|
Giustizia: un pacchetto sicurezza che calpesta la Costituzione di Giuliano Pisapia (Presidente Commissione per la riforma del Codice Penale)
Liberazione, 22 maggio 2008
L’incubo continua. In poche ore il Governo ha stretto il Paese in una morsa di oppressione e di indiscriminata repressione. Ancora una volta, invece di dare risposte serie e razionali a problemi reali e complessi, un Governo della Repubblica, questa volta di centrodestra - incapace di coniugare assistenza, solidarietà e tutela dei beni primari di tutti (compreso quello alla sicurezza) - trasforma il diverso in nemico e pone sullo stesso piano chi fugge dalla fame, dalla miseria e dalla guerra e chi, invece, viene nel nostro Paese per portare criminalità e violenza. Questo è l’ennesimo "pacchetto sicurezza" che, se approvato dal parlamento, farebbe fare alla nostra democrazia un ulteriore passo indietro nella civiltà giuridica, calpestando princìpi fondanti del nostro ordinamento costituzionale: eguaglianza e pari dignità; tutela e garanzia di diritti inviolabili dell’uomo; adempimento "dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale". Forte deve essere l’opposizione sociale, la capacità di unire soggetti, comunità, indignazioni, associazioni, volontariato, militanza politica, donne e uomini, laici e credenti per impedire, con la forza della ragione, della volontà e della mobilitazione, uno scempio del diritto e dei diritti e fare di tutto affinché non diventino tragica realtà provvedimenti che hanno un livello di disumanità e di barbarie, quasi mai raggiunto dalla Costituzione ad oggi. Sarebbe miope negarlo, tra le numerose norme approvate dal C.d.M. ve ne sono alcune condivisibili (e copiate da nostre proposte: confisca di beni dei mafiosi e loro destinazione a fini sociali; stretta su omicidi colposi causati da guida in stato di ubriachezza; lotta allo sfruttamento di minori per accattonaggio) ma sono proposte che finiranno per essere strumentalizzate al solo fine di tentare di convincere della "nobiltà" dell’intero "pacchetto". Ma non possiamo cadere nella trappola; dobbiamo essere in grado di dimostrare non solo l’inciviltà ma anche l’inefficacia dei provvedimenti governativi nel contrasto al crimine e alla criminalità. E, se saremo capaci di dare risposte non di mera critica, potremo, anche se non presenti in Parlamento, creare le condizioni per evitare che, chi chiede e reclama maggiore sicurezza (personale e sociale), possa realmente credere in simili risposte e fidarsi di chi le propone. Non è un caso, del resto, che - a fronte di una unanimità di facciata - vi è stato scontro nella maggioranza. Un decreto legge, tre disegni di legge, vari decreti legislativi, con norme disomogenee e tra loro incompatibili, dimostrano, alla prova dei fatti, la differenza tra il fare facile propaganda e la capacità di affrontare un tema così complesso quale quello dell’immigrazione in una società globalizzata. Non è certo un caso, ad esempio, che, tradendo parte del loro elettorato, non è passata la proposta, sponsorizzata dal Ministro della Difesa, di pattugliamenti misti militari - polizia. Nulla a che vedere con un maggiore controllo del territorio in un rapporto solidale con i cittadini, ma una vera e propria militarizzazione dei nostri quartieri e dei nostri mari. Con le conseguenti scie di sangue e di violenze, di annegati e "dispersi", che già fanno del Mediterraneo un angosciante cimitero di bambini, donne e uomini di cui sono responsabili non solo squallidi scafisti criminali (quasi tutti impuniti), ma anche navi militari, non solo straniere (che nulla hanno a che vedere con chi, invece, opera quotidianamente per dare assistenza ai disperati che rischiano la vita per un pezzo di pane e per un lavoro, anche il più umile). Così come è stato messo in minoranza il Ministro dell’Interno che, ancora ieri, chiedeva che il reato di immigrazione clandestina fosse inserito nel decreto legge. Chi da anni minaccia speronamenti in mare e carcere per i migranti non ha certo fatto un passo indietro di fronte alle parole della Corte costituzionale che, in più occasioni, ha ribadito che solo una condotta che lede beni costituzionalmente garantiti può giustificare il ricorso alla sanzione penale; ma si è certamente reso conto che, se l’immigrazione clandestina diventasse reato, finirebbero in carcere per favoreggiamento (fino a 4 anni di reclusione) centinaia di migliaia di cittadini, in gran parte elettori dell’attuale maggioranza, che hanno badanti o lavoratori immigrati non regolari. Il che, evidentemente, costringerà il Governo, in contrasto col programma elettorale, a regolarizzare centinaia di migliaia di cosiddetti "clandestini" che lavorano onestamente nel nostro Paese. Vi sarà tempo per soffermarsi su altre proposte, inaccettabili da ogni punto di vista, che dovranno passare al vaglio del Parlamento, ma fin d’ora dobbiamo essere consapevoli che si potrà sperare in una vera opposizione parlamentare solo se se vi sarà una forte opposizione sociale e se si uniranno tutte le forze disponibili a non accettare simili "vulnus" ai princìpi fondanti di uno stato democratico. L’estensione, da due a 18 mesi, della permanenza nei Cpt, che tramuta una "temporanea" limitazione della libertà personale in una vera e propria carcerazione preventiva più lunga di quella prevista per reati gravissimi; le espulsioni più facili e senza garanzie; i maggiori poteri "di polizia" per i sindaci; le restrizioni per i ricongiungimenti familiari (alla faccia del family day); le limitazioni per i rifugiati e i richiedenti asilo possono diventare la miccia, non violenta, in grado di convincere, anche chi in buona fede invoca leggi speciali perché crede che solo così avrà maggiore sicurezza, che, quando si limitano i diritti e le garanzie per alcuni, minore è la libertà e la sicurezza per tutti. Giustizia: Maroni; vogliamo tornare al "rispetto delle regole"
Asca, 22 maggio 2008
"Penso che i cittadini italiani si aspettino da questo governo provvedimenti che ridiano sicurezza, che siano un segnale forte contro l’illegalità diffusa. Provvedimenti che rendano più rigoroso e più sicuro l’ingresso, cioè meno clandestini, più facili le espulsioni e che combattano quella criminalità diffusa soprattutto nelle grandi città, legata anche ai campi nomadi abusivi. Insomma il rispetto delle regole, tornare a rispettare le regole". Lo ha detto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, intervenendo questa mattina a "Panorama del giorno" di Maurizio Belpietro su Canale 5.
Perché adesso saranno più facili le espulsioni? "Per una serie di provvedimenti che abbiamo preso. Il motivo principale per cui non si riesce ad espellere un clandestino extracomunitario è che non si sa chi è, da dove viene. La regola attuale è che, quando arriva, viene messo in un centro di permanenza temporanea, un Cpt, e cerchiamo di identificarlo. Se questo resiste per un mese, un mese e mezzo senza farsi identificare, oggi la polizia è costretta a metterlo fuori. Noi abbiamo prolungato questo termine fino a diciotto mesi, così come prevede una direttiva europea che sarà approvata tra poco. Quindi, se la prospettiva per qualcuno è stare diciotto mesi, fatalmente si arriverà ad identificarlo. Quando sono passati da 30 a 60 giorni come termine di mantenimento nei Cpt, la percentuale di riconoscimenti è più che raddoppiata. Poi prevediamo dei motivi molto più larghi, molto più efficienti. Un sistema più efficiente per espellere. per esempio, i neocomunitari, soprattutto quelli che arrivano soprattutto dalla Romania, in attuazione anche qui di una direttiva europea. Per esempio, se uno non ha un reddito sufficiente per sé e per la propria famiglia, se non ha un’abitazione adeguata, il sindaco gli nega la residenza. Oggi invece è costretto a concederla anche a chi dice di abitare in una grotta, questo dice la legge, in base ad un’autocertificazione. La mancata concessione della residenza da parte del sindaco è un motivo per prendere questa persona e accompagnarla nel suo paese d’origine. Oggi si può espellere un condannato clandestino solo se ha una condanna fino a 10 anni. Noi l’abbiamo abbassata a due anni. La rimozione di tutti questi ostacoli renderà sicuramente più facile e più immediata l’espulsione di chi entra in Italia e si mantiene senza avere i requisiti".
I Cpt sono pochi e già pieni. Ne costruirete di nuovi? "Adesso ce ne sono 10, prevediamo che ce ne sia almeno uno in ogni regione. Ci sono molte regioni che non hanno questi centri. Ci sono delle strutture che abbiamo già individuato, per esempio le caserme dismesse, abbandonate e che possono essere rapidamente attrezzate. Non sono carceri, sono centri in cui queste persone saranno tenute fino a che non ci sarà il riconoscimento di espulsione. Ne abbiamo tante di queste strutture non utilizzate, dismesse, abbandonate. Non sarà impossibile farlo rapidamente, cioè attrezzarle in tempi rapidi e quindi, quando la norma entrerà in vigore tra un paio di mesi, cioè prima dell’estate, le strutture saranno pronte e si potrà attuare questo provvedimento che io credo sarà molto, molto efficace".
Il governo ha introdotto il reato di immigrazione clandestina. Fassino sostiene che questo provvedimento servirà solo a far scoppiare le carceri… "Fassino appartiene a quel partito che le carceri le vuole e le voleva svuotare con l’indulto. È difficile accettare lezioni da chi ha ridotto l’Italia in questo modo e ha diffuso un clima di grave insicurezza tra i cittadini. Il reato di immigrazione clandestina non serve per riempire le carceri. Serve ad espellere più rapidamente chi entra, perché è previsto l’arresto immediato, il giudizio immediato nel giro di pochi giorni e un immediato provvedimento di espulsione per dare a tutti, in primo luogo all’immigrato, la garanzia di un’espulsione decisa secondo le regole e soprattutto decisa da un giudice, non con un atto amministrativo ma un atto giudiziario. Questa è la ratio del reato di clandestinità, procedere più velocemente e più efficacemente alle espulsioni. Il resto è solo polemica che francamente mi sembra assolutamente fuori luogo quando si parla di sicurezza".
Il pacchetto sicurezza prevede anche la banca del dna, chi riguarderà? "Per il momento l’abbiamo introdotta per garantire i ricongiungimenti, per evitare gli abusi. così come abbiamo dato una stretta ai cosiddetti matrimoni di comodo, così come prevediamo che chi dà in affitto un appartamento ad un immigrato clandestino rischia di perdere l’appartamento perché gli viene confiscato dal sindaco. La banca del dna è un accordo internazionale, europeo, che la sinistra non ha mai recepito e che noi recepiamo. A proposito di regole europee, a proposito di chi ci fa lezioni su queste cose, è il nuovo sistema che sostituirà le impronte digitali, un sistema più moderno che renderà più efficiente la lotta non solo alla clandestinità ma alla criminalità". Giustizia: il ricorso a norme penali? l’efficacia non è scontata di Valerio Onida (Presidente Emerito della Corte Costituzionale)
Il Sole 24 Ore, 22 maggio 2008
Nel "pacchetto" di provvedimenti in materia di sicurezza adottati dal Consiglio dei ministri si trovano due novità che meritano ima immediata attenzione critica, accomunate dall’essere relative all’uso che si intende fare dello strumento penale. La prima è contenuta nel disegno di legge, all’articolo 9 (è positivo che sia rimasta estranea al decreto legge), ed è la previsione del nuovo reato di "ingresso illegale nel territorio dello Stato": "lo straniero che fa ingresso nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni" della legge sull’immigrazione "è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni", obbligatoriamente arrestato e giudicato col rito direttissimo. Non si tratta propriamente del reato di "clandestinità", perché ciò che è punito è solo l’ingresso illegale: la norma non riguarderebbe dunque chi entri in Italia legalmente, e successivamente non si munisca del titolo di soggiorno o lo perda; ne riguarda i cittadini comunitari, che possono entrare liberamente in Italia e sono esclusi dall’applicazione della legge sull’immigrazione. Tuttavia questa previsione mi sembra si esponga a due obiezioni, una circa la sua efficacia, l’altra circa la appropriatezza dell’uso dello strumento penale. Quanto all’efficacia: se uno straniero viene fermato in occasione o subito dopo aver fatto ingresso in Italia, dovrebbe essere semplicemente respinto, e non si capisce perché dovrebbe essere invece immediatamente arrestato, portato davanti a un giudice per essere condannato a qualche mese di reclusione e poi espulso (salvo non riuscire a espellerlo per mancanza di identificazione o di accettazione da parte dello Stato di provenienza). Se invece lo straniero viene trovato sul territorio italiano a distanza di tempo, non sarà facile dimostrare che è entrato illegalmente dopo l’entrata in vigore della nuova legge: si sa bene che vi sono stranieri "clandestini" che vivono da anni in Italia e a essi non si potrebbe certo applicare retroattivamente la nuova legge. In ogni caso, è assai dubbio che sia appropriato impiegare lo strumento penale per sanzionare una condotta (l’immigrazione illegale) che può essere legittimamente controllata e combattuta dallo Stato, ma di per sé non lede beni primari ne esprime una pericolosità sociale, e anzi fa parte di un fenomeno di massa - la migrazione alla ricerca di migliori condizioni di vita - configurabile di per sé come manifestazione indiretta del "diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio" di cui parlano la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (articolo 13), la Convenzione europea dei diritti (articolo 2 Prot. n.4) e il Patto internazionale sui diritti civili e politici (articolo 12). Più grave ancora, dal punto di vista costituzionale, appare l’altra novità, contenuta nel decreto legge all’articolo!, lettera g): l’introduzione nel Codice penale di una nuova "circostanza aggravante comune" consistente in ciò che il fatto sia commesso "da soggetto che si trovi illegalmente sul territorio nazionale". Questa volta sono coinvolti tutti gli stranieri irregolari, non solo coloro che siano entrati illegalmente e la norma può riguardare anche i cittadini comunitari, se non ottemperino alle condizioni del loro soggiorno in Italia. Ciò significa che lo stesso reato sarebbe punito, se commesso da uno straniero irregolare, in modo più grave dello stesso fatto commesso da un cittadino italiano o da uno straniero con regolare permesso di soggiorno. In questo caso l’aggravamento di pena deriverebbe solo dalla condizione soggettiva del reo, straniero irregolare, anche se non vi sia nessun nesso fra questa condizione e il reato commesso. Qui non solo lo strumento penale viene usato in modo distorto rispetto alla sua funzione (per penalizzare l’irregolarità del soggiorno, che di per sé non è reato), ma si opera, mi pare, una vera e propria discriminazione fra persone in ragione dell’origine nazionale e di condizioni personali, vietata dagli articoli 2 e 7 della Dichiarazione universale, dall’articolo 14 della Cedu e dall’articolo 26 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, oltre che dall’articolo 3 della Costituzione. Giustizia: Anci; pacchetto sicurezza accoglie esigenze sindaci
Dire, 22 maggio 2008
"Attendiamo di leggere il testo definitivo del provvedimento, ma dai primi lanci di agenzia, il testo sembra andare nella direzione auspicata dai Sindaci". Così Fabio Sturani, vice presidente dell’Anci, l’Associazione nazionale dei comuni italiani, con delega sull’immigrazione commenta le norme contenute nel disegno di legge contenente le misure relative all’ingresso, permanenza e allontanamento dei cittadini comunitari. Il provvedimento, sostiene, "ci sembra in linea, peraltro, con quanto previsto dalla direttiva europea in materia, già recepita dal decreto legislativo n. 30 del 2007. Occorre ora - conclude Sturani - cominciare a dialogare con tutte le Istituzioni coinvolte nell’attuazione del provvedimento in modo da concordare modalità operative omogenee su tutto il territorio nazionale al fine di evitare difformità di interventi". Giustizia: Osapp; pacchetto sicurezza? migliaia detenuti in più
Apcom, 22 maggio 2008
"Stimiamo che nei prossimi mesi il sistema carcerario dovrà soffrire dai 3.000 ai 4.000 detenuti stranieri in più rispetto al normale andamento dei flussi", Così il segretario generale dell’Osapp, il sindacato della polizia penitenziaria, Leo Beneduci, commenta il reato di immigrazione clandestina introdotto con il pacchetto sulla sicurezza che il Governo ha varato oggi. "Così come disposta nel nuovo disegno di legge, infatti, l’espulsione appare contrastante con l’attuale testo unico sull’immigrazione: non come misura alternativa, quindi, ma come accessoria della detenzione". "Una volta subìto il processo per direttissima - spiega Beneduci - non è accertato che lo straniero venga immediatamente espulso". "Ci domandiamo, invece, se a questa prima fase ne seguano altre. Se nelle intenzioni del Governo, e del neo ministro della Giustizia, non ci sia anche quella di rivedere e ricostituire il sistema delle carceri italiane, e di dotare finalmente la Polizia Penitenziaria degli strumenti idonei per la salvaguardia della sicurezza anche nelle sezioni". "Dopo le facili promesse è arrivato il momento che si inizi a guardare alla Giustizia come ad un sistema unico, e si incominci a prestare ascolto anche a quelle istanze che il Corpo ha la legittimità piena di rappresentare". Giustizia: Sappe; strutture "ad hoc" per immigrati clandestini
Comunicato Sappe, 22 maggio 2008
Differenziare la detenzione dei soggetti arrestati per il reato di immigrazione clandestina, con la previsione di assegnazione in strutture ad hoc (quali, ad esempio, le carceri mandamentali e le caserme delle Forze Armate oggi dismesse), evitando, quindi, il loro inserimento nei circuiti penitenziari tradizionali. Potenziamento degli organici del Corpo di Polizia Penitenziaria e perseguimento di una politica di formazione e aggiornamento professionale dei Baschi Azzurri da destinare a questo nuovo gravoso compito istituzionale. È l’auspicio della Segreteria Generale del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria con oltre 12 mila iscritti, in relazione a quanto contenuto nel "pacchetto sicurezza" approvato ieri dal Governo. "Siamo certi che i Ministri dell’Interno e della Giustizia Maroni e Alfano abbiano tenuto nel debito conto le ricadute che comporterà l’introduzione del reato di immigrazione clandestina sui nostri penitenziari, già abbondantemente sovraffollati con 53mila detenuti presenti a fronte di poco più di 42mila posti" aggiunge il segretario generale Sappe Donato Capece. "Le nostre strutture non sono in grado di sostenere un ulteriore aumento di detenuti e poiché il reato di immigrazione clandestina serve ad espellere più facilmente chi entra illegalmente nel nostro Paese - perché è previsto l’arresto immediato, il giudizio immediato ed un immediato provvedimento di espulsione - riteniamo si debba ricorrere non già ai circuiti penitenziari tradizionali (abbondantemente sovraffollati) ma ad altre strutture che dovranno essere rapidamente attrezzate come le carceri mandamentali e le caserme delle Forze Armate oggi dismesse. Strutture presso le quali le persone arrestate saranno detenute fino al riconoscimento e all’espulsione e in cui dovrà operare personale di Polizia penitenziaria, che deve essere adeguatamente incrementato e formato. E proprio per questo, per sapere come intende muoversi il Dicastero della Giustizia, auspichiamo un incontro urgente con il Ministro Guardasigilli Angelino Alfano. Giustizia: "sicurezza" e repressione, ora caccia alle prostitute di Pia Covre (Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute Onlus)
Liberazione, 22 maggio 2008)
La "caccia al clandestino" inevitabilmente riapre (ma si era mai fermata?) anche la caccia alle prostitute donne e transessuali. Forse non ci sono le deportazioni, sappiamo la procedura per effettuare l’espulsione è costosa e macchinosa, ma la persecuzione sistematica fatta di retate, multe, denunce e reclusione nei Cpt è all’ordine del giorno. Non si contano più le irruzioni delle forze dell’ordine negli appartamenti per chiuderli e denunciare chi vi lavora. Anche i siti web che pubblicizzano il lavoro sessuale sono sotto tiro. La giustificazione è sempre la stessa la lotta allo sfruttamento e alla tratta. Salvo poi inviare le donne, tutte straniere, catturate nelle retate direttamente nei Cpt senza neppure informarle sui loro diritti nel caso siano sfruttate. In realtà le retate e la repressione vengono ispirate dalla filosofia politica dello "sgombero", ovvero via i centri sociali, via i campi dei Rom, via i mendicanti, via le prostitute ecc. ecc... Alcuni sindaci (sia di destra che di cosiddetta sinistra) mostrano ormai un accanimento sproporzionato contro la prostituzione, spesso solo per intascare un facile consenso. Infatti sempre più spesso le retate sono la risposta alle lamentele di alcuni cittadini che plaudono all’arresto di qualche transessuale o qualche immigrata/o e scioccamente credono di avere un amministratore eccellente, senza rendersi conto che proprio questa soluzione ne dimostra i limiti di capacità di governo. Ma molto inquietanti sono gli episodi di intolleranza e di odio che vengono enfatizzati da alcuni media. Non c’è da stupirsi se poi abbiamo reazioni di teste rasate ed esaltate, come abbiamo visto ad esempio al Tg1 della sera del 19 maggio, che si lanciano alla cattura delle trans sotto gli occhi di una pattuglia di Polizia che non interviene, anzi Polizia che evidentemente ringrazia del servizio e si carica le trans sulla volante. Questo è l’esito della propaganda sulla sicurezza e sulla necessità di fare le ronde, che vede i poliziotti dello Stato lasciare in mano a dei "giustizieri" l’ordine pubblico. La storia ce lo ha insegnato: si comincia coi Rom, i mendicanti, le prostitute, i diversi e i non "conformi". Si alza la tensione e si provvede poi a fare le leggi speciali, le leggi di emergenza. Leggi che ad arte vengono fatte per mettere fuorilegge gli emarginati e magari chi protesta per difenderli. Criminalizzare pare l’obiettivo più urgente della nuova classe di governo, ce n’è per tutti: clandestini, Rom, romeni, abortisti e chissà quante altre categorie... forse anche le sex workers. La prostituzione esiste perché c’è una precisa domanda da parte di molti uomini. Non si può eliminare la prostituzione, ne abbiamo esempi storici che lo dimostrano. Oggi sarebbe possibile eliminare dalle strade la prostituzione? No perché è la prostituzione a basso costo, nel contesto attuale di crisi economica e aumento della povertà non può essere eliminata, eventualmente potrebbe solo scomparire, diventare invisibile, maggiormente sfruttata e più pericolosa per chi la esercita. Ma soppravviverebbe perché è necessaria sia alle lavoratrici che ai clienti, sia italiani che stranieri. Gli stessi che si oppongono ai ricongiungimenti familiari per i lavoratori stranieri (che sono spesso uomini giovani e soli) sono magari quelli che non vedono di buon occhio le sex workers. Ma qualcuno vuole tener conto del desiderio sessuale di tutte le persone? La soddisfazione sessuale è un bisogno primario a meno che non ci si voti alla castità (ma anche questa scelta non sembra essere definitivamente soddisfacente per tutti). Nel nostro paese i legislatori sono malati di sessuofobia, non garantiscono i diritti sessuali dei cittadini. Tutto il paese soffre di questo malanno e lo dimostra con l’intolleranza verso le prostitute, verso i gay, verso le lesbiche e i transgender. Tutte "categorie" non "conformi" dal punto di vista delle scelte sessuali, pertanto persone non ammesse ai diritti civili di cui godono gli altri cittadini. Non c’è parità di diritti, gli altri, i "conformi" possono sposarsi, unirsi in famiglie riconosciute, fare i genitori. E se sono ricchi e/o famosi possono anche "fecondarsi" in cliniche all’estero o esibirsi in costumi succinti e atteggiamenti erotici sulle riviste di gossip, perfino fare carriera grazie allo scambio sessuo-economico. Poi la domenica tutti a S. Pietro a prendere l’indulgenza e gli ordini sulla difesa della religione cristiana e la morale. Chissà il loro Dio, se non è distratto, cosa ne pensa di quello che sta succedendo quaggiù? Giustizia: Padova; i parenti delle vittime incontrano i detenuti di Pietro Calabrese
Magazine del Corriere della Sera, 22 maggio 2008
Ben venga l’incontro nel carcere di Padova tra parenti di vittima degli anni di piombo, detenuti, e studiosi. Per parlare, guardarsi negli occhi, assorbire gesti ed emozioni. Un giorno, chissà, arriverà il perdono. Ora no, adesso è presto. "Non avevo una famiglia e neppure mio marito ne aveva una. Eravamo due persone sole che si erano incontrate e che rappresentavano tutto l’uno per l’altra. La mia famiglia era solo questo, quando mi hanno tolto l’latra parte di me, sono stata lasciata nel deserto affettivo". La nostra memoria rischia di affogare ascoltando le parole di Olga D’Antona, vedova del giuslavorista massimo, ucciso a Roma dalle Nuove Br nel maggio del ‘99. Il dolore degli altri si fa collettivo e brucia come una ferita propria. Il buio di quegli anni non è stato dimenticato. E se questo capita a noi, usciti indenni da quella stagione, figuriamoci il sentimento di disperazione che abita il cuore dei parenti delle vittime. Quei visi cari, quei piccoli gesti quotidiani, quelle carezze alle quali non si fa mai lì’abitudine, strappati in un attimo per mano di assassini vigliacchi appostati all’angolo di una strada, che aspettano di veder passare la vittima per sparargli alle spalle. Quelle stesse vittime che i lupi feroci si ostinano ancora a definire "un simbolo", come a tentare di scrollarsi di dosso il peso del corpo di Abele. Quei "simboli" in realtà erano uomini in carne e ossa, con i loro sogni, desideri, affetti, i loro bambini che magari quella mattina non hanno fatto in tempo a salutare e che non avrebbero abbracciato mai più. Gli "anni di piombo" tornano periodicamente a tormentarci in un gioco di specchi tra vittime e carnefici. Difficile l’oblio, ancora più difficile il perdono. Venerdì 23 maggio nel carcere di Padova si incontreranno cinquecento persone: parenti delle vittime, detenuti, operatori carcerari, studiosi. Per parlare. Per guardarsi negli occhi. Per assorbire sensazione, gesti, emozioni. È la prima volta che in Italia avviene una cosa del genere. Si studieranno, si racconteranno le loro storie. Ascolteranno il rumore del cuore e il vento dei ricordi. Dialogheranno tra loro. Staranno insieme un’intera giornata, poi ognuno tornerà alle sue solitudini: quelle imposte dalla violenza degli assassini, quelle decretate dalle leggi dello Stato. Servirà a qualcosa questo appuntamento? Personalmente ritengo che incontrarsi e parlare sia sempre il modo migliore per comprendere. Ma qui non basterà capire, ammesso che sia possibile. In mezzo a questo labirinto di sangue e sofferenza troverà spazio anche il perdono? Molto difficile. Troppi morti, ammazzati come bestie. Troppe persone perbene finite in una pozza di sangue sui marciapiedi. Perdonare, e come si fa? Sarebbe bello se un giorno si riuscisse a chiudere quella stagione con la pace collettiva delle coscienze. Ma è presto. Anche perché ci sono ancora inaccettabili tracce di arroganza nei silenzi di alcuni degli assassini. Altro che diritto all’oblio, sancito per legge dal Garante della privacy! Teniamoci il dolore allora, teniamoci il ricordo, che almeno serva di insegnamento ai figli e ai figli dei nostri figli. E aspettiamo la stagione del perdono. Un giorno forse verrà, la porterà lo stacco del tempo. Un giorno, oggi è ancora troppo presto. Ce lo ricorda il lamento amoroso di Benedetta Tobagi, figlia di Walter, ucciso dalle Br a Milano una mattina di 28 anni fa: "quella mattina papà è morto da solo. Io oggi vorrei abbracciarlo. E strappargli una risata". Aveva appena tre anni Benedetta, quel giorno. Giustizia: il lavoro in carcere, l’occasione per un vero riscatto di Riccardo Arena (Direttore di Radio Carcere)
www.ilsussidiario.net, 22 maggio 2008
Prima di parlare di recidiva e di lavoro in carcere, dobbiamo intenderci su due aspetti della questione. Il primo. È vero, in carcere ci sono circa 53 mila detenuti. Ma solo 21.800 sono quelli condannati in via definitiva. Mentre gli altri sono in attesa di giudizio. Di conseguenza, quando parliamo di esecuzione della pena, di lavoro in carcere, è a queste 21.800 persone detenute che dobbiamo pensare. La seconda. È brutto scriverlo, lo so. Ma basta passare qualche ora in un corridoio di un carcere per rendersi conto che non tutte le persone detenute possono farci sperare per un loro, e nostro, futuro migliore. Come nella vita da "liberi", così nella vita "detenuta" c’è chi sarà meno propenso al cambiamento, meno propenso a migliorare la sua vita. Veniamo a noi. La statistica: una percentuale molto bassa dei detenuti che lavora in carcere torna a delinquere, dall’1 al 5%. Gli altri no. Gli altri imparano un lavoro in carcere, e potendo lavorare da liberi, non scelgono il crimine, ma il lavoro. Dopo la pena, cambiano vita. Un doppio risultato su cui riflettere seriamente. Per noi cittadini liberi, significa maggiore sicurezza. Una pena utile. Una pena sensata. Una pena che dà al condannato una possibilità di scelta. È una pena che ci garantisce meno delinquenza per le strade e più sicurezza nelle case. Ovvero quello che, in effetti, tutti vogliamo. Per lo Stato, significa risparmiare soldi. Eloquente il confronto tra due carceri. Il primo: carcere dell’isola di Favignana. I detenuti sono costretti a stare in celle degradate e messe a dieci metri sotto il livello del mare. La loro pena: restare chiusi in quella cella-caverna per 22 ore al giorno. Nel carcere di Favignana ogni detenuto costa 300 euro al giorno. Il secondo: carcere dell’isola della Gorgona. Tutti i detenuti lavorano. In cella vanno solo per dormire la sera. C’è chi fa il fabbro, chi l’agricoltore, chi il macellaio. Addirittura c’è chi fa il pescatore. Nel carcere della Gorgona ogni detenuto costa 170 euro al giorno. Non credo che servano commenti. Ma una precisazione sì. In Italia carceri come la Gorgona o come Bollate, dove il detenuto sconta la pena lavorando, sono dette "sperimentali". Ed in effetti sono una rarità tra le 205 carceri nostrane. La Gorgona, come Bollate, sono in funzione da anni. Danno ottimi risultati. Il condannato raramente torna a delinquere finita la pena. Per lo Stato queste carceri sono fonte di risparmio. Ma restano strutture sperimentali. Come dire: da noi ciò che funziona resta un esperimento, ciò che non funziona resta tale. Questo vale per il carcere, come per il resto. È evidente che serve una nuova politica. Una politica che guardi al risultato, alla realtà. Nelle carceri, come nella nostra vita, non abbiamo bisogno di slogan, di propaganda, ma di soluzioni. Di alternative di buon senso. Nelle carceri, come nella nostra vita, abbiamo bisogno di una politica che riaffermi la priorità dell’individuo, sia esso detenuto, pensionato, malato o disoccupato. Nulla di difficile. Nulla di più lontano. Prato: detenuto di 28 anni s’impicca poche ore dopo l’arresto
Ansa, 22 maggio 2008
Un pregiudicato marocchino di 28 anni si è impiccato nel carcere La Dogaia di Prato poche ore dopo l’arresto, avvenuto ieri sera. Il maghrebino era fuggito a piedi a un controllo dei militari che, dopo un inseguimento, erano riusciti a bloccarlo nonostante le sue resistenze. L’uomo era stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. Poche ore dopo l’arrivo nel penitenziario, l’uomo si è impiccato nella sua cella, dove era da solo, con la maglietta che indossava. Su di lui pendevano due ordini di cattura del tribunale di Mantova risalenti al febbraio scorso per ricettazione, furto aggravato, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. La procura di Prato ha disposto l’autopsia.
Interrogazione parlamentare: "si faccia luce subito"
Un giovane marocchino si è suicidato nel carcere di Prato, è il quattordicesimo suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno. Intervento della Senatrice aretina Donatella Poretti, parlamentare Radicale - Partito Democratico: "Il carcere La Dogaia di Prato, dove nella notte tra martedì e mercoledì scorsi, si è tolto la vita un ragazzo marocchino di 28 anni, dopo poche ore dall’arresto, avvenuto per resistenza a pubblico ufficiale e per lesioni, non è che l’ennesimo caso di suicidio nel giro di pochi mesi, e non è, purtroppo, affatto un’eccezione rispetto a numerose altre realtà carcerarie. Risultano infatti, dall’inizio dell’anno, più di trenta i detenuti morti in carcere, e di questi quattordici sono suicidi. Sappiamo che questo fenomeno nelle carceri è da sempre in costante crescita, di certo complice il grado di disperazione e di annientamento della persona umana, al quale neanche i numerosi sforzi compiuti ogni giorno dagli operatori carcerari, riescono a porre un freno. Del resto, come si sa, i campanelli d’allarme sulla condizione delle carceri italiane suonano ogni giorno più numerosi da ogni angolo d’Italia, denunciando una realtà di manifesta illegalità, inumanità e ingiustizia nella gestione delle pene; una vergogna per il Paese, per il suo senso civico e umano. Prima che arrivi il caldo estivo che di certo non migliorerà la situazione, è necessario intervenire con ogni mezzo. Per queste ragioni con il senatore Marco Perduca, depositeremo un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia, per sapere nello specifico cosa sia successo al carcere la Dogaia di Prato, e per sapere come il Ministro intenda affrontare questa annosa e permanente emergenza". Milano: detenuto 66enne muore in cella per problemi cardiaci
www.ildue.it, 22 maggio 2008
Un uomo di 66 anni, di nome Vincenzo, detenuto nella sezione Penale, è morto nel pomeriggio di sabato 17 maggio 2008, nel carcere di San Vittore. Soffriva di problemi cardiaci e la mattina, verso le 10 e mezza, poche ore prima di morire, si era rivolto ai medici di San Vittore perché le sue condizioni stavano peggiorando. La solita pastiglia, ottenuta in risposta alla sua richiesta, non è bastata a evitargli la morte, sopraggiunta qualche ora dopo, lasciando nello sconcerto gli altri detenuti. Empoli: il carcere a "custodia attenuata" con solo 4 detenute
Redattore Sociale, 22 maggio 2008
Incontro tra assessore regionale alle Politiche sociali, provveditore e sindaco per fare il punto sul carcere svuotato (ospita solo 4 detenute): "Non vogliamo una normale struttura di reclusione". Sei mesi per cercare nuove ospiti. Dopo la segnalazione del garante per i diritti dei detenuti di Firenze, Franco Corleone, e dopo una mozione della giunta regionale che si impegnava a salvaguardarne l’identità, sull’Istituto penitenziario femminile a Custodia Attenuata di Empoli hanno fatto il punto anche Regione, Provveditorato Regionale e Comune di Empoli. Il carcere empolese, infatti, dopo il provvedimento di indulto si è quasi completamente svuotato, ed oggi ospita 4 detenute a fronte di una capienza complessiva di 20 posti. Proprio per questo la questione è balzata all’attenzione dei vari enti chiamati in causa e questa mattina l’assessore regionale alle politiche sociali, Gianni Salvadori, il provveditore Maria Pia Giuffrida ed il sindaco di Empoli Luciana Cappelli si sono incontrati per valutare la situazione. Risultato: tutti e tre hanno espresso la volontà di non trasformare la struttura in una ordinaria casa di reclusione e di mantenerne la destinazione attuale impegnandosi a riportare il numero delle presenze alla capienza prevista. Per far questo il provveditore ha emanato disposizioni per coinvolgere anche gli altri istituti penitenziari della Regione ed ha contattato il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria: obiettivo quello di trovare, entro 6 mesi, detenute attualmente recluse altrove che per le loro caratteristiche potrebbero essere ospitate ad Empoli. L’istituto di Empoli, infatti, era nato inizialmente per accogliere detenute con problemi di tossicodipendenza, e nel tempo ha ospitato anche detenute a bassa soglia di pericolosità. "Sono molto soddisfatto - commenta l’assessore Salvadori - per gli impegni assunti questa mattina dal provveditore, che ha confermato l’impostazione del trattamento attualmente vigente nell’Istituto. L’incontro di oggi conferma l’utilità e la positività del dialogo tra i vari enti coinvolti, costruttivo per l’intera Toscana". Opera: i progetti di Ecoelit per lo smaltimento dei rifiuti Raee
Vita, 22 maggio 2008
All’interno del carcere di Opera siglato un accordo con la cooperativa sociale "Il Giorno Dopo". Al via due importanti iniziative che vedono coinvolto e protagonista Ecoelit, il Consorzio Nazionale Volontario Accumulatori ed Elettroutensili, ente senza fini di lucro nato a Milano nel 1996. Tema comune: la gestione e lo smaltimento dei Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, meglio noti come Raee. La prima delle due proposte, definita a fronte di dodici anni d’esperienza del consorzio in tema di Raee, prevede il sostegno attivo ai distributori di tutta Italia per lo smaltimento di questi particolari rifiuti. A partire dal 2005 (D.Lgs.151 del 25 luglio 2005) i distributori sono infatti tenuti ad assicurare, al momento della fornitura di una nuova apparecchiatura elettrica ed elettronica, il ritiro gratuito di quella usata. Per la distribuzione ciò si traduce nella necessità di introdurre notevoli cambiamenti nelle modalità operative e logistiche, pertanto Ecoelit fornisce la garanzia di un servizio affidabile e sicuro mirato alle singole esigenze di ogni distributore. Si colloca a coronamento di un lungo ed intenso lavoro preparatorio e di formazione la seconda iniziativa, ideata ed attuata in collaborazione con la Cooperativa Sociale "Il Giorno Dopo". All’interno del Carcere di Opera (Milano), la cooperativa ha ottenuto dalle Istituzioni l’autorizzazione a svolgere le attività di verifica e trattamento dei Raee in locali appositamente attrezzati all’interno della struttura carceraria stessa. Un esempio reale di recupero e reinserimento nella società di detenuti attraverso un percorso di formazione e lavoro in un settore, quello dell’ambiente, in continua evoluzione e di sempre maggiore attualità. Stando ai dati del rapporto Apat 2006, non va dimenticato che ogni anno l’Italia produce oltre 850.000 tonnellate di Raee e che di queste solo il 7,9%, pari a 67.000 tonnellate sono state gestite e recuperate correttamente. Pur se con notevole ritardo anche il nostro Paese ha recepito le direttive emesse dalla Comunità Europea, la quale ha imposto al 31 dicembre 2008 una quota di ritiro, e quindi di riciclo, di rifiuti Raee non inferiore a 4 kg annui per abitante. Al 2006 la situazione italiana era a 1,15 kg per abitante all’anno. La strada da percorrere sembra essere ancora molta. Bologna: per Anna Maria Franzoni la prima notte in carcere
La Repubblica, 22 maggio 2008
La prima notte nel carcere Dozza di Bologna l’ha trascorsa tranquilla, guardata a vista da due agenti della Polizia penitenziaria. Temono che Anna Maria Franzoni possa suicidarsi. Erano quasi le tre quando ha varcato il portone del carcere accompagnata dai carabinieri. La lunga attesa era finita qualche ora prima nella casa di un’amica sull’Appennino bolognese, a Ripoli Santa Cristina. "La battaglia legale continua". Anche la Cassazione ritiene Anna Maria Franzoni l’assassina di suo figlio Samuele e per questo ha confermato la condanna a 16 anni di reclusione. L’avvocato Paola Savio però non si arrende: "Se emergeranno nuovi elementi, magari con l’ausilio di tecniche scientifiche diverse, si può sempre ricorrere alla revisione del processo", ha detto durante la trasmissione Matrix a Canale 5. "Il procedimento ha esaurito suoi gradi, ma il nostro ordinamento prevede anche l’istituto della revisione. È un’eventualità anche se parlarne adesso è un po’ presto". Gli amici: "Ti vogliamo bene". Davanti alla casa di un’amica dove la Franzoni si era rifugiata, ieri sera si erano dati appuntamento un gruppetto di amici. "Anna Maria ti vogliamo bene", le ha gridato una donna. Davanti al portone, la tensione è salita e la rabbia degli abitanti del paese è esplosa contro i giornalisti: "Lasciatela in pace. Basta!" Anche le due sorelle di Annamaria hanno urlato: "Sciacalli, andatevene via". L’attesa con il parroco. Nella casa di Elisabetta Armenti, la responsabile del comitato pro-Annamaria, ieri sera c’era anche il parroco don Marco Baroncini, quello che al processo di appello studiava i documenti e aiutava gli avvocati della difesa, e il suocero di Anna Maria, Mario Lorenzi che nel pomeriggio era rimasto a lungo nella chiesa del paese a recitare il rosario per il Sacro Cuore. "Non si può condannare senza prove". In attesa erano rimasti anche gli abitanti di Monteacuto Vallese, il paese dove Franzoni è nata e cresciuta e dove vivono ancora i suoi genitori. Nonostante due condanne prima della sentenza definitiva, il paese era rimasto fino all’ultimo dalla sua parte. Convinti, come ripetevano ai curiosi, "che non si potesse condannare una madre senza prove". Foggia: con "L’Eco del Gargano" le canzoni popolari in carcere
Comunicato stampa, 22 maggio 2008
Ieri nella Casa Circondariale di Foggia si è esibito, dopo anni nuovamente, il Gruppo Folkloristico "L’Eco del Gargano". Canzoni popolari della tradizione del Gargano hanno allietato il pomeriggio di parte dei reclusi della Casa Circondariale i quali hanno aderito all’iniziativa con entusiasmo,manifestando particolare gradimento. Il Gruppo composto da circa 30 artisti della musica popolare e presentato dall’ispiratore principale, Benito Ripoli, ha eseguito ballate antiche e canti tradizionali anche di altre Regioni italiane. Ripoli, grande cultore della musica popolare del Gargano, si è impegnato a replicare lo spettacolo per i detenuti degli altri padiglioni ed ha proposto la realizzazione di un laboratorio interno per sensibilizzare i giovani a questo genere di musica. Presenti alla manifestazione il Magistrato di Sorveglianza,dott. Domenico Mascolo, i Dirigenti del Penitenziario dr. Di Florio e dott.ssa Acquafredda, il Direttore dell’Uepe Nazareno Mancuso e i Responsabili delle diverse Aree del Penitenziario. Immigrazione: contro il paradigma di una xenofobia che torna di Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone)
Il Manifesto, 22 maggio 2008
L’Unione Europea condanna le violenze nei confronti degli immigrati e richiama il governo italiano alla ragionevolezza e al rispetto della libertà individuale degli stranieri. Il governo italiano risponde confermando di voler fieramente introdurre il reato di immigrazione clandestina. Trapela l’orgoglio di trovarsi soli di fronte al mondo nella lotta all’immigrato. Un arroccamento nei propri angusti confini nazionali che non vedevamo dai tempi dell’Italia fascista. L’aggressione dell’Abissinia e dell’Etiopia ci portò alla condanna da parte della Società delle Nazioni ma anche di Francia e Inghilterra. L’Italia reagì orgogliosamente uscendo dalla Società delle Nazioni e preferendo l’isolamento internazionale. Poi è arrivata la Costituzione. Per vari decenni è esistito un pudore istituzionale che ha sempre impedito tracimazioni razziste. Ora si è rotta la diga del buon senso. Sono stati i liberali europei diretti dallo scozzese Graham Watson i primi a lanciare l’allarme contro l’ondata xenofoba collettiva che ha invaso il nostro paese. Da noi per un decennio, sia a destra che a sinistra, tutti a parole si sono dichiarati liberali. Liberale si dichiarava Fini. Liberale si dichiarava Berlusconi. Liberale si dichiarava Veltroni. Liberale si dichiarava Fassino. Con questi argomenti, il liberale Fassino dichiarava ieri la propria opposizione alle decisioni del Governo: "Se l’immigrazione fosse reato penale non potresti espellere il clandestino fino a quando non è stato fatto un processo. Quindi nel frattempo te lo devi tenere in carcere. In questo modo l’espulsione immediata non la puoi fare, i tempi del processo possono essere anche non immediati. Non serve lanciare parole d’ordine soltanto per fare propaganda. La lotta alla clandestinità è un impegno comune. La vera cosa su cui dobbiamo concentrare tutti gli sforzi è migliorare i meccanismi di espulsione". Questo è il ministro degli esteri del governo ombra. Argomenti da vero liberale. Argomenti tipici di chi ha interiorizzato John Locke, Immanuel Kant, Altiero Spinelli. A dir di Fassino, il reato di immigrazione clandestina non va bene non perché sia ingiusto, immorale, inumano ma in quanto non funzionale a una rapida espulsione. Nel Partito democratico in poco tempo è stata abiurata la tradizione socialista, si richiamano le proprie radici cattoliche solo quando vengono alla luce i temi del relativismo etico, si è molto lontani dalla nobile storia liberale. Ecco la tragedia di questi tempi: un governo che attenta alla solidarietà umana, alla fratellanza, allo stato di diritto; una opposizione che ne lamenta la scarsa efficienza. Di fronte a tutto questo è necessaria una mobilitazione delle singole coscienze, una mobilitazione delle singole persone, una mobilitazione delle associazioni, una mobilitazione delle organizzazioni sindacali. Una mobilitazione che non può più farsi aspettare e alla quale associazioni e singoli stanno già lavorando in queste ore. È necessario che si costruisca una grande alleanza culturale e sociale disponibile a lavorare intensamente per rovesciare il paradigma dell’intolleranza, della xenofobia, del razzismo. Immigrazione: Pax Christi; no a mentalità violenta esclusivista
Redattore Sociale, 22 maggio 2008
Critiche e sconcerto verso i contenuti del pacchetto sicurezza arrivano da Pax Christi, che si rivolge al presidente della Repubblica affinché non firmi la legge che dichiara reato l’immigrazione clandestina. Critiche e sconcerto verso i contenuti del pacchetto sicurezza arrivano da Pax Christi, che si rivolge a Napolitano affinché ancora una volta tuteli i principi costituzionali e il buon nome dell’Italia non firmando la legge che dichiara "reato" l’immigrazione clandestina. "Lo sgombero del campo rom di via Bovisasca a Milano nell’aprile scorso e ancor più l’incendio del campo di via Ponticelli, nella zona orientale di Napoli - si legge in una nota nella nota - dei giorni scorsi hanno richiamato la pubblica attenzione, non soltanto sulle disumane condizioni di vita in cui versano migliaia di persone, ai bordi delle nostre città, senza che vengano riconosciuti loro i diritti umani fondamentali, ma soprattutto quella mentalità violenta ed esclusivista con cui si vorrebbe costruire la società del futuro. Tale mentalità è immediatamente riscontrabile anche nella scelta di diverse amministrazioni locali - indistintamente di destra o di sinistra, tra cui ormai si distingue quella fiorentina - di perseguire chi chiede l’elemosina per le strade e nella tolleranza - o peggio l’organizzazione - di ronde di cittadini a tutela del territorio, ruolo di esclusiva competenza dello Stato, mediante le Forze dell’ordine". "Di fronte al triste spettacolo di persone spaventate e disperate, cacciate senza alcuna prospettiva, che nella concitazione del momento perdono molte delle loro povere cose, compresi - in alcuni casi - i documenti che ne attestano l’identità; di fronte agli occhi impauriti dei bambini che, allontanati dai quartieri in cui avevano mosso i primi passi dell’integrazione, finiscono a ingrossare le fila dell’abbandono scolastico; di fronte al disagio delle donne in stato di gravidanza e di molti neonati; di fronte a questo modo di intendere il servizio istituzionale e all’arroganza di semplici cittadini che si ergono a giustizieri e tutori dell’ordine pubblico facciamo fatica a riconoscere il volto democratico e civile del nostro Paese, così come le conquiste civili sancite nella Carta Costituzionale". "Ancora più sconcertanti, ci risultano alcune voci di protesta levatesi all’interno della stessa comunità cristiana. A Milano, a una manifestazione organizzata sul sagrato del Duomo, contro il cardinale Tettamanzi, reo d’aver alzato la voce in difesa dei Diritti dei Rom, violati nel corso dello sgombero menzionato, diversi dei partecipanti si professavo credenti e appartenenti a quella Chiesa; mentre a Pisa perfino delle suore hanno protestato contro il progetto per un dormitorio di poveri vicino al loro asilo, per paura che i bambini si spaventassero. Per contro, forti e chiare si sono levate, in questi giorni, alcune voci autorevoli, tanto per il ruolo che rivestono all’interno della Comunità ecclesiale, che per il servizio che prestano sul campo. Riaffermando perciò la ferma convinzione che una società sicura e ordinata possa essere costruita soltanto sul rispetto dei diritti umani, universalmente garantiti, lamentiamo che la logica adombrata tanto in certi incresciosi episodi quanto nei provvedimenti discussi in queste ore, non fanno che sconfessare quelle radici cristiane tanto facilmente menzionate e strumentalizzate nel dibattito sociale e politico. A tale proposito vogliamo ricordare a tutti e in particolare ai cristiani quanto Giovanni XXIII scriveva, ormai 45 anni fa, nell’Enciclica Pacem in Terris: "Ogni essere umano ha il diritto alla libertà di movimento e di dimora nell’interno della comunità politica di cui è cittadino; ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo consiglino, di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse. Per il fatto che si è cittadini di una determinata comunità politica, nulla perde di contenuto la propria appartenenza, in qualità di membri, alla stessa famiglia umana; e quindi l’appartenenza, in qualità di cittadini, alla comunità mondiale". Immigrazione: Msf; condizioni di Cpt potranno solo peggiorare
Redattore Sociale, 22 maggio 2008
Medici senza frontiere esprime preoccupazione per alcuni aspetti del "pacchetto sicurezza" approvato dal Cdm, tra cui quello sui tempi massimi di permanenza nei cpt. "Abusi, utilizzo incongruo di psicofarmaci: le condizioni sono già gravi". Medici senza frontiere - Msf - esprime profonda preoccupazione su alcuni aspetti del "pacchetto sicurezza" approvato dal Consiglio dei ministri. Msf, che fornisce assistenza sanitaria agli stranieri presenti in Italia dal 1999, è contraria alla proposta di un’estensione a 18 mesi (dagli attuali due) del tempo massimo di permanenza all’interno dei Centri di Permanenza Temporanea e di Accoglienza (Cpta). La critica di Msf si basa sulla sua esperienza nei Cpta tra il 2000 e il 2004, riportata nel "Rapporto sui centri di permanenza temporanea e assistenza". In questo rapporto Msf denunciava le condizioni inaccettabili di questi centri, all’interno dei quali si verificavano abusi da parte delle forze dell’ordine, utilizzo incongruo di psicofarmaci, episodi di autolesionismo e, in generale, un’assoluta incapacità di garantire standard minimi di accoglienza. Msf teme che queste condizioni, con l’estensione a 18 mesi del periodo massimo di permanenza all’interno dei Cpta, non possano che peggiorare. "Nonostante oggi siano presenti organismi di tutela all’interno dei Cpt", afferma Loris De Filippi, responsabile dei progetti di Msf Italia, "sulla scorta della nostra pluriennale esperienza, temiamo che un’estensione del periodo di permanenza a 18 mesi possa avere gravi conseguenze sulla salute dei migranti trattenuti nei centri. Chiediamo pertanto che a un’organizzazione indipendente come Msf venga garantito l’accesso ai Cpt per potere monitorare le condizioni dei migranti". Msf ha recentemente pubblicato il rapporto "Una stagione all’inferno" sulle inaccettabili condizioni di vita e di lavoro degli stranieri impiegati come stagionali nell’agricoltura nel Sud Italia. "Temiamo che l’introduzione del reato di immigrazione clandestina possa ulteriormente esacerbare la situazione di sfruttamento dei migranti irregolari impiegati come lavoratori stagionali", continua Loris De Filippi, "rendendoli ancora più vulnerabili di fronte a fenomeni di abuso e di sfruttamento, e ostacolando ulteriormente l’accesso alle cure, cui tutti gli stranieri, anche irregolarmente presenti, hanno diritto secondo quanto stabilito dalla legge Bossi-Fini". Questi temi saranno discussi in conferenza stampa domani alle 11 presso l’Hotel Nazionale, in piazza Montecitorio, 131 a Roma. Droghe: Udc; la cannabis terapeutica? è soltanto un business
Asca, 22 maggio 2008
Una manifestazione che viola la legge non può beneficiare di alcuna autorizzazione. Quello del "Cannabis tipo forte" di Bologna è un evento diseducativo che qualcuno vorrebbe far passare per scientifico. "In realtà si tratta di puro marketing a servizio del business della droga". Lo afferma il deputato Udc Gianluca Galletti, che ha presentato un’interrogazione al presidente del Consiglio e al ministro dell’Interno per denunciare i contenuti della quarta mostra convegno eco tecnologica della cannabis medicinale e industriale "Cannabis tipo forte" prevista al Palanord di Bologna a fine maggio. "Non è pensabile - sottolinea l’esponente centrista - che una struttura pubblica possa ospitare una mostra dai contenuti diseducativi, peraltro ideata da un medico-chirurgo già per la seconda volta agli arresti domiciliari per coltivazione e detenzione ai fini di spaccio di stupefacenti. Il Governo assuma tutte le iniziative del caso per contrastare la cultura dello sballo e ricordi, specie ai più giovani e alla stessa amministrazione comunale di Bologna, che coltivare, produrre e detenere in Italia sostanze simili è ancora un reato". Droghe: Giovanardi; alcolici vietati dovunque dopo 2 di notte
Redattore Sociale, 22 maggio 2008
Il sottosegretario alla Famiglia, droghe e servizio civile a Roma alla Giornata "Mobilità in sicurezza". L’esperienza dimostra che leggi e sanzioni danno risultati in termini di calo della mortalità. "Perfezionare la normativa dello scorso anno che ha proibito di vendere dalle 2 in poi alcolici nelle discoteche, applicare la stessa norma ai chioschi e ai bar". Lo afferma il sottosegretario alla famiglia, droghe e servizio civile Carlo Giovanardi, intervenuto stamattina alla giornata "Mobilità in sicurezza" a Castel Sant’Angelo a Roma. La giornata voluta dall’associazione sulla rotta della sicurezza con il contributo delle forze armate, della protezione civile, dei vigili del fuoco e della Croce Rossa. Oltre 5.400 le vittime della strada e 3.000 mila i feriti, sono le cifre italiane. "È uno dei più gravi problemi che affligge il nostro paese - ha proseguito Giovanardi - la mortalità generale ma più specificamente delle giovani generazioni, quelle del sabato sera. L’esperienza di questi anni dimostra che quando ci si attiva dal punto di vista normativo e da quello delle sanzioni, per chi trasgredisce il codice stradale e per chi guida sotto l’effetto di alcol e stupefacenti, i risultati si vedono in termini di calo della mortalità e della traumatologia". "Il problema - ha detto ancora il sottosegretario - è che bisogna avere una volontà politica per proseguire su questa strada,che è quella della prevenzione e della repressione dei comportamenti che mettono a rischio la vita delle persone". Giovanardi ha fatto riferimento anche agli alti costi sostenuti dallo stato e dalle famiglie delle vittime della strada. "Sono prezzi cari, diretti per quanto riguarda le famiglie che vedono morire i propri familiari a volte giovanissimi e indiretti dal punto di vista dei costi che la società paga: da quelli della cure ospedaliere per chi ha subito traumi da sopportare tutta la vita, al costo delle assicurazioni. Costi che potrebbero calare con calo della mortalità".
|