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Giustizia: Berlusconi messo alla prova da richieste di sindaci
Il Foglio, 3 maggio 2008
Della sicurezza dicono: "È un aspetto fondante del patto sociale", ma non chiamateli sceriffi. I sindaci che in tutta Italia stanno trasformando i vigili urbani in veri poliziotti non hanno i tratti di John Wayne né tantomeno quelli di Giancarlo Cito, il volitivo leghista meridionale che di Mussolini diceva fosse un grande "statistico" e che armò di manganello i vigili di Taranto dicendo loro: "Siete i moschettieri del sindaco". Non c’è rodomontismo né celoduri-smo d’accatto. E per capirlo basta vederli i sindaci Pietro Vignali e Giorgio Pighi, entrambi emiliani, cattolici, uno di centrodestra a Parma l’altro di centrosinistra a Modena: non c’è sbraco verbale né aggressività. Sceriffi? Ma neanche per sogno - rispondono -. "Garantire ai cittadini la vivibilità è un dovere, mica una spacconata da mezzo giorno di fuoco". Per questo, con altri quattordici colleghi del nord, Vignali e Pighi hanno siglato un documento per chiedere al nuovo governo un’azione immediata e nuovi poteri a chi amministra il territorio. Silvio Berlusconi lo ha promesso: "Nei primi interventi daremo le risposte che la gente si aspetta", il neosindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha incalzato con la richiesta di un decreto "subito". Così al forte mandato elettorale sulla sicurezza che le urne hanno conferito al governo si aggiunge la pressione degli enti locali. I sindaci vogliono più poteri per gestire l’ordine pubblico, chiedono tutela per la polizia urbana, vogliono un raccordo istituzionalizzato con il ministero dell’Interno. "Il compito del sindaco è quello di garantire il decoro urbano, la vivibilità delle strade, cose semplici come la possibilità dì fare una passeggiata tranquilla al parco - dice Pighi - Purtroppo però non siamo nelle condizioni di agire con rapidità su molte cose. Quando ho deciso di ridurre il fenomeno della prostituzione sulle strade - racconta - non ho potuto emanare una ordinanza ad hoc ma ho dovuto trovare un escamotage appellandomi alla sicurezza stradale. Le pare normale?". Appena insediato Berlusconi troverà sulla propria scrivania le richieste dei sindaci, sedici rappresentanti di città medie "dove - spiega Vignali - i problemi sono gli stessi che nelle aree metropolitane, se non peggio. Perché la percezione dell’insicurezza è persino maggiore. A Parma la gente non era abituata alla microcriminalità, è stato uno choc improvviso". Per adesso hanno munito i vigili urbani di manganelli e spray urticante, organizzano gruppi di vigilantes per proteggere i parchi cittadini e arruolano carabinieri e finanzieri in pensione, "ma la legge non ci viene incontro". Il governo dovrà rispondere, le aspettative sono fortissime. L’esito delle elezioni ha convinto molti amministratori a farsi avanti e pretendere, spiega Vignali: "È necessario che il Governo agisca secondo uno schema lineare: più poteri ai sindaci, raccordo istituzionale sull’ordine pubblico, più denaro alle forze dell’ordine, gestione equilibrata dei flussi migratori sul territorio". Due giorni fa Alfredo Mantovano, esponente di An, sul Foglio, spiegava che la maggioranza è intenzionata ad aumentare il budget del Viminale, ripristinare la Bossi-Fini e rivedere il testo unico sulle forze di polizia locale. Di fronte alle aspettative il lavoro del governo non sarà facile, come maliziosamente insinua il segretario del Pd Walter Veltroni, che commentando ieri la vittoria dei conservatori in Inghilterra ha detto: "Anche lì la partita è stata giocata sul tema sicurezza, che è facile evocare e difficile gestire". Per adesso i sindaci armano e addestrano i vigili urbani ma in una condizione di semi illegalità. Tant’è che il Viminale di Giuliano Amato, in mancanza di una regola certa, continua a intimare di non usare manganelli né armi di sorta. "E noi che facciamo, lasciamo i vigili alla mercè di teppisti e criminali? Siamo matti?". Loro, i vigili, dicono: "Siamo tutti padri e madri di famiglia, nessuno vuole trasformare le città in tante Dodge City con sparatorie da Ok Corral. Chiediamo soltanto gli strumenti per lavorare e proteggere i cittadini". Così Alemanno ieri ha annunciato la "tolleranza zero" e le pistole. Ma niente sceriffi. Oristano: detenuto di 42 anni muore, stroncato da un infarto
L’Unione Sarda, 3 maggio 2008
Arresto cardio-circolatorio: è il primo risultato dell’autopsia effettuata su Marco Pes, 42 anni, di Sardara, soccorso nel carcere di piazza Mannu martedì notte. L’uomo era stato aggredito in cella pochi giorni prima. Ma l’episodio non sarebbe collegato alla morte. Ma saranno necessari i risultati degli esami istologici per avere la certezza sulla causa del decesso di un detenuto della casa circondariale di Oristano, Marco Pes, 42 anni di Marrubiu, morto giovedì scorso all’ospedale civile dopo un inutile tentativo di rianimazione. Secondo il primo esito dell’autopsia eseguita dal medico legale Roberto Demontis, l’uomo sarebbe morto per cause naturali, stroncato da un infarto. L’inchiesta avviata dalla magistratura di Oristano dovrà anche chiarire eventuali collegamenti tra il decesso e un’aggressione subita da Pes sabato scorso da parte di un detenuto che divide la cella con lui. Le lesioni non sarebbero state gravi: dopo gli accertamenti e gli esami radiologici effettuati negli ospedali di Oristano e Nuoro, Pes, era stato dimesso senza particolari prescrizioni. Risale, invece, alla notte tra martedì e mercoledì scorsi il malore che ha poi portato al decesso. All’alba il detenuto era stato soccorso dai medici del carcere, intervenuti per rianimarlo con il defibrillatore in uso all’interno della casa circondariale. Quando sono arrivati anche gli operatori sanitari del 118, sembrava che Pes potesse farcela, ma così non è stato: ricoverato all’ospedale civile di Oristano è morto nella giornata di giovedì. Oltre all’inchiesta della Procura della Repubblica, la direzione del carcere ha aperto un’inchiesta interna. È il secondo fatto grave che si verifica nel carcere di Oristano nell’arco di pochi mesi. A gennaio un detenuto era morto per un’overdose di eroina. Viterbo: suicida detenuto rumeno 21enne, disposta autopsia
Ansa, 3 maggio 2008
Un detenuto romeno di 21 anni, in attesa di giudizio, si è impiccato ieri notte nel carcere di Mammagialla. Gli agenti di polizia penitenziaria hanno trovato il corpo del ragazzo appeso con un lenzuolo nella sua cella. Gli agenti di polizia Hanno tentato di rianimarlo, ma il ragazzo non ce l’ha fatta. Condannato in primo grado, il detenuto era in attesa del giudizio di appello. Era stato arrestato per tentata rapina. Da circa un anno era residente a Viterbo. I genitori, che si trovano in Romania, sono stati informati del decesso dall’ambasciata rumena in Italia. Il corpo del giovane è a disposizione dell’autorità giudiziaria, che probabilmente disporrà l’autopsia. Bari: finito il "Progetto Indulto", 5 ex detenuti senza lavoro
www.quindici-molfetta.it, 3 maggio 2008
L’Asm (Azienda Servizi Municipalizzati) di Molfetta di nuovo nella bufera e al centro delle polemiche. Una patata bollente per il neo sindaco Antonio Azzollini. Questa volta non si tratta della sporcizia della città, che è stata anche uno dei temi della campagna elettorale, con promesse di pulizia tutte da verificare. Ieri al Comune di Molfetta c’è stata una protesta che ha visto come protagonisti 5 dipendenti assunti quattro mesi fa dall’Asm: Michele Petroni, Ignazio Spagnoletti, Cesare Dinunno, Domenico Tota e Francesco Bernardo. Ad essi, con una comunicazione del 30 aprile scorso, a causa di mancanza di fondi, è stato negato il tanto sospirato rinnovo di contratto promesso in data 14 febbraio 2008 con una precedente comunicazione scritta. I cinque lavoratori, ex detenuti, che avevano potuto ottenere l’impiego presso l’Asm in seguito ai benefici previsti dall’indulto e dal successivo progetto di "Italia lavoro", hanno visto abbattersi su di loro come una doccia gelida l’incubo della mancata riassunzione e quindi il rischio improvviso della disoccupazione. Con la loro protesta, perciò, volevano rivendicare, anche davanti ai carabinieri intervenuti in una situazione che si stava facendo incandescente, il diritto ad avere un posto di lavoro per poter mantenere le proprie famiglie e potersi reintegrare a pieno titolo nella società. Contemporaneamente essi hanno chiesto di incontrare il neo sindaco Antonio Azzollini per chiedere un suo intervento. Infatti, i cinque lavoratori sostengono che la presidenza dell’Asm aveva assicurato loro un rinnovo contrattuale stagionale per la pulizia della costa prima delle elezioni amministrative, rinnovo finora ancora non concretizzato. La motivazione sarebbe il mancato rifinanziamento del progetto da parte del commissario prefettizio. Dopo alcuni momenti di tensione, i carabinieri sono riusciti far tornare la calma e a riportare tutti alla ragione, concordando con il sindaco Azzollini un incontro tra le parti fissato per lunedì presso il Comune. L’Asm, quindi sarà uno dei primi problemi che il neo sindaco dovrà affrontare non solo sul piano della sporcizia della città, che lo stesso Azzollini ha riconosciuto e denunciato in campagna elettorale, ma anche su quello della gestione di un’azienda che va sicuramente riorganizzata con una presidenza in grado di far fronte ai diversi problemi che si sono creati negli ultimi anni, attuando un’inversione di tendenza sul piano dell’efficienza gestionale. Cosenza: Ass. Diritti Civili; detenuto trasferito vicino a figlio
Agi, 3 maggio 2008
"Un bambino calabrese, Marco, 8 anni, gravemente malato, che chiedeva, per vincere la sua malattia, di aver accanto il papà D. L., 48 anni, detenuto nel carcere di Ancona (per scontare una condanna per un reato non grave), ha avuto esaudito il suo desiderio. Il genitore infatti ha ottenuto gli arresti domiciliari ed è nella sua abitazione, in un piccolo centro della Calabria, ad assistere il suo bambino. "Un atto di giustizia giusta e umana, degno di un Paese civile e di uno Stato di diritto", l’ha definito Franco Corbelli, che per perorare questa causa e vincere questa difficile battaglia si è battuto lo scorso anno, per mesi, con denunce sulla stampa e appelli "all’allora Ministro della Giustizia, Mastella, che non ha mai risposto, e al Presidente della Repubblica, Napolitano, che è invece intervenuto". E il leader di Diritti Civili dopo aver appreso, oggi, dal legale della famiglia del piccolo Marco, del lieto fine di questa storia, ringrazia il Capo dello Stato "ancora una volta sensibile, pronto a rispondere agli appelli di Diritti Civili a favore di un bambino malato e a intervenire". Corbelli aveva denunciato questo caso, nel maggio del 2007, dopo aver ricevuto un appello della mamma del piccolo Marco. "Più volte avevo denunciato il dramma e l’ingiustizia di questo bambino malato che da 8 mesi non vedeva il suo genitore detenuto nel lontano carcere di Ancona. Il piccolo Marco, residente con la mamma, in un paese della Calabria, per la sua malattia è in cura presso un centro specializzato della regione, la Divisione di Ematologia dell’Azienda Ospedaliera di Reggio Calabria, come attesta la documentazione medica che mi era stata consegnata un anno fa dal legale del genitore del bambino. Il piccolo per combattere la sua brutta malattia aveva bisogno di avere accanto il suo genitore. Per questo un anno fa, dopo aver inutilmente chiesto l’intervento dell’allora ministro della Giustizia, Mastella (che non ha mai risposto agli appelli di Diritti Civili) mi rivolsi a Napolitano scrivendo tra l’altro: "Signor presidente della Repubblica, un bambino, gravemente malato, le chiede di aiutarlo a realizzare il suo desiderio e il suo sogno: poter aver, a casa, il suo papà, detenuto in un carcere lontano dalla Calabria, attualmente si trova ad Ancona. Vuole accanto il suo genitore per poter, con il suo affetto, combattere e vincere la sua brutta malattia che non gli permette di poter lasciare la sua casa in Calabria per andare a trovare il suo papà". Genova: Uil; l’ennesima rissa, Marassi polveriera ingestibile
Ansa, 3 maggio 2008
"Purtroppo la rissa di ieri e l’incendio del 30 aprile smentiscono clamorosamente quanti hanno voluto strumentalmente e maldestramente cloroformizzare l’esplosiva situazione del carcere di Genova Marassi" È il commento di Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil - Penitenziari alla rissa scoppiata, nel pomeriggio di ieri, all’interno del 4° piano della I Sezione di Marassi, che ha visto coinvolti circa 60 detenuti. "Non solo le avvisaglie c’erano tutte, ma il 30 aprile - ricorda Sarno - un detenuto ha dato fuoco ad un materasso, nel 1° piano della I Sezione. Solo il tempestivo intervento degli agenti penitenziari ha scongiurato il peggio. Il coraggio e la tempestività della loro azione ha impedito una tragedia. Ne è riprova che per tre agenti, ricoverati nelle strutture sanitarie, la prognosi è di venti giorni per le ustioni e principi di soffocamento e intossicazione, causate dal fuoco e dai fumi sprigionatisi con l’incendio del materasso" Intanto montano le polemiche sulla insensibilità e l’indifferenza mostrata dai dirigenti penitenziari per quanto accaduto ai tre agenti feriti, ed Eugenio Sarno non lesina critiche: "Non possiamo non sottolineare l’insensibilità e l’indifferenza dei dirigenti penitenziari genovesi anche in questa occasione. Non un plauso, un saluto, una telefonata, una visita agli agenti feriti nel corso dell’incendio del 30 aprile. Il Provveditore Regionale e il Direttore di Marassi evidentemente non hanno tempo per testimoniare attenzione, vicinanza e solidarietà al personale. Nemmeno quando esso sventa tragedie annunciate. Questo - afferma il Segretario della Uil - rende bene l’idea del contesto in cui deve lavorare il personale di Genova. In questo clima surriscaldato, intanto, si prepara il confronto (già convocato per martedì 6 maggio a Roma presso il Dap) sulla situazione penitenziaria in Liguria. "Il grave sovraffollamento di Marassi è un dato oramai affermato e consolidato. Da tempo abbiamo denunciato come il ricorso alla "terza branda" costituisca un ulteriore elemento di tensione. Martedì esamineremo la situazione complessiva della Liguria e cercheremo delle soluzioni possibili, sulla scorta di quanto già determinato per l’Emilia Romagna. Occorrerà definire una strategia complessiva. Riteniamo che una diversa allocazione dei detenuti e un recupero di forza lavoro con il rientro del personale distaccato presso altre sedi possano essere soluzioni possibili benché non esaustive. Certo è - conclude il leader della Uil Penitenziari - il prossimo ministro della Giustizia , ma l’intero Governo, non potranno consentirsi distrazioni sulla questione penitenziaria che deflagrerà a breve su tutto il territorio nazionale". Sanremo: Sappe; detenuti a "quota" 300, ormai manca tutto
www.sanremonews.it, 3 maggio 2008
La segreteria regionale del Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria e primo sindacato di categoria con circa 12.000 iscritti sul territorio nazionale, ha evidenziato il lavoro dei baschi azzurri della Casa Circondariale di Sanremo in previsione del notorio sovraffollamento dell’istituto ligure di ponente. "Dalla Casa Circondariale di Sanremo - scrive il Sappe - il personale ci preavverte che stava già facendo grossi sacrifici per portare avanti il servizio, ma da alcuni mesi or sono in virtù delle molteplici vacanze rappresentate perennemente da circa 35 unità di Polizia Penitenziaria distaccate in altre sedi, si è aggiunto repentinamente anche il discorso sovraffollamento del penitenziario, si constata infatti un ingrossamento numerico dei detenuti all’interno del carcere sanremese veramente preoccupante ed insostenibile, di fatto al momento si registrano precisamente 300 detenuti ospiti del penitenziario, un numero altissimo e fuori dalla tollerante portata e, che tende di giorno in giorno a crescere a dismisura, stando al fatto che ogni giorno arrivano detenuti ed arrestati ai quali non si riesce neppure ad assicurare sempre corredi ministeriali come ad esempio (lenzuola, federe, cuscini, piatti, bicchieri etc.). Una situazione questa a dir poco allarmante e letta con seria dubbiosità. Iniziano ad accadere incresciose situazioni sotto il profilo della sicurezza demandata a pochissimi uomini in un penitenziario dove si può parlare liberamente di discarica umana; eppure il carcere, contrariamente a quanto accadeva anticamente, quando era ritenuto esclusivamente luogo di emarginazione sociale, dovrebbe oggi essere meta di ricondizionamento psicologico, luogo di rieducazione e recupero del reo, ma a quanto pare tutto questo sarebbe una vera e propria utopia, oppure una messa in scena portata sulla carta dal legislatore che ha inteso esprimere appunto questo concetto che poco si conformerebbe con l’attuale e crudele realtà, il carcere di questo passo e inteso in tal misura, tornerebbe a rivivere ai livelli del sistema punitivo romano, cioè quello "corporale del reo"; altro che penitenziari utili, impostati a regime democratico e garantisti della costituzione italiana "principio di umanizzazione della pena", art. 27 comma 3 della carta costituzionale vigente. La Polizia Penitenziaria in forza all’istituto di Sanremo, pur facendo il massimo per non venir meno ai propri doveri, adesso inizia ad accusare il colpo, invero il notevole aumento numerico dei detenuti all’interno dei reparti sta portando il personale ad un stress psico-fisico estenuante spingendolo ad un via crucis di lamentele, i baschi azzurri spesso non sanno a come fronteggiare certi accadimenti come: risse, casi di autolesioni, ritrovamento di telefonini impacchettati vicino all’istituto e pronti per la successiva introduzione, aggressioni al personale, detenuti incontrollati i quali giungono persino a consumare rapporti sessuali con la propria congiunta durante il colloquio settimanale, assunzione di sostanze stupefacenti e tant’altro ancora, uno scenario negativo che non ha più un suo punto di ritorno se non con l’impegno immediato dei vertici dell’amministrazione regionale e del dirigente l’istituto, i quali al momento fingono calma apparente, atteggiamento questo al quale il Sappe è ormai abituato da anni e che da sempre combatte con buona iniziativa e volontà sindacale. Contro questa inerzia e contro questa eclatante impotenza dell’amministrazione, il Sappe insieme ad altre sigle sindacali del comparto sicurezza, solo pochi giorni addietro ha portato in piazza a Genova i propri iscritti per manifestare contro l’immobilismo esagerato del Provveditore Regionale della Liguria, il quale da garante delle linee guide in ambito regionale appare invece dalla data del suo insediamento, semplicemente un fautore del risparmio ad ampio raggio, persino su ciò che resta di pertinenza la sicurezza, dimostrando vistosamente uno scarsissimo interesse alle problematiche della polizia penitenziaria della Liguria. Roma: nuovo sindaco Alemanno; no alle prostitute in strada
Corriere della Sera, 3 maggio 2008
"La prostituzione è deprecabile in qualsiasi forma: il primo passo, ciò che mi interessa, per Roma, è toglierla dalla strada". Gianni Alemanno, da pochi giorni sindaco della Capitale, dopo aver fatto visita al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, è ospite di alcune trasmissioni televisive. E lì, in tv, parla sia della politica nazionale sia dei mali di Roma. Sul governo si dice sicuro che "An avrà una rappresentanza pari al suo significato parlamentare e anche al fatto che oggi rappresenta Roma. Il Pdl? Se viene fatto con regole e con congressi democratici, sono per fare il Popolo delle libertà. Se è un’operazione d’immagine, allora preferisco fare un discorso di tipo confederale". Toma sulla vicenda della teca dell’Ara Pacis - "sullo spostamento della teca di Meier ho commesso un errore di comunicazione. Non è una priorità, decideranno i romani" - ma cambia tono quando ipotizza di applicare il motto "tolleranza zero" anche su un problema delicato com’è quello della prostituzione. Dalla Salaria alla via Colombo: chi vive a Roma sa quanto sia semplice incontrare professioniste del sesso. Adesso, dice Alemanno, lì non possono più stare. Chiarisce che la soluzione "non è nei supermercati di essere umani, nei parchi a luci rosse, nella riapertura delle case chiuse, io sono contrario". Ma allora come fare? "La prostituzione, se c’è, non deve stare in strada: se uno privatamente vuole vendere il suo corpo lo faccia. Se una povera disgraziata ha deciso di rovinarsi la vita facendo la prostituta, si affitti un appartamento e faccia la prostituta". Inutile chiedergli se crede ci sia bisogno di cambiamenti legislativi: "Combattiamo racket e degrado, questo è il primo obiettivo. Come modificare la legge, se ce ne sia bisogno, lo stabiliranno altri più avanti". Ma la dichiarazione del sindaco è comunque sufficiente a scatenare reazioni. "Ha scoperto l’acqua calda", dice Vladimir Luxuria, ex deputato di Rifondazione: "Basta acquistare un quotidiano e leggere le rubriche specializzate nelle quali si capisce già chi e cosa si può trovare in alcune abitazioni private". Sul tema, si esprime anche la collega di partito di Alemanno, Giorgia Meloni: "Sarei favorevole a creare case chiuse che liberino le prostitute da umiliazione e schiavitù: è ipocrita tollerare quello che accade oggi nelle strade. Le prostitute dovrebbero pagare le tasse". Le frasi, battute dalle agenzie, vengono smentite poco dopo: "Ho contestato duramente la mercificazione che si fa del corpo femminile sulle nostre strade, purtroppo spesso tra l’indifferenza generale, ma non ho mai detto di volere la riapertura delle case chiuse". In ogni caso, il ministro alle Pari opportunità, Barbara Pollastrini, Pd, commenta: "A destra, in materia, c’è molta confusione. Oggi debellare la prostituzione significa innanzitutto intervenire contro quella coatta, significa cioè avere un piano di governo che contrasti la tratta e lo sfruttamento". Verona: 28enne nega sigaretta, pestato e ridotto in fin di vita
Corriere della Sera, 3 maggio 2008
Ha visto i medici parlare fra loro e scuotere la testa, gli hanno detto che suo figlio è in coma, che la situazione è molto critica, che col passare delle ore è peggiorato. Non si fa molte illusioni, il signor Luca. Osa sperare perché un padre non può arrendersi davanti a niente. Ma lo sa bene: è troppo sottile il filo che lega suo figlio Nicola alla vita. Nicola Tommasoli ha 28 anni. Ventotto primavere perdute nel nulla del coma profondo che lo ha ingoiato nella notte fra mercoledì e giovedì. La sua situazione disperata Nicola la deve a un pugno e un paio di calci ricevuti da uno sconosciuto. Quel tizio gli aveva chiesto una sigaretta. "Non ne ho", ha risposto lui e nel giro di pochi secondi quell’incontro è diventato un pestaggio. "Erano in sei" racconteranno poi gli amici di Nicola ai Carabinieri. "Parlavano in dialetto veronese e non sembravano ubriachi". Uno dei sei, un biondino, è stato il più duro. Quando Nicola è caduto l’ha preso a calci in testa e proprio quei colpi sono stati la causa dell’emorragia interna che si è trasformata in coma nel giro di pochi minuti. La caccia all’uomo è partita da Verona proprio per quelle espressioni dialettali, tipiche della parlata scaligera, urlate dal biondino un attimo prima che la banda fuggisse. Non una parola, comunque, che facesse pensare a risvolti razziali o politici del pestaggio. Quei ragazzi "non avevano le teste rasate, né l’abbigliamento dei naziskin" hanno spiegato gli amici di Nicola, "erano ben vestiti e sembrava gente a posto". Il padre di Nicola si dispera davanti a quella porta da cui teme che, da un momento all’altro, possa uscire un verdetto drammatico: "Come posso accettare quello che è successo? È inconcepibile" ripete angosciato, bianco come un cencio e sempre più spaventato ogni volta che un medico gli si avvicina. Il suo Nicola fa il grafico in un’azienda del Veronese, una vita fatta di lavoro, di una fidanzata e di quei pochi amici con i quali divide il tempo libero. "Che tragedia..." sospira il signor Luca guardando fisso l’ingresso della rianimazione. "Per favore, se qualcuno ha visto qualcosa lo dica". Immigrazione: le promesse elettorali? difficili da mantenere
Il Sole 24 Ore, 3 maggio 2008
La stretta sulle espulsioni dei clandestini, annunciata dal Pdl, è ancora una promessa dall’esito incerto. Lo sanno gli stessi esponenti politici ora alle prese con le soluzioni pratiche dopo aver annunciato, per esempio, l’allontanamento dalla capitale di 20 mila immigrati illegali, come ha fatto Gianni Alemanno nella campagna elettorale per il Campidoglio. Il Viminale nel 2006 ha espulso 45.449 soggetti; di più ha fatto nel 2007, i dati aggiornati al 31 agosto parlano di 48.529 unità. Ma di certo moltissimi espulsi circolano lo stesso in Italia come clandestini. Anche perché gli stranieri davvero rimpatriati, magari con voli di linea - anni fa per gli albanesi furono usati treni blindati - sono una quota molto contenuta delle cifre totali, ridottasi poi ai minimi termini con il governo Prodi. Per una scelta politica, ma anche per motivi meno nobili: non ci sono i fondi. I posti vuoti nei Cpt - Centri di Permanenza Temporanea, rientrano nello stesso scenario: impiegare le forze di polizia per rintracciare i clandestini è costoso. In questo settore, i tagli al Viminale si sono fatti sentire. Anche se, a sentire Franco Frattini - che ha lasciato da poco la vicepresidenza dell’Unione europea per tornare nel Parlamento italiano e, con ogni probabilità, su uno scranno di ministro l’Italia ha trascurato le risorse economiche comunitarie e la possibilità di rimpatriare i clandestini con l’aiuto della Ue. È probabile che il nuovo esecutivo spingerà su questo fronte. Così come agirà per trovare il consenso degli altri Stati che spingono per rivedere le norme sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione. Francia e Spagna sono in linea con gli orientamenti italiani e la prossima presidenza Ue, che tocca a Parigi, potrebbe favorire una scelta del genere. Solo così il tema dell’emergenza criminale in arrivo dall’Europa dell’Est può trovare una soluzione possibile: ma ci vorrà una decisione finale di Bruxelles, che non arriverà dall’oggi al domani. Senza contare che l’ondata di immigrazione clandestina, ora in ripresa con il ritorno della bella stagione, ha anche flussi quasi ingovernabili, o perlomeno assai poco soggetti alle norme dello Stato. Quando si tratta di rifugiati politici, o di profughi che richiedono asilo, entrano in campo le norme internazionali: con i somali piuttosto che gli eritrei, o gli afghani, parlare di espulsione è quantomeno improvvido. Guarda caso, il Viminale registra un maggior afflusso di stranieri, a partire dall’inizio dell’anno, proprio dal Corno d’Africa. Al di là delle scelte politiche, ridurre la presenza dei clandestini è un’operazione molto impegnativa e senza garanzia di grandi risultati. Uno scenario che fa dire a una fonte qualificata del Viminale, che chiede l’anonimato: "Chi andrà al ministero dell’Interno si accollerà una rogna senza soluzione. Con poche risorse e altrettanto scarse possibilità di intervenire sulle norme, dati i vincoli comunitari". Ma gli impegni in campagna elettorale andranno pure rispettati. Si potrà cominciare con un’azione più intensa e con un impegno rilanciato delle forze di polizia destinate all’immigrazione. Senza mai dimenticare che un conto sono i clandestini rintracciati, un altro è quello degli effettivamente allontanati: sono circa il 60%, come ricordava il prefetto Alessandro Pansa, quando nel 2004 seguiva l’immigrazione. Poi dovranno essere accelerate tutte le trattative per gli accordi bilaterali di rimpatrio, gli unici efficaci per garantire il ritorno effettivo negli stati d’origine: con la Cina, per esempio, non c’è nessuna intesa. Fondamentali anche le relazioni con la Libia, crocevia inevitabile di tutta l’immigrazione africana. La costruzione di un’autostrada, annunciata da Berlusconi a Gheddafi nel precedente mandato a palazzo Chigi, è ormai un impegno includibile. L’uovo di Colombo, in questa materia, sta in una tattica a costo zero e senza particolari difficoltà: la comunicazione. Non è decisiva, ma può incidere parecchio. "Basta dare annunci in senso restrittivo, o di segno opposto, e i flussi migratori si adeguano" ricorda sempre la fonte del ministero dell’Interno. Non a caso il ministro Giuliano Amato andò su tutte le furie quando - il governo si era appena insediato - il collega alla Solidarietà sociale Paolo Ferrero annunciò da Lampedusa insieme al sottosegretario Marcella Lucidi lo stop ai voli di rimpatrio. Poi fioccarono le rettifiche, ma la frittata ormai era stata fatta. Usa: ondata di esecuzioni dopo via libera da Corte Suprema
Adnkronos, 3 maggio 2008
Il boia torna al lavoro negli Stati Uniti dopo che i supremi giudici hanno ritenuto che il metodo dell’iniezione letale non sia da ritenersi crudele. Ma a fomentare i dubbi ci sono gli ultimi clamorosi errori giudiziari. A meno di tre settimane dal via libera all’iniezione letale stabilito dalla Corte suprema, si prospetta un’ondata di esecuzioni capitali negli Stati Uniti. Il primo sarà William Lynd, 53 anni, condannato per il brutale assassinio della fidanzata e di un’altra donna nel 1988, che verrà giustiziato il 6 maggio in Georgia. Altre 13 esecuzioni sono state già fissate entro ottobre, e presto ve ne saranno di nuove, compresa probabilmente quella di Jack Harry Smith, a 70 anni il più anziano detenuto nel braccio della morte. Ma il ritorno del boia negli Stati Uniti - dopo sette mesi di moratoria di fatto in attesa della sentenza della Corte - è destinato a riaprire il dibattito sulla pena capitale, anche se il 16 aprile i supremi giudici hanno ritenuto che il metodo dell’iniezione letale non sia da ritenersi crudele e quindi contrario alla costituzione. "Quando la gente si confronterà con una nuova ondata di esecuzioni, si chiederà non solo in che modo avvengono ma anche se la persone devono essere condannate a morte", commenta sul New York Times James Acker, storico della pena capitale alla università di Albany. A fomentare i dubbi sono anche alcuni clamorosi errori giudiziari: ieri in North Carolina è stato scarcerato Levon Jones condannato a morte per omicidio nel 1993. Nel 2006 un giudice aveva ordinato la riapertura del processo riconoscendo che Jones non aveva avuto un’adeguata difesa e ora la principale testimone d’accusa ha ritrattato. Due giorni fa, grazie a un test del Dna, è stato scarcerato in Texas James Woodard, da 27 anni in attesa di esecuzione per un assassinio che non aveva commesso. Dopo la Georgia, la successiva esecuzione è fissata in Virginia il 27 maggio per Kevin Green. Altri tre detenuti in questi stato verranno giustiziati fra giugno e luglio. In Texas la prima condanna a morte eseguita sarà quella di Derrick Sonnier, 40 anni, il prossimo 3 giugno, e ne seguiranno altre quattro entro il 20 agosto. In Louisiana sono state decise due esecuzioni per il 15 luglio, fra cui quella dell’ex poliziotta Antoinette Frank, condannata per una rapina a New Orleans in cui uccise un collega e altre due persone. Altre esecuzioni sono state fissate in Oklahoma e North Dakota. Secondo il Death Penalty Information Center, un gruppo anti pena di morte, negli Stati Uniti vi sono attualmente 3.263 persone condannate alla pena capitale. La maggior parte non ha esaurito tutti i ricorsi possibili, ma si ritiene che nei prossimi mesi verranno fissate le date per decine di esecuzioni. Il 70enne Smith, che ha perso in febbraio un appello davanti alla Corte suprema, si dice rassegnato a essere fra i prossimi. Condannato a morte 30 anni fa per un omicidio durante una rapina che sostiene di non aver commesso, è rinchiuso nel braccio della morte del carcere texano di Huntsville e viene condotto in parlatorio su una sedia a rotelle. Iraq: Onu; minorenni nelle carceri, situazione "intollerabile"
Apcom, 3 maggio 2008
È "intollerabile" per i bambini e adolescenti la situazione in Iraq, dove almeno 1.500 minori sono in carcere in condizioni difficili, e fra di essi almeno 500 in centri di detenzione militari statunitensi: lo ha denunciato - riferisce l’agenzia Misna - Radhika Coomaraswamy, rappresentante speciale del Segretario generale dell’Onu per i bambini nei conflitti armati, al ritorno di una missione di valutazione nel paese. "Fra i detenuti ci sono anche bimbi di soli 10 anni, in celle sovraffollate e senza accesso a un rappresentante legale" ha precisato la diplomatica cingalese. "Il governo iracheno - ha detto ancora - deve utilizzare un’ampia porzione del suo budget per la fornitura di servizi di base alla popolazione. Si sta occupando di ricostruzione, di progetti per le infrastrutture, ma non dedica attenzione ai servizi di base". Secondo Coomaraswamy, il 60% dei bambini non ha accesso all’acqua potabile mentre la percentuale degli alunni a scuola è drasticamente scesa negli ultimi tre anni, passando dall’80 al 53%. La rappresentante dell’Onu ha anche denunciato il reclutamento di minori da parte di milizie e il loro sfruttamento in attentati. Guatemala: detenuti in rivolta decapitano direttore di carcere
Ansa, 3 maggio 2008
Un gruppo di detenuti, appartenenti alla temuta gang Mara 18, ha decapitato il vicedirettore del carcere di Chimaltenango - circa 50 km a ovest della capitale del Guatemala - dopo averlo tenuto sequestrato per cinque ore ieri sera. Fonti ufficiali hanno detto che i detenuti, apparentemente sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, avrebbero agito per rappresaglia dopo che il vicedirettore Jorge Mendoza aveva fatto arrestare due donne che stavano introducendo stupefacenti nel carcere. Dopo l’ora di visita dei familiari in occasione del Primo Maggio, cinque agenti che avevano cominciato a fare l’appello dei detenuti sono stati sequestrati insieme a Mendoza. Ore dopo, i detenuti hanno liberato gli altri ostaggi in cambio della promessa che non ci saranno rappresaglie per l’uccisione di Mendoza. San Marino: lo Stato con meno detenuti al mondo... soltanto 1
Ansa, 3 maggio 2008
Con un solo detenuto, la Repubblica di San Marino è all’ultimo posto, il 218°, nella classifica del "Centro Internazionale per gli Studi sulle prigioni" del King’s College di Londra. Lo comunica Daniele D. Bodini, ambasciatore rappresentante permanente alla "Permanent mission of the Republic of San Marino to the United Nations" con una lettera al Segretario di Stato per gli Affari esteri e politici, Fiorenzo Stolfi. Secondo questi dati la Repubblica finisce quindi ultima in una lista dove essere primi non è un vanto. Un fatto riconosciuto anche dal New York Times, il prestigioso quotidiano statunitense, che ha trattato l’argomento in prima pagina nel numero dello scorso 25 aprile. "San Marino, con una popolazione di circa 30.000 persone è alla fine della lista di 218 paesi compilata dal centro. Ha un solo detenuto", si legge nell’articolo firmato da Adam Liptak, dove il confronto chiama in causa gli stessi Stati Uniti, che contano 2,3 milioni di persone in carcere. Un numero, questo, che li pone al primo posto della lista, seguiti dalla Cina che ha 1,6 milioni di cittadini dietro le sbarre. Il riconoscimento del "Centro internazionale per gli Studi sulle prigioni", segue quello del rapporto del Commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg. Nei giorni scorsi, infatti, il commissario ha presentato al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il rapporto, poi reso pubblico. Nel documento si dà una valutazione positiva della realtà sammarinese per quanto concerne il rispetto dei diritti umani. Pakistan: giornalista imprigionato a Guantanamo per 7 anni di Sabina Morandi
Liberazione, 3 maggio 2008
Immaginate di venire rapiti mentre state facendo delle riprese su di un fronte particolarmente caldo come lo era il Pakistan nell’autunno del 2001. Immaginate poi di passare quasi sette anni chiusi in una gabbia senza avere la possibilità di incontrare un avvocato che vi dica di cosa siete accusati né, tanto meno, di incontrare i vostri familiari. E quando, per ottenere questi diritti, decidete di esercitare l’unica azione di protesta che vi rimane, ovvero lo sciopero della fame, ecco che vi ritrovate legati a una sedia appositamente costruita per l’alimentazione forzata, con tanto di bracciali imbottiti e di tubo che finisce direttamente in gola. Questo è quanto è accaduto a Sami al-Hajj, giornalista e cameraman sudanese che aveva la sventura di lavorare per la Cnn del mondo arabo, Al Jazeera, ed è successo più o meno nell’indifferenza di quei campioni della libertà di stampa che sono i media occidentali. Peccato perché, se avessero aderito alla campagna portata avanti da Al Jazeera e da numerosi media di lingua araba per chiedere la liberazione del giornalista, i nostri media avrebbero potuto dimostrare che non ci sono due pesi e due misure e fare qualcosa per disinnescare il risentimento che alimenta lo scontro fra civiltà. Ieri l’incubo è finito. Sami al-Hajj è uscito dal gulag di Guantanamo ed è arrivato in volo a Karthoum su di un jet dell’Us Army: su Youtube si possono vedere i marines trasportare a braccia il giornalista giù per le scalette dell’aereo. Sette anni fa era un giovane di bell’aspetto vestito all’occidentale, ora sembra un vecchio con la barba grigia e l’abbigliamento da scuola coranica. In ospedale Sami ha potuto abbracciare il figlio che era appena nato quando è stato arrestato, arrivato insieme alla moglie e al fratello Asim che a stento è riuscito a riconoscerlo: "Sembra un uomo di ottant’anni" ha dichiarato. Fonti anonime del Dipartimento della Difesa statunitense hanno detto all’agenzia Reuters che al-Hajj "non è stato affatto rilasciato ma trasferito alle autorità sudanesi" le quali, dal canto loro, hanno invece affermato che il giornalista è un uomo libero visto che non esiste nessuna accusa a suo carico. Insieme a lui sono stati "trasferiti alle autorità" altri due cittadini sudanesi - Amir Yacoub al-Amir e Walid Ali - mentre altri 5 hanno ripreso il volo verso l’Afghanistan. Tutti - anche chi, come Sami, non può camminare - hanno viaggiato bendati, ammanettati e incatenati fino a destinazione. L’insistenza delle autorità Usa sui "trasferimenti" è l’ultima foglia di fico rimasta per quell’aberrazione giuridica che si chiama Guantanamo, bocciata perfino dalla Corte Suprema. Non potendo giustificare in alcun modo l’arresto e la detenzione - nella base cubana così come in altre decine di prigioni segrete sparse per il mondo - bisogna andare avanti con la finzione: rilasciarli significa ammettere di avere sbagliato mentre consegnarli alle autorità di un altro paese consente di lavarsene le mani. Magari un regime "amico" potrebbe riuscire a imbastire uno straccio di processo per salvare la faccia a Washington - ma di sicuro non è il caso del Sudan. Ma perché al-Hajj è stato sospettato di avere legami con Al Qaeda? In realtà Sami ha avuto una sola colpa: quella di trovarsi in Pakistan nel 2001, munito di regolare visto, per fare il suo lavoro di cameraman e documentare il flusso dei profughi che attraversavano la frontiera dopo l’inizio dei bombardamenti. Per questo Sami è diventato il prigioniero numero 345 nel lager di Guantanamo, e dopo anni di appelli e richieste inascoltate, il 7 gennaio del 2007 è entrato in sciopero della fame. Purtroppo, a parte i gruppi che si occupano di diritti umani come Amnesty International e Human Rights Watch, sono stati in pochi a raccogliere la campagna dei media arabi e sono stati ancora meno quelli che hanno avuto il coraggio di pubblicare i disegni che Sami è riuscito a fare uscire da Guantanamo per mostrare come funzionano i dispositivi per l’alimentazione alimentazione forzata e quali sono le condizioni di detenzione. Resta il fatto che, se non fosse stato per la sua forza d’animo, forse Sami sarebbe semplicemente scomparso nel nulla. "I topi vengono trattati con maggiore umanità" sono state le sue prime parole al rilascio. Le seconde sono andate a quei 275 detenuti "che non sono stati così fortunati". Perché "le condizioni di detenzione dei fratelli rimasti a Guantanamo" ha dichiarato dal suo letto d’ospedale "sono terribili e peggiorano di giorno in giorno. La nostra dignità umana è stata violata e l’amministrazione americana è andata al di là di ogni valore morale o religioso. Là ci sono persone provenienti da più di 50 paesi. Persone" ha aggiunto "che non hanno nemmeno i diritti garantiti agli animali". Il direttore di Al Jazeera, Wadah Khanfar, si è detto "sopraffatto dalla gioia" ma non ha nascosto la sua preoccupazione sul comportamento dei militari americani, che hanno più volte offerto a Sami la libertà in cambio di informazioni sui suoi colleghi. "Ci preoccupa il modo in cui gli americani si sono comportati con Sami e ci preoccupa di quello che potrebbero fare in futuro". Ma se per il giornalista di un grande network è stato così difficile uscire da Guantanamo che fine faranno gli altri "nemici non combattenti"? David Remes, avvocato "a distanza" di 17 detenuti a Guantanamo Bay, punta sull’imbarazzo crescente dell’amministrazione ma non nasconde le difficoltà anche perché "c’è un forte elemento di razzismo visto che nessun europeo sarebbe stato trattato come Sami". L’avvocato si riferisce al fatto che i primi a venire liberati sono stati proprio gli europei mentre probabilmente gli ultimi saranno gli yemeniti, ormai un terzo della popolazione in tutta arancione. Va ricordato che il gulag di Guantanamo - con le sue gabbie a cielo aperto, le stanze delle torture e le sedie per l’alimentazione forzata - non è servito a catturare nemmeno un terrorista.
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