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Giustizia: chi è Angelino Alfano, il nuovo ministro Guardasigilli
www.radiocarcere.com, 8 maggio 2008
Angelino Alfano è il nuovo Ministro della Giustizia. Siciliano, 38 anni, avvocato, dottore di ricerca in diritto dell’impresa. Nel 1994, dopo un’esperienza nella Dc, entra in Forza Italia. Nel 2001 è eletto deputato. Insomma un giovane, che si è già fatto le ossa in politica. Oggi il grande salto. La poltrona di via Arenula. Quella più scottante. Quella delle riforme invise ai magistrati. Quella delle carceri di nuovo sovraffollate. Saprà il giovane Ministro affrontare un incarico così gravoso? Solo il tempo darà una risposta. Intanto pare che Alfano sia persona gradita ai magistrati, soprattutto a quelli Siciliani. Dicono che sia una brava persona. Quanto basta. L’Anm parla di "disponibilità totale, senza preclusioni e senza volontà di contrasto". L’Unione Camere Penali ora tace, dopo aver denunciato una presunta interferenza della magistratura nella nomina del Ministro. Ma il criterio di scelta adottato da Berlusconi per la poltrona di via Arenula resta avvolto dal mistero. Perché ha scansato l’ipotesi Pera e ha optato per Alfano? Le malelingue dicono che dietro la nomina di Alfano ci sia lo zampino di Niccolò Ghedini. L’avvocato di Berlusconi. Che non potendo fare il Ministro della Giustizia ha fatto di tutto per far nominare una persona di sua fiducia. Angelino Alfano. Malelingue. Di fatto al nuovo Ministro spetta l’arduo compito di far funzionare la Giustizia e il sistema delle pene. Il vero banco di prova: la politica giudiziaria del nuovo ministro.
La sua scheda biografica (da Apcom)
Laureato in giurisprudenza e dottore di ricerca in diritto dell’impresa, avvocato, ha iniziato la sua esperienza politica con la Democrazia Cristiana, per la quale è stato, tra l’altro, Delegato Provinciale del Movimento Giovanile di Agrigento. Nel 1994, a seguito del frazionamento della Democrazia Cristiana, decide di aderire al neonato partito Forza Italia, che vincerà le elezioni politiche del 27 e 28 marzo. Deputato all’Assemblea Regionale Siciliana nella XII legislatura, viene successivamente eletto alla Camera dei deputati nel 2001, vinte dalla coalizione di centrodestra, assumendo l’incarico di vicepresidente del Comitato per la Legislazione, nella prima circoscrizione proporzionale della Sicilia. Dal 2005 è coordinatore regionale di Forza Italia in Sicilia. Nelle 2006, che vedono andare al Governo le forze di centrosinistra, Alfano è rieletto alla Camera dei deputati (XV Legislatura) nella circoscrizione XXIV (Sicilia 1), e aderisce al Napoli Club Montecitorio. Nel gennaio 2008, in occasione della festa per i 70 anni di Adriano Celentano, è fra i venti onorevoli che incidono per beneficenza un disco con i successi del cantante milanese. È successivamente rieletto deputato nazionale alla Camera dei Deputati alle elezioni politiche del 13 e 14 aprile 2008, con il Popolo della Libertà. Dal 7 maggio 2008 è ministro della giustizia del governo Berlusconi IV. Non ha pendenze. Solo un bacio dato per sbaglio a un boss mafioso di Palma di Montechiaro, Croce Napoli, incontrato alle nozze della figlia poco prima che morisse. "Non sapevo chi fosse e alle nozze era stato invitato dallo sposo", si è difeso Alfano. Il video del bacio fu acquisito dalla Procura. Giustizia: la destra, la sinistra, e l’arte di coltivare la paura…
Fuoriluogo, 8 maggio 2008
"La festa è finita: riempiamo le celle", annuncia trionfante Roberto Castelli, indimenticato ministro della Giustizia leghista. Evidentemente, nessuno lo ha avvisato che le galere sono già strapiene: 52.686 detenuti per 43.068 posti. Ma forse il sogno, reso vicino e possibile dai risultati elettorali, è di ridare vita a Dike Aedifica Spa e di richiamare in servizio l’amico Giuseppe Magni per costruire tante belle, nuove e costose prigioni. Per Letizia Moratti, pure galvanizzata dalle urne, invece bisogna ricostruire i Centri di detenzione per immigrati, i famigerati Cpt, che sarebbero stati "smantellati" dal governo di centrosinistra. Evidentemente, la sindaca di Milano è rimasta l’unica a credere che l’esecutivo Prodi abbia tenuto fede al suo programma di governo. Forse distratta dall’assegnazione dell’Expo 2015, che sfamerà tanti appetiti, non si è accorta che i Cpt funzionano a pieno regime e che, anzi, pure le coop "rosse" si sono prestate a gestirli. Pecunia non olet. Del resto, ora usa dire che la repressione e la sicurezza non sono né di destra né di sinistra. Tanto che anche nella democratica Bologna si è dato il via a ronde di volontari che supporteranno le forze dell’ordine. Ce n’era evidentemente bisogno, dato che, come noto, in Italia c’è il record mondiale per numero di forze di polizia e per numero di addetti alla sicurezza. Ma questo è il Vento del Nord, che spira impetuoso. Inseguire la Lega sul suo terreno è l’imperativo che pare essersi dato il Centrosinistra dopo la batosta elettorale. Che quel terreno, oltre che incivile, sia infido e del tutto improduttivo e controproducente rispetto agli stessi obiettivi dichiarati, non pare interessare il partito di Veltroni. E neppure vengono ascoltati gli ammonimenti dei più avvertiti, come il sindaco Pd Sergio Chiamparino: "se si coltiva troppo la paura appaiono inevitabilmente i fantasmi". Fantasmi che rischiano di trasformare il prossimo futuro in un incubo orwelliano, una sconfitta elettorale in una resa senza condizioni. Giustizia: troppi detenuti stranieri sono in attesa del processo di Gaetano Quagliariello
www.radiocarcere.com, 8 maggio 2008
Quando i problemi emergenziali e i problemi strutturali arrivano a sovrapporsi, addirittura a confondersi fin quasi a coincidere, la ricerca delle relative soluzioni si fa più ardua e richiede un surplus di responsabilità. È esattamente quanto sta accadendo a proposito della questione carceraria. Perché se da un lato la momentanea boccata d’ossigeno concessa dall’indulto ha prodotto qualche miglioramento, destinato tuttavia ad estinguersi con il progressivo esaurirsi degli effetti della misura di clemenza, dall’altro non servirebbe a nulla nascondere la polvere sotto il tappeto, e sottacere il fatto che nelle stesse strutture penitenziarie nelle quali le sezioni penali sono tornate ad essere più o meno vivibili, le celle destinate ai detenuti in attesa di giudizio risentono invece del disumano sovraffollamento dovuto all’abnorme afflusso degli immigrati irregolari nei confini italiani. Quando si parla di emergenza carceraria, dunque, è necessario affrontare i nodi all’origine del problema, altrimenti si finisce per rincorrere la contingenza senza porre le basi affinché in futuro le condizioni drammatiche che hanno convinto il Parlamento a varare l’indulto non si ripetano. Di questo mi sono particolarmente convinto in seguito ad una recente visita al carcere di Pisa, a lungo sotto i riflettori a causa di un ospite "eccellente" e poi improvvisamente sparito dalle attenzioni dei parlamentari e della grande stampa nonostante la presenza di strutture di assoluto interesse come il Polo Universitario e un eccellente Centro Clinico. A Pisa ho constatato con i miei occhi quanto suggerito dalla logica e confermato dalle statistiche: la coesistenza, nella medesima struttura penitenziaria, di una sezione penale assolutamente vivibile (anche grazie all’indulto) e di una sezione giudiziaria - quella che ospita i detenuti in attesa di giudizio - strozzata da un drammatico sovraffollamento che nessun piano edilizio, pur necessario, potrà mai risolvere se non ci si deciderà ad affrontare il problema alla radice. Quel che accade a Pisa, infatti, accade quasi dappertutto. E quasi dappertutto i funzionari e gli operatori che nei penitenziari lavorano giorno e notte si trovano alle prese con una popolazione carceraria che per la maggior parte è composta da extracomunitari, per la maggior parte irregolari, per la maggior parte in attesa di giudizio dopo aver commesso i tanti, troppi reati che alimentano quella sacrosanta richiesta di sicurezza e rigore da parte dei cittadini che difficilmente consentirebbe in queste temperie di affrontare un altro delicatissimo nodo strutturale: quello della diversificazione delle pene. Rispetto ad essa, quello che potrebbe piuttosto servire sarebbe dar seguito a quanto aveva iniziato a fare il ministro Castelli: stipulare accordi con i Paesi extracomunitari affinché gli immigrati possano scontare le pene nei Paesi d’origine. I primi passi in questa direzione, soprattutto per quel che riguarda l’Albania, erano stati mossi. Sarebbe il caso di riprendere questo percorso. Quando tutto il Vecchio Continente, a cominciare dai Paesi governati della sinistra, chiude i rubinetti dell’immigrazione mentre in Italia le maglie si allargano; quando in Europa non esiste una seria politica che aiuti gli Stati a gestire i flussi migratori e per tutta risposta il governo italiano spalanca indiscriminatamente le sue porte per soddisfare la sua anima più radicale, non c’è indulto che tenga. Nelle sezioni in cui i detenuti extracomunitari aspettano le sentenze dei magistrati l’indulto ha fallito prim’ancora di entrare in vigore. E anche gli interventi assolutamente necessari sull’edilizia carceraria non possono essere risolutivi. Non c’è dubbio, infatti, che di penitenziari ce ne vogliono di più. Non dobbiamo dimenticare che rispetto agli abitanti la popolazione carceraria in Italia è la più bassa d’Europa. Eppure sta "stretta". Ma affinché le nuove carceri servano davvero a qualcosa, bisognerebbe adoperarsi affinché non siano destinate a riempirsi di nuovo nel volgere di poco tempo. Vorrei infine che nell’accostarsi ad un universo complesso come quello carcerario non ci si dimenticasse mai dell’altra faccia della luna. E cioè di tutto il personale, di ogni ordine e grado, dal quale dipende direttamente la sopravvivenza stessa delle strutture di pena e la spesso difficile gestione dei detenuti che le popolano. Preoccuparsi della qualità di vita, del trattamento economico, dell’adeguata turnazione, dell’ampiezza degli organici dei funzionari e dei dipendenti che lavorano all’interno dei penitenziari è almeno altrettanto importante dell’attenzione prestata all’edilizia e alle condizioni dei carcerati. Questo è bene non dimenticarlo mai. Giustizia: Anm; se funzionasse, dove metteremmo i detenuti? di Luigi Ferrarella
Corriere della Sera, 8 maggio 2008
"Disponibilità totale, senza preclusioni e senza volontà di contrasto, all’individuazione di seri interventi che almeno comincino a porre rimedio al disastro della giustizia": ai primi 100 giorni del neoministro Alfano la manifesta l’Associazione Nazionale Magistrati, che però con il suo Presidente Simone Luerti (come Alfano laureato alla Cattolica di Milano) avverte: "La giustizia è una delle funzioni primarie dello Stato, sarebbe incongruente uno Stato che non si curasse della giustizia ma si preoccupasse troppo e solo dei suoi magistrati".
Cosa siete disposti, in chiave autocritica, a rivedere? "Anche la magistratura deve migliorare la risposta che offre ogni giorno alle esigenze di giustizia dei cittadini: responsabilità e professionalità devono qualificare l’indipendenza e il lavoro dei magistrati. Ma per aiutare questo percorso bisogna stabilire e affrontare alcune priorità".
Già, ma cosa è priorità? "Una questione è vitale al Sud come al Nord: tornare a poter coprire gli organici di molte sedi disagiate con i magistrati di prima nomina".
Ma una norma dell’ordinamento Mastella vieta loro per 4 anni di fare il pm o il giudice penale monocratico… "Questa norma troppo rigida va resa elastica per adattarsi alle necessità degli organici delle sedi disagiate. Poi è indispensabile colmare i vuoti nel personale amministrativo anche con nuovi concorsi. È urgente rivedere la geografia giudiziaria, cioè la coerenza della distribuzione di Procure e Tribunali rispetto agli attuali volumi urbani, economici e "criminali". E poi, riformare il sistema delle notifiche per aumentare la funzionalità del servizio e abbatterne i costi".
Notifiche ai legali via posta elettronica certificata? "Qui sarà fondamentale la collaborazione degli avvocati, che come categoria dovrebbero volersi fregiare di questo sigillo di professionalità".
Però dietro i processi che saltano e le scarcerazioni per decorrenza dei termini non c’è solo la burocrazia, ma talvolta anche l’inaccuratezza del magistrato… "Bisogna distinguere. Ci sono scarcerazioni dovute a gravi e colpevoli omissioni: e anche i magistrati, compresi i loro capi, ne devono rispondere. Ma in uno dei più recenti casi, l’imputato detenuto conosceva tutti gli atti notificatigli, uno dei suoi legali pure, e solo il secondo non aveva ricevuto per errore la notifica".
Vero, ma finché questa è la normativa... "Certo, ma mentre fa scandalo l’errore (magari incolpevole) del magistrato, non fa scandalo che ormai tutti vivano immersi in una cultura insensibile al vero, e non si chiedano che senso abbia invocare un vizio formale al quale non è ricollegata la tutela di alcuna garanzia sostanziale".
La sicurezza ha dominato la campagna elettorale, ed è probabile che il governo estenda a molti reati la custodia in carcere obbligatoria. Al netto di isterie, non è anche il segno di una sfiducia nelle prassi dei magistrati? "Norme troppo rigide creano sempre problemi perché la realtà è più complessa. Però è innegabile che, quando si fa cattivo uso della discrezionalità, questa venga tolta. Occorrerà verificare nel contempo la costituzionalità di nuove norme e la loro sostenibilità carceraria. Perché un paradosso, per onestà, va indicato. Ci si lamenta giustamente che il sistema sia lento e inefficace. Ma se funzionasse appena il 30% in più, non si saprebbe dove mettere i detenuti. Bisogna costruire nuove carceri, ma anche rivalutare la funzione rieducativa della pena attraverso il lavoro per abbattere la recidiva. Il carcere è un passaggio necessario, non può essere l’unica risposta dell’ordinamento".
Ma tutti questi interventi costano. E soldi non ce n’è… "Costa avviare le riforme, ma costa molto di più non farle. Se la giustizia è risorsa scarsa, allora bisogna non sprecarla: durata e costi del processo vanno abbinati sviluppando una mentalità di gestione economica della giustizia".
E se invece le priorità del governo fossero altre? Per esempio un’Alta Corte per il disciplinare dei magistrati? "Non abbiamo dogmi o tabù. L’attuale modello non è necessariamente l’unico, si possono pensare forme più efficaci. A patto che non violino surrettiziamente l’indipendenza dei magistrati".
Le intercettazioni? "Il nostro sistema è già uno dei più garantiti in Europa. L’unico vero problema è la loro pubblicazione, e siamo favorevoli a una legislazione più restrittiva sul punto".
Separazione pm-giudici? "Non la ricordo scritta in alcuno dei programmi elettorali delle coalizioni". Giustizia: per i magistrati troppe ferie e poca responsabilità di Guido Calvi
www.radiocarcere.com, 8 maggio 2008
Ogni qualvolta si affronta il tema della giustizia inevitabilmente l’argomento della crisi diviene il punto di partenza. Crisi non modesta ma di sistema, che trova origine non nella situazione attuale ma accompagna da sempre lo stato della giustizia nel nostro paese. È una crisi, direi ontologica, dalla quale sembra difficile uscire. Eppure i rimedi per quanto complessi sono di non difficile individuazione. Ciò che è mancato è stata la capacità politica di realizzarle dopo un confronto parlamentare sereno e libero da preconcetti. Un esempio chiaro è quanto avvenuto nella scorsa legislatura ove nessuna legge di rilievo, ad eccezione dell’ordinamento giudiziario, è stata varata. Ed allora che fare? I magistrati che sono intervenuti nel dibattito aperto dal Riformista hanno proposto una lunga serie di riforme. Tutte condivisibili ma non sufficienti. Non è possibile riformare istituti e regole processuali senza prima (o contemporaneamente) affrontare il tema dei soggetti che operano nel processo: avvocati e magistrati. La riforma dell’ordinamento professionale degli avvocati è stata già presentata nella scorsa legislatura in un disegno di legge che vede la firma dei rappresentati di tutti i gruppi parlamentari. Quindi è una riforma che può trovare una rapida approvazione. Più complesso è il problema dei magistrati. Certamente la tutela dell’autonomia e dell’indipendenza è un valore imprescindibile. Tuttavia esso non può non essere coniugato con i temi dell’efficacia ed efficienza dei lavoro dei magistrati e del controllo che su questi deve essere effettuato. Le soluzioni da prospettare sono molte ma due appaiono prevalenti: la riforma delle circoscrizioni e il potenziamento degli organi di controllo sui magistrati. L’Italia, contrariamente a quanto si crede, investe sulla giustizia più o meno quanto i maggiori paesi europei ed ha un numero di magistrati quasi pari a quelli della Francia e della Germania. E allora occorre domandarsi perché in Italia i processi durano mediamente sette anni mentre altrove i processi durano un tempo infinitamente minore. Certamente vi è un problema di sistema processuale ma da solo questo non è ancora una ragione sufficiente. Occorre valutare con obiettività anche il lavoro dei magistrati. Solo per fare alcuni esempi: quarantacinque giorni di ferie, che facilmente possono essere raddoppiate, un calendario di due udienze settimanali, rara perentorietà dei termini processuali (si pensi allo scandalo dei tempi nel deposito delle sentenze). E infine la sostanziale irresponsabilità per gli atti compiuti. Insomma ci sarebbe molto da discutere e rivedere sulla valutazione del lavoro dei magistrati, al di là di quanto già previsto dall’ordinamento giudiziario. Si può intanto cominciare dalla riforma delle circoscrizioni. È assolutamente inaccettabile che vi siano uffici giudiziari con responsabilità e carichi di lavoro assai elevati, si pensi ai Tribunali siciliani, mentre altri uffici sono talvolta pressoché privi di lavoro. In Piemonte vi sono ancora diciassette tribunali e nove sezioni distaccate; due provincie con quattro tribunali ciascuna: cioè nulla è cambiato dai tempi del regno sabaudo. Uno scandalo! La redistribuzione dei magistrati sul territorio è la prima forma di razionalizzazione del lavoro di ciascuno di essi, che consentirebbe una più ragionevole ripartizione dei carichi di lavoro. E quindi una maggiore efficienza ed efficacia del sistema giudiziario. L’ostilità verso questa riforma sarà pressoché unanime: sindaci, parlamentari, magistrati e avvocati, personale amministrativo, avranno tutti ragioni per contrastare questa riforma ma un Parlamento consapevole delle proprie responsabilità non può più sottrarsi a questo problema. Vi è poi la questione della responsabilità del magistrato e dell’efficacia dei controlli. Malgrado l’impegno della Sezione disciplinare del Csm, vi è una larga insoddisfazione in relazione alla capacità di controllo sulla produttività e sulla qualità professionale dei magistrati. Il cittadino ha la sensazione di essere spesso soggetto a provvedimenti irragionevoli e ingiusti e, benché poi questi possano essere corretti in altri gradi di giudizio, il danno ormai prodotto rimane quasi senza alcuna censura. La carenza di professionalità non può essere soltanto un argomento sulla progressione di carriera ma deve trovare nell’organo di autogoverno un momento sanzionatorio. Sebbene il nuovo ordinamento abbia dato indicazioni in questa direzione è tuttavia evidente che allo stato il Csm, per quanto apprezzabile sia l’impegno profuso, non sembra in grado di assolvere in modo compiuto a questo suo compito. È chiaro che se dovesse permanere tale situazione si fa sempre più pressante una richiesta di istituire una sezione disciplinare esterna al Csm, così come aveva già proposto la Commissione Bicamerale nella XIII legislatura. A ciò si aggiunga che la legge sulla responsabilità dei magistrati ha tradito lo spirito del referendum poiché ha circoscritto la responsabilità del magistrato solo alle ipotesi di condotta contraddistinta da dolo o colpa grave. Non si comprende e non è accettabile che un chirurgo debba rispondere anche per semplice omissione o colpa lieve mentre il magistrato ne è esentato. È una questione ingiusta e ingiustificabile che spesso produce arroganza e certezza di impunità. Nel cittadino si genera una sfiducia nei confronti della magistratura come rivelano tutti i sondaggi e ciò non è solo un danno per i cittadini e per la magistratura ma è un danno per il nostro sistema democratico. Giustizia: - reati e + denunce, per 70% è "allarme sicurezza" di Guido Ruotolo
La Stampa, 8 maggio 2008
Gi sono due dati nel rapporto Istat che colpiscono: nel contesto europeo l’Italia è uno dei Paesi più sicuri per numero di omicidi commessi (10 omicidi per milione di abitanti nel 2005. Media europea: 14 omicidi). Ma aumentano le denunce dei delitti: 44 ogni mille abitanti, il 15% in più rispetto al 2002. Naturalmente anche l’Istat conferma che la percezione della sicurezza rimane il vero problema per gli italiani: oltre la metà, il 58%, si dichiara preoccupata per la criminalità. Ma qui c’è un dato nuovo, significativo. Nell’immaginario collettivo (ma anche tra i politologi) si è sempre sostenuto (anche per spiegare la vittoria della Lega) che il tema della sicurezza (che si porta dietro quello dell’immigrazione clandestina) è avvertito soprattutto al Nord. L’Istat smentisce questo dato: il tema sicurezza è più sentito nel Mezzogiorno (61%), segue il Nord-Ovest (60%). Proprio nel giorno in cui l’Istat pubblica "100 statistiche per il Paese, indicatori per conoscere e valutare", un focus sull’Italia, capitolo importante quello sulla sicurezza (i dati di riferimento sono congelati al 2005), esce un sondaggio Swg per "Donna Moderna": 7 italiani su 10 ritengono che la criminalità sia in aumento, 6 su 10 chiedono giustizia rapida e senza sconti, oltre la metà delle donne temono gli stupri. È vero, nonostante i numeri - non solo questi dell’Istat ma anche gli ultimi rapporti del Viminale - confermino un trend di diminuzione di certi reati (omicidi, scippi, furti di auto e nelle abitazioni) - mentre aumentano soprattutto i delitti commessi in famiglia -, il problema per l’opinione pubblica rimane quello della insicurezza. Su queste paure si è giocata anche la campagna elettorale, e lo ha ribadito ieri la segretaria dei Radicali, deputata Pd, Rita Bernardini: "Si è confusa ignobilmente la politica della sicurezza con quella della giustizia". Anche a Roma. Ieri il prefetto Carlo Mosca, al termine del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, presenti il sindaco Gianni Alemanno e il presidente della Provincia Nicola Zingaretti, ha fornito alcune cifre significative: per capirci, sono in forte diminuzione i furti. Negli ultimi due mesi del 2007 son stati 36.042, nei primi due mesi di quest’anno, 19.631. Raffronto: - 45%. Zingaretti ha voluto sottolineare questo aspetto: "Ognuno deve fare la sua parte. L’azione delle forze dell’ordine in questi anni è stata positiva, registriamo un calo dei delitti, dai 224 mila del 2006 ai 177 mila previsti per il 2008. Ma anche gli enti locali devono fare la loro parte, innanzitutto lavorando per combattere il degrado urbano". E il sindaco Alemanno: "Lo sforzo dev’essere legato a un’azione congiunta (enti locali e forze di polizia, ndr) contro l’illegalità diffusa e la criminalità di strada". Meno omicidi, spiega l’Istat, perché "diminuiscono gli omicidi della criminalità organizzata nelle regioni del Sud e delle Isole": Puglia dai 20 per milione di abitanti del 2000 agli 8 del 2005, Calabria da 41 a 34. Anche se poi è nel Mezzogiorno che si registrano la gran parte degli omicidi. A proposito dell’aumento delle denunce dei delitti, le regioni con un maggior incremento sono il Piemonte, la Lombardia, la Liguria, l’Emilia Romagna, la Toscana e il Lazio. Solo per appagare la curiosità: i Paesi europei dove si registra il maggior numero di omicidi sono la Lituania (118 per milione di abitanti); l’Estonia (83) e la Lettonia (55). Giustizia: Barbagli; paura nasce dai reati di cui si è testimoni
Affari Italiani, 8 maggio 2008
Gli italiani hanno paura. In una scala da uno a dieci, il termometro dell’insicurezza raggiunge otto. Il nostro paese si sente minacciato dalla criminalità, fenomeno trasversale che coinvolge tutta l’Italia da Nord a Sud. L’indagine condotta da "Donna Moderna" e pubblicata nel numero in edicola giovedì rivela infatti che il fenomeno che più spaventa le donne è senza dubbio lo stupro (57%) mentre il 41% degli uomini si sente minacciato dalle rapine in casa e il 31% dalle aggressioni per strada. Marzio Barbagli, sociologo dell’Università di Bologna e curatore del rapporto sulla criminalità 2007 e del recentissimo rapporto sull’immigrazione del ministero dell’Interno, dice: "Il sondaggio conferma quel che risulta da altre ricerche: la paura del crimine è molto alta e dipende dal numero di reati di cui si è testimoni e dalle situazioni di degrado e violazione delle regole di convivenza". Il sondaggio rivela che per gli italiani i problemi di sicurezza sono dovuti principalmente alla presenza di troppi clandestini (36%) ma per il 22% del campione anche la crisi economica contribuisce all’aumento della criminalità. Giustizia rapida e senza sconti (61%) con espulsione dei clandestini dal nostro paese (44%) sono le soluzioni che gli italiani considerano più efficaci ai fini della sicurezza. Il professor Barbagli commenta il fenomeno della criminalità clandestina: "Gli stranieri irregolari commettono 68 borseggi su 100, 51 rapine su 100, 32 omicidi su 100. Ed é vero che solo una parte degli immigrati sospettati di reati viene espulsa. Ma non si può dire che il problema della criminalità dipenda solo dagli stranieri. Ci sono cause tutte italiane, dalla mancanza di mezzi di polizia alla emarginazione sociale". Settanta intervistati su 100 pensano che la criminalità sia in aumento, è un dato che può essere considerato veritiero? "Impossibile dare una risposta secca: certi crimini sono diminuiti, altri sono in crescita" continua il professor Barbagli. "Dalla metà degli anni Novanta, le rapine denunciate sono più che raddoppiate. Crescono i borseggi e furti in appartamento. Mentre non è possibile dire una parola definitiva sulle violenze sessuali, anche se la preoccupazione è al massimo". Lettera: Lecce; 3 detenuti nel cubicolo, una cosa vergognosa
www.radiocarcere.com, 8 maggio 2008
Severino, dal carcere di Lecce, scrive a Riccardo Arena (Direttore di Radio Carcere). Carissimo Riccardo, ti volevo dire che l’altro giorno su un giornale locale hanno pubblicato una lettera di un detenuto che invitava gli altro a non votare chi non era contrario all’abolizione dell’ergastolo. Al di là del tema, non credi che si possa creare un movimento dei detenuti che faccia le proprie richieste elettorali? Oppure dobbiamo pensare che i nostri voti e quelli dei nostri familiari non valgono niente? Carissimo Riccardo, per quanto riguarda la vita qui nel carcere di Lecce ti dico che va sempre peggio. Ora in una cella minuscola, fatta per un solo detenuto siamo chiusi in tre. Tre detenuti dentro un cubicolo. È una cosa vergognosa. Noi cerchiamo di far finta di nulla, ma la nostra dignità è lesa ogni giorno. Costretti a stare chiusi in questo buco di cella per 22 ore al giorno. Costretti a muoverci a turno dentro la cella. Costretti a non avere un minimo di riservatezza, anche quando uno di noi va in bagno. Cerchiamo di far finta di nulla, cerchiamo di sopravvivere, ma non è questo il modo di trattare della persone anche se detenute come noi. La sensazione che abbiamo qui in carcere è che di noi detenuti possono fare quello che vogliono perché intanto nessuno pagherà mai per quello che combinano all’interno delle carceri. Ti mando un grande saluto Lettera: Nuoro; più che persone detenute siamo cose, oggetti
www.radiocarcere.com, 8 maggio 2008
Mimmo, dal carcere di Nuoro, scrive a Riccardo Arena (Direttore di Radio Carcere). Ciao Riccardo, anche se sono di Taranto come sai sono rinchiuso lontano dalla mia famiglia, qui nel carcere di Nuoro. Un carcere dove viviamo in condizioni a dir poco precarie. Siamo rinchiusi in celle fatiscenti, piccole e rovinate. Abbiamo in un angolo, e in bella vista, un cesso alla turca. Così, viviamo e siamo costretti a fare i nostri bisogni senza decoro o dignità. Per il resto qui manca quel minimo di rispetto della persona che anche in carcere dovrebbe esserci. Più che persone siamo cose, oggetti. Dobbiamo chiedere cose che ci spettano di diritto e come risposta troviamo l’indifferenza. L’indifferenza di una direzione che dice a parole vedremo, faremo, ma che poi nulla combina. Così ci mettiamo più di un mese a poter avere i soldi che ci arrivano dalle famiglie tramite vaglia postale. Oppure impieghiamo 10 o 15 giorni per poter leggere le lettere delle nostre mogli. Siamo ridotti al nulla e non possiamo fare neanche un po’ di attività sportiva, figuriamoci quella che chiamano attività rieducativa. In una condizione così vorremo solo non perdere la dignità di persone. Ma anche questo a Nuoro sempre impossibile. La colpa non è certo degli agenti penitenziari, che subiscono come noi le condizioni di vita di questo istituto, quanto della dirigenza. Per farti un esempio, noi non abbiamo un direttore fisso. A dirigere il carcere di Nuoro è la direttrice di Sassari che non può stare sempre qui. Ti rendi conto? È praticamente un carcere senza direttore! Le conseguenze di tutto questo sono tante, ma ti cito solo un esempio. In cella con me c’è un ragazzo nigeriano. Con la moglie, che sta agli arresti domiciliari, vivono a Sassari. Ora, è più di un mese che stiamo cercando di inviare dei soldi a questa donna per pagare l’affitto di casa e non ci riusciamo perché la direttrice non c’è. Intanto incombe lo sfratto. È solo un esempio dell’indifferenza che ti dicevo prima. Ora ti saluto e dal carcere di Nuoro un enorme grazie per darci voce al di fuori di queste sbarre. Lettera: Catanzaro; come possiamo costare 270 € al giorno?!
www.radiocarcere.com, 8 maggio 2008
Alfio, dal carcere di Catanzaro, scrive a Riccardo Arena (Direttore di Radio Carcere). Caro Arena, sono uno di quelli che in carcere ci dovrà stare tanto. O meglio per sempre. Sono uno di quelli condannato all’ergastolo. Il mio fine pena è mai. Qui nel carcere di Catanzaro è molto forte il sovraffollamento. Nelle celle comuni, fatte solo per un detenuto ce ne stanno tre. Io per fortuna, se così si può dire, essendo ergastolano sto in un diverso reparto e in cella siamo in due. Ti dico che rimango veramente stupito quando sento che un detenuto costa allo stato 270 euro al giorno. Stupito perché vorrei sapere come vengono spesi questi soldi in carcere visto che per mangiare ci danno una schifezza e che non ci sono neanche le medicine per noi detenuti. La domanda è: il resto dei soldi che spendono per noi detenuti, dove va a finire? Deve sapere che io sono senza denti. Per anni sono stato in carcere senza poter mangiare nulla di solido. Poi, anche grazie all’interessamento del Garante dei detenuti della Sicilia, l’on. Fleres, è venuto il dentista e mi ha fatto la dentiera. Il problema è che la parte di sotto non la riesco ad usare e di conseguenza mi trovo di nuovo senza denti. Ho fatto mille istanze al direttore del carcere di Catanzaro ma non riesco ad avere risposte. La ringrazio per avermi letto e per tutto quello che fa. Venezia: Antigone; detenuta incinta morta, assurdo e disumano
Dire, 8 maggio 2008
"È assurdo e disumano morire in carcere in stato di gravidanza. Ci indigna e dovrebbe indignare tutte le coscienze la morte di Flor Castello, detenuta venezuelana di 33 anni che era in carcere a Venezia nonostante fosse al sesto mese di gravidanza. Ha raggiunto l’ospedale ormai in coma e con il bambino morto in grembo". A raccontare questa storia è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione per la tutela dei diritti dei detenuti, che afferma come la donna "al giudice, pare, avesse raccontato di aver ingerito ovuli di cocaina per 1.400 euro che le servivano per mantenere gli altri due figli di 2 e 3 anni. Queste - prosegue - sono le storie degli immigrati che tanto ci fanno paura e sulla pelle dei quali si vincono e anche si perdono le elezioni". La vita umana, secondo il presidente di Antigone, "oramai non conta più niente. Una povera donna disperata incinta viene trattata come una criminale. Che senso aveva l’applicazione della misura cautelare? Quale pericolo per la società poteva costituire una donna incinta al sesto mese?". Per Gonnella, infine, "se si fosse privilegiato l’aspetto sanitario su quello punitivo oggi Flor Castello forse sarebbe viva, e con lei suo figlio, che certo non aveva alcun carico penale. Pretenderemo che si faccia piena luce sulle responsabilità in questo drammatico episodio". Roma: la Prefettura; a gennaio-febbraio reati calati del 42%
Dire, 8 maggio 2008
Tra gli ultimi due mesi del 2007 e i primi due del 2008, il numero dei delitti nel Comune di Roma è passato da 50.555 a 29.303 con una diminuzione del 42,04% (-16.411). Questi i dati forniti ieri dalla Prefettura della Capitale, nel giorno in cui il sindaco Gianni Alemanno ha parlato di una "svolta" nelle politiche sulla sicurezza nella prima seduta del comitato provinciale per l’ordine a cui ha preso parte insieme al presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti. I dati fanno riferimento al numero di violenze sessuali, furti, rapine e la produzione e lo spaccio di stupefacenti. Nel dettaglio: i furti sono scesi dai 36.042 ai 19.631, con una riduzione del 45,53 (a diminuire sono soprattutto i furti nelle abitazioni con un -54,59%). Anche i reati legati al traffico e al consumo di stupefacenti risultano in calo. Se, nell’ultimo bimestre del 2007, il totale era di 445 reati, nei primi due mesi del 2008 si sono fermati a 324 con una riduzione percentuale del 27,19%. In particolare, i delitti legati alla produzione e traffico sono scesi del 32,14%, quelli di spaccio del 22,26%. Forte riduzione anche per le violenze sessuali scese dalle 52 dell’ultimo bimestre 2007 a 26 del primo bimestre 2008, con un calo del 50%. Quelle sui maggiori di 14 anni sono risultate 20 nei primi due mesi del 2008 (-57,45%) sui minori di 14 anni il calo è stato del 66,67% (solo un caso nel periodo gennaio-febbraio 2008). Le rapine sono state nel totale 657 nei primi due mesi del 2008 (1.074 a novembre-dicembre 2007) con un calo del 38,83%. In particolare risultano diminuite le rapine in banca (da 53 a 16, - 69,81%) e quelle nelle abitazioni (da 53 a 22, con un calo del 58,49%). Le rapine in strada sono calate del 40,37% (da 493 nell’ultimo bimestre 2007 a 294 nei primi due mesi del 2008) e quelle negli esercizi commerciali sono passate da 238 a 153 (-35,71%). Roma: Alemanno; stiamo studiando le Ordinanze di Firenze...
Dire, 8 maggio 2008
Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, promuove le ordinanze sui lavavetri e contro la mendicità adottate dal Comune di Firenze: "Si è trattato di atti di grande coraggio, che al di là dell’aspetto amministrativo hanno segnato uno dei punti di svolta di questo periodo sul versante della sicurezza". Uscendo dal direttivo dell’Anci, riunito oggi a Roma, insieme al presidente dell’associazione nazionale dei Comuni nonché sindaco di Firenze, Leonardo Domenici, Alemanno spiega che "stiamo studiando" i provvedimenti "per vedere come realizzarli". In ogni caso il sindaco di Roma auspica che "dal punto di vista nazionale arrivino delle norme che lascino meno soli i sindaci a prendere queste decisioni in modo che non sia necessario fare delle ordinanze". Infine, Alemanno ha ribadito la necessità di "un decreto legge nuovo sulla sicurezza" nel quale "si ascoltino i Comuni sulle esigenze, anche rispetto a quelle che sono le attività di Polizia municipale e le difficoltà che s’incontrano giorno per giorno nella lotta al degrado". Venezia: via mendicanti e abusivi, tolleranza zero in Laguna
La Stampa, 8 maggio 2008
Da qualche parte bisogna pur cominciare: e con un’imprevista accelerazione Venezia decide di mettere ordine nella sua Piazza, tra le calli, sui ponti. Tutto in una settimana. Dopo il divieto di grano ai piccioni a San Marco scattato il primo maggio e ancora al centro di furiose polemiche tra le parti, e mentre sono in corso i blitz dei vigili guidati dal vicesindaco Michele Vianello contro i venditori abusivi, il sindaco Massimo Cacciari si prepara a firmare - lo farà domani - un’ordinanza per allontanare dalla laguna, ma anche dal Lido e dalla centrale piazza Ferretto di Mestre, i mendicanti. Il divieto di accattonaggio sarà rigidissimo e i vigili avranno l’ordine di non transigere: da 25 a 500 euro di multa a chi sarà sorpreso a chiedere l’elemosina. L’ordinanza, per la verità, era in bozza da quasi un anno; il momento per la firma ora è propizio non solo perché e alle porte la quota più consistente dei 20 milioni di turisti che ogni anno arrivano in città, ma anche perché si avvicina la "Settimana del decoro", con tanto di incontri educativi e rieducativi per cittadini e studenti, lavaggi straordinari, pulizia delle tracce lasciate da spray vandalici. Cacciari si è convinto a firmare dopo aver considerato che Venezia, rispetto per esempio a Roma o Parigi, ha un problema: non solo è piccola ma è tutta lì, intorno c’è l’acqua e dunque i percorsi sono obbligati. Per i mendicanti, veri o falsi (soprattutto falsi, come si scoprì un paio di anni fa arrivando a fotografarli mentre si preparavano alla questua sui ponti: si vedevano tredicenni sanissimi entrare in una specie di baracca e uscirne da perfette vecchiette storpie) è la città ideale: capire dove la gente passerà è automatico e i grandi, enormi numeri fanno il resto. L’iniziativa della giunta raccoglie il consenso della Caritas, che vede nell’ordinanza la leva che potrebbe scardinare il racket della questua; don Dino Pistolato, presidente della Caritas veneziana, ricorda che per le molte persone in difficoltà a Venezia e in terraferma sono operative (e funzionano anche bene) strutture di accoglienza; tutto il resto, che dal suo punto di vista è malaffare e sfruttamento prima che insulto al decoro, è tempo che venga estirpato. Intanto, continuano i blitz contro i venditori abusivi che quotidianamente espongono e cercano di vendere le loro merci sui ponti più affollati e nella calle più elegante e griffata della città. Il vicesindaco si è guadagnato, per questo, il grado di "sceriffo" tra quanti non apprezzano il metodo. E su questo fronte, un problema tutto veneziano viene sollevato dai residenti: il fuggi fuggi degli ambulanti con al seguito i fagotti con le mercanzie mette a rischio l’incolumità dei passanti. Scappando dai controlli, imboccano le strette calli e travolgono tutto quello che trovano: un paio di settimane fa due di loro hanno incocciato i bambini che uscivano da una scuola seminando il terrore, la scorsa settimana hanno fatto volare una vecchietta che è finita in ortopedia. Non basterà questo a fermare i controlli a sorpresa (anche questi, per altro, invocati da anni dai veneziani), mentre dall’impeto di decoro della giunta sta per arrivare un altro provvedimento, sia pure un po’ in ritardo rispetto ad altre città: anche Venezia avrà i distributori di sacchetti per raccogliere le deiezioni degli animali, cento distributori per 42 mila sacchetti arriveranno entro la prossima settimana. Forlì: Cgil; carcere nel dramma, sovraffollato e senza fondi
Romagna Oggi, 8 maggio 2008
La situazione della Casa Circondariale forlivese è ben oltre il limite di tolleranza, anzi si può parlare di allarme. I dati sono estremamente preoccupanti: 205 detenuti effettivi, contro una capienza regolare di 135 ed una tollerabile di 165. Mercoledì i Coordinatori nazionale e regionale dei penitenziari Fp Cgil, Francesco Quinti e Marco Martucci, hanno visitato la struttura. "Proviamo a trovare una soluzione", è l’affermazione di Quinti. Il nuovo carcere necessita ancora di parecchio tempo per poter diventare una realtà. E l’indulto? Il fatto è uno solo: 40 detenuti in più della capienza tollerabile. "Nelle celle singole vengono sistemati 2 detenuti - spiegano i delegati per la sicurezza del carcere - in quelle da 2 ce ne sono 4 o 5. Due letti a castello più un materasso a terra". Condizioni invivibili. Inoltre gli agenti penitenziari sono sovraccarichi di lavoro: dovrebbero essere 125, ma in servizio sono in 104, con turni di 6 ore che diventano sempre 8. Assunzioni bloccate. "Servirebbero più telecamere e sistemi di allarme - puntualizza Quinti - inoltre non esiste un mezzo blindato per il trasporto dei detenuti e a questo provvedono gli agenti, accollandosi tutti i rischi". Mancano i soldi. L’arrivo dell’estate non può che peggiorare la situazione: eventuali arresti in riviera potrebbero portare altri detenuti a Forlì, dove c’è l’unica sezione femminile. Inoltre a Ravenna il carcere è piccolo e a Rimini sono chiuse alcune sezioni. Enna: atelier dietro le sbarre… come fare impresa in carcere
Vivi Enna, 8 maggio 2008
Si può avviare una cooperativa con le detenute di un carcere nell’entroterra siculo? È questa la domanda che pone la giornata studio organizzata dalla Casa Circondariale di Enna il 13 maggio alle 9 e trenta, dal tema "Atelier dietro le sbarre. Come fare impresa in carcere?". Alla tavola rotonda parteciperanno il direttore del Carcere di Enna, Letizia Bellelli, Don Luigi Ciotti presidente dell’Associazione "Libera", Orazio Faramo, provveditore regionale degli Istituti Penitenziari Siciliani, Giovanni Pizzera, presidente del Consorzio CGM, Giovanni Romano, presidente della cooperativa l’Arcolaio, che produce a Siracusa biscotti tipici alla mandorla. L’incontro nasce dal un progetto, al quale la Casa Circondariale lavora da oltre 9 mesi, rivolto alle detenute che, guidate da una esperta, Ninni Fussone, sociologa con la passione per la lana e i tessuti, e una stilista Tamuna Kiria, hanno insegnato alle donne una tecnica antica per fare il feltro. Con la lana di Enna, ma non solo, quella grezza, colorata con piante tintoree, le detenute realizzano accessori di moda e di arredamento, corredini per neonati, coperte, cappelli, e tanti altri deliziosi oggetti. Nonostante le richieste da parte del mercato, il carcere ha ricevuto una serie di commesse dall’esterno, non essendo costituita una cooperativa di lavoro questi manufatti non possono essere venduti. "Tra i nostri obiettivi, come istituzione carceraria, c’è quello di favorire i percorsi che possano portare ad un completo inserimento dei detenuti - dice la direttrice Bellelli -. Ecco perché di fronte al talento che alcune delle detenute stano mostrando in questo progetto vogliamo capire se può esserci un futuro". All’incontro parteciperanno le detenute della sezione femminile coinvolte nel progetto. Crotone: squadra di football senza campo si allena in carcere
Il Giornale di Calabria, 8 maggio 2008
Il loro campo di allenamento è "ristretto" tra le mura del carcere di Crotone. Loro, però, non sono detenuti, ma i giocatori degli Achei, la squadra di football americano di Crotone, l’unica della Calabria, che milita nel campionato Arena-Fidaf. A causa della mancata assegnazione di una struttura sportiva adeguata per problemi burocratici da parte del Comune, infatti, gli Achei di Crotone entrano per due volte alla settimana, il martedì ed il giovedì, nella casa circondariale per utilizzare il campo di calcetto che la direzione ha messo a loro disposizione. Una disponibilità quella dell’Amministrazione Penitenziaria crotonese che si è rivelata fondamentale per le sorti della squadra di football americano che a Crotone esiste dal 1989. Se non fosse stato per l’attenzione dimostrata dalla direttrice del carcere, Maria Luisa Mendicino, e dal comandante della polizia penitenziaria di Crotone, Graziana La Ricchiuta, la squadra degli Achei, con buona pace degli enti locali, non avrebbe saputo dove allenarsi. Dopo le risposte negative sia del Comune che della Provincia di Crotone, la società, per motivi economici, non avrebbe potuto allenarsi in una struttura privata. Una volta identificati al cancello del carcere i giocatori degli Achei entrano nel centro sportivo "Milone", zona esterna a quella destinata ai detenuti, ma comunque limitata dalle alte mura del carcere, controllata da una torretta di guardia, e circondata da alte sbarre. Una struttura ben fatta, con spogliatoi confortevoli, inaugurata qualche mese fa con una partita di calcio alla quale hanno preso parte anche alcuni giocatori del Crotone. Certo per il football non è adeguata, ma meglio di niente. "Perché il carcere? - prova a spiegare anche il coach Giorgio Di Lorenzo - Primo perché è una struttura di buon livello nella quale è stato investito molto e perché il comandante ha davvero preso a cuore la nostra situazione. Noi ci alleniamo lì senza problemi e grazie alla disponibilità della direzione del carcere possiamo affrontare le partite ben preparati ottenendo anche risultati pregevoli come il successo in trasferta a Palermo". Palermo: medico arrestato, fece centinaia sms hard a 13enne
La Repubblica, 8 maggio 2008
Emergono nuovi pesanti elementi contro Carlo Marcelletti, da ieri ai domiciliari con le accuse di truffa e pedo-pornografia. Ci sarebbero centinaia di sms e mms a luci rosse scambiati l’estate scorsa tra il cardiochirurgo e una ragazzina, tredicenne, figlia di una sua amica, intercettati dagli inquirenti che indagavano sul professionista. Il medico si sarebbe fatto passare per il proprio figlio facendole credere di essere molto più giovane, quasi suo coetaneo, per poi rivelare la propria identità. La ragazzina (che usava il cellulare della madre) è stata ascoltata in procura, alla presenza di una psichiatra, e ha confermato tutto. In base a questi nuovi elementi la procura e il gip di Palermo hanno avviato le procedure per l’intervento del tribunale dei minorenni nella vicenda di Marcelletti. I magistrati minorili stanno adesso valutando il comportamento dei genitori della tredicenne, appartenente alla Palermo-bene, con cui Marcelletti avrebbe avuto rapporti. Secondo il giudice la madre, che era a conoscenza dello scambio di sms e mms erotici tra il cardiochirurgo e la figlia, non sarebbe idonea a educare la ragazzina. Il tribunale potrebbe quindi decidere che venga tolta alla famiglia e affidata a un istituto. La decisione è attesa nei prossimi giorni. Gli sms erano stati inviati a commento di altri messaggi-video, gli mms, spediti e letti in precedenza, e dal contenuto che in ambienti investigativi viene definito "inequivocabile". Gli inquirenti avevano messo il cellulare del medico sotto controllo per le vicende riguardanti gli appalti e le operazioni effettuate in regime "intramoenia" e si sono imbattuti in messaggi di ben altro tipo. Secondo quanto si è appreso, l’intercettazione degli mms non sarebbe stata autorizzata dal gip e il loro contenuto è stato ricostruito grazie ai successivi sms di commento. Sebbene non abbia ritenuto di dare l’autorizzazione a intercettare gli mms, il gip Pasqua Seminara aveva ipotizzato l’accusa di violenza sessuale. Ma la possibilità di aggravare le accuse spetta ai pm Fabrizio Vanorio e Caterina Malagoli, che hanno ritenuto di non esercitarla. I due rappresentanti della procura hanno intanto fatto ricorso al tribunale del riesame contro il mancato arresto in carcere di Marcelletti, al quale il gip, nonostante la richiesta dei pm, ha concesso i domiciliari. Il cardiochirurgo sarà sottoposto domani alle 16 al primo interrogatorio e i suoi legali sono certi che potrà dimostrare rapidamente la sua totale estraneità a tutte le accuse. Intanto Marcelletti è stato sospeso dall’incarico di direttore dell’Unità operativa di cardiochirurgia pediatrica dell’ospedale civico di Palermo. Una procedura obbligata, sottolinea l’azienda ospedaliera, quando viene applicata una misura cautelare. Ma i genitori dei piccoli pazienti del reparto di cardiochirurgia sono increduli di fronte all’arresto del medico che fino a ieri aveva in cura i loro figli. La fiducia è totale al punto che hanno deciso di esprimere la loro solidarietà a Marcelletti con una fiaccolata che dovrebbe partire domani sera proprio dall’ingresso del reparto di cardiochirurgia pediatrica dell’ospedale civico di Palermo. Immigrazione: su confini dell'Europa 12mila morti in 20 anni
Redattore Sociale, 8 maggio 2008
Più di 8.000 le vittime del Mediterraneo e dell’Atlantico. Soltanto nel Canale di Sicilia oltre 2.500 morti negli ultimi vent’anni per annegamento, incidenti stradali, soffocamento, schiacciati dal peso delle merci Sono 12.049 le morti ai confini dell’Unione europea di migranti e rifugiati, documentate dal 1988 ad oggi sulla stampa internazionale dall’osservatorio Fortress Europe. Nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico verso le Canarie sono annegate 8.351 persone. Metà delle salme (4.255) non sono mai state recuperate. Nel Canale di Sicilia tra la Libia, l’Egitto, la Tunisia, Malta e l’Italia le vittime sono 2.511, tra cui 1.549 dispersi. Altre 70 persone sono morte navigando dall’Algeria verso la Sardegna. Lungo le rotte che vanno dal Marocco, dall’Algeria, dal Sahara occidentale, dalla Mauritania e dal Senegal alla Spagna, puntando verso le isole Canarie o attraversando lo stretto di Gibilterra, sono morte almeno 4.127 persone di cui 1.986 risultano disperse. Nell’Egeo invece, tra la Turchia e la Grecia, hanno perso la vita 895 migranti, tra i quali si contano 461 dispersi. Infine, nel Mare Adriatico, tra l’Albania, il Montenegro e l’Italia, negli anni passati sono morte 603 persone, delle quali 220 sono disperse. Inoltre, almeno 597 migranti sono annegati sulle rotte per l’isola francese di Mayotte, nell’oceano Indiano. Il mare non si attraversa soltanto su imbarcazioni di fortuna, ma anche su traghetti e mercantili, dove spesso viaggiano molti migranti, nascosti nella stiva o in qualche container. Ma anche qui le condizioni di sicurezza restano bassissime: 146 le morti accertate per soffocamento o annegamento. Per chi viaggia da sud il Sahara è un pericoloso passaggio obbligato per arrivare al mare. Il grande deserto separa l’Africa occidentale e il Corno d’Africa dal Mediterraneo. Si attraversa sui camion e sui fuoristrada che battono le piste tra Sudan, Chad, Niger e Mali da un lato e Libia e Algeria dall’altro. Qui dal 1996 sono morte almeno 1.587 persone. Nel settembre 2000 a Zawiyah, nel nord-ovest della Libia, vennero uccisi almeno 560 migranti nel corso di sommosse razziste. Viaggiando nascosti nei tir hanno perso la vita in seguito ad incidenti stradali, per soffocamento o schiacciati dal peso delle merci 283 persone. E almeno 182 migranti sono annegati attraversando i fiumi frontalieri: la maggior parte nell’Oder-Neisse tra Polonia e Germania, nell’Evros tra Turchia e Grecia, nel Sava tra Bosnia e Croazia e nel Morava, tra Slovacchia e Repubblica Ceka. Altre 112 persone sono invece morte di freddo percorrendo a piedi i valichi della frontiera, soprattutto in Turchia e Grecia. In Grecia, al confine nord-orientale con la Turchia, nella provincia di Evros, esistono ancora i campi minati. Qui, tentando di attraversare a piedi il confine, sono rimaste uccise 88 persone. Sotto gli spari della polizia di frontiera, sono morti ammazzati 193 migranti, di cui 35 soltanto a Ceuta e Melilla, le due enclaves spagnole in Marocco, 50 in Gambia, 40 in Egitto e altri 32 lungo il confine turco con l’Iran e l’Iraq. Ma ad uccidere sono anche le procedure di espulsione in Francia, Belgio, Germania, Spagna, Svizzera e l’esternalizzazione dei controlli delle frontiere in Marocco e Libia. Infine 41 persone sono morte assiderate, viaggiando nascoste nel vano carrello di aerei diretti negli scali europei. E altre 23 hanno perso la vita viaggiando nascoste sotto i treni che attraversano il tunnel della Manica, per raggiungere l’Inghilterra, cadendo lungo i binari o rimanendo fulminati scavalcando la recinzione del terminal francese, oltre a 12 morti investiti dai treni in altre frontiere e 3 annegati nel Canale della Manica. Immigrazione: proteste a Bruxelles contro la direttiva sui Cpt
Redattore Sociale, 8 maggio 2008
In oltre mille, il doppio degli attesi, alla manifestazione organizzata dalla sinistra dell’Europarlamento e dalle Ong di sans papier contro l’imminente approvazione della direttiva per regolamentare detenzione amministrativa e rimpatrio. Dalla sinistra dell’Europarlamento e dalle Ong di sans papier e che si occupano di immigrazione è stato lanciato oggi un nuovo allarme per la probabile e imminente approvazione da parte del Parlamento Europeo di una direttiva per regolamentare e uniformare a livello comunitario le pratiche di detenzione amministrativa e rimpatrio dei migranti irregolari. Con una manifestazione tenuta nella piazza antistante la sede di Bruxelles del Pe, nel quale si sta svolgendo una seduta plenaria, oltre un migliaio di persone, provenienti soprattutto da Belgio e Francia e rappresentanti i sans papier, hanno gridato il loro ‘no!’ alla direttiva, che dovrebbe essere votata nel prossimo 20 giugno. A sostenerli anche vari europarlamentari, per lo più del gruppo della sinistra unitaria Gue-Ngl, tra cui Vittorio Agnoletto e Giusto Catania. Presente anche Filippo Miraglia dell’Arci. Redattore Sociale gli ha chiesto le sue impressioni sulla manifestazione e le motivazioni che spingono lui e gli altri oppositori della legge comunitaria a definirla "direttiva della vergogna". "La manifestazione è andata molto bene - racconta Miraglia - c’erano il doppio dei partecipanti che ci aspettavamo. Checché ne dica Weber (il relatore del Pe per la direttiva, cristiano democratico tedesco del Ppe, con cui Miraglia a altri hanno avuto un colloquio, ndr), che sostiene che seppur non perfetta la direttiva migliorerà la condizione dei migranti, secondo noi va respinta in toto. Infatti viene introdotta per la prima volta una sanzione amministrativa valida a livello comunitario, sdoganando questa pratica come strumento valido per il governo dell’immigrazione. C’è poi una controversia rilevante in quanto l’Europa si uniforma solo per le sanzioni ai migranti regolari, mentre è fallito ogni approccio comune per la migrazione economica, in cui le leggi nazionali differiscono ancora. Ovvero, l’Europa si è messa d’accordo sul criminalizzare gli irregolari e non su come farli entrare legalmente". La direttiva (riferimento Com 2005 391 final) propone un periodo di detenzione amministrativa che va dai 6 ai 18 mesi (per casi eccezionali), un divieto di reingresso nell’Ue di 5 anni e la possibilità di espellere il migrante irregolare verso il paese di transito. Secondo Giusto Catania è una direttiva disastrosa: "La possibilità di prolungare la detenzione fino a 18 mesi diventerà la norma, anche se per la direttiva dev’essere soltanto l’eccezione. In Italia infatti la detenzione nei Cpt può essere di uno o due mesi, ma tutti rimangono dentro sessanta giorni. Questa direttiva sarebbe poi un peggioramento, visto che si allungano i termini di detenzione. Il fatto di poter rinviare i migranti nel paese di transito rende poi il loro destino alquanto precario, soprattutto se pensiamo che molti passano dalla Libia, paese che non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra". Dice invece Agnoletto che è controverso il fatto che il Parlamento Europeo cinque mesi fa abbia votato un rapporto di condanna dei Cpt, e ora li promuova con questa direttiva. Il voto in plenaria è previsto per il 20 maggio. Il Ppe (centro destra) e le destre voteranno a favore, e si prevede un margine di vantaggio di oltre 100 voti. Il Pse (socialisti, che però avevano appoggiato la direttiva in un primo momento) e il resto della sinistra voteranno contro. L’ago della bilancia può essere in mano ai liberal-democratici dell’Alde, cui fanno parte anche esponenti della ex-Margherita, ora Pd. Come spiega Miraglia, "la speranza è che il liberali votino contro, in quanto l’accordo tra Pe e governi è stato raggiunto tramite il cosiddetto trilogo, ovvero fuori dall’aula parlamentare, scavalcando di fatto l’assemblea e piegandosi al volere dei governi". Il trilogo è un tipo di accordo preso direttamente tra un rappresentante dei governi e il relatore del Parlamento Europeo, con la mediazione della Commissione europea. È un modo di arrivare più velocemente a un accordo sulla legislazione da adottare. Se la direttiva venisse bocciata in plenaria si andrebbe in seconda lettura. Droghe: le cifre della galera ci parlano di 20 anni di fallimenti di Stefano Anastasia (Associazione Antigone)
Fuoriluogo, 8 maggio 2008
Non in Italia, certo, dove le discussioni pubbliche sulle politiche criminali e le scelte sanzionatorie si fanno ormai solo sotto botta di cronaca nera, sempre a chiedere più uno, secondo un antico vezzo dell’estremismo parolaio che ormai sembra essere appannaggio dei giornali e di forze politiche che si vorrebbero liberali e moderate; non in Italia, ma nel mondo che ci circonda si discute di alternative al carcere per i tossicodipendenti. L’ipotesi che va per la maggiore sembra essere quella di obbligare a percorsi terapeutici sin dal momento del giudizio i dipendenti da sostanze stupefacenti che altrimenti sarebbero condannati alla detenzione. Una ipotesi non nuova - a dire il vero - per l’esperienza italiana, che vale la pena quindi ripercorrere sommariamente, per individuarne opportunità e falle. In effetti, a ogni tornante repressivo, ad ogni giro di vite sui consumatori di sostanze stupefacenti, in Italia si è affacciato il tema delle alternative al carcere per i tossicodipendenti, secondo una caritatevole distinzione tra malati e criminali, gli uni meritevoli di cure, laddove gli altri siano meritevoli di pena. Così è stato al tempo, lontano, della legge Iervolino-Vassalli; così più recentemente con la sua modifica a opera di Fini-Giovanardi. Il bastone della pena alleviato dalla carota delle alternative terapeutiche per i malati. Funziona poi nei fatti questo modello binario? E in che direzione? Con l’entrata in vigore della legge Iervolino-Vassalli, l’affidamento in prova a finalità terapeutica si afferma come modalità punitiva specifica per i consumatori dipendenti da sostanze stupefacenti. Se all’indomani dell’approvazione della legge Gozzini (nel 1987) i tossicodipendenti affidati al Servizio Sociale sulla base di un programma terapeutico erano 245, nel 1991 sfiorano i mille, nel 1995 arrivano a 4.120, fino a raggiungere le 8.589 unità nel 1997. Da allora - nonostante il numero complessivo delle misure alternative alla detenzione (e specificamente quello degli affidamenti in prova al servizio sociale) vada ancora aumentando, accompagnando il sovraffollamento penitenziario - tra il 1999 e il 2006 (anno in cui l’indulto sconvolgerà le statistiche dell’esecuzione penale, rendendo non più comparabili le esperienze precedenti con quelle successive), il dato degli affidamenti terapeutici per tossicodipendenti va assestandosi al ribasso, tra i 6 e i 7mila casi seguiti annualmente. Andandosi a stabilizzare nel tempo, gli affidamenti in prova terapeutici concessi dalla libertà (quindi completamente alternativi alla pena detentiva) si collocano intorno al 75% dei casi pervenuti e seguiti durante l’anno dai centri di servizio sociale (poi uffici dell’esecuzione penale esterna) dell’Amministrazione penitenziaria; gli altri provengono invece dal circuito penitenziario. Dunque il nostro sistema (non solo e non tanto penitenziario, quanto socio-sanitario complementare) sembra attestarsi intorno a una ricettività di circa 6- 7mila tossicodipendenti che possono annualmente essere seguiti nei loro programmi terapeutici alternativi alla pena detentiva. È efficace questa modalità terapeutico-trattamentale nel limitare i danni della carcerazione sulle persone dipendenti da sostanze stupefacenti? Non mi permetto - per manifesta incompetenza - di entrare nel merito dell’efficacia terapeutica di programmi trattamentali su cui grava la spada della carcerazione. Affronto il tema da un altro punto di vista, più grossolanamente quantitativo. Le alternative al carcere per tossicodipendenti sono state effettivamente alternative al carcere? Ne hanno ridotto la presenza assoluta e percentuale in carcere? E dunque, appunto grossolanamente, hanno ridotto la sofferenza propria della detenzione su persone in condizioni di dipendenza da sostanze stupefacenti? Nello stesso torno di tempo, tra il 1991 e il 2006, come è noto la popolazione detenuta è quasi raddoppiata (dai 31mila detenuti presenti al 30 giugno del 1991 ai 61mila del medesimo giorno del 2006) e raddoppiati sono pure i detenuti censiti come tossicodipendenti dall’Amministrazione penitenziaria: 9.623 a giugno del 1991, 16.145 a giugno del 2006. Percentualmente, dal 29-30% del decennio ‘90, si passa al 26-27% dell’ultimo periodo. Dunque non muta il quadro, con tutto ciò che ne consegue in termini di necessità di trattamento delle dipendenze in ambiente penitenziario. Come del resto è accaduto più in generale alle misure alternative alla detenzione nell’esperienza italiana: la loro crescita ha accompagnato, più che frenato la corrispettiva crescita della popolazione detenuta, risolvendosi - paradossalmente - in alternative alla libertà, più che in alternative alla detenzione, offrendo cioè maggiori possibilità di controllo istituzionale a un sistema penitenziario detentivo strutturalmente limitato rispetto alla domanda di carcerazione di massa che cresce nella nostra società. È un giudizio liquidatorio, questo sulle alternative al carcere e sulle alternative terapeutiche per i tossicodipendenti? Non credo, anzi non credo neanche che sia un giudizio. Si tratta di alcuni fatti messi in fila: le alternative al carcere - in presenza di una forte domanda di crescita del controllo sociale istituzionale - non riescono a svolgere una funzione "anticiclica"; e, più specificamente, le alternative terapeutiche sembrano avere - nel contesto italiano, ma temo anche altrove - un limite di espansione legato alla ricettività del sistema socio-sanitario complementare e alla efficacia dei programmi trattamentali che esso riesce a mettere a disposizione del sistema penitenziario. Dunque, se si vuole efficacemente affrontare il problema della tossicodipendenza in carcere, bisognerà prima o poi intervenire sui suoi fattori di accumulazione, su quelli normativi come su quelli sociali, sulle norme criminogene come sulla trasformazione della domanda sociale di sicurezza in domanda sociale di carcerazione. Altrimenti non resterà che tentare di vuotare il mare con un bicchiere. Droghe: dobbiamo presidiare i diritti e valorizzare le pratiche di Susanna Ronconi
Fuoriluogo, 8 maggio 2008
Le droghe non c’erano, in campagna elettorale, nemmeno nei proclami della destra, che nel 2001 ne aveva invece fatto una bandiera. In altre faccende affaccendati, tutti: Law & Order, sicurezza, sviluppo, sì, ma senza troppi intralci di conflitto sociale, anzi, nemmeno di rappresentanza di diritti e bisogni sociali. L’esito delle elezioni, poi, ci consegna, per quanto attiene a droghe, proibizione e diritti, un orizzonte a doppia faccia: fine di una prospettiva riformista, sul piano delle normative, ed enfatizzazione di un proibizionismo securitario e disciplinare. Nessuno dei due aspetti è nuovo, sia chiaro: il riformismo, anche quello davvero moderato delle proposte di abrogazione della Fini Giovanardi e di riforma della Jervolino Vassalli, l’avevamo dato per perso già lo scorso anno, quando dopo la lunga mobilitazione del quinquennio Berlusconi prima e del biennio Prodi poi, Forum Droghe, insieme a molti altri, in primavera, aveva dichiarato al governo dell’Ulivo "time out", tempo scaduto; il proibizionismo securitario (quello dei sindaci contro ogni "disturbo urbano", a cominciare dal consumo visibile dei più poveri e dal piccolo spaccio) e quello disciplinare (dei kit e dei cani antidroga e dei genitori-sceriffi) sono andati crescendo a ritmo serrato negli ultimi anni, con complicità bipartisan: dai patti municipali per la sicurezza a certe uscite "di sinistra" sul consumo zero. E però, se tutto era già in atto, una rottura c’è stata, una precipitazione. All’assemblea di Forum Droghe, che si è svolta lo scorso 19 aprile a Firenze, di legge non s’è parlato: e non perché non sappiamo il prezzo che si sta pagando per la Fini Giovanardi, ma perché oggi non c’è sponda riformista - e la pattuglia radicale e qualche altro singolo interlocutore nel Pd saranno ben più isolati di quanto non lo sia stata la sinistra nell’ultima legislatura. Per la stessa ragione Forum non aveva lanciato, come invece in altre stagioni politiche, appelli a candidati e partiti: sarebbe stato un gioco esausto, un esercizio inutile. Si è parlato d’altro: di pratiche dal basso, intanto, quello sperimentare - professionale o da cittadino organizzato, da servizio innovativo o da movimento - che non ha bisogno di seggi in Parlamento, un mix di saperi che è sottostimato, sotto teorizzato, sotto utilizzato, e che ha infiniti interlocutori in una società auto organizzata e resistente. Di presidio dei diritti: ché il proibizionismo securitario, nelle città, vorrà sempre di più dire - basta analizzare il senso del voto popolare alla Lega e i contenuti bipartisan delle contese municipali - mano libera contro i "nemici perfetti", controllo pervasivo del territorio, inaccessibilità a un welfare inclusivo. Di lavoro capillare, paziente sul senso comune e sul "discorso" delle droghe, sull’informazione senza vizi ideologici e sull’educazione degli educatori, ma anche degli amministratori locali: perché anche chi oggi insegue l’immagine del sindaco sceriffo subirà il suo scacco. Consumi e vendita di droghe illegali sono un fenomeno troppo complesso per le illusioni securitarie: gli amministratori si accorgeranno presto di essere in braghe di tela, con le città che diventano immensi dispositivi di massimizzazione di danni, costi e sofferenze. E poi investire in ricerca - e soprattutto in quella che porta utile conoscenza del fenomeno e valutazione delle politiche più che far ruotare miliardi attorno alla brain desease e alle case farmaceutiche - e nei rapporti internazionali, come Forum sta facendo: perché nel mondo, e in Europa, orizzonti riformisti e strategie di riduzione del danno stanno crescendo, e guardare oltre il confine significa trovare nuove alleanze. Droghe: Cassazione amplia "l’uso personale", carcere evitato
Altalex, 8 maggio 2008
Ha un segno garantista la sentenza numero 17899 (depositata il 5 maggio) della Cassazione, chiamata a decidere su un caso di un uomo fermato a Napoli in possesso di 51 grammi di cocaina. La Corte doveva stabilire se tale quantità legittimava l’arresto, in quanto poteva configurarsi l’uso non personale e quindi un reato. In sintesi la Cassazione ha deciso che il superamento del limite tabellare (previsto dalla Fini-Giovanardi per la cocaina) non introduce di per sé la presunzione di colpevolezza. La Corte ha chiarito che i parametri indicati dall’art. 73, comma 1 bis lett. a) d.p.r. n. 309 del 1990, così come novellato dalla legge n. 49 del 2006, per apprezzare la destinazione ad uso non esclusivamente personale della sostanza stupefacente (quantità, modalità di presentazione, altre circostanze dell’azione) non sono autonomi. In altri termini non è sufficiente che si sia accertato uno solo di essi perché la condotta divenga penalmente rilevante. Pertanto, pur in presenza di quantità non esigue o di confezioni plurime, potrebbero essere apprezzate altre circostanze dell’azione tali da escludere radicalmente un uso non strettamente personale. Con riferimento al parametro della "quantità", la Corte ha inoltre precisato che la locuzione "in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute..", lungi da introdurre una presunzione circa la destinazione della droga, ha solo la funzione di imporre al giudice un dovere accentuato di motivazione nel caso in cui le quantità detenute siano superiori a tali limiti. (Sentenza Cass. 17899/2008 - in pdf) Droghe: le sostanze eccitanti sotto accusa per gli ictus precoci
Notiziario Aduc, 8 maggio 2008
L’ictus? Non è solo "roba da vecchi". In Italia sale drammaticamente l’incidenza di questo temibile attacco tra i giovani, con ben 10.400 persone colpite ancor prima di aver spento le 55 candeline. Di questi, addirittura 4.200 hanno meno di 45 anni. E le cose sono destinate a peggiorare con il trascorrere degli anni. Sotto accusa finisce l’abuso di droghe, sempre più diffuso tra i giovani italiani. In particolare, le sostanze eccitanti come cocaina, anfetamina ed ecstasy. "Insomma quelle che comunemente vengono definite le droghe del sabato sera", conferma Danilo Toni, presidente dell’Associazione italiana ictus. A margine della presentazione, ieri a Roma, della IX Giornata nazionale contro l’ictus cerebrale, l’esperto ci tiene tuttavia a precisare che alla base dell’ictus giovanile "vi sono soprattutto cause genetiche, nonché dissecazione delle arterie carotidee e vertebrali causata da traumi o microtraumi ripetuti al collo". Ma anche le droghe eccitanti finiscono sul banco degli imputati, e, accanto all’invecchiamento generale della popolazione, il loro abuso è una delle cause destinata a far aumentare, negli anni a venire, il numero delle persone colpite da ictus. Cocaina, ecstasy e anfetamine "possono provocare spasmi nelle arterie - spiega Toni - o addirittura causarne la rottura generando delle emorragie". "Un luogo comune da sfatare è che l’ictus sia solo una malattia dell’anziano - conferma Maria Luisa Sacchetti, Presidente Alice Italia onlus, nonché neurologo al Policlinico Umberto I - Negli ultimi anni, anzi, stiamo assistendo a un allarmante aumento dei casi di ictus prima dei 45 anni". Per allontanare i giovani da ogni pericolo, oltre a consigliare loro di tenersi alla larga dalla droga, l’esperto ricorda "i tipici fattori che predispongono all’ictus e alle altre malattie vascolari. Dunque fumo di sigaretta - spiega - obesità, sedentarietà ed errata alimentazione. Ma anche ipertensione arteriosa, alterazione dei grassi nel sangue e diabete, problemi che possono manifestarsi e danneggiare le arterie fin dall’età giovanile, in una fase in cui è più difficile diagnosticarli". Spagna: per immigrati irregolari aumenta tempo di detenzione
Apcom, 8 maggio 2008
Il governo spagnolo aumenterà il tempo massimo di detenzione a cui possono essere sottoposti gli immigrati irregolari nei centri di internamento per facilitare il loro rimpatrio. Lo ha annunciato oggi il ministro dell’Interno Alfredo Perez Rubalcaba in un’intervista radiofonica. L’annuncio giunge all’indomani della discussione dei governi Ue su una nuova direttiva per il rimpatrio degli irregolari, su cui non si è ancora raggiunto un accordo ma che in Spagna ha provocato un acceso dibattito nei giorni scorsi: l’autorevole quotidiano El Pais, in genere vicino all’esecutivo socialista, ha criticato il governo accusandolo di voler approfittare della norma Ue per aumentare i termini di detenzione, cosa di cui Rubalcaba ha dato oggi la conferma. Attualmente il limite di detenzione in Spagna è di 40 giorni, e il ministro di José Luis Zapatero ha anticipato che sarà esteso, ma senza raggiungere il massimo di sei mesi previsto dalla direttiva (che potrà anche essere aumentato fino a 12 o 18 mesi): "Fino a sei mesi non credo sia necessario, ma qualcosa in più (di 40 giorni), sì", ha detto Rubalcaba alla radio Cadena Ser, dello stesso gruppo de El Pais. Il responsabile spagnolo ha motivato questa decisione con il fatto che "in pratica è molto difficile effettuare un rimpatrio" entro i termini attuali, per la mancata collaborazione dei migranti detenuti e dei paesi di origine: passati i 40 giorni infatti, l’immigrato deve essere rimesso in libertà. Il ministro ha definito il rimpatrio un processo "estremamente complesso", e "dolorosissimo", ma necessario per non dare un messaggio sbagliato ai trafficanti di esseri umani. Nonostante le difficoltà indicate da Rubalcaba, la Spagna è in cima alla classifica europea per rimpatri, e negli ultimi quattro anni il primo governo Zapatero ne ha effettuati 370.000, il 43% in più che nella precedente legislatura di José Maria Aznar. Nel suo secondo mandato - in parte a causa del rallentamento economico che sta facendo aumentare la disoccupazione - il governo socialista spagnolo sembra voler aumentare la durezza dei controlli e regolare l’immigrazione in modo più severo: "Se siamo rilassati - ha detto oggi Rubalcaba - nessuno potrà fermare questa valanga".
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