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Giustizia: un "patto nazionale" per l’inclusione dei detenuti
Ristretti Orizzonti, 19 marzo 2008
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Un "patto nazionale" per l’inclusione dei detenuti: è quello contenuto nelle linee guida presentate stasera dai Ministri della Giustizia e della Solidarietà Sociale. Non prescrizioni vincolanti, ma indicazioni per sistematizzare prassi già sperimentate. Si mira a sensibilizzare la collettività. Il documento era stato approvato all’unanimità nel corso della riunione del gruppo tecnico di studio ed ipotizza un patto per l’inclusione sociale delle persone (adulte e minori) entrate nel circuito penale. Non si tratta di prescrizioni vincolanti ma di indicazioni sviluppate per sistematizzare prassi già sperimentate. Quanto ai contenuti fondamentali il documento richiama nella premessa i principi costituzionali, la riforma penitenziaria e le regole penitenziarie europee; dà particolare rilevanza alla specificità dell’esecuzione penale esterna e al settore della giustizia minorile; fa riferimento alla gestione dell’esecuzione delle pene attraverso un’azione multilivello, che investa tutte le componenti sociali; sottolinea il ruolo delle regioni, degli enti locali e della società civile organizzata. Si fa riferimento, inoltre, ad un Patto tra tutte le componenti, finalizzato a favorire lo sviluppo di una rete integrata, estesa, qualificata e differenziata sul territorio nazionale, di percorsi di inclusione sociale per le persone entrate nel circuito penale. Tale Patto, in virtù del principio di sussidiarietà, prevede accordi a livello locale tra i vari livelli di governo, anche in merito alla destinazione delle risorse. Particolare risalto viene dato al ruolo del Terzo settore. Gli obiettivi. Le finalità generali del patto sono le seguenti: riservare, nell’ambito dei piani nazionali, regionali e locali, uno specifico impegno alle persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria, con attenzione particolare ai minori, agli stranieri e alle donne; implementare e rendere permanente la sinergia tra tutti i soggetti coinvolti; costruire percorsi condivisi e integrati; potenziare la cooperazione tra i diversi livelli di governo; costruire una visione strategica comune e l’integrazione professionale, anche attraverso occasioni di formazione congiunta; rafforzare il coinvolgimento del settore produttivo nel sistema di rete, favorendo la responsabilità sociale d’impresa. A partire da questi obiettivi, ecco le indicazioni rivolte in modo complementare e non alternativo alle buoni prassi locali che, come detto, costituiscono il riferimento centrale. Azioni. Il Patto si declina in diverse "macro-azioni", che vanno dalla sensibilizzazione della collettività per attivare nella popolazione (a partire da quella scolastica), la conoscenza delle tematiche della legalità, della mediazione dei conflitti e della sicurezza sociale, al miglioramento della qualità della vita in carcere, al sostegno e all’accompagnamento nei percorsi di reinserimento, ad azioni specifiche per l’esecuzione penale esterna, quella minorile e quella di adulti e stranieri. Il documento, presentato questo pomeriggio al ministero della Giustizia, mira al consolidamento delle iniziative già strutturate e all’adozione in ogni regione di almeno uno degli strumenti individuati; alla ricezione da parte degli enti locali degli accordi, ampliamento del partenariato al mondo produttivo; la diffusione delle buone prassi, anche attraverso la redazione di un rapporto triennale. Il documento effettua un forte richiamo alla coerenza programmatica dei vari livelli di governance. In questo quadro, il ruolo di coordinamento a livello nazionale viene individuato nel ruolo della Commissione nazionale consultiva e di coordinamento per i rapporti con le Regioni, gli enti locali e il volontariato del Ministero della Giustizia, allargata anche ai componenti del sistema produttivo. Per svolgere questa funzione, si ipotizza che la Commissione possa svolgere anche altre funzioni oltre a quelle individuate dal decreto istitutivo. E in particolare: indire ogni tre anni una Conferenza nazionale sull’esecuzione penale; definire le metodologie operative; definire le risorse finanziarie necessarie per la realizzazione del patto proponendo che questa previsione (con finanziamento aggiuntivo) confluisca nella programmazione economica e finanziaria nazionale (quale parte integrante della strategia di governo per l’inclusione e la protezione sociale). Analoghi compiti avranno poi gli organismi di concertazione situati a livello regionale e locale. Infine, gli elementi da prendere in considerazione nella programmazione degli interventi a livello territoriale. Sistemi informativi, ma anche l’utilizzo di strumenti quali: metodologia di programmazione strategica e progettazione partecipata; accordi di programma; tavoli di coordinamento. È prevista la garanzia della partecipazione, a questi organismi, di referenti del Ministero della Giustizia a livello regionale e locale. Ed è possibile accedere, tramite le regioni, ai finanziamenti dell’Unione Europea. I piani di zona sono considerati il primo ed importante livello di reti di coordinamento. Giustizia: Cnvg; riforma sanità, basta resistenze corporative
Dire, 19 marzo 2008
Parla il Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia. "Positivo il documento sulla riorganizzazione generale presentato dalla commissione consultiva. Negative invece le proteste di gruppi professionali". "Il documento è una buona base di partenza per avviare i cambiamenti che sono ormai urgenti nel settore della giustizia. È anche molto importante portare a termine il trasferimento delle competenze sanitarie penitenziarie dal Ministero della Giustizia a quello della Salute, una riforma che attendiamo da otto anni". Così commenta la situazione che si è determinata in questi giorni nel settore il Presidente del Cnvg, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Claudio Messina, alla vigila dell’incontro della commissione ministeriale di oggi pomeriggio. Per quanto riguarda il documento elaborato dalla stessa commissione consultiva del ministero, cioè le linee guida che oggi sono state presentate anche alle organizzazioni del volontariato, Messina pensa che si tratti di un "buon documento, ben costruito e con dichiarazioni importanti a proposito delle intenzioni sul lavoro futuro". Si giudica positivamente soprattutto il riferimento alle buone prassi e al ruolo che può e deve continuare a giocare il terzo settore anche nel settore della giustizia. Ovviamente una cosa sono le dichiarazioni di intenti, altra cosa le realizzazioni. "Troppe volte in passato - commenta Messina - i documenti sono rimasti solo carta e non si sono trasformati in realizzazioni concrete. Speriamo tutti che questa sia invece la volta buona, anche perché la commissione consultiva ha voluto lasciare un segno, una traccia di ciò che si è fatto anche in vista dell’imminente passaggio elettorale". Per quanto riguarda le prossime novità politiche che scaturiranno dalle urne, Messina si augura che non si riproduca la situazione che si è determinata durante il governo Berlusconi, con il dicastero della Giustizia affidato a Roberto Castelli. "Durante quei cinque anni - spiega Messina - la commissione che ora ha lavorato è stata chiusa, il lavoro è rimasto quindi congelato per tutto il tempo della legislatura. Speriamo che questa volta la commissione e il suo lavoro possano avere vita lunga". Per quanto attiene invece alla contestata riforma delle regole sulla sanità penitenziaria, le cui competenze passano dal dicastero della Giustizia a quello della Salute, Messina ci tiene a precisare che risultano sbagliate tutte le resistenze corporative. "Hanno fatto bene a rimandare la manifestazione di protesta contro il passaggio di competenze prevista per oggi - commenta il presidente di Cnvg - i medici, ma anche tutti gli altri operatori del settore, devono capire che non possono ostacolare una buona riforma solo perché ci sono problemi specifici di categoria da risolvere. I problemi si devono affrontare separatamente, ma in una logica di interessi generali". Non è possibile insomma, sempre secondo Messina, andare avanti come si è fatto finora in moltissimi casi: dall’Alitalia, alla riforma della sanità in carcere. La riforma è attesa dal 2001. Bisogna realizzarla fino in fondo perché anche i detenuti hanno gli stessi diritti di tutti i cittadini a proposito di salute. Infine Messina si rammarica della decisione di accantonare definitivamente le proposte elaborate dalla commissione Pisapia a proposito di codice penale. "C’era in quelle proposte una impostazione condivisibile e molto avanzata e una nuova concezione della pena. Ma in nessun programma elettorale mi pare ci siano concetti simili". Giustizia: Veltroni; riformare processo e apparato giudiziario di Walter Veltroni (Candidato premier del Partito Democratico)
Il Riformista, 19 marzo 2008
Elezioni 2008. I candidati premier rispondono a Radio Carcere sulle riforme del processo penale. Risposta di Walter Veltroni (PD). I cittadini quando pensano alla Giustizia hanno in mente colpevoli che non vengono puniti, accuse che non sono chiarite, diritti che non sono tutelati, scarcerazioni incomprensibili, sentenze che soprattutto nel settore civile arrivano dopo moltissimi anni, e percepiscono le garanzie quali ripari facili per i criminali e non presidi alla presunzione d’innocenza. Tutto vero e giustificato, come è vero che una giustizia lenta ed inefficiente "è come un’enorme fetta di ricchezza nazionale congelata". Ma quelli richiamati sono effetti di tante cause, la principale delle quali è l’irragionevole durata dei processi e l’inefficienza complessiva del sistema giustizia. Per questo occorre mettere con urgenza in campo una politica della ragionevole durata del processo che consideri l’efficienza del sistema giudiziario una priorità per il governo e per la politica, una vera e propria questione nazionale di funzionalità di una "infrastruttura pubblica" indispensabile per le esigenze dei cittadini e dell’intera società. Il nostro obiettivo è quello di realizzare la garanzia costituzionale del "giusto processo", e cioè di un processo che deve essere svolto in tempi ragionevoli, essere celebrato da un giudice terzo ed imparziale, di elevata qualificazione professionale, ed essere caratterizzato da un complesso di regole in grado di assicurare il più elevato livello di tutela dei diritti, ma anche di evitarne un uso distorto. Ciò richiede un’iniziativa normativa globale e coerente sull’organizzazione giudiziaria e sul sistema processuale civile e penale. All’inizio della XVI legislatura, chiederemo al Parlamento le deleghe per poter rinnovare e modernizzare il sistema e rimuovere da subito molti degli ostacoli organizzativi e strutturali che impediscono il funzionamento efficiente della giurisdizione attraverso l’istituzione dell’ufficio del processo, il rinnovo delle dotazioni organiche del personale e l’assunzione di 2.400 nuovi cancellieri, l’istituzione effettiva del manager dell’ufficio giudiziario, il riordino degli ambiti territoriali degli uffici giudiziari, l’introduzione del processo telematico e la riforma del sistema delle notifiche civili e penali mediante la previsione della posta elettronica certificata. Riteniamo anche possibile realizzare un sistema processuale penale che sia efficiente e al tempo stesso garantito. Il processo penale ha bisogno di interventi organici di accelerazione e razionalizzazione come quelli contenuti nel Disegno di legge governativo all’esame della Camera nella scorsa legislatura, che intendiamo riproporre e arricchire, rafforzando l’originario modello accusatorio del codice di rito. Noi Democratici riteniamo irrinunciabili i valori costituzionali di indipendenza ed autonomia della magistratura, di soggezione del giudice alla sola legge e di controllo di legalità. Ma riteniamo che, se è corretto ribadire che chiunque è imputato, quale che sia il ruolo pubblico o privato che riveste, deve difendersi nel processo e non dal processo, è altrettanto vero che ciò non è più sufficiente ed è quindi necessario approntare ogni meccanismo istituzionale, ordinamentale e processuale affinché il processo non esorbiti mai dai suoi limiti e la soggezione della magistratura alla sola legge sia una garanzia innanzitutto per la società e i cittadini. Di ciò debbono farsi carico il Csm - che deve rifuggere da logiche correntizie nel proprio agire e realizzare un controllo attento e rigoroso della professionalità dei magistrati e del rispetto della regola deontologica -, e tutti magistrati che devono applicare la legge nei confronti di chiunque, ma non derogare mai alla soggezione alla sola legge, neanche in vista del raggiungimento di un fine di giustizia. La politica da parte sua deve individuare contrappesi idonei ad evitare che vi sia il sopravvento di un’istituzione sulle altre ovvero che il processo mediatico faccia velo al processo regolato e garantito. Riteniamo perciò che l’effettività del principio di obbligatorietà dell’azione penale richiede uniformità d’azione delle Procure della Repubblica sull’intero territorio nazionale. Ciò può essere garantito, a differenza di quanto avviene oggi dove il meccanismo è affidato solo ad iniziative dei Procuratori della Repubblica, attraverso un procedimento che veda la partecipazione di Parlamento, Csm e Procuratori della Repubblica nella fissazione dei criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale. I controlli funzionali e il controllo sulla responsabilità disciplinare dei magistrati da parte del Csm andranno rafforzati, aumentando il numero dei consiglieri e demandando il giudizio disciplinare ad una sezione autonoma del Csm eletta con elezione di secondo grado. Adotteremo una nuova disciplina delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, in modo che, pur non rinunciando ad uno strumento investigativo prezioso, specie per i reati più gravi, venga tutelata adeguatamente la privacy, con particolare attenzione alla tutela dei soggetti estranei alle indagini. Lo sforzo riformatore che vogliamo attuare necessita del contributo e del coinvolgimento di tutti gli operatori della giustizia, magistrati, avvocati e personale amministrativo, a costoro chiediamo collaborazione e impegno, perché li consideriamo una risorsa del Paese alla quale noi Democratici non intendiamo rinunciare. Giustizia: Amato; i successi anti-crimine e i ritardi a sinistra di Giuliano Amato (Ministro dell’Interno)
Il Corriere della Sera, 19 marzo 2008
Per una strana coincidenza - ma nella politica italiana queste coincidenze non sono poi così rare - l’avvio della nuova serie di "Amministrazione Civile", la rivista del ministero dell’Interno, coincide con la fine della mia esperienza come ministro. Questo articolo assume così, inevitabilmente, i tratti di un bilancio di ciò che è stato fatto, non senza provare a lasciare qualche indicazione per il futuro. Sono stati due anni di lavoro intenso e difficile, ma con risultati che considero molto positivi. Positivi innanzitutto sui due fronti da cui principalmente dipende, da sempre, la sicurezza in Italia: la lotta alla criminalità organizzata e quella contro il terrorismo. Certo, in questi ambiti ho trovato un lavoro già ben avviato dal mio predecessore, ma altrettanto certamente è stato nel corso di questa amministrazione che, per la prima volta, con un’attenta attività di indagine, sono stati catturati tutti i componenti di un nucleo di stampo brigatista immediatamente prima che commettesse un attentato. Ed è stata questa legislatura a registrare il più alto indice di successo nell’arresto dei grandi boss della criminalità organizzata: è stato catturato il numero uno della mafia palermitana Salvatore Lo Piccolo; è stata decapitata la stragrande maggioranza delle famiglie siciliane, a partire dai Santapaola di Catania, così come quelle della camorra; è stato preso il principale boss della ‘ndrangheta, Pasquale Condello. Mentre tutto questo accadeva, però, abbiamo anche assistito all’accentuarsi, soprattutto in alcune parti del Paese, di un diffuso senso di insicurezza. E si è cominciata a mettere al centro del dibattito pubblico una "questione insicurezza". Cosa era successo? Da cosa dipendeva questa apparente contraddizione? In parte c’entra la politica. Mai come in questa legislatura, vi sono state aree politiche che, avendo deciso di avviare la loro campagna contro il governo cavalcando il sentimento di insicurezza, hanno eccitato le paure dei cittadini e hanno tirato fendenti contro coloro che quella sicurezza dovevano garantire. Va detto, inoltre, che non hanno aiutato a restituire certezze ai cittadini neppure le divisioni e le contraddizioni della maggioranza su questo tema. Una parte del centro-sinistra non ha saputo accettare la responsabilità delle politiche per la sicurezza nel loro complesso, conservandone una visione limitata esclusivamente agli interventi sociali mirati a eliminare le cause del crimine. La maggioranza ha dato così la sensazione che sulla sicurezza, più che essere sicura, balbettasse. La politica, dunque, ha una sua responsabilità, ma quella percezione di insicurezza non è solo il frutto avvelenato di un dibattito che ho avuto modo di definire, in certi momenti, burattinesco: in questi anni sono certamente intervenuti cambiamenti che hanno posto le basi di questo diffuso sentire. Mi riferisco in particolare all’emergere, o meglio all’aggravarsi, di fenomeni di criminalità diffusa, che solo una catalogazione vecchia e sbagliata porta a definire come minore. Sono tendenze di fondo, difficili da contrastare. Ma anche su questo è stato fatto tanto e i risultati stanno finalmente cominciando ad emergere. Vado per ordine. Si è affrontato con successo, per cominciare, il tema del tutto indigeno della violenza negli stadi. Già i decreti Pisanu avevano avviato una stretta, ma quelle misure erano rimaste in gran parte inosservate. Un drammatico giorno dello scorso anno, il giorno forse più nero di questa mia esperienza da ministro dell’ Interno, la morte dell’ispettore Filippo Raciti ha segnalato a tutti la necessità di fare di più. Quel giorno ha segnato così una svolta: sono state rafforzate le misure previste da Pisanu e si è imposta l’immediata attuazione di vecchie e nuove norme; si è disposto che, negli stadi non ottemperanti, le partite venissero disputate solo a porte chiuse; si sono rafforzati i poteri dell’Osservatorio, che ha cominciato a decidere con severità sul blocco delle trasferte; si è rafforzato il Daspo, il divieto di assistere ad eventi sportivi. I risultati sono stati straordinari. Purtroppo abbiamo avuto un’altra terribile domenica, quando il giovane Gabriele Sandri è stato ucciso per lo sciagurato errore di un poliziotto. Ma è stato un episodio isolato, del quale resta solo il grande dolore per la morte di quel ragazzo e la ferma aspettativa di una giustizia che accerti senza ambiguità le responsabilità di chi ha sparato. Abbiamo fronteggiato efficacemente il problema degli incidenti causati da chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti, in particolare il sabato sera. Abbiamo contrastato la criminalità straniera con operazioni come "Itaro" che, grazie alla collaborazione della polizia romena, ha portato a oltre mille arresti nell’ultimo anno. Abbiamo approvato un decreto che rafforza l’attuazione della direttiva europea sulla libera circolazione, permettendo ai prefetti di espellere immediatamente i soggetti pericolosi. Abbiamo, soprattutto, sottoscritto i Patti perla sicurezza con i sindaci delle principali città italiane. La sicurezza, infatti, si realizza quando su ciascuna parte del territorio c’è la presenza dei poliziotti, ma anche l’illuminazione dei luoghi pubblici, quando ci sono le telecamere collegate alla sala operativa della questura, ma anche condizioni non degradate del tessuto urbano. Ancora una volta, però, la politica ha avuto modo di dimostrare quanto possa semplificare e deformare la realtà, un po’ per ignoranza vera e propria e un po’ per strumentalizzazione di parte. È quanto è accaduto, in particolare, quando abbiamo citato la dottrina per cui il disordine chiama un disordine sempre maggiore, il piccolo delitto fa da trampolino di lancio per il grande delitto. Ebbene, il solo fatto che sulla base di questa teoria alcuni sindaci americani abbiano poi attuato una politica di "tolleranza zero" ha indotto taluni ad accusare me, e soprattutto i primi cittadini che con me avevano firmato i Patti, di esserci trasformati in sceriffi, attribuendo al termine un valore profondamente negativo. I Patti hanno centrato l’obiettivo. Basta guardare i dati sull’andamento dei delitti nelle grandi città nel secondo semestre del 2007, cioè dopo la firma della gran parte delle intese con gli enti locali. C’è un calo generalizzato nell’ordine di quasi il 10%. Colpiscono, in particolare, i dati relativi alle grandi città con le quali sono stati firmati i Patti. A Milano da anni si registrava un continuo aumento di furti, stupri, borseggi, mentre nella seconda metà del 2007 assistiamo a un nettissimo calo. In totale a Milano i delitti sono scesi da 160 mila nel primo semestre 2007 a meno di 145 mila. Tendenze analoghe si registrano a Roma, a Torino, a Bologna. Colpisce, poi, il dato degli omicidi a Napoli, in calo da 61 a 50. Evidentemente i Patti stanno funzionando. Non basta, certo. Per consolidare queste tendenze c’è sicuramente bisogno di altro. Per questo a ottobre avevamo varato i cinque disegni di legge passati alla cronaca come "pacchetto sicurezza". Lì c’è un insieme di norme che continuo a ritenere fondamentale per rispondere, nel pieno rispetto delle tutele costituzionali, al bisogno di sicurezza dei cittadini. Purtroppo il Parlamento non ha avuto il tempo di trasformare quei disegni in leggi dello Stato. Le politiche per la sicurezza hanno bisogno di una condivisione razionale. In questa legislatura la conflittualità tra maggioranza e opposizione, e all’interno della stessa maggioranza, non lo ha consentito. C’è da sperare che nella prossima si scelga una strada diversa. Giustizia: Di Pietro; non toccate l’autonomia dei magistrati di Andrea Cangini
Il Giorno, 19 marzo 2008
Allora, Di Pietro, ha letto gli stralci della proposta di Veltroni sulla Giustizia? "No, perché? Cosa dice?".
Beh, sembra intenda limitare il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale... "No, è impossibile. L’obbligatorietà dell’azione penale è un principio sancito dalla Costituzione ed escludo che Veltroni possa volerlo modificare: sarebbe un compromesso tra politica e giustizia e in quanto tale inaccettabile".
Insisto, sul Riformista uscirà un articolo... "Ah, il Riformista... Ho capito, evidentemente il Riformista vuole giocare sull’equivoco".
Non direi, il Riformista si limita a pubblicare un intervento di Veltroni in cui si dice che... "Senta, a suo tempo io di questo con Veltroni ho parlato e so per certo che non ha intenzione di modificare il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale".
Non formalmente… "Appunto, altra cosa sarebbe invece razionalizzare il sistema dell’elaborazione delle notizie di reato non più sulla base del caso, della discrezionalità del magistrato o di quello che fa più notizia, ma sulla base della gravità dei reati e del loro pericolo sociale".
Ma la valutazione del pericolo sociale di un reato non può che essere politica, no? "No, e in ogni caso ogni notizia di reato deve condurre a un provvedimento di tipo giurisdizionale per definirne la rilevanza penale".
Lei, dunque, è d’accordo sulla necessità di individuare le priorità da perseguire. "Sì, ma, con tutto il rispetto per Veltroni, questo è il metodo applicato per primo dal Pg di Torino, Maddalena".
Maddalena individua col Parlamento le priorità da perseguire? "No, che c’entra il Parlamento, la procura di Torino decide autonomamente, ci mancherebbe...".
Ma Veltroni vuole che i Procuratori decidano assieme ai parlamentari e ai membri del Csm... "Ma no, non ha senso, non sono affatto d’accordo e sono certo che Veltroni non può averlo detto".
Leggo un suo virgolettato. "Beh, finché non lo sentirò dalla viva voce di Veltroni non ci crederò. Non cadrò nella sua trappola".
Quale trappola? "Lei vuole mettere zizzania tra me e Veltroni, l’ho capito, sa?".
Vorrei solo sapere se condivide quello che Veltroni ha scritto. "Non ci credo. Lei mi vuole far litigare con Veltroni".
E allora prescindiamo da Veltroni e ragioniamo in generale.... "No, non mi lascerò incastrare. La saluto". Clic. Giustizia: Santanchè; la sicurezza è un’emergenza nazionale di Daniela Santanchè (Candidato premier de La Destra)
Il Riformista, 19 marzo 2008
Elezioni 2008. I candidati premier rispondono a Radio Carcere sulle riforme del processo penale. Risposta di Daniela Santanchè (La Destra). Ridare l’Italia agli italiani. In questo slogan si riassumono e si articolano tutte le proposte politiche de La Destra, tra cui quelle che riguardano la sicurezza, la giustizia, la legalità. La nostra idea di giustizia si fonda su due pilastri: si è innocenti fino a prova contraria e fino al terzo grado di giudizio. Ma alla presunzione di innocenza deve accompagnarsi la rapidità del giudizio e la certezza della pena. Per questo motivo siamo contrari ad indulti, amnistie, sconti di pena. Pensiamo che la sicurezza sia un’emergenza nazionale perché su di essa si basa la tenuta della società e della democrazia. Senza la percezione della sicurezza si sprofonda in uno stato di emergenza continua, con risposte emotive e spesso sproporzionate alla reale entità dei fatti, si perdono lucidità e tolleranza. Per evitarlo dobbiamo avere la forza della prevenzione e il coraggio della repressione. Per migliorare sia il piano della prevenzione che della repressione è necessario dare più strumenti, più risorse è più fiducia alle forze dell’ordine e procedere ad una profonda riforma della magistratura nei confronti della quale gli italiani hanno pochissima fiducia. Riteniamo sia indifferibile regolamentare l’uso delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Che vanno effettuate, ma bisogna vietarne la diffusione sugli organi di informazione fino alla fase dibattimentale del processo. La giustizia non si esercita in piazza. Due proposte de La Destra per combattere la politicizzazione della magistratura sono: la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri e l’estrazione a sorte dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, scelti tra tutti i magistrati italiani che abbiano determinati requisiti. Uno dei fenomeni che maggiormente influenza la percezione di sicurezza degli italiani riguarda l’immigrazione clandestina, cui sono connesse diverse forme di criminalità come i furti negli appartamenti, lo spaccio di droga, la tratta di essere umani sotto forma di prostituzione e il fondamentalismo di matrice islamica. Noi de La Destra non siamo contro gli immigrati, che consideriamo anzi una risorsa. Pochi anni fa gli immigrati eravamo noi italiani. Ma abbiamo conquistato il rispetto delle comunità che ci hanno accolto lavorando sodo, rispettando le regole, portando fantasia e innovazione. Chi ha sbagliato ha pagato, giustamente. Questo atteggiamento che abbiamo in casa d’altri lo pretendiamo da chi viene a casa nostra. Porte aperte, quindi, a chiunque venga in Italia per lavorare in pace e contribuire alla crescita economica, culturale e morale del nostro Paese. Porte chiuse, invece, a chi viene in Italia per delinquere facendo affidamento sulle maglie larghe e sulla sostanziale inefficacia dei controlli e delle sanzioni. La Destra intende combattere il fenomeno dell’immigrazione clandestina e della criminalità ad esso collegata attraverso iniziative quali: i clandestini fuori dall’Italia, subito. Il nostro Paese può accogliere solo chi dimostra di poter mantenere se stesso e la propria famiglia con un lavoro onesto e regolare. Non diciamo e non diremo mai "no" agli immigrati onesti, che sono i primi a chiedere regole certe e a pagare per le colpe dei connazionali che vivono nell’illegalità. Diciamo "no" ai clandestini, che devono essere espulsi dai Prefetti con provvedimento ad effetto immediato. Ci batteremo anche affinché i clandestini curati negli ospedali pubblici, siano immediatamente accompagnati alla frontiera ed espulsi una volta dimessi. La spesa sanitaria italiana è fuori controllo anche perché gli ospedali sono pieni di clandestini e stranieri che vengono curati come gli italiani ma che non contribuiscono al mantenimento del sistema sanitario. Inoltre, noi della Destra ci batteremo affinché i clandestini condannati in Italia per reati commessi sul nostro territorio siano costretti ed espiare la pena nelle carceri del proprio paese. Siamo convinti che in questo modo molti ci penserebbero non due, ma cento volte prima di commettere un reato e rischiare di essere scoperti e condannati. Chiediamo poi l’istituzione di una banca dati contenente le impronte digitali e il Dna degli immigrati che intendono stabilirsi in Italia. Non possiamo più accettare che clandestini e criminali sfuggano i controlli, le sanzioni e le espulsioni bruciando i documenti e dichiarando nomi falsi. Un altro intervento necessario per combattere la criminalità legata al fondamentalismo islamico consiste nel controllare rigorosamente i bilanci delle moschee, chiudendo quelle irregolari, e nell’istituire un Albo nazionale degli Imam. Troppi sedicenti Imam, talvolta ignoranti del vero significato del Corano, sono spesso fiancheggiatori di pericolosi estremisti e cercano di introdurre la legge della sharia anche in Italia. Un’ulteriore questione di sicurezza riguarda la riapertura delle "case chiuse" e la regolamentazione della prostituzione. Riaprire le "case chiuse" significa non soltanto ripulire le strade dalla malavita. Significa permettere alle prostitute di sfuggire ai loro aguzzini e "esercitare" in condizioni più umane. Inoltre, comporterebbe una forma di tassazione per lo Stato e diritti di previdenza. Su questo tema avvieremo la raccolta delle firme necessarie per indire un referendum. Anche queste misure, per la Destra, contribuiscono a ridare agli italiani un’Italia più sicura e più giusta. Giustizia: Crvg Liguria; su volontariato e polizia penitenziaria
Comunicato Crvg Liguria, 19 marzo 2008
In seguito ai comunicati stampa di Cnvg e sindacati di Polizia Penitenziaria sui fatti del G8 a Genova ("Ristretti Orizzonti", 13 - 14 marzo) mi sembra opportuno, come Conferenza Volontariato Giustizia Liguria, far sentire la voce del volontariato che vive e opera sul territorio in cui sono avvenuti i fatti in questione. È molto spiacevole leggere che tra volontariato e polizia penitenziaria sia in corso una diatriba. Affermo ciò perché sono fermamente convinta che queste due realtà abbiano lo stesso obiettivo sia pure perseguito con modalità istituzionalmente differenti. Il volontariato penitenziario è fortemente consapevole che il compito custodiale, che spetta alla Polizia Penitenziaria abbia un alto valore sociale e non sia per nulla facile, così come non è facile per noi volontari penetrare in quel mondo chiuso caratterizzato da una serie di regole dalle quali non si può prescindere. Sono altresì certa che la Polizia Penitenziaria sia consapevole degli sforzi che fanno i volontari per portare speranza a chi potrebbe averla persa. La polemica nata in concomitanza con la imminente definizione del procedimento penale per i fatti avvenuti nella caserma di Bolzaneto nel luglio 2001 sposta l’attenzione su episodi che non fanno onore alla società civile, ma ciò non porta necessariamente a denigrare un corpo di agenti investiti di un compito delicato. La Conferenza Volontariato Giustizia non intende "fare la morale" a nessuno, si pone però il dovere, in rappresentanza delle Associazioni di Volontariato che operano all’interno ed all’esterno del carcere, di esprimere sconcerto e rammarico per tutti quegli episodi che non aiutano a conseguire gli obiettivi comuni dell’esecuzione di una pena. Questi episodi, lungi dal rappresentare la normalità, non possono passare sotto silenzio né essere minimizzati, ma devono invitarci a riflettere. Il Volontariato penitenziario ha il diritto di esprimersi in merito. In qualità di Presidente della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia della Regione Liguria esprimo dispiacere nei confronti di una presa di posizione che tende ad escludere il bisogno che due realtà così attive all’interno degli Istituti penitenziari dialoghino in modo costruttivo per poter lavorare sul recupero della persona. È per questo che continuiamo a batterci perché si arrivi davvero ad una formazione congiunta dove nessuno insegna a nessuno, ma vi sia uno scambio di vedute ed un aiuto reciproco a portare avanti il lavoro. Rinunciare al confronto, esaltando solo la polemica, non rappresenta un modo di costruire, bensì di distruggere tutto quello che si è fatto in tanti anni di esperienza e non in "cinque minuti".
Anna Grosso (CRVGL) Giustizia: la camorra minaccia, ma giornalisti vanno avanti... di Lirio Abbate (Giornalista dell’Ansa di Palermo)
www.articolo21.info, 19 marzo 2008
L’attacco ai giornalisti da parte dei boss della camorra è un segnale di debolezza e rappresenta la mossa della disperazione dei clan che sono sfiancati dalle inchieste della procura, gravati dalle condanne all’ergastolo e stroncati dai sequestri di beni accumulati in questi decenni. Diciamocela tutta: i camorristi, in particolare i Casalesi, sono alle corde, ormai umiliati dalle cronache che svelano i loro malaffari, forse non avevano tenuto conto del carcere a vita e della confisca dei patrimoni. E così dalle celle, o dalla latitanza, i criminali continuano a dibattersi, per scaricare il nervosismo, come una lucertola a cui tagliano la coda proseguono a dimenarsi, prendendosela adesso con chi li ha smascherati, con chi ha reso pubblici i delitti commessi e le ricchezze raccolte con i traffici illegali. L’atteggiamento di questi clan assomiglia sempre più spesso a quello dei boss di Cosa nostra, ai mafiosi sanguinari che per decenni hanno sporcato le strade della Sicilia del sangue di politici, sindacalisti, magistrati, sacerdoti e giornalisti. Uccisi anche per aver toccato i fili del business mafioso. E quando le cose sembravano, almeno in Sicilia, aver preso la via della sommersione, del silenzio delle armi, i boss sono tornati a farsi sentire, e in un caso anche a farsi vedere con la sfrontatezza che li contraddistingue. Lo hanno fatto quando si è iniziato a raccontare delle complicità della mafia, facendo nomi e cognomi di politici, professionisti e medici che per anni sono stati al fianco dei boss. E da quando i giornalisti hanno iniziato a contestualizzare i fatti, ponendo la domanda "perché?", è stato allora che sono arrivati i primi segnali intimidatori, le minacce di morte, fino a progettare un attentato sotto casa mia, fortunatamente sventato. I boss, o forse gli amici dai colletti bianchi dei boss, hanno perso la testa e continuano a dimenarsi senza controllo. Per fortuna, e lo ripeto spesso, la polizia di Stato, per il mio caso, è sempre arrivata un attimo prima che i criminali attuassero il loro piani. I poliziotti sono sempre riusciti ad anticiparli. Ma ciò sembra non essere bastato, perché il volto della mafia è ricomparso più minaccioso di prima. È rispuntato una mattina di ottobre da un carcere di massima sicurezza, e a farlo è stato lo stragista Leoluca Bagarella che, chiedendo e ottenendo la parola a conclusione di un’udienza di un processo in cui era imputato di omicidio, ha puntato il dito contro di me. Ha iniziato a inveire perché sapeva che ero l’autore di una notizia che lo riguardava (come faccia un detenuto sottoposto al carcere duro del 41 bis a sapere che una notizia pubblicata da giornali e ripresa dai Tg nasceva dall’Ansa e soprattutto chi fosse l’autore, per me rimane ancora un mistero). E così Bagarella, dal collegamento in videoconferenza, ha parlato di "quello dell’Ansa di Palermo". Lui, il capomafia di Corleone, il cognato di Riina, l’uomo accusato di decine di omicidi e di avere organizzato stragi, è uscito dall’ombra ed è venuto allo scoperto per minacciarmi a viso aperto. Come adesso hanno fatto questi due camorristi a Napoli. Vedete, i boss - a torto - vivono spesso nel loro mito di essere mafiosi, e qualcuno anche di essere un sicario delle cosche. Se ne vantano nei processi o in carcere. Ma quando all’esterno vengono svelati i loro contatti, i loro favoreggiatori dai colletti bianchi, i loro beni e le loro ricchezze, allora sì che si arrabbiano e iniziano a innervosirsi. Nel libro "I complici", che ho scritto con Peter Gomez, tutto questo intreccio è stato svelato. Nomi e cognomi sono stati scritti, ma la politica, nonostante ciò, sembra non averlo preso in considerazione. Gli unici che lo hanno fatto sono stati i diretti interessati: Cosa nostra & c. Eppure di politici moralmente collusi ve ne sono tanti, ma nonostante ciò sono stati riproposti come candidati alle elezioni politiche. Le minacce dei clan a Roberto Saviano, al magistrato Raffaele Cantone e alla cronista del Mattino Rosaria Capacchione, le cui azioni professionali sono da ammirare e incoraggiare, rappresentano lo specchio della realtà criminale italiana. Perché la camorra non ha paura che si parli della sua organizzazione; ha timore, invece, che si svelino gli affari dei clan, e quando questi finiscono in un libro o nelle pagine dei giornali, i boss vanno in tilt e partono all’attacco di giornalisti e magistrati. Quello che sta accadendo in Campania, come in Sicilia, è un fatto unico nella storia giudiziaria italiana degli ultimi 50 anni: i magistrati sono passati all’attacco dell’economia mafiosa, stanno sequestrando i beni a camorristi e uomini di Cosa nostra. E in molti casi stanno riducendo i boss "in mutande". Ma tutti dobbiamo fare la nostra piccola parte, senza essere eroi, prendendo spunto dal coraggio, che ha come radice la parola cuore. E per questo dico a tutti di mettercelo, questo cuore, per affermare la legalità. Giustizia: etica dei rifiuti, tra commissari e furbetti predatori di Beppe Battaglia
Lettera alla redazione, 19 marzo 2008
Degrado urbano e degrado umano e politico in una fotografia che lega i rifiuti solidi urbani della Campania all’imputazione dell’ex ministro della giustizia e alla condanna a cinque anni di reclusione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici dell’ex governatore della Regione Sicilia. Da qualche tempo e tuttora, trovarsi in una città del nord per un napoletano è motivo d’imbarazzo. Inesorabile la "cartolina" dei rifiuti viene identificata come un problema indecente proprio di Napoli e per estensione della Regione Campania quando non di tutto il sud Italia ritenuto arretrato al limite dell’inciviltà! Questa "cartolina" ben si è sposata con l’iniziativa giudiziaria che ha come protagonisti l’ex ministro della giustizia, sua moglie ed i suoi amici di partito. E come se non bastasse, si è aggiunto l’ex governatore della Regione Sicilia che brinda con champagne perché è stato condannato a soli cinque anni di reclusione per i favori fatti agli… amici degli amici. Un brindisi che la dice lunga sulle aspettative circa l’esito di quel processo penale. Come dire: scampato pericolo (con cinque anni di reclusione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici)! Su questi tre fatti indecenti la classe apicale dei partiti (meglio sarebbe dire i proprietari del vapore!), supportati adeguatamente dagli editori dei media, continuano ad ammannirci una minestra talmente scotta e ricotta da suscitare il legittimo sdegno in tutta la comunità reale. Elencando: sui rifiuti. Da un commissario speciale ad un altro, montagne di rifiuti crescono, divorando milioni di euro predati dalle tasche dei cittadini contribuenti. La genialità immaginaria di questo o quel commissario straordinario riposa sull’ulteriore dissipazione straordinaria delle risorse pubbliche per… individuare buche a ridosso dei centri abitati dove seppellire la monnezza. Ma lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani è un fatto ordinarissimo a titolarità degli amministratori locali. Se interviene un commissario straordinario, logica vorrebbe che quello ordinario, dimostratosi incapace, cedesse il passo. Nulla di tutto questo! L’amministratore ordinario resta al suo posto e quelli straordinari si succedono con puntualità inaudita, macinando invano milioni di euro (l’allestimento di un sito-discarica, ci dicono, costa venticinque milioni di euro!) di proprietà sudata dei cittadini trattati da sudditi! Ma c’è di più e dell’altro, di cui non se ne fa parola, almeno dai mass-media. Intanto varrebbe la pena dire che per decenni le città del nord hanno inviato a sud i loro rifiuti, specialmente quelli altamente tossici (dov’è finito tutto l’amianto - per dirne solo una - smantellato dalle industrie del nord? Eppure è incredibile che la Guardia di Finanza non sia in grado di documentare questo scempio scaricato sulla schiena meridionale del paese!). Si cuoce e si ricuoce la minestra degli inceneritori, della raccolta differenziata e dei siti di stoccaggio (o di seppellimento) dei rifiuti. Ma qualcuno si è mai sognato di mettere in discussione la fonte dei rifiuti solidi urbani? Una società davvero civile non dovrebbe produrre rifiuti. Questo sarebbe un obiettivo ambizioso assai, si potrebbe obiettare. Certo non sarebbe ambizioso affatto… andare in tale direzione, riducendo le quantità infinite ed in crescita costante di imballaggi spesso irriciclabili. Una follia talmente indecente da autorizzare la facile profezia secondo la quale tutte le città metropolitane del civile nord finiranno sulla stessa fotografia ora scattata su Napoli. Uno degli indicatori legato a questa profezia potrebbe essere dato da un’inchiesta seria sulle cause dei tumori e la loro crescita esponenziale di cui nessuno dice una sola parola! Sulla vicenda giudiziaria dell’ex ministro Mastella, la sua famiglia ed i suoi amici di partito, lo stupore è totale. Ma è mai possibile che quando la giustizia lambisce esponenti dei partiti politici si debba puntualmente parlare di persecuzione giudiziaria, giustizialismo e via ragliando (peraltro questi signori raramente finiscono in carcere, come succede puntualmente a migliaia di cittadini che finiscono in carcere per essere riconosciuti innocenti in fase di istruttoria e di giudizio)? È mai possibile che la classe apicale dei partiti esprima, impunemente, solidarietà al collega prima ancora di accertarsi del fondamento o meno dell’iniziativa giudiziaria che lo colpisce? È mai possibile che un ministro inquisito, e per giunta proprio quello della Giustizia, a capo di un partito ridicolo, possa determinare la caduta di un governo solo perché non ha riscosso sufficiente solidarietà fino a porlo al di sopra di ogni legge? Costoro, evidentemente, hanno un’idea strana della giustizia e sono lontani mille miglia non dico dalla morale, ma da una qualsiasi morale. E che dire dell’ex presidente della Regione Sicilia? Ma quando in Sicilia 61 seggi su 61 sono andati ad un solo polo politico, il polo avversario cosa ha fatto? Ha taciuto, accreditando la tesi mafiosa secondo la quale… il silenzio è d’oro! L’oscenità più totale ce la dice Cuffaro stesso col suo brindisi per lo scampato pericolo, dopo aver riscosso la condanna a cinque anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. E che dire della solidarietà espressa pubblicamente da tutti i consiglieri della sua Giunta Regionale e dai vertici di tutti i partiti che lo hanno fatto eleggere alla presidenza della Regione Sicilia? Ma cosa è mai per questa gente la dignità, il decoro, la morale? Evidentemente dai rifiuti solidi urbani ai rifiuti umani il passo è breve. Lo spaccato che se ne ricava è quello della guerra per bande ed è risaputo, la guerra è sempre senza morale. Piccoli uomini arroganti verso i quali il più alto senso di umanità sarebbe quello di girare loro le spalle, lasciandoli affogare nella loro ingordigia che non sa più digerire. Altro che solidarietà, signor Mastella, signor Cuffaro! Avete offeso, tradito, ingannato, milioni di onesti cittadini sui quali avete camminato con gli scarponi… Da più parti si sente dire, a fronte di questi novelli gerarchi e le loro malefatte quasi sempre impunite, che l’alternativa è una sola: o i partiti, o le dittature. Identificando i primi con la democrazia rappresentativa, di cui non si vuole leggere la profonda crisi, il coma irreversibile questo si ben rappresentato. Io credo che ci sono altre strade possibili, così come nessuno poteva immaginare tempo fa che i partiti sarebbero diventati grumi di potere puro, un verminaio inaccettabile, tanto simili alle dittature. Certo, per cercare altri sentieri, bisogna riconoscere il superamento storico dei partiti politici la cui incapacità rappresentativa (e la malversazione) è ormai dimostrata fino in fondo, forzando la resistenza che queste schegge impazzite eserciteranno fino allo spasimo. Facce consumate che hanno ancora l’ardire di parlare degli… interessi del paese, dopo averlo calpestato senza ritegno per miserabili affari personali, familistici e di piccola banda. Io credo che è proprio di queste facce che dobbiamo liberarci. I milioni di cittadini onesti, che spesso di lavoro onesto muoiono tutti i giorni, non vogliono più vedere queste facce di plastica e le loro gioiose macchine di guerra cui rivolgo tutto il mio disprezzo e la profonda indignazione. La mia solidarietà incondizionata, invece, va a quei milioni di cittadini che si sentono traditi, offesi, ingannati e non solo dai nomi balzati agli onori delle cronache e da tutti coloro che si sono affrettati a dar loro manforte, torcendo i loro partiti e le nostre istituzioni a così poco nobile causa! Il voto e lo sciopero contro questo verminaio sono gli strumenti che restano nelle mani della cittadinanza. Delle facce consumate non sappiamo più che farcene e neppure delle loro macchine da guerra superate dalla storia. Via, via, via da queste sponde si apre un nuovo cammino culturale. Il contenuto è già dato, il contenitore, le forme organizzative sono esattamente da ricercare, passando per la indispensabile mediazione sociale che lasci spazio per la cittadinanza concreta di ciascuno e di tutti. Cagliari: al "Buoncammino" realizzata una cella per i disabili
Asca, 19 marzo 2008
"Finalmente nel carcere di Cagliari è stata realizzata una cella per disabili. Proseguono così i lavori di miglioramento della struttura per rendere più vivibili le condizioni dei detenuti ed in particolare di quelli che hanno bisogno di assistenza. Dopo la cella-nido, il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria è quindi intervenuto per sopperire, almeno in parte, alla mancanza di un reparto attrezzato per detenuti costretti sulla sedia a rotelle". Lo afferma la consigliera regionale socialista della Sardegna, Maria Grazia Caligaris (Partito Socialista), componente della Commissione "Diritti Civili" che, accompagnata dal Direttore Gianfranco Pala e dal Comandante Giuseppe Atzeni ha incontrato diversi detenuti e ha anche visitato il settore delle celle per detenuti affetti da malattie psichiche ristrutturato dopo il recente incendio che lo aveva seriamente danneggiato. La cella per disabili, ubicata nel Centro Clinico, dotata di servizi igienici, doccia e di arredi sistemati in modo da essere utilizzati da chi ha un handicap motorio e non è in grado di deambulare, può ospitare due detenuti. Sarà funzionante dai prossimi giorni non appena verrà effettuato il collaudo. Bologna: per gli agenti alla Dozza erano offese e umiliazioni di Francesco Mura
Il Bologna, 19 marzo 2008
Accadeva di tutto: guardie e detenuti di Serie A e di Serie B, rapporti fatti su fogli volanti e mai registrati, un agente sospeso per aver gonfiato allegramente qualche rimborso spesa, condanne di agenti-sindacalisti per offese e ingiurie nei confronti dei colleghi ma con una netta predilezione per le colleghe donne, "quelle che per loro - puntualizza un agente che, per motivi di sicurezza, mantiene l’anonimato - dovevano stare a casa a lavare i piatti". Tutto questo senza che nessuno dei superiori muovesse un solo dito "per fare rispettare i regolamenti - aggiunge - l’unica cosa che avrebbero dovuto fare". Non per elargire un favore o un regalo ma per fare rispettare il regolamento. Per anni gli agenti, quelli di serie B, avrebbero chiesto che venisse ripristinato un clima sereno e rispettoso del regolamento "ma forse c’era tutto l’interesse che rimanesse incandescente e teso". Così, nonostante le denunce di qualche sindacato, "l’attesa pulizia dagli elementi più arroganti, quelli sicuri di poter agire restando impuniti - racconta l’agente - non c’è mai stata". Ma da cosa scaturiva tanta sicurezza? Dipendeva solo dal fatto che le guardie, spinte dalla paura, non avrebbero mai aperto la bocca? Oppure il silenzio degli agenti colpiti, e questo sarebbe molto più grave, era derivato solo dalla consapevolezza che i loro colleghi godevano delle simpatie di persone in più alto grado? "Evidentemente si sentivano protetti - racconta una delle vittime delle prepotenze dei colleghi - lì dentro c’erano gli amici e i nemici: gli amici erano coloro che stavano ai giochi e chiudevano uno e a volte entrambi gli occhi su quello che accadeva". E i nemici? "I nemici erano quelli che si muovevano rispettando i regolamenti". Cosa, a quanto pare, non era molto gradito. Per loro erano quasi sempre guai: abusi, ingiurie e umiliazioni pubbliche. "Alcuni mesi fa - racconta l’agente - un sovrintendente e un assistente capo, E.M. e G.E. - allora entrambi sindacalisti della Cisl mentre E.M. è ancora sindacalista all’Ugl -, vennero condannati a pene pecuniarie, poi sospese dall’indulto, per aver distribuito e affisso un volantino ingiurioso nei confronti di una collega". Il giudice, nella sentenza, non ha dubbi e "visti gli articoli 533 e 535 c.p.p. dichiara E.M. e G.M. responsabili del reato ascritto al capo d’imputazione e li condanna" poiché in concorso tra loro offendevano l’onore e la reputazione di R.C., ispettrice della Polizia Penitenziaria. Una condanna che la dice lunga su come funzionavano le cose all’interno del carcere bolognese e che costrinse "tanti colleghi e colleghe - conclude l’agente - a finire in terapia per stress da lavoro". Ora, con l’arrivo del nuovo direttore e del nuovo comandante, arrivano segnali di normalizzazione. Ma c’è da scommettere che dal pentolone della Dozza usciranno ancora molte sorprese. Verona: dal 31 marzo al 2 aprile il Consiglio nazionale Sappe
Comunicato Sappe, 19 marzo 2008
Si terrà a Verona, dal 31 marzo al 2 aprile prossimi, il XIX Consiglio nazionale del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione sindacale di Categoria. Il Consiglio Nazionale, che ha già ottenuto il patrocinio del Comune di Verona, è il massimo organo di direzione politica del Sappe e ad esso partecipano i componenti la Segreteria Generale, i Consiglieri Nazionali ed i Segretari Regionali di tutta Italia in rappresentanza degli oltre 11 mila iscritti. Tra gli argomenti all’Ordine del Giorno del Consiglio Nazionale, l’analisi dei dati relativi alle iscrizioni associative alla data del 31 dicembre 2007, che hanno confermato il Sappe quale Organizzazione maggiormente rappresentative delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria, e l’analisi delle proposte di carattere politico per migliorare la situazione lavorativa delle donne e degli uomini del Corpo nei penitenziari italiani. "Si tratterà di un importante momento di confronto, di analisi e di studio del sistema penitenziario nazionale nonché delle iniziative di strategia sindacale che saranno svolte dalla Segreteria Generale e dai responsabili regionali nei prossimi mesi" spiega Donato Capece, segretario generale Sappe che aggiunge: "L’eccellente conferma del Sappe quale Sindacato guida della Polizia Penitenziaria - si pensi che, dopo di noi, l’Organizzazione sindacale al secondo posto di gradimento del Personale ha poco più di 5.000 iscritti... - ci forniscono sempre più maggiori stimoli per la tutela della professionalità degli appartenenti al Corpo e per un nuovo ruolo della Polizia Penitenziaria nel contesto dell’esecuzione penale esterna." Il Sindacato auspica che entro quella data arrivino le proposte dei candidati premier sui temi carcere e Polizia penitenziaria, richieste dal Sappe nei giorni scorsi ed oggetto anche di una conferenza stampa in programma per il pomeriggio di lunedì 31 marzo 2008. "Noi poniamo, sostanzialmente, 3 domande ai candidati alla guida della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sintetizzate nei seguenti termini. Le coalizioni che si candidano a governare il Paese non posso tralasciare la grave situazione penitenziaria che si registra oggi nei nostri Istituti di pena, che si ripercuote principalmente sulle donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, e devono quindi porre l’emergenza carceraria tra le priorità di intervento. Il Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione sindacale della Polizia Penitenziaria, chiede dunque ai candidati premier l’impegno su 3 questioni fondamentali: 1. una modifica del sistema penale - sostanziale e processuale - che rendano stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale, prevedendo procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici come il braccialetto elettronico; 2. l’impegno ad assumere nuovi poliziotti penitenziari, stante la grave carenza di Personale che si registra nel Paese; 3. l’impegno a costituire, attraverso il Ministro della Giustizia, la Direzione generale del Corpo di Polizia Penitenziaria nell’ambito del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Ed è ovvio che a ciò sarebbe opportuno che in candidati premier aggiungessero qualche considerazione su quali direttrici intendono delineare il carcere del futuro ed ovviamente il ruolo del Corpo di Polizia Penitenziaria". I lavori del Consiglio nazionale del Sappe si terranno presso la Sala riunioni dell’Hotel San Marco - Via Longhena, 42 Verona. Droghe: Fini: punire il consumo. D’Alema: non serve a nulla
Adnkronos, 19 marzo 2008
Botta e risposta tra Gianfranco Fini e Massimo D’Alema sulla guerra alla droga. L’esponente del Pdl ha ribadito che punire lo spaccio non basta, occorre "anche punire il consumo" come stabilisce la legge che porta il suo nome, la Giovanardi-Fini. "La sanzione, che non è la galera, nei confronti di chi fa uso di droga è indispensabile", ha insistito, è una norma che "considero valida e giusta, da difendere". "Non credo che la soluzione di stabilire che sia illegale il consumo di droga sia una misura efficace", gli ha replicato Massimo D’Alema, intervenuto a un dibattito organizzato dalla Adnkronos. Secondo il vicepremier, "le cose illegali si fanno di nascosto e finiscono per spingere in una condizione di clandestinità chi fuma uno spinello". Per questo, ha affermato, prevedere una sanzione per chi fa uso di cannabis "non solo non riduce il consumo ma lo rende clandestino e pericoloso". Usa: carcere per i consumatori di droga è dannoso e costoso
Notiziario Aduc, 19 marzo 2008
Per i giudici il sovraffollamento delle prigioni si ridurrebbe aumentando i fondi per i tribunali speciali per le tossicodipendenze. Jackie Glass, giudice del Clark County District ha presentato un rapporto all’Advisory Commission on the Administration of Justice, in cui si raccomandano ulteriori fondi per 42,5 milioni di dollari per programmi per i tossicodipendenti, i malati mentali, e coloro che guidano in stato di ebbrezza, riducendo così il numero delle persone condannate a scontare le condanne in prigione. "Queste persone potrebbero ricevere sentenze alternative e non finire in prigione", ha dichiarato la Glass alla Commissione presieduta dal Giudice della Corte Suprema Jim Hardesty. "Sono più efficaci le condanne alternative che le prigioni. I milioni di dollari richiesti sono un costo, ma anche un investimento per il futuro. È un investimento per aiutare queste persone, che generalmente non sono violente a rientrare nella società". Le corti distrettuali del Nevada intervengono nei casi di reati connessi alla tossicodipendenza, ai problemi mentali e alla guida in stato di ubriachezza, e secondo alcune ricerche, i risultati sono positivi, perché riabilitano persone che altrimenti finirebbero in prigione e conseguentemente fuori dalla società. La Glass è stata coadiuvata dal collega Andrew Puccinelli, e da due giudici in pensione, Peter Breen e Archie Blake, che fanno volontariato in tribunali speciali di alcune aree rurali del Nevada. La Commissione sta studiando attentamente il sistema giudiziario del Nevada, e presenterà una rapporto al governatore e alla sessione legislativa del 2009. Usa: farmaci per il cuore pericolosi per chi consuma cocaina
Notiziario Aduc, 19 marzo 2008
I farmaci standard per il trattamento degli attacchi di cuore, cioè i beta-bloccanti e gli antitrombotici, possono essere pericolosi per chi fa uso di polvere bianca. I medici dovrebbero dunque sempre chiedere al paziente che arriva in ospedale con un dolore al petto se utilizza sostanze stupefacenti, soprattutto se si tratta di persone giovani. È l’appello contenuto in un editoriale apparso sulla rivista "Circulation" a firma dei cardiologi dell’American Heart Association (Aha), che affrontano l’argomento a causa del progressivo aumento di ricoveri correlati alle droghe a cui si sta assistendo in questi ultimi anni. James Cord, uno dei cardiologi che hanno firmato l’editoriale, afferma che la visite ai reparti di emergenza sono in crescita soprattutto nella fascia d’età 35-44 anni: "si tratta di giovani che arrivano al pronto soccorso con dolore al petto, dopo aver sniffato. E la cocaina, amplificando il bisogno di ossigeno del muscolo cardiaco ma allo stesso tempo privandolo di questo elemento -costringendo i vasi sanguigni e facilitando la formazione di trombi- può effettivamente aprire le porte all’infarto. Spesso davanti al sintomo di dolore al petto, si interviene con i farmaci, ma questo può esporre a un rischio maggiore di emorragie cerebrali il paziente che assume cocaina, a causa dell’aumento di pressione che questa sostanza può provocare. ‘I beta-bloccanti, infatti, normalmente abbassano la pressione senza costringere le arterie, ma possono avere l’effetto contrario in chi usa cocaina". Con un concreto rischio di morte, come dimostrano i test effettuati su modello animale. La ricerca rivela che il consumo di cocaina in età giovanile o in persone sane può condurre a palpitazioni, respiro smorzato, dolori al petto, ansietà, giramento di testa e sudorazione. La cocaina provocherebbe anche un aumento della pressione sanguigna e sanguinamento nel cervello. Secondo il Substance Abuse and Mental Health Services Administration, il numero delle richieste di intervento nei pronto soccorso è aumentato del 47% dal 1995 al 2002. Iraq: Unicef; 1.350 i minori detenuti illegalmente in carcere
Reuters, 19 marzo 2008
Le drammatiche condizioni dei bambini in Iraq non hanno solo a che fare con malnutrizione e povertà: le carceri irachene detengono oggi illegalmente 1.350 minori tra i 10 e 17 anni, senza il diritto di un processo legale e in condizioni terribilmente lontane dagli standard internazionali. Lo ha detto oggi la responsabile comunicazione dell’Unicef Claire Hajaj, in una conferenza stampa a Roma sulle condizioni dell’infanzia nel martoriato paese e sul lavoro degli operatori dell’Unicef in Iraq. "L’Unicef si sta battendo affinché questi bambini abbiano un processo legale e condizioni di detenzione che corrispondano agli standard internazionali", ha detto Hajaj. Sui motivi della detenzione, "i dati non sono chiari, ma nella maggior parte dei casi di tratta di infrazione della sicurezza", ha aggiunto. A cinque anni dall’inizio della guerra in Iraq, ha continuato Hajaj, le sempre più drammatiche condizioni di vita delle donne e dei bambini dovrebbero essere in cima all’agenda della comunità internazionale per la costruzione di un futuro solido e democratico nel paese, oltre che per l’emergenza umanitaria. "Il loro futuro (dei bambini, ndr) è il futuro del paese, non si tratta solo di preoccuparsi di ciò che succede oggi", ha detto la rappresentante dell’Unicef durante la conferenza, "cosa diventeranno questi bambini in futuro?". Ma la mancanza di una "rule of law" non è l’unica emergenza nel paese. I bambini iracheni mancano dei diritti fondamentali come istruzione, cure mediche e nutrizione, causati da 5 anni di guerra e da un quarto di secolo di restrizioni, sanzioni economiche e conflitti. Dal 2003 a oggi, 150.000 mila civili maschi sono rimasti uccisi negli scontri, il che significa che oltre 70.000 sono oggi vedove e centinaia di migliaia di bambini sono orfani. I dati del solo 2007 registrano oltre 19.500 persone morte a causa del conflitto, mentre dal primo attacco alla moschea di Samarra nel 2006 - che ha acceso le violenze settarie tra sciiti e sunniti - sono più di 1,2 milioni gli sfollati, e 4 milioni dal 2003, il 50% dei quali sono bambini. A fronte degli oltre 2 milioni di bambini che oggi continuano a soffrire di malnutrizione inadeguata, malattie e mancanza di istruzione, l’Unicef ha lanciato per il 2008 una campagna per il finanziamento di "Impact 2008", un progetto che mira a creare istituti e supporto per i bambini che vivono all’interno delle zone a rischio e tal fine cercare di aprire dei varchi di accesso verso queste aree, appellandosi anche ai governi. Hajaj ha lamentato lo scarso supporto finanziario disponibile delle Nazioni Unite, che copre solo il 9% dell’ammontare necessario Afganistan: numerosi detenuti iniziano lo sciopero della fame
Reuters, 19 marzo 2008
Numerosi detenuti della prigione di Pul-i-Charki, il principale carcere dell’Afganistan situato vicino a Kabul e nel quale sono incarcerati diversi taleban, avrebbero iniziato uno sciopero della fame ed alcuni di essi si sarebbero addirittura cuciti le labbra. A riferirlo all’Afp è stato Fazhel Rahman Samkani, parlamentare afgano. Secondo i media afgani, lo sciopero è iniziato dopo che alcune guardie avevano impedito a visitatori di entrare nella prigione, misura cautelare presa a seguito di alcune evasioni verificatesi di recente. Allo stesso tempo, ieri le autorità del carcere si sono rifiutate di far accedere una delegazione di parlamentari all’interno del perimetro del carcere: "abbiamo ricevuto delle lamentele" ha continuato Fazel Rahman Samkani "e ci siamo recati sul posto per verificare, ma non abbiamo potuto parlare con i prigionieri per comprendere i loro problemi o capire se le loro rivendicazioni siano fondate". Sulla situazione all’interno del carcere regna quindi grande incertezza ed un medico, coperto dall’anonimato, ha dichiarato di aver curato alcuni prigionieri che riportavano ferite da pallottole e anche tre guardie che avevano respirato gas irritante. Già in ottobre, più di 240 detenuti avevano osservato uno sciopero della fame di 11 giorni per protestare contro l’esecuzione di 15 detenuti.
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