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Giustizia: "pacchetto sicurezza", ecco i giustizieri di governo di Luigi Manconi (Ex Sottosegretario alla Giustizia)
L’Unità, 12 maggio 2008
Secondo l’antica tecnica della Caricatura dell’Avversario, utilizzata fin troppo spesso nei confronti degli esponenti del centrodestra, mi è capitato talvolta di definire gli uomini più vicini a Silvio Berlusconi come "garantisti verso i potenti, giustizialisti verso i deboli". Come in una tardiva rappresentazione dadaista, quella tecnica della Caricatura ha preso vita, animandosi scompostamente nelle ultime ore e materializzandosi, non ancora negli atti, ma già nelle parole del governo appena insediatosi. Se si intersecano alcune dichiarazioni del nuovo Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, raccolte dal Corriere della Sera, e un’intervista a Niccolò Ghedini, pubblicata dal Sole 24 Ore, si ha una plastica - e a tratti imbarazzante - raffigurazione di ciò che Giovanni Sartori ha definito "l’incompetenza al governo". E, infatti, la truculenza di alcune dichiarazioni risulta tanto tronfia quanto priva di plausibilità e di credibili fondamenti. Il nuovo ministro della Giustizia afferma che non ci saranno più indulti con la sbrigatività propria di chi intende voltare una brutta pagina scritta dal governo precedente. Dimentica, così, di esser stato tra coloro che, quella misura di clemenza, approvarono: così come fece la maggioranza dei membri dell’attuale esecutivo, incluso il Ministro delle Infrastrutture, il dirigente di Alleanza Nazionale Altiero Matteoli (uno di quei pochi galantuomini che, quel voto a favore dell’indulto, non ha mai rinnegato). Per contro, il ministro Alfano si affida, anche lui, all’utopia negativa del "più carcere per tutti", ignorando evidentemente alcuni elementari dati di realtà: 1) la realizzazione di un nuovo istituto penitenziario richiede un tempo medio equivalente a circa tre legislature. E nel frattempo? 2) l’indice di carcerizzazione del nostro paese (la percentuale di detenuti sulla popolazione complessiva) è pari a quello registrato alla fine del secondo conflitto mondiale, in una società allora attraversata da una crisi sociale ed economica, politica ed istituzionale, oggi inimmaginabile. 3) il governo Prodi ha fatto sì che, attraverso opere di ristrutturazione, nei prossimi mesi e anni saranno disponibili circa quattromilacinquecento posti in più. Complessivamente, la capienza delle carceri italiane è adeguata a un paese che non è sull’orlo di una guerra civile, né preda inerme di bande criminali che lo assediano. Se, poi, combiniamo le dichiarazioni di Alfano con quelle di Ghedini, parlamentare del Popolo delle Libertà e avvocato del premier, ecco che le anticipazioni sul "pacchetto sicurezza", annunciato dal governo assumono quel tono, appunto caricaturale, di cui si diceva. Non si tratta solo della brutale negazione di alcuni principi fondamentali dello stato di diritto, ma anche dei tratti, un po’ farseschi e un po’ temibili, di una maschera dalla "faccia feroce". Intanto, una pirotecnica rappresentazione minacciosa, poi si vedrà. Ghedini evoca una revisione della "legge Gozzini" e di una drastica limitazione del ricorso a benefici come le "pene alternative". Sorprende che a un avvocato, e del suo calibro, sfugga ciò che qualunque agente di Polizia Penitenziaria potrebbe confermagli. Ovvero che proprio la "legge Gozzini" è stata, e tuttora è, la ragione principale che ha bloccato la spirale di rivolte violente all’interno delle carceri italiane negli ultimi decenni. E sorprende che alla competente giornalista, Donatella Stasio, che gli ricorda come la recidiva tra quanti scontano l’intera pena in carcere sia più di cinque volte maggiore della recidiva di chi sconta la pena in misure alternative, Ghedini non abbia semplicemente saputo rispondere. Infine, sono numerose in queste ore le voci che annunciano l’intenzione di configurare come reato la violazione delle norme sull’ingresso di soggiorno nel nostro paese. Anche questo corrisponde a una utopia negativa, costantemente riproposta dalla destra: basterebbe considerare come una tale misura si sia rivelata totalmente inefficace negli Stati Uniti per riconoscerne il carattere tutto velleitario. E tutto ideologico. Non solo: c’è un problema, e tutt’altro che secondario. La libertà di movimento è diritto fondamentale della persona: è comprensibile, e può considerarsi persino ragionevole, che gli stati nazionali vogliano contenere e controllare i flussi migratori attraverso misure di vigilanza, restrizione degli accessi e, se necessario, respingimento. Ma ciò attiene alla sfera delle politiche, appunto, delle scelte di governo, dei provvedimenti di controllo, dettati da criteri di opportunità, da necessità congiunturali, da esigenze di ordine pubblico. Tutto ciò, se pure accolto, non si traduce - non deve tradursi - nella negazione di quel diritto fondamentale alla libertà di movimento, che - se classificato come fattispecie penale - risulterebbe gravemente conculcato. Grazie al cielo "c’è un giudice" a Roma (o almeno dovrebbe esserci): e la costituzionalità di una simile alterazione del diritto appare davvero dubbia. In ogni caso, staremo a vedere: si dovrà capire, in primo luogo, se siamo in presenza degli ultimi sussulti di una campagna elettorale diretta alla "galvanizzazione sentimentale delle masse" in senso xenofobo, o dell’annuncio di una stagione davvero brutta. E inclemente. Giustizia: una "soluzione carceraria" nel paese senza carceri
Il Riformista, 12 maggio 2008
Ci racconta la nostra Anna Chimenti, reduce da una settimana a Londra, che lì la destra al governo già si vede. Boris Johnson ha comprato le mountain bike ai suoi agenti municipali e li ha messi a pedalare davanti alle scuole, nei parchi, intorno ai play-ground. Ci raccontano le cronache italiane che qui la destra al governo prepara una stretta legislativa per introdurre nuovi reati, aumentare le pene e mettere più gente in galera. La prima soluzione è preventiva, evitare che il delitto si compia; la seconda è carceraria, punire il delitto già compiuto. Abbiamo l’impressione che la seconda non funzionerà. La via carceraria è ovviamente percorribile. La seguono paesi democratici come gli Stati Uniti. Negli Usa si calcola che l’un per cento della popolazione sia in galera. Qualcuno dice che è anche una politica sociale: da un rancio ai disoccupati cronici e riduce le statistiche dei senza lavoro. Però negli Usa ci sono le carceri private. Severe ma pulite, dure ma civili. Sono un business in attivo, perché gli imprenditori che le gestiscono ci guadagnano, con la retta e il lavoro dei carcerati. Può piacere o non piacere, ma è un sistema che funziona. Invece, in Italia, dove metteremo tutti i delinquenti che arresterà l’avvocato Ghedini, autore del Disegno di Legge con cui Berlusconi vuole iniziare la sua terza era? Noi ce lo ricordiamo, l’avvocato Ghedini, votare da Senatore insieme con tutto il gruppo di Forza Italia per l’indulto. Il motivo era che le carceri scoppiavano, che erano sull’orlo di una rivolta, che vi si viveva in condizioni disumane, più volte sanzionate dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Motivi nobili. (Poi dentro c’erano anche un po’ di clienti dei numerosi avvocati eletti in Parlamento. Ma questo è un altro argomento e non va usato). Gli avvocati dell’indulto suggerivano come soluzione del sovraffollamento carcerario la depenalizzazione dei reati minori. Ora leggiamo che propugnano l’arresto anche per chi guida brillo. Quando avranno svuotato i Ctp e riempito le carceri di clandestini, nelle celle invece che in quattro dormiranno in otto. E siccome chi sta in carcere prima o poi esce, delinquerà il doppio quando uscirà: il 70% dei recidivi è tra coloro che scontano la pena dietro le sbarre, solo il 10% tra chi la sconta fuori. Di carceri nuove non ce ne sono, Poggioreale è sempre Poggioreale: ci dicono di grazia in che cosa consiste questa gran trovata? Tutto ciò che previene il crimine va bene. Più poliziotti e carabinieri sulle strade, più vigili urbani armati, più agenti di quartiere, più vigilantes, anche più ronde, che poi altrove si chiamano "sorveglianza di comunità". Vanno bene anche più carceri. Ma tutte queste cose costano, sono difficili da fare, richiedono tempo. Invece di partire di là, allora sipario di qua. Va bene anche prevenire l’immigrazione clandestina. Ma questo vuoi dire più guardacoste, più controlli dei documenti, più incursioni a sorpresa nelle fabbriche del nord o nelle campagne del sud. Siccome è difficile e costoso, dicono più espulsioni. Ma prima di espellerli, i clandestini devono scovarli. Con la soluzione carceraria non ce la faranno. Perché neanche Super-Silvio può ordinare per telefono a ogni magistrato in ferie di non lasciar scadere i termini di carcerazione; ne può fermare a uno a uno i romeni che arrivano senza dare qualcosa in cambio alla Romania per non farli partire (a proposito, che cosa ha già promesso a Gheddafi per farlo stare zitto su Calderoli?). Diciamo queste cose con un minimo di imbarazzo. Al momento, criticare il governo non è molto trendy. È tutto uno scambio di amorosi sensi. Con l’eccezione del valoroso Sartori, solo noi abbiamo segnalato che è un governo composto di professionisti della politica, spesso incompetenti, né più né meno di quelli precedenti. Realacci applaude la Prestigiacomo, che a sua volta "ringrazia tantissimo Alfonso", il suo famigerato predecessore. Morando dice che la ricetta presentata da Tremonti non differisce molto da quella di Bersani. Finocchiaro e Soro promettono che in Parlamento non faranno certo l’opposizione che l’opposizione fece a loro. Si sa chi farà il governo ombra, ma non si capisce chi farà l’opposizione. Responsabile certo, e costruttiva, ma pur sempre opposizione. Se quello varato da Veltroni è davvero il governo in waiting, com’è nel prototipo britannico, devono convincerci al più presto che Marco Minniti è davvero il prossimo Ministro dell’Interno e Lanfranco Tenaglia il prossimo Ministro della Giustizia, e non solo i temporanei segnaposto del patto di San Ginesio tra i numeri due delle correnti. Per convincerci, devono opporre la loro soluzione a quella carceraria di Maroni e Alfano. Ma qual è la loro soluzione? È paradossale che si debba esser noi a ricordare i doveri dell’opposizione. Ma il buon governo ha bisogno di buona opposizione. C’è una giusta via di mezzo, tra Travaglio e il nulla. Giustizia: "sicurezza" a passo di carica, ma poi funzionerà? di Carlo Federico Grosso (Ordinario di Diritto penale all'Università di Torino)
La Stampa, 12 maggio 2008
Se riuscirà ad approvare, a metà settimana, il ventilato provvedimento lampo in materia di sicurezza il governo Berlusconi avrà fatto tombola, dimostrando, almeno su questo punto, un’efficienza davvero stupefacente. Unica incognita è se il Presidente della Repubblica, al quale compete controfirmare i Decreti Legge, sarà d’accordo nel riconoscere l’esistenza dei motivi d’urgenza. Al di là della forma del provvedimento, importante per chi, iniziando a governare, vuole dimostrare rapidità ed efficienza, la riforma del sistema sicurezza risponde a esigenze sentite da molta gente. Non è in effetti tollerabile che delinquenti pericolosi, arrestati dalla polizia, siano immediatamente scarcerati dai giudici, che i processi vengano celebrati dopo mesi anche quando vi è flagranza di reato, che i condannati non vadano in carcere perché coperti da troppi premi e benefici. Ben vengano, pertanto, giudizi immediati, razionali restrizioni della legislazione premiale, limitazioni nell’impiego della sospensione condizionale della pena. Semmai, possono preoccupare altri aspetti. Di fronte alla prospettiva delle menzionate riforme, ci si deve domandare se il sistema carcerario sarà in grado di reggere all’impatto di tante contemporanee novità. È stata compiuta, ad esempio, una seria previsione di quanto potranno incidere sulla popolazione carceraria, e pertanto sulla tenuta delle strutture penitenziarie, i provvedimenti prossimi venturi? Sono stati calcolati quanti nuovi posti carcere saranno necessari? Si sono ipotizzate le misure idonee a fronteggiare eventuali rivolte dei detenuti? Ed ancora. Si è valutato quanto i nostri Tribunali, che già oggi, molte volte, arrancano inseguendo gli arretrati, potranno reggere all’urto dell’accelerazione di molti processi? Si è pensato a come affrontare in tempi rapidi i nuovi, inevitabili, problemi di organizzazione degli uffici? Non vorrei che, come molte volte è accaduto nel passato, l’ansia di approvare rapidamente una riforma inducesse a trascurare le sue ricadute pratiche, determinando, quantomeno nell’immediato, il suo fallimento. Si ipotizza, inoltre, di aumentare le sanzioni per i reati di allarme sociale. Dati i tempi, può essere una strada percorribile, anche se raramente in passato misure di questo tipo sono risultate utili. Si deve in ogni caso ricordare che, cambiando le pene, occorre essere attenti a non sbagliare le loro dimensioni. Se si sbaglia, l’aumento anziché disincentivare i delinquenti può diventare criminogeno. Se, per esempio, la sanzione prevista per il sequestro di persona o per la violenza carnale diventa troppo simile a quella dell’omicidio, al delinquente potrebbe risultare indifferente sequestrare e violentare ma poi anche uccidere. Che dire, infine, delle misure previste in tema di immigrazione ed espulsione degli stranieri? Le novità sembrano di una durezza mai vista. Si parla di introdurre il reato di ingresso abusivo, di concedere la residenza soltanto allo straniero che dispone di uno stipendio lecito e di una casa, di espellere chiunque si trovi in Italia illegalmente, di confiscare l’alloggio a chi affitta ai clandestini, addirittura di sospendere Schengen. Bloccare gli sbarchi illegali costituisce una priorità. Può darsi che di fronte al dilagare della delinquenza, alla conseguente insicurezza dei cittadini, all’efferatezza di taluni crimini, i provvedimenti ipotizzati corrispondano a sentimenti diffusi. Il problema, come sempre, è peraltro trovare un equilibrio fra le esigenze contrapposte: tutela dei cittadini ed istanze umanitarie, difesa sociale e necessità di coprire i posti di lavoro non occupati dagli italiani, tutela della cittadinanza e globalizzazione dei rapporti economici, politici e sociali, controllo degli stranieri ma rigorosa salvaguardia dei diritti fondamentali della persona e nessuna compressione delle garanzie costituzionali. Quest’ultimo profilo è irrinunciabile. Mai, ad esempio, controllo coatto del Dna per gli stranieri che chiedono il ricongiungimento familiare, una vecchia ma sciagurata idea della Cdl. Berlusconi sta puntando in alto. Vuole farcela velocemente dove il governo di Centrosinistra, che ha dimenticato per strada l’ottimo pacchetto sicurezza elaborato fra mille difficoltà dal ministro Amato e per responsabilità della sinistra radicale non è riuscito a convertire in legge un suo importante decreto sull’espulsione degli stranieri, ha clamorosamente fallito. Il tempo ci dirà se le misure che la destra sta predisponendo risolveranno quantomeno alcuni dei problemi del Paese. Se nel primo Consiglio dei Ministri il nuovo esecutivo riuscirà davvero ad approvare il provvedimento attorno al quale sta lavorando, si dovrà comunque riconoscere che il passo di chi ora governa è, per il momento, ampiamente accelerato rispetto al passato. Il Partito Democratico si appresti pertanto, con la dovuta umiltà, a una lunga traversata del deserto. Giustizia: una sfida sul fronte della sicurezza, con molti rischi di Giuseppe Sarti
Il Gazzettino, 12 maggio 2008
L’esito della recente consultazione elettorale ha per un verso legittimamente autorizzato la Lega a scoppiettante euforia nella consapevolezza che il proprio appello è stato accettato e condiviso, per altro canto ha però attribuito ai vincitori il non certo agevole compito di portare sul territorio un livello di accettabile sicurezza. E questo traguardo, tanto ambizioso, quanto oramai indifferibile, è stato uno dei principali cavalli di battaglia di tutta la campagna elettorale. Dicevano i Latini che pacta sunt servanda, che cioè le promesse vanno mantenute, e quindi ora è giunto il tempo di passare dalle parole ai fatti. Altro era, anche in tempi non recenti, abbandonarsi ad esternazioni violente o a provocazioni forti: stupire era facile, essere criticati ancor di più, ma l’importante era che intanto se ne parlasse. In fine dei conti, provvedere è, sempre toccato ad altri. Ma adesso no: adesso, una buona parte della popolazione ha ritenuto di concedere quella fiducia che in passato molti, troppi, forse, hanno tradito, ed ora l’istanza di sicurezza è diventata un coltello a due lame. La promessa elettorale tanto enfatizzata, i proclami di piazza, le minacce di misure drastiche sono ora divenute un fatto concreto, da realizzare subito, senza più ricorso ai se, o ai ma. I cittadini non ne possono più di tollerare civilmente che ogni santo giorno il rumeno di turno stupri, uccida, rapini o massacri disinvoltamente, solo perché in Italia il carcere è al massimo un soggiorno di poche ore, riservato alla sparuta percentuale di imbecilli che si fanno arrestare. Qui da noi gli immigrati hanno raggiunto addirittura 1’8% della popolazione, e reclamano il rispetto dei diritti civili, vogliono una casa, un lavoro, il riconoscimento delle proprie culture e religioni. Ma se fossero tutti dei "regolari", il problema nemmeno si porrebbe. Proprio Treviso, la patria dello Sceriffo Gentilini, ne è il miglior esempio. Tuttavia, tra i nostri ospiti c’è un ragguardevole numero di delinquenti, di quelli che, cioè, avendo scelto il crimine (per lo più organizzato) come regola di vita, hanno identificato l’Italia quale meta prediletta, essendo il Paese dell’impunità. Ed ora, quindi, la Lega cosa farà? Non sono pochi coloro che s’interrogano, auspicando l’avvio di una sorta di forte reazione xenofoba o giustizialista, ovvero silenziosamente temendo che si possa passare il limite del rigore sin dall’inizio. L’Italia ha sempre avuto il vanto di una cultura democratica e libera, come tale rispettosa dei fondamentali diritti dell’individuo. È naturale, perciò, che in un momento d’emergenza come questo, venga da chiedersi se per ripristinare un po’ d’ordine e di tranquillità, non sia necessario adoperare il pugno di ferro. Già, vien da dire che ci vorrebbe però anche il guanto di velluto, ma non son più tempi. La Lega è sempre stata, sin dai suoi albori, un partito decisionista, di rottura, di azione ferma, pronto al costi quel che costi. Ma finché i risultati d’effetto sono stati acquisibili in piccole realtà urbane quali la provincia di Treviso, ad esempio, laddove è sempre stata la popolazione ad incitare la Lega ad interventi radicali, il compito è sembrato facile. Oggi, però, è coinvolto l’intero Paese, ove la Lega ha assunto un ruolo importante di governo, e in alcune regioni portare ordine è cosa a dir poco inimmaginabile. Eppure ci vorrà uniformità di condotte e di provvedimenti per tutto il territorio, iniziando dalla severa protezione delle coste per scongiurare l’emorragia perenne di sbarchi clandestini di disperati, e continuando con lo smantellamento di numerosissime baraccopoli, ricettacolo solo di miseria, ma anche di delinquenza e malattie. Forse sta nascendo una nuova epoca, un’era in cui ancora una volta i media si schiereranno da una parte o dall’altra, permissivi contro intransigenti. E sarà un bene, questo, o non piuttosto un pericolosissimo segnale di ingovernabilità di un Paese da sempre lacerato da istanze regolarmente opposte, in cui i dialoghi tra sordi e ciechi l’hanno sempre fatta sistematicamente da padroni? I pericoli d’uno sconfinamento vi sono, inutile negarlo. Giustizia: le ronde della comunità perduta che fanno tristezza di Ilvo Diamanti
La Repubblica, 12 maggio 2008
A volte l’ideologia impedisce di riconoscere le cose. Occhiali deformanti, che sfalsano la percezione di chi osserva. Coerentemente con l’intenzione che anima i protagonisti della scena osservata. È il caso (uno dei tanti) delle "ronde padane". Associazione di volontari che pattugliano il territorio e i quartieri, di città e paesi del Nord, per denunciare - e inibire - l’illegalità e la criminalità comune. Stigmatizzate alla stregua di squadracce fasciste, da chi è ostile alla Lega e, in generale, alle iniziative che "privatizzano" la gestione della sicurezza e dell’ordine pubblico. Contro "i nemici che vengono da fuori". Immigrati, stranieri, nomadi e poveracci. Considerate, al contrario, un metodo di "autodifesa dei cittadini indifesi". Lasciati soli dalle istituzioni, abbandonati dalle forze dell’ordine. Si tratta di posizioni speculari. Le accuse colpiscono il bersaglio accogliendo la definizione tracciata dagli autori. Dalla Lega. E, in primo luogo, dal promotore e organizzatore dell’iniziativa. L’on. Mario Borghezio. Sempre all’avanguardia nella lotta contro i "nemici della civiltà padana". Contro il musulmano, l’islamico, l’immigrato (non necessariamente) clandestino e irregolare. Tuttavia, viste da vicino, queste camicie verdi sparse sul territorio, non rammentano le camicie nere che prepararono l’avvento del fascismo. Terrorizzando, davvero, prima e durante il ventennio, gli oppositori o, semplicemente, gli scettici e i tiepidi nei confronti del regime. Le "ronde padane" sono "dopolavoristi". Militanti di partito sguinzagliati per le strade: a piedi, in bicicletta, talora in auto. Cellulare alla mano, per segnalare ai vigili e alle questure eventuali presenze sospette. Per denunciare minacce, prima ancora che veri episodi di illegalità. Ora, promettono Borghezio e i padani, le cose cambieranno. Con il sostegno del neoministro Maroni, le ronde verranno istituzionalizzate. Ma, per ora, la loro azione non sembra troppo efficace. Più che per i criminali, inoltre, l’attività delle ronde è pericolosa per le ronde stesse. Che si troverebbero a mal partito se dovessero trovarsi di fronte spacciatori, banditi o protettori - agguerriti e senza scrupoli. Tanto che, non di rado, mentre le ronde proteggono i cittadini, la polizia locale è chiamata a proteggere le ronde. Le quali, più degli immigrati irregolari, disturbano, talora, quelli regolari. Non a caso, An, in molte realtà locali, ne ha criticato l’impiego, con definizioni sprezzanti, proponendo e opponendo, in alternativa, il reclutamento di vigilantes professionisti. Tuttavia, le ronde continuano a suscitare un dibattito che resta acceso. E sembrano, perfino, riscuotere un certo consenso. Come suggeriscono tre diversi segnali. (a) Anzitutto, l’elezione di due "sperimentatori". Gianpaolo Vallardi, sindaco di Chiarano, e Gianluca Forcolin, sindaco di Musile di Piave. Entrambi leghisti. Passati dal Parlamento padano a quello romano. (b) La fiducia sociale nei loro confronti cresce, come rivela, da ultimo, da un sondaggio condotto da Ipsos (per Vanity, aprile 2008), da cui emerge che il 53% dei cittadini vede con favore il ricorso alle ronde (contrario il 43%). (c) La riproduzione diffusa dell’esperimento, riveduto e corretto. Infatti, numerosi comuni, alcuni governati dal centrosinistra (Firenze e Bologna, fra gli altri), hanno istituito oppure stanno istituendo servizi di vigilanza (informazione, attenzione...) "volontaria", affidati ai cittadini. Talora, poliziotti in pensione. Spesso, persone comuni, a volte giovani. Naturalmente, le amministrazioni di centrosinistra e i partiti che le sostengono negano ogni parentela con l’esperienza "rondista". Soprattutto perché si tratta di iniziative pubbliche, promosse dagli enti locali. Senza bandiera né etichetta politica. E senza pregiudizi. Tuttavia, l’affinità è innegabile. Chiamiamole "ronde democratiche" o "italiane". Tentativi (magari non "faziosi") di rispondere al medesimo problema: la sicurezza. O meglio l’insicurezza "locale". Cresciuta, esponenzialmente, negli ultimi anni. Insieme ai reati definiti "minori", nel linguaggio corrente. "Maggiori", nella percezione sociale, perché toccano direttamente le persone. I furti in appartamento. Ma anche quelli di auto e di motorini. Questi reati, nel corso degli anni, sono cresciuti. Anche se, nello stesso periodo, gli immobili, le auto e i motorini sono, a loro volta, cresciuti in misura forse maggiore. Il divario tra i fatti e la percezione, peraltro, è elevato. L’incidenza dei furti in appartamento (e, quindi, la probabilità che avvengano) è di circa dello 0,23% (Fonte Min. Interni 2006). Mentre il timore di esserne vittima coinvolge il 23% dei cittadini (Inchiesta Demos-Unipolis, ottobre 2007). Una quota di persone, cioè, 100 volte superiore. Tuttavia, richiamare lo iato fra realtà e percezione non serve. Dal punto di vista sociale, le percezioni contano più dei fatti. Per cui l’insicurezza e la paura "sono". Esistono. "Dati" pesanti e concreti. Inutile girarci intorno. La distanza fra realtà e rappresentazione limita, semmai, l’efficacia delle soluzioni. La lotta all’immigrazione. Ai romeni. Agli zingari. Oggetto, non a caso, dei primi provvedimenti annunciati dal governo. Non può garantire rassicurazione, perché indica bersagli precisi quanto limitati. E, soprattutto, lontani dall’origine vera dell’insicurezza. Che risale, principalmente, al cambiamento violento e profondo del nostro mondo. Il nostro ambiente di vita quotidiana: non ci protegge più. Un tempo, neppure troppo tempo fa, era visibile, vivibile e vissuto. Impigliato in una tela fitta di relazioni sociali e di vicinato. Il territorio esisteva. Vi si passeggiava, incontrando persone conosciute. I "foresti" si individuavano subito. Era facile tenerli d’occhio. Il paese e le città: esistevano. Luoghi di relazione e di incontro. Proteggevano dal "mondo". Anche se erano costrittivi. E un po’ soffocanti. Oggi non è più così. Le grandi città sono spesso anonime. Anche i paesi, i villaggi lo stanno diventando. Devastati da una dilatazione urbana senza limiti. Guidata dagli interessi immobiliari assai più che dai disegni delle amministrazioni locali. Sulle strade circolano solo auto e moto. Le piazze: vivono solo nei centri storici. Finché cala la sera e le botteghe chiudono. La gente si rifugia, sempre più, in casa. Il mondo incombe. Ci minaccia da vicino con le sue crisi e le sue guerre. E noi sappiamo tutto, in diretta, attraverso la televisione. Il mondo è tra noi. Ha i volti degli gli stranieri, che popolano la nostra realtà, sempre più numerosi. L’insicurezza nasce dallo spaesamento. Dal logorarsi dei legami sociali. Dalla solitudine delle persone. Dalla perdita di confidenza con il territorio intorno a noi. Di giorno. Tanto più di sera e la notte. Quando si incontrano solo gli "altri". Per questo le terapie contro l’insicurezza si traducono in tentativi di "controllare" il territorio. Dove è divenuto un deserto abbandonato dalla società. Da un lato: attraverso la militarizzazione. La moltiplicazione di polizie pubbliche e private. La cui presenza rassicura e preoccupa al tempo stesso. Perché le auto della polizia o i vigilantes confermano che il pericolo effettivamente c’è. Dall’altro: i sistemi di sorveglianza elettronici. Videocamere ovunque. Fuori dalle case, nelle piazze, accanto a negozi, banche, uffici. Si tratta di placebo. Soluzioni che rendono più acuto il senso di spaesamento. Rimpiazzano la comunità vigilante con i vigilantes. Gli occhi delle persone con quelli elettronici. Freddi. Scrutano la nebbia attraversata da penombre. Accettano la desertificazione sociale del territorio. Infine, ci sono le "ronde". Padane e democratiche. Associazioni e gruppi di volontari. In camicia verde o in borghese. Persone che passano per le strade e per le piazze. Persone che passano dove - e in ore in cui - le persone comuni non passano più. Con la loro presenza tentano di riprodurre tracce di comunità. Oppure, come la Ronda di notte dipinta da Rembrandt, vorrebbero richiamare l’identità urbana, difesa dalle milizie civiche (lo ha suggerito Wlodek Goldkorn). Si illudono. Imitano un controllo sociale che non esiste - e non può esistere - perché non esiste più la società. Di cui fanno la caricatura. Sono le ronde della comunità perduta. Più che paura, suscitano nostalgia. E tristezza. Come bonsai piantati in un vaso, dove prima c’era un bosco. Giustizia: Pecorella (Pdl); il "pacchetto sicurezza" è un errore
La Stampa, 12 maggio 2008
Guardi, è un errore pensare di prendere la gente e ficcarla in carcere gettando la chiave. Un errore rinunciare a un percorso serio di riabilitazione del detenuto e di reingresso nella società. Perché tanto, prima o poi, tutti escono. E allora sarà anche peggio perché sono incattiviti". Gaetano Pecorella, avvocato, professore universitario e deputato Pdl, garantista a tutto tondo, non teme di andare controcorrente. Sente parlare di insicurezza dei cittadini, di inasprimento di pene, di riscrittura della Gozzini. E mette in guardia dalle soluzioni semplicistiche.
Onorevole Pecorella, ha sentito? Il suo nuovo governo si appresta a riscrivere la Gozzini. È d’accordo? "Premesso che una svolta in tema di sicurezza ci vuole, ed è un bene che le pene vengano scontate, il discorso non può essere a senso unico. Mi spiego: la via non può essere nel senso di incrudelire il sistema carcerario, che è già al limite di sopportazione per eccesso di detenuti e per lo stato miserevole dei penitenziari. Farebbero un grave errore".
Ma è quanto sembra chiedere l’Italia: tutti dentro e buttare la chiave... "Bisogna trovare un punto di equilibrio tra l’esecuzione della pena e il rispetto della persona. Sono contrario ad eliminare i benefici della Gozzini. Non si dimentichi che le carceri sono state gestite in tutti questi anni grazie al sistema dei premi. Difficile vivere peggio di così, in cella. Ma almeno la prospettiva del premio ha garantito la buona condotta. Io dico che qualcosa va fatto, ma nel senso di accordare i benefici a una reale maturazione del soggetto. Per far ciò, però, occorre che in carcere non si venga gettati 24 ore in cella ma si possa lavorare, e che poi, come accade in Svizzera, ogni detenuto sia seguito da un’equipe, che possa verificare il reale processo di riabilitazione".
Non è convinto di quel che sente, eh? "Non mi piace questo passare dal permissivismo astratto a un rigorismo altrettanto astratto. Non mi convince che si possano eliminare i benefici della Gozzini solo ad alcuni reati e ad altri no, in maniera rigida. Mi domando: è giusto che a un detenuto che sia veramente cambiato si neghi l’affidamento in prova solo perché è stato condannato per un reato incluso nella lista e al vicino, che magari riabilitato non lo è affatto, si dia tutto perché il suo reato è fuori dal numero chiuso? No, non è giusto".
Insomma lei difende lo spirito della Gozzini... "Non è sbagliata la legge, ma semmai s’è finito per applicarla con troppo automatismo".
A proposito di automatismi, il governo si appresta a ritoccare anche la sospensione condizionale della pena... "Ma solo per i reati con pena fino ai tre anni... Non mi pare che siano reati di tale allarme... Certo non sono reati gravissimi".
Onorevole, i ministri stanno lavorando a una stretta molto severa. Una sua qualche modesta proposta? "Si potrebbero togliere le decisioni a proposito delle pene alternative al giudice dell’esecuzione e affidarle al giudice del dibattimento: conosce gli atti di un processo e si è fatto un’idea corretta del soggetto. Io sogno una vera rivoluzione del sistema. Capisco l’emergenza. Capisco l’esigenza di dare una risposta immediata. Ma non è che cambino le cose alzando lì quel tetto di pena o togliendo là quel beneficio carcerario. Ci vuole una riforma complessiva. Non si fa in due giorni". Giustizia: Ghedini (Pdl); obiettivo è deterrenza per criminalità
Il Sole 24 Ore, 12 maggio 2008
"Tutti i punti del pacchetto sicurezza, compreso il reato di immigrazione clandestina, li ha voluti il presidente Berlusconi e sono stati poi discussi con gli alleati. Così è nata questa bozza, su cui non mi risultano obiezioni". Nicolò Ghedini, parlamentare forzista del Pdl nonché avvocato di Silvio Berlusconi, è l’uomo che ha scritto materialmente la bozza del "pacchetto sicurezza" e che, quindi, ha dato forma anche al reato di immigrazione clandestina, punito con il carcere da 6 mesi a 4 anni, oltre che con l’espulsione immediata. "Dall’immigrazione clandestina bisogna difendersi - spiega - e se questa non è la soluzione, è quantomeno un tentativo serio di arginare il fenomeno. Può darsi che in un primo momento le carceri ne risentano, ma il messaggio va dato".
Il 10 aprile, prima delle elezioni, lei anticipò al Sole 24 Ore alcuni punti del "pacchetto", già pronto. Dunque, era già stato concertato con An e Lega? Certamente. La storia del "pacchetto" risale all’estate del 2005. Eravamo in Sardegna con il presidente e lui disse:"Dobbiamo fare assolutamente qualcosa sulla sicurezza". Buttammo giù una bozza e a dicembre la portò al Consiglio dei ministri, ma fu bocciata dall’Udc che la ritenne troppo severa, mentre Lega e An erano d’accordo. Poi ci furono le elezioni e noi le perdemmo. Il discorso è stato ripreso con la campagna elettorale 2008. Berlusconi ha chiesto di tirar fuori quel testo; ci abbiamo lavorato assieme, confrontandoci con gli alleati ed è nata questa bozza.
La novità politicamente più rilevante è il reato di immigrazione clandestina. Sarà un punto fermo? Credo di sì. L’Italia, che ha una grande tradizione di emigrazione, deve essere solidale con gli immigrati. Tutte le leggi sull’immigrazione regolare vanno migliorate per consentire a chi vuole lavorare la migliore accoglienza. Ma l’immigrazione irregolare va affrontata con decisione, altrimenti rischiamo un flusso incontrollato di clandestini, potenzialmente portati a delinquere.
È certo che le migliaia di clandestini arrestati saranno anche espulsi? C’è il problema di identificarli, di rimpatriarli e di impedirne il rientro. Non c’è il rischio di un inutile appesantimento del sistema giudiziario e, soprattutto, di quello carcerario? Beh, con l’arresto vengono prese le impronte digitali e il clandestino viene schedato. Quindi, c’è una sorta di identificazione. Ma il problema è l’atteggiamento che hai all’esterno e la capacità dissuasiva delle misure che adotti. Sa che cosa raccontano i poliziotti? Che gli espulsi li prendono in giro e dicono: "Tanto fra due giorni siamo di nuovo qui".
Appunto... Mi rendo conto che una condanna non ha efficacia dissuasiva. Ma se i clandestini hanno la certezza che, una volta condannati e buttati fuori, quando tornano finiscono in carcere senza sconti, questo avrà un’efficacia dissuasiva. Ovviamente, occorrono anche misure di prevenzione, come accordi con i Paesi d’origine. In flagranza di reato, il rito direttissimo diventa la regola. Facciamo un esempio: in un palazzo si sentono degli spari; una donna viene trovata morta; un uomo esce dal portone e ha con sé una pistola; la polizia lo arresta e viene processato per direttissima.
Non è detto che sia il colpevole, ma la direttissima impedisce l’analisi balistica sull’arma, di raccogliere impronte digitali, cercare testimoni. Rischiamo processi sommari? No. Se un Pm ritiene che, nonostante la flagranza, il caso sia complesso, deve poter fare scelte alternative. Ma noi vogliamo che la regola sia la direttissima Il che non esclude alcuni accertamenti, visto che il dibattimento può durare anche 20 udienze.
Le vostre misure non tendono un po’ a limitare la discrezionalità dei magistrati, accusati di "lassismo"? In Italia c’è l’obbligatorietà dell’azione penale, che non va assolutamente toccata. È ovvio che noi diamo una spinta a perseguire, nell’immediatezza, certi reati. I magistrati saranno costretti a occuparsene e a non lasciarli nel cassetto. Del resto, il presidente dell’Anni ha detto che in certi momenti storici la discrezionalità va limitata. Niente più misure alternative al carcere per rapinatori, ladri, eccetera.
Ma i dati dicono che la percentuale più alta di recidivi (70%) è tra chi sconta la pena in carcere, mentre è bassissima (10%) per chi la sconta in forma alternativa. Il carcere non garantisce sicurezza... La pena deve avere funzione rieducativa, ma è necessario - soprattutto in un Paese con forte presenza di clandestini ad alto tasso di delinquenza - che ci sia la consapevolezza che deve essere scontata fino in fondo. Questo ha un effetto deterrente. Ovviamente, vanno anche creati percorsi per il reinserimento.
Chi guida in stato di ebbrezza potrà essere subito arrestato. Ci rassicuri: dovremo rinunciare a un bicchiere di vino in più in una piacevole serata per non ritrovarci in carcere? L’arresto è facoltativo e scatta solo se il tasso alcolemico supera la soglia di 1,5 g/l che è molto alta. Già con lo 0,5 c’è uno stato di ubriachezza; con l’1,5 si è praticamente incapaci di intendere e di volere. Giustizia: Gentiloni (Pd); potremmo votare il decreto sicurezza di Nino Bertoloni
Il Messaggero, 12 maggio 2008
L’opposizione? "Sarà ferma, senza sconti ma non più condizionata dai vincoli dell’Unione, sulla sicurezza ad esempio potremo votare misure del governo, se efficaci". Paolo Gentiloni, ex ministro delle Comunicazioni, esponente di punta della ex Margherita di credo rutelliano adesso fa parte dei "magnifici dieci" del coordinamento del Pd, il nuovo organismo di vertice voluto da Walter Veltroni.
Onorevole Gentiloni, ogni sconfitta elettorale si porta dietro discussioni, liti, recriminazioni, rotture. Nel Pd sta avvenendo questo? "È ovvio che ci si interroghi sulla sconfitta, ma non vedo fosche tinte, coltelli, congiure. Due i punti sul quali ci indirizzeremo da subito: primo, prendere le misure al governo ormai insediato, far capire che la nostra principale attività sarà fare l’opposizione; secondo, il partito: ora abbiamo la squadra, c’è il governo ombra, lavoreremo avendo come orizzonte le Europee del 2009 e il congresso subito dopo, in pratica si tratta di costruire per davvero il nuovo partito dopo l’emergenza elettorale".
Che tipo di opposizione? "Sarà ferma, senza sconti ma anche più "libera". Nel senso che non abbiamo più le mani legate dalla presenza della sinistra radicale nell’Unione, per cui su alcuni temi potremo far coincidere le cose che pensiamo con quelle che facciamo".
Per esempio? "Sulla sicurezza: se il governo varerà misure giuste ed efficaci non faremo, come dire, opposizione per dovere d’ufficio. Anzi, dovremo evitare che il governo usi il nostro atteggiamento come alibi per la propria inefficacia dicendo magari che non riesce a varare provvedimenti buoni a causa dei nostri no. Se in sostanza le loro misure saranno efficaci, ci impegneremo per una approvazione nel più breve tempo".
E sul fronte dei no? "Proprio perché non più condizionata, su tanti fronti la nostra opposizione sarà senza sconti, più dura, più incalzante. Non dovrà più succedere, e noi già lo denunciamo come scandaloso, che a una società quotata in Borsa come Alitalia venga richiesto di fornire dati riservati a un privato cittadino senza alcun incarico pubblico o di governo sol perché ha scritto sul suo biglietto da visita "consulente personale del presidente Berlusconi". Un metodo forse in vigore nella Russia di Putin ma non in un Paese come l’Italia". Giustizia: Bernardini (Pd); rischio è arrivare 500mila detenuti
Ansa, 12 maggio 2008
Se la politica della maggioranza, in tema di sicurezza è quella che sembra delinearsi in questi primi giorni, "allora c’è di che preoccuparsi". È quanto afferma l’esponente radicale e parlamentare del Pd, Rita Bernardini, a margine dell’iniziativa "Amore civile", presentata questa mattina a Montecitorio. Secondo Bernardini il rischio sarebbe quello di emulare "la politica americana, dove l’1% dei cittadini è rinchiuso all’interno di un carcere". Questo vorrebbe dire, conclude, "che la popolazione carceraria aumenterebbe dalle attuali 60 mila persone a oltre 500 mila". Giustizia: Osapp; Governo non sottovaluti il problema carceri
Ansa, 12 maggio 2008
"Ci auguriamo che il Presidente del Consiglio, e tutte le personalità di Governo coinvolte, siano coscienti delle ricadute di riforme che solo a prima vista possono presentarsi risolutive". Lo dichiara in una nota il Segretario Generale dell’Osapp, Leo Beneduci, in vista dell’avvio della discussione sul pacchetto sicurezza. "Sulla scorta di un carcere più autorevole - spiega Beneduci - ci domandiamo se c’è la consapevolezza da parte delle istituzioni, che l’adozione di qualsivoglia misura di contrasto al crimine possa non portare ad esasperare l’attuale stato delle carceri: con una presenza detentiva ormai accertata di 52.702 unità, quasi alla soglia della tollerabilità, il pacchetto che ci si accinge ad approvare non può sottovalutare questo stato di cose, e il rischio che si assista ad un’impennata dei detenuti che, ancora oggi, possono essere gestiti". Il sindacato di Polizia Penitenziaria, dunque, vuole "mettere in guardia sul fatto che provvedimenti istantanei, che l’elettorato chiede a gran voce, siano capaci, in un secondo momento, di rivelarsi dannosi per un’emergenza che invece si vuole risolvere al più presto". Per l’Osapp, infatti, "guardare all’effettività delle pene significa, nel momento stesso in cui si stabiliscono le linee guida d’intervento, operare anche sul fronte di una riforma organica del sistema carceri", mediante "l’integrale rinnovamento dell’attuale Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e una nuova Riforma della Polizia Penitenziaria con la revisione e l’incremento dei ruoli direttivi e dirigenti del Corpo, e la piena equiparazione alle altre forze di Polizia". Oltre a misure cosiddette "restrittive", continua Beneduci, "vi è la necessità d’interventi operativi e di coordinamento delle forze di Polizia sul territorio, da cui la Polizia Penitenziaria non deve e non può rimanere esclusa" e a questo "si aggiunge un aumento degli organici commisurati agli incrementi nella popolazione detenuta, a cui necessariamente assisteremo". Per questo, conclude l’Osapp, "ci auguriamo che in futuro questo si dimostri il primo passo di come il Governo intende agire sul fronte della sicurezza, introducendo il poliziotto penitenziario nei programmi ordinari di contrasto alla criminalità, che, ad onor del vero, rappresenta l’unica figura in grado di compendiare quei fenomeni che coinvolgono, contemporaneamente, territorio e carcere". Giustizia: caso Contrada; il legale invia lettera al neo-ministro
Ansa, 12 maggio 2008
Il legale di Bruno Contrada, l’avvocato Giuseppe Lipera, ha inviato una lettera aperta al neo ministro della Giustizia, Angelino Alfano, "esortandolo a intervenire con tutti i suoi poteri sull’ufficio del magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere" che più volte ha respinto il differimento della pena per gravi motivi dell’ex funzionario del Sisde che sta scontando una condanna a 10 anni di reclusione per concorso in associazione mafiosa. Secondo il penalista il giudice campano "da alcuni mesi tratta la pratica di differimento pena di Bruno Contrada, ex dirigente generale della polizia di Stato, denegando tout court tutte le istanze della difesa, nonostante i sanitari del carcere (e lo ammette nei suoi provvedimenti anche lo stesso magistrato Daniela Della Pietra) sostengano insistentemente che le condizioni di salute del detenuto 76enne siano gravissime ed incompatibili col regime carcerario, circostanza ormai pacifica ed acclarata (il dott. Bruno Contrada è stato ricoverato d’urgenza in ospedale l’ultima volta il mese scorso, per manifesto deperimento, mentre due mesi fa lo è stato per un ennesimo insulto ischemico cerebrale)". Sicilia: Garante; chiudere carceri dell'Ucciardone e di Catania
Comunicato stampa, 12 maggio 2008
L’Onorevole Salvo Fleres, Garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e per il loro reinserimento sociale, ha dichiarato: "Ribadisco ancora una volta, per quanto mi riguarda, che gli Istituti di Pena di Palermo (Ucciardone) e di Catania (Piazza Lanza) devono essere immediatamente chiusi perché, oltre ad essere strutture vecchie ed obsolete, di fatto in quei luoghi si viola frequentemente la dignità dell’uomo ( penso all’indegno sovraffollamento delle celle, alla mancanza di acqua calda, alle precarie condizioni igieniche, etc.) e non si rispettano gli standard minimi atti a garantire un trattamento non degradante della pena. Inoltre le due strutture si rivelano inadatte per attivare percorsi, in attuazione del principio costituzionale di riabilitazione e rieducazione del reo, di reinserimento sociale. I miei reiterati appelli, pur ricevendo formali apprezzamenti, fin’ora non hanno prodotto l’adozione, da parte delle autorità competenti, dei consequenziali provvedimenti di chiusura delle due carceri. Visti i silenzi, subito dopo il mio insediamento al Senato della Repubblica, attiverò, in proposito, ogni iniziativa parlamentare nei confronti del nuovo titolare del Ministero della Giustizia". Milano: detenuti lavoreranno per l’Expo 2015? tutti d’accordo
Ansa, 12 maggio 2008
L’idea è stata avanzata dal presidente emerito della Corte costituzionale Valerio Onida: nelle scorse settimane aveva sollecitato le istituzioni per fare dell’evento un’occasione di impiego anche per la popolazione carceraria Catering per i visitatori dell’Expo, impianti elettrici, pane fresco, ma anche produzione di fiori, lavori di allestimento degli stand e pulizia delle strade: detenuti al lavoro per l’Expo. È la proposta che gli operatori delle carceri sostengono in coro appoggiando le parole del presidente emerito della Corte costituzionale Valerio Onida che nelle scorse settimane aveva proprio sollecitato le istituzioni perché l’Expo sia un’occasione per creare lavoro anche per la popolazione detenuta che in Lombardia conta oltre 7mila persone. Lucia Castellano, direttrice del carcere di Bollate, appoggia la proposta e ricorda: "Bollate è una delle carceri dove lavora il maggior numero di detenuti, 54 su 560 sono impiegati in lavori in esterno. Considerando che siamo anche vicinissimi al sito dell’Expo per noi sarebbe una grande opportunità, ma sollecito anche la realizzazione del collegamento con la metropolitana che davvero faciliterebbe l’uscita e il rientro dei detenuti che lavorano". Dal catering al florovivaismo, sono molte le professionalità che si sono sviluppate a Bollate: "Per quanto riguarda gli elettricisti - dice ancora Castellano - abbiamo già avuto richieste da alcune società che cercano persone in vista delle commesse che aumenteranno per l’Expo". Proprio Bollate dovrebbe, secondo Licia Roselli, direttrice di Agesol, agenzia formata da diversi soci (da Caritas a Cgil, da Confartigianato a Confcooperative) e che opera per il reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro, essere il carcere a cui committenti e organizzatori dell’Expo potrebbero guardare per creare occasioni di lavoro: "Il carcere è molto vicino, inoltre a Bollate sono sperimentate molteplici attività che potrebbero tornare utili a chi organizza l’Expo". Come coinvolgere le istituzioni in progetti che avviino al lavoro detenuti? "Non credo si debba ricorrere a chissà quali accordi, basterebbe fissare una regola per cui una quota di appalti viene affidata a cooperative sociali in modo da creare occasioni per i detenuti ma più in generale per tutte le persone svantaggiate", afferma Roselli. Pienamente d’accordo con la proposta, il provveditore regionale alle Carceri Luigi Pagano che ricorda che il lavoro è la chiave di volta per il reinserimento dei detenuti: "Ha una valenza molteplice: porta le persone fuori dal carcere, gli dà una fonte di reddito e li ha aiuta a formarsi oltre ad essere utili per la società. Sarebbe davvero importante cogliere l’occasione. Il modello che si può utilizzare è quello che ha portato all’impiego, grazie a un accordo con il Comune, di 30 detenuti che lavorano con Amsa". Secondo Gloria Manzelli, direttrice di San Vittore, la strada va percorsa: "è possibile pensare a un forte azione sociale di recupero se c’è la volontà di lavorare in sinergia tra tutte le istituzioni". Firenze: il Progetto "Giona", per i minori stranieri in carcere
Asca, 12 maggio 2008
La città di Firenze ha visto, negli ultimi dieci anni, mutare profondamente il fenomeno dell’immigrazione. Le ultime ricerche evidenziano un continuo aumento della presenza di persone immigrate (l’8% in più tra il 2001 e il 2002), e rilevano soprattutto un’altissima presenza di giovani e minori stranieri, sia come immigrati di seconda generazione, sia giovani irregolari e minori non accompagnati. Sono 7.921 i minori stranieri non accompagnati giunti in Italia al 31 gennaio 2002 secondo i dati del Comitato per i minori stranieri. I ragazzi, in maggioranza maschi (86,2%), di età compresa fra i 15 e i 18 anni, arrivano dall’Albania (50,7%), Marocco (17,4%), Romania (10%), ex Jugoslavia (5%). La C.A.T. Cooperativa Sociale da alcuni anni gestisce servizi rivolti a questo tipo di utenza, sia singolarmente che in partnership con altre organizzazioni, e in particolare: Progetto "Outsiders" di riduzione del danno in strada con gruppi marginali; Progetto "Aladino - Interventi di ricerca territoriale e prevenzione sul consumo di sostanze psicoattive e di promozione della salute nei servizi giudiziari minorili della Toscana", Centro Servizi per l’imprenditoria non comunitaria, Progetti rivolti a persone Prostitute coordinati dal "Cip-Collegamento Interventi Prostituzione", Educatori di Strada nel Campo Rom del Poderaccio. Grazie a questa esperienza ha avuto modo di osservare da vicino il fenomeno, i luoghi di aggregazione e le dinamiche di relazione tra minori stranieri ed italiani, e rileva il bisogno di un servizio in grado di integrare gli interventi all’interno e all’esterno del Carcere Minorile, costruendo un ponte tra l’interno e l’esterno, finalizzato da una parte a ridurre le cause di marginalizzazione che portano i minori ad avere problemi con la giustizia, dall’altra a favorire i processi di inclusione e reinserimento per coloro che sono già incorsi in provvedimenti giudiziari. Da queste premesse, nel 2005 ha preso avvio il Progetto Giona, finanziato dalla Regione Toscana e realizzato in collaborazione con Ufm Sert B di Firenze - Dipartimento Dipendenze Ausl di Firenze e la Struttura Tecnico Amministrativa zona Firenze. Il Progetto Giona prevede un intervento mirato a costruire buone prassi di collaborazione tra pubblico e privato per sostenere il percorso educativo e di reinserimento dei minori detenuti tramite una serie di azioni integrate rivolte all’educazione alla salute come cura di sé in un contesto comunitario, che si basano sul coinvolgimento diretto dei ragazzi e su una metodologia centrata sul gioco, valorizzando al contempo la cultura e le risorse dei ragazzi. Taranto: 8 anni dalla legge Smuraglia... domani un convegno
Comunicato stampa, 12 maggio 2008
Si intitola "Riqualificazione, inclusione sociale e misure alternative alla detenzione" il convegno che sarà ospitato nel Salone di Rappresentanza della Provincia di Taranto, organizzato per Martedì 13 Maggio con inizio alle ore 15.00 dal Centro Studi Ipso Iure in collaborazione con la Consigliera di Parità della provincia di Taranto e con la Direzione della Casa Circondariale di Taranto. L’iniziativa si inserisce nel quadro delle attività istituzionali del Centro Studi, riferisce il Presidente Sabino Mastropasqua, in un’ottica di specializzazione e aggiornamento continuo di avvocati e praticanti abilitati al patrocinio. Ipso Iure è di fatti dal settembre scorso ente accreditato presso il Consiglio Nazionale Forense. La giornata di studi, fortemente voluta dalla Dott.ssa Claudia Ligonzo, Delegata di Presidenza del Centro Studi e ideatrice del Convegno, spiega la stessa Ligonzo, è nata con l’obiettivo di sensibilizzare e informare le parti sociali sulle reali possibilità di intervento atte alla riqualificazione e all’inclusione sociale dei detenuti. A distanza di otto anni dalla promulgazione della cosiddetta Legge Smuraglia - aggiunge la delegata - esiste ancora una confusione di fondo sulle reali applicazioni pratiche di questa Legge. L’obiettivo è quello di formare i professionisti coinvolti nelle diverse fasi dell’applicazione della Legge 193/2000, tanto gli Avvocati, quanto i Dottori Commercialisti e i Consulenti del Lavoro, quanto ragguagliare gli imprenditori sulle incentivazioni e i benefici fiscali di cui possono usufruire coloro che assumono detenuti o che decentrano attività produttive all’interno di un Istituto di Pena. L’evento dopo le introduzioni degli organizzatori e i saluti istituzionali del Presidente della Provincia di Taranto e del Sindaco della città e gli interventi di numerosi relatori, si chiuderà con un dibattito sulle esperienze a confronto. Al Convegno interverranno quali relatori il Dott. Elio Romano, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Taranto con una relazione su "equità della pena e misure alternative alla detenzione", il Dott. Nicola De Silvestre della Direzione Generale DAP - detenuti e trattamento che tratterà nello specifico l’analisi della Legge 193/2000, la Dott.ssa Licia Rita Roselli che svilupperà gli aspetti pratici e le prassi operative di accesso ai benefici della Legge Smuraglia e la Dott.ssa Maria Carmela Linsalata del Prap Puglia che argomenterà sulle realtà e prospettive di inclusione. Interverranno inoltre il Dott. Mario Tagarelli Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli esperti Contabili di Taranto, il Dott. Claudio Cavaliere presidente del Collegio dei Consulenti del Lavoro di Taranto, il Cav. Luigi Sportelli Presidente di Confindustria Taranto, il Dott. Tommaso Blonda Commissario della Camera di Commercio di Taranto, la Dott.ssa Virginia Maisano Magistrato di Sorveglianza, la Dott.ssa Anna Gioria del Gruppo RCS e partecipante la Cooperativa Le Rose, il Dott. Gianfranco Visicchio Presidente del Consorzio Meridia. Modera il Convegno la Dott.ssa Claudia Ligonzo.
Ufficio Stampa Tel. 366.3140199 ufficio stampa@centrostudipsoiure.com Padova: la pasticceria del carcere presente a "Squisito 2008"
Comunicato stampa, 12 maggio 2008
Si chiama Good Food e dal 30 maggio al 2 giugno sarà un’area del tutto speciale all’interno di Squisito!, la rassegna enogastronomica internazionale promossa dalla comunità di San Patrignano. Al centro di Good Food ci sono progetti che utilizzano la coltivazione, la produzione e la lavorazione dei prodotti enogastronomici come percorsi terapeutici per riscattarsi dalla tossicodipendenza e dall’emarginazione o per dare ai popoli oppressi una nuova opportunità di vita. Un’iniziativa che per il suo alto valore civile e culturale ha ottenuto il patrocinio dell’Unodc, l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine. Le Best Practices del carcere padovano hanno inoltre richiamato l’attenzione anche del Parlamento Europeo nella persona del suo vicepresidente on. Mario Mauro. A Good Food ci sarà anche la pasticceria del carcere di Padova, con i panettoni, le colombe e i dolci che rappresentano per molti una concreta possibilità di rientro nella società e nel mondo del lavoro. La presentazione di Good Food con i principali protagonisti di questa esposizione unica nel suo genere avverrà Sabato 17 maggio 2008 nella Casa di Reclusione di Padova, Via Due Palazzi 35/a. Programma - Ore 10.00 Registrazione. Ore 10.15 Visita al laboratorio di pasticceria e alle altre attività lavorative. Ore 11.00 Conferenza Stampa con: Jorge Rios, responsabile Progetti di sviluppo sostenibile Unodc (United Nations Office on Drugs and Crime); Mario Mauro, Vicepresidente del Parlamento Europeo; Ettore Ferrara, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria; Andrea Muccioli, Presidente della Comunità di San Patrignano, organizzatrice di Squisito! 2008. Porterà il suo saluto Salvatore Pirruccio, Direttore della Casa di Reclusione di Padova. Saranno inoltre presenti Cesare Bisantis, membro dell’Accademia Italiana della Cucina, Dario Odifreddi, Presidente della Piazza dei Mestieri di Torino, Erasmo Figini, fondatore dell’Associazione Cometa di Como, Federico Menetto. direttore del Caffè Pedrocchi, Luca Passarin, responsabile della Ristorazione Forcellini. Coordina: Nicola Boscoletto Presidente Consorzio Rebus. Immigrazione: le "carceri a tempo" per i clandestini arrestati di Fiorenza Sarzanini
Corriere della Sera, 12 maggio 2008
L’arresto obbligatorio degli immigrati clandestini rischia di far scoppiare le carceri. Il governo ha così deciso di trasformare i Cpt in Centri di Detenzione Temporanea. In attesa del processo che dovrà essere celebrato con rito direttissimo, gli stranieri arrivati senza permesso saranno rinchiusi nelle strutture finora utilizzate per la prima accoglienza. E lì aspetteranno anche l’esecuzione del provvedimento di espulsione che scatterà in maniera automatica e prevederà l’accompagnamento alla frontiera. La novità è contenuta nel decreto legge che l’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi approverà durante la riunione del Consiglio dei ministri prevista a Napoli per la prossima settimana. Ora gli uffici tecnici del Viminale, della Giustizia, della Farnesina e della Difesa sono al lavoro per mettere a punto la norma ed evitare possibili contestazioni in sede europea. L’Unione ha infatti fissato regole rigide per la gestione dei Cpt e dunque è necessario rispettare le direttive. Non ha dubbi sulla legittimità della procedura l’onorevole Nicolò Ghedini, uno degli avvocati del premier che si è occupato di redigere con lui la bozza di testo che contiene una quarantina di nuove norme: "Non c’è alcuna violazione o forzatura, perché le nuove disposizioni verranno attuate garantendo i diritti di difesa. È necessario porre un freno agli ingressi illegali e questo risultato si ottiene soltanto mandando un messaggio chiaro e inequivocabile: entrare in Italia senza avere i titoli è un reato grave e dunque fa scattare l’arresto. Il sistema alternativo nei Cpt è assolutamente legittimo". Gli ultimi dati forniti dal Dipartimento penitenziario dicono che le carceri sono quasi al limite della capienza. Le norme studiate dal governo che alzano le pene per i reati di grave allarme sociale (scippo, furto in abitazione, rapina, violenza, danneggiamento, maltrattamenti in famiglia) ed escludono ogni beneficio di legge aggraveranno questa situazione. E dunque si è deciso di studiare misure alternative per chi commette reati di minor entità e non ha precedenti: detenzione domiciliare, purché accetti il braccialetto elettronico. In caso di evasione la sanzione sarà però più severa di quella attuale. L’arresto, sia pur facoltativo, sarà invece previsto per chi guida in stato di ebbrezza. Le manette potranno scattare per chi ha un tasso alcolico superiore all’ 1,5 milligrammo per litro e per chi ha assunto sostanze stupefacenti. Il prevedibile aggravio per i tribunali sarà ovviato, come sottolinea lo stesso Ghedini, "eliminando in alcuni casi la verbalizzazione manuale e affidandosi soltanto alla registrazione dell’udienza". La stretta contro la criminalità, ma soprattutto contro gli immigrati sarà dunque in linea con quell’allarme sulla sicurezza che ha segnato l’intera campagna elettorale del centrodestra. E riguarderà anche i cittadini comunitari. Il piano del ministro dell’Interno Roberto Maroni prevede lo spostamento dei campi nomadi lontano dai centri abitati. Nell’agenda del titolare del Viminale ci sono incontri con i sindaci delle principali città - il primo sarà Gianni Alemanno che vedrà domani - per rinegoziare i "patti" partendo proprio dagli insediamenti dei nomadi. Tra i suoi obiettivi c’è anche la limitazione della libera circolazione per i romeni e la sospensione del trattato di Schengen in modo da ripristinare i controlli alle frontiere. Ma in questo caso i tempi saranno più lunghi perché è necessario concordarlo in sede europea. Immigrazione: Save the Children; i minori stranieri? a rischio
www.asgi.it, 12 maggio 2008
L’impatto sui minori dei provvedimenti oggetto del Decreto Legge 249/2007 sull’espulsione dei cittadini comunitari, la cui conversione in legge è tuttora in discussione, stralcio del più ampio Pacchetto Sicurezza, è stato al centro del dibattito nel corso del seminario organizzato l’8 febbraio 2008 da Save the Children Italia, che ha visto la partecipazione di altre organizzazioni quali Amnesty International, Asgi e Osservazione, alla presenza del Garante regionale per l’Infanzia del Lazio e di esponenti dei Ministeri dell’Interno e della Solidarietà Sociale. Le quattro organizzazioni hanno espresso serie preoccupazioni nei confronti dei provvedimenti legislativi in corso di adozione, sottolineando come lo status dei minori non venga sufficientemente ed adeguatamente tenuto in considerazione. Carlotta Sami, Direttore dei Programmi di Save the Children Italia, ha sottolineato: "L’approccio, soprattutto in relazione a gruppi marginalizzati di minori, come quelli rom, non può essere meramente repressivo: occorre al contrario, da un lato promuovere interventi di supporto e sensibilizzazione delle famiglie sui diritti dei minori alla protezione dallo sfruttamento, all’istruzione, al tempo libero. Dall’altro, risulta quanto mai necessario investire in politiche nazionali di contrasto alla povertà e al disagio sociale in favore dei gruppi più vulnerabili, con un approccio di lungo periodo e non assistenzialistico". "Solo così - conclude Carlotta Sami - sarà possibile attuare interventi che promuovano l’uguaglianza sostanziale, che riguarda ad esempio l’inserimento lavorativo e abitativo, il superamento dei campi Rom e della segregazione abitativa". Save the Children ritiene che l’allontanamento immediato di minorenni per motivi imperativi di pubblica sicurezza sia scarsamente conciliabile con i principi della Convenzione per i diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza e con quelli del diritto penale minorile. Infatti quest’ultimo, diversamente dal diritto penale ordinario, considera l’interesse del minore ad un corretto sviluppo ed alla reintegrazione nel tessuto sociale, prevalente rispetto ad interessi di altra natura, tanto è vero che sono previsti molteplici istituti speciali che mirano a evitare che il minore sia sottoposto ad una qualsiasi forma di restrizione della libertà personale, considerata come extrema ratio. Infatti l’allontanamento dal territorio nazionale è, secondo la Corte Costituzionale, una forma di restrizione della libertà personale e pertanto è una misura che non tiene in debita considerazione i diritti dei minori. Save the Children ritiene inoltre che l’organo competente ad emettere tali provvedimenti dovrebbe essere non il Ministero dell’Interno ma il Tribunale per i Minorenni per la sua natura di organo giurisdizionale in grado di tutelare i minori anche grazie alla sua peculiare capacità di approfondimento multidisciplinare. Nel corso del seminario, Giusy D’Alconzo, ricercatrice della Sezione Italiana di Amnesty International, ha richiamato "la necessità che dopo un episodio di violenza efferata come l’uccisione di Giovanna Reggiani, le istituzioni nazionali e locali garantiscano la sicurezza di tutti e prevengano gli attacchi xenofobi, anche evitando di alludere, nelle dichiarazioni, a responsabilità collettive di un determinato gruppo di persone". "La Sezione Italiana di Amnesty International - ha aggiunto D’Alconzo - ha espresso la propria sorpresa per il modo affrettato e reattivo con cui, a seguito di quell’episodio, sono stati adottati provvedimenti legislativi di portata generale, i quali di fatto modificano le norme relative alle espulsioni dall’Italia di tutti i cittadini dell’Unione Europea. Ci auguriamo che nelle decisioni che verranno adottate in merito alla conversione del secondo decreto legge sull’argomento, emanato alla fine dello scorso anno - ha concluso D’Alconzo - le istituzioni tengano conto delle preoccupazioni di Amnesty International, le quali riguardano, tra l’altro, l’importanza di una definizione chiara e precisa dei possibili motivi di espulsione e di un efficace controllo giudiziario sui provvedimenti adottati in tal senso." Nando Sigona, ricercatore di Osservazione, ha affermato: "I minori rom sono una delle categorie più colpite dall’ondata securitaria. Colpiti non tanto dagli effetti diretti della legislazione sulla sicurezza, quanto dai suoi effetti collaterali, come l’ondata di sgomberi attuati nelle principali città italiane che distrugge qualsiasi possibilità di integrazione e scolarizzazione, i controlli indiscriminati di tutti i residenti nei campi, le dichiarazioni dei politici e dei media che creano insicurezza e tensioni". Andrea Callaioli di Asgi, infine, ha sottolineato: "Riteniamo che sia opportuno e razionale dal punto di vista della tecnica normativa che l’intera materia sia ricondotta nell’ambito della legislazione ordinaria, superando interventi emergenziali. Si sottolinea, con particolare preoccupazione, il rischio di una sottoposizione delle esigenze di tutela dei minori alla valutazione delle condizioni economiche della famiglia. Inoltre, si invita ad inserire nella normativa un espresso divieto di allontanamento dei minori cittadini comunitari, fatto salvo il loro diritto a seguire i genitori". L’auspicio di Save the Children, insieme ad Amnesty, Asgi e Osservazione, pertanto, è quello che vengano tenute in considerazione le istanze emerse nel corso del seminario e che ci sia una maggiore attenzione su quelli che potrebbero gli effetti negativi sui minori, soggetti particolarmente vulnerabili. Droghe: Radicali; firme a sostegno della "riduzione del danno"
Agenzia Radicale, 12 maggio 2008
Milano. Raccolta firme dei Radicali a sostegno delle politiche di riduzione del danno da tossicodipendenza. Lunedì 12, dalle 10.00 alle 13.00 presso il mercato di Via Ferrieri e Sabato 17, dalle 14.00 alle 17.00 presso il Parco delle Cave. Lunedì 12 maggio dalle ore 10.00 alle 13.00 saremo presenti con un tavolo al mercato di Via Ferrieri a Quinto Romano, per incontrare i cittadini, per chiedere la loro firma per la petizione e per ribadire l’importanza della riduzione del danno come strumento per portare alla luce la "questione droga", che non si risolve facendo finta che non esista. Sabato 17 maggio, dalle 14.00 alle 17.00 saremo invece presenti al Parco delle Cave, presso la Cascina Caldera. I cittadini di Quinto Romano avevano manifestato a marzo contro il degrado della loro zona e scritto due settimane fa al sindaco Moratti e al vicesindaco De Corato una lettera per attirare l’attenzione sulla forte presenza di tossicodipendenti, vissuta come pericolosa. È importante notare come dai cittadini venga vista positivamente la presenza delle Unità di Strada della Asl, che offrono assistenza ai tossicodipendenti, e raccogliendo le siringhe utilizzate aiutano a contenere la diffusione nel quartiere di siringhe potenzialmente infette. È importante che un riconoscimento del genere, non ideologico ma oggettivo, provenga dai cittadini stessi. Questo dimostra come i servizi a bassa soglia, bistrattati dal Comune e non sovvenzionati con l’adeguata costanza e lungimiranza, siano un utile strumento per gestire con consapevolezza il problema delle tossicodipendenze. Da diversi mesi noi Radicali dell’Associazione Enzo Tortora - Radicali Milano abbiamo avviato la petizione che chiede al Consiglio Comunale di ripristinare il servizio di macchine scambia siringhe sospeso da settembre. I segnali di allarme che provengono dalle zone periferiche della città non possono essere risolti solo con maggiori controlli delle forze dell’ordine, e sicuramente non con l’interruzione di quei servizi minimi di riduzione del danno che sono importanti per il contenimento del degrado, per l’aumento della sicurezza per i cittadini e soprattutto per limitare la diffusione di malattie come Hiv e Epatiti. Brasile: il carcere appaltato ai privati, evadono 29 detenuti
Associated Press, 12 maggio 2008
Ventinove detenuti sono evasi scavalcando il muro del carcere di Novo Horizonte, lo rende noto la polizia brasiliana. Ma a rendere clamorosa la fuga è la denuncia del principale quotidiano locale. La Gazeta di Vitoria sostiene, finora non smentita, che l’evasione non è stata un’impresa: nel penitenziario, la cui sicurezza è stata data in appalto a privati, c’erano solo quattro poliziotti per 238 prigionieri visto che il contratto delle altre guardie era scaduto il giorno prima. Dopo l’evasione, sono stati mandati rinforzi. Afghanistan: detenuti in sciopero fame per un giusto processo
Ansa, 12 maggio 2008
Trecento presunti taleban detenuti del carcere di Kandahar sono da una settimana in sciopero della fame per rivendicare un processo equo. Lo hanno detto responsabili della provincia e Organizzazioni non governative. I detenuti, per lo più imprigionati per presunti legami con i taleban, hanno smesso di mangiare il 4 maggio e venti si sono cuciti le labbra, ha detto Ahmad Kharzai, fratello minore del presidente, "perché già condannati per vari delitti, ma senza aver avuto un giusto processo".
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