dibattiti, concerti e altro.

Come si legge nel volantino informativo di Mai dire mai, questa "è una campagna per la dignità e i diritti delle persone detenute. È una campagna sul senso dell’ergastolo. Non ci interessano le storie giudiziarie di ciascun ergastolano, ma la necessità di affermare che del carcere a vita si deve fare a meno. Da subito".

Giustizia: Consiglio Europa; pene alternative = meno recidiva

 

Ansa, 29 novembre 2008

 

Sovraffollamento delle carceri e recidiva: sono due problemi che quasi tutti i 47 paesi membri del Consiglio d’Europa devono affrontare. Una valida soluzione - secondo l’istituzione europea - è la probation, cioè quell’insieme di misure alternative alla detenzione.

Del sistema basato sulla ricerca di alternative al carcere discutono a Strasburgo, fino a domani, i direttori dei servizi di probation degli Stati membri del Consiglio d’Europa. Scopo della Conferenza è di elaborare gli standard utili a guidare le autorità nell’implementazione di questo tipo di soluzione.

Santi Consolo, vice capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria italiana, sottolinea che nell’usare la probation tutti i paesi devono necessariamente risolvere due problemi. Il primo riguarda la necessità di conoscere la persona che dovrebbe beneficiare di questa soluzione. A questo fine, Consolo afferma che è necessaria la collaborazione tra i paesi e che ogni paese deve essere in grado di fornire in modo tempestivo le informazioni sui suoi cittadini che abbiano commesso un reato in un paese terzo. L’altro problema, dice Consoli, sta nel monitorare la bontà delle soluzioni adottate.

Giustizia; le nuove carceri costruite dai privati? è solo un bluff

 

www.agenziami.it, 29 novembre 2008

 

Procedure d’urgenza per costruire nuove carceri in tempi rapidi, questo uno dei punti che faranno parte del pacchetto di misure sulla giustizia che verranno discusse in uno dei consigli dei Ministri che si terrà in dicembre. Per il presidente dell’associazione Antigone Patrizio Gonnella il problema del sovraffollamento delle carceri non si risolve con l’edilizia penitenziaria, né tantomeno affidandola ai privati.

Procedure d’urgenza per costruire nuove carceri in tempi rapidi: è questo uno dei punti che faranno parte del pacchetto di misure sulla giustizia che verranno discusse in uno dei consigli dei ministri che si terrà in dicembre, prima della pausa per le festività natalizie. Per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha lanciato l’idea della costruzione di nuove strutture penitenziarie.

Da parte del ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, ci sarebbe stato l’impegno a trovare fondi e nuovi soluzioni per realizzare nuove strutture penitenziarie nel giro di pochi mesi. Nel pacchetto di misure sulla giustizia che arriverà all’esame del Cdm ci saranno, inoltre, provvedimenti per la razionalizzazione del processo penale e per la certezza della pena. Quanto alle norme sulla messa alla prova, queste verranno discusse ma non si esclude di abbassare il tetto dei reati inizialmente previsto (pene fino a quattro anni di carcere) oppure di accantonare completamente l’ipotesi.

Il Guardasigilli Alfano ha sottolineato che la soluzione tecnica sarà ancora da definire: "Quale sarà la soluzione tecnica è ancora presto per dirlo ma non è lontano il tempo in cui lo diremo, perché lo annunceremo nell’ambito di quella seduta che dedicheremo al tema della giustizia".

Sembra comunque certo che il governo ricorrerà anche ai privati per la messa a punto del nuovo piano carceri. "È stata assunta - ha afferma il ministro della Giustizia - una decisione politica importante: la costruzione di nuove carceri". Il ministro ha spiegato che per superare l’emergenza il Governo "immagina anche il coinvolgimento dei privati per la realizzazione e la costruzione" delle nuove strutture penitenziarie.

Le reazioni alle intenzioni annunciate dal governo sono per il momento di segno contrario. Il presidente dell’associazione politico-culturale Antigone Patrizio Gonnella ha sottolineato che: "da un punto di vista di principio la gestione della pena non può e non deve essere affidata a privati. Le Nazioni Unite - ha ricordato Gonnella - da oltre un ventennio denunciano i rischi della privatizzazione delle carceri. Gli oltre 58mila detenuti, 15 mila in più rispetto ai posti letto regolamentari, richiedono provvedimenti di altro tipo. Non è costruendo nuove carceri che si risolve il problema. In primo luogo perché la storia italiana ci dimostra che ci vogliono 10 anni per costruirne uno ex novo. In secondo luogo perché l’aumento della capienza penitenziaria produce inesorabilmente un aumento dei tassi di detenzione. Non vorremmo che tutto si risolvesse solo in un grande business".

"La soluzione del problema del sovraffollamento delle carceri italiane attraverso la costruzione di nuovi istituti penitenziari deve segnare un momento significativo per ripensare il modello edilizio penitenziario e affrontare le nuove esigenze e i nuovi bisogni dei detenuti. Non basta dire costruiremo nuove carceri". La capogruppo del Pd in commissione Giustizia alla Camera, Donatella Ferranti, commenta così l’annuncio del ministro Alfano. "Il Ministro deve agire in modo organico e razionale - è il suo invito - ripensando anche il modello edilizio penitenziario, tenendo conto sia delle esigenze di elevata sicurezza per i detenuti in regime di 41-bis, Alta sicurezza (As), Elevato indice di vigilanza (Eiv), sia delle condizioni detenuti comuni per i quali si dovrà prevedere un potenziamento degli spazi comuni e un maggiore ricorso al lavoro in carcere".

Quanto alla scelta di utilizzare fondi privati per finanziare i nuovi istituti penitenziari "l’importante è che sia assicurata la trasparenza del procedimento, l’affidabilità delle imprese e l’assoluta assenza di qualsiasi legame diretto e indiretto con le imprese criminali. Fermo restando che questo non può rappresentare un primo passo per la privatizzazione della gestione delle carceri, alla quale siamo fermamente contrari".

Giustizia: Osapp; Alfano stia sereno, Asl chiuderanno le carceri

 

Apcom, 29 novembre 2008

 

"Se il Ministro della Giustizia Alfano aveva tutta questa intenzione di vendere Regina Coeli e San Vittore ai privati poteva dirlo anche prima, ma non si preoccupi perché tanto a chiudere gli istituti ci stanno pensando già le Asl di zona".

Lo dice Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria, a proposito delle dichiarazioni del Guardasigilli e l’intendimento di costruire nuove carceri con il contributo dei privati. "A Catania Piazza Lanza gli ispettori sanitari, intervenuti su nostra esplicita richiesta, hanno riscontrato giorni fa alcune irregolarità per la presenza di ratti, e sono stati costretti a disporre la chiusura di alcune zone della struttura.

Probabilmente con le dichiarazioni di ieri il Ministro ha voluto solo correggere chi, della stessa maggioranza, si era spinto un po’ troppo con le enunciazioni programmatiche - spiega Beneduci - ma che ci venga ad offrire adesso sul piatto d’argento un’idea che di originale non ha proprio niente, sembra alquanto bizzarro".

I fantasmi riaffiorano alla mente, qualche volta escono anche dall’armadio, e intanto l’Amministrazione continua ancora a non sapere più che pesci pigliare. Se le strategie sono queste, e comunque mal enunciate visto che al momento non esiste alcun approfondimento della cosa, o di come il progetto si svilupperà in futuro, chiediamo ufficialmente se non ci si debba preparare a qualche altro spot".

"Si è iniziato col dire 6 mesi fa che bisognava costruire nuove carceri, come se nessuno dei protagonisti coinvolti non tenesse nel giusto conto l’importanza dell’emergenza edilizia. Si è continuato col dire che era necessario considerare la popolazione carceraria e i flussi medi, coniando il termine delle c.d. porte girevoli. Poi il Ministro ha riesumato il braccialetto elettronico, progetto che Maroni ha prontamente ridimensionato. Con la messa alla prova non è andata meglio, questa volta ad affossare l’ennesima iniziativa del Guardasigilli è stato La Russa l’altro giorno a Palazzo Chigi".

Rimangono le espulsioni, che non decollano, e non decolleranno mai visto che nessuno Stato straniero rivuole i propri concittadini, soprattutto quando hanno commesso un delitto. Adesso l’idea dei penitenziari in permuta, il vecchio progetto Dike Aedifica riesumato, che apre molte incognite sulla trasparenza di procedure e capitali".

"Ma al Ministro vogliamo dire di più. I conti non tornano: se non saranno i privati a gestire quegli istituti che contribuiranno a costruire, allora con il personale che abbiamo e con il turnover che subiamo, come farà questa Amministrazione a mandare avanti un afflusso medio (entrata ed uscita) di 130 mila detenuti ogni mese? Anche utilizzando le caserme e le stazioni di polizia ci vorrà sempre e comunque nuovo personale, che attualmente manca".

Prima di stappare la bottiglia di champagne, quindi, esortiamo il Ministro Alfano a fare bene i calcoli, a non considerare la questione carceraria solamente per i numeri coinvolti". "Ci voglio altre iniziative, o quantomeno è necessario avere ben chiaro il concetto di dove si vuole andare, concependo il carcere non solamente come un parallelepipedo di cemento, magari costruito in periferia". "Conosciamo molto bene la realtà dei quartieri dormitorio, non vorremo che l’unica idea di questa Amministrazione, per giunta copiata, sia quella di creare il posto letto dimenticando la dignità della persona che è reclusa e chi, invece, è tenuto a salvaguardarla".

Giustizia: Flick; un forte disagio per la situazione delle carceri

 

Ansa, 29 novembre 2008

 

"Provo un forte disagio di fronte alla realtà penitenziaria delle carceri italiane. E il doppio anniversario della dichiarazione dei diritti universali dell’uomo e della nostra Costituzione ci ricorda come il grado di civiltà di un paese si misura osservando le condizioni delle carceri". Il Presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick, lancia un grido di allarme sulla condizione dei detenuti.

Nella sua relazione al convegno nazionale delle associazioni di volontariato penitenziario, Flick ha ricordato la sua esperienza di ministro della Giustizia per due anni e di giudice della Corte Costituzionale per nove anni, sottolineando l’esigenza di "ripensare la situazione nelle carceri con prospettive di uno stato laico e un discorso di educazione nel significato più autentico affinché il carcere non sia un punto di arrivo ma qualcosa da cui ripartirà".

Il Presidente della Consulta ha ricordato come sia la Costituzione sia la Dichiarazione dei diritti dell’uomo proclamino in modo forte i diritti della persona, diritti che vengono meno quando "nelle carceri manca acqua, le celle sono sovraffollate perché 60 mila persone stanno in uno spazio per 43 mila detenuti".

Flick si è detto anche pieno di ammirazione per chi fa volontariato e ha sottolineato l’esigenza di "ripensare il rapporto carcere-società tenendo conto del mutamento delle dinamiche sociali e religiose".

Giustizia: Caliendo; non so se ddl messa in prova vedrà la luce

 

Ansa, 29 novembre 2008

 

"Non so se il ddl sulla messa in prova vedrà la luce, e questo nonostante l’unanimità del consenso sulla proposta, perché serpeggia questa idea di esigenza di sicurezza, nella società, che porta a percepire meglio l’enunciazione di pene carcerarie che le strade di riabilitazione".

È il commento del Sottosegretario al Ministero della Giustizia Giacomo Caliendo intervenuto a Roma al convegno nazionale delle associazioni di volontariato penitenziario, a proposito del ddl proposto dal ministro Alfano, infatti, che prevede l’istituzione di misure alternative con lavori di pubblica utilità per persone accusate di reati con pene previste fino a quattro anni e la possibilità di estinguere il reato alla fine del percorso riabilitativo.

"Ci hanno rimproverato, soprattutto per la questione dei reati fino a quattro anni - ha detto Caliendo - ma a dirla tutta nella mia esperienza non ho visto molte persone andare in carcere per questo tipo di reati se non in combinazione con altri reati. La nostra idea era solo quella di individuare attività di pubblica utilità in collaborazione con le istituzioni locali. Ogni anno avremmo tenuto conto della popolazione carceraria e avviato le diverse attività. Ma a questo punto non so se il progetto verrà attuato dopo il dibattito politico".

Giustizia: Corso; costruire nuove carceri, un gravissimo errore 

 

Adnkronos, 29 novembre 2008

 

"La scelta del governo di costruire nuove carceri per contrastare il sovraffollamento è un gravissimo errore". È quanto dichiara Francesca Corso, Assessore della Provincia di Milano all’integrazione sociale per le persone in carcere o ristrette nelle libertà. "Il carcere - prosegue l’Assessore - non è l’unico modo per consentire al condannato (e tantomeno all’imputato) di rieducarsi. Occorre espandere le pene alternative al carcere per questo nonostante il diniego del governo, rilancio l’idea di dar vita subito a un tavolo interistituzionale che faccia capo all’Osservatorio Carcere e Territorio, che comprenda in primo luogo il Prefetto, che discuta delle pene alternative e che cominci a definire un paniere di servizi per il carcere con enti pubblici e privati che mettano a disposizione risorse per il lavoro, la cultura, i rapporti familiari".

Giustizia: Alfano; 400 educatori verranno assunti entro il 2010

 

Ansa, 29 novembre 2008

 

Gli educatori penitenziari che hanno superato il concorso verranno assunti "tra il 2009 e il 2010". Ad assicurarlo è il Guardasigilli Angelino Alfano durante la sua audizione in commissione Giustizia della Camera. "Vorrei rassicurare questi educatori - aggiunge - che non hanno fatto alcun concorso virtuale, ma un concorso vero per cui verranno assunti". Ci sono, infatti, circa 400 educatori penitenziari che hanno sostenuto e superato un concorso durato cinque anni (cominciato nel 2003, le ultime prove orali si sono tenute nel giugno 2008), ma che non sono stati ancora assunti dal ministero per mancanza di fondi.

 

Educatori: grazie ad Alfano per rassicurazioni

 

"Grazie, al ministro Alfano, per aver assunto un impegno preciso per gli educatori carcerari, parlando oggi in Commissione, alla Camera. E grazie anche per aver escluso la presenza dei privati per la costruzione e la gestione delle carceri". Lo afferma Roberto Greco, segretario nazionale del Collettivo Educatori Penitenziari. "Ora - dice Greco - ci aspettiamo che l’onorevole Vitali, che ieri ci aveva insultato per aver preso posizione contro i privati nelle carceri, insulti anche il ministro della Giustizia".

Giustizia: Amapi; nota sulla continuità assistenziale in carcere

 

Ristretti Orizzonti, 29 novembre 2008

 

La continuità assistenziale è un criterio, un valore cardine, intorno a cui si realizza e si estrinseca il significato riformatore del passaggio della Medicina Penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale.

Continuità assistenziale significa assicurare uno schema organizzativo di operatività medica ed infermieristica adeguata alle esigenze di salute del singolo paziente. Continuità assistenziale significa soprattutto l’insieme dei servizi assistenziali assicurati da personale (medico, infermieristico, tecnico) di provata competenza ed esperienza.

Ai detenuti isolati tra le sbarre deve essere rivolta l’assistenza che solo Medici ed Infermieri di particolare sensibilità sanno prestare, un’assistenza maturata attraverso la continuità di una sperimentata dedizione. La Riforma della Medicina Penitenziaria dovrà essere in grado di raccogliere quanto di positivo è maturato in anni di esperienza e valorizzarlo anche attraverso una seria ,incisiva opera di formazione.

Tra gli Operatori Sanitari meritano particolare attenzione i Medici di Guardia, gli Specialisti e gli Infermieri. Invece alcune Regioni, tra cui la Lombardia e la Calabria, senza tenere in alcuna considerazione le direttive contemplate dal Dpcm dell’1 aprile 2008, impongono già dei termini di scadenza delle Convenzioni (la Lombardia impone ad esempio il 31.12.2008), minacciando incompatibilità a tutti.

Questo è arbitrario e illegittimo. Non è questo lo spirito della Riforma. Non è il modo giusto per gestire una Riforma così importante e così delicata. I Medici di Guardia e gli Infermieri testimoniano anni di presenza costante , anni di impegno professionale in prima linea, anni di lavoro in condizioni sempre precarie in termini di organizzazione e dignità del lavoro.

Hanno scelto di lavorare in carcere. Hanno dimostrato coraggio. Hanno assicurato la tutela della salute in carcere in tempi difficili. Per questo devono essere premiati, non penalizzati e puniti. I Medici sono transitati al Servizio Sanitario Nazionale tutelati dalla legge 740/70 che contempla la piena,assoluta compatibilità del lavoro.

Non si possono frapporre dubbi. Non sono ammissibili interpretazioni arbitrarie. Quando le Convenzioni andranno in scadenza, devono essere rinnovate con gli stessi criteri previsti attualmente. Gli Operatori Sanitari attuali devono continuare la loro opera per assicurare la continuità assistenziale. Altrimenti subentrerà il caos e l’anarchia con la perdita di un inestimabile patrimonio di esperienze e di competenze professionali. Non ci sembra una prospettiva rassicurante.

L’Amapi vigilerà con molta attenzione su tutto il territorio nazionale perché il Dpcm venga applicato in tutta la sua interezza senza interpretazioni distorte o di comodo,ricorrendo immediatamente, se nel caso, al Tar. Gli Operatori Sanitari Penitenziari sono transitati nel Ssn con la tutela della legge 740/70 e questa deve essere applicata. Non ci possono essere deroghe. L’Amapi chiede il rispetto dei diritti acquisiti. Per la tutela del nostro posto di lavoro siamo pronti a scendere da subito in piazza paralizzando i servizi sanitari penitenziari. Sono state fornite autorevoli rassicurazioni. Gli impegni assunti dai politici nel corso dei lavori preparatori della Riforma ora devono essere onorati.

 

Il Presidente dell’Amapi, Francesco Ceraudo

Toscana: Prc, Verdi, Pdci e Sd in Campagna contro l’ergastolo

 

Ansa, 29 novembre 2008

 

Pieno sostegno alla campagna nazionale per l’abolizione dell’ergastolo intitolata Mai dire mai, che culminerà il prossimo 1 dicembre con l’inizio di uno sciopero della fame da parte di centinaia di ergastolani che proseguirà a staffetta fino a marzo. È quanto espresso oggi dai gruppi Prc, Verdi, Pdci e Sd in Consiglio regionale della Toscana, insieme a rappresentanti di vari esponenti legati in qualche modo al tema delle carceri che si sono impegnati a rispettare almeno una giornata di digiuno.

Secondo gli esponenti politici si tratta di "una campagna di notevole importanza, che si inserisce in un momento particolarmente delicato, nel quale è necessario opporsi alle derive securitarie portate avanti a livello nazionale dalla destra".

Il capogruppo del Prc Monica Sgherri, si legge ancora, ha sottolineato un ulteriore impegno per "visitare le carceri toscane durante la settimana di inizio della campagna, dal primo al 7 dicembre, con l’intento anche di verificare le condizioni dei detenuti e che non vengano presi eventuali provvedimenti repressivi nei confronti di coloro che aderiscono allo sciopero della fame". Dagli esponenti dei vari Gruppi consiliari è stato preso anche l’impegno a presentare una risoluzione affinché la Regione Toscana solleciti la discussione e approvazione da parte del Parlamento nazionale della proposta di legge per la cancellazione della pena dell’ergastolo. Dai consiglieri regionali anche l’impegno per velocizzare l’iter di discussione della proposta di legge, presentata alcuni mesi fa da Prc, Sd, Verdi e Pdci, per l’istituzione del garante regionale dei detenuti.

Roma: Regina Colei è un carcere d’oro, 140 milioni in 10 anni

 

Il Giornale, 29 novembre 2008

 

Il carcere che non "arresta" gli sprechi. E che sprechi. Regina Coeli, anno di costruzione il 1654, ben 34mila metri quadrati nella centralissima Trastevere, non è solo la prigione per la quale si dilapida un mare di soldi pubblici, è anche una struttura fatiscente, sporca, iper-affollata e degradata. Cifre da capogiro quelle dissipate nel buco nero della Casa circondariale della Capitale. Milioni e milioni di euro che lo Stato destina a una struttura ormai irrecuperabile senza che ciò garantisca il raggiungimento degli obiettivi minimi prefissati.

Ogni anno la manutenzione ordinaria di Regina Coeli costa allo Stato, di media, 14 milioni di euro. Che fanno 140 milioni solo negli ultimi dieci anni per il mantenimento dei detenuti, per pagare gli stipendi, le bollette, la spesa sanitaria e i mezzi di trasporto della polizia penitenziaria. Sono invece 21 i milioni investiti per le ristrutturazioni "straordinarie" - lavori di piccola e media manutenzione - in soli cinque anni: un miliardo di lire nel 1999 per l’impianto elettrico, 15 miliardi l’anno dopo per la ristrutturazione della prima sezione e della caserma degli agenti, altri 10 miliardi nel 2001, cinque milioni di euro nel 2002, tre milioni e mezzo nel 2003.

Nel 2006 la Regione Lazio ha messo a disposizione altri 450mila euro per l’impianto di riscaldamento nella quinta sezione, poi rimasta ugualmente chiusa per via della comparsa di grosse crepe sui muri, mentre un mese fa lo stesso Ente ha stanziato altri 3 milioni di euro per le ristrutturazioni di vari istituti penitenziari, e una parte di questi soldi finirà ancora a Regina Coeli per l’installazione di una piattaforma elevatrice e pedana per disabili.

La soluzione per non perseverare in questa follia economica, e non solo, è a portata di mano. La vendita della struttura carceraria - secondo stime immobiliari calcolata in oltre 180 milioni di euro - farebbe incassare allo Stato una cifra più che sufficiente per realizzare tre nuovi penitenziari con centinaia di posti, evitando gli sprechi e garantendo allo stesso tempo una prigionia degna di questo nome. Il seicentesco penitenziario di Regina Coeli era all’origine un monastero.

Diventa carcere nel 1900 e già trent’anni dopo ne viene proposto l’abbattimento. È diviso in 8 sezioni più un centro clinico e ad ottobre ospitava 939 detenuti, 534 dei quali stranieri. Chi sconta la pena nella prima e nella seconda sezione può ritenersi fortunato, perché quelle sono zone ristrutturate. Per gli altri, invece, la quotidianità è un incubo. Celle quasi sempre sovraffollate, soprattutto in terza e sesta sezione. Mura aggredite dalla muffa, pavimenti mancanti, impianti elettrici vetusti. Lastroni di vetro e ferro coprono le finestre e non lasciano passare la luce. L’ultimo piano è addirittura privo di acqua corrente. Nelle camere non ristrutturare i bagni sono latrine indegne. E nell’ottobre scorso il garante dei detenuti, Angiolo Marroni, ha parlato di una "recrudescenza della sifilide".

Ogni cella, mediamente, è occupata da 4 o 6-7 detenuti e quando il sovraffollamento raggiunge limiti intollerabili c’è chi è costretto a dormire a terra nella sala-biliardino. In questo momento tre sezioni sono chiuse per la ristrutturazione mentre sono in corso i lavori per rifare, in travertino, l’ingresso del carcere. Pochi mesi fa Marroni ha proposto la chiusura: "Questo penitenziario non ha più le caratteristiche per essere un carcere a misura d’uomo - ha spiegato -. Potremmo impiegare i fondi per realizzare una struttura più moderna e consegnare gli spazi di Regina Coeli alla città di Roma facendone, magari, un punto di riferimento artistico e culturale come è l’area del Beaubourg per Parigi". Penitenziario da mettere subito in vendita anche per Riccardo Arena, speaker di Radiocarcere, e autore dei "calcoli immobiliari" su Regina Coeli: "È nel centro storico, dalla vendita si possono realizzare due o tre strutture". Come dicono a Trastevere, se po fà.

Lecce: il carcere sovraffollato, ma a gennaio riapre una sezione

 

Asca, 29 novembre 2008

 

Si apre uno spiraglio nell’emergenza che affligge ormai da tempo il carcere di Borgo San Nicola di Lecce, dove il problema del sovraffollamento negli ultimi mesi ha provocato un clima fortemente surriscaldato, con continue aggressioni da parte dei detenuti nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria. Dalla direzione del carcere, trapelano importanti novità. È prevista, infatti, per il mese di gennaio la riapertura di un’altra sezione di circa 5mila metri quadrati, sempre all’interno del primo cerchio di mura che dovrà accogliere una folta schiera di detenuti, circa 100 unità, alleggerendo in tal modo la capienza del carcere.

Si tratta di un blocco autonomo già aperto in passato, poi richiuso e che ora verrà "reinstallato", dopo aver completato alcuni lavori di manutenzione. Per il mese di gennaio è previsto il nullaosta del Ministero, quando l’emergenza sovraffollamento verrò comunque arginata. A fine novembre, il penitenziario scoppia ancora. Su un tetto limite previsto sulle 900 unità, il carcere ospita 1200 carcerati e la situazione appare sempre allarmante. Una singola cella, in alcune sezioni, viene divisa da tre detenuti che prevedibilmente diventano ingestibili per i circa 800 "berretti azzurri" in servizio presso il penitenziario leccese. Ora si apre uno squarcio, si spera, definitivo per bloccare l’emergenza.

Palermo: è assolto e muore d’infarto, la famiglia chiede i danni

 

Agi, 29 novembre 2008

 

La Corte d’Appello di Palermo ha risarcito, per l’ingiusta detenzione patita dal loro congiunto, gli eredi di Giuseppe Andronico, detto Pino, accusato di essere un mafioso del mandamento di Porta Nuova, morto il 20 novembre 2003, lo stesso giorno in cui fu pronunciata, nei suoi confronti, la sentenza di assoluzione.

L’importo liquidato dai giudici del collegio presieduto da Vito Ivan Marino, che hanno accolto l’istanza dell’avvocato Vincenzo Giambruno, è di poco inferiore ai 140 mila euro, per 4 giorni di carcere e 4 anni di arresti domiciliari, concessi per motivi di salute. Gli Andronico hanno però in corso un altro contenzioso con lo Stato, riguardante proprio i motivi del decesso dell’ex detenuto: l’uomo infatti morì a causa di un attacco cardiaco che lo colpì poco prima della sentenza.

Libero per decorrenza dei termini dopo quattro anni di custodia cautelare e assolto in primo grado, Pino Andronico, cardiopatico, fu prelevato nella propria abitazione dagli agenti, che lo avevano sottoposto a una sorta di "fermo preventivo" in vista della sentenza di appello. La motivazione ufficiale fu il rinnovo delle foto segnaletiche: ma in realtà lo stesso trattamento fu riservato pure ad altri quattro imputati a piede libero nello stesso processo ("Tempesta", su un centinaio di omicidi di mafia).

I quattro furono poi condannati e arrestati, dopo essere stati trattenuti per tutto il giorno negli uffici di polizia e carabinieri. Andronico invece non resse l’emozione e, credendo che lo stessero portando via perché in procinto di essere condannato, fu colto da una crisi cardiaca che lo uccise. La polizia replicò sostenendo che non era stato fatto alcunché di illegittimo e che non si era trattato di fermo preventivo. Dopo la morte, la beffa: l’imputato di mafia e omicidi fu infatti assolto e morì incensurato. Ora i familiari, attraverso l’avvocato Ettore Leto, hanno messo in mora lo Stato, chiedendo un ulteriore risarcimento.

Gorizia: ha chiuso "L’eco di Gorizia", era il giornale dal carcere

 

Messaggero Veneto, 29 novembre 2008

 

"L’eco di Gorizia", il supplemento a Voce Isontina realizzato dai detenuti della casa circondariale assieme ad alcuni volontari, non è tra le attività previste per il 2009 in via Barzellini. L’annuncio è stato dato ieri dal direttore del settimanale diocesano, Mauro Ungaro, in occasione di un incontro svoltosi in Provincia. L’amministrazione è stata infatti tra le promotrici della pubblicazione, uscita per la prima volta nel luglio del 2003.

"Quando mi sono reso conto che "L’eco di Gorizia" ha compiuto cinque anni, ho pensato che è arrivata l’ora di iscriverlo alla prima o di mandarlo in pensione. Il mancato inserimento della rivista nelle attività del 2009 dei detenuti a mio avviso è una perdita, ma non per il carcere, quanto per la città", ha rimarcato Ungaro, affiancato dall’assessore provinciale Licia Morsolin, da Gratton del Cda del giornale e da una delle volontarie che hanno reso possibile l’uscita di "L’eco di Gorizia".

Il direttore di Voce Isontina ha proseguito ricordando le finalità della pubblicazione: "Il giornale ha avuto una particolarità: allora esistevano molte pubblicazioni in Italia dedicate al mondo del carcere, ma la nostra usciva dalla prigione, perché era l’unica a essere allegata a un periodico, tanto che tra abbonati, lettori e istituzioni raggiungeva almeno 10.000 persone. Abbiamo voluto realizzare un giornale che non fosse un notiziario della casa circondariale, riuscendo a far conoscere la realtà carceraria e le emozioni di chi vi viveva. Speriamo che il percorso che abbiamo compiuto non si concluda: in ogni caso sarà Gorizia a perdere qualcosa".

Ieri in via Barzellini era prevista una riunione per decidere le attività 2009, ma nessuno dei promotori del giornale è stato invitato. Della rivista sono usciti 21 numeri, di cui l’ultimo è speciale: grazie a un contributo straordinario della Cassa rurale di Lucinico Farra e Capriva, sono state realizzate otto pagine, sette con i pezzi migliori in assoluto e l’ottava dedicata all’attualità, ovvero all’elezione di Obama alla presidenza degli Stati Uniti.

In prima pagina si trova un editoriale della redazione, intitolato "Un progetto nato cinque anni fa con un futuro carico d’incognite". Si parla anche della situazione incerta e precaria del carcere di Gorizia, con particolare riferimento per la recente notizia dell’intenzione di ristrutturare la struttura di via Barzellini.

Porto Azzurro: 47enne condannato a ergastolo, oggi si laurea

 

Il Tirreno, 29 novembre 2008

 

Una storia di riscatto, di recupero. Per una persona che potrebbe trascorrere tutta la sua vita dietro le sbarre. È un recupero che arriverà grazie allo studio quello di Dimitri Ghiani, un detenuto di 47 anni che sta scontando una condanna per omicidio nel carcere di Porto Azzurro. Oggi pomeriggio Ghiani discute la sua tesi di laurea davanti a una commissione che arriva appositamente dall’università di Pisa per l’occasione.

Ghiani è il primo detenuto che ottiene questo titolo di studio tramite il polo scolastico - liceo e università - attivato nella struttura di Porto Azzurro grazie alla collaborazione con il liceo Foresi, e le tre università toscane di Pisa, Siena e Firenze. La discussione della tesi avverrà oggi pomeriggio alle 14,30 all’interno del carcere di Portoferraio.

Il candidato - che ha studiato Filosofia - presenterà una tesi su Platone. Il titolo del corposo lavoro è "Visioni mitiche dell’anima platonica". A seguire la cerimonia ci saranno oltre 50 persone tra personale del carcere, volontari, parenti e docenti. I detenuti che stanno compiendo il loro percorso di laurea all’interno del carcere di Porto Azzurro sono una decina. L’esperimento è partito pochi anni fa e permette ai detenuti di usufruire dell’assistenza da parte di tutor. "Sono contento di questo risultato - commenta il direttore del carcere Carlo Mazzerbo - questa possibilità di studiare offerta ai detenuti è un ottimo esempio di sostegno a chi si trova in difficoltà".

Sassari: non reato evadere da domicilio per tornare in carcere

 

La Nuova Sardegna, 29 novembre 2008

 

Non può essere considerata evasione la fuga da casa di una persona agli arresti domiciliari che, stanca della vita domestica, si presenta in carcere dove chiede di poter scontare il resto della pena. Lo hanno stabilito i giudici della corte d’appello che hanno assolto un sassarese condannato in primo grado dopo una bizzarra evasione.

Il 6 settembre 2004 Giovanni Battista Uras, 38 anni, sassarese, tornò in carcere perché non sopportava più la convivenza con gli anziani genitori. L’uomo si presentò alla porta carraia della casa circondariale e implorò uno stupefatto agente penitenziario di farlo entrare. "Guarda che questo non è un albergo", fu la risposta.

Il desiderio di Uras venne esaudito dopo un formale arresto, eseguito dalla polizia che il detenuto aveva pazientemente aspettato seduto sulle scale del vicino tribunale. Nei giorni precedenti l’evasione, l’uomo aveva tempestato di telefonate il suo avvocato difensore Stefano Porcu perché lo aiutasse a ritornare in carcere.

Il penalista si era attivato per ottenere la revoca del provvedimento di arresti domiciliari e il ripristino della custodia in carcere. Il magistrato aveva firmato l’inedita ordinanza proprio il 6 settembre ma Uras non si era fidato ed era tornato con i suoi piedi a San Sebastiano. Pochi giorni dopo, un giudice monocratico gli aveva presentato il "conto" per la sua scarsa pazienza: quattro mesi di reclusione. Una condanna che l’imputato, non considerandosi responsabile di evasione, ha contestato in appello.

Nei giorni scorsi l’epilogo processuale. Il collegio presieduto dal giudice Giovanni Cossu ha ascoltato le argomentazioni dell’avvocato difensore Stefano Porcu e poi ha assolto l’imputato. Il legale ha sostenuto che nella condotta di Uras mancavano i requisiti dell’antigiuridicità e della colpevolezza, ma era problematico perfino una configurare una "evasione" visto che Uras aggravò di proposito la sua condizione di recluso.

Locri: riapre il carcere rinnovato dai lavori di ristrutturazione

 

Asca, 29 novembre 2008

 

Completamente rinnovato dopo i lavori di ristrutturazione effettuati, riapre il carcere di Locri. L’Istituto, situato nel pieno centro cittadino, fa parte della storia locrese costituendo una sorta di presidio della legalità in un territorio, purtroppo, fortemente condizionato dalla criminalità organizzata.

La struttura, tra le più vetuste della Regione, necessitava di un radicale intervento di ammodernamento ed adeguamento funzionale. Ospiterà solo detenuti uomini di "Media Sicurezza" ovvero soggetti con reati non rientranti nella prima parte dell’art. 4 bis O.P.

La quasi totalità dei lavori è stata effettuata in amministrazione diretta con l’impiego di manodopera detenuta. Nell’opera di risanamento edilizio, grande attenzione è stata posta agli ambienti destinati alle attività trattamentali. Notevole impulso è stato dato alle attività lavorative con l’attivazione di un laboratorio polifunzionale a carattere industriale (falegnameria, officina fabbri, idraulico, elettricista) che assicurerà per il futuro la manutenzione ordinaria e straordinaria dello stabile demaniale.

Particolare considerazione è stata assicurata in questi mesi per la migliore integrazione con il territorio, che ha visto la partecipazione attiva alla vita dell’Istituto, dell’Amministrazione comunale, del volontariato e del terzo settore, nella consapevolezza che per il raggiungimento di obiettivi complessi è necessaria una sinergia di interventi di quanti sono attenti, anche per mandato istituzionale, alle frange emarginate del tessuto sociale. Particolarmente significativa è stata la realizzazione da parte delle maestranze detenute di un parco a ridosso del carcere "Il Giardino di Zaleuco", che testimonia concretamente che anche "l’antistato può lavorare per lo Stato" e quindi, che il detenuto che ha abbandonato una scelta criminale, può rappresentare con la propria opera una risorsa per il territorio. Il giardino aperto alla città è stato attrezzato con una zona ludica con gazebo e parte di esso è stato adibito anche a zona parcheggio.

Catania: l’Asl chiude alcune zone del carcere, troppa sporcizia

 

Agi, 29 novembre 2008

 

Gli ispettori sanitari dell’Asl 3 di Catania hanno disposto la chiusura di alcune zone del carcere etneo. Motivo della chiusura sarebbe il rinvenimento di numerose irregolarità e addirittura di topi nella struttura. L’allarme per le condizioni igieniche della struttura è stato lanciato nei giorni scorsi dall’Osapp, Organizzazione Sindacale

Autonoma Polizia Penitenziaria, "Se il ministro della Giustizia Alfano aveva tutta questa intenzione di vendere Regina Coeli e San Vittore ai privati poteva dirlo anche prima, ma non si preoccupi perché tanto a chiudere gli istituti ci stanno pensando già le Asl di zona". Lo ha dichiarato il segretario Leo Beneduci all’Agi. "A Catania Piazza Lanza - racconta Beneduci - gli ispettori sanitari, intervenuti su nostra esplicita richiesta, hanno riscontrato giorni fa alcune ‘irregolarità per la presenza di ratti, e sono stati costretti a disporre la chiusura di alcune zone della struttura. Probabilmente con le dichiarazioni di ieri il ministro ha voluto solo correggere chi, della stessa maggioranza, si era spinto un po’ troppo con le enunciazioni programmatiche, ma che ci venga ad offrire adesso sul piatto d’argento un’idea che di originale non ha proprio niente, sembra alquanto bizzarro".

Gela: in attesa del nuovo carcere; un progetto iniziato nel 1959

di Rosario Cauchi

 

Corriere di Gela, 29 novembre 2008

 

Una breve lettura agli ultimi rapporti stilati dall’amministrazione penitenziaria oppure da organizzazioni attive nella tutela dei diritti dei detenuti consente di giungere ad una conclusione evidente: la popolazione carceraria cresce in maniera costante.

Secondo dati, aggiornati al 30 Settembre 2008, i detenuti presenti negli istituti penitenziari per adulti sono, complessivamente, 56.768, a fronte di soli 43.262 posti regolamentari disponibili. Il classico termine "emergenza" appare quasi banale, se non addirittura superato.

Per porre rimedio ad un problema che colpisce anzitutto la popolazione carceraria, costretta ad accettare, nella maggior parte dei casi, condizioni assolutamente deficitarie, i guardasigilli succedutisi durante le ultime legislature (Castelli, Mastella, Alfano) hanno perseguito un’unica direttrice: la costruzione di nuove carceri.

Una realtà assai preoccupante si riscontra proprio in Sicilia, a seguito di un tasso di sovraffollamento carcerario pari al 142%, tra i più alti dell’intero territorio nazionale. Purtroppo l’edilizia penitenziaria regionale appare del tutto immobile, così l’avvio anche di piccole iniziative non può passare inosservato.

Per decenni si è discusso, nelle sedi istituzionali e al di fuori di esse, della realizzazione di una casa circondariale nel territorio gelese, da aggiungere a quelle già presenti, nella provincia di Caltanissetta, presso il capoluogo e a San Cataldo. Il risultato di innumerevoli sforzi è ben visibile soffermando lo sguardo sulla struttura presente in contrada Pezza Madonna.

L’opera in questione costituisce un importante, seppur limitato, contributo, soprattutto all’interno di un territorio difficile come il nostro; anch’essa, peraltro, ha dovuto attendere la conclusione di un travagliato percorso di realizzazione.

Basti pensare che l’originario progetto risale addirittura al 1959, ma si attese fino al 1978 per la sua definitiva approvazione; d’altra parte neanche i lavori di costruzione pratica possono descriversi utilizzando l’aggettivo "rapidi": questi, infatti, iniziati nel 1982, procedettero a rilento perlomeno fino all’insediamento delle amministrazioni Gallo e Crocetta. Proprio la lentezza delle procedure di edificazione ha prodotto un inevitabile innalzamento dei costi complessivi, pari, fino ad oggi, a cinque milioni di euro.

La futura casa circondariale, non paragonabile per dimensioni ad altre presenti sullo stesso territorio regionale, si presenta potenzialmente affidabile: contenendo 48 celle, dotate di bagno, ognuna delle quali con la capacità di ospitare due persone, per un totale di circa cento presenze. Il 26 Novembre del 2007 l’amministrazione comunale, nel corso di una celebrazione ufficiale, consegnò, all’allora Ministro della giustizia Clemente Mastella, le chiavi della nuova casa circondariale.

L’ingente manifestazione, dal carattere prevalentemente simbolico, non costituì, però, l’ultimo passo di un tortuoso percorso; l’intera struttura necessitava ancora di ulteriori interventi, alcuni dei quali molto importanti. Il 14 Ottobre scorso l’attuale guardasigilli, Angelino Alfano, ha analizzato la questione all’interno di una relazione illustrata innanzi alla seconda Commissione Giustizia della Camera dei deputati, presieduta dall’onorevole Giulia Bongiorno del Pdl. In un passo importante della sua trattazione lo stesso Alfano ha indicato, come importante risultato, il completamento dell’ex casa mandamentale di Gela, da raggiungersi entro la fine dell’anno in corso; si evince, allo stesso tempo, la presenza di serie difficoltà in merito, dovute principalmente all’entità degli interventi ancora da sostenere, corrispondenti a 1,5 milioni di euro, e diretti alla restante costruzione di alcuni impianti e sistemi di sicurezza. Intanto l’intero complesso è stato già affidato alla gestione della competente agenzia del demanio, la quale, a sua volta, ha provveduto a conferirla in uso governativo all’amministrazione penitenziaria.

I dubbi maggiori derivano proprio dall’effettiva reperibilità delle somme necessarie al definitivo completamento della struttura, condizione ineludibile al fine di una sua piena operatività. Risorse di questo tipo dovrebbero ritenersi prioritarie, poiché destinate ad un settore in forte difficoltà; i primi a risentire dei mancati interventi sono gli stessi detenuti, ai quali deve in ogni caso garantirsi un idoneo soggiorno, destinato all’attuazione della funzione prioritaria della pena: quella rieducativa.

Lo stesso sindaco di Gela Rosario Crocetta, in occasione della cerimonia alla quale presenziava l’allora ministro Mastella, mise in risalto il ruolo di una casa circondariale a Gela, poiché capace di "evitare i viaggi della speranza di tante famiglie di detenuti che oggi vivono nel disagio relativo alla lontananza dei loro familiari reclusi".

Droghe: Giovanardi; per abbassare consumi servono 2-3 anni

 

Notiziario Aduc, 29 novembre 2008

 

L’obiettivo del governo è quello di far calare, nel giro di 2-3 anni, i consumi di sostanze stupefacenti in Italia: lo ha detto il sottosegretario con delega alla lotta alle tossicodipendenze Carlo Giovanardi, intervenendo a un convegno della Fict.

"Il 99,9 per cento degli italiani - ha spiegato Giovanardi - non sono consumatori cronici di sostanze. E solo il 5-6 per cento le prova o le usa ogni tanto. La stragrande maggioranza, quindi, non fa consumo di droga". Ma anche quella percentuale di persone che consuma sostanze stupefacenti è preoccupante, e quindi bisogna agire per far diminuire i consumi. "Faremo di tutto - ha aggiunto - per portare il messaggio che usando la droga una persona distrugge se stessa". Il consumo di sostanze stupefacenti è la seconda causa di morte, dopo gli incidenti stradali, per i giovani tra i 15 e i 18 anni. Per questo, occorre agire al più presto e su più fronti, e i test antidroga possono essere un valido aiuto a individuare precocemente il consumo. Lo ha detto il direttore del Dipartimento Nazionale Politiche Antidroga, Giovanni Serpelloni.

"La diagnosi precoce è fondamentale" ha spiegato Serpelloni, a margine di un convegno sulla cocaina. Ma i test fai-da-te non vanno bene - ha aggiunto - l’esame (che si effettua attraverso le urine) deve essere fatto nei Sert. No anche ai test nelle scuole". Nei servizi pubblici per le dipendenze, infatti, c’è tutto il personale medico e specialistico, necessario per poter affrontare al meglio i casi di tossicodipendenza giovanile. È quindi estremamente importante, ha spiegato Serpelloni, che i genitori sappiano della possibilità di poter far fare, in modo gratuito, il test antidroga ai loro figli: spesso, infatti, le famiglie si rivolgono a laboratori privati, spendendo anche cifre considerevoli.

Unione Europea: la xenofobia punita fino a tre anni di carcere

 

La Repubblica, 29 novembre 2008

 

Carcere fino a tre anni per chi incita a razzismo, antisemitismo o all’odio in generale. è il frutto dell’accordo raggiunto ieri a Bruxelles dai ministri della giustizia dell’Unione europea. Intesa figlia di una semplice considerazione: la xenofobia è una diretta violazione dei principi di democrazia, libertà e dei diritti umani sui quali si fondano le società del Vecchio Continente. Si chiude così un lungo negoziato partito nel 2001, quando Bruxelles portò sul tavolo dei governi la proposta. E sul banco degli imputati finirà anche chi nega l’Olocausto.

Le capitali hanno ora due anni di tempo per introdurre nel loro ordinamento la norma Ue secondo cui finirà in prigione chi incita pubblicamente all’odio razziale, anche attraverso testi scritti come opuscoli o trattati, oppure foto, materiale su Internet o qualsiasi altra forma di comunicazione diretta contro un gruppo o una persona in ragione della razza, religione, nazionalità o etnia. Gli autori del reato rischieranno da uno a tre anni di carcere.

E di xenofobia potrà essere incriminato anche chi affermerà di tollerare, negherà o minimizzerà in maniera grossolana un genocidio o crimini contro l’umanità e di guerra. Dunque nel mirino finiranno anche le teorie che puntano a negare l’Olocausto, visto che il documento approvato a Bruxelles cita come perseguibile chi svilisce "i crimini definiti dal Tribunale di Norimberga".

"Il razzismo e la xenofobia non hanno posto in Europa, né dovrebbe averlo in alcun’altra parte del mondo", ha affermato soddisfatto il commissario Ue alla Giustizia, il conservatore francese Jacques Barrot. Tuttavia la decisione di ieri ha leggermente annacquato la proposta iniziale di Bruxelles per venire incontro alle perplessità di alcuni governi, che temevano di restringere eccessivamente la libertà d’espressione (motivo di una così lunga gestazione della norma).

Così al testo è stata aggiunta la possibilità per i singoli governi di decidere se sanzionare solo gli atti che mirano effettivamente a disturbare l’ordine pubblico o comportamenti di natura minacciosa, abusiva e insultante. Da Roma, vista l’assenza a Bruxelles del ministro della giustizia Angelino Alfano, Margherita Boniver (Pdl), presidente del Comitato Schengen, ha definito la decisione Ue "molto apprezzabile e utile per scoraggiare rigurgiti di razzismo e xenofobia, ma anche per sanzionare quei predicatori di odio che dalle moschee ai siti internet tante volte hanno fatto scandalo predicando la Jihad, l’odio contro l’Occidente ed esaltando la sottomissione della donna".

Brasile: negato l’asilo a Cesare Battisti, l'estradizione più vicina

 

Adnkronos, 29 novembre 2008

 

L’ex terrorista ha ora due settimane a disposizione per presentare ricorso al Ministro della Giustizia, Tarso Genaro. Se anche questo ricorso non avrà successo, la richiesta italiana di estradizione verrà esaminata dal tribunale Supremo Federale.

Più vicino il rientro in Italia di Cesare Battisti, ex leader dei Pac, i Proletari armati per il comunismo. Il Comitato nazionale per i rifugiati (Conare) del ministero brasiliano della Giustizia ha respinto infatti la richiesta d’asilo presentata dall’italiano, detenuto a Brasilia dal marzo 2007, di cui l’Italia ha chiesto l’estradizione. L’ex terrorista ha ora due settimane a disposizione per presentare ricorso al ministro della Giustizia, Tarso Genaro. Se anche questo ricorso non avrà successo, la richiesta italiana di estradizione verrà esaminata dal tribunale Supremo Federale.

Il 3 aprile scorso il procuratore generale della repubblica brasiliana Antonio Souza aveva dato parere favorevole alla richiesta di estradizione in Italia per l’ex terrorista arrestato quasi due anni fa a Copacabana. In Brasile l’ex leader dei Pac era arrivato dopo aver fatto perdere le sue tracce il 22 agosto del 2004, lasciando la Francia, dove, evaso da un carcere italiano, si era rifugiato nel 1980. A localizzarlo in un primo momento in Sud America dopo lunghe ricerche erano stati gli agenti francesi e i carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale. Ma Battisti era riuscito ancora una volta a far perdere le proprie tracce fino al 18 marzo del 2007 quando venne catturato dalla polizia brasiliana e dagli agenti venuti da Parigi insieme alla sua compagna. Fatale per lui l’incontro con un esponente dei comitati di sostegno.

A Parigi l’ex leader dei Pac, grazie alla dottrina Mitterand, si era rifatto una vita: abbandonata la lotta armata, si era dato alla scrittura, diventando un giallista di fama e pubblicando opere in cui proponeva alcune analisi sull’esperienza dell’antagonismo radicale, tra cui L’orma rossa, edito da Einaudi. Poi, però, quando l’aria era cominciata a farsi più pesante, Battisti aveva deciso di fuggire. A cambiare le carte in tavola era stato il parere favorevole all’estradizione dato dalla Corte d’appello di Parigi il 30 giugno del 2004. Poco dopo il presidente francese Jacques Chirac aveva fatto sapere che avrebbe dato il via libera all’estradizione nel caso in cui il ricorso in Cassazione presentato dai legali di Battisti fosse stato respinto.

"La dichiarazione di Jacques Chirac, due giorni dopo la decisione della Corte d’appello, è riuscita a togliermi ogni speranza", aveva detto l’ex leader dei Pac nella lettera inviata agli avvocati Irène Terrel e Jean-Jacques de Felice per spiegare le ragioni della sua fuga. "Di fronte al baratro, cosa mi resta?", aveva scritto. "Soltanto i miei figli e la sottile possibilità, un giorno forse, di potermi spiegare sulle mie responsabilità politiche e di tornare infine su quel passato che l’Italia vorrebbe, mi pare, seppellire per sempre, al prezzo di una contraffazione storica".

"Non lascerò la Francia, non saprei farlo, è il mio paese e non ne vedo altri nel mio futuro", aveva scritto Battisti , aggiungendo: "Continuerò a battermi affinché sia resa giustizia all’uomo e alla storia". Con la prigione a vita, trent’anni dopo i fatti, "sarebbe la famiglia, i figli, altre vite a pagare", aveva spiegato, sottolineando: "Non posso correre questo rischio, non rivedere più i miei figli, il paese dove sono nati, l’idea mi risulta insopportabile".

Pochi mesi dopo, il 23 ottobre 2004 il primo ministro francese, Jean Pierre Raffarin, aveva firmato il decreto di estradizione che costringeva l’ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo a scontare la propria pena in Italia. Contro il decreto nel novembre 2004 i legali di Battisti avevano presentato invano ricorso al Consiglio di Stato, che aveva al contrario convalidato il decreto nel marzo 2005. Gli avvocati ci hanno poi riprovato poco dopo, presentando un ricorso presso la Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Pur riconoscendo di aver fatto parte dei Pac, Battisti si era sempre detto innocente. Arrivato in Francia nel 1990 dopo alcuni anni trascorsi in Messico si era appellato alla dichiarazione del presidente della Repubblica François Mitterand, che nel 1985 aveva promesso asilo agli ex militanti della lotta armata che avessero rinunciato alla violenza.

In Italia l’ex leader dei Pac era stato condannato a due ergastoli per quattro omicidi: in due di essi, quello del maresciallo Antonio Santoro, avvenuto a Udine il 6 giugno del ‘78, e quello dell’agente Andrea Campagna, avvenuto a Milano il 19 aprile del 1979, il terrorista sparò materialmente. Nell’uccisione del macellaio Lino Sabbadin, avvenuta a Mestre il 16 febbraio del ‘79, invece, Battisti fece da copertura armata al killer Diego Giacomini e, nel caso dell’uccisione del gioielliere Pierluigi Torregiani, avvenuta a Milano il 16 febbraio del ‘79, venne condannato come co-ideatore e co-organizzatore.

L’idea alla base di quel biennio di sangue, secondo quanto si appurò in seguito, era quella di colpire, oltre ad esponenti delle forze dell’ordine, i commercianti che si erano difesi durante i cosiddetti espropri proletari. Proprio per questo nel mirino dei Pac finirono il macellaio di Venezia Sabbadin e il gioielliere di Milano Torregiani. In quest’ultimo caso, poi all’omicidio, si aggiunse un ulteriore tragedia: nel corso della colluttazione, il figlio del gioielliere, Adriano, venne colpito da una pallottola sfuggita al padre prima che questi cadesse, e da allora, paraplegico, è sulla sedia a rotelle.

 

 

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