Rassegna stampa 25 novembre

 

Giustizia: giornata per l'eliminazione della violenza sulle donne

 

www.unimondo.org, 25 novembre 2008

 

"Occorre fare di più per dare esecuzione alle leggi esistenti e combattere l’impunità: bisogna combattere atteggiamenti e comportamenti che tendono a condonare, tollerare, giustificare o ignorare la violenza commessa contro le donne".

È l’appello del Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon in occasione della "Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne" che si celebra oggi, 25 novembre. Ovunque nel mondo in paesi ricchi e poveri, le donne sono sottoposte a sevizie, percosse, stupri, assassini, e sono vittime del traffico di esseri umani" - afferma Ban Ki-Moon sottolineando che si tratta di "violazioni dei diritti umani che vanno ben oltre il danno individuale, perché rappresentano una minaccia a sviluppo, pace e sicurezza di intere società".

In particolare il Segretario generale dell’Onu ricorda che le donne che "vivono in società alle prese con conflitti armati fronteggiano pericoli ancora maggiori". "In presenza di conflitti sempre più complessi anche il modello di violenza sessuale si è evoluto. Ora le donne non sono più solamente in pericolo durante il periodo del conflitto; la possibilità di essere aggredite da eserciti, milizie, ribelli, criminali, perfino polizia, è la stessa in fasi di maggiore calma".

Ban Ki-Moon ricorda alcuni esempi "particolarmente odiosi": "Nella travagliata provincia del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, dove la media di stupri denunciati si attesta intorno ai 350 casi, le vittime sono talvolta sottoposte a mutilazione genitale e ancora più preoccupante è l’età di molte vittime".

Ban Ki-Moon ha quindi annunciato la "Campagna globale per porre fine alla violenza contro le donne", che punta a aumentare il livello di consapevolezza pubblica, nonché la volontà politica e le risorse a disposizione, oltre che a creare un ambiente propizio a trarre pieno profitto dagli impegni politici esistenti".

In occasione della Giornata, Amnesty International denuncia il legame tra povertà e violenza e lancia un’azione in favore delle donne colpite da Hiv/Aids in Sudafrica. "Quello del Sudafrica è un tragico esempio del legame tra povertà e violenza. Se è vero che la violenza contro le donne colpisce donne di ogni etnia, età e classe sociale, tuttavia povertà e violenza sono fattori che si influenzano e si rafforzano a vicenda" - ha dichiarato Erika Bernacchi, del "Coordinamento donne" della Sezione italiana di Amnesty. In Sudafrica vivono cinque milioni e mezzo di persone colpite da Hiv/Aids, il più alto numero al mondo. Il 55% dei contagi riguarda le donne. La percentuale di donne tra i poveri e i disoccupati in Sudafrica è altissima e la povertà svolge una funzione di barriera all’accesso ai servizi sanitari per le donne contagiate nelle aree rurali del paese.

In Italia, secondo l’ultima indagine Istat commissionata lo scorso anno dal Ministero dei diritti e delle pari opportunità del precedente Governo, oltre 14 milioni di donne italiane sono state oggetto di violenza fisica, sessuale o psicologica nella loro vita. La maggior parte di queste violenze arrivano dal partner (come il 69,7% degli stupri) e la grandissima maggioranza (oltre il 90%) non è mai stata denunciata. Solo nel 24,8% dei casi la violenza è stata ad opera di uno sconosciuto, mentre si abbassa l’età media delle vittime: ben un milione e 400mila (il 6,6% del totale) ha subito uno stupro prima dei 16 anni.

L’attuale Dipartimento per le Pari Opportunità, dando continuità all’iniziativa già intrapresa negli anni precedenti attraverso il Progetto "Rete Antiviolenza tra le città Urban Italia", ha attivato a partire dal 2006 una più ampia azione sperimentale di contrasto al fenomeno della violenza intra ed extrafamiliare. Si tratta del progetto "Antiviolenza Donna e gestione di un call-center a sostegno delle donne vittime di violenza". Il progetto prevede la creazione di una "Rete Nazionale Antiviolenza" che coinvolge, oltre agli Enti Locali e ai Centri Antiviolenza già parte del progetto Urban, anche le Amministrazioni Centrali a vario titolo attive nella lotta al fenomeno della violenza.

Giustizia: Pd; governo stanzi 20 milioni per il piano antiviolenza

 

Redattore Sociale - Dire, 25 novembre 2008

 

"Chiediamo al governo di rifinanziare il piano di azione del dipartimento pari opportunità mirato alla realizzazione di case rifugio, centri antiviolenza, associazioni femminili e misure a tutela delle vittime di violenza". Lo afferma Barbara Pollastrini (Pd) in una mozione della quale è prima firmataria, presentata in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne proclamata dall’Onu per il 25 novembre. Tra gli altri firmatari Walter Veltroni, Antonello Soro, Marina Sereni, Gianclaudio Bressa e le deputate e i deputati del Pd.

"Chiediamo anche al governo - si legge nella mozione - la presentazione di un piano d’azione per i diritti delle donne, contro le molestie per motivi di orientamento sessuale o religioso, per differenti abilità, razza e religione. In particolare - si aggiunge - l’esecutivo si impegni a stanziare per il piano 20 milioni di euro nel 2009 e alla sua implementazione pari a 40 milioni di euro per il 2010 e a 60 milioni per il 2011. Solo così sarà possibile la realizzazione di azioni di recupero, campagne informative, misure a tutela delle vittime e attività di recupero". Nella mozione si sottolinea, inoltre, che "la drammatica realtà che molte donne vivono rende necessario un urgente intervento. Le cifre sono allarmanti". E conclude il documento del Pd: "Nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate. La gravità dell’emergenza sta spingendo le Nazioni unite ad introdurre una fattispecie specifica di reato denominato femminicidio".

 

Subito un legge contro la violenza

 

In occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, che si celebra domani, 25 novembre, l’Associazione donneinrete.net, ha inviato al governo e a tutti i parlamentari italiani una lettera aperta per chiedere "l’immediata approvazione di una legge che rafforzi le tutele verso le donne, vittime ogni giorno di violenze ed aggressioni".

Una legge, sottolineano Rosaria Iardino, presidente di ‘donneinrete.net’ e Paola Concia (Pd), della commissione Giustizia della Camera "che dia certezza di diritto a tutte le vittime di un fenomeno purtroppo in continua crescita e che, secondo le stime più recenti dell’Istat, indica in 14 milioni il numero di donne italiane che hanno subito almeno una volta nella vita atti di violenza fisica, sessuale o psicologica".

Si tratta di un dramma che, aggiungono Concia e Iardino nella lettera, "solo in meno dei 10% dei casi ha trovato pubblicità attraverso una denuncia alle autorità e che nel 75% dei casi ha visto come artefice della violenza un familiare o un conoscente della vittima". E concludono le due rappresentanti dell’associazione: "La scorsa legislatura si è chiusa senza che il Parlamento riuscisse ad approvare una legge che contribuisse a fermare questa piaga. Per questo ‘donneinrete.net’ chiede che non sia vanificato tempo prezioso e che il Parlamento giunga quanto prima al varo di una legge che tuteli le donne nella loro dignità e nella loro vita".

 

Bianchi (Pd): il Parlamento legiferi presto

 

"È questa la giornata per dire no alla violenza ed alla sopraffazione sulle donne, un male che riguarda tutte e tutti, una violazione dei diritti umani terribile e vergognosa". Lo afferma Dorina Bianchi (Pd) in vista della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. "È necessario - spiega la senatrice - che il Parlamento legiferi quanto prima per ridurre i rischi che colpiscono le donne, una legge che dia aspra battaglia a questo male, attraverso la previsione del reato di stalking e rafforzando, nell’organizzazione e nei finanziamenti, i centri antiviolenza presenti sul territorio italiano che specialmente al Sud non riescono ad offrire l’assistenza necessaria a causa dei pochi fondi a disposizione".

Per Bianchi "sono troppe le donne che subiscono e che vengono sopraffatte dalla violenza, ma sono davvero tante anche le donne che hanno deciso di lottare, di cambiare, di ribellarsi. Accanto a loro - conclude - bisogna schierarsi e affermare con forza che nessuna sarà mai più sola".

Giustizia: a Milano si sperimenta la "scatola rosa" anti-stupro

di Camilla Montella

 

Libero, 25 novembre 2008

 

In un anno sono state oltre 71 mila le donne che hanno subito violenza fuori dalle mura di casa. Per quelle che lavorano di notte e che devono usare la macchina al buio, magari in zone poco raccomandabili, la Fondazione Arda, in collaborazione con il ministero delle Pari Opportunità, ha ideato una Scatola Rosa, da installare sull’auto, sempre in contatto con le forze dell’ordine. Basta pigiare un pulsante e la comunicazione di pericolo arriva direttamente alla centrale operativa. A mille donne milanesi il dispositivo sarà dato in uso gratuito nelle prossime settimane. E a breve il progetto sarà esteso anche a Roma e a Napoli.

La "Pink Box" è un sistema satellitare sistemato in un posto nascosto della macchina e collegato a un telecomando che funziona anche a qualche decina di metri dalla vettura. Nelle situazioni di pericolo - dal guasto della macchina in un luogo isolato all’aggressione di un delinquente - la signora al volante (o poco distante dall’abitacolo) può pigiare un pulsante e dare l’allarme alle forze dell’ordine. Queste richiamano subito l’automobilista e, se non ricevono risposta o se il pericolo viene confermato, avvisano la pattuglia più vicina.

La macchina sarà facilmente rintracciabile tramite il segnale Gps, così come potranno essere ricostruiti tutti gli spostamenti dell’auto grazie alla memoria di registrazione. "La Scatola rosa", ha spiegato ieri alla presentazione del progetto il ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna, "permetterà alle donne di sentirsi più sicure sapendo di essere in contatto diretto con una centrale operativa pronta ad aiutarle".

Ania (Fondazione per la sicurezza stradale) metterà a disposizione, gratuitamente, mille Scatole Rosa ad altrettante milanesi, che il Comune sceglierà sulla base del lavoro che svolgono e degli orari in cui devono stare fuori. Le candidate verranno selezionate "assieme alle associazioni, ma l’idea è quella di cominciare dalle donne che lavorano di notte", ha spiegato il sindaco di Milano Letizia Moratti. Non ci saranno preclusioni di età, mentre saranno privilegiate le donne che vivono o lavorano in quartieri periferici.

Se è vero, infatti, che la maggior parte degli stupri e delle violenze (in totale 1.500.000 in un anno) avviene tra le mura di casa, è anche vero che il 6,2 per cento è a opera di estranei. Secondo i dati dell’Istat, sono le giovani dai 16 ai 24 anni (16,3%) e dai 25 ai 24 anni (7,9%) a presentare i tassi più alti. 113,5 per cento delle donne ha subito violenza sessuale.

Tra le diverse forme di violenza sessuale le più diffuse sono le molestie fisiche (79,5%), seguite dai rapporti sessuali non desiderati (19%), dal tentato stupro (14%), dallo stupro (9,6%) e dai rapporti sessuali degradanti ed umilianti (6,1%). Stupri a parte, ci sono altri casi di violenze: dagli spintoni (56,7%o), ai calci e pugni (36,1%) fino alle minacce con pistole o coltelli (8,1%) e al tentativo di strangolamento o soffocamento e ustione (5,3%). Per non parlare dei casi (oltre 0 90%) che non vengono denunciati per paura o per vergogna. Almeno in parte, le violenze potranno essere scongiurate grazie alla Scatola Rosa.

"È un primo passo per la prevenzione", ha detto Sandro Salvati, presidente della Fondazione Ania, che finanzia il progetto. I primi mille Gps verranno consegnati a Milano all’inizio del 2009. "Ma l’idea è che venga coperta, man mano, tutta l’Italia". A metà dicembre la stessa iniziativa verrà presentata a Roma e a Napoli, dove verranno consegnate altre duemila (mille per città) Scatole Rosa.

Giustizia: 15 anni di carcere da innocente, risarcito con 4,5 mln €

di Stefano Zurlo

 

Il Giornale, 25 novembre 2008

 

A un pescatore condannato ingiustamente per duplice omicidio andranno 4,5 milioni di danni: "Ma resta l’umiliazione subita".

È il più clamoroso errore giudiziario del dopoguerra. Ora il ministero dell’Economia ha deciso di staccare l’assegno più alto mai dato a un innocente per risarcirlo: 4 milioni e 500mila euro. Circa nove miliardi di lire, a fronte di 15 anni, 2 mesi e 22 giorni trascorsi in carcere per un duplice omicidio mai commesso. Il caso di Domenico Morrone, pescatore tarantino, si chiude qua: con una transazione insolitamente veloce nei tempi e soft nei modi.

Il ministero dell’Economia ha capitolato quasi subito, riconoscendo il dramma spaventoso vissuto dall’uomo che oggi a 43 anni può tentare di rifarsi una vita. Così, per il tramite dell’avvocatura dello Stato, Morrone si è rapidamente accordato con il ministero e la corte d’appello di Lecce ha registrato come un notaio il "contratto". In pratica, Morrone prenderà 300mila euro per ogni anno di carcere. E i soldi arriveranno subito: non si ripeteranno le esasperanti manovre dilatorie già viste in situazioni analoghe, per esempio nelle vertenza aperta da Daniele Barillà, rimasto in cella più di 7 anni come trafficante di droga per uno sfortunato scambio di auto.

Morrone fu arrestato mezz’ora dopo la mattanza, il 30 gennaio ‘91. Sul terreno c’erano i corpi di due giovani e le forze dell’ordine di Taranto cercavano un colpevole a tutti i costi. La madre di una delle vittime indirizzò i sospetti su di lui. Lo presero e lo condannarono. Le persone che lo scagionavano furono condannate per falsa testimonianza. Nel ‘96 alcuni pentiti svelarono la vera trama del massacro: i due ragazzi erano stati eliminati perché avevano osato scippare la madre di un boss. Morrone non c’entrava, ma ci sono voluti altri dieci anni per ottenere giustizia.

E ora arriva anche l’indennizzo per le sofferenze subite: "Avevo 26 anni quando mi ammanettarono - racconta lui al Giornale - adesso ne ho 43 ed è difficile ricominciare. Ma sono soddisfatto perché lo Stato ha capito le mie sofferenze, le umiliazioni subite, tutto quello che ho passato". Un procedimento controverso: due volte la Cassazione annullò la sentenza di condanna della corte d’assise d’appello, ma alla fine Morrone fu schiacciato da una pena definitiva a 21 anni.

Non solo: beffa nella beffa, fu anche processato e condannato a 1 anno e 8 mesi per calunnia. La sua colpa? Se l’era presa con i magistrati che avevano trascurato i verbali dei pentiti.

Ora, finalmente, la giustizia si mostra comprensiva con chi è stato vittima di un errore così grave: la corte d’appello di Lecce nota anzitutto che l’Avvocatura dello Stato "non si oppone alla liquidazione" della cifra. La scorsa estate Morrone aveva chiesto allo Stato un risarcimento di 12 milioni di euro; il tempo di condurre una rapida trattativa e il ministero si è detto disponibile a chiudere la pratica a quota 4,5 milioni di euro. Senza opposizioni e contestazioni.

La somma totale di 4,5 milioni è così ripartita: 1 milione e 300mila euro per la privazione della libertà; 1 milione e 700mila euro per i danni non patrimoniali; 1 milione per il danno patrimoniale da mancato guadagno; 500mila euro per le spese legali e per gli onorari del difensore. Un record per l’Italia. E anche un primato di velocità. Ma non finisce qui. Morrone vuole presentare il conto anche ai magistrati che hanno sbagliato e per questo ricorrerà alla legge sulla responsabilità civile dei giudici.

Il pescatore, come impone la norma, si rivolgerà alla Presidenza del Consiglio, chiedendo 8 milioni di euro. Vincenzo Petrocelli, il magistrato che l’aveva messo sotto accusa, ha difeso in un’intervista al Corriere il proprio lavoro: "In primo grado è stato fatto un processo come si deve". E ancora: "La storia dello scippo subito dalla madre della persona che secondo due pentiti avrebbe ucciso i ragazzi per punirli, è stata accertata dopo, molto dopo".

Giustizia: il Procuratore Antimafia; ok a riapertura di Pianosa

 

Il Tirreno, 25 novembre 2008

 

Anche Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia, è favorevole alla riapertura del carcere di Pianosa. Una misura che potrebbe, a suo dire, salvare l’isola da speculazioni. "Bisogna prevenire eventuali manovre speculative - ha detto Grasso durante l’undicesimo vertice della fondazione Caponnetto, attuato come ogni anno alla Sala Montalvo di Campi Bisenzio - e quindi mi pare opportuna la riapertura della diramazione per boss mafiosi, utilizzando il 41 bis, quindi potenziare il recupero di detenuti in semilibertà attraverso il lavoro, funzioni carcerarie che potranno coesistere col turismo contingentato.

Un modo per dare futuro e non abbandono a questo prezioso territorio". Probabilmente il magistrato si riferisce alle caratteristiche ambientali davvero uniche di Pianosa, un paradiso tutelato dal Parco, ma forte anche di beni archeologici storici come la villa Romana di Agrippa e le misteriose catacombe. Sono 10 anni che nessuno riesce a definire un assetto definitivo per Pianosa, isola penitenziario fino al 1998, che negli anni Trenta, sotto il fascismo, ebbe un recluso politico che poi sarebbe diventato presidente della Repubblica: Sandro Pertini.

Progetti, riunioni, dibattiti sul futuro dell’isola che intanto sta andando al degrado. E dopo Lumia onorevole del Pd, interventi di Legambiente e altri, ecco la presa di posizione di Grasso che nel suo discorso fiorentino ha inviato pure un forte messaggio. "Occorre una vera unità tra tutti, maggioranza e opposizione, per sconfiggere le mafie". Il magistrato, da anni legato all’Elba e a Pianosa, grazie al rapporto con la Fondazione che porta il nome del giudice fondatore del pool antimafia a Palermo.

Giustizia: ricevere la pensione in carcere, percorso ad ostacoli

di Fabio Vitale (Direttore Generale dell’Inps del Friuli Venezia Giulia)

 

Il Piccolo, 25 novembre 2008

 

Il signor G.P. si rivolge alla Direzione regionale, scrivendo dal carcere triestino del Coroneo, per segnalare che da nove mesi non percepisce la sua pensione di invalidità civile. Da un controllo effettuato nella sede provinciale di Trieste competente per l’accredito, risulta che la rata della sua pensione gli è stata regolarmente accreditata presso la casa circondariale di Parma, dove il signor G.P. si trovava fino ad alcuni mesi fa.

Infatti nel caso che il beneficiario di crediti pensionistici si trovi ristretto in una casa circondariale, l’Inps emette un assegno circolare a suo nome indirizzato alla struttura di pertinenza. Evidentemente non era stato segnalato il trasferimento a Trieste, per cui gli assegni non riscossi si trovano ancora a Parma e non appena saranno a disposizione della ragioneria della sede Trieste verranno inviati al nuovo recapito. Intanto, a seguito della segnalazione, si è provveduto a iscrivere il signor G.P. nel registro di Trieste e quanto gli spetta gli sarà accreditato al Coroneo tramite assegno circolare, sicuramente a partire dal prossimo 1 gennaio.

Il problema descritto si può verificare nel caso di detenuti sottoposti a trasferimenti frequenti, per cui l’invio dell’accredito non raggiunge tempestivamente l’interessato. In questo caso, per risolvere il problema, il beneficiario può nominare una persona di sua fiducia come delegato alla riscossione della pensione oppure, come previsto dalla Legge n. 6/2004, un amministratore di sostegno.

Giustizia: 4 giovani riminesi; abbiamo dato fuoco a un clochard

 

La Repubblica, 25 novembre 2008

 

Hanno confessato i quattro giovani incensurati fermati dalla squadra mobile di Rimini con l’accusa di essere i responsabili del tentato omicidio di Andrea Severi, il clochard tarantino di 44 anni che fu dato alle fiamme mentre dormiva su una panchina lo scorso 10 novembre.

I quattro sono Alessandro Bruschi, 20 anni, barista; Matteo Pagliarani, 19 anni, impiegato in un laboratorio di analisi; Enrico Giovanardi, 19 anni, elettricista; Fabio Volanti, 20 anni, studente. Sono tutti nati a Rimini da famiglie che il capo della mobile Nicola Vitali ha definito "modestissime ma normali".

Dietro il loro gesto, ha spiegato Davide Ercolani, il pubblico ministero che ha condotto le indagini, non ci sarebbero motivazioni razziali o politiche, ma solo la volontà di compiere una bravata. Nella loro confessione hanno ammesso di essere stati anche gli autori di precedenti vessazioni nei confronti dello stesso clochard, che era già stato preso di mira nei mesi scorsi con lanci di sassi e piccoli petardi. "Volevamo solo divertirci".

Gli inquirenti sono partiti dalle testimonianze di alcuni cittadini. Uno di loro aveva segnalato di aver visto una macchina la cui targa conteneva una ‘G’; altri hanno riferito di aver ascoltato strani discorsi da parte di un gruppo di giovani a proposito dell’episodio. La Mobile ha ottenuto l’autorizzazione per piazzare microfoni ambientali nei luoghi dove il gruppetto era solito riunirsi, e sono stati messi sotto controllo i telefoni cellulari di tutti i componenti. Da qui le prove dell’accaduto: i quattro parlavano apertamente del loro gesto, inizialmente soddisfatti del clamore suscitato, poi preoccupati di come le indagini stavano andando avanti. Questa mattina sono stati prelevati dalle loro abitazioni e portati in Questura.

Prima hanno negato tutto, poi hanno finito per confessare, compresi gli episodi precedenti, quando avevano tirato sassi e mortaretti sempre contro Severi.

Il 10 novembre i quattro giovani hanno acquistato la benzina in un distributore, si sono fermati accanto alla panchina dove dormiva il senzatetto e hanno versato il liquido infiammabile: sembra che materialmente il gesto sia stato compiuto da Bruschi. Quando hanno visto che l’uomo si contorceva tra le fiamme sono scappati via senza minimamente pensare a soccorrerlo. Nessun tentativo di giustificare il loro gesto: voleva essere solo una terribile bravata, nessuna matrice politica o razzista.

"Si conoscevano tutti, possiamo definirli una banda, e al telefono tra loro commentavano con soddisfazione sia il risultato del loro gesto sia la risonanza ottenuta", ha spiegato Vitali a Radio Capital (audio). "Sono ragazzi di famiglie modeste, ma normali, con genitori che lavorano. In passato avevano già preso di mira la vittima con altri episodi" ha aggiunto il funzionario di polizia. Il reato ipotizzato nei loro confronti è di tentato omicidio.

Andrea Severi, ricoverato al centro grandi ustionati di Padova, ora è fuori pericolo ma ha rischiato di morire e ha riportato ustioni di secondo e terzo grado sul cinquanta per cento del corpo.

 

Volevamo divertirci

 

"Gli ho buttato tutta la benzina che avevo. Ho visto il fuoco che si alzava e il barbone è cascato dritto per terra. Poi si è rialzato con le fiamme addosso". Lo raccontava così, come un film, Alessandro Bruschi, vent’anni, barista "gentile e per bene" del Caffè Pascucci. In macchina, riviveva con la fidanzata il gioco folle e crudele che assieme a tre amici aveva escogitato "per divertirsi" in un noioso lunedì sera di inizio novembre e che per poco non è costato la vita ad Andrea Severi, tranquillo clochard che avevano preso di mira, ancora ricoverato con ustioni di secondo e terzo grado sul 40% del corpo. E che ora, con dignità, dice: "Non odio nessuno, voglio solo vivere".

Uno dopo l’altro i bravi ragazzi sono crollati, messi all’angolo da una montagna di prove raccolte dagli investigatori. Ha confessato in lacrime Matteo Pagliarani, elettricista, 19 anni: "Io però non ho fatto niente, sono rimasto in auto". E hanno confermato Enrico Giovanardi, perito chimico, anche lui diciannovenne e Fabio Volanti, studente ventenne dallo sguardo spavaldo. "A questo punto, vi racconto tutto", ha detto Bruschi, il leader del gruppo. E ha ricostruito momento per momento quella notte allucinante. La tanica nel baule comprata qualche giorno prima. Il pieno a una pompa di carburante, senza telecamere per non lasciare tracce.

E poi la bravata. "Lo scherzo" come lo hanno chiamato, con cinica leggerezza. È Bruschi a cospargere Severi di benzina, poco dopo mezzanotte. Lui ad appiccare il fuoco. Ma i quattro non fuggono subito. Fanno in tempo a vederlo ardere. E mezz’ora dopo tornano con un’altra macchina, per vedere l’effetto del loro numero, le ambulanze, la polizia. Se lo sono raccontato parecchie volte nei giorni successivi. "Hai visto come bruciava?". "Ti ricordi come urlava?". "A fuoco il barbone, che spettacolo!" e giù una bestemmia. "Non fiatava, ha detto che si svegliava perché sentiva caldo". E gli investigatori ascoltavano con la pelle d’oca e trascrivevano tutte quelle prove.

"Operazione gioventù bruciata" l’ha battezzata il pm Davide Ercolani che ha coordinato le indagini. Dopo 48 ore, grazie alla collaborazione dei cittadini, carabinieri e polizia erano già sulla pista giusta. Era stata una donna, dopo l’episodio raccapricciante del senza casa arso vivo su una panchina nella tranquilla cittadina balneare a offrire il primo spunto. Li aveva sentiti sere prima al bar vantarsi degli scherzi a un clochard: prima le sassate, poi un petardo. "Ti immagini dar fuoco al barbone" ridacchiavano. Poteva essere un falso allarme, ma i quattro sono stati spiati e pedinati. Cimici in macchina, ore e ore di registrazioni. Targhe controllate, riscontri.

Ieri mattina li hanno prelevati a colpo sicuro, all’alba. Li hanno portati in Questura, interrogati per ore. Tre di loro dicono di avere soltanto osservato, dall’auto. Avrebbe fatto tutto Bruschi che si è difeso: "Non mi ero reso conto della gravità delle ferite, qualche piccola ustione, pensavo". Tutti e quattro sono in carcere. L’accusa è di tentato omicidio.

Giustizia: "Arancia meccanica" di provincia tra bar e pochi ideali

 

La Repubblica, 25 novembre 2008

 

Da qualche ora i quattro bravi normalissimi ragazzi con la tanica di benzina e l’accendino non sono più un gruppo. Game over, ciascuno perse. Come se ciò che li teneva insieme fosse solo quel giocattolo divertente, lo scaccia noia delle ultime settimane: brucia-il-barbone.

Sconvolti veramente sono i genitori. Il procuratore li ha lasciati soli qualche minuto in un ufficio coi figli, dopo la confessione e prima del trasferimento in carcere: troppo poco per chiedere e per capire, abbastanza per disperarsi: due mamme svengono tra le braccia dei poliziotti. "Sono ragazzi bravissimi, è un fulmine": una delle madri, bionda, non si sa di quale dei quattro. Due padri spintonano una telecamera, "andate via". C’è una piccola folla in strada, qualcuno grida "Sparati!", "Vergognati, cosa nascondi?" "Ti dovrebbero dare col gas". Nessuno reagisce.

"Operazione gioventù bruciata" è il nome della brillante operazione di polizia. Ma dove, bruciata? Neanche scottata. Nessun precedente. Niente droga. Poco alcol. Zero politica. Stipendi in tasca. Abitano coi genitori. Bruciata? Gioventù fredda e normale, come la noia che ha partorito quest’idea feroce, forse al tavolino di questa Cantinetta di Padùl, bar di periferia ma più che dignitoso, bar sportivo come da striscioni "Rimini vai!", bar di serate come stasera, un ragazzo col cappuccio sussulta vedendo le foto degli arrestati poi dice "non dico niente", una ragazza col piercing senza smettere di giocare al videopoker borbotta "so chi è, uno normalissimo".

"Oddio ma è un mio cliente!" inorridisce la titolare davanti alla foto di Fabio, "ma è un bravo ragazzo, d’estate fa la stagione nei ristoranti, era qui sabato, ha preso una camomilla". Al banco c’è uno che ne riconosce tre, "si vedevano spesso in giro".

Niente di più. Cambi zona, Marina Centro, il Caffè Pascucci è uno dei locali più alla moda della capitale dell’estate: altre cadute dalle nuvole. "Alessandro? Lavora qui da un anno. Gioioso, generoso. Tanti straordinari e mai un problema", si sbalordisce il titolare, "non conosci mai davvero le persone...".

Erano quattro amici al bar. Mestieri dei genitori: agente di commercio, professionista, operaio: questa non è emarginazione, gli indirizzi sui documenti rimandano a quartieri normali di una città benestante. Mestieri loro: Alessandro il cameriere da bar di lusso, Matteo l’elettricista, Enrico l’analista di laboratorio, Fabio lo studente Itis svogliato sui libri (tre volte ripetente) ma volonteroso nei lavoretti estivi. Una personalità s’imponeva sulle altre, quella di Bruschi, quello sceso con la tanica mentre gli altri stavano in auto a guardare: l’ultimo a confessare. Ma basta per fare una "banda"?.

"Nessun movente politico, nessuna ideologia razzista", garantisce il procuratore Battaglino e si lascia scappare: "Meglio i ribelli del ‘68 di questi ragazzi senza valori". Ieri comunque i magistrati hanno incassato solo le confessioni, sul movente si tornerà. Per ora, i quattro non hanno dato motivazioni: volevano farlo, l’hanno fatto. "Così, per scherzo".

Il barbone della Colonnella? Scelto perché a Rimini lo conoscono tutti e non importa a nessuno. Un randagio: non è ai cani che si tirano sassi e petardi? Ma per "fargli paura" col fuoco, bisogna considerarlo ancora meno: un pupazzo. Certo, hanno "chiesto scusa", si sono "resi conto", avrebbero confessato prima ma non l’hanno fatto, dicono ora, "per non far del male alle nostre famiglie". Però nelle intercettazioni tutti quei pentimenti non ci sono, c’è un tono di vanteria da tiro a segno, "ti ricordi le urla?". Gioventù normale. Gioventù bruciante.

Bologna: detenuto muore inalando il gas in cella, per stordirsi

di Carlo Gulotta

 

La Repubblica, 25 novembre 2008

 

Lo "sballO dei poveri" uccide ancora una volta in carcere. Domenica sera, verso le 23, un detenuto marocchino è morto dopo aver sniffato ripetutamente il contenuto di una bomboletta di gas da campeggio nel tentativo di stordirsi. Era già successo nell’agosto di tre anni fa, e anche allora fu il gas ad ammazzare un detenuto che aveva chiesto di venire alla Dozza per stare vicino alla madre, anche lei agli arresti.

Ancora una volta si ripropone il problema della qualità della vita e della sicurezza per gli ospiti della Dozza, sovraffollata ormai oltre limiti tollerabili: i detenuti sono oggi 1.060, di cui 700 immigrati, in una struttura che secondo il regolamento non dovrebbe superare la capienza massima di 700 persone. La ricerca dello sballo oltre il muro del penitenziario stavolta ha ucciso un giovane marocchino, Kamel A. 23 anni, precedenti per spaccio, e a dare l’allarme è stato il suo compagno di cella, che ha riferito agli inquirenti di averlo visto sniffare più volte il butano del fornellino da campeggio che il carcere fornisce ai detenuti per riscaldare i cibi.

Kamel, che avrebbe finito di scontare la pena nel giugno del prossimo anno, a un certo punto è entrato in bagno, è passato qualche istante, e il compagno di cella, preoccupato, quando è entrato a sua volta lo ha trovato sul pavimento, con la bomboletta ancora vicina al viso. I soccorsi sono stati rapidi quanto inutili: Kamel era già morto. Una telefonata della direzione ha avvertito il pm di turno, Luca Tampieri, che ha fatto acquisire il carteggio del detenuto, ha chiesto una relazione dettagliata sui fatti alla Polizia Penitenziaria e ha disposto l’autopsia per accertare le cause esatte della morte.

Alla Dozza parlano di "decesso imprevedibile": Kamel non avrebbe mai dato segni di depressione, né aveva compiuto quei gesti di autolesionismo purtroppo assai frequenti fra gli ospiti di una struttura chiusa quale è il carcere. In mattinata, ieri, il neo-direttore Luca Candiano ha informato il garante per i diritti dei detenuti Desi Bruno. Secondo il provveditore regionale alle carceri Nello Cesari non c’è un allarme-suicidi alla Dozza: sette quelli sventati dai poliziotti penitenziari nell’anno in corso, uno solo riuscito, quello dell’altra notte.

"Nelle carceri italiane ci si uccide 11 volte di più rispetto all’esterno - attacca Desi Bruno - e inevitabilmente, anche alla Dozza, le condizioni di superaffollamento influiscono in modo negativo sulla qualità della vita dei detenuti e anche delle guardie (che sono sotto di 200 unità) e sugli standard di sicurezza. Sono troppe le cose che non funzionano in via del Gomito: ci sono due soli mediatori culturali per 1.060 detenuti, uno psicologo, uno psichiatra. Il rischio suicidano è purtroppo elevatissimo e bisogna fare di più sul piano della prevenzione. Per non parlare dell’impianto di riscaldamento, che funziona poco e male: l’ho potuto constatare io stessa in una visita alla Dozza venerdì scorso".

Secondo il garante, il rischio di suicidio è particolarmente elevato fra le persone in attesa di giudizio, alla Dozza i tre quarti della popolazione carceraria. "Servono investimenti sulle strutture ma soprattutto sulla prevenzione dei rischi di suicidio - dice il garante - e lo ripeterò, ancora una volta, al comitato locale per l’area dell’esecuzione penale esterna presieduto dalla vicesindaco Scaramuzzino.

Vicenza: detenuto 22enne ritrovato morto, causa da accertare

 

Giornale di Vicenza, 25 novembre 2008

 

Un giovane detenuto è stato trovato morto ieri mattina nella sua cella all’interno della casa circondariale S. Pio X. La vittima, il cittadino tunisino Abdelmijd Kachab, 22 anni, sarebbe deceduto per cause naturali.

L’allarme è stato dato intorno alle 8. La Polizia Penitenziaria, che è stata allertata, ha subito avvisato il Pubblico Ministero di turno Angela Barbaglio, la quale si è recata in carcere per un sopralluogo. All’interno della cella non c’era nulla che potesse essere collegato in maniera diretta alla morte. Il magistrato ha dato il nulla osta per la rimozione della salma, ha aperto un fascicolo per la disgrazia ed ha disposto l’autopsia che verrà eseguita nei prossimi giorni. Solo dopo sarà dato l’assenso ai funerali; nel frattempo è stata avvisata la famiglia, e deve ancora essere deciso se le esequie saranno celebrate in Italia o più probabilmente in Tunisia.

Kachab, che aveva avuto problemi con la droga, apparentemente non soffriva di particolari disturbi. Da qualche tempo era ristretto nella sezione dei detenuti comuni. La procura vuole comprendere se nel decesso possano esserci responsabilità di terzi, vista la giovane età della vittima.

Padova: incontro dal Prefetto su emergenza Casa Circondariale

 

Il Mattino di Padova, 25 novembre 2008

 

L’emergenza carcere finisce in Prefettura. I sindacalisti della Cisl Funzione Pubblica di Padova hanno fotografato al Prefetto Michele Lepri Gallerano l’intollerabile situazione della Casa Circondariale di via Due Palazzi. Al vertice di una settimana fa hanno preso parte anche il comandante della polizia penitenziaria Fausto Mungioli e la direttrice del carcere Antonella Reale.

Due i temi trattati: il sovraffollamento di detenuti e la necessità di un’area protetta per le degenze in ospedale. Il trio sindacale costituito da Franco Gargiulo, Bernardo Diana e Giuseppe Terracciano ha sottolineato come, in attesa della ristrutturazione del vecchio corpo detentivo, la casa circondariale di Padova sia stracolma: attualmente sono presenti 194 unità contro il limite massimo di 130 reclusi.

Ad aggravare le condizioni di vivibilità del carcere è la mancanza di un’area protetta dove ospitare i detenuti in precarie condizioni di salute. Il reparto bunker dell’ospedale di Padova è stato chiuso nel lontano 2001 per problemi d’igiene e a distanza di sette anni non sono ancora stati individuati altri locali idonei. "Abbiamo un numero consistente di reclusi ad elevato indice di vigilanza - spiega Bernardo Diana, responsabile della polizia penitenziaria della Cisl-Fp - che necessitano di una particolare sorveglianza. Il ricovero di questi soggetti con altri pazienti comporta un enorme spreco di denaro pubblico per il personale addetto ai controlli. Eppure basterebbe approntare, anche in via provvisoria, un paio di stanze di degenza".

Pronta la risposta del Prefetto Gallerano, che ha promesso il suo impegno, attraverso il coinvolgimento dell’Azienda ospedaliera cittadina, per il ripristino di un reparto protetto. Ha inoltre assicurato l’avvio di contatti con le forze di polizia per limitare al massimo il transito verso il carcere dei nuovi arrestati, soprattutto nelle ore notturne. A breve dovrebbero infine decollare i lavori di ammodernamento del vecchio carcere. Sono stati stanziati 4,5 milioni di euro e sarebbe imminente l’avvio della gara d’appalto a livello europeo. "Anche se ci sono i fondi per la ristrutturazione - osserva Franco Gargiulo è vitale trovare soluzioni per l’immediato".

Brescia: 20 nuovi ingressi ogni giorno, il carcere è allo stremo

di Italia Brontesi

 

Il Giorno, 25 novembre 2008

 

Quattrocentosettanta detenuti per un carcere che dovrebbe ospitarne 286. Il sovraffollamento è il male cronico del vecchio carcere di Canton Mombello. Celle di pochi metri, letti a castello. "Succede che mentre tre mangiano, gli altri tre devono stare sdraiati sulle brande perché non c’è spazio", racconta Osvaldo Squassina, consigliere regionale di Rifondazione comunista che ieri ha visitato le due strutture carcerarie bresciane, Canton Mombello e Verziano. Ma la situazione già difficile è acuita dall’emergenza dei detenuti "in transito". Sono quelli che in carcere ci restano al massimo 48 ore, il tempo di entrare, in genere arrestati per violazione della Bossi-Fini, e di essere portati davanti al giudice per la direttissima.

In carcere bisogna comunque espletare tutte le pratiche: immatricolazione, visita, ridisposizione all’interno delle celle. Ne arrivano 20-25 al giorno. "È un carico che mette in ginocchio il lavoro già pesante all’interno del carcere", dice Squassina che chiederà un incontro con il Questore per parlare della possibilità di utilizzare le celle di sicurezza in Questura, ma anche di un altro problema che coinvolge, invece, Verziano, il carcere misto, femminile e maschile. Nomadi nate in Italia che finiscono in carcere per non aver ottemperato al decreto di espulsione. "Dove dovrebbero essere espulse se sono italiane? Finisce che una volta fuori vengono riarrestate e avanti così, abbandonate a sé stesse, senza nessuna tutela".

Sono donne i direttori delle carceri bresciane, Maria Grazia Bregoli guida Canton Mombello, Maria Paola Lucrezi Verziano. A Canton Mombello, carcere esclusivamente maschile, gli stranieri sono 287, molti giovani dai 18 ai 23 anni e in Italia da poco. Sui 480 detenuti di Canton Mombello 226 sono in attesa di giudizio, 90 i definitivi.

Oltre al sovraffollamento, altre male cronico è la situazione sotto organico del personale di sorveglianza, 150 in meno. Tra le nuove emergenze del vecchio carcere l’aumento del numero di detenuti con malattie psichiatriche. Non mancano casi di scabbia, sifilide, tubercolosi, crescono atti di autolesionismo. Tra le molte difficoltà, a Canton Mombello si punta comunque a dare un senso alla vita dentro il carcere, i detenuti sono applicati a lavori di manutenzione interna, la biblioteca realizzata tre anni fa con l’aiuto della Provincia funziona, 6 mila libri donati da privati e biblioteche, ed è molto frequentata dai detenuti, la scuola, a cominciare dai corsi di alfabetizzazione. Le sale colloqui sono state modernizzate, rendendolo anche un ambiente più adatto alla visita dei figli dei detenuti. Compiuti i 22 anni Verziano, il carcere bresciano più giovane, è alle prese con le infiltrazioni d’acqua. L’emergenza è anche il lavoro per i detenuti che comincia a mancare. La guardia medica funziona 10 ore al giorno per mancanza di medici e infermieri.

Annota le emergenze e registra che la situazione di Verziano è peggiorata rispetto a un anno fa Osvaldo Squassina, consigliere regionale di Rifondazione comunista, alla fine delle visita di ieri alle carceri bresciane. E ha già deciso le prossime mosse: una verifica con l’azienda ospedaliera per la possibilità di ampliare la guardia medica; un incontro con le associazioni degli imprenditori per il problema del lavoro.

Firenze: è nata una Rete sulle esperienze di teatro nel carcere

 

Toscana Oggi, 25 novembre 2008

 

Parte dalla "Pergola" di Firenze il cammino per costruire una rete nazionale fra le esperienze di teatro in carcere. "Dar vita a un coordinamento almeno interregionale - spiega l’assessore toscano alla Cultura, Paolo Cocchi - è utile per qualificare, sostenere e far conoscere meglio anche al grande pubblico ciò che di significativo avviene nel chiuso di tante carceri con un teatro che si fa davvero impegno civile".

Il saloncino del teatro della Pergola ha ospitato un confronto ("A scene chiuse?") fra esperienze di teatro in carcere portate avanti in Toscana, Emilia, Lazio, Puglia, Lombardia. Al centro l’esperienza toscana con il progetto di due assessorati regionali (Cultura e Politiche Sociali) iniziato nel 1999: dalle 7 realtà all’inizio coinvolte, oggi la "rete" associa 15 compagnia teatrali che op erano in 14 carceri (Arezzo, Empoli, Livorno, Massa, Massa Marittima, Montelupo, Meucci di Firenze, Pisa, Pistoia, Porto Azzurro, San Gimignano, Siena, Sollicciano, Volterra).

Punteggiato da momenti multimediali (la proiezione di un video, la presentazione di una mostra fotografica e di un volume, uno spettacolo dal vivo), al convegno sono stati illustrati i risultati di una ricerca sulla situazione nazionale del teatro in carcere. Ne ha parlato Massimo Marino, saggista e critico teatrale. Il questionario è stato diffuso nelle 207 carceri di diverso tipo distribuite nelle 20 regioni ottenendo risposte da 113 carceri, in 18 regioni, comunque rappresentative di oltre la metà della popolazione reclusa.

Nell’86,41% delle carceri che hanno risposto, si fa teatro e oltre il 50% delle esperienze teatrali dura da oltre tre anni. Nel 51% dei casi gli spettacoli sono stati rappresentati solo all’interno del carcere, nel 40,7% all’esterno e soltanto l’8,3% sono stati portati in tournée. "È il momento che queste esperienze di speranza siano meglio conosciute - ha insistito l’assessore Cocchi - che avvengano scambi, si creino strutture stabili anche, ad esempio, come scuola di teatro o come occasioni legate ai mestieri del teatro. È nelle non civiltà che il carcere diventa un luogo dove il detenuto scompare: nelle democrazie, invece, il carcere è strumento di espiazione per poi consentire un ritorno nella società".

Per il Provveditore dell’amministrazione penitenziaria toscana, Maria Pia Giuffrida, secondo cui il nuovo tentativo di coordinamento è da osservare con favore, "il carcere ha bisogno del teatro non meno che il teatro del carcere. È anche qui che il teatro può trovare nuovo senso". Moderato da Siro Ferrone, docente universitario in Discipline dello Spettacolo, il confronto iniziale ha visto numerosi apporti.

Per Andrea Mancini, autore del volume "A scene chiuse" che contiene anche molte foto, "il teatro in carcere contrasta la negatività del carcere ed esalta la positività del teatro". Gianfranco Capitta, giornalista, ha sottolineato l’importanza che questo tipo di spettacoli esca dal chiuso degli stabilimenti carcerari ("il vero salto di qualità sta nel portarli fuori"). Lo scrittore e drammaturgo Giuliano Scabia ha rivolto un appello ai critici teatrali affinché si accorgano di questi spettacoli.

Per Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti a Firenze, il teatro può essere la leva per cambiare il carcere. Corrado Marcelli, direttore della Fondazione Michelucci, ha portato l’esperienza del "Giardino degli Incontri" a Sollicciano ("Quasi il 70% dei detenuti è di origine straniera, il teatro è una grande occasione anche per loro"). Armando Punzo, regista della compagnia che opera a Volterra, ha aperto il capitolo delle esperienze di teatro in carcere. Nel pomeriggio tavola rotonda conclusiva con le esperienze teatrali più significative nel sistema nazionale e un sostanziale consenso sulla utilità del coordinamento affinché - ha aggiunto Cocchi - "da chiuse, queste scene si facciano finalmente aperte".

Locri: tavola rotonda "Inclusione soggetti in esecuzione penale"

 

Comunicato stampa, 25 novembre 2008

 

Giovedì 27 novembre 2008 presso il salone del palazzo "Nieddu" di Locri alle ore 10.00 si terrà la Tavola rotonda "L’inclusione lavorativa e sociale di soggetti in esecuzione penale". L’attività si svolge a conclusione del percorso di formazione promosso dal Centro di Servizi al Volontariato Dei Due Mari di Reggio Calabria dal titolo "Rete per l’inclusione sociale dei soggetti provenienti da percorsi penali della Locride".

Si tratterà di un momento di riflessione sulle politiche e sulle pratiche che si pongono l’obiettivo di facilitare il reingresso nel contesto socio economico delle persone che hanno scontano una pena. Il successo del percorso inclusivo si rivela importante non solo per il soggetto con trascorsi penali ma anche per il contesto locale, in quanto in questa maniera si riduce in modo significativo il triste fenomeno della recidiva e si ridà senso al valore educativo della pena.

Di questo discuteranno, coordinati dalla criminologa Patrizia Surace, il Direttore Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Reggio Calabria Mario Nasone, il Direttore della Cooperativa Sociale Promidea Piero Caroleo, Salvatore Orlando Autorità di Gestione Fondi Comunitari, Vincenzo Linarello Presidente del Consorzio Goel, Piero Schirripa Presidente della Cooperativa Valle del Bonamico, Carmela Santo Presidente della Cooperativa Sociale Mistya, Carmela Zavattieri Direttore della Caritas diocesana Locri-Gerace, Don Giuseppe Giovinazzo Presidente dell’Associazione Nuova evangelizzazione Locri, Giovanni Calabrese Assessore Politiche Sociali Comune di Locri e Attilio Tucci Assessore Politiche sociali Provincia di Reggio Calabria.

Durante il lavori saranno presentati i risultati del progetto "Aurora" promosso dal Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria, gestito dalla cooperativa sociale Promidea e finanziato dalla Cassa delle ammende per attività di inserimento in contesti lavorativi di soggetti che hanno beneficiato del provvedimento di indulto.

Roma: presentazione "Carcere e scuola, per migliorare insieme"

 

Comunicato stampa, 25 novembre 2008

 

"Carcere e scuola per migliorare insieme" - Con la partecipazione del sottosegretario agli interni Michelino Davico (Lega Nord), martedì 2 dicembre alle ore 10.00 presso la Sala Tevere della Regione Lazio (Via Cristoforo Colombo 212), l’associazione Il Gruppo Libero/nonsolochiacchiere (diretta da Giancarlo Trovato) presenterà l’innovativo progetto "Educazione alla legalità" da realizzare nelle scuole medie inferiori del Lazio.

Il progetto farà incontrare gli studenti con i detenuti e gli ex, proponendosi di portare contributi concreti alla soluzione dei problemi della sicurezza sociale mediante una serie di articolate iniziative. Al convegno "Carcere e scuola per migliorare insieme" - condotto dall’inviato speciale di "Panorama" Bianca Stancanelli, parteciperanno, tra gli altri, il vicepresidente del Consiglio Regione Lazio Bruno Prestagiovanni, gli assessori regionali Silvia Costa e Daniele Fichera, la presidente Commissione sicurezza Luisa Laurelli, il responsabile A.N. circoli Area Identitaria Giuliano Castellino, il garante dei diritti detenuti Angiolo Marroni, il direttore servizio controllo del territorio della direzione anticrimine della Polizia di Stato Daniela Stradiotto.

"Occorre che a quanti saranno cittadini e dirigenti di domani - ha dichiarato Gaetano Campo del Gruppo Libero - siano impartite lezioni chiare e reali di educazione, soprattutto alla legalità. E noi, purtroppo, abbiamo i requisiti necessari per farlo e lo faremo, anche per dare un senso compiuto alle nostre vite".

Libri: "Gettare la chiave, o aprire porta a nuove opportunità?"

 

Comunicato stampa, 25 novembre 2008

 

"Gettare la chiave o aprire la porta a nuove opportunità? Risultati e raccomandazioni da Equal sui percorsi di reinserimento degli autori di reato". Il volume, curato dalla Struttura Nazionale di Supporto Equal dell’Isfol, presenta il contributo del Programma Equal agli interventi volti al reinserimento dei soggetti in esecuzione penale, a partire da una lettura dei risultati dei partenariati di sviluppo (PS) sul territorio nazionale.

L’attenzione si è rivolta innanzitutto alle reti partenariali, ai beneficiari coinvolti e alle principali aree tematiche affrontate dai progetti, con approfondimenti su strategie, strumenti e prodotti di particolare rilievo.

Parallelamente si è inteso tenere conto delle misure per l’inclusione delle persone autrici di reato promosse da amministrazioni centrali, enti locali e mondo produttivo, con un focus sulle linee di azione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e di quello per la Giustizia Minorile, che individuano nel raccordo con gli altri organismi del territorio la modalità più efficace per i programmi di reinserimento.

Vengono inoltre presentate le azioni della Regione Emilia Romagna e della Consulta penitenziaria del Comune di Roma che, attraverso il coordinamento di numerose organizzazioni del volontariato e della cooperazione - hanno tradotto in sinergia operativa il concetto di rete sociale per l’inclusione.

Importanti anche le esperienze lavorative intramoenia svolte dai detenuti e, nello specifico il contributo di diverse realtà imprenditoriali, tra cui una multinazionale che ha sperimentato interessanti forme di accompagnamento al lavoro.

L’ultima parte della pubblicazione è dedicata allo scenario europeo dei partenariati Equal e alla descrizione di alcune esperienze significative maturate in relazione a tre temi al centro dell’agenda comunitaria per l’inclusione: approccio olistico alla riabilitazione degli ex-offender, innovazione in carcere e cooperazione transnazionale.

Completano il volume le "Raccomandazioni europee per il reinserimento e l’inclusione delle persone autrici di reato" elaborate sulla base dei nuovi approcci sviluppati nell’ambito dell’Iniziativa Equal e arricchite dai lavori tematici comunitari (scarica il testo - in pdf).

 

Struttura di supporto alla cooperazione transnazionale Fse dell’Isfol

Via Morgagni 33 - 00161 Roma

Tel. 06.44590 876/864/867

mail: transnazionalita@isfol.it

Immigrazione: il Governo ha scaricato Msf, ma senza sostituirli

di Tiziana Guerrisi

 

Il Manifesto, 25 novembre 2008

 

Medici senza Frontiere aveva già deciso di abbandonare Lampedusa". Lo sostiene il prefetto Mario Morcone, responsabile del Dipartimento immigrazione del Viminale in merito alla dipartita di Msf dal molo dove per sei anni ha garantito a migliaia di migranti, reduci da traversate micidiali, assistenza medica gratuita 24 ore su 24. È vero che l’organizzazione era disposta a lasciare il servizio al molo, ci racconta Loris De Filippi, responsabile progetti di Msf Italia, ma a precise condizioni. Ovvero che "al nostro posto subentrassero gli operatori della Asl numero 6 di Palermo visto che le maxiemergenze dovrebbero essere trattate dalle autorità sanitarie pubbliche".

Il passaggio di consegne non c’è stato, ma la convenzione con il Viminale che in questi anni ha assicurato all’organizzazione di operare nell’area riservata del porto non è stata rinnovata, e a fine ottobre gli operatori di Msf hanno dovuto dismettere il presidio al molo. Già allo scadere della convenzione a giugno, raccontano a Msf, da Palazzo Chigi non erano arrivate comunicazioni né richieste di un confronto con l’organizzazione.

"Per mesi non abbiamo saputo niente delle intenzioni del governo fino a quando il nostro capo missione è stato invitato a Lampedusa il 13 ottobre - racconta Loris De Filippi - Solo in quell’occasione, in maniera non formale, ci è stato comunicato che non c’era più bisogno di noi, e che la nostra attività sarebbe stata più utile in altre aree del Paese".

Su questo punto Msf non vuole polemizzare, rivendicando semplicemente l’autonomia del proprio operato e la scelta indipendente degli scenari in cui avviare i propri progetti. Adesso però c’è preoccupazione per la sicurezza di quanti sbarcano sull’isola in condizioni sempre più precarie. "Se qualcuno è in grado di garantire il nostro stesso servizio va bene, se non è così siamo disposti a tornare anche domani a Lampedusa, a patto che si preveda un piano chiaro per un passaggio di consegne", spiega De Filippi, "noi non facciamo che sopperire gratuitamente alle carenze dello Stato, e siamo i primi a volere che siano le istituzioni a garantire i servizi sanitari al momento dello sbarco".

Al porto di Lampedusa nel frattempo, ci spiega il sindaco in quota maggioranza Bernardino De Rubeis, nessuno sembra avere preso il posto di Msf. "Ci sono le altre associazioni che erano già presenti, ma non hanno in dotazione mezzi sanitari", spiega il sindaco che adesso spera in un ritorno dell’organizzazione. "Non capisco perché la convenzione non sia stata rinnovata, hanno sempre garantito un servizio fondamentale - prosegue De Rubeis - a maggior ragione negli ultimi mesi quando il numero degli sbarchi è raddoppiato".

"Quello che chiediamo adesso - spiega De Filippi - è una risposta chiara e ufficiale del prefetto Morcone che, nonostante le dichiarazioni alla stampa, con noi ancora non si è confrontato". Negli ultimi tre anni Msf ha visitato 4550 migranti, 1420 solo nel 2008, anno che ha visto 25mila sbarchi sull’isola, quasi il doppio rispetto ai dodici mesi precedenti. Sempre più spesso provengono da paesi di fatto in guerra come la Somalia e l’Etiopia, provati da ipotermia, ustioni e complicazioni per le traversate stremanti.

"Interrompere adesso il servizio è paradossale - spiega De Filippi - l’uso di imbarcazioni sempre più piccole, aumentando la durata delle traversate, ha peggiorato sensibilmente le condizioni di viaggio". Un dato su tutti: negli anni passati su 100 persone sbarcate in media tre avevano bisogno di assistenza medica, nel 2008 il doppio. Sono in aumento gli sbarchi di minori (+8 %) e delle donne (+12 %).

Immigrazione: in Gran Bretagna la "carta identità biometrica"

 

Ansa, 25 novembre 2008

 

La Gran Bretagna cambia pagina: arrivano le carte d’identità elettroniche con i dati biometrici per gli stranieri residenti, originari di Paesi extra Ue. Il governo pensa che man mano che il meccanismo verrà ampliato, entro la fine del 2014-15, a circa il 90% degli stranieri. "Le carte d’identità rimpiazzeranno i documenti di carta, dando così la certezza ai datori di lavoro che il migrante ha il diritto di studiare e di lavorare nel Regno Unito", ha detto il ministro dell’Interno, Jacqui Smith.

Droghe: in Svizzera referendum su legalizzazione della cannabis

 

Ansa, 25 novembre 2008

 

La Svizzera torna a discutere della depenalizzazione delle droghe leggere. Domenica prossima uno dei quattro referendum che saranno sottoposti ai cittadini riguarda infatti la cannabis. L’iniziativa popolare "Per una politica della canapa che sia ragionevole e che protegga efficacemente i giovani" chiede che il consumo, il possesso, l’acquisto e la coltivazione di cannabis per uso personale non siano punibili. Nonostante il divieto - spiega Swissinfo online - moltissime persone consumano abitualmente o hanno consumato cannabis almeno una volta nella loro vita.

L’iniziativa sulla canapa chiede pertanto che gli adulti possano consumare cannabis e coltivarla per il consumo personale, senza incorrere in una pena. Al governo federale resta comunque la prerogativa di emanare disposizioni sulla produzione, l’importazione, l’esportazione e il commercio di cannabis e adottare provvedimenti adeguati per proteggere i giovani dagli abusi della sostanza.

La pubblicità per la cannabis sarebbe proibita. La domenica di votazioni prevede anche referendum su altre iniziative popolari, dall’ecologia, alle pensioni fino alla pedofilia (per i cui crimini si chiede l’imprescrittibilità). Gli aventi diritto al voto - ossia i cittadini svizzeri maggiorenni - sono circa 4,9 milioni. Di questi, quasi 120mila sono cittadini elvetici residenti all’estero.

Stati Uniti: cosa cambierebbe, per noi, se chiude Guantanamo?

 

La Repubblica, 25 novembre 2008

 

Nella nebbia di emergenze e di paure che gravano sul futuro una notizia ha portato un barlume di luce. La notizia è questa: martedì scorso un giudice federale ha ordinato l’immediato rilascio di cinque prigionieri del carcere cubano di Guantanamo. Certo, come ha detto un avvocato dei detenuti, "la giustizia arriva troppo tardi per questi cinque uomini"(così riferisce Bernie Becker sul New York Times).

È vero. I cinque algerini liberati erano stati arrestati in Bosnia nel 2001 sotto l’accusa di legami con Al Quaeda. E sette anni di galera sono tanti: anche in un carcere "normale", sempre che si possa considerare normale la vita di un carcerato. Quello di Guantanamo notoriamente non lo è.

Tre parole lo definiscono: il segreto dei servizi che lo gestiscono, la sicurezza della nazione che lo giustifica, la terra di nessuno che lo ospita e da cui ci arrivano immagini di prigionieri senza volto. Che si cominci a dare un volto a quegli esseri e a sottoporli a processi regolari è un segno importante. Ritorna in vigore l’aurea antica norma dell’habeas corpus, vanto della tradizione inglese, tra i capisaldi della cultura europea.

Torna il rispetto dei diritti delle persone, comincia ad allontanarsi la sindrome di paura che ha gravato sul mondo occidentale negli ultimi anni portando a continue sospensioni dei diritti umani. Sotto i nostri occhi ci sono state persone prelevate in pieno giorno da agenti segreti, si è diffuso il sospetto su tutti gli appartenenti alla cultura musulmana, il linguaggio dei politicanti di successo ha sposato parole d’ordine come "scontro di civiltà", "tolleranza zero", "difesa della (nostra) identità".

Abbiamo vissuto questi anni in un mondo che aveva accettato di ridurre o cancellare i diritti delle persone in nome della sicurezza. L’esperienza non è nuova nella storia. Come ci ricorda Carlo Ginzburg in un penetrante saggio sul pensiero di Thomas Hobbes (Paura reverenza terrore. Rileggere Hobbes oggi, edizioni dell’Università di Parma) è da una condizione di anomia e dall’insicurezza che ne deriva che sarebbero nati, secondo Hobbes, la rinunzia originaria alla libertà e l’assoggettamento degli uomini a un potere comune capace di tenerli tutti "in uno stato di soggezione, di reverenza" (Awe): un potere sacrale, un Leviatano creato artificialmente ma capace di ergersi davanti agli uomini che l’avevano creato e di incutere un sentimento di venerazione, di religioso terrore.

Il saggio di Carlo Ginzburg ci allontana dal presente solo per tornarci alla fine: un presente fatto di poteri politici che minacciano il terrore, lo usano, lo dichiarano (il nome in codice del bombardamento di Baghdad del marzo 2003 fu "Shock and Awe", colpire e terrorizzare); di poteri che cercano di impadronirsi della forza "venerabile", della religione. Lo storico ha come tutti lo sguardo bendato davanti al futuro; ma l’indagine sul passato suggerisce ipotesi di futuri possibili su cui riflettere. Non è forse lontano il giorno in cui, scrive Ginzburg, davanti alla drammatica scarsità non solo di lavoro, danaro, cibo, ma perfino di aria e di acqua, un genere umano impaurito potrebbe rinunciare alla libertà consegnandosi nelle mani di "un super-Stato oppressivo, un Leviatano infinitamente più potente di quelli passati".

Da questo scenario di un mondo possibile ci distrae oggi, almeno per un attimo, la notizia della libertà di quei cinque uomini per effetto del ritorno alla tutela dei diritti. L’imprevedibile futuro può nascere anche da qui: dalla sospensione della paura, da un ritorno all’azione politica come scommessa in nome della libertà. La decisione del giudice è giunta dopo l’elezione di Barack Obama. Dopo, ma anche a causa di quella elezione.

È noto che il neo-presidente ha intenzione di chiudere quel luogo di vergogna. E gli elettori hanno dato il loro consenso e la forza dei loro voti alla volontà politica di voltare pagina. La cosa ci riguarda. Viviamo - anche in Italia - immersi in un orizzonte di attese negative. Siamo una maggioranza di vecchi in una società governata solo da vecchi. Le prospettive economiche parlano di recessione. Le misure che il governo prende sono dettate da un’emergenza finanziaria che porta a tagliare le spese alla cieca mentre si occhieggia a possibili cespiti di entrata dai beni culturali.

Quello sarebbe il "nostro petrolio", secondo una sciagurata definizione carica di sottintesi pesanti (perché il petrolio si estrae, né più né meno dei reperti archeologici o dei quadri custoditi nei depositi dei musei: si estrae e poi si vende). C’è voluto l’intervento competente e severo di Salvatore Settis su questo giornale per segnare il limite non superabile nel governo dei beni culturali. Ma la solidarietà tra le misure del governo in materia di scuola e di ricerca e quelle destinate allo sfruttamento dei beni culturali è sostanziale, profonda, non scalfibile.

Non ci inganni la confusa diatriba sulle alchimie dei concorsi universitari in cui si stanno perdendo le intelligenze di tanti professori. Quel che non deve essere tollerato è la cancellazione della speranza iscritta nel disegno di tagli sistematici e progressivi che promette solo la morte della scuola pubblica e dell’università. La speranza è affidata oggi a quei giovani che si sono mossi in difesa della scuola e dell’università, in nome del loro diritto a contare nelle scelte politiche. Sulle mura della mia università un giovane ha scritto: "Giù le mani dal nostro futuro".

Il loro futuro, ma anche il nostro passato: in modi diversi ma nello stesso momento e dalle stesse forze è posto a rischio oggi il nesso tra passato e futuro, tra il patrimonio indisponibile della cultura millenaria del paese Italia e l’ancor più indisponibile patrimonio delle nuove generazioni. È nel loro nome che la politica deve oggi affrontare i problemi della scuola e della società civile: per combattere la paura.

Cile: operatori penitenziari a Roma, per Corso formazione Ispp

 

www.giustizia.it, 25 novembre 2008

 

L’Istituto Superiore di Studi Penitenziari, in collaborazione con l’Ufficio Studi Ricerche Legislazione e Rapporti Internazionali e l’Ufficio della Formazione del Dap, ha organizzato uno stage di formazione su richiesta della Scuola della Gendarmeria del Cile che nel 2007 si è aggiudicata un Progetto di formazione per operatori penitenziari cofinanziato dall’Unione Europea.

Sono diverse le similitudini esistenti tra la Gendarmeria del Cile e l’Amministrazione Penitenziaria italiana: entrambe dipendono dal Ministero della Giustizia, sono incaricate dell’esecuzione delle pene e provvedono direttamente alla formazione del personale penitenziario con propri istituti di formazione. Il personale che partecipa allo stage (10 unità) è direttamente impegnato nella formazione del personale penitenziario cileno e appartiene ai ruoli degli ufficiali, dei sottufficiali e ad altre specifiche professionalità.

Il programma dello stage prevede l’illustrazione del sistema penitenziario italiano con particolare attenzione al reclutamento, alla selezione, fino alla formazione teorica e pratica di base e continua, di aggiornamento e specializzazione del personale di polizia penitenziaria. Brevi cenni sono dedicati alle figure dei dirigenti penitenziari e al personale che attende principalmente al trattamento intra ed extra murario del detenuto. Sono in programma visite agli istituti penitenziari, alle strutture di formazione e all’istituto penale per i minorenni.

Iran: bollettino da "guerra alla droga", impiccati tre trafficanti

 

Ansa, 25 novembre 2008

 

Tre uomini, condannati a morte per traffico di stupefacenti, sono stati impiccati oggi nel sud-est dell’Iran, portando ad almeno 207 il numero delle esecuzioni capitali dall’inizio dell’anno nel Paese. I tre, scrive l’agenzia ufficiale Irna, sono saliti sul patibolo nel carcere di Zahedan, nella provincia del Sistan-Baluchistan, percorsa dalle rotte dei contrabbandieri di oppio ed eroina dal vicino Afghanistan verso i mercati occidentali. I condannati messi a morte si chiamavano Hossein Nahtani, Abdollah Dehmardeh e Mohammad Barahui. Erano stati riconosciuti colpevoli di avere importato in Iran da uno a cinque chilogrammi di eroina ciascuno. La condanna a morte scatta in Iran per chi sia trovato in possesso di almeno 30 grammi di eroina o cinque chilogrammi di oppio.

 

 

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