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Giustizia: Casini (Udc) risponde a domande di Radio Carcere
Il Riformista, 26 marzo 2008
Elezioni 2008. I candidati premier rispondono a "Radio Carcere" sulle riforme del processo penale giustizia: la risposta di Casini. La giustizia è una materia troppo seria per essere affrontata con soluzioni di carattere elettorale. Assistiamo a una deprimente, quotidiana negazione della giustizia anche e soprattutto per via dei ritardi che portano all’impunità di fatto e alle prescrizioni. Non ci interessano le polemiche tra gli operatori della giustizia o quelle che riguardano pochi individui. Ci interessano, invece, i risultati per la generalità dei cittadini: la risposta della giustizia deve essere certa e rapida. Le riforme in questo settore non sono soltanto di natura tecnica. Se è vero, infatti, che coinvolgono interessi di categorie professionali forti e incidono sul funzionamento di uno dei poteri dello Stato, d’altro lato bisogna garantire alla collettività una "giustizia giusta". La civiltà di un Paese si misura anche su questo. Gli elementi che concorrono al deficit di giustizia nei processi sono: 1) le inefficienze strutturali dell’organizzazione giudiziaria, 2) la difficile applicazione di norme in bilico fra difesa delle garanzie costituzionali del singolo e necessità di difesa della collettività, 3) la impropria omogeneizzazione dei procedimenti fra reati "veniali" e reati di maggiore pericolosità sociale, 4) la mancata modernizzazione dei sistemi, e, a volte, 5) la inadeguatezza professionale dei magistrati e degli avvocati. Il nostro programma si discosta dalla strada delle "giuridiche buone intenzioni", individuando piuttosto pochi e mirati interventi concreti applicabili nell’immediato, come presupposto di una più ampia riforma. Ecco alcuni dei nostri punti: La riorganizzazione della geografia giudiziaria secondo parametri minimi di funzionalità, pensata sulla base di elementi non ricavati semplicisticamente dal criterio dimensionale, né impostati su canoni esclusivamente economici, ma che tiene conto dell’esigenza di distribuire sul territorio in modo più razionale le risorse esistenti. La certezza della pena: il giudice del giudizio decide anche le modalità di esecuzione della pena; sfoltimento delle misure alternative al carcere, limitate a casi tassativi dopo aver scontato effettivamente almeno due terzi della pena; introduzione del rito abbreviato su richiesta del pm per i reati meno gravi e contravvenzionali. Non si vuole gravare il giudice della decisione di tutte quelle vicende che afferiscono alla esecuzione della pena, ma unicamente delle determinazioni iniziali, riducendo considerevolmente lo spazio temporale tra provvedimento di condanna ed esecuzione. L’intervento sulle misure alternative al carcere tende a ridare corpo alla funzione rieducativa della pena, migliorando le condizioni della detenzione e prevedendo forme diverse di limitazione della libertà personale in relazione alla gravità e alla odiosità del reato. La "revisione delle misure alternative" deve portare alla costruzione di un sistema penitenziario complesso, carcerario ed extracarcerario, dotato di strutture, competenze e professionalità adeguate. In tale ottica è urgente il riordino del Corpo di polizia penitenziaria e la revisione della "geografia carceraria". "Se lo puoi arrestare lo puoi giudicare": contestualità di giudizio tra libertà e colpevolezza; incentivazione del giudizio con il rito immediato e per direttissima. Prevediamo, nell’immediato, un intervento sul potere di privare della libertà personale chi è in attesa di giudizio, attraverso una modifica della competenza sulle misure cautelari e un ripensamento del processo per direttissima o del rito abbreviato, affrontando in tal modo tre delle questioni più scottanti: garanzia dei diritti fondamentali della difesa, tutela della sicurezza dei cittadini, riduzione dell’enorme numero di detenuti in attesa di giudizio. Responsabilità del pm per l’esercizio dell’azione penale. La conclamata obbligatorietà dell’azione penale è frustrata da questioni di carico e di attribuzioni che la rendono impropriamente discrezionale. La responsabilità del pm va necessariamente collegata a una regolamentazione dell’azione penale, che individui i criteri chiari di priorità tra le notizie di reato da coltivare. Legiferare con tempestività sull’argomento eviterebbe quell’indebito discrimine fra vicende "note" e "meno note", che hanno trasferito i processi dalle aule di giustizia sulle pagine dei giornali. Semplificazione del rito penale, con attribuzione al giudice della responsabilità della ragionevole durata del processo attraverso l’adozione di protocolli di gestione e programmazione delle udienze. E di questi giorni la notizia di una sentenza già pronunziata, ma priva di effetti pratici, perché il giudice estensore a distanza di circa otto anni non la deposita. Non sarebbe una lesione all’autonomia di quel giudice obbligarlo a rispettare tempi ragionevoli per l’adempimento di un suo specifico dovere. Contestualmente proponiamo una modifica della sezione disciplinare del Csm con l’inserimento qualificato di personalità autorevoli e indipendenti. In ultimo, ma non meno importante: occorre adeguare il sistema delle notifiche alle innovazioni che l’elettronica rende oggi disponibili, evitando inutili perdite di tempo e intoppi formalistici che non intaccano il diritto di difesa. Le nostre proposte hanno il pregio della immediata praticabilità: è inutile aspettare riforme globali e inattuabili, occorre realizzare subito quelle possibili.
Pier Ferdinando Casini Giustizia: Boselli (Psi) risponde a domande di Radio Carcere
Il Riformista, 26 marzo 2008
Elezioni 2008. I candidati premier rispondono a "Radio Carcere" sulle riforme del processo penale giustizia: la risposta di Boselli. La mancanza di un rispetto rigoroso dei principi costituzionali riguardanti la giustizia nel nostro Paese, in particolare il giusto processo (giudice terzo autonomo ed imparziale, accusa e difesa alla pari ed una ragionevole durata del processo con una effettiva finalità rieducativa della pena) hanno portato il legislatore nell’arco degli anni, ad introdurre nel nostro ordinamento strumenti di sostanziale attenuazione del rigore normativo, con altre norme che di fatto hanno snaturato quelle fondamentali. È evidente che un giusto processo non può essere senza separazione netta delle carriere, ma anche del contesto culturale, associativo, operativo e di relazione tra giudice e pubblico ministero. La mancata separazione tra chi è giudice e chi è parte, ha provocato il mantenimento - e spesso anche l’esaltazione - di procedure burocratiche iper-garantiste, con la conseguenza di rallentare tutto il processo. A questo stato di cose si è aggiunta una inadeguatezza degli organici di magistrati, cancellieri e collaboratori amministrativi, l’endemica carenza di mezzi logistici, tecnologici, informatici e di professionalità organizzative, ma anche un deficit di produttività dei singoli magistrati. Tutto ciò ha provocato nel tempo un enorme accumulo di lavoro arretrato, che di fatto ha inceppato la macchina giudiziaria. A questa occorre poi far seguire un’altra considerazione: ai dieci milioni di processi arretrati si aggiunge quotidianamente l’ormai insostenibile carico derivante dalla mancata regolamentazione dell’obbligatorietà dell’azione penale, che imporrebbe perché di fatto avviene solo in maniera distorta - l’attivazione del processo per qualsiasi tipo di reato, anche il più irrilevante, e che rappresenta in termini quantitativi il peso maggiore che grava sulla macchina giudiziaria. Tutto ciò, naturalmente, accade a discapito di una giustizia celere e in grado di affrontare prioritariamente i comportamenti criminali più gravi. Accade così che arrivare alla condanna dei colpevoli e all’assoluzione degli innocenti divenga un’impresa improba. I tempi lunghi dei processi, e spesso delle indagini, consentono poi il consolidarsi di prassi elusive del principio secondo cui per emanare un giudizio di condanna ci vuole un processo con un’efficace azione dell’accusa e della difesa. La riservatezza delle comunicazioni riguardanti i procedimenti giudiziari, accanto alla cultura della non colpevolezza senza la celebrazione di un processo giusto, sono architravi intangibili in una società civile. Così come sacrale è il principio, verso il quale tutto va finalizzato, al rispetto della persona umana - al di là delle sue responsabilità penali - per la rieducazione e il recupero del condannato. Anche per questa ragione una particolare attenzione deve essere rivolta ai luoghi di esecuzione delle pene detentive che devono corrispondere al rispetto rigoroso dei diritti del condannato. Un’attenzione particolare va rivolta poi ai provvedimenti riguardanti la carcerazione preventiva, che non può essere utilizzata come strumento per estorcere confessioni ma deve essere utilizzata in maniera eccezionale e quando non vi è altro rimedio per tutelare le tre fattispecie fondamentali: reiterazione del reato, pericolo di fuga e inquinamento delle prove. Un capitolo a sé è quello riguardante la violazione del segreto e la non pubblicabilità dell’indagine. In un sistema democratico la stampa deve essere sempre libera di pubblicare le notizie di cui viene in possesso a sua esclusiva valutazione. Cosa diversa invece è il sanzionamento di coloro che operando nella funzione di ufficio pubblico diffondono notizie per le quali vi è il segreto o l’obbligo della riservatezza. Un paese che non è in grado di garantire processi rapidi, giudici imparziali, difese efficaci, sentenze tempestive, pene effettive certe, e soprattutto proporzionate alla gravità dei reati, che tratta in maniera diversa coloro che sono benestanti rispetto a chi versa in condizioni disagiate, non può annoverarsi tra i paesi civili e l’Italia da questo punto di vista, nonostante la sua grande cultura giuridica, se non’ saprà rapidamente correggere le gravi distorsioni del funzionamento della giustizia, non potrà essere considerata un paese autenticamente tale. I socialisti, di fronte a questo stato di cose ritengono sia indispensabile realizzare rapidamente un’efficace separazione delle carriere tra giudice e pubblico ministero come d’altra parte è stato fatto in quasi tutta Europa; modificare la legge sulla responsabilità civile dei magistrati perché, come si è dimostrato, ad oggi non ha raggiunto gli obiettivi che il legislatore si era prefisso anche a seguito del risultato del referendum; introdurre col giusto equilibrio, ma ponendo un filtro alle notizie di reato meno significative, una regolamentazione alla discrezionalità oggi esistente rispetto alla obbligatorietà dell’azione penale. Infine, una questione non secondaria: non vi può essere un efficiente sistema giudiziario senza la fondamentale acquisizione della cultura dell’organizzazione, strumento fondamentale in qualsiasi processo complesso. Cultura dell’organizzazione che deve saper esprimersi senza la violazione e la rinuncia dei fondamentali principi di garanzia della riservatezza delle notizie e del diritto alla difesa, requisito fondamentale di ogni sistema giudiziario e democratico.
Enrico Boselli Giustizia: programmi elettorali e disinformazione sul carcere di Giancarlo Trovato
Rinascita, 26 marzo 2008
Riempire le carceri è la maggiore aspirazione dei diversi contendenti elettorali, i quali assicurano di riuscire a sistemare tutti i problemi della giustizia con questa comune soluzione. In effetti, in comune ci sono soprattutto una. profonda disinformazione ed una colpévole incompetenza. Avendo compreso che la paura dei cittadini, intimamente collegata al problema della sicurezza, ha un grande impatto mediatico e un buon tornaconto elettorale, si dà ampio rilievo al tema "giustizia e sicurezza" invocando sbrigativamente e superficialmente - come unica soluzione e sicura panacea - la certezza della pena, la quale è appunto confusa con il riempire le carceri. A parte far osservare che la sicurézza sociale è raggiunta non quando non si fa Uscire nessuno, dal carcere, ma quando si riesce a non farci entrare nessuno, è opportuno far osservare che le carceri sono già piene, anzi stracolme, sin dal 31 dicembre scorso. A tale data, infatti, su ima capienza regolamentare di 42.213 posti i detenuti erano 49.442. Di questi ben 30.853 privi di condanna definitiva e, pertanto, "presunti innocenti" in espiazione dell’anticipazione, di una pena, priva della certezza di essere inflitta. Esiste, pertanto, la reale necessità di un serio impegno per assicurare la certezza della sentenza e, intimamente collegata, la certezza dell’effetto rieducativo della pena. La prima eviterebbe la detenzione di numerosi innocenti e lo spreco di soldi dello Stato per ripagare i medesimi per il periodo ingiustamente trascorso in carcere. La seconda garantirebbe la tutela della collettività esterna, poiché ogni individuo recuperato alla società civile è un delinquente in meno in giro per le strade del Paese. Il carcere attualmente mantiene esclusivamente la funzione afflittiva e non è in grado di offrire un’adeguata occupazione lavorativa e/o formativa al suo interno. Tantomeno un reinserimento, una volta scontata la, pena. Da tempo è stato dimenticato che l’interesse di tutèla della collettività esterna dovrebbe passare attraverso tale istituzione, che è un tremendo ed assurdo passivo per lo Stato a causa dell’essere unicamente un deposito d’esseri umani, ricchi d’ozio nell’attesa dello scorrere degli anni della pena. Anche se solo nell’ottica meramente afflittiva, al lavoro per i detenuti ci ha pensato Gianfranco Fini: "Molte volte chi delinque non ha paura del carcere, ma ha paura di essere condannato a lavorare. La mia proposta è quella di condannarli a lavorare tanti giorni e tante ore finché non hanno pagato il debito con lo Stato". Un’ulteriore prova di disinformazione e d’incompetenza: gli è sfuggito che proprio questo è quanto reclama da anni la maggioranza dei detenuti, anche se con minor astio e senza cattiveria, ma con maggior realismo. Se è utile reperire un lavoro in libertà, maggiormente lo diventa in carcere" ove non esistono né industrie né aziende. Nel 1991 i detenuti che lavoravano erano il 34%. Oggi non si raggiunge il 25%. Colpa del sovraffollamento e dei posti di lavoro che sono sempre gli stessi, nonostante il numero dei detenuti sia in continuo aumento. Colpa del mondo del lavoro che ha paura di entrare in carcere e, quando c’entra, lo fa esclusivamente per un proprio tornaconto personale, cercando solo di incamerare i contributi pubblici, senza costruire nulla di utile. Non bisogna nemmeno dimenticare che molti si trovano in carcere, proprio perché la società non ha permesso loro di svolgere un’attività lavorativa o li ha cacciati in mezzo ad una strada. Tra le tante minacce e promesse elettorali in tema di giustizia e sicurezza, compresa quell’assurda di costruire nuove carceri (e il personale?., e i soldi?), al momento va dunque salvata solo quella di Fini, anche se semplicemente come punto di partenza per giungere a garantire alla gran maggioranza dei detenuti un lavoro, gratificato da eque retribuzioni, in modo tale da pagare il mantenimento in carcere, risarcire le parti offese e pure inviare qualche soldo alla famiglia. Giustizia: Sappe; sconcerta il silenzio dei candidati sul carcere
Ansa, 26 marzo 2008
Il tema della sicurezza non deve rimanere uno slogan elettorale, ma servono impegni precisi. È davvero grave che le coalizioni che si candidano a governare il Paese tralascino di affrontare concretamente, nelle loro dichiarazioni di impegno elettorali, la grave situazione penitenziaria che si registra oggi nei nostri Istituti di pena, che si ripercuote principalmente sulle donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. Oggi, a fronte di una capienza regolamentare di circa 43mila posti nei 205 istituti penitenziari italiani, abbiamo 52mila detenuti. Subito dopo l’indulto, che ne fece uscire 27mila, ne rimasero in carcere poco più di 35mila. Non sono state fatte le riforme strutturali nel sistema penitenziario, da noi più volte sollecitate, ed oggi le carcere sono di nuovo nel caos. E la politica, soprattutto chi si appresta a guidare l’Italia, non può tralasciare questo importante e delicato tema. Eppure, a meno di 20 giorni dalle elezioni politiche e nonostante i nostri ripetuti appelli, non abbiamo ascoltato parole chiare e, soprattutto, soluzioni concrete per fronteggiare l’emergenza carceraria, che deve invece essere posta tra le priorità di intervento di chi si appresta a governare il Paese. Ci attendiamo da Berlusconi e Veltroni, ma anche da tutti gli altri candidati premier, parole chiare e precise. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione della Categoria, sui silenzi dei candidati premier alle problematiche del carcere e del Corpo di Polizia penitenziaria. Il Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione sindacale della Polizia Penitenziaria, rinnova dunque l’invito ai candidati premier ad impegnarsi su 3 questioni fondamentali: 1. una modifica del sistema penale - sostanziale e processuale - che rendano stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale, prevedendo procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici come il braccialetto elettronico; 2. l’impegno ad assumere nuovi poliziotti penitenziari, stante la grave carenza di Personale che si registra nel Paese; 3. l’impegno a costituire, attraverso il Ministro della Giustizia, la Direzione generale del Corpo di Polizia Penitenziaria nell’ambito del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. A ciò conclude Capece sarebbe opportuno che le coalizioni che si candidano a guidare il Paese dicessero su quali direttrici intendono delineare il carcere del futuro ed ovviamente quale sarà il ruolo del Corpo di Polizia Penitenziaria in tale contesto. Ci aspettiamo da Veltroni e Berlusconi e dagli altri aspiranti premier parole chiare sul futuro delle carceri italiane. Lombardia: oltre 7.400 detenuti, tutti gli istituti sovraffollati di Gabriele Cereda
La Repubblica, 26 marzo 2008
Celle piccole, niente acqua calda e gli agenti sono troppo pochi. Il Comandante di Opera: un anno per avere una risposta alle nostre richieste. Non c’è carcere lombardo che non debba combattere con il sovraffollamento. Le situazioni peggiori si registrano a Bergamo, Brescia, Vigevano, Monza e San Vittore. La Lombardia è la regione con il più alto numero di reclusi in Italia, con i suoi oltre 7.400 detenuti. Di questi, la metà si trova nella sola provincia di Milano. Spesso, sono costretti a vivere in situazioni al limite dell’umana sopportazione. Sovraffollate, con personale (educativo e di polizia) in perenne sott’organico, senza i fondi necessari per i lavori di ristrutturazione e manutenzione: ecco il quadro. Solo il 16% delle celle lombarde è conforme al regolamento penitenziario approvato nel 2000: quasi ovunque mancano docce, bidet, acqua calda, luce. In questa situazione, i fondi per la manutenzione delle strutture sono sempre più esigui. Dal 2000 a oggi sono stati ridotti di un terzo, quelli per le ristrutturazioni del 50%. "Anche cambiare una lampadina diventa un’impresa", racconta Simone Porru, agente di Polizia Penitenziaria a San Vittore. Ma la lampadina fulminata da sostituire o le docce del secondo piano della sezione femminile del carcere milanese, che da settembre non funzionano, sono solo la punta dell’iceberg. Due dei sei raggi della struttura sono chiusi per il cedimento delle fondamenta, così per carenza di spazi chi dovrebbe stare in isolamento sanitario finisce nei locali del barbiere, al primo piano del sesto raggio. Qui i detenuti convivono in sei, in celle di 3 metri per 2, quelle più grandi da 4 per 3 arrivano ad ospitare 10 persone. La maggior parte della popolazione carceraria, circa il 70%, è straniera. Una condizione che richiede una continua attenzione da parte degli agenti di Polizia Penitenziaria, che sulla carta sono 1.000, in realtà gli effettivi in servizio non sono più di 200. "Bisogna saper annusare l’aria - dice un poliziotto, indicando con il capo il lungo corridoio -: è una guerra continua. Le bande rivali di diversa nazionalità che operano in città finiscono per fronteggiarsi anche qui". Dinamiche che si ripresentano simili nel carcere di Canton Mombello, a Brescia. Costruito alla fine dell’800, si trova a pochi passi dal centro. Dall’esterno è decoroso. Dentro è un inferno. Composto da due raggi quello nord e quello sud, che non sono altro che lunghi corridoi in cui stagna l’odore di cibo e chiuso. "Ci troviamo di fronte a condizioni di illegalità", denuncia Mario Fappani, il garante dei detenuti della provincia di Brescia. Gli alti soffitti delle celle, buie, maleodoranti e senza ricambio di aria, hanno spinto a occupare lo spazio in altezza: con i letti a castello che arrivano a sfiorare il soffitto. Dove non mancano gli spazi per i detenuti è nel carcere più grande d’Europa, Opera. "Quello che manca sono le risorse - ammette il comandante delle guardie di polizia penitenziaria, Amerigo Fusco - . Le nostre richieste vengono esaudite solo dopo un anno. Lavorare in questo modo risulta critico. Bisogna capire che il reinserimento parte da qui. Se non ci sono dati i mezzi, a pagarne il costo è l’intera la società". Milano: appello di mons. Tettamanzi; le istituzioni si muovano
La Repubblica, 26 marzo 2008
"Sovraffollamento inquietante, le istituzioni si muovano". A San Vittore il Cardinale raccoglie l’appello dei detenuti. Fino a dieci inquilini nelle celle da quattro metri per tre. Il cardinale Dionigi Tettamanzi chiede alle istituzioni "maggior attenzione e impegno" per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri "erroneamente considerate mondi estranei". Durante l’omelia della Messa pasquale, celebrata a San Vittore, in mezzo a centinaia di detenuti, l’arcivescovo ha parlato della necessità di "una alleanza fra carcere e società civile per il reinserimento civile dei detenuti: chiunque può riprendere in mano la propria vita" facendo appello in particolare al ministero della giustizia. Un appello su cui concordano il presidente del Tribunale Livia Pomodoro e il sovrintendente regionale alle carceri Luigi Pagano. San Vittore condivide con altre carceri lombarde, da Brescia a Monza - in totale 7.400 detenuti - i record negativi di sovraffollamento e disagio delle strutture. Ma i fondi dal 2000 a oggi sono diminuiti di un terzo. "Chi è fuori, dovrebbe interessarsi di più ai problemi del carcere, erroneamente considerato un mondo estraneo, separato. Se questo interesse ci fosse, si troverebbero le soluzioni per superare almeno in parte il sovraffollamento. Il mio appello è al ministero della Giustizia e non solo: si rivolge a tutte le istituzioni, alla società civile, unite in una linea educativa e culturale, tesa al recupero del carcerato". Era visibilmente commosso il cardinale Dionigi Tettamanzi, la mattina di Pasqua, al termine della messa celebrata a San Vittore, stringendo le mani dei detenuti affacciati dietro le inferriate dei raggi del carcere. Un appuntamento che l’arcivescovo non ha voluto mancare, perché "proprio il carcere, forse, è il luogo più dove di ogni altro si manifesta la misericordia di Dio". Ad ascoltarlo, dietro le sbarre, centinaia e centinaia dei 1.450 uomini e donne reclusi nella casa circondariale, che potrebbe ospitarne al massimo 874. Da 16 mesi in attesa di giudizio, come i due terzi degli ospiti di San Vittore, Secondo Borghi legge a nome di tutti una richiesta di aiuto: "Eminenza, la sentiamo come il nostro avvocato di fiducia. Lei spesso ha chiesto accoglienza per le persone extracomunitarie, sottolinea il diritto al lavoro per noi detenuti, esprime un grande amore per i bambini che hanno i genitori in difficoltà". Tettamanzi è serio mentre ascolta la descrizione della vita in carcere: "Anche le più piccole celle sono piene. La situazione è disumana e peggiora sempre di più. Le condizioni di vita sono difficili, spesso assurde, non rispettose della nostra dignità. Anche la direzione ha alzato la sua voce in nostra difesa. Ma la società continua a parcheggiare qui le povertà più estreme. E ogni disagio sociale. Cerchiamo misericordia, rispetto, non solo pena e castigo". Parole che colpiscono profondamente il cardinale: "Bisogna inventare un’alleanza tra carcere e società civile - ha detto alla fine -. Perché sono tante le cause della situazione di inquietante sovraffollamento delle carceri, ora che sono venuti meno gli effetti dell’indulto". In dono ai detenuti - la visita ha toccato anche il centro clinico e il reparto femminile - sono state distribuite centinaia di santini con l’immagine del buon ladrone. "È il primo santo che Gesù ha canonizzato portandolo in paradiso - spiega l’arcivescovo - . Anche nelle situazioni umanamente più disperate e di maggiore gravità morale, chiunque può riprendere in mano la propria dignità e la propria vita e iniziare un sofferto cammino di speranza". Livia Pomodoro, presidente del Tribunale, condivide l’appello lanciato da Tettamanzi: "La situazione effettivamente è angosciante, ed è difficile trovare un punto di equilibrio per evitare le carceri il sovraffollamento delle carceri". La Pomodoro chiede ai colleghi uno "sforzo straordinario per avere una giustizia meno lenta ma più certa", ma sollecita "tutta la società ad interrogarsi, perché c’è un alto tasso di difficoltà ad affrontare la vita con regole adeguate e ci sono tanti i problemi irrisolti che permettono il diffondersi del germe della violenza". Anche Luigi Pagano, sovrintendente regionale alle carceri, apprezza le parole del vescovo: "L’indulto ha svuotato le celle, ma ormai siamo quasi al punto di prima. Non sono in aumento i reati, ma le vie d’uscita dal carcere sono sempre poche, in particolare per gli stranieri, il 70 per cento dei presenti a San Vittore. Per loro è difficile avere misure alternative alla detenzione, sia in fase processuale, sia a condanna avvenuta. Su questo bisogna lavorare". Lucca: "Progetto Serre" per inclusione lavorativa dei detenuti
www.loschermo.it, 26 marzo 2008
Il recupero della marginalità attraverso il lavoro nelle serre. L’amministrazione comunale ha approvato un atto di indirizzo con cui manifesta la volontà di concedere a titolo gratuito all’associazione di volontariato Gruppo Sims l’uso di alcuni terreni nel parco della Versiliana allo scopo di favorire l’inclusione lavorativa di soggetti esclusi dal mercato occupazionale. Il Comune è infatti proprietario di terreni di "ex serre" (per una superficie complessiva di quasi 11 mila metri quadrati) attualmente dimesse e che, per volontà del sindaco Massimo Mallegni, saranno così destinate ad attività sociali. "Al fine di evitare l’ulteriore aggravio delle condizioni di degrado delle strutture presenti, dovuto al prolungato inutilizzo delle stesse - spiega il sindaco - l’Ufficio Sociale ha elaborato un progetto rivolto a soggetti esclusi dal mercato del lavoro individuando il gruppo Sims per l’idonea realizzazione di tale progetto di risistemazione e riqualificazione delle ex serre di proprietà comunale. Attraverso un’adeguata formazione, i soggetti ammessi apprenderanno la capacità di organizzare, impiantare e gestire una coltura agricola a basso impatto ambientale in serra e in campo aperto, utilizzando conoscenze di fitopatologia, coltivazione e modalità di raccolta e conservazione dei prodotti". Organizzando questa sorta di "attività d’impresa" verrà perseguito l’obiettivo di qualificazione morale, culturale, professionale e materiale di persone portatrici di difficoltà o comunque svantaggiate (dalle donne in difficoltà, ai cittadini immigrati, ai detenuti ed ex-detenuti, alle famiglie in condizioni di povertà) e, al contempo, il loro inserimento sociale e lavorativo, attraverso l’utilizzo e la stabile organizzazione dei soci lavoratori che, a qualsiasi titolo e nelle diverse forme, partecipano alle attività della associazione. In base alla tipologia del disagio verrà programmato l’inserimento di ogni persona secondo un percorso differenziato e ognuno verrà seguito da un operatore che lo affiancherà durante l’attività lavorativa. "La creazione di un modulo polifunzionale di intervento coordinato con i servizi sociali del Comune - conclude l’assessore al sociale Daniele Spina - sarà in grado di offrire agli individui in stato di temporanea emarginazione un’occasione concreta per ricominciare con un lavoro, temporaneo ma suscettibile di promuovere un processo formativo di rilevante utilità anche per le prospettive future e comunque in grado di fornire durante il percorso, un minimo di remunerazione tale da innescare il ciclo virtuoso della risocializzazione e del reinserimento". Firenze: convegno a Montelupo per il superamento dell’Opg di Sara De Carli
Vita, 26 marzo 2008
Si terrà il 31 marzo, data entro cui dovrebbero essere approvate anche le linee di indirizzo contenute in Finanziaria, pena decadimento. Sei Opg in Italia, con circa 1.500 internati. E un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, parte integrante della Finanziaria 2008, che contiene anche delle "linee di indirizzo" per il graduale superamento degli Opg, che vanno però approvate entro il 31 marzo: il Decreto prevede di sviluppare, sia pure con gradualità, tutte le alternative all’Opg, restituire ai Dipartimenti di salute mentale e ai territori la competenza della cura delle persone malate di mente significa "esplorare" nuove forme di cura al posto del mero controllo sociale. Di questo si discuterà nel Convegno sugli Opg: "Gli Ospedali Psichiatrici giudiziari. Un progetto di graduale superamento" che si svolgerà a Montelupo Fiorentino, presso la sala convegni dell’Opg, il 31 marzo 2008 dalle ore 9.00 alle 17,30, promosso dal Forum nazionale e dal Forum regionale toscano per la salute in carcere e da Federsanità Anci. Presiederà il convegno Leda Colombini, Presidente del Forum nazionale per il diritto alla salute in carcere. Interverranno - tra gli altri - Alessandro Margara, Presidente Fondazione Michelucci; Marco D’Alema, Consigliere per la salute mentale del Ministro della salute; Stefano Anastasia, Capo della segreteria del Sottosegretario alla Giustizia; Franco Scarpa, Direttore dell’Opg di Montelupo Fiorentino; Ornella Favero, di Ristretti Orizzonti. Bologna: teatro-carcere come terapia, un video lo racconta
Asca, 26 marzo 2008
Un video per mostrare come il teatro possa agire da terapia per chi deve convivere ogni giorno in carcere con la privazione della propria libertà. "Il decalogo delle donne" sarà presentato giovedì alla Cineteca di Bologna prima di una tavola rotonda sull’argomento e sarà l’anteprima de "Il teatro delle necessità", un ciclo di eventi che tra il 2008 e il 2009 indagherà il rapporto tra le forme d’arte e i luoghi di detenzione. Realizzato dal "Gruppo Elettrogeno", un’associazione che fin dal 2001 ha portato il teatro nelle carceri, il video mostra dieci detenute che recitano, si travestono, sfilano e parlano di se stesse attraverso il linguaggio scenico. "I nostri sono laboratori di teatro collettivo e partecipato, che valorizzano le inclinazioni e le capacità individuali", ha spiegato Martina Palmieri, una delle curatrici, che ha raccontato come le donne coinvolte "fossero pronte a misurarsi con qualcosa che non conoscevano, che le ha aiutate a modificare il tempo della loro detenzione". Un effetto positivo confermato anche dalla vicedirettrice del carcere di Bologna, Palma Mercurio: "Anche chi aveva problemi di disagio psichico si è nutrita di quei momenti con estrema avidità". I laboratori, in realtà, avrebbero dovuto dare origine ad uno spettacolo teatrale, ma trasferimenti e sentenze definitive hanno smembrato l’improvvisata compagnia, così si è ripiegato su un video "che tiene in caldo qualcosa, che forse vale molto di più di uno spettacolo", come ha sottolineato Elena Di Gioia, autrice dei testi recitati dalle detenute. Il video sarà presentato in Cineteca a Bologna prima di un dibattito sui linguaggi artistici nei luoghi di detenzioni a cui parteciperanno la vicesindaco Adriana Scaramuzzino, l’assessore alla cultura Angelo Guglielmi e rappresentanti della "Dozza". La rassegna del "Teatro delle Necessità" vivrà il suo secondo evento, invece, a fine maggio con la proiezione, al teatro San Martino, di un video sul concerto di una band di detenuti la scorsa estate a Monte Sole. Pesaro: libro racconta un "professore d’inglese in carcere"
Corriere Adriatico, 26 marzo 2008
D’Isabella impartisce lezioni di lingua ai detenuti della Casa Circondariale di Villa Fastiggi di Pesaro. L’insegnante, ascolano ma residente a Fano, presenta il suo lavoro venerdì nella sede del Consiglio Provinciale di Ascoli. "Un prof. d’inglese in carcere: curiosando dietro le sbarre e dentro una lingua", scritto da Paolo D’Isabella, sarà presentato venerdì prossimo ad Ascoli Piceno, nella sede del consiglio provinciale. D’Isabella, un ascolano residente a Fano, impartisce lezioni di lingua inglese ai detenuti della casa circondariale di Villa Fastiggi di Pesaro. Nei panni del prof. Leopatrio Basadelli (l’anagramma del suo nome), il docente racconta con humor e semplicità la sua esperienza umana e professionale nel mondo carcerario, illustrando il rapporto con questi "allievi particolari", con i quali alterna le tradizionali lezioni frontali con discussioni a ruota libera in inglese, sugli argomenti più disparati: extracomunitari, padre Pio, Islam, Diana d’Inghilterra, tv, pubblicità. Ascoli: "Una mattina in carcere" per studenti di Liceo Orsini
Corriere Adriatico, 26 marzo 2008
Le porte del carcere si apriranno venerdì 28 marzo per un gruppo di studenti della 4G e 5E del Liceo Scientifico "Orsini", accompagnati dai professori Maria Luisa Erba, Luigi Morganti e Marco Ruggero Pelliccioni, impegnati nel progetto "Una mattina in carcere". Il progetto, molto innovativo, è rivolto agli studenti delle Scuole superiori, allo scopo di non far sentire il carcere così lontano dalla nostra realtà e considerare chi è "dentro", prima di tutto una persona con i suoi diritti. Dopo le positive esperienze degli scorsi anni, quando diversi Istituti scolastici superiori hanno aderito all’iniziativa promossa dall’Amministrazione Comunale con la fattiva collaborazione della direzione della Casa Circondariale e della sua direttrice: Lucia Di Feliciantonio, "Una mattina in carcere" viene riproposta anche quest’anno. "Sarà - ha commentato l’assessore alla Pubblica Istruzione, Gianni Silvestri - un’esperienza concreta che risulterà sicuramente utile ai ragazzi che, per la prima volta, varcheranno i cancelli del carcere e guidati all’interno della Casa Circondariale. Un momento di grande formazione anche per prendere coscienza di un mondo che appare tanto lontano da noi ma che in realtà dista soltanto pochi chilometri". Nel corso della visita i ragazzi potranno visitare l’Ufficio Comando, l’Ufficio Matricola, l’area sanitaria e quella educativa, il laboratorio e il nucleo traduzione e avranno modo di incontrare alcune figure professionali che operano nella struttura, come le guardie carcerarie, i volontari ed alcuni detenuti in regime di semilibertà. Il progetto vuole perseguire l’obiettivo di una crescente integrazione della Casa Circondariale di Ascoli Piceno nel territorio e nel contesto sociale in modo da favorire la condivisione da parte della collettività, del concetto di sicurezza sociale da perseguire anche tramite il reinserimento sociale del detenuto. "Sicuramente - ha concluso l’assessore Silvestri - sarà proficuo per i ragazzi poter conoscere da vicino questa realtà che li farà riflettere sul valore della norma, della giustizia e della libertà e, soprattutto, farà loro capire che è necessario vincere la diffidenza verso coloro che hanno sbagliato e che stanno pagando il loro debito verso la società". Foggia: "Libri a trazione anteriore", gli scrittori con i detenuti
Ansa, 26 marzo 2008
Una sedia gialla è ormai il simbolo di "Libri a trazione anteriore", il progetto culturale che quest’anno porta la letteratura dietro le sbarre. È questa infatti una delle novità della terza edizione organizzata dalla biblioteca provinciale di Foggia e dall’Associazione culturale Books Brothers. Il programma prevede cinque incontri con autori contemporanei. Il 2 e l’11 aprile ci saranno due scrittori esordienti, Andrea Simeone e Flavia Piccinni. Il 18 e il 23 aprile, altri due autori giovanissimi anche se già noti come Valeria Parrella e Ivan Controneo. Il 9 maggio ultimo appuntamento con Cosimo Argentina. Gli scrittori, prima di incontrare il pubblico di "Libri a Trazione anteriore" alle 20.00 in biblioteca, incontreranno, nel pomeriggio alle 15.30, i detenuti del carcere di Foggia. A loro sarà data la possibilità di dialogare con gli autori e di partecipare, insieme agli studenti universitari, al concorso per autori esordienti, altra novità di quest’anno a cura del Kollettivo di Lettere. Il concorso prevede l’elaborazione di uno scritto sul tema "Storie di vita, storie del sud". L’edizione 2008 di "Libri a trazione anteriore" si chiuderà, il 19 aprile alle 15.00 al carcere di Foggia, con una partita di calcio tra la nazionale italiana scrittori e la squadra detenuti. Roma: "Rock in Rebibbia", il carcere apre le porte alla musica
Apcom, 26 marzo 2008
Che la musica aiuti a sentirsi liberi è forse uno dei luoghi comuni più abusati in assoluto, ma se a dirlo è un detenuto del carcere di Rebibbia, il modo di dire si trasforma in verità di fatto. "Fare musica qui dentro ti fa sentire davvero libero e questo è un dono impagabile, il più bello che io abbia mai ricevuto". A parlare è Matteo - 27enne livornese arrestato in Ecuador per narcotraffico ed estradato in Italia - uno dei detenuti coinvolti nel progetto di "Rock in Rebibbia". Il programma di Mtv Italia, in onda tutti i giovedì alle 21 a partire da domani, racconterà tre mesi di vita di otto detenuti, la loro storia e la loro esperienza come band. Ad accomunarli la musica, infatti, e il progetto di realizzare un vero concerto - che si terrà il 21 aprile e andrà in onda nell’ultima puntata del 29 maggio - grazie al supporto dei due maestri Antonio "Grammo" Gramentieri e Denis "Mitchell" Valentini che li hanno selezionati. "Abbiamo lavorato insieme sulla relazione e la reazione che la musica può creare - ha detto Gramentieri - anche in un luogo particolare come un carcere". Nel repertorio affrontato dalla band alcune pietre miliari del rock, da "Sympathy for the devil" dei Rolling Stones a "With or without you" degli U2, da "Personal Jesus" dei Depeche Mode a "Seven nation army" dei White Stripes. In ogni puntata, ad affiancare l’esecuzione di ogni brano, otto artisti italiani che hanno incontrato i detenuti e raccontato il loro approccio con la musica: Alex Britti, i Negramaro, Max Gazzè, Fabri Fibra, Meg, Roy Paci, Paola Turci e Piero Pelù. "Pensavamo da tempo a come raccontare la musica in luoghi detentivi - ha spiegato Antonio Campo Dell’Orto, amministratore delegato Telecom Italia Media - ma senza ricorrere alla struttura classica del reality, senza oltrepassare la soglia della strumentalizzazione". Droghe: nel 2007 c’è stata invasione delle sostanze "low cost" di Guido Ruotolo
La Stampa, 26 marzo 2008
"Purtroppo quello delle droghe è un mercato che continua a tirare. Colpisce il "gradimento" in larghe fasce giovanili delle sintetiche, ecstasy in particolare. E per diversi motivi: il basso costo di una dose; l’idea, assolutamente sbagliata, che non produce danni; l’illusione che sia una droga socializzante". Rodolfo Ronconi, direttore dell’Antidroga, presenta il rapporto annuale sulle droghe. Numeri, cifre, statistiche impressionanti. "Che vanno lette - invita Ronconi - con intelligenza". E già, perché quello che colpisce sono i confronti con l’anno scorso. Diciamolo subito: aumento dei morti (da 551 a 589). Due estremi: la più giovane vittima aveva 16 anni, la più anziana 71. E la droga assassina per eccellenza rimane l’eroina (234 decessi su 551). Riduzione del 4,9% del totale di droghe sequestrate (31,6 tonnellate); crescita vertiginosa dei sequestri di ecstasy e altre droghe sintetiche (+193,67%); aumento delle persone segnalate all’autorità giudiziaria (+6,68%). In particolare: 27.490 arrestati, 7.305 denunciati, 443 irreperibili (totale 35.238, di cui il 9% donne). Dunque, il rapporto della Direzione centrale per i servizi antidroga. L’incipit: "La produzione della cocaina in Sud America e dell’eroina in Afghanistan continua a salire; arrivando a toccare rispettivamente le 984 e le 610 tonnellate per il 2006. Le previsioni per l’eroina afgana, per il 2007, registrano una nuova impennata raggiungendo il massimo storico di 820 tonnellate, ovvero il 93% della produzione mondiale". Previsione fosca: "Questa produzione eccede, di circa il 30%, la domanda globale. Quindi è ragionevole attendersi in Europa, nell’arco dei prossimi due anni, una nuova ondata di eroina caratterizzata da un verosimile abbassamento dei prezzi e da un superiore grado di purezza, fattori che potrebbero causare un nuovo aumento del numero delle tossicodipendenze e una possibile crescita dei decessi per overdose". Giro d’affari del traffico di droga: "Il mercato illegale degli stupefacenti, paragonato a settori di commercio legale, supererebbe quello del ferro, dell’acciaio e di altri segmenti merceologici. Sostanzialmente, equivarrebbe all’8% circa del commercio mondiale". Riconferma del rapporto del primato della ‘ndrangheta calabrese nel narcotraffico. Seguono previsioni pessimistiche per l’Italia: "L’Europa rappresenta il secondo mercato mondiale di cocaina (circa 550 tonnellate all’anno) dopo quello statunitense. L’Italia è il secondo mercato per l’eroina". Capitolo droghe sintetiche. Prodotti di laboratorio made in Europa: l’Olanda e il Belgio (segue la Polonia). Di queste pasticche se ne producono 480 tonnellate circa e una dosa di ecstasy costa 18 euro, quanto una pasticca di anfetamine. Il carniere del 2007 dell’Antidroga, rispetto all’anno precedente, è molto più ricco: i sequestri di droghe sintetiche hanno registrato un’impennata del 193,67%. Sono state sequestrate 393.457 dosi e denunciate 562 persone (94,66% per traffico illecito; il 5,34% per associazione a delinquere finalizzata al traffico). Ai primi posti nella triste classifica dei cittadini con maggior numero di segnalazioni all’autorità giudiziaria sono i campani, seguiti dai lombardi, piemontesi e veneti. Ma è la Lombardia che ha il primato di pasticche sequestrate: 213.802. Invita il capo dell’Antidroga, Rodolfo Ronconi, a una lettura intelligente dei dati. E cioè a leggerli confrontandoli con le statistiche decennali I morti per esempio: negli ultimi 35 anni ben 21.422. Nel 1966 i decessi per overdose furono 1.566, l’anno scorso 589. Droghe: Fini; distinguere i tossicodipendenti dagli spacciatori
Notiziario Aduc, 26 marzo 2008
"Non è facile distinguere il tossicodipendente dallo spacciatore. Accanto al momento della repressione dello spacciatore è necessario il recupero del tossicodipendente". Gianfranco Fini, in un’intervista a ‘Radio 24’, parla del fenomeno della droga. Il leader di An poi si riferisce ai fatti di cronaca di questi giorni. "I rave party sono deliri, sono delle follie, una specie di istigazione al suicidio o comunque a danno della salute", osserva Fini. L’autopsia - È stata eseguita questa mattina l’autopsia sul cadavere di Nunzio Mattia Lo Castro, il ragazzo di 19 anni morto dopo aver partecipato ad un rave party a Segrate. Dall’esame, eseguito dal dottor Giulio Giovannetti all’Istituto di Medicina Legale di Milano, non sono emersi elementi rilevanti per capire che cosa abbia causato i quattro arresti cardiaci e la morte del giovane di Castellanza (Varese). Né malformazioni o patologie evidenti, quindi, né informazioni sulle possibili sostanze assunte dal ragazzo. Per capire con certezza se abbia fatto uso di droghe bisognerà attendere gli esami tossicologici, per cui il pm Grazia Pradella ha già dato l’autorizzazione. Altri commenti - "È necessario dare ai giovani messaggi forti e chiari affinché non si ripetano i tragici eventi del rave di Milano, dove un diciannovenne ha perso la vita; no alla droga, no all’abuso di alcool, chi guida deve essere sobrio. È ora che la politica intervenga in maniera forte vietando definitivamente questi raduni". Questo il commento di Renato Giacchetto, presidente del Silb, l’Associazione delle imprese di Intrattenimento da Ballo e di Spettacolo aderente a Fipe-Confcommercio, in merito al drammatico episodio successo al rave party di Segrate. "Bisogna favorire i comportamenti positivi come quello del "guidatore designato" cioè la persona che in un gruppo decide di non bere per garantire la sua incolumità e quella di chi viaggia con lui. È necessario offrire ai giovani non più rave abusivi, illegali, senza controllo e senza nessuna misura di sicurezza dove i ragazzi rischiano la vita, ma feste e locali autorizzati, sotto la vigilanza di esperti del settore". Il Silb-Fipe ha già da tempo adottato il codice etico e di autoregolazione (firmato dalle associazioni di settore e dal Ministero dell’Interno) per gli operatori che con professionalità ed esperienza gestiscono gli eventi della notte. Il Silb rinnova il suo appello "ad un modo di vivere la notte sicuro e responsabile senza l’uso di droghe e abuso di alcool". Usa: Corte Suprema; garantire a detenute il diritto di abortire
Associated Press, 26 marzo 2008
La Corte Suprema ha rigettato l’appello sul caso di uno sceriffo di Contea che si oppose al trasporto di una detenuta che voleva abortire. Uno sceriffo dell’Arizona chiedeva che il tribunale avvalorasse il divieto che impedisce alle detenute di uscire dal carcere per abortire senza un ordine del tribunale, ma per il tribunale questo divieto "viola i diritti costituzionali delle detenute". La Corte d’Appello dell’Arizona ha stabilito che la Contea di Maricopa "ha una politica esagerata su come si gestisce una prigione", sottolineando come in un’altra contea (Pima County) le detenute sono trasportate volontariamente ad abortire. L’American Civil Liberties Union ha rappresentato in giudizio la detenuta che, scoprendo di essere incinta poco prima di essere arrestata e condannata, voleva abortire. Ricevendo un diniego dallo sceriffo, perché questi chiedeva un ordine dal tribunale. La legge statale proibisce di spendere denaro pubblico per l’aborto, a meno che non ci sia pericolo per la salute della donna. Nella sentenza della Corte, l’utilizzo del denaro pubblico non faceva parte del giudizio. "Le Contee abitualmente e senza problemi trasportano i detenuti per motivi di salute negli ospedali, e lo sceriffo non ha fornito prove che il trasporto della donna comportasse particolari problemi di sicurezza", si legge nella sentenza. Thailandia: detenuta diventa campionessa mondiale di boxe
Associated Press, 26 marzo 2008
La detenuta diventa campionessa mondiale di pugilato, combattendo sul ring allestito nel cortile del carcere, e con il titolo conquista anche la libertà in virtù di una grazia per meriti sportivi. È una storia vera che diventerà film: la protagonista, la tailandese Siriporn Thawesuesuk (alias Samson Sor), ha ceduto i diritti a un produttore cinematografico statunitense. Samron, nata in una famiglia poverissima di Bangkok e cresciuta vendendo vestiti per strada, era stata condannata a 10 anni di prigione per spaccio di anfetamine nel 2000. Nell’aprile del 2007 ha conquistato la corona Wbc per la categoria pesi Mosca sconfiggendo la detentrice del titolo, la giapponese Ayaka Miyano, nel cortile del penitenziario femminile di Pathum Thani. Una vittoria festeggiata con le guardie carcerarie e le altre detenute, che le ha portato anche uno sconto di pena. "Una storia assolutamente degna di nota, ispirerebbe chiunque", ha commentato l’americano che intende portarla sul grande schermo. In che modo, si vedrà: l’acquirente dei diritti è un produttore indipendente, Timothy Zajaros, ma ha intenzione di sottoporre il progetto anche agli studio di Hollywood. La campionessa già spacciatrice (prima dell’arresto non aveva precedenti penali) ha assicurato tra le lacrime, dopo la firma del contratto, di essere definitivamente redenta: "Non avrà mai più nella a che fare con le droghe".
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