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Giustizia: Alfano e la riforma che non piace (quasi) a nessuno
L’Opinione, 27 novembre 2008
Diciamolo francamente, la Giustizia è soprattutto una questione interna al Governo. "Settori del Pdl frenano ed ostacolano una riforma che ci metterebbe alla pari con quasi tutti i paesi che hanno un sistema giudiziario funzionante. Non si riesce a comprendere perché pur di ostacolare la messa in pro,va la si voglia far percepire come chissà quale marchingegno per mandare a casa i detenuti". Al ministero della Giustizia le riserve di alcuni settori della maggioranza , soprattutto vicini ad An, sulla riforma della "condizionale" e sui riti alternativi, non vanno proprio giù anche se, ufficialmente, nessuno fra i collaboratori più stretti del Guardasigilli vuole commentare il tiramolla delle ultime ore. "La cosa più grave - continua Alfano - è che si voglia far passare il provvedimento come un condono, eppure sanno che oggi migliaia di persone condannate a pene anche superiore ai tre anni non passano un solo giorno in carcere, ma ingolfano lo stesso i tribunali con ben tre processi. La norma che si cerca di inserire anche nel nostro ordinamento giudiziario, che tutti i tecnici avallano, consentirebbe a centinaia di magistrati di occuparsi veramente delle indagini sulla criminalità, e di quanti, soprattutto, delinquono continuamente. Eppure si sta cercando di bloccare un provvedimento veramente riformatore". La riforma di Alfano trova l’approvazione del presidente del Consiglio e anche di una parte importante di Alleanza nazionale che sulle questioni della giustizia si divide molto spesso, ma le difficoltà incontrate, si sussurra al ministero della Giustizia, sarebbero soltanto l’inizio di "manovre tese a sabotare anche la riforma del Csm e la separazione delle carriere". Il ministro dal canto suo minimizza ed anzi assicura che la maggioranza sulla giustizia è molto coesa e il rinvio delle nuove misure servirà al governo per dedicare "un intero Consiglio dei ministri ai problemi della giustizia", prima di Natale. E le sue dichiarazioni sembrano trovare conferma in quelle di Ignazio La Russa. Il reggente di An, infatti, precisa che il Guardasigilli, nel corso dell’incontro con il premier, ha ricevuto ampio mandato per scegliere se la "messa in prova" debba valere per imputati di reati che prevedono "il limite di due o tre anni di pena edittale. Ovvero per pene per cui anche attualmente nessuno va in carcere visto che già esiste l’istituto dell’affidamento sociale". Fa, invece, orecchie da mercante il ministro dell’Interno Roberto Maroni che "non sa cos’è la messa in prova", visto che non l’ha "mai sentita". Il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri, al contrario, parla di "piena sintonia sui temi della giustizia e della lotta alla criminalità organizzata" con il ministro Alfano. "In particolare - spiega Gasparri - riteniamo urgente il rafforzamento del 41 bis per garantire l’isolamento dei boss". Nel frattempo è arrivata la rivoluzione tecnologica digitale nel sistema giustizia per facilitare la comunicazione tra avvocati e uffici giudiziari, e anche per una più rapida trasmissione delle notizie di reato dalle forze di polizia ai magistrati. Il ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta e il Guardasigilli Alfano hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per la digitalizzazione dell’intero sistema giustizia. L’accordo, in sei punti, vede come primo obiettivo l’avvio delle comunicazioni e delle notifiche via e-mail certificata dagli uffici giudiziari agli avvocati e agli ausiliari dei giudici: nel prossimo marzo, saranno predisposte apposite infrastrutture nei tribunali maggiori (quali Milano, Catania e Napoli) e in 10 tribunali piccoli dei distretti di Milano e Brescia. Nel giugno 2010, la notifica telematica, prevede il protocollo, sarà attivata per tutti i procedimenti pendenti relativi alle esecuzioni nel settore civile. Giustizia: le nuove carceri, tra appalti d’oro e gestioni private
Aprile on-line, 27 novembre 2008
La decisione governativa di porre mano al problema del sovraffollamento delle carceri ha una storia lunga e a volte segnata da malaffare e corruzione. Come ricordato dal presidente dell’associazione Antigone, impegnata da anni ad affrontare le problematiche relative alle strutture penitenziarie e a denunciare le difficili condizioni dei detenuti, la prima tangentopoli italiana è stata quella delle carceri d’oro. Quando il guardasigilli era il leghista Roberto Castelli, Giovanni Tinebra, ex capo dell’amministrazione penitenziaria spiegava: "i primi nove carceri saranno realizzati con fondi dello Stato, messi a disposizione dal ministero delle Infrastrutture. Per tutti gli altri, invece, le risorse verranno raccolte attraverso la Patrimonio S.p.A.. Saranno fondi - sottolineava Tinebra - messi insieme grazie alla dismissione della vecchie carceri". Non successe nulla anche quella volta ricorda ancora Gonnella. Nessun privato fu disponibile a mettere il becco di un quattrino. "Nessuna dismissione di carceri vecchie fu realizzata - prosegue -, o meglio qualcosa successe. Fu costituita da Tremonti e Castelli una società, la Dike Aedifica, il cui operato ha interessato la magistratura". "Uno dei suoi consulenti - dice ancora Gonnella - fu subito indagato per corruzione. Inoltre la Corte dei Conti il 28 giugno 2005 sostenne ufficialmente che la costruzione di nuove carceri, la ristrutturazione e l’ampliamento di quelle esistenti assorbono ingenti risorse finanziarie, ma non riescono a migliorare in modo tangibile le condizioni di vita dei detenuti, a causa del continuo aumento del loro numero. Gli stanziamenti recati dalle leggi n. 41 e n. 910 del 1986, per complessivi 2600 miliardi di lire, sono stati diluiti fino al 2000 vale a dire in un arco temporale di ben 13 anni, pari a più di tre volte quello originariamente previsto". "La Corte ha espresso perplessità sulla convenzione stipulata dal Ministero della giustizia con la società Dike Aedifica S.p.a., interamente partecipata dalla Patrimonio S.p.a. appartenente al Ministero dell’economia e delle finanze: la convenzione - dice Gonnella - che non risulta formalmente approvata dall’Amministrazione e neppure pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, contiene clausole contraddittorie che confliggono in più punti con le competenze spettanti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti". "Poi - ricorda - provarono a privatizzare il carcere di Castelfranco Emilia affidandolo alla Comunità di San Patrignano. Non ci riuscirono, fortunatamente". Giustizia: cedere penitenziari "pregiati" per nuove costruzioni di Francesco Grignetti
La Stampa, 27 novembre 2008
Ha lasciato uno strascico amaro, il vertice dell’altra notte a palazzo Chigi. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, c’è rimasto male quando ha trovato sui giornali le frasi liquidatorie del collega Ignazio La Russa che seppellivano la sua proposta di "messa in prova" per gli imputati incensurati. Non meraviglia così che La Russa sia voluto tornare sui tema: "A volte per dire poco si rischia di farsi capire poco. Ho sbagliato ad essere così sintetico". E non aveva ancora parlato Bobo Maroni, l’altro strenuo oppositore, che se l’è cavata così alle domande dei giornalisti: "Non so cos’è la messa in prova. Mai sentita". Poco incoraggiante. Sopravvive l’ipotesi di limitare la "messa in prova" ai reati minori, ma non è detto. "Si è lasciato ad Alfano il compito di valutare la norma, con il limite di 2 o massimo 3 anni di pena. Ovvero per pene per cui attualmente nessuno va in carcere visto che già esiste l’istituto dell’affidamento sociale", ha detto ancora La Russa. Il governo insomma manda in soffitta ogni proposta, pur sponsorizzata dall’Anm, che Io possa fare apparire lassista e piuttosto rilancia con nuove carceri. Ieri sera, di nuovo, Alfano è andato da Berlusconi. Due ore di colloquio per ritrovare la coesione perduta. Alfano comunque oppone i suoi modi più gentili a chi gli spara addosso. "Sulla giustizia - dice - la maggioranza è molto compatta. Nel vertice abbiamo preso la decisione politica di procedere alla costruzione di nuove carceri come risposta al problema del sovraffollamento". Non è un mistero che però si sia sfogato con i suoi. "Ma come... Sono io che ho portato questa idea al vertice e leggo che tutti dicono di averlo proposto loro?". Il governo, per le nuove carceri, vorrebbe coinvolgere capitali privati. Qualcuno azzarda: si potrebbero scambiare vecchi penitenziari nei centri storici, in aree pregiate, contro nuove costruzioni. C’è poi il tentativo di risparmiare sugli anacronismi della giustizia: Alfano e Brunetta hanno firmato un protocollo per trasmettere via mail le notifiche agli avvocati e per le comunicazioni telematiche tra polizia e magistratura. "Questo governo sta provando davvero qualcosa di nuovo", dice Enrico Costa, Pdl. Giustizia: Alfano; no ai privati nelle carceri, solo per costruirle
Ansa, 27 novembre 2008
Il ministro Alfano: "Non abbiamo immaginato ingressi di privati nella gestione delle carceri, ma solo per la realizzazione delle infrastrutture". Così il ministro della Giustizia Angelino Alfano nel corso della sua audizione in Commissione Giustizia della Camera. Rispondendo alle domande dei deputati sull’intenzione del governo di ricorrere a finanziamenti privati per costruire nuove carceri, Alfano ha aggiunto che "il sovraffollamento" degli istituti penitenziari "non si può risolvere altrimenti". Servono vari interventi, anche di carattere legislativo, per far vivere dignitosamente i detenuti, ma non si può prescindere, secondo il ministro, dalla costruzione di nuove carceri. Ieri sera lo stesso Alfano aveva anticipato l’intenzione del governo di tenere un Consiglio dei ministri prima di Natale "interamente dedicato all’esame di un pacchetto giustizia, con interventi sulle carceri e sull’efficienza del sistema penale". Sul tavolo del Governo, l’emergenza sovraffollamento: sono oltre 58mila detenuti che, al ritmo di circa mille al mese, entro la prossima primavera raggiungeranno il limite di capienza tollerabile di 63 mila posti. Da qui la necessità di costruire nuove carceri, come del resto avevano ipotizzato i predecessori di Alfano, da Fassino a Castelli. A frenare, per assurdo, è lo stesso ex ministro della Giustizia, il leghista Roberto Castelli, che con la società Dike Aedifica spa, interamente partecipata dal ministero dell’Economia, nel 2002 aveva dato il via al progetto di permuta carceri: i vecchi istituti nel centro delle città vengono trasformati in alberghi o centri commerciali dai privati che, in cambio, costruiscono nuovi penitenziari in periferia. La Dike fu chiusa nel 2006 da Mastella senza realizzare alcunché, ma "l’idea è sempre buona e attuale - dice Castelli -. Tuttavia sul finanziamento diretto da parte dei privati la faccenda è più delicata. Si tratta di project financing: le società private mettono i soldi ma chiedono di rientrare con un canone pagato dall’Amministrazione penitenziaria oppure chiedendo la gestione di servizi di lavanderia, mensa etc. Meglio andarci cauti". Ma Alfano ha urgenza di trovare i soldi, visti i tagli degli ultimi tempi: ne ha parlato anche con il ministro delle Infrastrutture Matteoli. E alcune ditte private si sarebbero fatte già avanti con tanto di studi di fattibilità. Giustizia: Matteoli; almeno 6 anni, per costruire nuove carceri
Ansa, 27 novembre 2008
La presenza del ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli al vertice di maggioranza a Palazzo Chigi da Silvio Berlusconi lascia intendere che il problema del sovraffollamento carcerario ha tenuto banco. È infatti alle Infrastrutture che compete la costruzione di nuovi istituti penitenziari. E il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, è fortemente preoccupato del ritmo con cui cresce la popolazione carceraria (800-1.000 detenuti in più al mese). Intanto il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) ha aggiornato l’ultima rilevazione sulle presenze in cella: 58.462 detenuti contro una capienza regolamentare di 42.562 posti e un limite tollerabile di circa 63mila. Se continua di questo passo, dunque, a febbraio-marzo le carceri scoppieranno. Ma per costruirne di nuove servono tempo (mediamente 5-6 anni) e denaro. Oltre a un maggior numero di agenti penitenziari. Alfano ha annunciato l’apertura di tre nuove carceri: iniziati anni or sono, i penitenziari di Rieti, Gela e Noto saranno inaugurati nella primavera del prossimo anno, mentre già a gennaio sarà completato il nuovo padiglione del carcere di Milano Bollate. In tutto, si guadagneranno 2.500 posti. Ma, esaurito l’effetto indulto, la condizione delle carceri si fa sempre più drammatica e le misure deflattive sono difficili da trovare: il rimpatrio dei detenuti stranieri (il 38% del totale) preannunciato dal governo, procede con difficoltà, mentre il !braccialetto elettronico" non è stato ancora sdoganato in affidabilità. Al Dap si ingegnano per trovare nuovi spazi-letto. Lavori sono stati appaltati per nuovi padiglioni nelle carceri di Enna (50 posti), Santa Maria Capua Vetere, Palermo Pagliarelli e Catanzaro (circa 300 per ciascun istituto). Ma non si sa quando saranno pronti. Così come le altre sette carceri in costruzione: Rovigo, Cagliari, Sassari, Tempio Pausania, Oristano, Forlì e Trento. Giustizia: Ferranti (Pd); "piano carceri", contro l’affollamento
Il Velino, 27 novembre 2008
"La soluzione del problema del sovraffollamento delle carceri italiane attraverso la costruzione di nuovi istituti penitenziari deve segnare un momento significativo per ripensare il modello edilizio penitenziario e affrontare le nuove esigenze e i nuovi bisogni dei detenuti". Lo dichiara Donatella Ferranti, capogruppo del Pd in commissione Giustizia alla Camera, che aggiunge: "Non basta dire costruiremo nuove carceri, il ministro Alfano deve agire in modo organico e razionale ripensando anche il modello edilizio penitenziario, tenendo conto sia delle esigenze di elevata sicurezza per i detenuti in regime di 41-bis, Alta sicurezza (As), Elevato indice di vigilanza (Eiv), sia delle condizioni detenuti comuni per i quali si dovrà prevedere un potenziamento degli spazi comuni e un maggiore ricorso al lavoro in carcere, anche attraverso convenzioni con gli enti locali ed eventualmente le imprese private". "Riguarda alla scelta di utilizzare fondi privati per finanziare i nuovi carceri - sottolinea Ferranti - l’importante è che sia assicurata in modo peculiare la trasparenza del procedimento, l’affidabilità delle imprese e l’assoluta assenza di qualsiasi legame diretto e indiretto con le imprese criminali. Fermo restando che questo non può rappresentare un primo passo per la privatizzazione della gestione delle carceri. Alla quale siamo fermamente contrari. Inoltre - conclude l’esponente del Pd - il ministro non dovrà dimenticare di rivedere il piano organizzativo e di valorizzazione della professione della polizia penitenziaria la cui professionalità è troppo spesso avvilita e le condizioni di lavoro rischiano di non essere molto diverse da una carcerazione immeritata". Giustizia: Vitali (Pdl); con i privati, più risorse per il personale
Adnkronos, 27 novembre 2008
"La possibilità di affidare ai privati la costruzione delle carceri e la gestione dei servizi ad eccezione della vigilanza e degli interventi sui detenuti, non può essere esclusa senza un serio dibattito da realizzare evitando facili entusiasmi ma anche pregiudizi preconcetti". Lo afferma Luigi Vitali (Pdl), componente della commissione giustizia della Camera dei Deputati, replicando al segretario dell’Osapp Leo Beneduci. "Non si tratta di appaltare ai privati la gestione delle carceri - osserva Vitali - né di far realizzare affari d’oro a chicchessia; né, infine, di pregiudicare, compromettere o mortificare il lavoro della polizia penitenziaria e di quanti altri operano negli istitutivi pena. Bensì di prendere atto che un detenuto ci costa circa 300 euro al giorno; che non siamo in grado, per carenza di fondi e per pastoie burocratiche, a costruire in tempi ragionevoli nuovi istituti; e che spendendo molto meno razionalizzeremmo le dotazioni economiche, realizzeremmo veramente le carceri e con l’eventuale risparmio adegueremmo sia il personale di polizia sia quello amministrativo e di rieducazione". "Il Signor Greco non sa di cosa parla. Il coinvolgimento dei privati nella costruzione delle carceri libererebbe risorse per adeguare sia gli organici della Polizia Penitenziaria che dell’altro personale, educatori compresi, che operano negli istituti". Così Luigi Vitali (Pdl) replica a Roberto Greco, segretario nazionale del Col.Edu.Pen (Collettivo educatori penitenziari) che aveva definito scandalosa la sua proposta di rivolgersi a soggetti privati per la costruzione di nuove carceri e l’affidamento dei servizi accessori nelle stesse. "Chi guarda al futuro con occhio pregiudizievole e teso solo a garantirsi rendite di posizione non dovrebbe solo vergognarsi ma - conclude Vitali - rinunciare e nascondersi dietro la presunta difesa di diritti sacrosanti ma rappresentati malamente". Giustizia: Vietti (Udc); Governo non sa più che pesci prendere
Ansa, 27 novembre 2008
"Attendiamo di conoscere nel dettaglio le misure del pacchetto sulla giustizia annunciato oggi, per l’ennesima volta, dal Guardasigilli con l’aggiunta del piano carceri. Il ventilato e generico coinvolgimento di privati per risolvere il problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari conferma che il Governo non sa che pesci prendere". È quanto afferma il vicepresidente dei deputati Udc in una nota. "Ci auguriamo - aggiunge - che la gravità della situazione in cui versa l’intero sistema giudiziario, e quello carcerario in particolare, induca una buona volta l’esecutivo a presentare proposte concrete, praticabili e condivisibili". Giustizia: Sappe; non servono più carceri, ma più "alternative"
Il Velino, 27 novembre 2008
"Il problema non è la mancanza di istituti carcerari, ma il deficit di soluzioni alternative alla detenzione". Donato Capece segretario generale del Sappe, il maggior sindacato della polizia penitenziaria, di fronte alla nuova emergenza per il sovraffollamento delle carceri, chiede la governo interventi normativi che consentano di scontare le pene per reati non gravi, e per i non recidivi, anche fuori dagli istituti di pena, seppure con tutte le garanzie. "Si fa in tutto il mondo, perché la risposta non può essere soltanto il carcere. Ma c’è un’altra strada da seguire e libererebbe migliaia di posti nelle nostre carceri: il ministro della Giustizia Angelino Alfano ed il governo dovrebbero insistere affinché gli altri stati si riprendano i loro concittadini detenuti nel nostro Paese. Sarebbe conveniente per tutti. Penso a molti paesi del Mediterraneo con i quali abbiamo già degli accordi, o alla Romania: potremmo continuare a mantenere noi i detenuti nelle loro carceri, risparmiando moltissimo, visto che spendiamo più di 400 euro al giorno per ogni detenuto. Sono sicuro che facendo scontare la pena nei loro paesi, non costerebbero più di cento euro al giorno". Per Capece la situazione è ormai giunta al limite anche se, sostiene, ci sarebbero ancora da utilizzare alcune strutture carcerarie già completate ma mai entrate in funzione. Giustizia: Dap vieta barattoli di metallo o vetro, armi improprie
Ansa, 27 novembre 2008
Niente più generi alimentari o altri prodotti contenuti in scatole di metallo o in barattoli di vetro per gli oltre 58mila detenuti delle sovraffollate carceri italiane: il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria li ha infatti vietati "a fronte dei recenti gravi episodi di aggressione nei confronti di personale penitenziario". I taglienti coperchi delle scatole di metallo oppure il vetro di alcuni contenitori rotti in pezzi vengono sempre più spesso utilizzati dai detenuti come armi. Pertanto, con una circolare diramata alcuni giorni fa a tutti i provveditori regionali, il Dap ha deciso di richiamare i direttori a considerare "assolutamente preclusa la vendita e la ricezione" di questi oggetti e "comunque di tutto ciò che per caratteristiche sue proprie potrebbe essere pericoloso o utilizzabile in modo improprio a danno dei ristretti o del personale". La circolare è di fatto una sollecitazione ai direttori delle 205 carceri italiani a tenere alta la guardia sulla sicurezza e sull’ordine interno. Gli episodi di aggressione agli agenti sono divenuti sempre più frequenti: i sindacati ne avevano contati una settantina nei primi sei mesi dell’anno, ma i casi sono andati aumentando con il crescere del numero dei detenuti. Giustizia: l’apertura del Convegno Seac, con Ionta e Caliendo di Costantino Coros
Vita, 27 novembre 2008
"Il mondo carcerario è cambiato: da quello che era un ambiente di esclusiva detenzione è diventato un mondo di elaborazione di esperienze. Si è aperto sempre di più alla società civile, al volontariato. Questo non vuole dire che i problemi non ci sono, anzi sono ancora tantissimi e vanno affrontati e risolti, cosa che si sta facendo". Così si è espresso Franco Ionta, capodipartimento dell’amministrazione penitenziaria nel corso del suo intervento fatto in occasione della giornata di apertura del 41° convegno nazionale del Seac (il Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario), dal titolo "I diritti dei detenuti e la Costituzione" in svolgimento a Roma e che ha preso il via oggi pomeriggio per concludersi sabato 29 novembre. Ionta ha poi proseguito affrontando il tema relativo alle recenti proposte di introdurre l’esecuzione esterna della pena. Il Capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha sottolineato che "questa materia necessita di elaborazioni esterne di carattere politico" è ovvio però, ha proseguito Ionta "che se si aumentano i reati e le pene è inevitabile che aumentino anche i detenuti. Ritengo che oggi bisogna non pensare sempre in termini emergenziali, ma anche in termini di fisiologia. La cifra di 60 - 70mila persone detenute rappresenta un numero che si può considerare fisiologico anche in relazione a ciò che accade in Europa". Il sottosegretario al ministero della Giustizia, Giacomo Caliendo ha affermato che: "L’amministrazione penitenziaria da sola non può riuscire a determinare il reinserimento nella società dei detenuti. Ritengo che il volontariato può ricoprire un ruolo importante in questo campo". In più ha proseguito il sottosegretario "mentre abbiamo un grosso problema di affollamento nelle carceri per adulti gli istituti per i minori sono praticamente vuoti con un personale in eccesso rispetto alle necessità". Infine, Elisabetta Laganà presidente del Seac, ha ricordato che "in carcere avvengono suicidi 20 volte di più rispetto a quelli che accadono nella società civile" e che "è dimostrato che l’esecuzione penale esterna determina meno recidive di chi sconta la pena negli istituti di detenzione". Giustizia: condanna per omicidio volontario a "pirata" strada di Patricia Tagliaferri
Il Giornale, 27 novembre 2008
Per la prima volta in Italia, in un caso di incidente stradale viene configurato il reato di omicidio volontario. Ad introdurre questa novità nella giurisprudenza ci ha pensato ieri il Gup Marina Finiti condannando con il rito abbreviato a dieci anni, appunto per omicidio volontario, il pirata della strada che lo scorso 22 maggio, a Roma, uccise due fidanzati che attraversavano un incrocio in scooter. Non fu un incidente qualunque. Quella sera Stefano Lucidi, 34 anni, guidava una Mercedes C220 nonostante avesse la patente sospesa dal 2001 per essere stato sorpreso al volante sotto effetto di stupefacenti. Accanto c’era la fidanzata dell’epoca, Valentina Giordano, figlia dell’ex bomber della Lazio Bruno, con la quale aveva appena litigato. La stava riportando a casa. A tutto gas. Su una strada a scorrimento veloce come via Nomentana, in pieno centro città, superò decine di veicoli fermi al semaforo rosso e non frenò neppure quando si trovò davanti il motorino di Alessio Giuliani, 23 anni, e Flaminia Giordani, 22 anni. La sua corsa proseguì, nonostante lo scontro violentissimo, fino ad una carrozzeria, davanti alla quale abbandonò l’auto. Raggiunto al telefonino da un agente Lucidi decise di costituirsi. Da allora non è mai uscito dal carcere. Il pm Carlo Lasperanza ipotizzò fin da subito il duplice omicidio volontario con dolo eventuale ed omissione di soccorso, con l’aggravante della guida senza patente e del passaggio ad un semaforo rosso ad alta velocità. Anche se il giovane era detenuto per omicidio colposo plurimo con previsione dell’evento dopo che un altro gip aveva contestato tale reato nell’ordinanza di custodia cautelare. Il pm Carlo Lasperanza, però, non si è tirato indietro. E ha insistito chiedendo la condanna per omicidio volontario con dolo eventuale a 14 anni di carcere: passando col rosso a quella velocità in un centro abitato, Lucidi ha accettato il prevedibile rischio di scontrarsi con altri veicoli e di ferire o uccidere qualcuno. L’impostazione dell’accusa, questa volta, ha retto. Il gip ha anche disposto per l’imputato l’interdizione dai pubblici uffici e stabilito che il risarcimento dei danni verrà liquidato in separata sede. Si è riservato, invece, sulla richiesta di concessione degli arresti domiciliari. Il pm Lasperanza è lo stesso magistrato che ha sostenuto l’accusa nel processo per la morte di Marta Russo e il reato per il quale è stato condannato il pirata della strada è lo stesso ipotizzato allora nei confronti di Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. "Sono sempre stato convinto - dice il pm - che nel nostro ordinamento esiste il dolo eventuale, ora anche un giudice ha concordato con questa mia convinzione". Angela Giuliani, la mamma di Alessio, accoglie la sentenza tra le lacrime: "Un pizzico di giustizia è stato fatto da una donna che, oltre a esser rispettosa delle leggi, è degna di essere chiamata tale. Forse solo una donna poteva". Soddisfatta anche Teresa, la madre di Flaminia: "Sono felice perché è una giustizia forte fatta da una donna". "È la prima volta - commenta l’avvocato di parte civile, Francesco Caroleo Grimaldi - che viene riconosciuto l’omicidio volontario in un caso come questo. Dedichiamo questa sentenza, questa vittoria, a tutti i ragazzi che hanno perso la vita come Flaminia e Alessio e che non hanno avuto giustizia". Per l’avvocato Basilio Fiore, legale di Lucidi, "è una decisione in contraddizione con la giurisprudenza di legittimità, che difficilmente potrà resistere al vaglio del giudice d’appello". Durante l’udienza Lucidi aveva preso la parola: "Provo dolore e rimorso. Scrissi una lettera ai familiari che diedi al mio legale. Ero convinto di superare quell’incrocio perché conosco perfettamente quanto è largo e avevo l’assoluta certezza di passare indenne. E quando ho attraversato il semaforo era giallo". Giustizia: "dolo eventuale", chi guida drogato è un assassino! di Carlo Federico Grosso (Ordinario di diritto penale Università di Torino)
La Stampa, 27 novembre 2008
Il Tribunale di Roma ha condannato ieri a dieci anni di reclusione per il reato di omicidio doloso Stefano Lucidi, che il 22 maggio scorso, conducendo drogato l’auto di suo padre, aveva investito e ucciso due ragazzi che viaggiavano su di un motorino. Si tratta di una sentenza di grande rilievo giuridico: è la prima volta, infatti, che un giudice riconosce una responsabilità penale dolosa a carico di chi cagiona la morte guidando in stato di ebbrezza o sotto l’azione di sostanze stupefacenti. La morte dei due ragazzi non è stata evidentemente, in questo caso, voluta da chi ha ucciso. Il giudice, riconoscendo la sussistenza del dolo eventuale, ha ritenuto tuttavia che Lucidi, essendosi messo volontariamente alla guida di un’automobile in condizioni psichiche alterate, ha, nel caso specifico, accettato il rischio di uccidere qualcuno: valutando che chi si ubriaca o si droga, e poi inizia a guidare, può mettere in conto il pericolo derivante dalle sue menomate capacità di controllo. E se lo mette in conto, non può che rispondere di omicidio doloso. Tale decisione, in questo senso, è impeccabile, poiché, secondo le regole del nostro codice penale, chi agisce accettando il rischio che dalla sua azione scaturiscano eventi dannosi deve comunque rispondere a titolo di dolo, e non di colpa. La sentenza è tanto più significativa se si considera che l’imputazione per omicidio doloso nel caso di specie era stata configurata dal pubblico ministero fin dall’inizio dell’indagine, ma era stata trasformata in imputazione per omicidio colposo dal giudice delle indagini preliminari al quale era stata chiesta la convalida dell’arresto. Evidentemente il pubblico ministero ha insistito nella sua impostazione giuridica e, finalmente, un giudice, quello del giudizio, gli ha dato ragione. Fino ad ora le resistenze da parte della magistratura ad applicare la regola del dolo eventuale in casi di incidenti stradali erano state molto forti. Numerosi Procuratori della Repubblica, in ipotesi di morti cagionate da ubriachi o drogati, avevano evitato di contestare il dolo eventuale, accontentandosi dell’imputazione per omicidio colposo, temendo di non essere in grado di riuscire a dimostrare nel dibattimento che c’era stata, da parte di chi ha guidato in condizione di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, l’effettiva percezione del rischio. O che, in ogni caso, il giudice avrebbe rifiutato la configurazione delittuosa più grave. La decisione di ieri del Tribunale di Roma ha fatto giustizia di questa, più comoda, e magari psicologicamente più tranquillante, consuetudine giudiziaria. Una valutazione esauriente delle ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la decisione presa ieri a Roma potrà essere fatta soltanto dopo la lettura delle motivazioni. Fin da ora si può tuttavia rilevare che il giudice ha, evidentemente, ritenuto che nel caso di specie, date le specifiche modalità con le quali il fatto è stato realizzato e la personalità dell’autore, costui ha concretamente percepito la situazione di pericolo che cagionava, ed ha pertanto accettato il relativo rischio. Si tenga presente che, secondo quanto emerge dalle notizie di cronaca, non sarebbe stata la prima volta che il giovane in questione aveva avuto incidenti, che al momento del fatto non possedeva la patente, che gli era stato contestato il passaggio ad un semaforo rosso ad alta velocità. La sentenza appare d’altronde tanto più significativa se si considera che il Parlamento, con il decreto sicurezza approvato quest’anno, proprio per garantire una repressione più forte di chi uccide guidando in condizione di ubriachezza o sotto l’azione della droga, ha specificamente previsto l’omicidio colposo commesso "con violazione delle norme sulla circolazione stradale, da un soggetto in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti"; e lo ha punito, anziché con la pena della reclusione da sei mesi a cinque anni come avviene normalmente nelle ipotesi di omicidio colposo, con quella assai più grave della reclusione da tre a dieci anni. Evidentemente il giudice di Roma, nel caso di Stefano Lucidi, non si è accontentato di questa tipologia di reato e di questa dimensione sanzionatoria (si badi che, avendo chiesto il giudizio abbreviato, il condannato godeva automaticamente della riduzione di un terzo della pena irrogata). Di fronte alle particolarità del fatto ed alle caratteristiche dell’autore, ha ritenuto di dovere comunque riscontrare la fattispecie delittuosa più grave dell’omicidio doloso. Come ha sottolineato l’avvocato delle parti civili, questa sentenza costituisce un giusto monito per coloro che hanno perso il senso della loro vita ed il rispetto della vita altrui. Pesaro: detenuto di 30 anni si impicca, è in coma irreversibile
Ansa, 27 novembre 2008
È ricoverato all’ospedale di Torrette, non piantonato, in stato di coma irreversibile Andreas, 30 anni, cittadino tedesco senza fissa dimora detenuto a Montacuto che sabato sera ha tentato il suicidio impiccandosi in cella. L’uomo si trovava in carcere dal 10 agosto scorso con l’accusa di tentato omicidio aggravato da futili motivi. Era stato arrestato dai carabinieri con l’accusa di avere accoltellato alla gola un romeno di 24 anni davanti alla chiesa di San Marco in pieno centro storico a Osimo. I militari avevano sorpreso il presunto aggressore - difeso dall’avv. Nicoletta Pelinga - nell’area dell’ex Foro Bario e lo avevano bloccato anche per porto abusivo di armi. Nel suo zaino era stato trovato un coltello che presumibilmente era stato usato per colpire. Da qualche tempo, Andreas era seguito in carcere da alcuni psichiatri. Nella serata di sabato il trentenne ha messo in atto i suoi propositi e si è attaccato alle sbarre con un lenzuolo. L’allarme è scattato dopo l’intervento degli agenti penitenziari. Immediato l’intervento del personale del 118 e il trasporto in ospedale dove ora il trentenne è in fin di vita. Siena: Ceccuzzi (Pd), problemi cronici del carcere sono irrisolti
Adnkronos, 27 novembre 2008
"Una risposta generica e parziale che mostra la mancata risoluzione di problemi cronici di cui soffre il carcere di Ranza. Nei prossimi mesi non mancherà il mio impegno per verificare la realizzazione di quanto affermato dal governo per migliorare le condizioni di vita e di lavoro degli operatori e dei detenuti". Con queste parole Franco Ceccuzzi, parlamentare del Partito democratico commenta la risposta del ministro della giustizia, Angelino Alfano all’interrogazione presentata nei mesi scorsi dallo stesso deputato sui problemi di cui soffre la casa di reclusione di Ranza a San Gimignano (Siena). Nell’interrogazione Ceccuzzi chiedeva, in particolare, al Ministero della giustizia di dare una risposta alle questioni legate alle pessime condizioni igienico sanitarie, alla carenza cronica di acqua e alla mancanza di personale. "Le carenze igienico-sanitarie, strutturali e gestionali segnalate - si legge nella risposta del ministro - sono da tempo all’attenzione del Provveditore regionale della Toscana e del Dipartimento di amministrazione penitenziaria". Per quanto riguarda le carenze idriche della struttura, il ministro Alfano afferma che "attualmente, le risorse di cui dispone l’istituto sono in grado di coprire, in misura più che sufficiente, le esigenze idriche del personale e della popolazione detenuta. La vivibilità delle sezioni detentive è nettamente migliorata, in seguito alle decisioni di contenere le assegnazioni dei detenuti provenienti da altri istituti e di chiudere la sezione "protetti", che era in condizioni degradate". La risposta tocca anche il problema della carenza di organico. "Nel carcere di Ranza, rispetto alle 26 unità previste nei vari ruoli, ne sono presenti stabilmente 8. Per sopperire, in parte, a questa situazione si è disposto l’invio, in servizio di missione, per tre giorni alla settimana, di un contabile e di due educatori". "Per alleviare il disagio degli operatori penitenziari, legato alla decentralizzazione della struttura ed aggravato dagli elevati canoni d’affitto e dall’assenza del servizio di trasporto pubblico è stata stipulata una convenzione tra il Provveditore regionale della Toscana ed il sindaco di San Gimignano, dove viene dato mandato al dirigente del servizio tecnico edilizia e urbanistica di individuare nel Regolamento urbanistico una porzione di terreno da destinare alla realizzazione di almeno venti alloggi per i dipendenti di Ranza, nell’ambito delle aree per edilizia residenziale pubblica". "Nella risposta del ministro Alfano - aggiunge Ceccuzzi - emergono, in realtà, molti problemi cronici irrisolti, a partire dalla carenza di acqua potabile per la mancanza dell’allacciamento all’acquedotto comunale. Questo è dovuto ad una rinuncia incomprensibile fatta all’epoca della costruzione della struttura, a causa della quale si continuano a spendere risorse. Si parla di 240mila euro, spesi dal 2006 ad oggi per mantenere la funzionalità di tre dei quattro pozzi artesiani. Di fronte a tali cifre, sarebbe meglio contrarre un mutuo per finanziare l’attacco alla rete idrica comunale. In questa direzione, gli impegni del governo appaiono generici e lo sforzo economico del Comune di San Gimignano non è affiancato dai necessari stanziamenti statali". Rovigo: l’incontro tra il Garante dei detenuti e il Provveditore
Comunicato stampa, 27 novembre 2008
Incontro tra il Garante dei detenuti di Rovigo e il Provveditore delle carceri del Triveneto. In un clima di cordialità e disponibilità si è svolto ieri pomeriggio a Padova un incontro tra il Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria del Triveneto Felice Bocchino e il Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Rovigo Livio Ferrari. Le questioni che Ferrari ha toccato hanno riguardato soprattutto la mancanza di alcune figure di ruolo, quale quella del direttore e dell’educatore, che attualmente sono ricoperte da personale in missione da altri istituti un paio di volte alla settimana, fatto che penalizza non poco tutta la progettualità per l’adozione di un adeguato numero di misure alternative e i percorsi di reinserimento delle persone detenute nelle sezioni maschile e femminile della Casa Circondariale di Rovigo. Il Provveditore Bocchino ha rassicurato Ferrari sul fatto che si sta adoprando affinché in tempi non troppo lunghi questi problemi vengano risolti, considerato poi il fatto che stanno proseguendo i lavori per la costruzione del nuovo carcere che potrebbero terminare nel giro di poco più di un anno, cosa che aumenterà sensibilmente il numero di soggetti reclusi, che attualmente sono attorno alla settantina al maschile e una trentina al femminile. L’incontro si è concluso con il Provveditore che ha dato appuntamento al Garante stesso per un prossimo incontro allargato alla direzione del carcere polesano. Empoli: il Ministero ha deciso; il carcere a detenuti transessuali
Corriere Fiorentino, 27 novembre 2008
Nei giorni scorsi è arrivato dal Ministero della Giustizia il decreto che stabilisce la conversione del carcere di Empoli - finora riservalo a donne con problemi legali per lo più a droga e alcol - la casa circondariale maschile destinata ad ospitare ima trentina di transessuali, il provvedimento che era stato sollecitato dal Provveditore Regionale delle carceri Maria Pia Giuffrida è stato discusso ieri in Consiglio Regionale. L’assessore Gianni Salvadori ha riposto ad una interrogazione delle Consigliere di Sd Alessia Petraglia e Bruna Giovannini Dal punto di vista del rapporti istituzionali, la decisione è stata presa unilateralmente. Il 4 dicembre è stato già fissato un incontro per rivedere la decisione su Empoli. Varese: incontro al Cesvov con i direttori degli Istituti di pena
Varese News, 27 novembre 2008
Un incontro per parlare di carcere, ma anche per vedere e ascoltare. È questo l’obiettivo dell’incontro "Carcere e società civile" che si svolgerà giovedì 27 novembre alle 20.45 al Cesvov (via Brambilla 15). L’iniziativa arriva nell’ambito della rassegna di cinema e documentazione sociale un posto nel mondo. La serata ha lo scopo di sensibilizzare la cittadinanza ai problemi del carcere e di quanti vi si trovano, forzosamente (i detenuti), ma anche per lavoro (il personale), o volontariamente, come le non poche persone che aiutano nelle attività lavorative e di reinserimento sociale. "Stimolare riflessioni aperte su questi temi, creare informazione e favorire la nascita di nuove consapevolezze in campo sociale - spiegano gli organizzatori dell’iniziativa -, implica anche saldare il lavoro svolto dal composito mondo dell’associazionismo e del volontariato che possono concorrere alla promozione di un nuovo senso civico attento alla solidarietà e alle trasformazioni sociali, spesso legate a emergenze e a diritti cui occorre dare una risposta". La realtà del volontariato penitenziario in Italia è stata di recente fotografata dalla sesta rilevazione promossa dalla Conferenza nazionale volontariato giustizia elaborato dalla Feo Fivol con il Dap del ministero della Giustizia. In tutto il territorio nazionale i volontari operanti all’interno dei carceri sono quasi 9mila (8mila e 900 per la precisione) con un incremento rispetto all’anno precedente di 6,7 punti percentuali e con un’età compresa per lo più nella fascia dai 46 ai 65 anni oltre che caratterizzati da un impegno a lungo termine essendo impegnati spesso i volontari da oltre 5 anni in progetti portati avanti sia dentro che fuori le strutture penitenziarie. Il programma del forum organizzato dal Cesvov prevede la proiezione del corto via per Cassano 102 di Mauro Colombo e dell’audiovisivo "accade ai Miogni": a ciò seguirà il dibattito con i direttori delle due strutture carcerarie del Varesotto, Gianfranco Mongelli (Varese) e Salvatore Nastasia (Busto Arsizio), le testimonianze dirette da organizzazioni di volontariato che operano in carcere e l’intervento dell’assessore alle Politiche sociali della Provincia di Varese, Christian Campiotti. Il dibattito sarà moderato da Sergio Preite, Agenti di rete e Consorzio solco Varese - . Durante i lavori saranno esposti, in una zona appositamente allestita del Centro di servizi, alcuni lavori eseguiti dai detenuti che frequentano i laboratori di Busto Arsizio e Varese. Milano: Provincia e privati regalano una palestra al Beccaria
Ansa, 27 novembre 2008
Per sfogare tensioni ed energie, i ragazzi del carcere minorile milanese "Beccaria" non dovranno più fare i conti con freddo e pioggia. Da oggi, infatti, dopo due anni torna agibile la palestra dell’istituto, ristrutturata con tanto di bagni e docce grazie ai contributi delle fondazioni Vodafone e Laureus, e della Provincia, che hanno stanziato rispettivamente 100mila, 40mila e 20mila euro. ‘Siamo finalmente contenti, ne avevamo bisognò, sorride uno dei venti ragazzi che, sotto gli occhi di due testimonial come l’ex rugbista Alessandro Troncon e l’ex pugile Marvin Hagler, hanno inaugurato la palestra con una partita di calcetto piuttosto agonistica, e che in futuro sperano di affrontare anche squadre esterne. ‘Ora, alle altre attività di laboratorio, possiamo aggiungerne altre sportive che servono a questi ragazzi difficili per scaricare tensioni e aggressività", sottolinea Sandro Marilotti, che dirige il Beccaria, carcere dove da un paio d’anni gli italiani rappresentano la maggioranza dei 75 ospiti. Al di là del finanziamento, spiegano i vertici delle fondazioni e l’assessore allo Sport della Provincia Irma Dioli, serve una costante collaborazione tra l’amministrazione e il terzo settore. Anche perché, fanno notare il dirigente del Centro giustizia minorile lombardo, Flavia Croce e don Gino Rigoldi, la concertazione pubblico-privato è ormai l’unica strada.
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