Rassegna stampa 17 marzo

 

Giustizia: Ue; pene alternative per madri e donne incinte

 

www.marketpress.info, 17 marzo 2008

 

Il Parlamento Europeo raccomanda di tenere maggiormente conto della specificità delle donne in prigione, soprattutto delle madri e delle donne incinte. Occorre privilegiare pene alternative e, in caso contrario, garantire assistenza e servizi adeguati. Ma anche agevolare l’accesso alla diagnosi precoce dei tumori e rispettare i diversi orientamenti sessuali.

Vanno poi promossi i contatti familiari e con l’esterno, e programmi di istruzione e formazione per favorire il reinserimento professionale. Nell’approvare con 492 voti favorevoli, 241 contrari e 37 astensioni la relazione di Maria Panayotopoulou - Cassiotou (Ppe/De, El), il Parlamento incoraggia gli Stati membri a investire risorse sufficienti a favore dell’ammodernamento e dell’adeguamento delle rispettive infrastrutture penitenziarie al fine di assicurare condizioni di detenzione rispettose della dignità umana e dei diritti fondamentali, in particolare in materia di alloggio, sanità, igiene, alimentazione, aerazione e luce.

Chiede inoltre di adottare una decisione quadro dell’Ue sulle norme minime di protezione dei diritti dei detenuti per giungere a una maggiore armonizzazione delle condizioni di detenzione in Europa, in particolare per quanto attiene al rispetto dei bisogni specifici delle donne. In Europa, le donne costituiscono in media il 4,5-5% della popolazione carceraria complessiva. Se a Malta vi sono solo 11 donne imprigionate, in Spagna sono circa 5. 000 (7,9% del totale nazionale) e nei Paesi Bassi circa 1. 800 (8,8%). In Italia sono invece poco più di 2. 600 (4,7%). Il Parlamento invita gli Stati membri a tenere maggiormente presenti le specificità femminili e "il passato spesso traumatizzante delle donne detenute". Insiste quindi sull’introduzione di strutture di sicurezza e di reinserimento concepite per le donne, in particolare quelle vittime di abusi, sfruttamento ed esclusione.

Inoltre, sollecita gli Stati membri a adottare le misure necessarie per garantire l’ordine nelle carceri nonché la sicurezza del personale e di tutti i detenuti, "mettendo fine alle situazioni di violenza e di abuso cui sono particolarmente esposte le donne" e le minoranze etniche e sociali. Facendo propria una proposta del Pse, il Parlamento chiede inoltre di agevolare l’accesso delle detenute alle campagne di prevenzione sulla diagnosi precoce dei tumori al seno e al collo dell’utero, nonché ai programmi nazionali di planning familiare.

Ha invece respinto un emendamento della Gue/ngl che chiedeva di cessare la pratica di fare spogliare i detenuti o sottoporli a perquisizione personale, salvo fosse dimostrato un ragionevole sospetto. Madri, puerpere e legami familiari I deputati raccomandano che la detenzione delle donne incinte e delle madri che accudiscono figli in tenera età "sia prevista solo in ultima istanza" e che, in questo caso estremo, queste ultime possano ottenere una cella più spaziosa, possibilmente individuale, e si vedano accordata particolare attenzione soprattutto per quanto riguarda l’alimentazione e l’igiene.

Considerano inoltre che le donne incinte debbano poter beneficiare di controlli prenatali e postnatali di qualità nonché di corsi di educazione parentale di qualità equivalente a quelli offerti fuori dall’ambiente penitenziario. D’altra parte, sottolineano che nei casi in cui il parto in prigione si è svolto normalmente "il bambino è generalmente sottratto alla madre entro le 24/72 ore successive alla nascita", e chiedono quindi di prevedere "altre soluzioni". E’ poi necessario porre fine alla detenzione di minorenni in carceri per adulti.

Il Parlamento raccomanda poi che alle madri, soprattutto quando esse sono a capo di famiglie monoparentali o hanno figli in tenera età, siano inflitte maggiormente pene alternative alla detenzione allorché la sanzione prevista e il rischio per la sicurezza pubblica risultano scarsi e se la loro detenzione può determinare gravi perturbazioni nella vita familiare. Lo stesso, peraltro, dovrebbe valere per i detenuti uomini con a carico figli minori o che assolvono ad altre responsabilità familiari.

Sottolinea inoltre la necessità, al momento di decidere in merito alla detenzione delle detenute incinte, di tenere in conto "molto seriamente" delle conseguenze nefaste o pericolose per il bambino che questo può comportare. Gli Stati membri sono poi invitati ad aumentare il numero dei centri di detenzione femminili e a ripartirli meglio sul loro territorio in modo da facilitare il mantenimento dei legami familiari e di amicizia delle donne detenute, nonché a dar loro la possibilità di partecipare a cerimonie religiose.

I deputati raccomandano inoltre agli Stati membri di incoraggiare le istituzioni penitenziarie a adottare norme elastiche per quanto concerne le modalità, la frequenza, la durata e gli orari delle visite. Ma anche di facilitare le relazioni dei genitori incarcerati con i loro figli, a meno che ciò sia in contrasto con l’interesse del bambino, "predisponendo strutture di accoglienza la cui atmosfera sia diversa da quella dell’universo carcerario e permettano attività comuni e un contatto affettivo adeguato".

Approvando un emendamento del Pse, l’Aula chiede poi agli Stati membri di rispettare pienamente "la diversità degli orientamenti sessuali nonché le diverse forme di vita familiare", se non infrangono la legge. Reinserimento sociale e professionale Il Parlamento raccomanda agli Stati membri di adottare le misure necessarie per offrire a tutti i detenuti, uomini e donne, possibilità di impiego adeguatamente retribuite e diversificate che permettano lo sviluppo personale.

Dovrebbero quindi investire maggiori risorse per sviluppare in ambiente carcerario programmi di alfabetizzazione, di istruzione e di formazione professionale, compresi corsi di lingua, adeguati alle esigenze del mercato del lavoro e che possano dar luogo all’ottenimento di un diploma. Salvo in caso di rischi importanti per la sicurezza pubblica e di gravi pene, si dovrebbe ricorrere maggiormente a regimi di semilibertà per consentire ai detenuti di lavorare o di seguire una formazione professionale all’esterno dell’ambiente carcerario.

Nel sottolineare l’importanza di mantenere e promuovere i contatti tra i detenuti e il mondo esterno, in particolare mediante l’accesso alla stampa scritta e ai mezzi di informazione, i deputati ricordano che l’accesso regolare di tutti i detenuti ad attività sportive e ricreative nonché a possibilità di educazione artistica o culturale "è fondamentale per salvaguardare il loro equilibrio psicologico e favorisce le loro opportunità di reinserimento sociale".

Un’attenzione specifica deve essere accordata ai detenuti stranieri, in particolare per quanto riguarda le differenze linguistiche e culturali, agevolando loro il mantenimento dei contatti con i familiari e permettendogli di mettersi in contatto con i consolati e di accedere ad informazioni facilmente comprensibili.

In tale contesto, il Parlamento raccomanda di tenere conto della specificità della situazione delle donne straniere e, pertanto, di formare gli agenti a lavorare in un quadro multiculturale. Ricorda poi la necessità di attuare, durante e dopo il periodo della detenzione, misure di aiuto sociale volte a preparare e ad assistere la persona detenuta nei suoi tentativi di reinserimento, in particolare nella ricerca di un alloggio e di un’occupazione, per "evitare situazioni di esclusione sociale e di recidiva".

Gli Stati membri sono infine invitati a adottare tutte le misure necessarie al fine di recepire nelle loro legislazioni nazionali le norme volte a favorire le assunzioni degli ex detenuti, in particolare delle madri che allevano da sole i propri figli e delle minorenni delinquenti.

Giustizia: lavoro "a rischio" per 1.400 medici penitenziari...

 

Agi, 17 marzo 2008

 

Sono 1400 i medici precari che lavorano nelle carceri e rischiano di perdere il lavoro mentre e l’assistenza per 24 ore nelle carceri sarebbe imposta alla medicina generale. È l’allarme lanciato dalla Fimmg spiegando che è stata presentata ieri la bozza del Dpcm che dovrebbe attuare il passaggio della medicina penitenziaria dal Ministero di Grazia e Giustizia al Ministero della Salute, in ottemperanza di quanto disposto dall’ultima Finanziarla.

Dall’elaborato delle due amministrazioni coinvolte sotto la regia del Ministero dell’Economia risulta, all’art 3 comma 4, che i contratti a tempo determinato rinnovati ogni due anni ai cosiddetti medici S.I.A.S. verranno posti ad esaurimento. Si tratta di medici - spiega la Fimmg - che attualmente garantiscono la guardia medica nelle strutture di prevenzione e pena per 24 ore 7 giorni su 7. Il decreto non identifica il professionista che garantirà il servizio, le Regioni attraverso l’organizzazione delle aziende sanitarie locali, provvederanno all’assistenza continua ai cittadini detenuti attraverso strutture non ancora definite.

"Questo decreto - commenta Giacomo Milillo, segretario generale della Fimmg - oltre a licenziare oltre 1400 medici getta sulle spalle della medicina del territorio, in particolare della medicina generale ed in primo luogo del servizio di continuità assistenziale, il carico della assistenza negli istituti di pena". "Le modalità scelte dalle tre amministrazione per garantire il diritto dei detenuti alla tutela della salute alla pari di tutti i cittadini - prosegue Milillo - non risultano chiare e certe e il rischio concreto è quello di trovarci, anche nella medicina penitenziaria,a dover calcolare i danni prodotti dai veti incrociati delle regioni italiane che impediscono, complice il Governo, di porre le basi di un ridisegno e di un rilancio delle cure primarie nel nostro paese".

Secondo la Fimmg, "questo ennesimo conflitto per determinare l’autonomia decisionale in materia di sanità delle Regioni rispetto al Ministero e viceversa, sta portando alla perdita di 1400 posto di lavoro, nonostante le strombazzate volontà elettorali di stabilizzare il precariato, ad una incerta qualità dell’assistenza ai cittadini detenuti, fino ad ora erogata a livelli più che accettabili, ad un ennesimo carico di lavoro per la medicina generale senza che questa possa esprimere il suo parere.

Il tutto, come sempre, sotto l’ombra incombente del ministro Padoa Schioppa". La Fimmg annuncia che "si opporrà con tutti i mezzi all’attuazione di un progetto che non solo mortifica le cure primarie ma crea contemporaneamente 1.400 medici disoccupati".

Liguria: il Sappe chiede l'avvicendamento del Provveditore

 

Agi, 17 marzo 2008

 

"Dopo l’ennesimo episodio di violenza all’interno della casa circondariale di Genova Marassi, dove un detenuto è stato aggredito da tre persone e ricoverato in prognosi riservata all’ospedale San Martino, non possiamo che chiedere nuovamente l’avvicendamento del provveditore regionale ligure dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Salamone". È il commento di Michele Lorenzo, Segretario Regionale del Sappe (sindacato che ha 11 mila iscritti fra i baschi azzurri della Polizia Penitenziaria).

"Ieri mattina a fronteggiare una aggressione fra detenuti - dice ancora Lorenzo - c’era solo un agente di servizio al piano detentivo. Più volte abbiamo denunciato la fortissima carenza di organico della polizia penitenziaria in servizio nell’istituto genovese ma nonostante ciò le nostre richieste di incremento del personale sono state tralasciate. Nessun provvedimento e iniziativa in termini di sicurezza è stato intrapreso dal provveditore regionale Salamone; da qui, quindi, si denota una scarsa attenzione al sistema sicurezza dei penitenziari liguri".

"Ora - dichiara quasi ironicamente il segretario regionale del Sappe - ci aspettiamo che la colpa di quanto accaduto a Marassi ricada sull’agente di servizio costretto ad operare da solo con quasi cento detenuti". Per questa ennesima situazione di insicurezza il Sappe ha deciso di scendere in piazza entro la fine del mese contro l’indifferenza del provveditore riguardo alla sicurezza nelle strutture penitenziarie liguri dove "fino a prova contraria la Liguria è una delle regioni con un elevato tasso di evasione, mentre le sventate evasioni sono avvenute grazie alla professionalità della polizia penitenziaria".

"L’attuale sistema penitenziario ligure ha bisogno di nuove guide - continua il Sappe -; riteniamo che la gestione dell’attuale provveditore sia fallimentare. Sono emblematici alcuni numeri riferiti al 31 gennaio 2008, dove si registra una carenza di 357 agenti di polizia penitenziaria, pari al -28%, mentre si è registrato il +12% di detenuti, ovvero un aumento di 130 persone, nonostante l’indulto. Tradotto per singoli istituti, si ha che Genova Marassi conta 586 detenuti, di cui 325 stranieri; Genova Pontedecimo, 120 detenuti, di cui 64 stranieri; Sanremo, 272 detenuti, di cui 160 stranieri; Imperia, 96 detenuti, di cui 65 stranieri; Savona, 46 detenuti, di cui 23 stranieri; La Spezia, 71 detenuti, di cui 45 stranieri; Chiavari, 79 detenuti, di cui 23 non italiani".

Bologna: lo strano caso dei detenuti scarcerati per errore

di Francesco Mura

 

Il Bologna, 17 marzo 2008

 

"Gli episodi dei giorni scorsi sono solo piccolezze rispetto a quello che accadeva all’interno della Dozza fino a qualche settimana. L’organizzazione faceva acqua da tutte le parti, gli agenti amici venivano premiati mentre quelli che facevano il loro lavoro seguendo il regolamento venivano osteggiati e umiliati in tutti i modi. E non solo con noi ma anche con i detenuti. Era diventato invivibile, c’erano agenti e detenuti di serie A e serie B, una cosa vergognosa che è continuata sotto gli occhi di tutti per anni". Non ha dubbi, l’agente Mariano (nome di comodo), quando parla del clima che regnava all’interno del carcere "fino a qualche settimana fa".

Cioè fino all’arrivo del nuovo direttore e del nuovo comandante delle guardie "spediti" in tutta fretta dal Ministero per una "missione" di tre mesi. Ma cosa può essere successo di così grave se ritrovare (grazie a una lettera anonima che indicava la presenza di un cellulare, ndr.) una penna Usb per connettersi a internet, un cellulare, una motosega a nastro e un coltello nuovo di zecca, sono solo piccolezze?

L’agente si guarda intorno, una sorta di deformazione professionale. "Sono episodi gravissimi, difficili anche da raccontare". Poi non regge, ha voglia di fare conoscere la sua verità su alcuni episodi rinchiusi nel silenzio dell’omertà di camerata. E si lascia andare. Parla.

"Tutto è accaduto lo scorso mese di maggio quando tre detenuti (ma ufficialmente sono due, ndr.) con pena ancora da scontare - racconta - per errore, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, sono stati scarcerati. Quello che invece doveva uscire è stato trattenuto dentro e ora ha fatto causa allo Stato per ingiusta detenzione".

Se non fosse stato per la drammaticità dei fatti ci sarebbe da farsi una risata. Ma non è il caso. Molto meglio cercare di sapere che fine abbiano fatto i tre detenuti scarcerati anzitempo. "Uno di loro, un nigeriano che doveva scontare un breve residuo di pena - continua - si costituì su consiglio del suo legale. Il secondo era un marocchino. Ci diede il suo vero indirizzo di casa e i carabinieri non fecero molta fatica a ritrovarlo e riportarlo in carcere. Il terzo uomo, anche lui straniero, è ancora uccel di bosco". Non è più stato ritrovato.

Ma le "scarcerazioni facili" non sono gli unici nei dei responsabili dell’amministrazione carceraria bolognese e regionale. Nel loro curriculum ci sarebbe anche la fuga di un detenuto che "riuscì a evadere dall’ospedale Bellaria, dove era ricoverato perché affetto da Tbc, calandosi dalla finestra della sua camera". Eppure tutto rimase ancora come prima: il provveditore rimase sulla sua poltrona, il direttore ancorato alla sua sedia e il comandante a impartire ordini in allegria.

Gli unici a rischiare sono gli agenti. "Su di loro - spiega l’agente - prima vennero fatti controlli bancari e perquisizioni e poi fu aperto un procedimento penale". E l’accusa, in questi casi, è un’accusa grave e infamante: concorso in evasione e colpa del custode. Infine l’arrivo, nello scorso giugno, degli ispettori romani inviati dal Ministero.

"Passarono al setaccio il penitenziario - conclude - raccolsero dichiarazioni e andarono via con un voluminoso pacco di documenti". Da allora non si è più saputo nulla. Ma, a sorpresa, sono arrivati un direttore e un comandante nuovi di zecca. È possibile che questo avvicendamento, anche se momentaneo, sia consequenziale alla visita ispettiva. Se così fosse, di quali "gravi" elementi sono venuti in possesso? Nell’attesa che i quesiti vengano chiariti sorge spontanea un’ultima domanda: sarà finita così oppure è solo l’inizio di una lunga ed affascinante telenovela?

Pontremoli (MS): dove gli agenti sorvegliano solo se stessi

di Giampiero Calapá

 

La Stampa, 17 marzo 2008

 

Come il tenente Drogo nel "Deserto dei tartari". Mentre svanisce l’effetto indulto e le carceri italiane tornano a scoppiare di detenuti c’è una prigione, una piccola prigione, completamente vuota. Dove le guardie fanno la guardia a se stesse. E dietro le sbarre ci sono solo brande, tavolini, lavabi. Solo fantasmi, ed echi di silenzio. Succede a Pontremoli, cittadina della Lunigiana ai piedi del Passo della Cisa. In bizzarra, assurda controtendenza rispetto alla situazione penitenziario nel resto del Paese.

La struttura, un tempo era il "mandamentale" del Comune, cioè la galera gestita dal sindaco. È stata riaperta quattro anni fa come carcere femminile di piccola dimensione. In teoria non potrebbe ospitare più di venti persone, e dai tetti massimi è sempre stata lontana: il massimo affollamento è stato raggiunto, nell’estate 2006, quando dietro le sbarre erano in quindici. Ora, invece, non c’è più nessuno. Perché l’assegnazione delle detenute è stata sospesa.

A fare la guardia al nulla sono rimaste in cinque. Nel 2004 le agenti penitenziarie, tutte donne e molto giovani, diverse alla prima esperienza, erano in ventisette, ufficiali comprese. Troppe per una casa circondariale piccola, con continui problemi all’impianto elettrico, alle tubature e alla rete fognaria. Tanto che diverse di loro erano costrette a trovar ospitalità nella vicina stazione della polizia stradale. Neppure un anno dopo le guardie sono rimaste in dodici. Ma intanto diminuivano anche le detenute. Dopo l’indulto, nell’agosto 2006, ne erano rimaste appena cinque.

La scorsa estate è stata trasferita l’ultima prigioniera. E le guardie, sia pur poche, non hanno più nulla da fare quando a poche decine di chilometri ci sono carceri stracolme come quelle di Sollicciano, Prato, Livorno o Pisa. L’assurdità è stata denunciata da Franco Corleone, il garante per i diritti dei detenuti di Firenze, sottosegretario alla giustizia dal ‘96 al 2001: "È una situazione insostenibile, perché a fronte di un nuovo sovraffollamento delle carceri non si possono tenere istituti vuoti.

Proposi di destinarvi donne seminferme di mente, dal momento che là vicino c’è la clinica psichiatrica pubblica di Aulla". L’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) ha chiesto la chiusura della struttura di Pontremoli, per evitare di continuare a spendere a vuoto soldi pubblici che potrebbero esser impiegati in miglior modo. Oltre che per togliere da un imbarazzante limbo gli agenti rimasti ai piedi delle Apuane.

Prova a gettare acqua sul fuoco il provveditore Maria Pia Giuffrida: "A Pontremoli la situazione è molto semplice: le donne detenute in regione sono poche. Le polemiche sono ingiustificate. Stiamo riconvertendo quel carcere per farne una sezione maschile di semilibertà, avverrà molto presto". Erano state prese in considerazione dall’amministrazione penitenziaria altre ipotesi, come quella di mandarci detenuti transessuali, "ma Pontremoli - ha chiarito Giuffrida - ci ha fatto capire di non essere d’accordo".

Restano le guardie, che non saranno sommerse di lavoro ma neanche contente Per Amanda, 27 anni, laureanda in ingegneria, Pontremoli è stata la prima esperienza da agente penitenziaria. Si è fatta trasferire al Sud: "Era un vero incubo, con quelle celle vuote. Spero che non mi rimandino mai più lassù. Io credo nella mia professione, ma voglio lavorare in un vero carcere, non in una fortezza come quella di Buzzati in attesa dei tartari".

Roma: con "Presi per caso", emozioni, ironia e disincanto

 

Il Velino, 17 marzo 2008

 

"Great Gig al Big Mama di Roma" (alle 22 di giovedì 20 marzo, in vicolo S. Francesco a Ripa 18, a Trastevere). Recita così l’annuncio sul sito www.presipercaso.it, che poi puntualizza sorridendo: "Nuove canzoni e vecchi successi, set concerto completamente rinnovato: merito dell’indulto…".

Bastano poche righe per restare incuriositi, e poi per essere coinvolti in un’emozionante scoperta musicale e culturale. Quello creato dai "Presi per caso" è un autentico evento, che merita di essere conosciuto e studiato: scelte musicali sofisticatissime e sorprendenti (dalla ballata al blues, passando per lo swing, e perfino con una fenomenale divagazione gospel); testi di assoluta suggestione; atmosfere variabili dall’ironia dissacrante all’amarezza struggente.

È il miracolo costruito in questi anni da Salvatore Ferraro, autore dei testi e della musica, insieme a una compagnia che vede una maggioranza assoluta di detenuti o ex detenuti, per lo più provenienti dal carcere romano di Rebibbia. Ma si badi: non siamo dinanzi a un passatempo, o - per certi versi, peggio ancora - a una delle solite, più o meno inutili, iniziative "sociali", per lo più parastatali o paracomunali, con immancabile assessore al seguito. L’emozione autentica che si prova ascoltandoli fa dei "Presi per caso" qualcosa di unico: e a loro va l’enorme responsabilità di raccogliere il testimone, o, se si vuole, di seguire il percorso, del Fabrizio De André di "La ballata del Michè".

È difficile non pensare a quel De André ascoltando il doloroso e straordinario "Tempo della prigione", in cui la musica di Ferraro è affiancata da un testo davvero notevole di Alessandro Hellmann (è praticamente l’unico caso in cui Ferraro non abbia la paternità esclusiva dell’opera). Ma, nel caleidoscopio dei "Presi per caso", c’è spazio per molto altro: una riflessione intelligente, non banale, non conformista sulla droga ("Pippo" e "Canapa blues"); le disavventure degli sfigatissimi rapinatori de "La macchina del capo"; la consolazione del calcio nella strepitosa "Tottì" (divenuta - perché il caso sa far bene le cose - inno cult delle radio romane e romaniste); l’amarezza e l’impegno della memoria per gli innocenti (in "Lettera aperta a favore del concittadino Gino Girolimoni"); divertenti e sofisticati giochi linguistici ("Se fossi ‘n guirtry"); esercizi corali tanto intensi quanto disincantati ("Cristo gospel").

C’è dolore vivo, indubbiamente, e Ferraro sa bene cosa sia il carcere, e il carcere da innocenti. Ma prevale, su tutto, un profondo amore per la vita, per ogni singola vita, anche la più gualcita e lisa, a causa di errori propri o di circostanze sfortunate. È un modo - ridendo e piangendo - di ricordare che brandelli di insospettata vitalità, e perfino di felicità, possono essere trovati e creati ovunque, anche dove un "ecosistema" ostile ha creato le condizioni peggiori. Nel cinema di questi anni, è stato il grande Kaurismaki a cimentarsi con questo tema, con i suoi "straccioni" solidali e felici; Ferraro fa la sua parte - e alla grande - con la sua musica e i suoi "delinquenti".

Larino: studenti Itis e detenuti in "I tamburi per la pace"

 

Comunicato stampa, 17 marzo 2008

 

All’interno della Casa Circondariale di Larino gli alunni dell’Itis "E. Majorana" e i corsisti del Ctpeea hanno dato vita a "Per Aspera ad Astra" per "I tamburi per la pace".

La manifestazione in Italia è promossa dall’E.I.P. (Scuola strumento di pace) gemellata con la J.M.P.E. (Journée Mondiale Poésie Enfance) e l’E.I.P (Ecole Instrument de Paix) di Bruxelles.

Le migliori iniziative, saranno premiate a Roma, il 21 maggio 2008, presso la Sala delle Conferenze della Biblioteca Nazionale Centrale "Vittorio Emanuele II" dalla Commissione Europea, rappresentanza in Italia. La premiazione è organizzata sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, con il patrocinio della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, del Ministero della Pubblica Istruzione Direzione Generale Affari Internazionali, del Ministero Affari Esteri Polo Onu Fao. Gli alunni, alcuni dei quali stranieri (India, Polonia, Albania, Croazia, Nigeria, Ghana,Bosnia) si sono attivamente impegnati in un percorso di approfondimento sui temi della pace.

I temi trattati che sono stati i seguenti: la dittatura e i conflitti nel mondo, sono stati accompagnati da canzoni di pace. La giornata si è conclusa con un canto di speranza che si diffuso in tutto il carcere "Image" di J. Lennon.

Molto soddisfatti i docenti che hanno seguito gli studenti in questo itinerario di pace: la prof.ssa dell’Itis Italia Martusciello e le insegnanti del Ctpeea Angelo Petroniro e Rosella Schiamone e i dirigenti scolastici dell’Itis A. M. De Santis e del Ctpeea M.R.Cordisco. Un plauso è stato espresso anche dal direttore Dott.ssa Rosa La Ginestra e dal Comandante Dott. Luigi Ardini.

 

Prof.ssa Italia Martusciello

(Delegato Regionale di E.I.P. per il Molise)

Teramo: evade durante permesso per incontrare il Papa

 

Il Messaggero, 17 marzo 2008

 

Non c’é ancora traccia di Vincenzo Di Gennaro, il detenuto in permesso speciale per assistere all’udienza del Papa mercoledì scorso, che non ha fatto rientro alla casa circondariale di Castrogno di Teramo. Ricerche sono in corso in tutta Italia.

Secondo quanto si è appreso in ambienti penitenziari, l’uomo, condannato per violenza sessuale e che finirà di scontare la pena a giugno, era stato scelto per partecipare all’udienza in un gruppo di detenuti, ed era partito per la capitale assieme ad altri tre detenuti dell’istituto di pena teramano. Dal gruppo erano stati scartati altri due prigionieri ritenuti non idonei a usufruire del permesso speciale. Stando però sempre ad alcune indiscrezioni, sul conto dell’uomo sarebbero state proposte relazioni negative sulla condotta che ne avrebbero sconsigliato la concessione del beneficio.

L’uomo non si è ripresentato al bus che avrebbe dovuto riportare in Abruzzo, ai rispettivi penitenziari, il gruppo di 20 detenuti che era stato in udienza da papa Benedetto XVI e che era accompagnato anche dal magistrato di sorveglianza di Pescara. Dopo 12 ore dal mancato rientro, secondo le procedure previste, è stato considerato evaso e dunque ricercato.

Piacenza: e il Vescovo manda un abbraccio ai detenuti...

 

Libertà, 17 marzo 2008

 

È il momento più suggestivo, quello più toccante, l’apice di una cerimonia che ha riunito ieri mattina in S. Giuseppe Operaio centinaia e centinaia di fedeli, abbondantemente sopra il migliaio. È quando il vescovo di Piacenza, monsignor Gianni Ambrosio, nella parrocchia di don Giancarlo Conte per la domenica delle Palme, rompendo il protocollo, durante l’offertorio, si alza ad abbracciare un detenuto, al quale i bimbi del catechismo hanno appena consegnato le letterine di Pasqua. Un abbraccio di Ambrosio con il carcerato, in regime di semi libertà, commosso e commovente, con il quale, dice il nuovo pastore dei piacentini, egli intende stringere al suo cuore tutti gli ospiti delle Novate, la casa circondariale piacentina alle porte della città diretta da Caterina Zurlo.

Un invito in parrocchia, il giorno delle Palme, venuto da don Conte, a cui il pastore dei piacentini aveva detto si. È nato così, quasi in sordina, l’evento di ieri, partito dai giardini di via Ottolenghi, dove il vescovo Ambrosio è stato accolto e da dove ha avuto inizio la processione, e finito con l’applauso maiuscolo con cui i parrocchiani di S. Giuseppe Operaio hanno benedetto l’abbraccio tra Ambrosio e il detenuto del carcere piacentino. Dai giardini di via Ottolenghi, ieri, domenica delle palme, aveva preso avvio la processione con oltre mille persone - 200 i bambini - che si è diretta in chiesa, dove erano già presenti ad attendere la celebrazione altre centinaia di fedeli.

L’omelia, tenuta da monsignor Ambrosio, è stata tutta centrata sul passo evangelico di Matteo, dedicato alla Passione. Quindi, alla processione offertoriale, sono state consegnate sull’altare, a Massimo Magnaschi, dirigente della Caritas piacentina, i pensierini dei bambini del catechismo. Un’iniziativa svolta ieri in contemporanea anche nella chiesa cittadina di S. Savino e in quella parrocchiale di Castelsangiovanni, da parte della Caritas, da anni presente in carcere.

La Caritas, con il suo direttore, don Giampiero Franceschini, e con tutti i suoi responsabili - Magnaschi in particolare - ha fatto partire questo progetto di ponte fra società e prigione, coi bambini che, ciascuno, ha scritto un pensiero per ogni detenuto, accompagnandolo con un rametto di ulivo, che verrà consegnato mercoledì alle Novate.

In chiesa, in rappresentanza dei detenuti del carcere piacentino c’era anche uno degli ospiti, in regime di semi libertà. È stato allora che il vescovo si è alzato per avvicinarsi all’uomo - un cinquantenne padre di famiglia - e per abbracciarlo, intendendo così stringere a sé tutti gli ospiti delle Novate. Lo stesso Ambrosio ha annunciato ieri che mercoledì 19 marzo sarà in carcere a celebrare una santa messa per i detenuti, e vi tornerà anche per Pasquetta.

Al termine della messa di ieri in S. Giuseppe Operaio monsignor Ambrosio si è trattenuto a lungo con i parrocchiani. Ha ringraziato i presbiteri, ma soprattutto i fedeli. "Ha colto la vivacità della parrocchia di S. Giuseppe Operaio - le parole di don Conte -. In un quartiere come il nostro, nato nei campi, abbiamo cercato di mantenere sempre la gioia dell’inizio, la gioia della comunità e della famiglia, che abbiamo cercato di comunicargli".

Immigrazione: serve una svolta; sopprimere la "Bossi-Fini"

 

Il Centro, 17 marzo 2008

 

"Sopprimere la Bossi-Fini e trovare nuove soluzioni, più snelle e civili, per l’ottenimento dei permessi di soggiorno". Sono queste le principali richieste sollevate dai tanti lavoratori immigrati che operano e vivono nella provincia di Perugia. Una realtà sempre più incisiva a livello nazionale: i tre milioni e mezzo di lavoratori immigrati regolari contribuiscono al 6,1 per cento del prodotto interno lordo dello Stato. A questi vanno aggiunti, poi, un altro mezzo milione di persone ancora non in regola con il permesso di soggiorno.

Di queste problematiche si è discusso ieri alla sede perugina della Camera del lavoro, teatro di un’assemblea che ha visto la partecipazione del segretario provinciale della Cgil, Mario Bravi, del responsabile delle politiche dell’immigrazione del sindacato, Franco Selis, degli assessori Tiziana Capaldini e Giuliano Granocchia, di Rossano Rubicondi, responsabile dello sportello immigrazione Cgil e di tanti cittadini stranieri. La situazione provinciale, è stato sottolineato, supera quella nazionale, dove la presenza di immigrati si ferma a quota 8 per cento.

Nel perugino (con circa 58mila regolari, la media si attesta al nove per cento. Con dei picchi ancora più alti. "Nella zona compresa tra Corciano, Bastia, Umbertide e Marsciano - ha precisato Bravi - questa percentuale si alza ulteriormente, fino al 10 per cento. Il picco massimo si registra a Fossato, dove si raggiunge addirittura il 15 per cento di manodopera immigrata" Tra i settori più interessati da questa presenza, a spiccare su tutti è quello delle costruzioni. Il 48 per cento degli iscritti alla Cassa Edile di Perugia sono immigrati. Altro comparto dalla significativa incidenza straniera, quello dei lavori domestici.

A riguardo, il sindacato ha in cantiere il progetto, insieme al Comune, di stilare una lista delle badanti presenti nel territorio, così da farle èmergere dal nero e difenderne i diritti. Sono, infatti, i lavoratori stranieri quelli ai quali vengono affidati i compiti e le mansioni più ingrate e pesanti. "Non è un caso - sempre Bravi - che protagonisti sfortunati di incidenti e di morti bianche siano sempre più spesso cittadini stranieri".

Altro capitolo, quello delle difficoltà e delle lungaggini alle procedure per il permesso di soggiorno. "Siamo costretti - ha attaccato Rubicondi - a informare quelle strutture, come l’apposito ufficio della Questura, lo sportello unico per l’immigrazione o i consulenti di lavoro delle aziende, che dovrebbero, a loro volta, fornire informazioni. Fanno, invece, una vasta campagna di disinformazione, con indicazioni sbagliate e relative perdite di tempo". "Siamo preoccupati - ha evidenziato Selis - a causa del brusco stop inflitto al decreto legge Amato - Ferrero. La Bossi - Fini va assolutamente modificata. Questo è un punto cruciale che sottoponiamo alla varie forze politiche impegnate in campagna elettorale".

Immigrazione: non fate l’elemosina ai bimbi-mendicanti...

 

Il Messaggero, 17 marzo 2008

 

"Invitiamo i fedeli a non dare offerte. Si rischia di regalare soldi al racket e di non aiutare i poveri, questa non è carità", i sacerdoti cremonesi hanno approvato un documento della Caritas che sconsiglia di dare soldi ai mendicanti che si mettono davanti ai portoni delle chiese, spesso con dei bambini, per "sfruttare" il flusso dei fedeli e il sentimento di "compassione".

Così, nella diocesi di Cremona, ieri sono stati distribuiti dei volantini per mettere in guardia da chi chiede l’elemosina perché è "vittima" e al tempo stesso "strumento" del racket. L’elemosina, dunque, è un gesto sbagliato? Di per sé no, ma rischia di diventarlo. Trafficanti senza scrupoli fanno mercato della povertà, toccano i sentimenti della gente e ingannano la buona fede con sistemi di sfruttamento che riducono in "schiavitù" donne, anziani, malati, e bambini.

In Italia sono 50 mila i bambini costretti a mendicare, sono soprattutto rom di età compresa tra i 2 e i 12 anni, costretti all’accattonaggio anche con metodi molto duri. La stima è dell’Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia. Il Lazio è una delle regioni con il più alto numero di piccoli mendicanti, circa 8 mila. Intanto ieri a Olbia una romena di 24 anni è stata arrestata dai carabinieri perché obbligava i figli di 3 e 5 anni a chiedere l’elemosina agli incroci stradali per più di sei ore al giorno e con qualsia-si condizione climatica.

"Meglio fare vera carità sapendo chi sono i destinatari", dicono i sacerdoti cremonesi d’accordo con Caritas, Migrantes e l’associazione di San Vincenzo. I parroci della diocesi hanno poi diffuso un documento nel quale hanno dato consigli per assistere "chi è davvero bisognoso". Poco più di un mese fa la stessa cosa era accaduta a Monza.

I sacerdoti del Duomo avevano invitato i fedeli a non fare più la carità ai mendicanti, ma semmai a dare le proprie offerte alla Caritas. Ogni volta interventi di questo genere scatenano polemiche, ma il fenomeno dell’accattonaggio pilotato dai trafficanti è sotto gli occhi di tutti. I "mendicanti vietati", comunque, diventano un dilemma nella coscienza di molti. "Però i tempi sono cambiati - fa osservare la Caritas -.

Non bisogna farsi vincere dall’emotività di quelle (finte) scene pietose perché dietro c’è lo sfruttamento. Il fenomeno dell’accattonaggio va combattuto, non si possono chiudere gli occhi su forme di questo genere". "La vera carità è un’altra", in passato lo ha detto più volte anche don Guerino Di Tora, erede di don Luigi Di Liegro, alla guida della Caritas diocesana di Roma.

Occorre educare sia i mendicanti che i fedeli, i primi perché accettino di farsi aiutare dai servizi e i secondi perché capiscano che non ci si può limitare a fare l’offerta fuori dalla chiesa". E nasce un dibattito. Qual è la carità? Nel mondo contemporaneo è possibile limitarsi agli spiccioli? O non si deve invece pensare a percorsi di inserimento? Ci sono associazioni, servizi, centri di ascolto.

Non per selezionare, ma per far arrivare nelle mani di chi ha bisogno i frutti della solidarietà. Insomma, dare qualche euro al nomade davanti alla chiesa o davanti al supermercato non è carità. Anche se don Vinicio Albanesi, fondatore della Comunità di Capodarco, invita ad avere qualche cautela: "Non me la sento - dice - di dire no alle elemosine. Si tratta sempre di situazioni disperate. Però capisco che il problema va risolto a monte".

Iraq: la polizia rilascia 400 detenuti di Baghdad e Falluja

 

Ansa, 17 marzo 2008

 

Quattrocento detenuti, in 24 ore arrestati con l’accusa di "attività terroristica", sono stati rilasciati dalle autorità militari Usa e dalla polizia irachena a Baghdad e Falluja (55 km. a ovest della capitale). Lo ha riferito l’agenzia irachena Aswat al-Iraq. Citato dall’agenzia, il generale Douglas Stone, responsabile delle carceri militari Usa in Iraq, ha precisato che trecento detenuti sono stati rilasciati stamani dal Carcere Crooper nei pressi dell’aeroporto internazionale di Baghdad.

Dopo l’odierno rilascio, ha ancora precisato il generale Stone, nelle carceri militari Usa in Iraq restano 23mila 400 detenuti, settecento dei quali dovranno essere a loro volta rilasciati, al ritmo di 60-70 al giorno, nel quadro dell’ amnistia generale approvata dal Parlamento iracheno. A Falluja, per il secondo giorno consecutivo e sempre nel quadro dell’amnistia, la polizia irachena ha rilasciato stamani un gruppo di cinquanta detenuti, che vanno ad aggiungersi ai cinquanta già rilasciati ieri.

 

 

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