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Giustizia: è scontro a tutto campo… dalla sicurezza alle spese di Stefano Vespa
Panorama, 7 luglio 2008
Nella guerra senza esclusione di colpi che si combatte sulla giustizia è ormai chiaro che alla fine non ci potrà essere pareggio. C’è il Consiglio superiore della magistratura che, nonostante l’intervento del presidente della Repubblica, è andato avanti per la sua strada esprimendo un parere sulla costituzionalità di un decreto, proprio quello che Giorgio Napolitano ha detto che non può fare. C’è una parte dell’opposizione che per il Pdl "è pronta alla spallata finale". C’è il governo che lavora a un decreto legge per porre limiti alle intercettazioni e alla loro pubblicazione. Insieme a tutto ciò restano altre emergenze come l’inaccettabile lunghezza dei processi e la certezza della pena, per risolvere le quali oggi sembra impossibile un punto di incontro tra maggioranza e opposizione. Nel frattempo un sondaggio per Panorama conferma che il limite di sopportazione da parte dei cittadini è stato raggiunto e forse superato: il 93,2 per cento è d’accordo sul fatto che un magistrato che sbaglia debba risponderne; l’89,7 pensa che debba essere allontanato dalla magistratura chi è lento nel lavoro e libera gli accusati per decorrenza dei termini; il 78,4 ritiene che i magistrati dovrebbero essere controllati da un organo indipendente, dunque non dal Csm com’è oggi. La lettera inviata il 1° luglio da Napolitano al vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, è riuscita a evitare, o almeno a rinviare, uno scontro istituzionale dalle conseguenze imprevedibili. In sintesi, il capo dello Stato conferma la liceità dei pareri sui progetti di legge, non il "vaglio di costituzionalità" che spetta solo alla Consulta. Ma certo le ultime mosse di tutti i giocatori in campo non lasciano ben sperare. I limiti entro i quali l’organo di autogoverno delle toghe può esprimersi sono definiti dalla legge istitutiva del 1958: il Csm "dà pareri al ministro, sui disegni di legge concernenti l’ordinamento giudiziario, l’amministrazione della giustizia e su ogni altro oggetto comunque attinente alle predette materie". L’annuncio di un parere sulla costituzionalità del cosiddetto emendamento salva processi al decreto sicurezza (che prevede lo stop per 1 anno ai processi per reati sotto i 10 anni di pena e commessi entro il 30 giugno 2002, compreso quello in cui Silvio Berlusconi è imputato di corruzione a Milano) ha portato al Quirinale i presidenti di Senato e Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini. "Ci sarebbero gli estremi per sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato" riflette Filippo Berselli (An-Pdl), presidente della commissione Giustizia del Senato. La bocciatura da parte del Csm della norma "salva processi" è risultata dunque uno schiaffo a Napolitano, ancora più grave perché arrivato appena Mancino aveva finito di leggere la lettera spedita dal Quirinale. "L’unica differenza nel testo è l’eliminazione della parola "costituzionalità" fa notare Gianfranco Anedda, membro laico del Csm per il Pdl, "lasciando però il riferimento al principio di ragionevolezza che è proprio della Consulta". Un modo, secondo Anedda, di rivendicare la propria autonomia con l’evidente contraddizione (oltre allo sgarbo istituzionale) di voler essere autonomi perfino da chi presiede lo stesso Csm, cioè il presidente della Repubblica. "C’è uno spezzone politico e giudiziario che intende dare la spallata al governo e combatte l’ultima battaglia a tutti i costi" dice Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera. L’obiettivo è quello "di aumentare i consensi attorno ai forcaioli". Per questo Cicchitto non sottovaluta Antonio Di Pietro, "che puntando alla spallata punta in realtà a egemonizzare il Pd" indicando la strada dello scontro a oltranza. È evidente come in questa situazione affrontare i mali del pianeta giustizia sia molto difficile. La commissione Giustizia del Senato sta discutendo il disegno di legge sulla sicurezza (che comprende il contestato reato di immigrazione clandestina, con l’opposizione contraria anche alla semplice aggravante): Berselli conta di approvarlo entro il 17 luglio, pur prevedendo almeno 200 emendamenti. Intanto, un primo passo bipartisan è stato compiuto il 2 luglio, quando la commissione ha approvato all’unanimità un’indagine sull’efficienza della spesa del sistema giudiziario. Visto che avere più soldi è impossibile, occorre una maggiore efficienza. Cinque i punti dell’indagine: razionalizzare le spese obbligatorie, come le notifiche; risparmiare su procedure quotidiane, per esempio convalidare il fermo nel carcere evitando la traduzione del fermato davanti al giudice; valutare lo stato delle sperimentazioni sui risparmi possibili nelle intercettazioni e con una migliore organizzazione del lavoro, come dimostrato dalla procura di Bolzano; valutare quanti soldi sono disponibili in depositi bancari e postali, inutilizzati da tempo, e ovviare alla mancata riscossione delle spese di giustizia dopo la condanna; infine favorire le sanzioni amministrative con una contestuale depenalizzazione e, in campo civile, un maggiore ricorso alla conciliazione. L’efficienza è la priorità anche per Lanfranco Tenaglia (Pd), ministro ombra della Giustizia: "Abbiamo già presentato una proposta organica, che prevede l’assunzione di 2.200 cancellieri, la riforma delle circoscrizioni giudiziarie e un maggiore uso della telematica". Visto che l’accorpamento degli uffici giudiziari minori scatenerebbe delle rivolte, Tenaglia ipotizza anche "organici unici per uffici limitrofi, che presuppongono mobilità e flessibilità". Un altro scontro è certo sulla legge Gozzini. Berselli da tempo punta a riformare i benefici ai detenuti: "Va eliminata la liberazione anticipata, cioè lo sconto automatico di 45 giorni ogni 6 mesi di reclusione" spiega il senatore del Pdl "e l’affidamento ai servizi sociali dev’essere consentito per pene fino a 1 anno e non fino a 3 anni come ora. E vanno allungati i tempi per ottenere la semilibertà". L’opposizione ha altre idee: "La Gozzini ha dato ottimi risultati" replica Tenaglia. "Anziché eliminarla, aumentiamo il potere di valutazione del giudice di sorveglianza sui singoli casi. Piuttosto, vogliamo modificare la ex Cirielli sui tempi della prescrizione dei reati, troppo bassa anche per quelli più gravi". Efficienza e certezza della pena, evidentemente, hanno significati diversi a seconda dei vocabolari politici. Giustizia: politica e magistratura, il conflitto dev’essere risolto di Nicola Saracino (Magistrato a Tivoli)
www.radiocarcere.com, 7 luglio 2008
Che la legittimazione democratica discenda dal voto popolare è principio radicato nella nostra cultura; si nota, però, avanzare l’idea che il voto rappresenti l’unica fonte legittimante l’esercizio dei poteri espressivi di sovranità, in essi inclusa la giurisdizione. La carica elettiva latu sensu "politica" autorizza il titolare all’esercizio di poteri pubblici in nome della collettività e nell’interesse generale. Il tradimento di quel mandato è sanzionato dalla legge e la magistratura è obbligata ad intervenire. La magistratura non trova legittimazione nel voto popolare e questo per precisa scelta del Costituente che ha evitato l’inefficacia del controllo provocata dall’omologa estrazione elettiva di controllori e controllati. "L’irresponsabilità" politica della magistratura, quindi, è uno strumento di garanzia dell’effettività dell’applicazione della legge nei confronti di tutti coloro che vi sono soggetti. La responsabilità dei magistrati interviene su piani diversi da quello politico, essendo essi "soggetti soltanto alla legge" e rispondendo dei reati e degli alti illeciti astrattamente ipotizzabili al pari di tutti gli altri cittadini, senza alcuno sconto, com’è giusto. Nessuno pensa di essere infallibile; credo, anzi, che l’azione di ogni magistrato sia sorretta dalla speranza di commettere il minor numero di errori possibile, nella consapevolezza che non è umano ipotizzare di non incorrervi mai. La delicatezza e la complessità dei compiti assegnati alla magistratura hanno imposto di attribuire valore di verità giudiziaria soltanto alle decisioni irrevocabili, prima delle quali vige la presunzione di non colpevolezza. L’erroneo costume, purtroppo invalso nel Paese, di conferire incondizionato credito alle ipotesi accusatorie quando ancora esse non sono state oggetto di verifica nel giudizio, neppure di primo grado, ha aperto il "conflitto" tra la politica e la magistratura, poiché anche le iniziative preliminari, con le quali si avvia un’attività di verifica dell’operato di un uomo politico, sono capaci di determinare conseguenze molto rilevanti per la vita pubblica, ripercuotendosi direttamente sulle istituzioni. Infatti le reazioni, spesso scomposte, dei soggetti di volta in volta toccati da queste attività, risultano del tutto inappropriate se poste in relazione al carattere doveroso dell’intervento giudiziario subito, reazioni che tuttavia si spiegano se correlate al danno immediato che tali iniziative cagionano e che il politico cerca di evitare. Ciò dà origine all’idea - distruttiva - secondo la quale l’intervento giudiziario sarebbe mosso da un’ispirazione "politica", mirando esso a screditare una fazione piuttosto che l’altra. Il costo di questo "scontro" è tutto istituzionale, giacché non può pretendersi che i cittadini si fidino e rispettino l’operato di una istituzione se l’altra dimostra un atteggiamento contrario. Per evitare che questo accadesse il sistema era equilibrato dall’istituto dell’autorizzazione a procedere che proteggeva - si scopre oggi - valori superiori e non serviva certo a garantire l’impunità dei gaglioffi: l’eventuale diniego ricadeva, infatti, nella esclusiva responsabilità politica del Parlamento, mentre la sua concessione sgombrava il campo da ogni ipotizzabile sospetto di persecuzione nei riguardi del politico inquisito e lo obbligava, quindi, ad affrontare il processo nelle aule giudiziarie, senza farsi scudo del fumus persecutionis. La mancanza di quell’istituto, o di analogo accorgimento, spinge oggi l’indagato - e non già il magistrato - a cercare il giudizio e il consenso della piazza, potendo orientarne a piacimento gli umori grazie al maggior controllo sull’informazione, così neutralizzando il danno politico generato dallo stesso sistema mass mediatico. Certo, l’autorizzazione a procedere realizza un’interferenza tra poteri diversi, ma è un’interferenza regolamentata, di sicuro preferibile al perenne clima di scontro scriteriato che connota la vita pubblica italiana da molti anni. In definitiva lasciare "in bianco" uno spazio così denso di questioni, d’ordine costituzionale, significa abbandonarlo alla legge del più forte: un lusso che, alla prova dei fatti, il Paese non può più sostenere. Giustizia: Violante; informazione e indagini, c’è un’anomalia
www.radiocarcere.com, 7 luglio 2008
Pubblichiamo l’intervista a Luciano Violante, professore di procedura penale all’Università di Camerino, ex Presidente della Camera ed ex magistrato.
Che dire di questo strano fenomeno costituito da intercettazioni e indagini non utili al processo penale, ma utili a far vendere i giornali? È il risultato di due anomalie. Una riguarda gli editori e l’altra la tendenza a privilegiare le intercettazioni nelle indagini. In Italia l’editore ha sempre altri interessi finanziari o economici; conseguentemente ha a cuore più la funzionalità del giornale ai suoi interessi privati che la credibilità dello stesso giornale davanti all’opinione pubblica. Di qui la pubblicazione ostentata di notizie pruriginose. L’altra anomalia è la tendenza a considerare l’intercettazione come la regina delle prove. A un mezzo di indagine così invasivo si deve ricorrere quando non sarebbero utili altri mezzi di prova.
È giusto che il diritto alla riservatezza debba soccombere dapprima davanti al diritto ad indagare e poi davanti al diritto di cronaca? In democrazia non ci sono diritti assoluti. Ogni diritto trova un limite in un altro diritto. Questo vale per la riservatezza e per il diritto di cronaca. Non esiste il diritto di indagare; esiste il potere-dovere di esercitare l’azione penale, anch’essa sottoposta a vincoli.
L’indagato distrutto, prima del processo, dai media. Non le pare proprio di un paese barbaro? L’abuso del diritto di cronaca nelle società fondate sulla comunicazione produce effetti non compatibili con i caratteri di una democrazia avanzata.
Lele Mora, Filippo Pappalardi, il Re d’Italia, errori giudiziari aggravati dal connubio stampa giustizia. Vite cancellate, quale rimedio? Non conosco la vicenda del primo. Pappalardi sembra vittima di un errore giudiziario più che di un abuso giornalistico. Vittorio Emanuele ha una storia sulle spalle che dovrebbe imporgli comportamenti privati più rispettosi di sé stesso e di quella storia. Negli anni scorsi ho più volte denunciato il fenomeno di carriere giudiziarie costruite sui mezzi di informazione e carriere giornalistiche costruite sulla fuga di notizie relative a processi penali.
Manca un senso di responsabilità degli addetti ai lavori: giornalisti, avvocati e magistrati? Credo nelle etiche professionali. Quando un Paese è troppo alla ricerca delle regole giuridiche, vuol dire che l’etica è in crisi.
Editori e direttori non dovrebbero impedire la pubblicazione di notizie, gossip, che trapelano dagli uffici giudiziari, quando con l’indagine penale nulla hanno a che fare? È un problema di equilibrio tra informazione e privacy. Quando un personaggio è pubblico la privacy è meno tutelata; tuttavia occorre di volta in volta lasciare spazio alla responsabilità professionale del giornalista e dell’editore, che devono sempre tener presente che l’abuso del diritto porta prima o poi alla morte del diritto stesso.
La rilevazione del segreto d’ufficio è uno dei pochi reati che rimangono generalmente impuniti. Ma i magistrati non dovrebbero impedire la fuga di notizie? Le rispondo con una domanda: è possibile che uffici giudiziari che hanno arrestato Riina, Provenzano o che hanno scoperto chi ha sequestrato Abu Omar, non trovano il cancelliere, il poliziotto o il giudice che ha passato la notizia al giornalista? Forse in questi casi dovrebbe indagare una procura di un distretto diverso, proprio per agevolare l’efficacia delle indagini sulla fuga di notizie.
L’unica possibilità è una legge che punisca severamente la pubblicazione degli atti d’indagine? Credo che occorra prima di tutto punire non tanto chi pubblica la notizia, ma il dipendente pubblico che ha dato la notizia e punirlo anche severamente.
Preferibile una sanzione amministrativa o una sanzione penale? Non c’è dubbio che per gli editori sarebbe più efficace una sanzione pecuniaria, che riesca a "smontare l’affare". Se pubblicare la notizia illegittima fa vendere più copie, il pagamento di una somma di danaro adeguata alla tiratura o all’audience farebbe venir meno la convenienza della violazione.
Lo strumento dell’intercettazione è utilizzato correttamente? Ritengo in gran parte ingiuste e tendenziose le polemiche recenti. Anche perché la maggior parte delle intercettazioni viene fatta in città dove c’è una consistente presenza di criminalità mafiosa. Credo però che debba costruirsi una capacità professionale degli organi inquirenti che si basi anche su altri strumenti di indagine, meno invasivi, ma che conducano agli stessi risultati.
Intercettazioni che durano anni quando non dovrebbero durare più di quindici giorni? Se devo intercettare un traffico di droga tra la Colombia e Reggio Calabria, è ovvio che in quindici giorni non riesco a sapere nulla. E se stanno concordando il luogo di sbarco della cocaina smetto di intercettare perché sono trascorsi i quindici giorni? Credo che la prima autorizzazione debba darla il Gip, mentre la proroga potrebbe spettare al giudice collegiale dell’Appello. Non possiamo sbandierare la sicurezza e poi impedire i processi ai grandi criminali. In molte delle attuali polemiche intravedo la tenenza a costruire ingiustificate impunità ed altrettanto ingiustificate criminalizzazioni: la prostituta (che da sola non può fare il mestiere che le si contesta), il rom (che spesso è un cittadino italiano come noi), il clandestino. È uno slittamento verso il diritto penale che punisce una persona per quello che è, non per quello che fa. Sento gli echi terribili del diritto penale del tipo di autore; ma spero di sbagliarmi.
Il telefono controllato all’infinito è come una perquisizione ripetuta quotidianamente? Non esistono telefoni controllati all’infinito. Per fortuna.
Non sarebbe corretto intercettare per un tempo limitato, se si scopre il reato si fa il processo, in caso contrario s’interrompe? Non basta scoprire il reato, bisogna individuarne tutti gli autori, bloccare la merce criminale o il pagamento della corruzione.
Non ritiene che vi sia un problema di sovraesposizione mediatica? C’è un problema di correttezza dell’informazione. Le faccio un esempio: negli Stati Uniti un giornalista che ha pubblicato una notizia priva di fondamento è stato licenziato dal New York Times. In Italia giornalisti che hanno scritto cumuli di sciocchezze spesso restano al loro posto. Il tema centrale è la credibilità del’informazione.
Oltre ad essere imparziale un magistrato non deve anche apparire imparziale? Il magistrato esercita le sue funzioni con grande discrezionalità. Per questo deve non solo essere, ma anche apparire corretto in modo da non perdere la fiducia dei cittadini che devono essere giudicati da lui..
Un magistrato che manifesta il proprio credo politico non lede la sua imparzialità? Certamente. I magistrati non devono perdere la credibilità dei cittadini. La credibilità è importante quanto la imparzialità.
Si possono limitare diritti costituzionali per ordine pubblico, per indagare, perché non si può limitare il diritto di manifestare il proprio pensiero sui media in ragione della funzione che i magistrati svolgono e dell’autorevolezza che necessitano? Nessun diritto è assoluto. Ora se un magistrato si mette a fare l’opinion leader sbaglia, perché utilizza su un terreno diverso l’autorevolezza acquisita. Vede, la legittimazione del magistrato non deriva dal consenso, deriva dalla legge. Quindi occorre evitare quelle forme di pubblica manifestazione che possono produrre consenso e che ledono la sua credibilità. La politica si legittima per il consenso dei cittadini, la magistratura per l’applicazione della legge. Giustizia: il pg Caselli; è l’ora di riformare l’articolo "41 bis"
Corriere della Sera, 7 luglio 2008
Cosa c’è che non va nella norma del 41 bis, quella dei carcere duro per i mafiosi? Qualcosa ci deve essere perché da una parte si moltiplicano gli annullamenti e i provvedimenti dei giudici che trasmigrano i detenuti a un regime carcerario meno stretto, dall’altra gli stessi magistrati sono allarmati per i continui colpi al sistema giustizia, tanto da aver deciso lo stato di agitazione. Ma l’allarme dell’Anm non riguarda ciò che sta accadendo per il 41 bis. La verità è che piuttosto che arrivare a togliere il 41 bis a detenuti per fatti di mafia anche gravi e trasferirli tout court nei bracci dei detenuti comuni, una parte della magistratura chiede che la norma - in vigore dal 1975 - sia alla fine riformata. A chiederlo con forza, domenica, è un magistrato-simbolo della lotta antimafia: Giancarlo Caselli, oggi procuratore generale a Torino. "La 41 bis è una norma intrisa del sangue e dell’intelligenza di due grandi magistrati come Falcone e Borsellino, ma nel corso degli anni ha subito un sostanziale depotenziamento", ha detto a Sky Tg24 il procuratore Caselli rilevando che "certamente serve un aggiornamento sulla base delle esperienze acquisite e dei mutamenti avvenuti in questi anni". "La procura generale di Torino - ha aggiunto - ha sempre ricorso contro le revoche del 41bis perché sappiamo tutti che i mafiosi non pentiti in carcere continuano ad avere rapporti strettissimi, a volte anche di comando, con l’esterno". E del resto si legge in un documento di Giuristi democratici a questo proposito: " In nessun caso le limitazioni all’ordinario regime carcerario possono avere scopo diverso da quello di tipo preventivo, e meno che mai costituire strumento di aggressione alla integrità psico-fisica del detenuto per ottenere confessioni o collaborazioni, di talché ogni applicazione pratica delle limitazioni previste dall’art. 41 bis peraltro oggi codificate, volte esclusivamente a fiaccare la resistenza del detenuto e a rendere ingiustificatamente più duro, ma non per questo più sicuro, il carcere, deve essere considerata illegittima. A maggior ragione ciò risulta grave se applicato nei confronti di categorie, quali gli oppositori sociali e politici che, per la ricordata indeterminatezza dell’art. 270 bis c.p., possono trovarsi a subire le suddette restrizioni, senza alcuna effettiva ragione di sicurezza". La necessità di una riforma del 41 bis viene riconosciuta anche da parte dell’attuale maggioranza. "Quella del carcere duro, del 41 bis rigoroso ed efficace è un’emergenza urgente da affrontare se vogliamo davvero sconfiggere la mafia. Penso che in Parlamento si possa trovare un’intesa ampia e condivisa tra maggioranza ed opposizione per migliorare la normativa", afferma anche Carlo Vizzini del Pdl. "Nel 2002 introducemmo la stabilizzazione del regime carcerario insieme ad un nuovo rigore, fiaccato nel tempo da interpretazioni eccessivamente garantiste da parte dei tribunali di sorveglianza (37 annullamenti in 6 mesi). Il ministro Alfano lavora egregiamente esaminando e firmando con riserbo e rigore le nuove applicazioni, ma la normativa va resa più esplicita soprattutto sull’onere della prova della pericolosità dei detenuti. Carcere duro efficace e confisca dei patrimoni aggiunti all’azione di magistrati e forza dell’ordine - conclude - sono gli elementi per una vittoria contro le mafie oggi possibile". A scandalizzarsi sono invece i familiari delle vittime. Ma soprattutto per gli annullamenti del carcere duro. "Siamo allo scandalo allo stato puro: sono anni che lanciamo allarmi contro l`abolizione del 41 bis, non è importato niente a nessuno delle stragi del 1993 in questo maledetto Paese le hanno volute tutti quanti". È il j’accuse di Maggiani Chelli dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili sul passaggio di numerosi boss mafiosi dal regime carcerario previsto dall’art.41 bis a quello di detenuti comuni. "Il passaggio da 41 bis a carcere normale di Gioachino Calabrò afferma Maggiani Chelli che diede ordine a Giuseppe Ferro Capo Mandamento di Alcamo di andare a Prato dal cognato Messana, di far preparare nel suo garage il pulmino imbottino di 300 chili di tritolo per portalo poi in via dei Georgofili, non lo capiremo mai", insiste Chelli. "Agiremo come meglio riterremmo opportuno, anche con la protesta di piazza, - conclude - se nelle prossime ore non avremmo chiari segnali che il Governo sta prendendo provvedimenti sul fronte del 41 bis per i mafiosi rei di strage". Giustizia: lettera di Napolitano e funzione consultiva del Csm di Nicola Saracino (Magistrato a Tivoli)
www.radiocarcere.com, 7 luglio 2008
I pareri del Csm sono, per legge, rivolti al Ministro (art. 10 legge 24 marzo 1958, n. 195), e quindi al titolare dei compiti di organizzare e far funzionare i servizi relativi alla giustizia (art. 110 Cost.); servono, pertanto, ad evidenziare le ricadute pratiche che una legge allo studio del Parlamento riverserebbe, in concreto e se approvata, sull’andamento della giurisdizione. Non può ipotizzarsi che il Presidente della Repubblica, per la sua carica, per la sua autorevolezza, per la sua storia personale, sia soggetto facilmente influenzabile da "neo-costituzionalisti" improvvisati. Appare quindi ingiustificato svalutare l’importanza del suo invito rivolto al Csm qualche ora prima che il parere venisse votato. È plausibile, invece, che il Presidente avesse ragione. Nel procedimento di formazione delle leggi altri organi vagliano preventivamente la compatibilità costituzionale delle norme che si vogliono introdurre nell’ordinamento. In primo luogo questa forma di controllo è operata direttamente dal Parlamento; in seconda battuta dal Presidente della Repubblica che, a fronte di una manifesta incostituzionalità, potrebbe rispedire al mittente la legge e non promulgarla. È, poi, il sistema ad imporre che i giudici, nel dubitare della costituzionalità di una norma, ne provochino il controllo ad opera della Corte Costituzionale, l’unico soggetto abilitato ad estromettere le norme impure dall’ordinamento italiano. Ciò premesso, per parlare d’attualità, sembrerebbe da escludere che il parere del Csm, nei termini in cui esso è stato reso, risultasse indispensabile al Paese: le perplessità d’ordine costituzionale nascenti da quel disegno di legge governativo erano state, infatti, già ampiamente sviscerate sulla stampa dai politici e dagli studiosi. Né può liquidarsi la questione con il nominalismo, non superandosi certo il problema sostituendo alla parola "incostituzionalità" l’attributo "irragionevole". In definitiva se il Capo dello Stato si è espresso come si è espresso aveva buoni motivi, anche tecnico-giuridici, per farlo e ciò è avvalorato dalla considerazione che il Presidente della Repubblica, in materia di rapporti tra istituzioni di livello costituzionale, rappresenta l’Autorità. Sorprende che in passato i suoi moniti, indicanti il silenzio, siano stati ossequiati non solo dalle istituzioni (il Csm è un’istituzione) ma persino dall’Anm (che istituzione non è), mentre oggi si ritiene di poter eludere con puri escamotage linguistici le esortazioni del Colle. Giustizia: Sappe; pronti alla mobilitazione contro i "tagli"…
Comunicato Stampa, 7 luglio 2008
Il recente Decreto Legge numero 112, emanato dal Governo il 25 giugno scorso riguardante la manovra correttiva del bilancio dello Stato per il triennio 2009/2011, costringe il Sappe, congiuntamente alla quasi totalità delle altre organizzazioni sindacali delle forze di polizia, a lanciare l’allarme sullo stato della sicurezza del Paese. Con questo provvedimento legislativo, infatti, sono state assunte decisioni che pongono a rischio la possibilità di continuare a mantenere livelli accettabili di tutela per i cittadini. Sono stati previsti per il prossimo triennio tagli che impediranno l’acquisto di autovetture e mezzi nonché l’assunzione di nuove unità. A cominciare dalla norma che dovrebbe regolamentare il turnover - l’assunzione, cioè, di personale per compensare i pensionamenti. Sono state fissate cifre davvero irrisorie: il 10% per il 2009 e il 20% per il 2010 e 2011 delle unità cessate dal servizio l’anno prima. Una barzelletta, se si considera che rispetto alle dotazioni organiche del Corpo, alla data del 1 aprile scorso la Polizia penitenziaria è già carente di ben 4.200 unità. Per non parlare, poi, prosegue Capece della nuova regolamentazione delle assenze per malattia, che prevedono nuove fasce di orario per gli accertamenti medico-fiscali le quali consegneranno di fatto agli arresti domiciliari le colleghe ed i colleghi che avranno la sventura di ammalarsi. Proprio su questo aspetto, l’Amministrazione penitenziaria (in sede periferica, ma con la colpevole responsabilità delle Direzioni Generali del Dap più direttamente interessante) non ha perso tempo per dimostrare cosa non è: un’Istituzione seria e responsabile. Molti, moltissimi Direttori non hanno perso tempo ad interpretare la norma sulle malattie in maniera restrittiva e penalizzante, specie per quanto attiene all’obbligo della reperibilità durante la malattia. E c’è stato addirittura chi (in un carcere del Nord Italia) ha interpretato talmente bene la norma dall’aver dato applicazione e decorrenza al D.L. 112/2008 a decorrere dal 1 gennaio 2008, così da poter effettuare le trattenute previste nelle tasche dei colleghi ora per allora. Anche questi sono i risultati di una Legge dello Stato - tristemente nota come Meduri - che ha trasformato in dirigenti tutti i direttori, senza colpo ferire. Il Sappe prosegue nella sua instancabile attività per la modifica del D.L. 112/2008, che entro 60 giorni deve essere convertito in Legge dal Parlamento pena la sua decadenza. Sono stati predisposti una serie di emendamenti tutti finalizzati ad escludere il personale delle Forze di Polizia dall’applicazione di quel decreto. E la nostra mobilitazione conclude Capece prevede anche una serie di volantinaggi nelle sedi periferiche (davanti ai luoghi istituzionalmente più rilevanti), a Roma davanti alle sedi del Parlamento e dei Ministeri della Funzione Pubblica e della Giustizia. Fino ad arrivare a proclamare lo sciopero bianco della nostra Categoria e una grande manifestazione nazionale di protesta. Per rivendicare la specificità del Comparto Sicurezza e del Corpo di Polizia Penitenziaria rispetto al Pubblico Impiego! Giustizia: Pollastrini (Pd); respinti emendamenti su stalking
Dire, 7 luglio 2008
"È una scelta grave che esplicita una volta di più l’idea di sicurezza di questo governo. Un’idea discrezionale e declamatoria che nega alla radice l’uguaglianza dei diritti davanti alla legge. In questo caso, i cittadini non degni dell’urgenza dell’intervento legislativo sono le donne, vittime di persecuzioni e molestie". Così Barbara Pollastrini, deputata del Partito democratico ed ex ministra delle Pari opportunità, commenta quanto accaduto stamani, durante la riunione congiunta delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera, con le presidenze delle due commissioni che hanno negato l’ammissibilità di tutti gli emendamenti presentati dal Partito democratico e dall’opposizione, tesi a introdurre il reato di molestie persecutorie, il cosiddetto stalking, nel decreto sulla sicurezza attualmente in discussione. Evidentemente, prosegue Pollastrini, "le donne possono aspettare per avere prevenzione e giustizia, mentre il presidente del consiglio e un governo, stuoino dei suoi desiderata, no. Egli può usare emendamenti come il blocca-processi a fini del tutto personali, mentre cittadine impaurite e a rischio devono mettersi la anima in pace e attendere ancora. È una vergogna e una scelta che si commenta da sé". Contro la linea dell’inammissibilità, ritenuta "incomprensibile e "dannosa", sono intervenuti, tra gli altri, anche gli onorevoli Donatella Ferranti e Gianni Cuperlo. Da parte sua, il vicepresidente della commissione affari costituzionali Roberto Zaccaria ha chiesto di sottoporre al Presidente della Camera la valutazione su un criterio "così paradossale" di inammissibilità. "L’onorevole Fini dunque - conclude Pollastrini - dovrà ora esprimersi limpidamente. In ogni caso, tutte le opposizioni riproporranno gli emendamenti in aula". Catania: Bernardini (Pd) visita il carcere, "struttura illegale"
Dire, 7 luglio 2008
"Questo carcere è illegale perché non rispetta la capienza tollerabile": così la parlamentare del Pd Rita Bernadini giudica la struttura penitenziaria di piazza Lanza a Catania, dopo un sopralluogo compiuto con il collega di partito Giuseppe Berretta. "Questo carcere - aggiunge l’ex segretaria nazionale dei Radicali - ha una capienza ottimale di 171 detenuti e tollerabile di 226, ma effettiva di 344. La maggior parte dei quali sono concentrati nel reparto di delinquenza comune e circa 80% sono persone in attesa di giudizio. Pochi sono invece gli extracomunitari". Per Rita Bernardini "sono pochi anche gli agenti di polizia penitenziaria" e "i nuovi tagli previsti dalla nuova Finanziaria assieme ai nuovi ingressi con la linea dura annunciata dal governo renderanno a rischio le strutture penitenziarie in Italia. Lucera: gli ex detenuti per pulizia e manutenzione della città
www.luceraweb.it, 7 luglio 2008
Lo splendore, l’ordine e la pulizia della città di Lucera si appresta a vivere momenti di assoluta unicità per la sua storia. E non potrebbe essere altrimenti se da Palazzo Mozzagrugno viene annunciato che circa 80 persone nei prossimi mesi saranno impiegate, attraverso le cosiddette "borse lavoro", in una serie di lavori e iniziative che riguarderanno la pulizia e l’igiene ambientale, la fruizione dei monumenti, la manutenzione e dipintura di arredi urbani e anche il rifacimento di cordoli e marciapiedi. Secondo un accordo siglato tra gli assessorati alle Politiche Sociali, all’Ambiente e Polizia Municipale e alle Attività Produttive che gestiranno il personale, una parte di esso (16 unità) sarà costituito da ex detenuti ai quali sarà offerta la possibilità di una nuova "integrazione sociale". A questi si aggiungono altre persone che arriveranno direttamente dal Centro di Igiene Mentale di Lucera, nell’ambito di un progetto che prevede il loro utilizzo anche per la pulizia della Villa Comunale. Insomma un’intera città che sarà presa d’assalto da personale tutto nuovo, evidenziando quindi delle necessità che finora non sono state considerate, o perlomeno espletate, a partire dalla manutenzione delle aree incolte e incustodite che continuano a generare incendi e pericolo per i cittadini. Verona: "La Fraternità" cerca giovane per il Centro d’ascolto
L’Arena di Verona, 7 luglio 2008
Un sistema informativo locale dedicato ai problemi della giustizia, e un luogo d’ascolto specifico per rispondere a domande e bisogni collegati al penale. Due attività uniche sul suolo veronese, che necessitano entrambe dell’impegno costante di un giovane collaboratore. L’associazione veronese La Fraternità - che di recente ha festeggiato i 40 anni di attività nel mondo della pena e della giustizia - come ogni anno si è rivolta fiduciosa al progetto Gioinvolo del Centro Servizi Volontariato di Verona, per poter contare sulla preziosa risorsa di un volontario tra i 18 e i 28 anni. La persona interessata verrebbe coinvolta nell’informazione e orientamento sia di detenuti in permesso ed ex detenuti che delle loro famiglie, sempre bisognose di indicazioni su come muoversi nel complesso meccanismo della giustizia. Di recente nella sede provvisoria dell’associazione in via Provolo, 27 si è strutturato il "Centro d’ascolto la Fraternità". Si tratta di un lato luogo in cui avanzare domande e bisogni riguardanti il mondo della pena ma è anche sede di ascolto, di accompagnamento, di orientamento al sistema di servizi e risorse della città. La fascia di persone da informare, non si ferma solo a chi vive un coinvolgimento più o meno diretto con la struttura penitenziaria veronese, ma intende arrivare a tutti coloro che vogliano approfondire e trovare informazioni corrette sulla realtà carceraria, presente nella loro città. Per questo La Fraternità da qualche mese ha attivato il sito internet www.lafraternita.it. Suddiviso in chiare zone tematiche, il sito vuole essere uno strumento di consultazione per tutti coloro che desiderano avvicinarsi alla realtà carcere, spinti dalla curiosità o perché interessati a un’esperienza di collaborazione e volontariato. I contenuti sono volutamente circoscritti alla realtà di Verona, per focalizzare l’attenzione sull’aspetto locale del vasto settore della giustizia e della pena: una sorta di serbatoio di riferimenti e notizie per chi si vuole muovere o impegnare sul territorio veronese nell’intricato mondo del carcere e della giustizia. Chi fosse interessato all’esperienza di servizio civile, potrà fare domanda all’associazione entro il 15 settembre (segreteria@lafraternita.it, telefono 045.8004960). Verrà poi selezionato una persona che svolgerà il progetto dal 1. di ottobre fino al 30 settembre 2009, per un minimo di 25 ore settimanali con un compenso netto annuale di 5.200 euro. Pescara: ex "pentito" di mafia uccide imprenditore dopo lite
Il Messaggero, 7 luglio 2008
Marco Pagliaro, 64 anni, è stato ucciso a Pescara da un uomo che gli ha sparato due volte, alla testa e all’addome. La Polizia sta cercando l’assassino, che ha agito a volto scoperto: sarebbe il custode del parco Villa De Riseis. I due avrebbero avuto una discussione. L’aggressore è fuggito a piedi. Marco Pagliaro, 64 anni, imprenditore titolare dello stabilimento balneare Apollo, è stato ucciso questo pomeriggio a Pescara da due colpi di arma da fuoco. Sembra che la vittima stesse giocando a pallone nel parco Villa De Riseis, sul lungomare, poco distante dal suo stabilimento quando è stato raggiunto da diversi spari. Pagliaro è stato colpito alla testa e all’addome: è morto durante il trasporto in ospedale. Le forze dell’ordine stanno cercando l’omicida: l’assassino avrebbe agito a volto scoperto e sembra che conoscesse bene la vittima. A sparare sarebbe stato il custode del parco: l’uomo lavorava a Villa de Riseis per conto della cooperativa di categoria B ‘La Cometa’, che si occupa del reinserimento sociale di persone svantaggiate, ex tossicodipendenti e ex detenuti. In base alla ricostruzione della squadra mobile, l’omicidio è avvenuto a seguito di una discussione tra Pagliaro e il custode, un pregiudicato della provincia di Caserta. A quanto pare i due stavano parlando del posto di lavoro del custode che, secondo Pagliaro, era a rischio. Un testimone li ha visti discutere ed ha ascoltato il custode che minacciava l’imprenditore. In seguito a questa discussione il custode - che dormiva nel box del parco o alla Caritas di Pescara - avrebbe sparato e sarebbe fuggito a piedi, con la pistola. Al momento dell’omicidio a Villa de Riseis c’erano molte persone, tra cui tanti bambini, per una festa. Sul posto, dopo l’omicidio, il sostituto procuratore Filippo Guerra, il dirigente della squadra mobile, Nicola Zupo, e la Polizia scientifica, per i rilievi. Enzo D’Agostino, 53 anni, era fino a ieri il custode del Parco Villa de Riseis. Oggi è un latitante, ricercato dalla polizia per omicidio volontario. Chi frequentava la zona lo conosceva bene, sia per il suo nuovo ruolo di guardiano del parco sia per i suoi trascorsi burrascosi. Anche per questo, ieri, subito dopo l’omicidio si è risaliti al colpevole. "È stato Michelangelo", "è stato il guardiano". Autore di sette omicidi D’Agostino venne arrestato all’inizio degli anni 80 e divenne un pentito dopo meno di un’ora dal suo arresto. Per questo il clan di Raffaele Cutolo uccise suo padre, Isidoro, nella piazza di Cesa. Nel 1983, durante un interrogatorio, riferì un episodio specifico dal quale venne a conoscenza dei collegamenti esistenti tra il Tortora e la Nuova Camorra Organizzata, di cui anche lui faceva parte. Il guardiano del parco fu, infatti, a tutti gli effetti, uno dei più accaniti sostenitori della doppia vita del presentatore di Portobello, di giorno volto noto della tv e di notte camorrista dedito allo spaccio. Secondo D’Agostino nel corso di una riunione a Caivano si sarebbe deciso che Puca, successore di Casillo nella gerarchia camorristica, avrebbe preso contatto per lo spaccio di stupefacenti fra gli altri con Tortora. E in una delle agendine di Puca venne ritrovato anche il numero telefonico del presentatore. Ma ben presto si capì la poca attendibilità dell’uomo. "Il D’Agostino", scrisse il giudice, "è ansioso di entrare come portatore di un grosso, autonomo contributo, anche nella maxi inchiesta napoletana, di cui ha appreso i contorni e lo spessore dalla lettura dei giornali, che hanno riportato nei giorni precedenti al 21.6.83 ampie notizie sul ‘maxiblitz’ contro la camorra cutoliana, dando spazio e notorietà ai grandi pentiti, Pasquale Barra e Giovanni Pandico". Il 17 settembre 1985, intanto, Tortora venne condannato a dieci anni di carcere, principalmente grazie alle accuse dei pentiti. Ma poco dopo fu lo stesso D’Agostino che ritrattò, e raccontò di essersi inventato tutto per ottenere un permesso premio per andare a far visita alla tomba di suo padre. Il permesso sarebbe stato concesso subito dopo le rivelazioni che mettevano in mezzo il popolare conduttore. "Ho firmato senza leggere dei verbali già scritti", disse il 18 febbraio del 1986. "Non so dunque se le mie dichiarazioni sono vere. Ho accusato tanta gente che non conosco. L’ho fatto perché i magistrati mi avevano promesso la libertà". E da questo punto cominciarono a crollare tutte le accuse. Il 15 settembre 1986 Enzo Tortora venne assolto con formula piena dalla Corte d’Appello di Napoli. Negli anni 1990 D’Agostino contribuì, assieme ad altri pentiti, a far infliggere la prima condanna all’ergastolo al boss del clan dei Casalesi Francesco "Sandokan" Schiavone, per l’omicidio dell’allevatore bufalino Saverio Ianniello.
La cooperativa "La Cometa"
La cooperativa finisce nell’indagine "Green connection" del 2006 su tangenti nella gestione del verde pubblico. Invischiato nella vicenda anche Rudy D’Amico ex assessore all’ambiente che poco dopo lasciò Palazzo di Città. Era stato proprio D’Amico nel 2005 a firmare con la cooperativa un nuovo servizio per la gestione dei lavori del verde. Si stabilì, infatti, che il Comune mettesse a disposizione 50 mila euro per un "progetto sperimentale": impiegare detenuti e assicurargli uno stipendio di circa 1.300 euro. Il progetto si chiamava "verde in libertà" e veniva quindi gestito dalla cooperativa. "Verranno scelti i detenuti che danno maggiori garanzie dal punto di vista della sicurezza", assicurarono gli organizzatori del progetto, "sarà avviata in proposito una selezione a livello regionale per individuare i più idonei. Ma il numero di persone da impiegare è destinato ad aumentare nel tempo". E così venne reclutato anche D’Agostino, il cui curriculum non era proprio rassicurante. Roma: medici arrestati per falsi certificati sanitari ai detenuti
Adnkronos, 7 luglio 2008
Dietro un compenso che si aggirava attorno ai mille euro medici compiacenti attestavano tossicodipendenza e alcolismo per consentire ai carcerati di ritornare in libertà. In manette è finito anche un responsabile dell’ambulatorio psichiatrico del Policlinico Gemelli. Medici compiacenti certificavano dietro compenso tossicodipendenza e alcolismo per consentire ai detenuti di ritornare in libertà, come pure la regolare frequenza di programmi di riabilitazione, consentendo così agli ex detenuti di potersi muovere liberamente, fornendo loro anche un alibi in caso di consumazione di reato. Un anno di indagini della Squadra Mobile di Roma, coordinate dalla Procura della capitale, ha portato alla luce uno dei modi più ingegnosi utilizzati dalla malavita comune e organizzata per sottrarsi all’esecuzione delle pene, quello delle false certificazioni. Dodici persone sono così finite in manette, tra cui Colombo Taranto, responsabile dell’ambulatorio psichiatrico per alcolisti e tossicodipendenti del Policlinico Gemelli di Roma, la sua segretaria Paola Di Nasci e anche un presunto esponente della malavita di Ostia, Carmine Fasciani. Le accuse ipotizzate sono il falso in atti destinati all’autorità giudiziaria e l’abuso d’ufficio. Secondo quanto emerso dall’inchiesta, condotta dal pubblico ministero Diana De Martino, la tariffa per ogni certificato rilasciato si aggirava attorno ai mille euro. Sanremo: uno spettacolo scritto e messo in scena dai detenuti
Sanremo News, 7 luglio 2008
All’esibizione, alla quale era presente anche il direttore del carcere di Sanremo, Francesco Frontirrè, hanno assistito pure diversi ospiti esterni al penitenziario. Si è chiuso, oggi, presso la casa circondariale di Sanremo, con uno spettacolo scritto e messo in scena dai detenuti, l’annuale corso di formazione teatrale curato dal regista Davide Barella dell’Orlando Dissennato. Sono sette, su una decina di partenza, i carcerati che hanno terminato il ciclo di nove domeniche dedicato al teatro, il quale ha visto la partecipazione di numerose compagnie della zona. Nel loro spettacolo, i detenuti hanno ironizzato sulla vita carceraria e sui diversi ruoli delinquenziali: dallo scippatore al ladro. All’esibizione, alla quale era presente anche il direttore del carcere di Sanremo, Francesco Frontirrè, hanno assistito pure diversi ospiti esterni al penitenziario. Immigrazione: Milano; "detenuti" al Cpt in sciopero della fame
Ansa, 7 luglio 2008
"Da sabato i detenuti e le detenute del centro di detenzione di via Corelli a Milano sono in sciopero della fame. Chiedono unitariamente la loro libertà e, allo stesso tempo, denunciano le condizioni della loro detenzione: cibo scarso e scadente, condizioni igieniche pessime, continue intimidazioni e maltrattamenti da parte della polizia, nessuna attenzione per le cure mediche (ai malati di Aids non vengono somministrati i farmaci appropriati), continue espulsioni addirittura in paesi diversi da quelli di provenienza". Lo comunica con una nota il "Comitato antirazzista". "Di tutto questo una loro delegazione ha parlato con funzionari della prefettura durante un brevissimo incontro che ha fatto seguito all’inizio dello sciopero. Contattati direttamente dai detenuti, nel pomeriggio, alcune decine di militanti antirazzisti si sono trovati davanti all’ingresso del CPT per un presidio di solidarietà e sostegno alla protesta. Slogan, rumorose battiture con le pietre sul guard rail e uno striscione "chiudiamo i Cpt, libertà per tutti" appeso sul cavalcavia della tangenziale, hanno caratterizzato l’iniziativa. Dai numerosi scambi telefonici con l’interno è emerso che la polizia, in tenuta antisommossa, era entrata nei corridoi delle sezioni con chiaro intento intimidatorio, e che una ragazza egiziana che protestava è stata malmenata". Il comitato spiega che, secondo alcuni avvocati, "da alcuni avvocati che svariati sono i casi di immigrati detenuti nonostante la non convalida del trattenimento, alcuni sono in possesso di permesso di soggiorno in altri paesi d’Europa, e, soprattutto, che molti sono i lavoratori in nero prelevati direttamente sul posto di lavoro. I detenuti hanno chiesto un incontro con una delegazione dei presenti al presidio, negata al momento dalla prefettura, e rinviata a lunedì. In solidarietà ai detenuti in lotta, chiamiamo tutti coloro che si battono contro i Cpt e le leggi razziali, a un presidio stasera dalle 19 davanti al centro di detenzione in via Corelli". Immigrazione: i rom sfrattati ospitati da cappellano carcere di Davide Madeddu
L’Unità, 7 luglio 2008
Il cappellano del carcere ospita nella comunità di Arborea i rom sfrattati da Terralba, poco distante da Oristano. La storia è presto spiegata. Qualche giorno fa la comunità rom di Terralba viene sfratta e le baracche, realizzate abusivamente alla periferia del paese demolite. In soccorso delle 47 persone, 26 bimbi e 21 adulti arriva don Gianni Usai, cappellano del carcere di Isili e fondatore della comunità Il Samaritano che mette a disposizione degli sfollati un piazzale attrezzato nell’azienda agricola che ospita la comunità. "Cosa potevo fare - spiega don Gianni - sono stati cacciati dal campo di Terralba e non sapevano dove andare. Nei loro occhi ho letto la disperazione, mica potevo tirarmi indietro o girare la faccia dall’altra parte. Eppoi è ora di finirla con questa storia che i rom sono ladri e via dicendo. Se vivono ai margini è perché nessuno li vuole vicino. Rispetto agli altri partono da una posizione svantaggiata". Don Gianni Usai, 63 anni è il fondatore della comunità che si occupa di dare assistenza e supporto ai detenuti in espiazione esterna, ai sofferenti psichici e alle vittime di violenze. Per 20 anni è stato cappellano della colonia penale di Isili e conosce molto bene il mondo della sofferenza, della detenzione e le difficoltà che incontra "chi vuole rientrare nel mondo dei normali". Per questo motivo non ci sta a giocare la partita del "tutti contro gli zingari, perché non vero che sono tutti ladri e non è vero che sono tutti fannulloni". Non è certo un caso che sia stato proprio lui, non molto tempo fa (nel 2005) a battersi perché i piccoli rom di Terralba potessero andare a scuola e imparare a leggere, scrivere e studiare "e giocare come tutti i bimbi di 6 o 10 anni". "Li conosco da quando erano piccolissimi, sono stati loro a chiedere il nostro aiuto - racconta -, erano disperati e terrorizzati, hanno visto poi le loro case buttate giù con le ruspe". Da Terralba alla comunità di Arborea il passo è breve. "Abbiamo messo a disposizione un piazzale, sistemato il tendone e altri strumenti perché possano vivere decentemente - racconta don Usai - d’altronde è il minimo che si potesse fare per bimbi e famiglie che, per ignoranza altrui e senza motivo, sono state emarginate dal mondo cosiddetto normale perché, diciamolo chiaramente, chi è povero dà fastidio". E nel nuovo campo, sistemato alla fine di una strada con gli alberi di eucalipti ai lati, e le coltivazioni floride, i bimbi hanno ripreso a sorridere. "Qui da noi hanno scoperto i giocattoli, hanno scoperto i peluche - racconta ancora - ma quali ladri, ma lasciamo perdere queste cose. Questi sono bimbi come tutti gli altri, non vedo perché si debba continuare con questa discriminazione o magari pensare a prendere le loro impronte, ma stiamo scherzando?". Non nasconde le difficoltà incontrate per dare una mano alla comunità rom don Gianni. "Molte amministrazioni comunali hanno paura di aiutare queste persone perché temono una qualche rivolta delle popolazioni, e quindi invece di intervenire stanno a guardare. Tutti molto spesso dimenticano che l’aiuto può arrivare dando l’istruzione ai piccoli e insegnando un mestiere agli adulti". Un argomento caro al fondatore della comunità, da tempo impegnato in progetti di recupero e reinserimento degli ex detenuti in attività lavorative. "Se non vengono messi in condizioni di imparare o di lavorare è chiaro che nessuno poi li prenderà". Don Gianni però non nasconde le difficoltà "provocate dal luogo comune che tutti gli zingari sono ladri". "I 26 minori prima frequentavano le elementari di Terralba, adesso che sono in territorio di Arborea non sappiamo se questi bimbi, che è bene ricordarlo sono nati in Italia tra Oristano e Terralba, potranno frequentare le scuole o se invece dovremo farne una da campo". Quanto alla proposta di prendere le impronte, don Usai non ha dubbi. "Non esiste proprio, ma come potrà vivere un bimbo che "nasce schedato"?" Immigrazione: Ue; e Sarkozy propone nuovo patto scellerato
Il Manifesto, 7 luglio 2008
L’aria che tira in tutta Europa metterà di sicuro il vento in poppa al "Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo" targato Nicholas Sarkozy, che approfittando del semestre di presidenza francese dell’Ue cercherà di espandere la sua dura politica contro i migranti anche a quei pochi paesi che ancora recalcitrano. Ma bisognerà pure che l’Europa in qualcosa "si armonizzi". Fare la pelle ai disgraziati sembra l’elemento d’accordo che più si conviene a questa accozzaglia mercantile di stati nazionali. Il nuovo "Patto" sarà ufficialmente presentato all’Ue domani a Cannes. Due i capisaldi della politica propugnata dalla presidenza francese: immigrazione "selettiva" ed espulsione massiccia dei clandestini. Per la Francia, Sarkozy ha già fissato gli obiettivi: espellere 25mila clandestini l’anno. In vista del Patto scellerato di Sarko, si raccomanda la lettura dell’ultimo rapporto, relativo a giugno, di Fortezza Europa, la rassegna stampa che dal 1988 cerca di mantenere la memoria dei morti di frontiera. Cioè di quella strage che avviene a monte, quando i migranti cercano di penetrare nella fortezza, tra naufragi, decessi in stive di navi e aerei, operazioni di polizia autorizzata a sparare a vista. In quest’ultimo mese alle frontiere europee sono morti almeno 185 migranti e richiedenti asilo, dei quali 173 solo nel Canale di Sicilia. La vittima più giovane delle morti di frontiera è una bambina sudanese di sette anni, ammazzata lo scorso 28 giugno al confine egiziano con Israele. E quella del Sinai, scrive Fortezza Europa (www.fortresseurope.blog-spot.com) "si conferma la nuova rotta dei rifugiati eriteri e sudanesi, che alle carceri libiche e alle morti in mare preferiscono lo Stato ebraico". Ma anche quel varco va chiuso, così l’Egitto ha autorizzato la sua polizia ad aprire il fuoco: 16 morti dall’inizio dell’anno. I cani da guardia che l’Europa mette a presidio delle sue frontiere sono zelanti, anche se stanno alzando il prezzo. Le navi sono pronte, ha dichiarato il ministro dell’Interno Maroni, ma non sono chiare le regole di ingaggio. Questione non da poco, come ricorda Fortezza Europa, visto che ancora sono "top secret" le regole di ingaggio della missione di pattugliamento di Frontex (l’agenzia europea che coordina le operazioni per la sicurezza di frontiera degli stati mèmbri) nel Canale di Sicilia. Qui sono impegnati mezzi di Italia, Malta, Francia, Spagna e Grecia. Che fanno? Lo racconta, e sembra un film horror, il documentario "Guerra nel Mediterraneo" di Roman Herzog, giornalista tedesco, nel quale la Guardia di Finanza italiana ammette che vascelli di Frontex sequestrano viveri e carburante alle navi dei migranti per obbligarli a tornare indietro. Droghe: Radicali; proibizionismo alimenta turn-over in carceri
Notiziario Aduc, 7 luglio 2008
Il regime proibizionista sulla droga alimenta un incessante turnover dei detenuti, di fronte al quale non valgono neanche le migliori intenzioni degli operatori’: lo ha dichiarato Maria Antonietta Farina Coscioni, deputata del gruppo Radicali-Pd, al termine di una visita - promossa dall’associazione Adelaide Aglietta - nelle due carceri di Torino, il Lorusso e Cutugno (chiamato comunemente delle Vallette) e il minorile Ferrante Aporti. La parlamentare ha sottolineato che le due dirigenti degli istituti di pena sono fortemente motivate e preparate e i rispettivi comandanti delle guardie hanno dimostrato attenzione e competenza, aggiungendo di essersi soffermata, con loro, sui dati relativi ai consumatori di stupefacenti. Alle Vallette, dove oggi la popolazione è di 1.189 detenuti e 76 detenute a fronte di una capienza di 1.100 unità (nelle sezioni maschili l’effetto indulto è rientrato), al 31 dicembre 2007 erano reclusi 326 tossicodipendenti, di cui solo 16 erano sottoposti a trattamenti metadonici. Al Ferrante Aporti ci sono problemi di sovraffollamento e di organici: tre giorni fa durante una protesta è scoppiato un incendio.
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