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Giustizia: "certezza della pena", una promessa bipartisan di Carlo Federico Grosso (Ordinario di diritto penale Università di Torino)
La Stampa, 8 febbraio 2008
Giustizia e sicurezza sono oggetto di valutazione nei programmi elettorali in vista delle elezioni politiche. I temi dominanti di ciascun programma sono "più giustizia", "più sicurezza"; per altro verso, "processi rapidi", "pene certe". Quasi una banalità, ma non poteva essere altrimenti, poiché si tratta di obbiettivi obbligati a fronte delle paure diffuse fra la gente dovute al dilagare, vero o presunto, della violenza e delle gravi difficoltà del sistema giudiziario italiano. Quali sono le riforme ipotizzate? Interessa analizzare, com’è ovvio, i programmi di Pd e Pdl. Per molti aspetti appaiono allineati e sembrano sfumare alcune storiche divisioni. Alcune differenze sono ancora presenti; sembra trattarsi di sfumature più che di steccati, di accentuazioni piuttosto che di contrapposizioni. Uno scenario ribaltato rispetto a quelli che hanno contraddistinto passate stagioni politiche in materia di giustizia e sicurezza. In tema di giustizia entrambi i programmi sottolineano la necessità di riformare codici e leggi allo scopo di rendere celeri i processi, promettono di incrementare le risorse, parlano di riorganizzazione degli uffici giudiziari. Su questo terréno il Pd indica alcuni provvedimenti specifici: accorpamento dei Tribunali, processo telematico, redistribuzione dei magistrati, gestione manageriale, eliminazione della sospensione feriale dei termini. Il Pdl, in tutt’altra prospettiva, insiste sulla necessità di inasprire le pene per i reati di violenza, d’istituire il Tribunale della famiglia, di rendere più incisiva la distinzione delle funzioni dei magistrati, di appesantire le loro responsabilità nella prospettiva di una maggior tutela dei cittadini sottoposti a provvedimenti giudiziari, di costruire nuove carceri. In un’ottica ancora diversa, entrambi i partiti ritengono necessario riformare la disciplina delle intercettazioni, circoscrivendo vietando la pubblicazione dei risultati fino alla chiusura dell’udienza preliminare. In tema di sicurezza emerge, anzitutto, l’esigenza bipartisan di garantire certezza ed effettività della pena. Le indicazioni specifiche sono diverse. Il Pd promette la custodia cautelare obbligatoria, ovvero l’applicazione d’ufficio del carcere dopo la sentenza di primo grado, e norme che prescrivono l’immediata esecuzione della condanna definitiva; il Pdl insiste sull’esclusione di sconti penali per chi è recidivo o ha commesso reati di particolare allarme. L’obbiettivo è, in ogni caso, comune: le pene, quantomeno per i reati più gravi, devono essere certe e, quando diventano definitive, essere applicate con inflessibilità. Si insiste sull’incremento delle risorse e su di una maggiore presenza delle forze dell’ordine sul territorio. Per altro verso, mentre il Pd sottolinea la necessità di aggredire il mondo degli affari e dei patrimoni mafiosi, il Pdl insiste sui temi dell’espulsione dei clandestini e del contrasto all’insediamento degli stranieri sul territorio nazionale. Non tutte le linee programmatiche menzionate sono condivisibili. Alcune non sembrano agevolmente realizzabili o non è certo che garantiscano il raggiungimento degli obiettivi. Ad esempio, io non apprezzo che qualcuno si appresti a circoscrivere le intercettazioni ed a vietare la divulgazione dei loro risultati con pericolo per l’incisività delle indagini e la libertà di stampa; dubito che possano essere realizzati con immediatezza l’accorpamento dei Tribunali o la soppressione della sospensione dei termini estivi. I nodi politici più rilevanti che emergono dalla lettura dei due programmi sono tuttavia altri. Stupisce che non siano state scritte alcune cose che ci si aspettava di leggere. Da parte del Pd, la tradizionale dichiarazione in difesa della separazione dei poteri e dello Stato di diritto. Da parte del Pdl, la scrittura di alcuni motivi dominanti della politica sulla giustizia di FI, come la separazione delle carriere dei magistrati (si parla, soltanto, di una più accentuata distinzione delle funzioni) nonché l’apparizione di alcuni spunti che alcuni giorni fa avevano costituito oggetto di indiscrezioni, come l’allargamento dello spazio dell’immunità parlamentare a tutela dei parlamentari inquisiti. Non è il massimo per il cittadino che si appresta a votare, che riscontra che tutti i partiti promettono più giustizia e più sicurezza, ma constata di non essere in grado di prefigurare con sufficiente chiarezza ciò che sarà, domani, il volto reale della giustizia italiana e la condizione effettiva della sicurezza. Giustizia: sì alla grazia per Sofri... ma anche per Contrada di Mambo
Il Riformista, 8 febbraio 2008
Franco Corleone ha scritto una lettera aperta al presidente Napolitano, pubblicata dal "Manifesto" di ieri, per chiedere la grazia per Adriano Sofri. Corleone annuncia anche uno sciopero della fame. La richiesta è giusta e la condivido. Sciopero della fame no, ho problemi di salute, ma posso chiedere a Bottini, per ragioni analoghe e contrarie, di farlo al mio posto. La grazia a Sofri è una decisione matura. Qualunque cosa si pensi di quegli anni e dei protagonisti di una terribile stagione di delitti, Adriano Sofri ha pagato tanti di quei prezzi da rendere ragionevole, fuori da ogni retorica perdonista, un provvedimento di clemenza che lo liberi in via definitiva. Vorrei suggerire a Corleone e ai numerosi sostenitori della causa di Adriano Sofri un’altra vicenda che li ha affascinati meno ma che a me provoca la stessa indignazione. Il prefetto Bruno Contrada, ristretto in un carcere militare, è in pericolo di vita. La sua detenzione, anche in questo caso indipendentemente dall’opinione che si ha sulla sua colpevolezza, si sta rivelando una terribile punizione, una probabile sentenza di morte. Il prefetto Contrada è sostenuto da una campagna di stampa affollata solo da protagonisti di destra. Ha forse per questo meno diritto a un provvedimento umanitario? Giustizia: ecco il nuovo "identikit" dei baby - delinquenti
Conoscere, 8 febbraio 2008
Agiscono in branco, sono minorenni, soprattutto stranieri. È questo l’identikit del nuovo detenuto "tipo" di un Istituto Penale Minorile, tracciato in un convegno dell’Istituto Don Calabria. Nel 2006 la presenza media negli Istituti penali minorili è stata di 417 persone (il 12% in meno rispetto al 2005 per effetto dell’indulto). Di questi il 54% erano stranieri (perlopiù rumeni, marocchini, serbi) e l’89% maschi. Al Nord e al Centro gli stranieri sono più numerosi, mentre al Sud il dato si inverte. L’età prevalente è di 16-17 anni (nel 51% dei casi) e la maggioranza (63%) in attesa di primo giudizio. Tra i reati più numerosi spiccano spaccio di droga - frequente tra gli italiani - rapina e furto, diffusi tra gli stranieri. Molti minori (il 70% dei quali sono italiani) che entrano in contatto con la giustizia minorile fanno uso di droghe, occasionalmente o abitualmente, perlopiù di cannabinoidi e cocaina. Ancora: il 56% dei ragazzi in comunità è italiano e in queste strutture dal 1998 al 2006 gli ingressi sono aumentati del 128%. La presenza in larga parte di italiani si spiega con il fatto che questi ragazzi finiscono meno in carcere perché hanno una famiglia alle spalle e nessun problema di clandestinità, quindi hanno più possibilità di ricorrere alle misure alternative. "Il vero problema è che manca il limite - spiega Melita Cavallo, direttore del Dipartimento di giustizia minorile del ministero - i bulli di un tempo sapevano quando fermarsi, ma ora non è più così, i ragazzi crescono senza regole. Questo è indice di un fallimento delle agenzie educative". Ma recuperare questi ragazzi si può, non è facile ma è un traguardo raggiungibile: "Per ottenere il reinserimento tutte le realtà - famiglia, scuola, istituzioni, volontariato - si devono muovere con obiettivi condivisi. La giustizia viene per ultima e il suo compito è di educare alla legalità. La detenzione quindi serve nel momento in cui diventa una parentesi per responsabilizzare il ragazzo, che il più delle volte non si rende conto della gravità del fatto che lo ha portato alla detenzione". Umbria: caso Bianzino; Polizia Penitenziaria chiede rispetto
Apcom, 8 febbraio 2008
"Non siamo dei torturatori. Speriamo che la chiusura dell’inchiesta sul caso Bianzino farà riflettere a chi ci ha lanciato queste accuse": lo ha affermato oggi, nel corso di una conferenza stampa che si è svolta al Palazzo della Regione, il segretario nazionale del Sinappe (sindacato della polizia penitenziaria), Roberto Santini, riferendosi alle accuse lanciate dopo la tragica morte del carcerato Aldo Bianzino. L’uomo era stato trovato nudo e privo di vita dopo una nottata tormentata. Per il Pm che indaga sul caso fu colto da un malore. Una ricostruzione che ha cancellato l’ipotesi di un pestaggio finito in tragedia. Per la famiglia di Bianzino, invece, il detenuto è stato picchiato a sangue come dimostra il distaccamento del fegato. "La verità è che siamo i primi che danno una parola di conforto ai detenuti - spiega Santini - visto che passano 24 o 48 ore prima che uno psicologo, un avvocato o un familiare possano fargli visita. Gli agenti vivono una situazione difficile al carcere di Capanne di Perugia. Sono costretti a fare dalle due alle quattro ore di straordinario perché sono sotto organico. Manca un servizio sanitario notturno e loro non possono fare le veci di un medico in caso di malore da parte dei prigionieri. E c’è un problema di sovraffollamento che mette a rischio sia gli agenti che i prigionieri". La polizia penitenziaria di Perugia conta su 230 agenti, quaranta distaccati in altra sede, per un totale di carcerati da controllare che si aggira sui 270; l’80% di questi sono stranieri. Il 55% dei detenuti del Carcere di Capanne sono tossicodipendenti e sono dunque sotto cura metadonica. "È vero che la droga entra nel carcere - spiega Santini - di Capanne, come in tanti altri carceri del nostro Paese. E questo è possibile perché l’unità cinofila più vicina è a Roma. E poi non potendo fare delle ispezioni invasive: non possiamo controllare a dovere chi vive un regime carcerario solo a metà". Como: detenuto morto nel 2007, la Procura apre un'inchiesta
Agi, 8 febbraio 2008
La procura di Como ha aperto un fascicolo d’inchiesta per chiarire le cause del decesso di un detenuto nel carcere del Bassone dopo un periodo di ricovero all’ospedale Sant’Anna di Como. Delle indagini se ne occupa il sostituto procuratore Antonio Nalesso che ha già acquisito le cartelle cliniche e nominato un medico consulente che entro due mesi dovrà dare le sue prime risposte. La vicenda inizia il 15 maggio scorso quando Vincenzo Puzone, 30enne originario della provincia di Napoli, viene colto da malore inducendo le autorità carcerarie a disporre il trasferimento in ospedale. Il giovane era giunto da qualche giorno a Como dopo essere stato recluso a San Vittore di Milano. Per questo, sulla scorta di un esposto presentato a suo tempo dai familiari, la procura milanese aprì un’inchiesta che escluse eventuali responsabilità da parte degli operatori carcerari del capoluogo lombardo. Da qui il trasferimento del fascicolo in riva al Lario. Al momento non vi sono iscritti sul registro degli indagati: Nalesso, infatti, attende il responso della consulenza prima di decidere quali ulteriori passi compiere. Messina: causa morte altro detenuto, condanna a 16 anni
Ansa, 8 febbraio 2008
Il boss di Giostra Giuseppe Mulè è stato condannato a 16 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale dalla Seconda Sezione della Corte d’Assise di Messina. Mulè, secondo l’accusa, nel febbraio del 2006 avrebbe provocato la morte del detenuto Salvatore Caruso, 67 anni di Noto, a seguito di una lite esplosa nel carcere di Gazzi. Secondo la ricostruzione degli investigatori il boss ergastolano avrebbe colpito Caruso al capo con una stampella perché non intendeva dargli la precedenza per fare la doccia. Caruso è morto tre giorni dopo nel reparto di Rianimazione del Policlinico di Messina. Oggi il Pm Adriano Sciglio aveva chiesto per Mulè la condanna a 18 anni. Il boss di Giostra era stato arrestato l’undici dicembre scorso dai Carabinieri a Scafati, in provincia di Salerno, dopo una latitanza di tre mesi. Durante questo arco di tempo era stato raggiunto da tre ordini di custodia cautelari nell’ambito delle operazioni Ghost 1, 2 e 3 per le estorsioni ai danni di commercianti ed imprenditori della zona nord. Pur essendo affetto da aids Mulè quando fece perdere le proprie tracce si trovava libero a Messina proprio perché il suo stato di salute era stato giudicato incompatibile con il regime carcerario. Attualmente è ristretto in regime di 41 bis. Milano: i faldoni dei detenuti sono "archiviati" in corridoio di Luca Fazzo
Il Giornale, 8 febbraio 2008
Il tribunale scoppia. E così i fascicoli dei detenuti finiscono parcheggiati in un corridoio del settimo piano, dove ci sono le stanze dei giudici di sorveglianza. Le storie private di centinaia di detenuti ed ex detenuti sono abbandonate a disposizione di chiunque voglia curiosare nei fascicoli, soprattutto nelle ore del tardo pomeriggio, quando gli impiegati in circolazione scarseggiano. A venire messi a disposizione sono tutti i fascicoli accumulati negli anni passati: ognuno porta cognome e nome del detenuto, l’accusa, la condanna e le richieste presentate nel corso della detenzione a San Vittore. Centinaia, migliaia di cartellette rosa. Ogni cartelletta è una storia: la storia di un uomo o di una donna finiti nel tritasassi della giustizia e del carcere, storie di errori e di sofferenze, di redenzione e di ricadute. Sono storie che dovrebbero riguardare solo loro, i protagonisti. E che invece sono a disposizione di tutti. Basta entrare a Palazzo di giustizia, prendere - dopo le solite, interminabili attese - uno degli ascensori che vanno al settimo piano, e lì infilarsi nel grande corridoio del Tribunale di sorveglianza, quello che si occupa del destino dei detenuti. Non ci si può sbagliare: è il corridoio dove sono ammassate, in grandi cataste scrupolosamente ordinate, le cartellette rosa. Naturalmente esisterà una spiegazione per il fatto sconcertante che vicende così private siano esposte alla curiosità di chiunque. E la spiegazione è fin troppo ovvia: la mancanza di spazi, il tribunale che scoppia, che non sta più nella corazza di marmo costruita per lui settant’anni fa. Vengono costruiti sopralzi, pareti posticce, tratti di corridoio vengono trasformati in uffici. E quando le carte non stanno più negli armadi, finiscono in corridoio. Così, eccole qui, le storie dei detenuti milanesi. Soprattutto dopo le quattro o le cinque di pomeriggio, quando gli impiegati delle cancellerie se ne vanno a casa, chiunque può passare delle ore a farsi una cultura sull’universo carcere. Ci sono storie di boss e di piccoli balordi, di vecchi, di donne, di ragazzi, di italiani e di stranieri. Tutti accomunati da un’esperienza: avere superato "le cinque porte", come le chiamano i veterani, i cinque cancelli che separano le celle di San Vittore dalla libertà. C’è la storia di C.: aveva chiesto un permesso premio per uscire dal carcere, e se l’era visto respingere senza motivo: quando il suo ricorso venne discusso del tribunale gli dissero che aveva ragione, ma ormai non serviva più, perché nel frattempo aveva finito di scontare la pena ed era stato scarcerato. C’è la storia di A., che aveva chiesto uno sconto di pena per buona condotta, e anche lei se l’era visto concedere a tempo ormai scaduto, quando era uscita da San Vittore dopo aver scontato la pena per intero. C’è la storia di chi chiede un colloquio in più con la moglie, una semilibertà, il permesso di lavorare all’esterno. E altre centinaia e centinaia di microstorie. Ma quello che più dà fastidio è che per ognuno dei protagonisti, nella cartelletta rosa si possa leggere il reato commesso, la data di inizio della pena, la data della fine. Come se in un ospedale le cartelle cliniche con i guai di ogni paziente venissero parcheggiate in corsia, alla mercé di tutti. I giudici di sorveglianza, d’altronde, lo dicono da tempo che tenere il passo è sempre più difficile: i detenuti aumentano, il personale cala, lo spazio è sempre lo stesso. Ma queste storie di sventura, esposte con cognome e nome al neon di un corridoio, fanno impressione lo stesso. Bologna: questionari sul senso di sicurezza delle bolognesi
Redattore Sociale, 8 febbraio 2008
Sarà distribuito nel quartieri Porto, Santo Stefano e San Vitale. Le finalità dell’iniziativa saranno perseguite anche attraverso una sorta di "laboratorio partecipato" che si svilupperà in tre incontri cittadini. Di cosa hai paura quando cammini per strada? Qual è la soluzione più efficace per prevenire la violenza contro le donne? Hai fiducia nelle persone? Sono alcune delle domande contenute nei 200 questionari che presto verranno distribuiti nel quartiere Porto per cercare di capire il grado di sicurezza, o di insicurezza, percepito al femminile, per individuare l’esistenza o meno di zone critiche, di luoghi che per una ragione o per l’altra le donne preferiscono evitare, e per raccogliere eventuali proposte di intervento o di soluzione. Le finalità del questionario, distribuito anche nei quartieri Santo Stefano (dove il risultato emerso è tranquillizzante) e San Vitale (più incentrato sul tema della multiculturalità al femminile), saranno perseguite anche attraverso una sorta di "laboratorio partecipato" che si svilupperà tre incontri, il 13 e 26 marzo alle 18 nella sala consiliare del Quartiere (in via dello Scalo 21) e il 10 aprile stesso posto e stessa ora, attraverso la realizzazione di un Ogm, che non è un "organismo geneticamente modificato" ma un Osservatorio di genere sui media, e tramite alcune attività nelle scuole: in particolare nei due istituti professionali "Fioravanti" e "Aldrovandi - Rubbiani". Questo pacchetto di iniziative fa parte del progetto "Mind the map - Quali strategie per una città a misura di donna?", un programma di azione e sensibilizzazione contro la violenza promosso da una rete di associazioni femminili, Comunicattive, Etichette Stupide e Tavolo delle donne sulla violenza e la sicurezza in città, e realizzato con il sostegno del Quartiere Porto che lo ha finanziato con un contributo di 2.450 euro. Il progetto si propone "tre obiettivi: creare sul territorio un tessuto sociale fatto di relazioni sicure, promuovere una cultura del rispetto delle differenza e concretizzare le proposte che emergeranno", ha detto Sergio Palmeri, presidente del Quartiere Porto, oggi in conferenza stampa a Bologna. Agli incontri con i cittadini si affiancheranno quelli nelle due scuole - "non a caso sono stati scelti un istituto frequentato soprattutto da ragazzi e uno quasi esclusivamente da ragazze", ha precisato la presidente del Tavolo delle donne sulla violenza Maria Grazia Negrini - che "saranno coinvolte in un concorso creativo sul tema dei maltrattamenti e degli abusi", ha spiegato Elisa Coco dell’associazione Comunicattive, e nel lavoro dell’Osservatorio di genere sui media. Gli studenti, infatti, indagheranno "sugli stereotipi legati al sesso e sulla presunta neutralità del linguaggio usato da quotidiani, riviste, cinema, tv, pubblicità e internet", ha commentato Valentina Greco di Etichette Stupide. Le opere realizzate dai ragazzi saranno oggetto di una mostra che verrà ospitata nella sede del Quartiere Porto a cavallo del 25 novembre prossimo. Bollate: 8 marzo... il carcere inaugura reparto femminile
Asca, 8 febbraio 2008
Proprio in coincidenza con la Festa della Donna, il Carcere di Bollate inaugura ufficialmente il reparto femminile. L’apertura arriva a seguito del trasferimento di una trentina di detenute dall’Istituto di pena di Opera avvenuto lo scorso 18 febbraio. La gestione del reparto sarà coadiuvata dalla cooperativa "Articolo 3" che assisterà il personale interno nell’organizzazione e nella predisposizione dei percorsi di accompagnamento all’esterno delle detenute. All’inaugurazione, alle 17, prenderanno parte, il provveditore regionale all’amministrazione penitenziaria, Luigi Pagano, l’assessore provinciale ai diritti dei detenuti, Francesca Corso e l’assessore ai servizi sociali di Milano, Mariolina Moioli. In qualità di ospite d’onore, sarà presente anche la conduttrice televisiva, Daria Bignardi. Lucca: corso di formazione "Un’altra giustizia è possibile"
Comunicato stampa, 8 marzo 2008
Il progetto nasce dall’esigenza di aiutare i volontari che operano nella realtà carceraria o in quella delle misure penali esterne, o che abbiano l’intenzione di farlo, a comprenderne il sistema, fornendo loro gli strumenti operativi necessari e allargando la loro opera in un contesto più ampio. Il corso si propone come obiettivi principali: sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche della realtà penitenziaria; promuovere lo sviluppo di contatti concreti tra il mondo penitenziario e la società "esterna", per favorire il reinserimento dei detenuti; far prendere coscienza ai volontari già attivi ed agli aspiranti volontari delle caratteristiche del loro ruolo e dell’importanza che essi rivestono nella creazione di un rapporto tra mondo esterno e circuito penale. La decisione di realizzare questo corso è dovuta fondamentalmente a due motivazioni: la prima, di carattere temporale: sono ormai molti anni, più di un decennio, che nella nostra città è assente un percorso di formazione rivolto a volontari che operano nell’area penale o che intendano avvicinarsi ad essa; la seconda è rappresentata dalle tante richieste di carattere formativo che sono giunte alla nostra associazione. Tali richieste, ci sono pervenute in particolar modo nell’ultimo triennio, grazie agli incontri di sensibilizzazione promossi dal gruppo nelle scuole superiori, nelle parrocchie, nelle associazioni, e anche dai partecipanti e/o da persone interessate ai corsi che abbiamo progettato e gestito, come Imagine, su immigrazione e giustizia e Nonsolosbarre, sui nuovi modelli di giustizia, e, soprattutto, con il progetto I.C.A.R.E. che ci ha condotti per un anno in giro per tutta la provincia. Gli incontri, che prevederanno lezioni frontali, lavori di gruppo, simulate, role playing, etc., saranno condotti da esperti del settore, in grado di fornire tutti i contenuti utili all’approfondimento ed offriranno ai partecipanti l’occasione per condividere esperienze personali particolarmente arricchenti. Le iscrizioni scadranno il 21 marzo. (Vedi il programma del corso - in pdf)
Massimiliano Andreoni Gruppo Volontari Carcere Lucca Catanzaro: il 13 si terrà un seminario sui diritti dei minori
Asca, 8 marzo 2008
Si terrà il 13 marzo, alle ore 16, a Catanzaro, nell’Auditorium del Centro Giustizia Minorile per la Calabria e la Basilicata, in Via Francesco Paglia, il quinto incontro di aggiornamento sul tema "Minori maltrattati e abusati: dal silenzio complice al clamore mediatico". Il seminario, cui sono già iscritti 250 partecipanti, rientra negli appuntamenti mensili, promossi dal Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, dal Centro Giustizia Minorile per la Calabria e la Basilicata e dall’Anpe - Associazione Nazionale dei Pedagogisti Italiani, col patrocinio della Regione Calabria - Dipartimento n° 10 Lavoro, formazione professionale, politiche della famiglia, cooperazione e volontariato - Settore politiche sociali. Presiede l’incontro Domenico Blasco, presidente del Tribunale per i Minorenni, a cui seguiranno i saluti di Angelo Meli, direttore del Centro Giustizia Minorile, Domenico Carnevale, neo Direttore generale del Dipartimento n° 10 della Regione Calabria, e Gianfranco De Lorenzo, presidente nazionale Anpe. Sono previsti numerosi altri interventi. Il seminario è rivolto a funzionari, educatori, operatori, assistenti sociali dei Servizi Minorili della Giustizia e dei Gruppi Appartamento della Regione Calabria, agenti di Polizia Penitenziaria e rappresentanti delle Forze dell’Ordine, avvocati, assistenti sociali degli Enti Locali e delle Aziende Sanitarie, dirigenti e funzionari della Pubblica Amministrazione, pedagogisti, psicologi, docenti delle scuole di ogni ordine e grado, studenti universitari, tirocinanti, operatori di servizio civile e volontari. Al termine dell’incontro sarà rilasciato attestato di partecipazione. Le ore di frequenza saranno riconosciute ai soci Anpe fra i requisiti di accesso alla prova attitudinale per l’iscrizione all’Albo Interno. Genova: comunicato Sappe dopo visita di Storace a Marassi
Comunicato stampa, 8 marzo 2008
"Il Sappe è un Sindacato apolitico e apartitico ma non possiamo non apprezzare la visita odierna del senatore Francesco Storace al Personale di Polizia Penitenziaria che lavora nel carcere genovese di Marassi. Finalmente qualcuno che viene a vedere come stanno gli agenti, in carcere, e non solo gli ospiti. A fronte di una capienza regolamentare di 450 posti, oggi abbiamo più di 600 detenuti. E ciò si ripercuote principalmente sulle drammatiche condizioni di lavoro del Personale di Polizia Penitenziaria, considerato che il sovraffollamento dei penitenziari ricade principalmente proprio sui poliziotti penitenziari, che sono impiegati nelle sezioni detentive 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, con notevole stress psico-fisico in una sistematica inferiorità numerica rispetto ai detenuti presenti. Disagi, questi, spesso poco conosciuti dall’opinione pubblica. Siamo rimasti particolarmente colpiti dalla sensibilità di Storace, che ha voluto anche depositare una propria corona sulla targa posta all’interno del penitenziario in ricordo dei Caduti del Corpo. Ora speriamo che anche esponenti di altri partiti vengano a vedere il carcere di Marassi con gli occhi degli Agenti". Così commenta Donato Capece, segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Polizia Penitenziaria, la visita di oggi del segretario nazionale de La Destra, senatore Francesco Storace, nel carcere di Marassi. "Il senatore Storace " prosegue il Sappe "ha voluto visitare i posti di servizio in cui sono impiegati gli agenti di Polizia penitenziaria ed ha tastato con mano i problemi con i quali quotidianamente ci confrontiamo. La carenza di Personale di Polizia Penitenziaria nelle carceri genovesi di Marassi e Pontedecimo (come anche negli altri cinque istituti della Regione) è davvero allarmante. Alla data del 31 gennaio 2008, a fronte di un organico previsto di 1.264 unità (1.164 uomini e 100 donne), la forza effettivamente operante è pari a 907 unità. Ciò vuol dire che, in Liguria, si lavora con quasi 400 unità di Polizia Penitenziaria in meno! E a Marassi si lavora con 200 agenti in meno mentre il numero dei detenuti è costantemente in aumento. Le soluzioni? Ci sarebbero. E cioè, si preveda un incremento degli organici di Polizia Penitenziaria mediante concorsi pubblici a carattere regionale per le sedi penitenziarie deficitarie. Ma poniamo anche un vincolo di permanenza in quelle sedi. Oggi vi sono poliziotti dell’Italia centro-meridionale (ed insulare) che hanno come prima sede di servizio una città del Nord. La loro legittima aspirazione è avvicinarsi al luogo di residenza, in cui spesso rimane la famiglia perché con un nostro stipendio è impossibile fronteggiare il costo della vita del Settentrione. Spessissimo, però, al Nord ci restano per decenni e addirittura vanno in pensione sempre in servizio in quella sede perché la mobilità del personale dal Nord verso il Sud movimenta poche, pochissime unità. E ancora: attiviamo un meccanismo di assunzioni tali che permetta, raggiunta una certa anzianità di servizio al Nord, il trasferimento nella sede gradita e si realizzi un piano di edilizia residenziale a canone agevolato che consentirebbe, a chi lo desidera, di rimanere in servizio al Nord trasferendovi la propria famiglia." "Ma si preveda anche" conclude Capece "un nuovo Provveditore regionale penitenziario, visto che quello attuale - Giovanni Salamone - non fa nulla per sanare o tentare di sanare le mille criticità liguri. Sono molteplici e di considerevole entità le violazioni delle disposizioni dipartimentali e dei diritti del personale da parte di questo Dirigente, peraltro in un contesto di conflittualità costante con le OO.SS., che rendono la situazione della Regione Liguria particolarmente critica. E allora si rende urgente ed inderogabile l’adozione di iniziative che ristabiliscano l’osservanza delle direttive dipartimentali e delle intese contrattuali, a cominciare dall’avvicendamento dell’attuale Provveditore Regionale della Liguria, Giovanni Salamone. Roma: i detenuti di Rebibbia protagonisti della "Turandot"
Apcom, 8 marzo 2008
Ecotv dedica la puntata di domani di "Teatro instabile" allo spettacolo "La Storia del Principe Calaf e della Principessa Turandot". Realizzato dalla Compagnia degli Accesi, la messa in scena vede protagonisti, insieme ad attori professionisti, i detenuti dell’Istituto Penitenziario di Rebibbia. Tratto da una favola persiana e dal libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, la "Turandot" è stata resa celebre per le musiche di Giacomo Puccini. A cura di Giulia Spiniello, il programma dedicato al teatro andrà in onda alle 21.30 e, contemporaneamente sul web, in streaming all’indirizzo www.ecotv.it. Droghe: tema eticamente sensibile o insensibilità della politica?
Notiziario Aduc, 8 marzo 2008
Nella "Sinistra Arcobaleno" si attiva uno spazio pubblico di discussione per riscrivere la grammatica sulle droghe. Sulle droghe ripartiamo da capo, ripartiamo da sinistra, per riflettere sui nostri errori e sui nostri limiti, sulle nostre debolezze e sui nostri punti di forza. Ripartiamo insieme per comprendere perché non siamo riusciti a cambiare la legge Fini - Giovanardi, e per capire perché, la cultura di questo paese è diventata così permeabile alle sirene della zero tolleranza anche su questo argomento. Molto ed ancora più di prima c’è e ci sarà da fare su questo terreno, ci sarà bisogno di riparlarsi, di recuperare il solco sempre più largo tra la politica ed il sociale, tra operatori e consumatori e contaminare le nostre riflessioni con altri mondi e percorsi, come quello della politica delle donne e della non violenza. Questi percorsi ci parlano di libertà di scelta e consapevolezza, di autodeterminazione e di liberazione, di laicità e democrazia, di mediazione sociale e empowement dei territori. Sentiamo l’esigenza di riscrivere nel processo di costruzione della Sinistra Arcobaleno una grammatica dei termini e dei significati su questo terreno, sentiamo l’esigenza collettiva di ridare senso alle nostre pratiche sociali, sentiamo l’esigenza di definire un pensiero sulle droghe che tenga conto delle trasformazioni sociali intervenute negli ultimi decenni, e che apra il confronto su argomenti come il piacere, l’etica, l’autonomia della persone, la mission degli operatori sociali. A differenza di chi vuol congelare i cosiddetti temi eticamente sensibili noi pensiamo che siano insensibili eticamente quelli che evitano questa discussione in campagna elettorale, convinti come siamo che i diritti sociali e quelli civili, e con essi le libertà insieme avanzano o insieme arretrano. Il primo spazio pubblico di discussione si terrà venerdì 14 marzo a Roma alle ore 14 presso la sede di Carta in via Scalo San Lorenzo 67. Droghe: se l’Onu vuole eliminare la "riduzione del danno" di Pietro Yates Moretti (Presidente Associazione Utenti e Consumatori)
Notiziario Aduc, 8 marzo 2008
Un ultimo appello al ministro uscente con delega per la politica sugli stupefacenti, Paolo Ferrero: durante la 51esima sessione della "Commissione delle Nazioni Unite sugli stupefacenti", lunedì prossimo a Vienna, si opponga al folle tentativo dell’Onu di mettere fine ai programmi di riduzione del danno. È di ieri la notizia che il responsabile antinarcotici delle Nazioni Unite vorrebbe chiudere Insite, l’unica stanza del consumo medicalmente controllato in Canada. Il direttore dell’International Narcotics Control Board ha infatti chiesto al governo canadese di chiudere tutti quei programmi che "favoriscano il consumo delle droghe, e che non siano più distribuiti i kit per un consumo sicuro del crack". Come il ministro Ferrero sa bene, la comunità scientifica è unanime sulla fondamentale importanza ed efficacia dei programmi di riduzione del danno. Recentemente, oltre 130 medici e scienziati canadesi che si occupano di tossicodipendenze hanno firmato un appello sulla rivista scientifica "Open Medicine" a sostegno di Insite e della sua efficacia nel prevenire conseguenze nefaste per la salute dei tossicodipendenti. Ministro Ferrero, in Italia il suo Governo non ha fatto niente per porre rimedio ad una politica nefasta sulle droghe, nonostante gli impegni. Ma se in Italia vige il disprezzo della scienza e della laicità, spesso chiamate "scientismo" e "laicismo", nel resto del mondo occidentale non è così. Faccia leva sulla razionalità dei membri della commissione per impedire che si neghi ai malati di tossicodipendenza anche quel briciolo di assistenza medica oggi garantita. Estero: nuova associazione per i diritti dei detenuti italiani
Apcom, 8 marzo 2008
"Prigionieri del Silenzio" nasce nel febbraio del 2008, per volontà di Katia Anedda, Erika Righi ed altre sei donne. Nasce per informare, aiutare, guidare le famiglie degli italiani detenuti all’estero, sui quali l’informazione è troppo spesso laconica ed insufficiente. Con un direttivo composto di sole donne, l’Associazione "Prigionieri del Silenzio" si prefigge come scopo quello di rendere accessibile la giusta informazione e gli strumenti necessari alla gestione di una situazione di emergenza come quella degli italiani detenuti in terra straniera, con tutte le problematiche che tale situazione comporta. L’associazione si propone di salvaguardare i diritti dei connazionali detenuti all’estero ed essere di supporto alle loro famiglie.
Liberiamoli dal Silenzio
Bologna. "Prigionieri del Silenzio", questa l’associazione costituita in questi giorni, da giovani donne familiari dei prigionieri italiani all’estero dimenticati dalle autorità italiane, tra questi, Simone Righi (residente per molti anni a Ozzano Emilia), Carlo Parlanti, Angelo Falcone, Simone Nobili. Prigionieri in Spagna e in Usa, rischiano sei anni il primo e nove anni il secondo, anche se per entrambi le prove dimostrano la loro innocenza. Ma l’associazione si occupa anche dei casi Simone Nobili e Angelo Falcone, arrestati in India per spaccio di droga, senza prove a loro carico. Simone Righi, arrestato in Spagna nell’agosto 2007, per avere fatto parte ad una manifestazione animalista, organizzata in seguito alla sua denuncia di uccisione in un canile nella città di Cadice, dei suoi tre cani, congelati vivi e bruciati in un forno crematorio, è stato arrestato, e picchiato dalla polizia spagnola e accusato di attentato alle Autorità, resistenza a pubblico ufficiale e attentato al sindaco della città e disordine pubblico. Messo agli arresti domiciliari solo nel dicembre 2007, Simone Righi è attualmente "ospite" di una cittadina spagnola, in quanto non può lasciare la Spagna, perché deve essere processato e rischia molti anni di prigione solo per avere manifestato un crimine agghiacciante nei confronti di animali. L’Associazione "Prigionieri del Silenzio" nasce proprio perché casi di italiani rinchiusi in carceri esteri sarebbero 3.200. Tutti dimenticati dalle autorità italiane. Un caso unico, perché tutti gli stranieri arrestati in Italia ottengono l’espatrio nei loro paesi di origine e in quei paesi vengono processati. Non è così per i cittadini italiani che in molti casi risultano essere innocenti, ma ingabbiati da meccanismi giudiziari infernali. Per maggiori informazioni: info@prigionieridelsilenzio.it. Katia Anedda: 347.4170814; katia@carloparlanti.it. Erika Righi: 348.7231732; erika.righi@libero.it.
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